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Riassunti

APUNTI ARTE MODERNA

RINASCIMENTO 1400/1500
MANIERISMO 1600
BAROCCO 1700
NEOCLASSICISMO 1800

PERIODO: BASSO MEDIOEVO

I primi decenni del 1400 sono caratterizzati dal primo Rinascimento Fiorentino, il quale rappresenta una
nuova fase: CESURA – RIVOLUZIONE. È stato un cambiamento drastico sotto il profilo figurativo e
architettonico, ma non tanto sotto il profilo sociale. Il cambiamento arriva agli inizi del 1500 (“vero inizio del
rinascimento”), si modifica il rapporto tra artista e società e tra artista e committente: l’artista si pone pari a
pari, non è più il committente che impone ma è l’artista che, grazie alla grandezza della sua mente, riesce a
imporre la sua posizione sociale rispetto al passato, così, agli inizi del ‘500 l’artista acquista una posizione
sociale di rilievo.
FRATTURA DELL’ARTE MODERNA: non cambia solo il linguaggio figurativo ma anche a livello sociale cambia il
rapporto. (anche l’organizzazione del lavoro cambia tra maestro e collaboratori).

LEON BATTISTA ALBERTI (Genova, 1404 – 1472)


Alberti era un figlio illegittimo e non aveva un ruolo privilegiato (scrisse il “Dialogo della Famiglia).
Studiò a Bologna e a Padova diritto e filosofia, ed ebbe anche una carriera ecclesiastica a Roma durante
l’incarico di Papa Eugenio IV.
La famiglia degli Alberti fu esiliata da Firenze fino agli anni ’70 del 300 ma il bando fu ritirato solo nel 1428.
Nel 1430 torna a Firenze. Quando torna, la città è completamente cambiata, rinnovata attraverso il
linguaggio rinascimentale. Rimane folgorato dal Duomo, la vecchia cattedrale medievale-gotica è un
capolavoro mai visto prima e per Alberti era prodigioso.
A Firenze, città ornatissima, scrisse il “De pictura” (o “Della pittura”), un trattato sulla pittura. Alcuni recenti
studi fu redatto dapprima in volgare (per i pittori che parlavano il volgare), nel 1435, dedicandolo a Filippo
Brunelleschi, e successivamente in latino, arricchendolo di nuove riflessioni, di correzioni di precedenti errori
e di chiarimenti.

CONCORSO DEL 1401, FIRENZE – BATTISTERO DI SAN GIOVANNI

A Firenze l’Arte di Calimala (o dei Mercanti) era una delle Arti


Maggiori di Firenze.
Per il concorso del 1401 abbiamo:
PORTA SUD DI ANDREA PISANO, con storie di San Giovanni
Battista;
PORTA NORD: qui nasce la competizione, il concorso
pubblico di tutta la Toscana al quale parteciparono molti artisti, tra
cui BRUNELLESCHI, GHIBERTI, JACOPO DELLA QUERCIA (intagliatore
senese). La competizione si risolse con il confronto tra FILIPPO
BRUNELLESCHI E LORENZO GHIBERTI (il concorso viene
generalmente indicato come punto di rottura verso la precedente
tradizione gotica, anticipando alcuni elementi che riguarderanno il
Rinascimento.
PORTA NORD
PORTA SUD

Le formelle della porta nord sono uguali a quelle di Andrea Pisano della porta sud:
quadrilobate, cornice mistilinea, gotica, bronzo orato e doveva rappresentare il:

SACRIFICIO DI ISACCO

FORMELLA GHIBERTI FORMELLA BRUNELLESCHI

Entrambe le formelle sono conservate al Museo del Bargello, Firenze.

LORENZO GHIBERTI (1378 – 1455) FILIPPO BRUNELLESCHI (1377 – 1446)

Artista sommo della cultura gotica e, quindi, in Modo di costruire schematico (tipico del 300).
sintonia con il Gotico Internazionale; Studio dell’antico a livello filologico e
Stile/linguaggio: sintassi armonica, eleganza, l’interesse per l’antichità romana (nel Ghiberti
raffinatezza, completezza tecnica (pezzo unico, è assente).
non pezzi fusi), perfezione formale. Nella formella c’è suddivisione dello spazio in
Nella formella c’è la fusione tra le figure, un 2 scene:
legame organico fra esse e non c’è troppa -nella prima scena c’è il sacrificio di Isacco
drammatizzazione. Abramo deve uccidere il figlio -nella seconda scena sono raffigurati i
Isacco: atto violento che però viene raffigurato in servitori, uno di loro si toglie la spina dal piede
modo raffinato, elegante (come se stesse = spinario (palazzo dei conservatori, Roma)
ballando). C’è più patos rispetto alla formella di Ghiberti,
Il Ghiberti fu scelto perché rappresentava meglio il quindi più drammaticità. Abramo sembra
contesto figurativo del tempo (la porta fu finita nel staccare la testa con troppa violenza al figlio.
1420).
BRUNELLESCHI (1377 – 1446)

ALTARE DI SAN JACOPO, DUOMO DI PISTOIA, 1287 – 1456

Essa rappresentava i Dodici apostoli e probabilmente anche


la figura della Madonna col Bambino.

-umanità affilata
-volti arcigni (arcigno: accigliato, ostile nell'espressione e
nell'atteggiamento del volto)

SCULTURA DI SAN PIETRO, CHIESA DI ORSANMICHELE A FIRENZE,


1412 CIRCA

La statua di San Pietro, attribuita a Filippo Brunelleschi e con il


contributo tramandato dalle fonti di Donatello, fa parte del ciclo
delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze nelle
nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele. È in marmo apuano e
si trova al Museo di Orsanmichele, mentre all’esterno è sostituita
da una copia.
San Pietro, uno degli apostoli e protettore dell’Arte dei Beccai
(macellai), è una rappresentazione forte. La statua è chiusa in una
nicchia decorata con intarsi in marmo in modo prospettico con
figure geometriche messe in scorcio. Il viso di San Pietro è
raffigurato con le rughe con un’espressione severa, corrucciata.
CROCIFISSO DI SANTA MARIA NOVELLA, 1410 – 1415 CIRCA

Il Crocifisso di Brunelleschi è una scultura lignea conservata nella cappella Gondi di Santa
Maria Novella a Firenze.
Secondo una tradizione aneddotica-romanzata, Brunelleschi avrebbe scolpito il crocifisso
per dare l’esempio a Donatello come si scolpisce un crocifisso nel legno.
Questi due artisti si trovano nel medesimo momento a Firenze a intagliare nel legno 2
crocifissi completamente diversi. Già nel 500 (Vasari) la critica aveva visto questa profonda
differenza tra i due artisti.

BRUNELLESCHI DONATELLO
CROCIFISSO IN SANTA CROCE
-Mette in croce un uomo con
un’armonia e una ricerca di forme -Tratti rozzi, realismo avventato
eleganti, quasi idealizzate. e crudo.
-Tutto molto razionale, molto mentale e -Testa molto grande e
quindi non cede mai al realismo crudo, allungata, un po'
linguaggio di grande armonia formale e sproporzionata ed è rinsaccata
di grande misura (razionalità). Anatomia nel busto perché è come se
perfetta nelle sue forme, ma manca ormai la testa cadesse con la
quella nota dolente di pathos, che morte, abbassata sul busto:
cogliamo nell’opera di Donatello, il quale naturalismo accentuato. Non
sperimenta le forme più drammatiche e c’è nulla di idealizzato.
più naturalistiche nella sua scultura
sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo
ed elaborato.
-È un crocifisso nuovo: idea della nudità
all’antica, è uguale al CROCIFISSO DI
MICHELANGELO (per la chiesa di Santo
Spirito 1492)
DONATELLO (1386 – 1466)

Donatello è comprimario di questo innovamento rinascimentale a Firenze.


Formato nella bottega del Ghiberti, nel cantiere della Porta Nord del primo decennio del
400. Donatello è un giovane che collabora con questo nuovo astro del firmamento artistico
fiorentino.

CROCIFISSO IN SANTA
CROCE

CROCIFISSO DELLA
FORMELLA DEL GHIBERTI

Nel 1408 – 1409 segue il Ghiberti.


Linguaggio del Ghiberti, ma ci sono delle differenze, perché in quello di Donatello c’è un
realismo e un modo avventato di guardare la natura che nel Ghiberti è del tutto assente
perché prevale la grazia, la gentilezza, l’eleganza, la raffinatezza tardo-gotica. In Donatello
tutto questo viene rotto dall’interno e forzato in senso espressivo, patetico e realistico.

DAVID IN BRONZO, 1409

È una scultura in bronzo ed è stata realizzata per lo sperone del


Duomo di Firenze e oggi si trova al Museo Nazionale del Bargello.
-profeta dell’antico testamento
Donatello realizza il David seguendo le tendenze del Ghiberti, con
la posizione gotica, ancheggiamento leggero che è erede
dell’anchement di tradizione gotico-francese. Figura leggermente
posizionata ad arco e, come sempre in Donatello, tutto è forzato
per esprimere qualcosa di meno differenze. In questo caso per
esprimere la mimica di sfida con la mano sul fianco, l’espressione
severa del giovane e sotto il profilo espressivo Donatello riesce a
forzare la gabbia della tradizione gotica.
Qualcosa di analogo lo fa anche Nanni di Banco con Isaia:
ancheggiamento, panneggi levigati di Donatello. (pag. successiva Nanni di Banco)
NANNI DI BANCO (1380/1390 – 1421)

STATUA IN MARMO DI ISAIA - 1407

A Nanni di Banco venne affidata la statua di Isaia, profeta


dell’antico testamento (la statua di destra), oggi al Museo
dell’Opera del Duomo.

BERNARDINO POCCETTI – AFFRESCO DELLA FACCIATA DI SANTA


MARIA NOVELLA, FINE DEL ‘500

Bernardino Poccetti realizza l’affresco della facciata di Santa


Maria Novella con della statua ai lati, ma la statua Giosuè che
più tardi Donatello avrebbe realizzato in terracotta per essere
collocata lì e poi distrutta.

DAVID DI MICHELANGELO

I primi esempi visivi dell’400.


Donatello e Nanni di Banco, poi, partecipano entrambi a una medesima commissione
affidata dall’arte della Lana, quindi per il Duomo di Firenze. Una commissione che
riguardava la facciata e in particolare 4 statue di evangelisti da collocare dentro a delle
nicchie, nella parte arnolfiana del Duomo.

SAN LUCA DI NANNI DI BANCO, 1413 SAN GIOVANNI EVANGELISTA -DONATELLO

Forse è ancora più moderna rispetto a Risponde ai medesimi criteri, sembra un


quella di Donatello. C’è un richiamo filosofo antico con questa grande barba a
all’antico (maestro: Brunelleschi). La ventaglio che si apre sul petto e che
figura di San Luca è immaginata come scende giù quasi a serpentelli (ricorda
se fosse uno filosofo antico, non ha Mosè di Michelangelo). Espressione molto
nulla del santo del cristianesimo. È una severa, corrucciata con un grande cespo di
figura imponente, solida, massiccia capelli ricci lavorati a trapano. Capigliatura
con la testa che guarda dall’alto verso densa che il Ghiberti mai si sarebbe
il basso, atteggiamento di sfida, di sognato e poi le pieghe del panneggio sono
superiorità. La testa sembra ripresa da molto ondulate secondo i ritmi gotici. C’è
qualche ritratto dell’età degli Antonini uno scavo, il marmo è stato lavorato con lo
(Marco Aurelio – personaggi effigiati). scalpello in profondità per creare degli
Gesto enfatico con la mano sul fianco effetti di contrasto chiaroscurale forte che
e un panneggio ondulato ancora di drammatizza tutta la figura. Non ci sono i
tradizione gotica ma ha anche una panneggi addossati al corpo come faceva il
solidalità e uno spessore davvero Ghiberti, sono invece molto rilevati.
notevole.
La statua di San Luca di Nanni e di San Giovanni di Donatello evangelista facevano parte,
insieme al San Matteo di Bernardo Ciuffagni e al San Marco di Niccolò Lamberti, di una serie
che decorava le quattro grandi nicchie a fianco del portale maggiore nella distrutta facciata
incompiuta di Santa Maria del Fiore. La statua di Nanni di Banco, in particolare, occupava la
seconda delle due nicchie a sinistra del portale.
Tutte e quattro le opere erano state scolpite tra il 1408 e il 1415 e dopo la distruzione della
facciata, nel XVI secolo, vennero collocate dentro il Duomo, dove rimasero fino al 1936,
quando vennero spostate nel museo.

SAN MATTEO – SAN LUCA – SAN GIOVANNI SAN MARCO –


BERNDARDO NANNI DI EVANGELISTA - NICCOLO’
CIUFFAGNI BANCO DONATELLO LAMBERTI

SAN MATTEO DI BERNARDO CIUFFAGNI (ALLIEVO DI GHIBERTI): figura rigida, meno libera
nello spazio rispetto alle altre due di Nanni e Donatello.
SAN MARCO DI LAMBERTI (SCULTORE GOTICO): figura fragile, panneggio ondulato,
arricciato come se avesse una vita autonoma rispetto all’anatomia sottostante.

C’è una concorrenza in questi anni a Firenze tra gli artisti e, a scultori come Lamberti, questa
concorrenza non lascerà spazio per la fama e saranno costretti a lasciare Firenze e a cercare
lavoro in area Veneta, dove ancora la tradizione gotica rappresenta il linguaggio comune.
Tra loro ci sarà anche Ghiberti quando intorno al 1420 dovrà fare i conti con la nuova arte
all’antica per mantenere quella grande fama in città.
SAN GIOVANNI BATTISTA, ORSANMICHELE 1412-1416

Quando Nanni di Banco e Donatello


realizzarono i due evangelisti,
Ghiberti tra il 1412-1416 realizza il
San Giovanni Battista per l’arte di
Calimala (o dei mercanti) per la
Chiesa di Orsanmichele, maggior
apice del tardo-gotico del Ghiberti.
Figura elegante, raffinata. Il
panneggio mosso da queste pieghe
ondulate. Raffigurato gracile senza
quell’imponenza che segnava i 2
evangelisti di Nanni e Donatello. L’orafo emerge anche nel
modo di rendere gli occhi che sono occhi bianchi con la
pupilla nera come una scultura ellenistica, sensibilità
epidermica molto cara alla tradizione tardo-gotica.

SAN GIORGIO – DONATELLO, ORSANMICHELE

La statua di San Giorgio di Donatello fa parte del ciclo delle


quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze per le nicchie
esterne della chiesa di Orsanmichele. Fu commissionata dall'Arte dei
Corazzai e Spadai (Corazzai erano i fabbri ferrai, quelli che lavoravano
le armi) e risale al 1415-1417. È in marmo apuano. Dal 1891 si trova
conservata nel Museo nazionale del Bargello ed è stata sostituita nella
nicchia da una copia in marmo. Realizzato per la nicchia gotica, ha un
atteggiamento eroico, il panneggio è levigato ma aderisce al corpo,
rende l’anatomia del braccio, rende la corazza modellata su questo
corpo all’antica e il volto ha un atteggiamento ardito di sfida eroica.
La parte più moderna è la predella con la storia che sconfigge il drago
e libera la principessa: storia cortese tipica del Gotico Internazionale
(Pisanello), ma lui la rende in modo completamente diverso perché
per la prima volta c’è una certa SPAZIALITA’ alle spalle delle figure. Donatello rende lo spazio
misurabile, scientifico, geometrico (come Brunelleschi), crea una prospettiva scientifica che
ci dà il senso di uno spazio razionale e non empirico, com’era nella tradizione gotica. Le
figure sono disposte in uno spazio abitabile e misurato. Questo è possibile grazie a una
quadrettatura architettonica disponendo su un lato un’architettura modulare, cioè con degli
archi a tutto sesto che si dispongono nello spazio, in prospettiva e nello spazio interno.
Sotto gli archi, Donatello, immagina una quadrettatura del pavimento che ci permette di
misurare matematicamente lo spazio. È grazie a questi accorgimenti geometrici che il
pittore o lo scultore piò rendere in modo chiaro e tangibile la tridimensionalità razionale e
misurabile dello spazio stesso. Alle spalle di tutto questo c’è la ricerca del Brunelleschi e
l’invenzione delle 2 vedute di piazze fiorentine: la piazza S. Giorgio e la piazza della Signoria
che Brunelleschi aveva tracciato su 2 lastre di rame per rendere scientificamente quello
spazio architettonico, per rendere in termini matematici le proporzioni, la prospettiva e la
collocazione spaziale tra un edificio e un altro. Donatello trasferisce tutto questo nel rilievo
della predella di San Giorgio.

I 4 SANTI CORONATI – NANNI DI BANCO, ORSANMICHELE

Il gruppo dei Quattro Santi Coronati di Nanni di Banco fa


parte del ciclo delle quattordici statue dei protettori delle
Arti di Firenze nelle nicchie esterne della chiesa di
Orsanmichele. Fu commissionato dall'Arte dei Maestri di
Pietra e Legname e risale al 1409 circa-1416/17. È in marmo
apuano ed è composto da quattro figure. Oggi si trova
conservato all'interno del Museo di Orsanmichele, mentre
all'esterno è sostituito da una copia.
Nella stessa città (Firenze) si parlano lingue diverse, avviene
questa riscoperta dell’antico che sta emergendo sempre di
più, studio compiuto in maniera filologica.
Ritornando ai 4 Santi, appunto si trovavano nella nicchia dell’arte di Pietra e Legname con
un rilievo che raffigura e attività della scultura, della bottega, scena di vita quotidiana. Erano
dei martiri al tempo di Diocleziano, vennero rappresentati perché
anche loro, secondo la tradizione geografica erano scultori, ma
vengono raffigurati come se fossero dei filosofi antichi che
inscenano una conversazione tra loro in modo amichevole (dialogo
del “De Amicitia” di Cicerone: valore dell’amicizia antica viene
esaltato da questo gruppo
scultoreo così di gusto antiquario),
ritrattistica di età imperiale con i
riccioli che ricadono sulle tempie.
È come se si volesse riportare gli
ideali della Roma antica nella
Firenze moderna. La rappresentazione fiorentina era un
po' come l’antica rappresentazione romana che si doveva
ispirare ai medesimi ideali. Per la Libertas contro la
Tirannia (signoria dei Visconti), è un periodo “eroico”
quello del primo rinascimento fiorentino, filologico ma
anche in senso umanistico c’è un legame fortissimo tra
artisti, antiquari e letterati.
RICHIAMO TUTTO UMANISTICO (UMANESIMO)

Con l’arrivo dei signori, il concetto di Libertas, tutto cambia.


L’umanesimo veniva studiato ma non più coltivato come vocazione di ideali.

PERIODIZZAZIONI

-primi anni del 1400: Firenze di Cosimo de Medici


-fine del 1400: Firenze di Lorenzo de Medici

GHIBERTI: San Giorgio per l’arte di Calimala


NANNI: i 4 Santi incoronati
DONATELLO: San Giorgio per l’arte dei Corazzai

SPEDALE DEGLI INNOCENTI

Lo Spedale degli Innocenti (dove si


accoglievano gli orfani abbandonati)
è un edificio storico del centro di
Firenze, che si trova in piazza
Santissima Annunziata. fu costruito
a partire dal 1419 su progetto di Filippo Brunelleschi, facendone
una delle prime architetture rinascimentali in assoluto e si tratta
sempre di un luogo pubblico di Firenze, come il duomo.
Brunelleschi applica qui per la prima volta un tipo di architettura
a moduli (modulare), un progetto che è quello di costruire una
facciata a 2 livelli: una parte inferiore con archi e spazio vuoto e
una superiore con lo spazio pieno segnata ritmicamente con le
finestre architravate e timpani. Qui lui adotta l’architettura degli
antichi romani. Architettura modulare perché è la ripartizione di
uno schema, ovvero la campata. Le campate dall’epoca romana
divise da pilastri, quadrate e
ognuna chiusa lateralmente da una colonna e da un muro
retrostante coperto da una volta con busto antiquario.
L’architettura bicroma con il grigio e il bianco, usata molto
da Brunelleschi all’interno delle chiese e che diventerà
tipico del rinascimento.
BASILICA DI SAN LORENZO

La basilica di San Lorenzo è uno dei principali luoghi di culto


cattolici di Firenze, situata nell'omonima piazza nel centro
storico della città.
Filippo Brunelleschi lavora solo nel 1428. Dopo la morte di
Giovanni de Medici, Cosimo de Medici, il fratello, prende la
commissione dell’edifico. Così la chiesa sarebbe diventata
insieme alla cappella commissionata da Cosimo la chiesa di
riferimento dei Medici, perché accanto al Palazzo Medici.
Brunelleschi utilizza il medesimo schema modulare applicato al
loggiato degli innocenti. Navate divise con una grande navata
centrale e due piccole ai lati. Uno schema architettonico che
riprende quello degli antichi romani e l’inserimento di un motivo
che aveva utilizzato nello Spedale degli innocenti: il dado
Brunelleschiano (o pulvino) cioè un’innovazione di Brunelleschi che permette di slanciare la
colonna verso l'alto senza doverne aumentare il diametro. È una trabeazione classica
(quindi cornice, fregio, architrave, dall'altro verso il basso) poggiata sul capitello della
colonna e stava in mezzo tra l’imposto dell’architetta. Lo spazio all’interno di San Lorenzo è
uno spazio razionale, programmato su disegno da architetto. Una cosa tipica del 400 è che
le costruzioni si basano su un progetto, al contrario del medioevo. C’è una mente
progettuale dell’architetto e anche il cantiere è gestito sempre da Brunelleschi. Si tratta
quindi di un progetto razionale, personale, unitario. C’è uno spazio misurato segnato dalle
colonne che si inoltrano nello spazio come avveniva nelle piazze fiorentine di cui parlava
Mannetti.

Questo spazio misurato, progettato viene


applicato anche dagli scultori e architetti più
vicini a Brunelleschi a partire da Donatello.
Donatello lavora alla nicchia del partito dei
Guelfi inserendo la statua di Ludovico di
Tolosa. La nicchia vuota fu poi riempita in
seguito.
Come Brunelleschi nella facciata degli
innocenti, a serrare la nicchia sono due grandi
lesene scanalate e un architrave con festoni
decorati sempre all’antica. Tondo con 3 teste
per il richiamo della trinità. Sotto colonne con capitello ionico con decorazione a spirale e un
gradino immaginato come la fronte di un sarcofago antico, romano con due puttini che
tengono un’iscrizione.
Donatello, dopo aver frequentato Brunelleschi, ritorna a Firenze e realizza questa nicchia
confrontata nella foto di 10 anni prima.
FONTE BATTESIMALE DEL BATTISTERO DI SIENA
La fonte battesimale del battistero di Siena è un'opera
scultorea di vari artisti, realizzata tra il 1417 e il 1430. Vi
lavorarono, tra gli altri, Jacopo della Quercia, Donatello,
Lorenzo Ghiberti e Giovanni di Turino, in un insieme
scultoreo di grande pregio, tappa fondamentale nel
passaggio dalla scultura gotica a quella rinascimentale.
Il cantiere della Pieve di San Giovanni (il battistero) era un
progetto di Jacopo della Quercia e lo stesso artista realizza
la fonte battesimale in marmo con una grande vasca
poligonale e una sorta di pilastro che dal centro della vasca
si allarga al centro e si ristringe in alto con una statua di
Giovanni Battista. La fonte viene ornata nella vasca
poligonale in basso con formelle bronzee realizzate dagli
artisti più famosi come Donatello ma anche artisti minori. Donatello realizza le storie di San
Giovanni, tra cui il banchetto di Erode, ovvero la scena più
drammatica del battista perché è quella che porta poi al
martirio di San Giovanni. Donatello immagina questa
composizione in bronzo con una prospettiva straordinaria e
sofisticata. Immagina la scena su 3 diversi piani. Quello più
vicino all’occhio dell’osservatore il banchetto di Erode
stesso con la sala del banchetto dove avviene la cena, dove
Salomé presenta su un piatto la testa del battista dove
Erode è ritratto inorridito da questa testa. Gli altri si
ritraggono su un lato del tavolo con l’espressione sul volto
di una visione orrenda. Grande pathos da parte di
Donatello. Dietro uno spazio abitato da spettatori, quello che accompagnavano il banchetto.
Un’altra arcata dove aldilà c’è l’ambiente del carcere dove avviene la decollazione stessa del
battista. Prospettiva suggestiva che Donatello ci offre, il banchetto di Erode è l’esempio
grande dello stile di Donatello. Le figure si dispongono attraverso le formelle quadrate del
pavimento ed è attraverso la geometria di quelle forme che noi possiamo calcolare quanto
lo spazio va in profondità. Ogni elemento in Donatello è messo in prospettiva. Perfino il
muro in mattoni presenta una scalfittura che ci permette di capire la prospettiva. Qui
comincia un momento di conflitto tra Donatello e Brunelleschi per dei punti di vita diversi
per quanto riguarda la prospettiva e lo spazio compositivo, finché entrambi non si
troveranno a lavorare in San Lorenzo.

Ghiberti con composizione unitaria, formella quadrata e non


più quadrilobata, pur partendo da una cultura tardogotica usa
le novità del rinascimento e il motivo è che sennò sarebbe stato
tagliato fuori dalle commissioni fiorentine e Toscane. Lui
immagina una composizione, un’atmosfera usando grande
dolcezza con le figure quasi danzanti.
La formella di Jacopo, siamo intorno al 1430, e Jacopo fa i
conti con le novità di Donatello. L’ incontro di Zaccaria al
tempio è inserito in un contesto architettonico dove Jacopo
riveste i muri dell’interno richiamando, appunto, la
composizione di Donatello. Jacopo vuole suggerire una
spazialità intorno alle figure ma non è quello che gli
interessa: a lui interessa la plasticità.

MASACCIO (1401 – 1428)

ANNI: 20 del 400


Sono gli anni della diffusione da Siena di queste opere di cultura Fiorentina rinascimentale,
anni in cui si diffondono le novità e tra i pittori, il primo che intese queste novità è
MASACCIO. La sua attività ha una durata breve in quanto muore a soli 28 anni di peste a
Roma. Era nato a San Giovanni Valdarno per poi arrivare a Firenze per la sua formazione. Gli
anni che conosciamo dell’attività di Masaccio sono solo 4: dal 1424 al 1428, e i suoi maestri
sono un mistero. Vasari, nella biografia sulla vita di Masaccio, è colui che coglie meglio, dal
punto di vista critico, e ci spiega quella che era la formazione di Masaccio. Vasari ci fa capire
quali sono i maestri veri di Masaccio, lui essenzialmente era autodidatta; quindi, nasce già
formato perché non avrà avuto un apprendistato, i suoi veri maestri furono gli architetti e
scultori del tempo.
Le prime opere di Masaccio sono già così profondamente moderne che non possiamo
pensare a lui come un tardo gotico che si avvicina al rinascimento.

SANT’ANNA METTERZA, 1424 – 1425


Le prime opere risalgono per noi al 1424. La prima opera
significativa di questo nuovo linguaggio è Sant’Anna Metterza
realizzata in collaborazione con Masolino (noi Masaccio lo
conosciamo solo in collaborazione con Masolino) e conservata agli
Uffizi e creata per la chiesa di Sant’Ambrogio (Firenze). Quindi,
l’opera fu affidata a loro due dove nessuno era maestro e allievo,
ma due pittori autonomi con formazioni diverse ed entrarono a
lavorare come compagnie, cioè società economiche che avevano
come modello le società mercantili contemporanee. Gli artisti
mettevano in comune i mezzi, le forze e lavoravano insieme
venendo incontro alle esigenze del mercato
L’iconografia è tradizionale, medievale dove la Vergine ai trova in
trono con il bambino in braccio. La metterza era una tipologia iconografica dove veniva
raffigurata la Madonna col Bambino e sant'Anna "messa a fare da terza" o "medesima
terza", cioè dove si evidenziava il rango della santa come terza in ordine di importanza. Si
tratta di uno dei modi tradizionali di raffigurare sant'Anna.
Masaccio realizza la parte c’entrale: la Madonna col bambino. I due artisti lavorano in
maniera completamente diversa, con due linguaggi diversi. Masolino è un pittore ancora
vicino al gotico che segue i modi del gotico Internazionale (che può richiamare il viaggio di
Ghiberti) e lo troviamo negli angioletti dietro al trono che tengono un drappo damascato. La
figura di Sant’Anna è schiacciata dietro alle spalle di Maria.
Possiamo vedere come la Plasticità di Masaccio si contrasta con la delicatezza di Masolino. Il
bambino è modellato di ombre con il contrasto, appunto, di luci e ombre che mette a risalto
l’anatomia, perfino la testa sferica con gli occhi quasi divergenti messi ai lati. Ogni elemento
in uno scorcio prospettico straordinario.

I due pittori cominciano a lavorare poi alla Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine,
siamo nel 1424.

SAGRA DEL CARMINE


La Sagra è un perduto affresco di Masaccio, già posto su
una lunetta sopra una porta del chiostro della chiesa del
Carmine di Firenze. Eseguito poco prima o in
contemporanea con gli affreschi della Cappella Brancacci
era databile al 1425-1426 o, secondo altri studiosi, al 1427
e venne distrutto nei rifacimenti del chiostro, nel 1600 o
1612.
“Sagra” del Carmine (processione della consacrazione
della chiesa del Carmine di Firenze), perduta ma descritta da Vasari, secondo il quale
Masaccio aveva “saputo mettere tanto bene sul piano di quella piazza a cinque e sei per fila,
l’ordinanza di quelle genti che vanno diminuendo con proporzione e giudizio secondo la
veduta dell’occhio, che è proprio una meraviglia, come se fossero vivi, la discrezione che gli
ebbe in far quegli uomini non tutti d’una misura”. Era, secondo la testimonianza del Vasari,
la scena folta di ritratti dei cittadini e artisti più in
Ricostruzione di come doveva essere vista di Firenze: «E vi ritrasse infinito numero di
cittadini in mantello et in cappuccio, che vanno
dietro a la processione; fra i quali fece Filippo di Ser
Brunellesco in zoccoli, Donatello, Masolino da
Panicale [...], Antonio Brancacci, che gli fece far la
cappella, Niccolò da Uzzano, Giovanni di Bicci de'
Medici, Bartolomeo Valori il vecchio [...]. Ritrassevi
similmente Lorenzo Ridolfi, che in que' tempi era
ambasciadore per la Repubblica fiorentina a Vinezia». Nella narrazione dell'evento cittadino
l'inserimento degli artisti, tra gli uomini più in vista della città, è sintomo della diversa
visione che l'Umanesimo aveva apportato al ruolo dell'artista, non più semplice artigiano,
ma intellettuale partecipe della vita culturale cittadina e rispettoso dei riti della Chiesa.
Sempre secondo la testimonianza del Vasari l'opera doveva integrare una serie di ritratti
«dal vero», in una scenografia di saldo impianto prospettico. Pare quindi che l'opera
sviluppasse ulteriormente gli esperimenti prospettici della Cappella Brancacci e che fosse
nientemeno che il punto di partenza della ritrattistica rinascimentale italiana. La lodata
bravura dell'artista nel rendere il movimento delle numerose figure,
disposte su più file, ha portato ad associare questa composizione allo
stile del Desco da parto, databile al 1426.
Abbiamo anche disegni di Michelangelo dove egli riprende dalla sagra i
panneggi, le chiavi di un frate.

Michelangelo

CAPPELLA BRANCACCI
La appella Brancacci, situata
all'interno della chiesa di Santa
Maria del Carmine di Firenze
rappresenta uno degli esempi
più elevati di pittura del
Rinascimento (1424-1428). Essa
è frutto della collaborazione di
due dei più grandi artisti
dell'epoca, Masaccio e Masolino
da Panicale, ai quali deve
aggiungersi la mano di Filippino Lippi, chiamato a
completare l'opera circa cinquant'anni dopo.
La commissione è da parte di Filippo Brancacci (oppositore
dei Medici che lo porto all’esilio). La cappella rappresenta
2 storie della genesi e delle storie di San Pietro tratte dagli
atti degli apostoli, testo evangelico.
La cappella Brancacci ha subito dei danni nel tempo, si
pensò addirittura di distruggerla nel 600 ma grazie ad una
duchessa si bloccò questa demolizione. Le pareti rimangono abbastanza intatte ma le parti
esterno sono andate distrutte, come la volta della cappella dove c’è un affresco di tardo
600. La volta era decorata con lunette da parte dei due artisti (per lavorare ad un cantiere si
partiva dall’alto e andando verso il basso).
Nell’arco di accesso della cappella abbiamo 2 storie della
genesi (Vecchio Testamento). Vediamo due mondi che si
confrontano, quello di Masaccio e Masolino. I due si erano
divisi i lavori, infatti si vedono le grandi differenze.
MASOLINO: “Peccato originale”, le due figure di Masolino
così delicate, con anatomia morbida e una leggerezza che
tiene le due figure quasi sospese. Eva tiene la mela in
mano in maniera delicatissima.
MASACCIO: “Cacciata dal Paradiso Terrestre”, i due dopo il
peccato originale vengono cacciati dall’angelo dal
Paradiso. Qui abbiamo una dimensione fisica, drammatica,
patetica. Escono da questa porta del paradiso come se
MASACCIO MASOLINO
fosse una porta della città e sono raffigurati dolenti, affranti come, ad esempio, il viso di Eva
con le cavità oculari che sono come delle ferite. I due corpi, a differenza di Masolino,
presentano un realismo, una tridimensionalità come se fossero esaminati dal vero come i
loro gesti, la mimica, gli arti. Eva si rende subito conto, dopo il peccato originale, che è nuda
e sentendo vergogna si copre. Adamo invece è in preda alla disperazione anche lui, cassa
toracica, visto chiaroscurato per dare rilievo. I due proiettano la loro ombra sul terreno che
calpestano. A differenza di Masolino (con i piedi elevati, sospesi quasi dell’aria ) qui le figure
abitano in uno spazio.

Confronto di Masaccio con la scultura di Donatello, dove


abbiamo la fisionomia di un uomo segnato dal tempo,
espressivo.

CICLO DELLE STOIRE DELLA CAPPELLA


BRANCACCI
“Pagamento del tributo” (Masaccio).
L'opera, databile al 1425 circa, ritrae una scena
delle storie di san Pietro in cui Gesù lo invita a
pagare il tributo chiesto da un gabelliere per
entrare nella città di Cafarnao. Pietro, quindi,
deve raccogliere dalla bocca di un pesce la
moneta che verrà versata. Si tratta della scena
universalmente riconosciuta come una delle più
alte espressioni dell'arte masaccesca e del primo Rinascimento in generale. Cristo indica a
San Pietro di andare a raccogliere la moneta. E a distanza, in profondità dello spazio, la
figura più piccola di San Pietro faticosamente (anziano) a terra per raccogliere la moneta dal
pesce (posizione goffa). Poi, la moneta viene versata al gabelliere in una scena successiva.
Abbiamo una grande prospettiva con personaggi in primo, dove i tratti degli apostoli sono
veri, grande espressività severa. Sono vestiti con abiti all’antica con grandi mantelli segnati
da pieghe profonde e il gabelliere con la veste corta legata in vita con le pieghe dell’abito
che creano il chiaro scuro con cui Masaccio ottiene la volumetria.
Dietro abbiamo la catena delle montagne aspre, paesaggio austero e asciutto quasi privo di
vegetazione e il lago che crea una specie di golfo all’interno della chiostra delle montagne,
straordinaria profondità. Alcune di queste teste degli apostoli sembrano riprese da Nanni
che Masaccio traduce in pittura. Quindi, l’opera più famosa della cappella Brancacci è “il
versamento del tributo”. Ogni figura ha una tale volumetria, spessore, gravità per cui
vengono a creare una specie di siepe umana intorno alla figura di Cristo, è una sorta di
cerchio che costruisce uno spazio e crea un’architettura umana. Il paesaggio è aspro, con
montagnole grigie con alberi spogli accanto al fiume e suggerisce uno spazio reale. Le
colline sono disseminate di poderi, case di contadini.
Qui abbiamo un altro versamento del tributo con uno spazio
architettonico dove san Pietro versa il denaro. C’è un richiamo di
san Giovanni Evangelista della cappella Peruzzi di Giotto, come se
le figure di Giotto fossero rimaste impresse nella mente di
Masaccio (come la gestualità, la mimica, il pathos)

Tra gli altri affreschi della cappella Brancacci di Masaccio


abbiamo uno dei miracoli di san Pietro che cura i malati. Si
svolge in una strada di una Firenze contemporanea con un
palazzo rustico, ombre portate sotto i ballatoi sostenuti da delle
mensole e sotto il campanile di una chiesa ornata all’antica, C’è
una ricostruzione ambientale e topografica concreta e realistica
(a differenza della pittura Gotica) questa è una novità del
periodo. San Pietro ha il volto aspro, segnato da ombre che crea
volumetria e si muove senza espressione austera, severa, ma si
muove con toni ed espressioni molto incisivi. Intorno i corpi
malati resi in termini di un crudo realismo che può ricordare il
volto di uno dei malati: lo zuccone di Donatello. Realismo crudo
che sembra evocare le epoche successive.

Qui abbiamo l’affresco


realizzato da Masolino.
Rappresenta san Pietro che
risana lo storpio (a sinistra) e
la resurrezione di Tabita (a
destra). Tutto i svolgono
nello stesso ambiente, quindi
più storie in un’unica
composizione. San Pietro
compare due volte nello
stesso spazio di una piazza
Fiorentina. Anche Masolino adotta per imitazione di Masaccio architetture con colonne,
loggiato, però si tratta di un teatrino fragile, strutture architetture che sembrano quasi dei
giochi da ragazzi. È un effetto più scenografico che ricerca dello spazio.
Le due figure al centro che si muovono con gesti eleganti, ben diverse dalle figure di
Masaccio. Sul fondo una Firenze immaginaria, una città antica dove sembra ci sia stato
l’intervento di Masaccio, però il primo piano è tutto di Masolino, un Masolino che è
condizionato dalla presenza del compagno di viaggio. Lui lavora e cerca di adeguarsi al
chiaroscuro dei panneggi, dei mantelli per rendere l’effetto plastico.
Altri 2 affreschi di Masaccio.
A sinistra viene rappresentata la figura di
San Pietro, che ricorda Giotto, e davanti
all’apostolo ci sono questi nudi che stanno
per essere battezzati da San Pietro.
L’anatomia delle figure è di un realismo
impressionante. Anche l’atteggiamento del
nudo è impressionante, è il cosiddetto
nudo che trema. Sul fondo, aldilà della
schiera, abbiamo una serie di colline
dovute probabilmente da Masolini poco
realistici (è come una lezione poco imparata come Masolino che riprende Masaccio).
A destra, invece, abbiamo la resurrezione del figlio di Teofilo, è uno degli affreschi che sta
nel registro inferiore, l’ultimo ad essere realizzato ed interrotto; quindi, non finito perché
Masolino abbandona il cantiere e parte per l’Ungheria. Rimane solo Masaccio ma nel 1427
anche lui abbandona il cantiere e gli affreschi verranno conclusi da Filippino Lippi intorno al
1480. La maggior parte sono realizzate da Masaccio le parti dell’affresco con le figure alle
spalle sono di Filippino Lippi. Di Masaccio è il san Pietro che sembra una statua da quanto è
monumentale con le pieghe del panneggio così dense, fitte così anche le figure sottostanti.
Di Masaccio è anche tutta l’impaginazione. Sembra quasi un cortile chiuso, decorato e
inerisce sulla mensola del muro dei grandi vasi di terracotta con piante e dietro si
intravedono le punte degli alberi. Questo serve a dare prospettiva alla scena.

POLITTICO DI PISA
Nel 1427 si conclude il lavoro alla cappella
Brancacci e nello stesso periodo Masaccio
lavora a Pisa, dove gli viene commissionato
un grande polittico per la chiesa del
Carmine. Noi vediamo solo due pannelli
del polittico. Qui c’è solo Masaccio, non c’è
l’intervento di Masolino e di nessuno.
A sinistra abbiamo la parte centrale del
polittico, la Vergine su un trono di pietra,
monumentale dalle colonne all’antica
collocate su due registri con alla basa un
gradino, come nei sarcofaghi romani. I piccoli rosoni sul prospetto del trono ricordano quelli
che Brunelleschi inseriva nelle sue architetture. Quindi non solo è un’architettura che
riflette un vocabolario moderno ma è anche in forma tridimensionale, in prospettiva. Al
centro la Madonna, figura femminile che riempie il vano del trono, con il bambino in braccio
il quale, golosamente, mangia un grappolo d’uva. Si tratta di un evento della quotidianità
interito nella sacralità. È la grande rivoluzione di Masaccio che coglie ogni dettaglio della
vita, come il panneggio chiaroscurato che crea volume. Gli angeli sono disposti intorno al
trono e anche questo crea prospettiva. Il fondo oro ritorna, elemento simbolico della
tradizione medievale (bizantino) e sono stati i pisani a chiedere proprio che fosse fatto il
fondo oro. Sul fondo oro piatto Masaccio crea l’opera con grandi volumetrie, prospettive.
A destra: Masaccio ritrae i personaggi importanti della crocifissione. Cristo qui, morto, i
tendini e tutto il corpo ceduto, la testa cade quasi sulle costole del corpo di Cristo. Il corpo è
segnato da ombre intense, da una parte con la luce proveniente da sinistra per rendere più
volumetrico il corpo. Sotto i 3 dolenti: la vergine segnata nel volto, chiusa all’interno del
mantello corposo con pieghe ombreggiate e in basso la Maddalena sotto la croce con
capigliatura dorata, con il mantello arancio. Il gesto è drammatico: con le braccia all’indietro
e il corpo in avanti. Sulla destra il San Giovanni affranto e sembra quasi comprimere nella
stretta delle mani il dolore, quindi un dolore contenuto.

Nel polittico di Pisa c’erano anche le


predelle: l’adorazione dei Magi, la
crocifissione di San Pietro e martirio di
san Paolo.
L’adorazione dei Magi: ci sono molte
figure disposte in modo concreto. Gli
animali messi di taglio dentro la
capanna così da creare più
prospettiva, la vergine seduta su un
faldistorio e a destra tutti i personaggi
del corteggio dei Magi, con una serie
di colline quindi spazio quasi limitato.
I cavalieri dei magi messi in posizioni
diverse.
Martirio di san Pietro: troviamo le stesse caratteristiche. Le figure che colpiscono di più sono
le figure dei due carnefici che martellano le membra di san Pietro in modo indifferente.
Masaccio rende bene l’indifferenza e lo stesso avviene nel martirio di san Paolo.

TRINITA’
Tra il 1426-1428, Masaccio realizza anche gli affreschi della Basilica di
Santa Maria Novella a Firenze.
La trinità è un affresco per cui diversi critici pensavano che Masaccio
avesse ripreso Brunelleschi per quanto l’architettura è impressionante,
come se fosse illusionistica, inganna l’occhio, solo un architetto poteva
suggerire a Masaccio, ma in realtà nessuno l’ha fatto. Masaccio ha
creato tutto senza l’aiuto di nessuno. Masaccio immagina un altare
vero nello spazio della navata con la mensa, le colonne e sotto un
sarcofago con uno scheletro e un memento mori “io sono quello che
tu sarai”. Sopra la mensa dell’altare si apre una nicchia architettonica
profonda con una copertura all’antica disposta in prospettiva e
all’interno della figura architettonica inserisce la trinità. Grande
realismo. Resa chiaroscurale del corpo di cristo. Ai lati della
crocifissione abbiamo i 2 dolenti e sotto in posizione gerarchica i due
committenti fiorentini marito e moglie visti di profilo.
SANTI GIROLAMO E GIOVANNI BATTISTA

Masaccio viene convocato anche a Roma, tra il 1423 e il 1428, nella


basilica di santa Maria maggiore. Sull’altare doveva essere realizzato un
politico a doppia faccia. Masaccio realizza solo una piccola parte, ovvero il
pannello che raffigura san Girolamo e san Giovanni Battista. Oggi si trova
al National Museum a Londra.
San Girolamo, cardinale, tiene in mano la chiesa e un libro aperto con le
pagine viste di scorcio. Fondo oro, ma i santi calcano un terreno realistico
con erba e fiori e i piedi suggeriscono il peso del corpo che grava su di
loro.

Per concludere viene chiamato Masolino e a lui dobbiamo il pannello centrale con la
madonna assunta e i santi ai lati, il miracolo della madonna con la neve ad agosto ecc.

MADONNA DEL SOLLETICO

Nello stesso periodo Masaccio realizza Madonna del solletico,


una piccola tavola dove la vergine fa il solletico sotto il mento
del bambino, fu realizzata per la cappella di sant’Antonio a
Siena, nella cripta delle statue.

Nel 1428, dopo il polittico di Roma Masaccio, abbandona Firenze e poco dopo morirà di
peste. I pochi averi che aveva non si sapeva a chi darli, non c’era un erede. Si tratta di
un’eredità che viene assorbita lentamente dai pittori del suo tempo in quanto era una
pittura nuova.
AFFRESCHI BASILICA SANTA CATERINA
Masolino realizza gli affreschi della basilica di Santa
Caterina (oggi nella basilica di San Clemente a
Roma). Tra gli affreschi abbiamo il martirio di Santa
Canterina dove Masolino mastica ancora il
linguaggio della cappella Brancacci di Masaccio. Il
suo rapporto con Masaccio è molto intenso, come
le figure chiaroscurali. L’architettura, al contrario, è
più una specie di scenografia, è garbata, elastica,
delicata.

JACOPO DELLA QUERCIA (1374 – 1430, SIENA)

In Toscana opera una personalità che riflette meglio la situazione ibrida tra gotico e
rinascimento: Jacopo della Quercia. Scultore di origine senese nato nel 1374, la sua
formazione avvenne in clima gotico però non è chiaro dove si sia formato se a Siena, Lucca o
a Bologna dove abbiamo alcune opere sue.

BASILICA DI SAN PETRONIO


Qui abbiamo un grande cantiere.
Questo cantiere è cosmopolita con
scultori locali (lombardi), scultori
toscani, scultori transalpini come
quelli che vengono da borgogna (una
delle regioni più importanti d’Europa
con il ducato di borgogna per quanto
riguarda la cultura artistica) e gli studi
più recenti hanno ipotizzato che il
vero cantiere di formazione di Jacopo
della Quercia sia a bologna nell’anno
1401 quando partecipa al concorso
del battistero di Firenze. Abbiamo un rilievo, una scultura in legno intagliato della fiancata
sinistra della basilica di San Petronio dove nel cantiere lavora lo scultore Alberto da
Campione che sembra mostra la scultura successiva di Jacopo. Quindi lui si è forse formato
nel cantiere di Bologna e accostandosi alla figura di Alberto (lombardo). Una delle prime
opere di Jacopo è la Madonna con il bambino del duomo di Ferrare (oggi conservato nel
museo del duomo), detta Madonna della Melagrana perché ha un frutto di melagrana in
mano. (l’opera è al centro dell’immagine, in marmo). Siamo nel 1408 ed è una figura che è
resa in termini diversi dalla tradizione tardo gotica più tipica, come i panneggi che non sono
eleganti ma scavati in profondità nel marmo, presentando pieghe profonde dove si formano
le ombre dense. Le figure, ad esempio il bambino che si eregge sul ginocchio della vergine
con un’espressività incredibile e così la vergine che ha forme compatte e nette. Richiamo
quindi alla Madonna di Alberto.
MONUMENTO FUNEBRE DI ILARIA DEL CARRETTO
A Lucca, Jacopo realizza il sarcofago per Ilaria del
Carretto tra il 1406 e il 1408. Lucca è un'altra città
frequentata da Jacopo della Quercia. Qui vediamo
l’interesse di Jacopo per la scultura romana, come
nella resa dei putti simili come schema
iconografico che i romani mettevano sui loro
sarcofagi. Jacopo, quindi, ha un interesse verso il
gotico internazionale ma anche per l’antico. Il
sarcofago ha una struttura elevata sul terreno con
bassi rilievi sui lati e la gisant distesa sul coperchio del sarcofago. La defunta dorme il sonno
profondo della morte. Composizione diversa rispetto alle tombe più comuni che si
trovavano nelle chiese italiane, in particolare toscane. La decorazione con i putti plastici che
sorreggono dei festoni all’antica. Questa è la novità della scultura a rilievo di Jacopo rispetto
a Ghiberti (in modo superficiale, lisce) e Donatello. In Jacopo sono rilievi profondi. Lo sfondo
è neutro, piatto, come se fosse oro nella pittura. Il panneggio della fanciulla, la giovane
sposa, non rispetta nulla di quei calligrafismi caratteristici del gotico, le pieghe segnano per
tutta la lunghezza della figura il tessuto, l’abito. Ai piedi c’è un cagnolino secondo
l’iconografia borgognola, perché il cane era simbolo di fedeltà, così Ilaria nei confronti del
marito.

FONTE GAIA, SIENA


In questi anni, c’è un altro cantiere. Jacopo
lavora anche a Siena per la Fonte Gaia, la
celebre fontana della piazza che venne
sostituita in forme più sontuose e moderne
dai lavori di Jacopo. Noi abbiamo una
rielaborazione moderna dell’800 della
fontana antica. Abbiamo delle antiche
fotografie storiche che mostrano la fontana
prima dello spostamento dei frammenti di
quello che rimaneva nel palazzo pubblico di
Siena e prima dello spostamento di santa Maria a Scala. Bracci minori sporgenti, sui quali
sono collocate 2 statue con la raffigurazione di due figure femminili che tengono dei
bambini tra le braccia, che stanno a indicare l’abbondanza, la fertilità in quanto l’acqua era
così. Da una parte le figure sono super gotiche come i panneggi, le figure affusolate ma c’è
anche il richiamo all’antico come le capigliature con capelli legati dietro con il velo che le
ricopre. Abbiamo antico e gotico. Nella fontana c’erano anche delle virtù come la virtù della
sapienza in alto a destra. È una figura quasi contrapposta e Jacopo, sembra quasi anticipare
Michelangelo con la testa da una parte e il corpo dall’altra. Figure di una grande severità.
Avrebbero affascinato il giovane Michelangelo ad esempio.
POLITTICO DI SAN FREDIANO - 1422
A Lucca, forse, abbiamo l’apice gotico di Jacopo
della Quercia. È un polittico in marmo per l’altare
della chiesa di San Frediano e rappresenta la
Madonna col bambino al centro, ai lati i santi ed è
con gattoni rampanti, pinacoli gotici. I mezzibusti
dei profeti sembrano spuntare fuori. Le figure sono
molto allungate ma sembrano aver perso la loro
consistenza corporea sotto i panneggi. Sono figure
carnose, naturalezza nella resa della carnosità
giovanile dei santi quasi adolescenti. Braccia
lunghissime.

SAN PETRONIO, BOLOGNA


L’ultimo grande cantiere di Jacopo
è quello di San Petronio a bologna.
Gli viene affidata la decorazione del
portale principale con statue a tutto
tondo nella lunetta e delle formelle
neotestamentari nei sguanci, nelle
parti del portale e nell’architrave
stesso. Abbiamo figure di profeti
molto fantasiose, sono delle
formelle quadrate in cui sono quasi
compresse le figure (con il cartiglio
che sembra attorcigliarsi intorno al corpo)

Sempre per la Chiesa di San Petronio Jacopo


realizza due formelle con storie della genesi.
I personaggi, le figure sacre sono i veri
protagonisti delle storie. Jacopo è
concentrato nella raffigurazione di figure
umane. A lui non interessa i paesaggi, i
dettagli, concentra tutto sulla figura umana. Il
fondale non ha nulla di appena accennato
con elemento ambientale se non la roccia
dove si trova Adamo nella creazione. Il corpo
è reso con grande realismo e studio antico di Adamo. Davanti a lui la figura di Dio Padre,
dove Jacopo è la prima volta che separa l’iconografia con la figura di Dio Padre vecchio e
Cristo giovane. Dio Padre è rivestito da questo mantello che suggerisce l’anatomia
sottostante ma il panneggio è plastico e dinamico. C’è un’esuberanza in queste vesti. Un
rilievo straordinario.
A destra il peccato originale anche qui il paesaggio minimo con il tronco dell’albero, il
fogliame e il serpente con la testa femminile e ai lati Adamo ed Eva.
FONTE BATTESIMALE, SIENA

Una delle opere mature di Jacopo è la


fonte battesimale dove uno dei profeti
ricorda quelli di san Petronio con il
cartiglio che sembra attorcigliarsi attorno
alla figura del profeto, ma qui abbiamo
un’architettura all’antica.

Incontro di Zaccaria al tempio 1430 (Jacopo muore


nel 1438). Nel banchetto di Erode.

FORMELLE GHIBERTI

Ghiberti, dopo la vittoria del 1401 realizza 28


formelle di cui anche l’adorazione dei magi.

Figure degli evangelisti.


Sono 20 storie evangeliche e 8 con evangelisti
e dottori della chiesa. 8 in basso e le altre
sopra.
SAN GIOVANNI BATTISTA – GHIBERTI
La statua di San Giovanni Battista di Lorenzo Ghiberti fa parte del
ciclo delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze
nelle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele. Fu
commissionata dall'Arte di Calimala e risale al 1412-1416. È in
bronzo ed è alta 268 cm. Oggi si trova conservata all'interno del
Museo di Orsanmichele, mentre all'esterno è sostituita da una
copia.
San Giovanni battista con gli occhi lucenti, fatto con smalti per
rendere la sensazione dell’occhio realistico.

Dal 1425 Ghiberti modifica


profondamente il proprio linguaggio con
una figura antiquaria rispetto al san
Giovanni di 5 anni prima. La stessa
architettura della nicchia, dove all’interno
della quale include la statua, ricorda il
gotico per l’elemento ogivale, ma anche
elementi ripresi all’antica come l’idea della
conchiglia come l’architettura romana.
Comincia una sorta di contaminazione in
Ghiberti con motivi antiquari e
rinascimentali.

La statua è Santo Stefano di Firenze,


commissionano a Ghiberti nei primi anni
20 del 400. La figura è in bilico tra gotico
e rinascimento. Gotica è la resa dei
panneggi eleganti ma anche nuovi.
(oggi Orsanmichele).
ARCA DEI TRE MARTIRI 1427-1428
Tra le ultime opere del Ghiberti abbiamo
l’urna dei 3 martiri, conservato nel Museo
del Bargello a Firenze. Venivano
conservate le urne dei martiri di Firenze.
Commissionata da Giovanni di Medici (si
vede dallo stemma). Un sarcofago antico
con l’idea delle due vittorie alate che
reggono la corona di alloro. Ghiberti cerca
di riportare, tradurre i motivi all’antica rendendoli propri con la lavorazione del bronzo
eccezionale.
Parlando di alcuni artisti del Gotico Internazionale che convivino con i nuovi artisti abbiamo come
esempio LORENZO GHIBERTI.

PORTA DEL PARADISO 1425 – 1452: si tratta della porta est del
Battistero di Firenze, quella principale situata davanti al Duomo di
Santa Maria del Fiore. Rispetto alla Porta nord del battistero di
Firenze, qui sono raffigurati 10 episodi dell’Antico Testamento. Si
tratta di composizioni quadrate legate ad un tipo di concezione
narrativa che richiama spunti della tradizione antica. È un’impresa
enorme a cui Ghiberti lavora fino alla morte e verrà poi conclusa
dal figlio. Le storie sono 5 per lato e sono inquadrate da cornici
sempre all’antica. Nelle nicchie si trovano delle figure singole e
separate da delle teste che emergono dallo sfondo.

Il primo episodio è la storia della genesi, Adamo ed Eva.


L’ambientazione colpisce in quanto lo sfondo non è più uno sfondo
neutro ma uno sfondo naturale atmosferico, con elementi sorprendenti.
Il cielo dove è inserito Dio Padre nella mandorla ci sono delle nuvole
sottili. In questo caso come nelle altre storie si tratta di episodi diversi
ricomposti in una stessa scena, separati in termini prospettici, quindi in
piani diversi. I progenitori presentano delle anatomie delicate, tenere
(un po' come in Masolino).
Sono raffigurate scene di Giuseppe. Qui abbiamo l’inserimento di
architetture riprese dalle piazze di Firenze. L’architettura serve, attraverso
la struttura e gli angoli, ad articolare lo spazio. E’ evidente, però che non ci
troviamo di fronte alle famose piazze di Brunelleschi, infatti qui abbiamo
una delicatezza che Ghiberti riprende da Masolino. Si tratta comunque di
un mutamento rispetto al linguaggio precedente, come le figure in
secondo piano le quali sono meno marcate.

L’ultima scena raffigura l’incontro tra Salomone e la Regina di Saba. Qui


abbiamo una grande architettura templare centralizzata, con elementi
architettonici come le finestre e il timpano (ricorda un po’ Brunelleschi
nell’Ospedale degli innocenti). Qui c’è anche la volontà di strutturare la
storia dentro ad uno scenario architettonico. Diligenza (esecuzione
attenta) e disciplina fanno parte del linguaggio di Ghiberti. Inoltre, inserì
anche il proprio autoritratto dentro ad uno scudo secondo la tradizione
degli antichi romani. Con un’espressione arguta, intelligente rivela tutto
l’orgoglio del proprio operato. Muore nel 1455, realizzò come ultima cosa i Commentari, sono un
trattato/memoriale dello scultore. Databili verso il 1452-1455.
Continuando a parlare degli artistici tardo gotici abbiamo anche GENTILE DA FABRIANO.

Gentile si è formato in Lombardia verso la fine del 300


In questa cultura tardogotica viene a formarsi con
interessi naturalistici minuti che interessavano le corti
(cultura molto disseminata, internazionale con caratteri
comuni). Quindi si tratta di un pittore centroitaliano di
formazione Lombarda. Operò a Brescia, Venezia (corti
signorili) e poi negli anni 20 del 400 operò anche a
Firenze, dove su commissione di Palla Strozzi realizzò
nel 1423l’ADORAZIONE DEI MAGI, grande dipinto su
tavola conservato agli Uffizi (ma destinata alla nuova
cappella nella basilica di Santa Trinità). Anche qui si
parla di realismo, un realismo dei particolari minuti,
dell’epidermide, delle stoffe, dei materiali. Non si tratta
di un realismo plastico con uno spazio misurato come in
Masaccio, qui lo sfondo è ribaltato, non dà quel senso
di profondità; infatti, le colline di fondo sono sollevate in
alto anziché mandate in profondità. Il mondo di Masaccio
e quello di Gentile da Fabriano sono due mondi molto
diversi.
Gentilezza, garbo, preziosità.

Confronto: effetti di luce che Gentile aveva assimilato in


area lombarda nelle corti dei disconti, con questo delicato
effetto cromatico, effetti di luce notturna.
Le colline presentano un tratto di ingenuità nella
costruzione dello spazio.

Altro confronto
POLITTICO QUARATESI

Il Polittico Quaratesi venne dipinto da Gentile da Fabriano nel


1425 a Firenze per la cappella della famiglia Quaratesi nella
chiesa di San Niccolò Oltrarno. Smembrato in più musei, è l'opera
più importante del soggiorno fiorentino dell'artista dopo la Pala
Strozzi.
Questa una delle storie di San Nicola. Le soluzioni luministiche,
atmosferiche di questa sorta di cripta che Gentile dipinge intorno
alla tomba di San Nicola.

1425/1426 Gentile scende verso Roma fermandosi a Orvieto dove


realizza l’affresco MADONNA COL BAMBINO E ANGELI (restaurato).
L’affresco ha ombre dense nei panneggi e sembrano imitare
Masaccio. L’incarnato è più plastico e in qualche modo ricorda gli
artisti fiorentini.

Giunto a Roma, dopo lo scisma d’occidente (con il concilio di costanza si


conclude lo scisma d’occidente e ritorna la capitale). Qui realizza, nella
basilica di san Giovanni Laterano, degli affreschi ma non rimane più niente
perché nel 1600 vennero realizzati nuovi affreschi e quindi gli affreschi di
Gentile vennero distrutti. Gli affreschi che coprirono quelli di Gentile sono
di Francesco Borromini. L’artista, però, ricopiò i disegni di Gentile.
Lasciandoci un’idea di come potevano essere. (qui abbiamo uno schizzo).

POLITTICO DI VALLE ROMITA DATABILE 1410 - 1412, ora


conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano ma realizzato nelle
Marche. Si tratta di uno dei suoi grandi capolavori.
LA MADONNA COL BAMBINO TRA I SANTI NICOLA DI BARI, CATERINA
D’ALESSANDRIA E UN DONATORE 1395-1400
Realizzata in area lombarda.

Sempre una grande qualità nella capigliatura, fisionomia, nei dettagli


da parte di Gentile da Fabriano.

Allievo di Gentile è PISANELLO.


Pisanello realizza la MADONNA DELLA QUAGLIA (la madonna dell’umiltà,
iconografia inventata da Simone Martini poi adottato nell’ultima
stagione del gotico). Si tratta di un’opera molto vicina alla cultura
lombarda, veneta e quindi di Gentile. Pisanello lavorò anche a Roma in
San Giovanni in Laterano.

Pisanello, però, lavorò soprattutto a Verona dove realizzò degli affreschi nella chiesa di San Fermo
Maggiore 1426, di cui anche l’annunciazione ai lati del monumento di Niccolò Brenzoni (opera
funebre di tradizione gotica). La figura dell’angelo è quasi innaturale, come se si schiacciasse a terra
di fronte alla vergine.
Pisanello, studioso dell’antico, a Roma s’interessa della
statuaria antica. (si trova al Louvre, Parigi)

A Verona, Pisanello realizza SAN


GIORGIO E LA PRINCIPESSA nella
basilica di Santa Anastasia (opera
tardo gotica). È raffigurato San Giorgio
che libera la principessa dal drago.
Possiamo vedere la preziosità della
tradizione gotica e l’interesse
naturalistico per gli animali, le piante
e, quindi, l’attenzione minuta al
mondo della flora e degli animali.

Un altro esempio di questa attenzione della flora e degli


animali l’abbiamo nella VISIONE DI SANT’EUSTACHIO (1436-
1438, National Gallery di Londra). Dal punto di vista
iconografico fa parte del mondo delle corti, mondi, culture
diverse che vivono a stretto contatto.

RITRATTO DI PRINCIPESSA ESTENSE (1435, Louvre – Parigi)


Si tratta del ritratto di una dama di corte. Anche qui l’attenzione
all’abito, all’acconciatura, all’abbigliamento più che alla pittura stessa,
come l’anatomia. Lo sfondo vegetale con la presenza delle farfalle. Il
contrario, quindi, di Donatello e Masaccio.
RITRATTO DI LEONELLO D’ESTE (1441-1444)
Dipinto su tavola (oggi si trova all’Accademia Carrara di Bergamo). Lo
sfondo è quasi neutro, ma in questo caso al posto dello sfondo oro
abbiamo elementi vegetali, come nel ritratto della Principessa Estense.
Possiamo vedere lo spirito quasi botanico di Pisanello.

Ritratto su medaglia.

Pisanello è stato tra i primi a riscoprire questa tradizione antica con il


ritratto su moneta. Si tratta di una ritrattistica di profilo tipica del 400,
che ricorda appunto la tradizione classica romana.
È uno schema che si trasmette anche alla tradizione più
rinascimentale.

PRIMO RINASCIMENTO FIORENTINO


Firenze degli anni 30 DEL 400 è ben diversa dai
primi anni del 400 (ad esempio dal concorso del
1401). È una Firenze in cui sempre più le
istituzioni repubblicane perdono peso e
prendono peso sempre più le famiglie ricche.

Dopo il concilio del 1439 (l'incontro con i due dotti neoplatonici bizantini Pletone e Bessarione al
Concilio del 1439 diede a Cosimo de Medici l'idea di creare in Firenze un fulcro per la diffusione
delle teorie di Platone in terra italiana) aumentando il prestigio culturale e politico della città.
Così, la celebrazione del concilio viene ospitata a Firenze perché Cosimo a Firenze aveva anche
ospitato la curia pontificia. Lo scopo era quello di far diventare la città il centro delle grandi
iniziative politiche.
CANTORIE
La Cantoria a destra è di Donatello (1433 –
1438) e quella a sinistra di Luca della Robbia
(1431 – 1438) e sono state realizzate nella
Basilica di Santa Maria del Fiore. Nel 1438 Papa
Eugenio IV consacra la Basilica di Santa Maria
del Fiore sotto gli occhi di Cosimo de Medici. La cattedrale viene consacrata con una nuova
decorazione quattrocentesca e, così, vengono commissionate anche le 2 cantorie di Donatello e
Luca della Robbia.
La cantoria a sinistra, di Luca della Robbia, è il riflesso di questo interesse vero l’antico che si era
instaurato durante questo periodo ed è la prima opera importante che Luca realizza.

Nella cantoria di Donatello abbiamo la danza di angioletti dietro a delle colonnette binate.
Donatello si ispira all’antico e poi lo rielabora in maniera diversa. È il genio della sperimentazione,
non ha una formula già stabilita da altri del passato (come il classico) c’è sempre la sovversione
delle regole imposte. Il fregio è decorato con delle anfore antiche separate da delle foglie di
palmetta in modo stilizzato, astratto, molto diverso dalla naturalezza del vocabolario architettonico
romano. La superficie è coperta di decorazioni che ricordano un po’ le decorazioni barbariche
(copertura di tutte le superfici mantenendo, però, quel respiro ampio che l’arte classica aveva).

Particolare dei bambini che si


proiettano nello spazio dietro alle
colonnette di Donatello (sinistra).
Particolare danza degli angioletti di
Luca (destra)

Tra Luca della Robbia e Donatello abbiamo una concezione diversissima. La danza di Donatello è
trasformata in Luca in una danza equilibrata, armonica, c’è più dinamicità. Anche il panneggio
ondulato segue il ritmo del corpo sottostante, come se ci fosse un equilibrio armonioso che tutto
regola (scultura romana).
PUTTI REGGICANDELE
Sulla cantoria di Luca della Robbia erano collocate queste figure di
angioletti bronzei, che oggi si trovano al Museo Jacquemart-Andréal,
Parigi. A lungo sono stati considerati di Luca perché erano sul
cantiere suo ma in realtà si tratta 2 opere di Donatello. Questi putti
sono assai poco equilibrati, come quasi schiacciati, in una posa
equilibrata e poco armonica. Molto in carne, quasi senza collo,
schiacciati.

Donatello, infatti, realizza altre sculture simile ai due putti come questa scultura
bronzea di un angioletto sorridente con calzoncini leggeri calati che mostrano il
sesso e un cinturone ai fianchi. Si tratta di una creatura bizzarra che schiaccia un
serpente.
Nel 1440 realizza il David, commissionato da Cosimo de Medici e si trova al
Museo del Bargello a Firenze. Inizialmente si trovava su una colonna di
marmo ed era collocata in un cortile. Si tratta di una statua molto
importante per Firenze dal punto di vista perché simboleggia in qualche
modo il talento di Firenze, una città debole (quindi non potente come era
Golia) ma forte (intelligente come David). La capigliatura così lunga che
sfiora le spalle non è parte dell’antico (nella tradizione classica erano
raffigurate teste rasate) e addirittura la testa è coperta da un cappello con
foglie d’alloro. Ai piedi c’è la testa del Golia mozzata. Possiamo vedere,
appunto, come Donatello è il genio della sperimentazione, ribelle, instabile
e alla ricerca di nuove soluzioni senza modelli prestabiliti.

PULPITO
Donatello lavora anche per il Duomo di
Prato dove realizza intorno al 1428-1438 il
pulpito esterno della cattedrale. Lui
espone la reliquia venerata che Maria
avrebbe fatto calare dal cielo durante
l’assunzione nel cielo e che avrebbe
raccolto San Tommaso. Quindi il pulpito è
un vero e proprio terrazzo con varie
formelle incastonate e anche qui putti danzanti che suonano a ritmo.

Durante la realizzazione del pulpito, Donatello si unisce in una società insieme a Michelozzo di
Bartolomeo, architetto e scultore. Si dividono, così, il lavoro e i guadagni.

MONUMENTO FUNEBRE DELL’ANTIPAPA GIOVANNI XXIII (1422 – 1428)

Qui lavorano per il monumento funebre del cardinale che era diventato
papa, o meglio antipapa, Giovanni XXIII. Prese questo nome proprio
dall’antipapa Baldassarre Cossa (al tempo del grande scisma c’era il papa
e l’antipapa). Pur essendo morto nel 1429 a Firenze questo antipapa era
appoggiato da Cosimo de Medici tanto che dopo la sua morte Cosimo
decide di fargli un monumento funebre nel Battistero di Firenze e l’affida
a Michelozzo e Donatello.
Michelozzo realizza: la base con le
3 virtù teologali (Fede, Speranza e
Carità) e il poi il sepolcro con il
cartiglio, l’epigrafe in latino e i due
putti ai lati che lo reggono.

Sopra gli angeli con il cartiglio abbiamo il defunto (l’antipapa) defunto realizzato in bronzo da
Donatello (l’unica parte che lui realizza, il resto è di Michelozzo). Si tratta di un monumento
moderno perché, anche se all’antica, abbiamo il modo di costruire gotico del 300. (le 3 virtù chiuse
in delle lesene all’antica, ad esempio, la resa del panneggio del defunto è la grande scultura
moderna di Donatello).

MONUMENTO FUNEBRE DELL’ANTIPAPA GIOVANNI XXIII (1422 – 1428)

Michelozzo, negli stessi anni, realizza il sarcofago dell’antipapa Giovanni XXIII. Nella parte bassa
sono raffigurate le 3 figure delle cariatidi, sopra gli angeli con cartiglio.

La parte in alto che rappresenta la Madonna Assunta in mezzo agli angeli è opra di Donatello. Maria
è elevata in cielo, lo sfondo non è paesaggistico ma uno sfondo infinito. Quindi abbiamo opere in
comune di loro e altre in proprio. Donatello si cimenta nelle parti a basso rilievo così la tecnica
schiacciata poteva dare il meglio

SEPOLCRO DEL CARDINALE RAINALDO BRANCACCIO (1426 –


1428)

Michelozzo realizza, poi, il monumento del cardinale


Brancaccio, conservato nella chiesa di Sant’Angelo a Nilo
(Napoli).
In seguito, tra il 1427 e il 1438 lavora a Montepulciano al monumento
funebre di Bartolomeo Aragazzi insieme a Donatello.

Ai lati dell’altare maggiore del duomo di Montepulciano, si trovano due


figure a tutto ma originariamente non sappiamo dove si trovavano. Non
sappiamo nemmeno cosa rappresentassero queste 2 figure angeli?
Virtù? Si tratta, comunque, di figure all’antica rese con tuniche
modellate con pieghe chiaroscurate scalpellate in profondità e sono di
Michelozzo senza la collaborazione di Donatello.

PALAZZO MEDICI RICCARDI


Michelozzo, anche architetto, realizza per Cosimo de Medici
questa architettura oggi chiamato Palazzo Medici Riccardi. Si
tratta di un palazzo con un prospetto diviso su 3 ordini:
inferiore a bugnato rustico (pietra decorativa per superfici)
con porte a tutto sesto, quello centrale (piano nobile)
bugnato liscio con bifore a tutto sesto con colonne di
sostegno al centro. Commissionata forse negli anni 30.
Cosimo, e prima di lui il padre, aveva seguito i lavori di Brunelleschi nella chiesa di San Lorenzo
(spazio quadrato) di fianco all’abside della chiesa Sagrestia Vecchia (funzione della chiesa) per
distinguerla da quella nuova.

SAGRESTIA VECCHIA (basilica di San Lorenzo, Firenze)


Presenta al centro un tavolino basso di marmo che copre il sarcofago
di Giovanni Bicci, il quale era una specie di padre di Cosimo, era
un’patriarca, figura di riferimento. L’abside è il coro della cappella
stessa. Questo quadrato dell’abside è inquadrato dentro a altri
quadrati che sono le due sagrestie della Sagrestia Vecchia. È
composto da 3 quadrati identici 1 vuoto al centro e 2 laterali pieni.
Ricorda il modo di lavorare di Brunelleschi. Le due piccole sagrestie
hanno 2 porte bronzee realizzate con delle formelle di Donatello.
Donatello realizza anche la decorazione della volta con 4 storie in stucco. Le 4 storie rappresentano
San Giovanni Evangelista e si trovano in dei tondi inseriti nei pennacchi della copertura.

Qui abbiamo la Resurrezione di Drusiana. Lo scenario


architettonico sembra quasi metafisico per l’astratto, ma le
arcate aprono uno spazio grazie alla suggestione di un qualcosa
che non possiamo misurare.

Qui abbiamo il tondo di San Matteo visto dal basso di scorcio.


Donatello sperimenta suggestioni dello spazio diverse da
Brunelleschi. Infatti, con Donatello abbiamo lo spazio dilatato,
stratagemmi. A Brunelleschi questo non interessava, la sua era
un’architettura razionale.

PORTA DEI MARTIRI (1434-1442)


Sempre nella Sagrestia Vecchia nella Basilica di San Lorenzo a Firenze,
Donatello lavora alla Porta dei Martiri.
Santi martiri, apostoli immaginati nelle formelle
delle 2 porte bronzee. Si tratta di coppie di santi
che sembrano discutono fra di loro in maniera un
po’ aggressiva (come i volti severi). C’è anche un
gesticolare, muovere le mani, le penne. I santi
sono stati realizzati da Donatello quasi come
degli spadaccini ed è come se, anziché le penne,
usassero le spade. Vitalità, resa vibrante delle
superfici. Qui è quasi suggestivo, reso in maniera
rapida senza grandi confondimenti.
In seguito, dopo un litigio tra Donatello e Michelozzo avviene l’allontanamento di Donatello che
andrà a lavorare a Padova per ben 10 anni.

SAN GIOVANNI BATTISTA


Del primo soggiorno di Donatello a Padova abbiamo San Giovanni Battista in
legno colorato, che si trova nella chiesa dei Frari a Venezia. È stato realizzato
nei primi anni 40. Figura allungata, magrissima e questo perché San Giovanni
era vissuto nel deserto.

CANTORIA (il 1431 e il 1438)


La Cantoria di Luca della Robbia è un'opera scolpita per la
cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze ed oggi conservata
nel Museo dell'Opera del Duomo. Luca della Robbia, molto più
legato a Brunelleschi e amato dall’Alberti, inserisce il suo nome nel
cenacolo. Le formelle sono incassate e incorniciate da delle doppie
lesene all’antica, le iscrizioni sono realizzate nei fregi. Gli architravi
chiudono, serrano le formelle con caratteri a capitali latini
secondo il gusto umanistico. Luca della Robbia si forma intorno agli umanisti.

I CANTORI, UNA DELLE FORMELLE DELLA CANTORIA


Non sono pieghe scavate come in Donatello, ma si dispongono lungo
l’anatomia sottostante. I cantori che stanno dietro si affacciano guardano
da dietro le spalle del compagno, è un’idea che passerà da Luca a altri
artisti.

TABERNACOLO
Per la chiesa di Sant’Egidio (oggi conservata in Santa Maria a Peretola). A
Firenze, Luca realizzò negli anni 30 questo tabernacolo marmoreo. In
basso, rappresenta due angeli in marmo che indicano uno sportellino,
sopra abbiamo un’poeta in terracotta invetriata, invenzione di Luca della
Robbia, che verrà ripresa successivamente. Era una tecnica antica, del
medioevo che era stata dimenticata. Una tecnica che venne riscoperta
nella ricerca di Brunelleschi a Firenze. Così Donatello, Brunelleschi e Luca
lavorano in terracotta, ma Luca aggiunge un elemento, ovvero viene
ornata da una pasta vitrea colorata e si creano, così, queste superfici
brillanti.
RESURREZIONE DI CRISTO

Uno dei capolavori di Luca è la lunetta in terracotta


invetriata con la resurrezione di Cristo e che sta sopra la
porta di una delle sagrestie del duomo di Firenze. Ritmo
equilibrato della storia con la figura di Cristo
simmetrica, con gruppi equilibrati: due angeli da una
parte e dall’altra.

Per il Duomo di Firenze, Luca realizza 2 angeli sempre in modo delicato.

MONUMENTO FUNEBRE DEL VESCOVO FEDERIGHI


Un altro capolavoro di Luca della Robbia è il monumento
funebre del vescovo Benozzo Federighi (vescovo di Fiesole)
della chiesa di Santa Trinità a Firenze. La tomba è realizzata
su più livelli con il sarcofago all’antica, con gli angeli che
tengono una corona d’alloro e sopra il gisant in marmo con
il vescovo. Una sorta di imago pietatis (cioè Cristo al centro
e i due dolenti ai lati, cioè Maria e l’apostolo Giovanni).
Fregio in alto e basso a chiusura con motivi vegetali in
terracotta invetriata.
APPUNTI DAL 5 OTTOBRE IN POI

ORA CI CONCENTRIAMO SULLA PITTURA


Gli anni 30 del 400 sono gli anni in cui il linguaggio masaccesco (Masaccio) comincia
profondamente a diffondersi. Il rinascimento è legato per decenni a una sola città: Firenze.
In seguito si allarga, però in maniera lenta e la prima città che accolse le novità è Siena. Più
lentamente si diffonderà soprattutto nell’Italia settentrionale. Per ora è solo cittadina,
Firenze.
A Firenze emergono 3 pittori significativi. Dopo le prime novità di Masaccio, gli artisti più
giovani cominciano ad assimilare questo linguaggio. Tra i primi abbiamo FILIPPO LIPPI, frate
carmelitano (cioè vive nella stessa chiesa per la quale Masaccio aveva realizzato il ciclo di
affreschi). Lippi vede fin da giovane queste novità straordinarie di Masaccio, siamo intorno
al 1433.

FILIPPO LIPPI

MADONNA TRIVULZIO
La Madonna Trivulzio (Madonna
dell'Umiltà con angeli e santi
carmelitani, o ancora come l’ha
chiamata il prof. Madonna della
Trinità) è una tempera su tavola a
forma di lunetta, databile al 1429-
1432 e conservata nella Pinacoteca
del Castello Sforzesco a Milano.
Rappresenta uno dei capolavori della pittura di transizione a Firenze verso il 1430. Si tratta
di un’opera giovanile di Lippi. Gli angeli e le figure intorno a Maria hanno una grande
espressività nei volti. Di Lippi abbiamo anche dei frammenti dove le figure dei
monaci sono un po’ come le figure di queste della Madonna Trivulzio (molto
masaccesche): tessuto spesso che avvolgono corpi ben avvertibili, pieghe
corpose scanalate di ombre. Le teste hanno un plasticismo ottenuto
attraverso il chiaroscuro molto rilevato e per renderle ancora più plastiche ha
accorciato queste figure di santi riducendo la loro dimensione, sembrano
quasi dei bambini. Alle spalle della vergine ci sono degli angeli che guardano
da dietro le spalle della vergine.
MADONNA DI TARQUINIA, 1437
Oggi conservata nella Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo
Barberini a Roma. Raffigura la Vergine col bambino in un
ambiente domestico, anche qui ricorda Masaccio come il modo
di rendere il panneggio intorno alle gambe di Maria, le pieghe
scendono intorno alle ginocchia per rendere più plastico il tutto,
il gradino architettonico. La lezione di Masaccio è fortissima. C’è
un’assimilazione della pittura fiamminga nordica che a Firenze
già nel corso degli anni 30 comincia a diffondersi. Come l’idea
del cartiglio che si attorciglia alla base del trono della vergine.
Cartiglio che indica data, firma, dedicazione. L’interno
domestico con aspetti di analisi dei materiali, come il trono di
marmo policromo che rende la lucentezza del materiale, il
paesaggio tipografico.
PALA BARBADORI, 1438
La Pala Barbadori (Madonna col Bambino, angeli,
san Frediano e sant'Agostino) è un'opera, tempera
su tavola, datata al 1438. È conservata al Museo
del Louvre di Parigi a seguito delle spoliazioni
napoleoniche nel Granducato di Toscana, mentre i
tre scomparti della predella vennero portate agli
Uffizi di Firenze. Lippi è un grande disegnatore, lo
vediamo anche in quest’opera, il modo di rendere
i panneggi dei mantelli, tuniche segnati da
piegoline. È una tendenza del disegno che non era presente in Masaccio, le sue erano forme
semplici con chiaroscuro. In Lippi le forme sono linee grafiche che rendono delicate le
figure, graziose. Da qui, infatti, inizia un allontanamento da Masaccio.

Esequie di Santo Stefano


AFFRESCHI CAPPELLA MAGGIORE, PRATO
Le Storie di Santo Stefano e San Giovanni
Battista sono un ciclo di affreschi nella
cappella Maggiore del Duomo di Prato,
eseguiti da Filippo Lippi e aiuti tra il 1452
e il 1465. L'opera ha un ruolo centrale
nella vicenda artistica del Lippi e
nell'evoluzione dell'arte rinascimentale in
generale. Qui abbiamo il Lippi maturo e
tutto questo grafismo (lavorando
attraverso le forme, i panneggi) emergano in maniera sempre più ricca a discapito del
plasticismo.
BANCHETTO DI ERODE
Sempre del ciclo di affreschi della
Cappella Maggiore. Qui tendenza
linealistica ed aggraziare della
forma, la quale è più delicata, una
linea che segue il motto ritmico
delle forme. Questo linearismo
aggraziato, come la veste di
Salomè, la quale danza, prenderà
spunto, ad esempio, Sandro botticelli. Si apre quindi uno spiraglio verso le grandi novità.
Lippi è una figura chiave per la svolta della metà del secolo.

DETTAGLI DELL’AFFRESCO

MADONNA COL BAMBINO E DUE ANGELI, 1460-1465 CIRCA


Oggi agli Uffizi. Qui vediamo ancora meglio queste tendenze,
l’acconciatura della vergine piena di piegoline, il velo, i capelli
intrecciati. Il braccio del trono impreziosito attraverso il
disegno, come la tunica dell’angelo. Il tessuto realizzato con
sottili piegoline attraverso il grafico che sarà la grande
tendenza della pittura fiorentina.

L’ANNUNCIAZIONE
Affresco realizzata per il duomo di Spoleto con storie di Maria,
qui annunciazione. Eleganza, modi, ricerca preziosa
dell’ornamento anche nelle architetture
BEATO ANGELICO (1395-1455)
Il percorso di Lippi si conclude alla metà del 400 (muore nel 69) e uno dei suoi eredi è
BEATO ANGELICO. Legato ai domenicani del convento di San Marco a Firenze, poco più
anziano di Masaccio e quindi quando si formò era un pittore gotico.
MADONNA DELL’UVA
Di Beato abbiamo miniature iniziali, eppure nei primi anni 30 la
Madonna dell’uva col bambino mostra una piena assimilazione della
tradizione di Masaccio. La vergine si trova sul trono, forma
monumentale, corpo massiccio dentro al manto con piegoline che
rende plastico il corpo. Il trono è architettonico brunelleschiano, un
faldistorio all’antica con una specie di coperta sullo schienale che
ricade con delle pieghe ben articolate. Oro di fondo. Nelle figure di
Beato abbiamo delicatezza, garbo, un retaggio ancora gotico che in
qualche modo sembra distaccarsi dalle forme di Masaccio, però il
chiaroscuro, il modo di rende in forma stereometrica i corpi la forma
è diverso.
IMPOSIZIONE DEL NOME AL BATTISTA, 1428-1430
Si tratta di una piccola tavola che raffigura l’imposizione
del nome al Battista, oggi al museo San Marco, Firenze. La
tavola mostra il richiamo a Masaccio
(La resurrezione del figlio Teofilo).
Sono raffigurate figure dentro ad un
giardino quadrato col muro che
chiude prospettivamente lo spazio e
sopra al muro che chiude il cortile
anche angelico pone come Masaccio
vasi di terracotta con fiori.
INCORONAZIONE DELLA VERGINE, LOUVRE
1434-1435
Si tratta di uno dei primi capolavori
rinascimentali di Firenze. Angelico immagina
che l’incoronazione avvenga infima ad una
gradinata decoratissima e intorno una schiera
di santi che si dispongono in posizioni diverse
(frontali, profilo, di spalle): Beato Angelico fa
ruotare la figura umana. La quadrettatura del
pavimento dà maggior profondità dello spazio.
Rispetto alla pittura di Masaccio chiaroscurata
intensamente, qui c’è una brillantezza cromatica presente in Angelico come, ad esempio, le
vesti rosso rubino che sembrano quasi degli smalti. Unisce l’armonia dei colori vivaci che
non hanno il contrasto chiaroscurale, ma sono pervasi da una luminosità diffusa chiamata la
PITTURA DI LUCE che nel 400 diventerà la pittura dominante a Firenze. Come possiamo
vedere, questi pittori post Masaccio assimilano la lezione dell’artista, ma la orientano in
modo diverso.
PALA DI SAN MARCO, 1440 CIRCA
Ancora per la chiesa di San Marco realizzo la grande
pala di San Marco, oggi al Museo Nazione di San
Marco a Firenze. Si tratta di un dipinto che ha subito
dei danni, ma oggi è in condizioni abbastanza buone.
Pala quadrata (riprende Brunelleschi con appunto la
pala quadrata) che stava sull’altare maggiore. Cosimo
de Medici commissionò l’opera, infatti abbiamo in
primo piano Cosma e San Damiano, protettori della
famiglia. Il trono della vergine è alzato e in
prospettiva con i santi di scorcio, poi uno scorcio che
apre verso il giardino. In primo piano inserisce una sorta di piccola pala d’altare, sembra
quasi la crocifissione di Masaccio a Pisa. Qui non c’è un pavimento ma un talento orientale
con d’decorazioni geometriche per la profondità.
Qui abbiamo due delle storie della predella: storie di
Cosma e Damiano con la tavola del miracola della
gamba risanata: l’ambiente è come un’architettura
squadrata capace di rendere la profondità in modo
scientifico.

Questa è l’altra delle due storie.


ANNUNCIAZIONE, 1425 – 1426
Nelle celle ci sono storie evangeliche, come
l’annunciazione con la figura di San Pietro
martire che si affaccia. Le figure dell’angelo e
della vergine sono figure sottili inserite dentro
ad un’architettura stereometrica. Questo si trova
accanto all’incoronazione coi santi. Poi c’è la
cella personale di Cosimo con l’adorazione dei
Magi. La biblioteca del convento realizzato da
Michelozzo di Bartolomeo. (infatti, l’annunciazione oggi si trova nel Convento di San Marco,
Firenze).
PAOLO UCCELLO, 1397-1475
A Polo Uccello, poi, Vasari dedicherà una bibliografia. L’artista si è formato a Firenze e nel
1425 egli compie un viaggio a Venezia dove soggiorna fino al 1431 e dove lavora come
maestro di mosaico alla basilica di San Marco. Non conosciamo niente del suo soggiorno a
Venezia. Dopo ritorna a Firenze. Quei 5/6 anni a Venezia per Firenze era un buco vuoto. C’è
un prima e un dopo Venezia nella formazione di Paolo e il dopo significa una conversione
radicale a Masaccio. Quando torna da Venezia Masaccio è già morto ma scopre la sua
pittura, come l’affresco di Santa Maria Novella con la trinità.
MONUMENTO EQUESTRE A GIOVANNI ACUTO, 1436
Paolo uccello realizza l’affresco nel 1436 per celebrare Giovanni
Acuto, uno dei grandi condottieri inglese di Firenze celebrato con il
cenotafio: monumento funebre (non in marmo per il prezzo).
Quindi Paolo realizza un’architettura e scultura in monocromo
fingendo una pietra sul muro, sembra quasi vero. Quindi un
affresco con sarcofago con mensole sottostanti e l’effetto dello
scorcio dal basso. Questo è il primo monumento equestre del
rinascimento di un condottiero.

NASCITA DELLA VERGINE,


1433/34
Paolo Uccello poi lavora anche agli affreschi della
Cappella Assunta nel Duomo di Prato (a destra della
Cappella Maggiore). Gli affreschi appresentano
storie di Maria e Santo Stefano. Qui abbiamo la
Nascita della Vergine: la camera di Sant’Anna
presenta un’architettura singola è bizzarra,
policroma, con un terrazzo con cerchi bizzarri e
bizzarro è lo spirito si Paolo Uccello, un pittore eccentrico rispetto a Masaccio, Lippi,
Angelico. Eppure, la camera di Sant’Anna ha elementi ricostruiti con rigore straordinario dal
punto di vista architettonico di Masaccio e Brunelleschi.

DISPUTA DI SANTO STEFANO


Sempre nella Cappella Assunta a Prato realizza la
Disputa di Santo Stefano con lui al centro. Sono
stati raffigurati abiti contemporanei con mimica
straordinaria e una grande espressività come, ad
esempio, una figura gonfia le guance quasi stufo di
sentire le solite cose; quindi, abbiamo anche
elementi della vita quotidiana. Dietro
un’architettura, che sembra quella della lanterna
della cattedrale di Firenze, con contrafforti di gusto
brunelleschiano e inserito in modo prospettico nello spazio.

MADONNA COL BAMBINO, 1445


La Madonna col bambino che si affaccia al davanzale, tipico
del primo rinascimento (inventato forse da Donatello). Alle
spalle della vergine c’è una nicchia architettonica, una
conchiglia che chiude in alto con una specie di filettatura rossa
e tutta la Gambia prospettiva che costruisce la nicchia stessa.
Il bambino è singolare, raffigurato mentre ride, questo sembra
emulare l’infanzia scatenata di Donatello (i putti che danzano).
Il bambino ha questa capigliatura arricciata sulle spalle. Sia la
Vergine che il bambino hanno due aureole a piattello che
hanno uno spessore, tridimensionalità, scanalato come se
fossero in architettura.
BATTAGLIA DI SAN ROMANO, 1338
La Battaglia di San Romano è un trittico di
Paolo Uccello, commissionato da Lionardo di
Bartolomeo ed è rappresentata in tre episodi
su altrettanti pannelli, oggi divisi in tre musei:
Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini,
alla National Gallery di Londra;
Disarcionamento di Bernardino della Carda,
agli Uffizi di Firenze;
Intervento decisivo a fianco dei fiorentini di
Michele Attendolo (l'unico firmato e
probabilmente realizzato per ultimo), al
Museo del Louvre di Parigi.
Alla fine del 400, alla morte di Lorenzo de
Medici i 3 episodi erano nella sua camera da
letto; quindi, forse erano per Cosimo per poi
arrivare a Lorenzo. Ma in realtà Lorenzo aveva
fatto perquisire queste tavole da una famiglia
importante. I 3 episodi, quindi, raffigurano la
Battaglia di San dove i fiorentini vinsero
contro i pisani.
Nelle figure in primo piano dei cavalli e
cavalieri vediamo l’interesse di Paolo Uccello per rendere la volumetria dei corpi, come il
cavallo grigio a terra visto in uno scorcio difficilissimo, ardito. C’è una volontà di lavorare i
corpi posti in scorci difficili. Le lance per terra che hanno funzione di dare spazio.
Sullo sfondo abbiamo delle scene di caccia sulle colline con cani, c’è una sorta di
ribaltamento dello spazio, infatti sembra quasi sollevarsi. C’è questa convivenza di due
elementi diversi.
DOMENICO DI BARTOLO, 1400/1445
Verso Siena, il primo pittore che mostra di assimilare la lezione di Masaccio è DOMENICO DI
BARTOLO, pittore che aveva una formazione in ambito tardo gotico, senese.
MADONNA DELL’UMILTA’, 1433
La prima opera di Domenico di Bartolo è la Madonna dell’umiltà, oggi
nella pinacoteca di Siena. Gli angeli intorno alla vergine suonano
elementi musicali. Il modo di rendere il bambino: tiene la manina in
bocca ed è stereometrico, come in Paolo Uccello. Gli angeli musici,
invece, richiamano i puttini Luca della Robbia, e guardano verso
l’osservatore sollevando la testa.
Qui abbiamo le novità fiorentine.

STEFANO DI GIOVANNI DETTO SASSETTA, 1392-1450


Pittore importante è Stefano di Giovanni detto SASSETTA. Sempre pittore senese, si è
formato intorno al 1420 presso i pittori della tradizione gotica e, poi, a metà degli anni 20
frequenta l’ambiente fiorentino.
POLITTICO DELL’ARTE DELLA LANA
Tra il 1426/1429 realizza il grande polittico dell’arte della lana
per la chiesa San Pellegrino a Siena. Il polittico è dedicato
all’eucarestia ed è quasi del tutto rovinata. Noi abbiamo una
ricostruzione dove al centro si trovavano gli angeli e intorno i
Santi (si trova a Siena),
poi la predella (in parte a
Siena e in parte in altri
posti) dove è raffigurato
Sant’Antonio tirato dai
demoni in un paesaggio ben articolato
prospettivamente con un atmosferico.

L’ULTIMA CENA
Sempre del polittico.
PALA DELLA MADONNA DELLA NEVE, 1430-1432
Sassetta realizza la Pala per il Duomo di Siena, oggi
nella Galleria degli Uffizi. Nella predella sono
raffigurate le storie della fondazione della Basilica
di Santa Maria Maggiore a Roma. Al centro la
Madonna col bambino e i santi Paolo, Pietro,
Giovanni Battista e Francesco d’Assisi. Poi sonor
affigurati gli angeli che tengono dei piatti con delle
palle di neve (miracolo nella neve ad agosto).
Anche questa pala è quadrata e ha motivi gotici per
la decorazione.

FRAMMENTI CROCE
Per la Chiesa di San Martino, Sassetta ha realizzato una
grande croce nel 1433 che, purtroppo, fu distrutta
nella prima metà moderna nel 600. Della croce
rimangono 3 frammenti: i due dolenti laterali e il
suppedaneo (tavola dipinta sotto i piedi di cristo
crocifisso) che rappresenta San Martino il povero. Qui
Sassetta in qualche modo ha citato Masaccio nella
cappella Brancacci: il famoso nudo che trema.

STORIE DELLA FONDAZIONE DI ROMA


Il papa che segna il tracciato della
basilica e gli operai che costruiscono le
mura della basilica. Il muretto che viene
piano piano sollevato dagli operai e il
cielo che compre quasi metà della
tavola, bellissime nuvole mosse.
LORENZO DI PIETRO DETTO IL VECCHIETTA, 1412-1480
Un altro pittore del primo rinascimento a Siena è Lorenzo di Pietro detto IL VECCHIETTA. Dal
punto di vista pittorico ha avuto una formazione non tanto senese quanto masolinesca
(Masolino). Aveva seguito Masolino a Castiglione Olona e nella seconda metà degli anni 30
lavorò anche lui alle storie di San Giovanni insieme ad una serie di pittori.
STORIA DELL BEATO SORONE -
PELLEGRINAIO DI SANTA MARIA DELLA SCALA
Tornato a Firenze studia l’architettura di
Brunelleschi e studia anche l’antico come
l’architettura classica, la quale compare in uno
degli affreschi del Pellegrinaio nel 1441 dello
Spedale di Santa Maria della Scala con diverse
storie di Tobia, ma anche di Beato Sorone,
mitico fondatore dello Spedale, il quale in un
sogno vide gli orfanelli, gli innocenti, che
salivano una scala, la quale portava a Maria.
L’affresco mostra un’impaginazione architettonica straordinaria con una fuga prospettica
calcolata, abside ben costruita secondo le regole di Brunelleschi ma anche secondo le regole
di Masolino. Anche se poi aveva assimilato poi le novità di Masaccio e artisti vicini a lui.
Loro 3 costituiscono la cultura senese del primo rinascimento.

DOCMENICO VENEZIANO, 1410-1461


Domenico Veneziano, artista assai poco noto nella storia dell’arte, forse origine veneta.
MADONNA DEL ROSETO, 1432-1437
Domenico Veneziano, attivo a Firenze e di cultura veneziana
tardo gotica. Certamente è un pittore fiorentino. La più antica
opera è dei primi anni 30: Madonna del Roseto, oggi al Museo
di Bucarest. È un’opera spettacolare perché mostra da una
parte il legame iconografico con la cultura gotica ma non si
avverte nulla del retaggio gotico in una figura così statuaria con
il bimbo donatelliano nelle forme solide, nel taglio in
prospettiva, gesto dinamico, vivacità espressiva e la
corporatura come le membra della vergine accarezzate da
ombre e luci creando plasticità.
Nel 1438, Domenico manda una lettera da Perugia a Piero de Medici a Firenze dove
domenica dice: “…ho speranza in Dio farvi vedere chose meravigliose, avengna che ce ne sia
di bon maestri come fra Filippo e Fra Giovane (Angelico)…”
ADORAZIONE DEI MAGI, 1439-1441
I Medici cercavano qualcuno che realizzasse la Pala di
San Marco (poi realizzata da Angelico), ma a Domenico
affidarono il tondo che oggi si trova a Berlino. Un
tondo che rappresenta l’adorazione dei Magi. Nei
ritratti abbiamo alcuni dei Medici: Piero, Giovanni
inseriti tra i Magi. I Magi erano figure di riferimento
dal punto di vista iconografico per i Medici. È un’opera
spettacolare nella resa perché è come se Domenico
volesse rendere lo splendore della cultura cortese, ma
riportando quel mondo all’interno della cultura
prospettica rinascimentale. Non è un compromesso tra gotico e rinascimentale, ma nello
spirto dell’iconografia è come se recuperasse quel mondo. Lo sfondo è prospettico, indaga
in maniera accurata le lontananze più remote e sembra unire un interesse della pittura
fiamminga, come lo specchio d’acqua del lago su cui si riflette la città, gli alberi… Descrizione
topografica e prospettico che rende forse il capolavoro più grande di quel periodo a Firenze.

La commissione più importante a Firenze fu la Cappella Portinari (Cappella maggiore)


completamente distrutta, tranne alcuni pezzi che raffigurano piedi, un pezzo di prato.
PALA DI SANTA LUCIA DE’ MAGNOLI, 1445
La Pala di Santa Lucia de' Magnoli (Sacra
conversazione coi santi Francesco, Giovanni Battista,
Zanobi e Lucia) di Domenico Veneziano è una
tempera su tavola, conservata agli Uffizi di Firenze e
databile al 1445 circa. È firmata OPVS DOMINICI DE
VENETIIS HO[C] MATER DEI MISERERE MEI DATVM
EST sul gradino inferiore. Si tratta del pannello
centrale con raffigurati la Madonna col bambino,
Giovanni Battista e San Zanobi. Questo è il manifesto
della pittura di luce. Misura prospettica, pavimento
con fuga prospettica, scorcio del pavimento suggestivo. Qui ancora i 3 archi sono acuti
quindi un motivo della tradizione gotica. I mantelli, come quello di Santa Lucia, sono mossi
ma si tratta di ombre delicate, tenue, niente contrasto forte drammatizzante come in
Masaccio. La Vergine col bambino seduta in trono, centralità perfetta sotto una nicchia
acuta.
La pala è l'opera più importante per comprendere il ruolo fondamentale di Domenico nella
pittura rinascimentale fiorentina, dopo la perdita del ciclo di affreschi che realizzò nella
chiesa di Sant'Egidio con Andrea del Castagno. Un ciclo celebre che segna la storia fiorentina
descritta da Vasari dalle storie di Maria è la parte centrale della predella della Pala di Santa
Lucia de’ Magnoli, realizzata da Domenico, ora smembrata.
La pittura di Domenico non è austera, severa ma è una pittura ornata, impreziosita dal
colore. Descrizione di Giorgio Vasari degli affreschi di Domenico Veneziano in Sant’Egidio:
“Fece maestro Domenico, a olio, Gioacchino che visita Anna sua consorte, e di sotto il
nascere di Nostra Donna, fingendovi una camera molto ornata et un putto che batte con il
martello l’uscio di detta camera con molto buona grazia. Di sotto fece lo Sposalizio d’essa
Vergine con buon numero di ritratti di naturale, fra i quali Bernardetto de’ Medici,
conestabile d’ fiorentini, con un berettone rosso, Bernardino Guadagni, o era gonfaloniere,
Folco Portinari et altri di quella famiglia. Vi fece anco un nano che rompe una mazza, molto
vivace; et alcune femine con abiti in dosso vaghi e graziosi fuor di modo, secondo che si
usavano in que’ tempi. Ma questa opera rimase imperfetta per le ragioni che poi si dirà”
(cioè l’assassinio di Domenico da parte di Andrea del Castagno, cosa non vera).
C’è l’invenzione dell’uccisione di Domenico Veneziano da Castagno, non è vero perché
Castagno è morto prima di Veneziano.
ANNUNCIAZIONE, 1442-1448
Questo è un momento nuovo
fiorentino, Domenico Veneziano
acquisisce da Masaccio ma
elabora in modo diverso.
L’annunciazione oggi si trova al
Fitzwilliam Museum, Cambridge.
Abbiamo la razionalità dello
spazio, misure delle colonne una
dietro all’altra. Aldilà del cortile si apre un fornice dove al centro si trova una porta sotto un
pergolato e quello è il punto focale, la prospettiva dove convergono le linee ideali. Abbiamo
la calma, la pacatezza, la monumentalità delle figure.
PIERO DELLA FRANCESCA
Per quando Domenico lavora per la Chiesa di sant’Egilio all’affresco abbiamo un documento
che ci attesta che un giovane pittore fiorentino collabora con Domenico alle storie di Maria,
Piero di Benedetto de Franceschi, ovvero PIERO DELLA FRANCESCA. Noi abbiamo il
passaggio di Piero nel 39 a Firenze poi le sue tracce si perdono (probabilmente va a Ferrara,
Bologna…).
BATTESIMO DI CRISTO, 1440-1460
La prima opera importante di quando ritorna a Sansepolcro
(luogo di nascita) è un polittico che solo inizia perché poi,
forse pressato da commissioni esterne, egli abbandona i lavori
e verrà concluso dal pittore Matteo di Giovanni, pittore senese
che realizza intorno al cristo di Piero il resto. Infatti, Piero
realizza solo il Battesimo di Cristo, la tavola centrale del
polittico. Il Battesimo di Cristo è conservato al National gallery
di Londra e questa tavola riflette perfettamente la pittura di
sant’Egilio, ovvero ornata di colore, prospettica (confronto con
Pala di Santa Lucia di Domenico Veneziano, per i colori
lucenti.) La tavola è intessuta di motivi fiorentini, pacatezza,
solennità e ricorda Masaccio nei nudi (cappella Brancacci). Rispetto al contrasto
chiaroscurale di Masaccio però, qui è tutto più delicato. Ombre delicate che imperlano gli
incarnati di cristo e sotto è raffigurata la colomba dello spirito santo, messa nel cielo azzurro
come se fosse una nuvoletta. A sinistra i 3 angeli dietro all’albero che si tengono la mano
sulla spalla del compagno (ricorda di Luca della Robbia i putti). Il Giordano è un fiume, ma
Piero lo immagina come uno specchio d’acqua. Tutto è bloccato, cristallizzato da queste
linee prospettiche invisibili che inquadrano ogni elemento della natura. Espressività pacata.
Il paesaggio ricorda quello delle Stigmate di San Francesco
POLITTICO DELLA MISERICORDIA, 1445-1462
Piero, a Sansepolcro realizza per la
compagnia della misericordia il
polittico, il quale, però, ha perduto la
carpenteria. Al centro la Madonna
della misericordia e intorno i santi
San Battista, San Giovanni… Sulla
cimasa c’è la crocifissione. Sotto il
mando della Vergine abbiamo i
ritratti dei personaggi che
sembrano ritratti di uomini veri.
SIGISMONDO PADOLFO MALATESTA IN PREGHIERA
DAVANTI A SAN GISISMONDO, 1451
L’opera realizzata da Piero è conservata oggi nel
Tempio Malatestiano di Rimini. L'affresco è
incorniciato da finti rilievi marmorei di cornucopie e
girali, con agli angoli gli stemmi di Pandolfo e in
basso un'iscrizione lacunosa. Al
centro esatto dell'affresco sta
inginocchiato Sigismondo
Pandolfo Malatesta, ritratto di profilo e con le mani giunte, mentre
prega san Sigismondo, re dei Burgundi e suo protettore, ritratto seduto
in trono al di sopra di un gradino nella parte sinistra dell'affresco e
reggente in mano i segni della sua dignità regale: lo scettro e il globo,
oltre alla berretta sopra la quale si trova un'aureola
scorciata in prospettiva. Dietro Sigismondo Pandolfo si trovano due cani
levrieri accucciati, uno bianco ed uno nero, di estrema eleganza
formale, ritratti dal vero con una cura degna delle migliori opere
naturalistiche di Pisanello. Essi simboleggiano la fedeltà (quello bianco)
e la vigilanza (quello nero). Lo sfondo scuro fa risaltare le figure, in
particolare il profilo del sovrano. All'estrema destra si trova un tondo, in
posizione ribassata per bilanciare la composizione lungo la linea
mediana orizzontale e mostrare l'orizzonte, attraverso il quale si vede la fortezza
malatestiana di Castel Sismondo immersa in un terso cielo cristallino.
RITRATTO DI SIGISMONDO PANDOLFO MALATESTA, 1451
Piero realizza il Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta forse durante il suo soggiorno a
Rimini del 1451 ed è oggi conservato nel Museo del Louvre di
Parigi. Pandolfo è ritratto di profilo su sfondo scuro. Il forte
contrasto dà al ritratto un carattere monumentale e statuario,
tipico dei busti antichi. La capigliatura forma un caschetto
compatto, tipico della moda maschile delle corti del tempo. Il viso
è raffigurato di profilo in una posa di assoluta astrazione, che
riprende l'iconografia ufficiale delle medaglie. Nonostante ciò, è
evidente anche una particolare attenzione naturalistica,
avvertibile, in particolare, nella minuziosa descrizione del tessuto
della veste, nel realismo dei capelli e della stessa carnagione. La
stoffa è trattata in modo da evidenziare tutta la sua preziosità. La
luce rende con efficacia la diversa consistenza dei materiali ed i riflessi propri dei drappi
damascati o della pelliccia delle bordature. Tali risultati furono possibili solo grazie alla
profonda conoscenza di Piero dei pittori fiamminghi (e in particolare dell'opera di Rogier van
der Weyden).
RITRATTO DEI CONIUGI ARNOLFINI, 1434
Parlando della pittura fiamminga, a cui Piero prende spunto,
abbiamo l’opera dei Coniugi Arnolfini realizza da Jan van Eyck
e conservato oggi nella National Gallery di Londra. Oltre ad
essere considerata tra i capolavori dell'artista, è anche una
delle opere più significative della pittura fiamminga.
L'opera è uno dei più antichi esempi conosciuti di pittura che
ha come soggetto un ritratto privato. Mostra la coppia in
piedi, riccamente abbigliata, che si trova dentro la stanza da
letto, mentre l'uomo, Giovanni Arnolfini, fa un gesto verso lo
spettatore che può essere interpretato in vari modi, dalla
benedizione, al saluto, al giuramento (anche di fedeltà alla
memoria). La moglie gli offre la sua mano destra, mentre appoggia la sinistra sul proprio
ventre, con un gesto che ha fatto pensare a un'allusione a una gravidanza futura o prossima.
La stanza è rappresentata con estrema precisione ed è popolata da una grande varietà di
oggetti, tutti raffigurati con un'attenzione estrema al dettaglio. Tra questi oggetti spicca, al
centro, uno specchio convesso, dettaglio giustamente celebre ed enigmatico, dove il pittore
dipinse la coppia di spalle e il rovescio della stanza, dove si vede una porta aperta con due
personaggi in piedi, uno dei quali potrebbe essere il pittore stesso.

POLITTICO DELL’AGNELLO MISTICO, 1426-1432


Il Polittico dell'Agnello Mistico, o Polittico
di Gand, è un'opera monumentale di Jan
van Eyck (e del misterioso Hubert van
Eyck), dipinta tra il 1426 e il 1432 per la
cattedrale di San Bavone a Gand, dove si
trova tutt'oggi. Si tratta di un polittico
apribile composto da dodici pannelli di
legno di quercia, otto dei quali sono
dipinti anche sul lato posteriore, in
maniera da essere visibili quando il
polittico è chiuso. In quest'opera
compaiono quelli che divennero i caratteri
tipici della pittura di Van Eyck:
naturalismo analitico, uso di colori
luminosi, cura per la resa del paesaggio,
tutti elementi che si ripresenteranno anche nei dipinti
eseguiti a pochi anni di distanza dal polittico di Gand.
MADONNA DEL CANCELLIERE ROLIN, 1435
La Madonna del Cancelliere Rolin è un dipinto
olio su tavola di Jan van Eyck, databile al 1435
circa e conservata nel Museo del Louvre a Parigi.
La scena è un tipico dipinto devozionale, con il
committente che prega in ginocchio le figure
sacre della Madonna e del Bambino, il quale
risponde benedicendo. A destra si trova un
angelo che incorona la Vergine con una
sontuosa corona. Ciascun elemento, da quelli
principali a quelli secondari e decorativi, è
raffigurato con un'acutissima percezione visiva,
con i dettagli rappresentati secondo i loro valori
di materiale, di luce e di rapporto compositivo con l'ambiente. Si tratta di un elemento
tipico della pittura fiamminga e nordica in generale, dove la luce opera in maniera "non
selettiva", a differenza della più essenziale visione italiana. Ciò era dovuto a ragioni tecniche
(la pittura a olio permetteva infatti un lavoro più accurato della tempera o dell'affresco),
religiose e filosofiche. Nelle opere a soggetto religioso si cercava infatti di calare le divinità
nel quotidiano, per permettere l'identificazione dei fedeli, e inoltre dovette avere peso
anche la filosofia nominalistica, che sosteneva come la sostanza del reale ci pervenga dalla
percezione dei singoli oggetti fisici. La scena è ambientata in un loggiato arricchito di
decorazioni come colonne e
bassorilievi, ed aperto attraverso una
triplice arcata (richiamo alla Trinità) su
una terrazza dalla quale si gode un
amplissimo panorama su una città
fluviale, tipica della zona (forse la
stessa Autun), dove palazzi, chiese,
campi e colline sono bagnati da una
luce unitaria. La terrazza ospita un
giardino recintato, simbolo della
verginità di Maria, dove crescono vari fiori ciascuno col proprio significato simbolico: il giglio
la purezza di Maria, le rose rosse il preannuncio della Passione di Gesù, ecc. Anche i pavoni
che si vedono sono un simbolo antichissimo di immortalità, poiché si riteneva che le loro
carni fossero immarcescibili, come eterna era la testimonianza cristiana. Le due gazze che
insidiano il giardino invece sono simbolo della Vanitas. Oltre il giardino si trova la terrazza
vera e propria, con un parapetto merlato dove si affacciano due personaggi che indossano il
capperone, un elaborato copricapo a metà strada tra un cappuccio e un turbante. Alcuni
hanno ipotizzato che i due rappresentino van Eyck e un suo assistente, anche se la totale
mancanza di riscontri o di caratteristiche soggettive nei due uomini rendono questa ipotesi
non confermabile.
Ritornando a PIERO DELLA FRANCESCA:
STORIE DELLA VERA CROCE, 1452-1452
Le Storie della Vera Croce è un ciclo di affreschi
conservato nella cappella maggiore della basilica di San
Francesco ad Arezzo. Iniziato da Bicci di Lorenzo, venne
dipinto soprattutto da Piero della Francesca, tra il 1452 e
il 1466, che ne fece uno dei capolavori di tutta la pittura
rinascimentale. Nel 1417 era morto Baccio di Maso Bacci,
un ricco mercante appartenente a un'importante famiglia
aretina, nelle cui disposizioni testamentarie era previsto
un generoso lascito per la decorazione del coro della
basilica francescana, patronato dalla famiglia stessa.
Iniziative del genere non erano infrequenti nei testamenti
tra Medioevo e Rinascimento, ed erano una sorta di
riconciliazione religiosa di individui di successo che si
erano arricchiti in maniera non del tutto tollerata dalla Chiesa, come il prestito e il "cambio",
che all'epoca erano considerati peccato di
usura. Presumibilmente Giovanni Bacci, figlio
di Francesco che aveva intensi rapporti con i
circoli umanistici aretini, chiamò allora un
artista della nuova corrente artistica,
scegliendo Piero della Francesca, che era
ormai ben noto oltre i confini della sua patria
(Sansepolcro) ed aveva già lavorato per corti
importanti quali Ferrara, Rimini e Urbino. Gli
affreschi sono posti su tre livelli sulle pareti
laterali e sul fondo, senza alcuna intelaiatura architettonica. Le storie della Vera Croce sono
narrate dagli avvenimenti della Genesi fino al 628quando il legno della santa Croce, dopo
essere stato rubato, venne riportato a Gerusalemme.
Tra le storie abbiamo:
MORTE DI ADAMO
Adamo sta per morire, ed è infatti accasciato sulla
destra, con l'anziana Eva alle sue spalle. Suo figlio Set
riceve dall'arcangelo Michele (sullo sfondo) il
germoglio dell'Albero della Conoscenza, che poi mette
(scena centrale) in bocca al padre morto. Dall'Albero,
che visse fino ai tempi di Salomone, nascerà il legno
per la Croce di Cristo.
ADORAZIONE DELLA CROCEE INCONTRO TRA SALOMONE E LA REGINA DI SABA
La Regina di Saba, attraversando un
ponte, riconosce in una trave il legno
dell'albero della Conoscenza e si
inginocchia ad adorarlo. Nella parte
destra, in un interno, la Regina si incontra
con re Salomone, davanti al quale si
inchina in segno di sottomissione.
SOGNO DI COSTANTINO
Un angelo porta in sogno a Costantino, addormentato nella sua tenda di
notte, la rivelazione della Croce e della vittoria su Massenzio a patto della
sua conversione. L'Angelo gli porta una minuscola croce, simbolo dell'In
hoc signo vinces.

VITTORIA DI COSTANTINO SU MASSENZIO

Battaglia di Ponte Milvio (312): Costantino mostra la Croce agli


avversari, che si ritirano sconfitti.

RITROVAMENTO DELLE TRE CROCI E VERIFICA DELLA CROCE


Elena ha ritrovato la croce di Gesù
e quelle dei due ladroni. Non
riuscendo a capire quale possa
essere quella su cui fu inchiodato
Cristo, Elena le fa esporre tutte e
tre sopra il cadavere di un giovane
appena defunto, che risorge
miracolosamente allorché viene a
contatto con la sacra reliquia. A quel punto Elena e il suo seguito si inginocchiano in
adorazione.
BATTAGLIA DI ERACLIO E COSROE’
Cosroé II, re persiano della dinastia
sasanide, conquista Gerusalemme e ruba
la Vera Croce. A fianco della sacra reliquia
e del gallo si fa adorare come una divinità
(edicola nella parte destra), ma i cristiani,
comandati dal re bizantino Eraclio, lo
catturano dopo averne sconfitto l'esercito nella Battaglia di Ninive (dicembre 627) - nella
quale muore uno dei suoi figli - e lo fanno decapitare (gennaio 628).
Spesso Piero della Francesca unificò affreschi contigui, con il paesaggio ininterrotto. In
generale le regole compositive degli affreschi sono le medesime, con figure in primo piano
di dimensioni analoghe e con una visione leggermente adattata per uno punto di vista dal
basso. Un altro elemento unificatore è la luce, modulata su quella naturale della finestra
centrale della cappella. Di straordinario valore è la scena notturna del Sogno di Costantino,
la prima veduta notturna pienamente convincente dell'arte europea prima di Caravaggio. Si
scoprì poi che in realtà è un'alba.

MADONNA DEL PARTO, 1455-1465


L’opera è oggi conservata in un museo
appositamente predisposto di Monterchi,
proveniente dalla cappella di Santa Maria di
Momentana. In Toscana già dalla prima metà del
Trecento circolava la raffigurazione realistica della
Vergine incinta. Questo soggetto iconografico venne
chiamato "Madonna del parto" e rappresenta la
Madonna da sola, in piedi, in posizione frontale e
visibilmente incinta. Uno tra gli elementi che la
distingue da una normale donna incinta è il libro
chiuso appoggiato sul ventre, allusione al Verbo Incarnato; il libro infatti rappresenta
l'Antico Testamento e dunque la parola di Dio che, attraverso la Vergine, si incarna e
discende tra gli uomini. La Vergine, in Piero, non possiede attributi regali, non ha alcun libro
in mano ed è colta nel gesto di puntare una mano sul fianco per sorreggere il peso del
ventre. L'interesse di Piero per le simmetrie è particolarmente evidente in quest'opera,
dove i due angeli che tengono i lembi del tendone discosti sono stati dipinti sulla base di un
medesimo cartone rovesciato. Nei loro abiti e nelle ali i colori sono alternati: manto verde,
ali e calzari bruni per quello di sinistra, viceversa per quello di destra. Gli angeli guardano
verso lo spettatore, richiamando la sua attenzione, come se stessero spalancando un sipario
proprio per lui. La Madonna è in piedi, leggermente ricurva per il ventre gonfio, che
accarezza con una mano, mentre con l'altra si dà sostegno all'altezza dei fianchi.
RESURREZIONE, 1450-1463
Piero la Resurrezione, pittura murale, e oggi
conservata nel Museo Civico di Sansepolcro.
La data certa di realizzazione di questo
affresco di Piero della Francesca è ancora
oggetto di numerosi studi, ma
tradizionalmente lo si colloca tra il 1450 ed il
1463, quando il pittore si trovava ad Arezzo e
stava completando gli affreschi delle “Storie
della Vera croce. Il soggetto è Cristo risorto
dopo la sua morte, il quale si alza dal luogo
dove era conservato il suo cadavere, mentre
attorno a lui quattro esponenti dell’esercito
romano stanno dormendo. Cristo viene
rappresentato in posizione eretta e con in
mano un vessillo che riporta l’insegna dei
crociati; la stessa figura di Cristo, posta al centro della composizione, divide in due parti il
paesaggio: sulla sinistra troviamo un luogo morto, assimilabile alla stagione invernale,
mentre sulla destra invece la vita e probabilmente uno scorcio estivo. I due scorci stagionali
presenti in Piero della Francesca nella Resurrezione sono una semplice allegoria del ciclo
della vita, presente anche in altre opere di artisti contemporanei di Piero della Francesca. Il
già citato vessillo dei crociati che Cristo trattiene nella sua mano è molto interessante,
poiché probabilmente è un richiamo al regno di Gerusalemme ed al relativo insieme di leggi
utilizzate al tempo, che erano chiamate “Lettere dal Santo Sepolcro”, ed indicano una sorta
di continuazione delle scelte che venivano effettuate nella sede del governo della città. Altro
tema molto importante all’interno di quest’opera è senza dubbio il contrasto tra veglia e
sonno, dove nella parte inferiore gli uomini hanno bisogno di riposo, mentre Cristo Divinità
è sempre vigile. Tra gli uomini che stanno dormendo ai piedi del sarcofago di Cristo, proprio
dove cade l’asta del vessillo trattenuto dal Salvatore, si trova un uomo vestito con un abito
verde/marrone: non è altro che un autoritratto di Piero della Francesca. Il fatto che l’asta
del vessillo cada proprio dove si trova lui non è un fatto casuale: può indicare o un
collegamento con Dio che porta ispirazione all’artista, o anche una sorta di supporto nelle
decisioni che lo stesso Piero doveva prendere (Piero della Francesca lavorò per la città più
volte). Molto interessanti i colori utilizzati in questa “Resurrezione”: concentrando la nostra
attenzione sulle vesti dei soldati, è possibile notare che i colori dei loro indumenti si
alternino tra un soggetto ed un altro (mentre uno, ad esempio, indossa un berretto rosso ed
una veste verde chiaro, l’altro, invece indossa un mantello rosso e l’altro ancora un berretto
verde).
FLAGELLAZIONE DI CRISTO, 1453
Opera di primi anni 50 dell’attività di Piero,
la Flagellazione oggi si trova nella Galleria
Nazionale delle Marche. Abbiamo
prospettiva con l’esercitazione sullo spazio
razionale in modo brunelleschiano ma, allo
stesso tempo, con brillante cromia assimilata
a Firenze e poi elaborata. La scena mostra la
Flagellazione di Cristo. La composizione è
divisa in due scene: a sinistra, all’interno di
una architettura rigorosamente prospettica un soldato flagella Cristo al cospetto di Pilato. A
destra invece si trovano tre uomini che stanno conversando. Sono vestiti con abiti eleganti e
sicuramente fanno parte della corte di Federico da Montefeltro. Dietro la figura di Pilato si
vede una scala molto chiara che sale al di sopra della loggia. Sulla base si legge una scritta in
latino “Opus Petri de Burgo S[an]c[t]i Sepulcri”, (“Opera di Pietro da Borgo San Sepolcro”).
L’interpretazione del dipinto nel tempo ha posto molti problemi agli studiosi. Forse il
ragazzo centrale in abito rosso è il Duca Oddantonio I da Montefeltro, morto prima che
Piero realizzasse il dipinto. Il fratellastro del duca di Urbino morì in seguito alla congiura del
1444 che fece la fortuna di Federico. A sinistra si svolge la scena della Flagellazione al
cospetto di Ponzio Pilato. Secondo un’altra ipotesi il personaggio di spalle che indossa un
turbante rappresenta i musulmani che minacciavano la Chiesa Cattolica al tempo. Nel
dipinto prevalgono le architetture ordinate e razionali. Solo sullo sfondo a destra si
intravede un brano di paesaggio con il cielo e la chioma di un albero. Le linee di fuga
convergono verso un punto prossimo al pavimento e la sensazione è quella di osservare la
scena dal basso. In questo modo i personaggi paiono disposti al di sopra di un palcoscenico
e assumono una valenza monumentale. La prospettiva di grandezza rende chiara la distanza
dal primo piano allo sfondo. Il pavimento inoltre è decorato con grandi rettangoli
geometrici. Queste decorazioni funzionano così da griglia prospettica che aiuta a percepire
la profondità dello spazio rappresentato. La composizione è orizzontale e il dipinto è diviso
in due parti apparentemente separate da una colonna. A sinistra si svolge la Flagellazione e
a destra la conversazione dei tre uomini.
DOPPIO RITRATTO DEI DUCHI DI URBINO,
1467-1472
A partire dalla metà degli anni 60 Piero lavora
sistematicamente per il duca Federico da
Montefeltro con opere esemplari come
questo dittico su tavola (oggi agli Uffizi di
Firenze) che rappresenta, a pochi anni dal 2°
matrimonio del duca, lui e la moglie Battista
Sforza. Abbiamo una sorta di passione che
Piero aveva, ovvero la ricerca di sintesi formale, risalto dei volumi in senso stereometrico. Si
unisce un’attenzione ai minimi dettagli, la realtà naturale vista quasi al microscopio. Questa
è una sintesi tra gli elementi di formazione e i nuovi elementi appunto nei minimi dettagli.
Ricerca analitica, luce riflessa su corpi lisci, come le perle della collana della contessa, come
l’abbigliamento, l’acconciatura con gioielli. Su tutti questi elementi brilla la luce riflessa
(lustro, riflesso sul corpo). Estremamente originale il taglio del ritratto, umanistico di profilo
con uno sfondo non neutro, ma si ritaglia il profilo su uno sfondo naturale ampio con colline
sfumate in maniera naturalistica. Dipinto all’avanguardia negli anni 60 perché appunto
queste 2 componenti saldate insieme, due poli distanti che vengono in qualche modo
unificate. Il naso spezzato del duca è dovuto da un colpo di spada. Sul retro dei 2 ritratti.
Tutti i beni del duca vanno alle
collezioni medicee (da Urbino a
Firenze) sul retro, quindi, abbiamo
l’esaltazione del conte e della
contessa su carri trionfali (I trionfi,
carri allegorici, erano un tema caro
agli umanisti, perché rievocavano il
mondo dell'Antica Roma).
La contessa trainata da due liocorni,
simbolo di castità, sulla destra il
trionfo della gloria per il conte con la
corona d’alloro e con la vittoria alata.
Il trionfo della contessa, quindi, esalta invece le virtù coniugali: essa è colta durante
la lettura, con le tre Virtù teologali della Carità (vestita di nero con in grembo il
pellicano, simbolo di sacrificio materno che dona le proprie stesse carni per la
sopravvivenza dei figli), la Fede (vestita di rosso col calice e l'ostia), la Speranza (di
spalle) e una quarta virtù, la Temperanza (frontale). Un amorino guida due liocorni,
simbolo di castità.
Federico è ritratto sul carro trionfale trainato da due cavalli bianchi, mentre una
Vittoria alata lo incorona d'alloro. Nella parte anteriore del carro siedono le quattro
Virtù cardinali: Giustizia (frontale, con spada e bilancia), Prudenza (di profilo, con lo
specchio), Fortezza (con la colonna spezzata) e Temperanza (di spalle). Un amorino
poi guida i cavalli.
I paesaggi sono micrografici visti in profondità, ogni dettaglio, cespuglio, corso d’acqua. In
primo piano iscrizioni celebrative con caratteri capitali latine che riporta al mondo degli
umanisti.
PALA DI MONTEFELTRO, 1472-1474
La Pala di Brera, o Pala Montefeltro (Sacra Conversazione con
la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il
donatore Federico da Montefeltro), è un'opera di Piero della
Francesca databile al 1472 circa e conservata nella Pinacoteca
di Brera a Milano, che le dà il nome. Venne prelevata
dall'altare maggiore della chiesa di San Bernardino (venivano
seppelliti i conti e i duchi) a Urbino e trasferita a Milano nel
1811 in seguito alle requisizioni
napoleoniche. In primo piano, in
ginocchio, è raffigurato il
committente sempre di profilo.
Forse è l’opera più esemplare tra la pittura di Piero e
dell’architettura di Leon Battista Alberti. Alberti, infatti, per Piero
fu un punto di riferimento. Piero nell’affresco introduce la Chiesa
di Sant’Andrea (Lombardia) la quale fu realizzata proprio da
Alberti, un’architettura all’antica con grande arco trionfale al
centro. È una basilica non cristiana, ma richiamo quella romana
(dove c’era il richiamo alla giustizia). Le figure sono realizzate in modo minuto, un modo
sottile di definire i corpi (i contorni invisibili). Le pieghe del panneggio, i
gioielli che ornano gli angeli è un modo sottile da mettere in rapporto
con lo studio della pittura fiamminga. Monumentalità architettonica,
solennità. (come nel dettaglio: Dettagli realistici, mani con anelli
definite, tanto alla fiamminga ad aver fatto pensare che intervenne un
pittore fiammingo per realizzarle. Indagine lenticolare). Urbino è uno
dei più grandi cantieri, un palazzo gigantesco articolato su tanti
elementi sotto la guida da Federico da Montefeltro.
MADONNA DI SENIGALLIA, 1470-1485
Un’altra opera di Piero è la Madonna di Senigallia: la Vergine
col bambino, due angeli uno maschile e uno femminile (forse
realizzato per il matrimonio della figlia). Si tratta di una piccola
sacra conversazione con il bambino, sacralità quasi orientale
nei gesti e fisionomia (Buddha) e si svolge all’interno del
palazzo Montefeltro (per gli elementi che corrispondono al
palazzo). Sulla porta della stanza, fuori, retrostante c’è una
finestra aperta sulla parete che fa penetrare i raggi di luce.
Siamo di fronte alla luce filtrata dalla finestra.
Piero muore nel 1492 e negli ultimi 20 anni della sua vita scrive ed elabora un trattato sulla
prospettiva. Da pittore a teorico, quindi.
ANDREA DEL CASTAGNO
Tornando al momento della formazione di Piero della Francesca, parliamo della figura di
Andrea del Castagno. Pittore che lavora a Sant’Egilio, nella cappella Portinari insieme a
Domenico Veneziano, appartiene solo alla generazione di Piero, ma muore prima (nel 57).
Abbiamo 2 opere accostate:
A sinistra è l’ultima opera di Domenico,
realizzata in Santa Croce. Sono raffigurati San
Francesco e San Battista con taglio prospettico
(si trova nel Museo in Santa Croce). Paesaggio
aldilà nel fornice.
A destra abbiamo un affresco di Andrea del
Castagno che raffigura San Giovanni Evangelista
per la Chiesa di san Zaccaria a Firenze. Andrea
realizzò l’affresco nella volta di una delle
cappelle. La figura di San Giovanni Evangelista
ha una forza plastica, quasi scultorea impressionante, nel volto severità che ricorda
Masaccio, il panneggio scolpito, il senso del volume delle stoffe tipico anche di
Donatello. Impressionante modernità nell’opera di Andrea.

ULTIMA CENA, 1445-1450


Il ciclo più importante di Andrea: le storie evangeliche
(purtroppo deteriorate) per il convento di
Sant’Apollonia, a Firenze. Il cenacolo dell’ultima cena
inserito all’interno di un’architettura antica. La parete
di fondo affrescata come se fossero materiali in
marmo diversi. Architettura policroma. In alto la
resurrezione, la crocifissione e la sepoltura di Cristo
(un po' sbiadito).

Volti severi, espressivi. La scena del


cenacolo prospettica, il punto di vista
dell’osservatore a pelo del gradino,
policromia di marmi colorati.
CICLO DEGLI UOMINI E DONNE ILLUSTRI, 1448-1451
Ciclo importante di Andrea, nella Villa Carducci,
nei pressi di Firenze. Nel ciclo venne realizzata
una serie di uomini illustri antichi e moderni. In
questo caso noi abbiamo visto Dante Alighieri
(a sinistra) e la Sibilla umana (a destra). Poi ci
sono anche altre figure come di condottieri.
Sono figure statuarie, con Dante che poggia il
piede sulla cornice e in qualche modo prevarica
il limite stesso dell’architettura, suggerisce la
profondità dello spazio.
MONUMENTO EQUESTRE A NICCOLO’ DA TOLENTINO, 1456
Andrea del Castagno, nel 1456, realizza per
Santa Maria del Fiore un monumento equestre
(a confronto con quello di Paolo Uccello, fatto in
precedenza) per i condottieri di Firenze. Andrea
riprende lo schema di Paolo Uccello, ma lo
rende molto più monumentale, il cavallo avanza
con fierezza, aggressività. Il gesto eroico del
personaggio con la mazza sollevata e poi
l’aspetto plastico, quasi statuario.

ALESSO BALDOVINETTI, 1425-1499


Altro artista che lavora e si forma insieme a Domenico Veneziano nella chiesa di Sant’Egilio
è AESSO BALDOVINETTI (nel 39-42 circa).
MADONNA COL BAMBINO, 1560-1465
Oggi al Louvre. Baldovinetti ha utilizzato colori brillanti e forse è
l’opera più francescana (Piero della Francesca) che possiamo
trovare a Firenze in quel periodo, perché a Firenze la tendenza era
la grazia, il decorativismo. Qui invece abbiamo sobrietà, ricerca di
volumi, colori brillanti come nella pittura di Piero (si erano formati
insieme). Qui, però, abbiamo una definizione del disegno nel
contorno dell’incarnato, come ad esempio delle mani, il contorno è
dominante. Il paesaggio ricorda molto quello del dittico di
Montefeltro. L’idea di guardare alle fiandre (i fiamminghi),
calcolando però lo spazio.
IL BATTESIMO DI CRISTO, 1450 CIRCA

Il battesimo di cristo è stato realizzato Nell’armadio degli


Argenti (armadio delle reliquie) insieme a Beato Angelico, il
quale aveva iniziato e interrotto il lavoro, quindi concluso con
storie di Cristo da Baldovinetti.

POLITTICO DI PERUGIA, 1447


L’ultima opera di Beato Angelico è il Polittico di Perugia
conservato oggi nella Pinacoteca dell’Umbria. Il pannello centrale
raffigura la Madonna col bambino sul
trono (trono brunelleschiano) con
angeli. In primo piano, Angelico mette
vasi metallici, vasi con fiori e sul ventre
di questi vasi brilla la luce riflessa, il
lustro già visto in Piero ad esempio.
Angelico quindi negli anni di maturità
guarda la pittura delle fiandre (pittura
fiamminga). I pannelli della predella
sono composti con figure piuttosto
piccole e ritraggono le scene della Vita di san Nicola. Qui è
raffigurata la Morte e ascensione di San Nicola.
Sempre del Polittico di Perugia, San Nicola e San Domenico
realizzato proprio per San Domenico a Perugia.
A confronto abbiamo:
DITTICO DI MERLUN, 1450-1455
Qui abbiamo una parte del dittico
realizzato da JEAN FOUQUET, uno dei più
grandi pittori francesi del 400, uno dei più sensibili pittori, anche ai
valori della pittura italiana. È raffigurato Santo Stefano che
protegge il suo protetto, il ministro, con enorme pietra della
lapidazione che aveva colpito Santo Stefano (strumento del suo martirio). Oggi si trova nei
Musei Statali di Berlino. Presenta una sintonia perfetta con gli esiti della maturità
dell’Angelico come la pelle, i riflessi (come nella pietra, nelle pareti, nei panneggi…). Questo
è il rapporto dialettico tra nord e sud delle alpi.
MADONNA DEL LATTE, 1452-1455

Sempre di Jean Fouquet (pittore nordico, fiammingo), nella


Madonna del Latte abbiamo una bellissima invenzione di
angeli rossi e azzurri (cherubini e serafini). Ricerca
stereometrica delle forme.

Ritornando a DONATELLO, nel 1443 viene espatriato per 10 anni verso Veneto, Padova,
Venezia e lì avviene un rinnovamento.
MONUMENTO EQUESTRE AL GATTAMELATA, 1445-1453
Donatello è stato convocato a Padova per realizzare il
Monumento Equestre del Gattamelata (e anche l’altare
maggiore della chiesa di sant’Antonio). Il Monumento
Equestre è un’opera rivoluzionaria perché era la prima volta
che in una piazza veniva realizzato un monumento in bronzo
secondo il modello antico (Marco Aurelio di
Roma). Nel cavallo c’è un richiamo ai cavalli
di San Marco (di Lisipo, Grecia epoca
ellenistica). Naturalismo accentuato rispetto
all’antico, come il muso del cavallo con le
vene tese che emergono, la criniera resa in
maniera naturale, il moto del cavallo reso come palpitante e c’è grande
finezza. Il volto del Gattamelata reso con brutale realismo. Sempre
confronto con Paolo Uccello.
CROCIFISSO PER ALTARE DI SANT’ANTONIO
Donatello cura anche l’Altare di Sant’Antonio a Padova, grande
altare con materiali diversi. Poi venne smantellato e ricostruito
nell’800? in maniera però diversa da com’era inizialmente. Uno
degli elementi è il crocifisso che stava sopra l’altare che
riprende quello giovanile di Donatello. C’è però un’evoluzione
dell’anatomia minuta, resa di un’anatomia vivida, tesa, nervosa
come se ogni nervo, muscolo palpitasse, avesse un dinamismo
interno. Volto reclino, patetico, dolente. Non c’è nulla di sereno,
pacifico in Cristo. Infatti, il pathos è caratteristico di Donatello.
Questa è la ricostruzione dell’altare oggi, è
un’idea degli storici di come fosse in origine:
altare stondato, con pilastri di sostegno e
all’interno dell’altare statue a tutto tondo. Tra le
statue abbiamo la Vergine con il bambino e i 2
Santi San Francesco e Sant’Antonio ai lati tutto in
bronzo. La vergine è singolare anche dal punto di
vista iconografico ricorda l’arte bizantina,
orientale, come il diadema esotico. È come se il
mondo bizantino stimolasse la fantasia di
Donatello. I santi magri, ossuti, anatomia sottile, corpi solcati da pieghe.
Tra le composizioni dell’altare di Sant’Antonio:
rilievi schiacciati. In alto abbiamo il Miracolo
dell’asina che si inginocchia e in basso il
miracolo del cuore dell’avaro. L’articolazione
dello spazio con l’architettura con grandi
arcate a tutto sesto, che incorniciano figure
agitate, mosse in modo drammatico. C’è il
sentimento di stupore, di meraviglia di quelli
che osservano il miracolo. Donatello gioca sugli
effetti della doratura, che serve a dare la luce
riflessa, la quale dà il senso di prospettiva.
Mondo animato, patetico, drammatico e
affollato di figure.

LASTRA TOMBALE DI GIOVANNI PECCI, 1446 CIRCA

Negli anni a Padova, Donatello realizza la Lastra Tombale per


il Vescovo Giovanni Pecci (vescovo di Grosseto) e oggi si
trova al Duomo di Siena. Opera impressionate, è come se
Donatello avesse immaginato il vescovo morto appoggiato
per terra. Si vede questa figura di scorcio, in prospettiva.
La lezione di Donatello si diffonde, oltre a Padova, anche in città come Venezia, Mantova,
Bologna. Questo perché a Padova abbiamo una bottega importante: la bottega del pittore
FRANCESCO SQUARCIONE, pittore che aveva l’abilità di accogliere una serie di giovani
talenti di grande spessore, che venivano anche da Ferrara, bologna ecc…Tra questi giovani
artisti abbiamo: MANTEGNA e MARCO ZOPPO. Tornati nelle città di provenienza diffondono
il linguaggio appreso, i quali hanno assimilato dalle grandi opere di Donatello.
POLITTICO DE LAZARA, 1449-1452
Questo è il polittico di San Girolamo
realizzato da Francesco Squarcione. Al centro
San Girolamo in uno studio nel deserto
seduto in meditazione, ai lati 4 pannelli con
santi diversi. La carpenteria gotico alla
veneta con gattoni rampanti. Se esaminiamo
le figure, soprattutto i santi, sono disposti su
una base marmorea in prospettiva all’antica
con base di marmo, inserzione di marmi neri
al centro. Quello che interessava allo
Squarcione della lezione rinascimentale era l’aspetto antiquario, prendere e inserire nella
propria pittura (in questo caso ancorata al gotico). Un po' un rinascimento superficiale il
suo, come al cento la colonna all’antica.
MADONNA COL BAMBINO, 1445

Realizzata sempre da Squarcione e oggi al Louvre. Il davanzale


dà l’idea di prospettiva, però la figura della Vergine è piatta,
non c’è risalto volumetrico come in Donatello.

ANDREA MANTEGNA, 1431-1506


MADONNA COL BABINO, 1456-1459
Quest’opera è, invece, di ANDREA MANTEGNA e fa parte della
Pala di San Zeno. Mantegna è il pittore della nuova generazione,
riesce a rielaborare la lezione scolastica di Squarcione in termini
di grande originalità.
CAPPELLA OVETARI, 1448-1457
Mantegna inizia a lavorare nella Cappella
Ovetari, si tratta una commissione ad
affresco e su tavola a cui lavorano, oltre al
Mantegna, diversi artisti: Antonio Vivarini,
Giovanni d’Alemagna, Niccolò Pizzolo.
Progressivamente Giovanni d’Alemagna
muore, Antonino Vivarini si ritira, Niccolò
Pizzolo, invece, non è una figura chiara.
Quindi a completare l’opera ci resterà
Mantegna. In seguito, la cappella Ovetari è
stata distrutta da un bombardamento della 2 guerra mondiale e noi possiamo ricostruire gli
affreschi attraversi le vecchie fotografie storiche. Quindi ricostruendo gli affreschi, c’è la
stessa idea dei Miracoli del Santo di
Donatello come le grandi arcate viste in
prospettiva, di scorcio. Quelli che sono per
Donatello degli spunti, in Mantegna quegli
spunti vengono rielaborati in senso
antiquario, archeologico, per la
ricostruzione di un ambiente urbano che
vuole evocare in qualche modo l’antica
Roma. Questa evocazione in Mantegna
deriva anche da Squarcione. Prospettiva
alla fiorentina (frontale) ma addirittura vista in prospettiva dal basso, il sottinsù. Come se
l’osservatore fosse su un livello più basso rispetto a quello che ha davanti. Questo diventa
più teatrale, scenografico. Abbiamo anche il gusto antiquario anche ad esempio nei soldati e
nelle figure. Evocazione nostalgica e, se vogliamo, romantica della Roma antica.
Qui, invece, abbiamo il Martirio e trasporto di San
Cristoforo. La città romana che fa da scenografia
alle figure, c’è perfino il richiamo ad un
acquedotto antico come se stessero su un ponte,
pronao sulla destra, tempo con fregio con
immagini clipeate. In basso 2 tavole che
rappresentano la preghiera nell’orto. Conservate
al National Gallery, una del Mantegna l’altra di suo
cognato Giovanni Bellini (innovatore della pittura
a Venezia). Mantegna aveva sposato la figlia di un
grande Bellini. Qui abbiamo accostato le due
opere, quindi Mantegna con lo stesso soggetto
(1469 più o meno) e Giovanni Bellini con lo stesso tema.
PALA DI SAN ZENO, 1459
Una delle opere giovanili più impressionati di
Mantegna è la grande Pala di San Zeno datata
1459. Abbiamo un grande rinnovamento pittorico:
la carpenteria, rispetto a Squarcione, è classica,
all’antica ma non solo, è come se fosse legata alla
pittura: i pilastri che separano le varie scene con le
colonne scanalate all’antica è parte unitaria della
pittura, come se fosse parte della composizione
stessa, quindi effetto originale. Al centro la
Madonna col bambino e angeli, ai lai santi con
corporature monumentali, massicce della statuaria
romana. Fregi con putti. La predella non è più a
San Zeno ma si trova al Louvre, come la
Crocifissione.
È raffigurato il calvario in cui sono sollevate le
croci di Cristo e i 2 ladroni. La città è costruita
in modo artificiale dove tutto è scolpito, reso
in maniera artificiale, perfino il terreno è
lastricato come le croci. Suggestione della città
in lontananza dominata dalla roccia, città
murata: una Roma tutta inventata.

ACENSIONE, 1563-1564

Oggi agli Uffizi a Firenze. Montagne aspre, panneggi delle figure


come intagliate, aspetto scultoreo.
CAMERA DEGLI SPOSI, 1465-1474
Durante l’attività matura, Mantegna realizza
la decorazione della Cappella degli Sposi a
Mantova. Affresca questa camera nuziale,
che rappresenta episodi minori della vita di
corte della famiglia Gonzaga.
La copertura è rivestita di finti stucchi, come
se l’artista immaginasse una scultura dipinta
e sono raffigurati dei clipei tondi con le teste
dei 12 cesari degli imperatori di Roma che stanno intorno ad un oculo grande aperto verso il
cielo naturale.

Sempre nella Cappella, incontro di Gonzaga


per ricevere il permesso di sposare l’amata. Si
tratta di un’ambientazione realistica della vita
dei Gonzaga, ma all’antica con stoffe preziose
ad esempio.

Incontro del duca Ludovico e il figlio


Francesco, sempre della cappella. Il duca
molto giovane tiene per mano il figlio
minore. Ritratto di famiglia impressionate,
anche dal punto di vista affettivo. Di nuovo
la visione di una Roma antica immaginaria
rocciosa, aspra. Capolavoro di illusionismo
architettonico, finta architettura, marmi
policromi interni ed esterni.

In questo ambiente della camera degli sposi, abbiamo


l’oculo al centro della volta (decorata con busti degli
imperatori) con apertura verso un cielo vero dove sono
raffigurate angioletti che si affacciano dalla balaustra
architettonica e si siedono sulla spalliera. Sono
rappresentate anche poi figure femminili (fantesche), le
quali curiose si affacciano per guardare in basso. Un vaso
di fiori sostenuto bastone di legno per non cadere giu.
MARTIRIO DI SAN SEBASTIANO, 1475

Mantegna, poi, realizza il Martirio di San Sebastiano, oggi al Louvre.


Siamo dentro ad una dimensione eroica di Mantegna, volontà di
rendere l’umanità come se fosse scolpita, una statua classica. In
questo caso appunto abbiamo anche il frammento di una porta
urbica con colonna e arco classico, all’antica. Sullo sfondo la solita
meravigliosa città murata, quasi scolpita, intagliata nella roccia.
Paesaggio aspro, minerale persino nella vegetazione. Perché è una
specie di celebrazione della romanità anche negli aspetti trionfali,
nelle rovine.

CRISTO MORTO, 1475-1478 CIRCA


Mantegna realizza il Cristo Morto e oggi si trova nella
Pinacoteca di Brera, Milano. Qui abbiamo una
prospettiva dal sotto in su. Abbiamo anche una
citazione di Vasari:
“Mostrò costui con miglior modo, come nella pittura
si potesse fare gli scorti delle figure al di sotto in su, il
che fu certo invenzione difficile e capricciosa.”

MADONNA DELLA ROCCIA, 1488-1490


Le rocce, qui, sono quasi consumate, corrose dal tempo. In
fondo c’è una popolazione, di scalpellini che vengono descritti
da Mantegna in modo straordinario (fiammingo). Una tavola
piccola per il collezionismo Francesco de Medici.
Anche qui abbiamo una citazione di Vasari:
“Mentre Andrea stette a lavorare in Roma… dipinse in un
quadretto piccolo una Nostra Donna col Figliuolo in collo che
dorme, e nel campo che è una montagna, fece dentro a certe
grotte alcuni scarpellini che cavano pietre per diversi lavori… il
qual quadro è oggi appresso... don Francesco Medici principe
di Fiorenza, il quale lo tiene fra le sue cose carissime.”
LO STUDIOLO DI ISABELLA D’ESTE, PRIMI ANNI 50
Nei primi anni 50 del 400, a Mantova, Isabella
d’Este è uno dei committenti più importanti in
questa fase delle corti: commissiona a
Mantegna 2 tele per lo studiolo (poi più avanti
si vedrà anche altre tele di altri artisti per lei).
Lei esige in modo pressante dei soggetti
dall’iconografia complessa con virtù, per cui gli
artisti dovevano seguire certi concetti
allegorici. Bellini ad esempio si rifiutò.
Mantegna realizzerà due tele, entrambe con il
trionfo delle virtù. Sono una della fine del 400
e una dei primissimi anni del 500. La prima è
PARNASO e la seconda TRIONFO DELLA VIRTU’.
Abbiamo una resa meno aggraziata, meno
statuaria. Questo ci fa capire come Mantegna
cerca di orientarsi verso le nuove tendenze
mantenendo, però, questo eroismo, gusto
antiquario. Nella prima (Parnaso) la montagna
sembra infuocata con le nuvole che
fuoriescono da dietro nel cielo aperto.

MADONNA DELLA VITTORIA, 1496

Mantegna realizza questa tela per la famiglia Gonzaga e


oggi si trova al Louvre. Fu realizzata per celebrare la
vittoria di Fornovo di Francesco II Gonzaga.
La Madonna col bambino in trono e con i santi intorno, in
particolare santi militari (come san Giorgio), si vuole
ricordare la sconfitta delle truppe di Gonzaga contro i
francesi. Si tratta di una grande pala. Architettura effimera
composta di motivi vegetali intrecciati con festoni, frutta.
Il punto di vista è ribassato.
Tra i grandi talenti della bottega di Squarcione è presente: GIORGIO SCHIAVONE, originario
delle Slovenia (zona adriatica), la costa gran parte sotto il dominio di Venezia.
MADONNA COL BAMBINO, 1459-1460

Schiavone realizza la Madonna col bambino e angeli musici. Lui


spesso si firma “discepolo di Squarcione”. La vergine al
davanzale, cartiglio in primo piano.

Altro artista: CARLO CRIVELLI, artista veneto che lavora prevalentemente sulla costa
adriatica, verso sud (oggi costa romagnola poi marchigiana) fino ad arrivare ad Ascoli.
ANNUNCIAZIONE, 1486

Realizzata per Ascoli e oggi al National Gallery di Londra. Si


tratta di una delle opere più celebri dell'artista, in cui il
connubio tra razionalità prospettica rinascimentale e
decorativismo gotico raggiunge il suo massimo culmine,
facendone uno dei capolavori più significativi del Rinascimento
nelle Marche.

MADONNA COL BAMBINO, 1472-2473


Sempre opera di Crivelli, oggi al Metropolitan Museum di New
York. La sua fu un’arte amata dai collezionisti inglesi. Crivelli
declina la lezione di Squarcione con la Madonna sul davanzale,
con il solito festone di fiori e frutta, tappeto steso. Qui è
presente una grande fantasia e capacità inventiva quasi da
“surrealismo”, per esempio sul davanzale c’è un moscone
enorme con ombra raffigurata in modo sproporzionato
rispetto alle altre figure. I festoni non hanno un aspetto
solenne, sontuoso come l’alloro dell’antico, ma un cetriolo,
della vegetazione e dei frutti di campo, ripresi dalla vita
quotidiana e esaltandoli dal punto di vista epidermico in
queste ricostruzioni incredibili.
MADONNA DELLA CANDELETTA

Crivelli realizza per Camerino, città delle Marche la Madonna della


Candeletta. Oggi al National Gallery. Una Madonna in maestà
rigidamente frontale, splendore dell’abito in tessuto con motivi a
melagrana. L’ornamento grazioso di Crivelli. Grande complesso
architettonico dove l’antico c’è, ma con termini fantasiosi e geniali.

MARCO ZOPPO, 1433-1478


Marco Zoppo, di origine bolognese, si è formato nella bottega di Squarcione. È importante
perché ha riportato in patria questi segni della cultura padovana, inoltre, a Padova viene
segnato anche da Donatello.
MADONNA DEL LATTE, 1453-1455
La Madonna col bambino e putti oggi si trova al Louvre. Gli
angioletti hanno un’umanità infantile e sono movimentati
intorno all’edicola dove è collocato il trono della Vergine.
Inoltre, gli angioletti hanno una matrice donatelliana.
POLITTICO, 1460
Grande polittico del collegio
di Spagna realizzato intorno al
1460. Si tratta di un polittico
ancora con carpenteria gotica, fondo oro, gattoni
rampanti. Le figure: la Vergine col bambino e i santi.
Abbiamo il plasticismo dei personaggi, dei panneggi, come
quello di Maria, segnato da pieghe profonde come in
Donatello, Piero della Francesca.
FERRARA
A Ferrara la signoria più antica dell’Italia padana era quella degli Este. Lionello Este aveva
creato un centro di mecenatismo importantissimo. Inoltre, a Ferrara erano passati Jacopo
della Quercia lasciando la Madonna col bambino, Rogier Van Der Weyden (quindi pittura
fiamminga), Piero della Francesca.
Lo studiolo di Belfiore, fuori Ferrara, è il primo studiolo ispirato al mondo antico (di
riflessione, di lettura e d’ispirazione). Lo studiolo diventa una tipologia architettonica e
ambientale di riferimento nel primo rinascimento. L’unico che rimane, a noi, è quello di
Isabella d’Este. Prima di queste realizzazioni rimaste a noi, abbiamo lo studiolo di Lionello
d’Este che non rimane più la struttura architettonica ma rimangono le tavole:
TAVOLE STUDIOLO DI LIONELLO D’ESTE
come questa allegoria che si trova oggi al National Gallery di
Londra. Probabilmente è la raffigurazione di una musa, difficile è
l’identificazione. Le tavole sono sparse in posti diversi, musei
diversi e questa è la più famosa. L’autore è COSME’ TURA, pittore
ferrarese ma si era formato da squarcione. Qualcosa per il gusto
bronzeo di Donatello lo vediamo anche in questo trono dove è
seduta la figura allegorica. Ad esempio, i delfini mostruosi che
sembrano non in pietra ma in bronzo dorato, con occhi di rubino
che brillano di luce riflessa (pittura fiamminga ha lasciato traccia
nei pittori italiani). Costruzione prospettica della figura.
ANTE DELL’ORGANO DEL DUOMO DI FERRARA, 1469
Sempre di Cosmé Tura abbiamo le ante dell’organo del
Duomo di Ferrara che rappresenta negli sportelli chiusi san
Giorgio e la principessa liberata dal drago. Questo spirito
eccentrico della grande pittura di Tura si riflette in queste
figure patetiche, rese con una minima esagerata, gesti
contratti, paesaggio di fondo con una sorta di montagna
coronata da cinte di mura
tutta di fantasia,
esaltazione della materia
del metallo, l’aspetto
minerale viene esaltata in
questi termini fantasiosi e bizzarri.
All’interno delle due ante, invece, abbiamo
l’Annunciazione. Gli archi lacunari ricordano Donatello,
ovvero l’altare del santo. Tutti prendono spunto da questo
grande altare, ma ognuno a modo suo.
POLITTICO ROVERELLA, 1470-1474
Sempre di Cosmé Tura abbiamo l’Altare Roverella che stava nel
Duomo di Ferrara, polittico smontato con il pannello centrale che
raffigura la Madonna col bambino (oggi al National Gallery).
Costruzione in verticale, stretta con figure collocate una sopra l’altra.
Nell’altare Roverella si
trovava anche la
lunetta, oggi al Louvre,
che raffigura La Pietà:
Cristo morto
sostenuto dalla
Vergine, intorno le pie
donne… Patetismo
dolente molto insistito con tratti forti,
vibranti, che troviamo anche nello
scultore NICCOLO’ DELL’ARCA,
scultore complesso che non ha a che
vedere con Donatello, ma ha forti
affinità (come nelle sculture) con i
pittori come Tura. Queto patetismo
quasi eccessivo, modo vibrante di rendere il dolore con figure
panneggiate, solcate, scavate. Niccolò venne chiamato dell’Arca
perché l’Arca di San Domenico, dove lavorò anche Nicola Pisano e
intervenne anche Michelangelo.

Altro pittore è FRANCESCO DEL COSSA, bolognese ma lavora a Ferrara.


MADONNA COL BAMBINO
Della pittura giovanile, la Madonna col
bambino con paesaggio lontanate,
sottile. Una Madonna collocata anche
alla pittura fiorentina, che discendeva da
Domenico Veneziano. A confronto a
destra la Madonna col bambino di
Domenico per vedere le differenze. E una
Madonna col bambino con ascendenze
fiorentine, rapporti forse anche con Piero
della Francesca.
ANNUNCIAZIONE
Un’opera più matura di Francesco del Cossa è
l’Annunziazione, oggi nella Pinacoteca di Desdra, ma
realizzata per una chiesa di Bologna. Nella predella è
raffigurata la natività. Si tratta di pittura padana, possiamo
vedere anche la lumaca nell’annunciazione rappresentata
enorme. Poi ce l’aspetto epidermico, la resa verosimile del
marmo della colonna e della parete dell’arcata. Questa
esaltazione della materia ricorda Squarcione, rigorosamente
prospettico per la scena,
solennità nel modo di disporre le
figure nello spazio. La cultura di
Cossa è complessa.

APRILE, 1468-1470
Si tratta di un particolare del ciclo dei mesi dell’anno
che Francesco del Cossa insieme a Ercole de’ Roberti e
altri pittori minori realizzarono intorno al 1470. Il ciclo
è stato realizzato nel Salone dei Mesi di Palazzo
Schifanoia a Ferrara. In questo caso si tratta del mese
di aprile che viene rappresentato, come per gli altri
mesi, con allegorie, segni zodiacali, le attività che si
svolgevano in quel mese (soprattutto alla corte di
Ferrara). Qui, nel mese di aprile, ad esempio, abbiamo
richiami allegorici alla primavera. Nella parte inferiore
sono raffigurate le attività che si svolgevano presso
Borso d’Este, duca di Ferrara, con la orsa dei cavalli
celebrata in primavera a Ferrara.

Particolare del mese di aprile: plastico formale, la


grande lezione di Piero si sente.
POLITTICO GRIFFONI, 1472-1473

Due tavole del Polittico Griffoni, realizzato


per la Chiesa di San Petronio a Bologna da
Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti.

Questa è la ricostruzione del


Polittico Griffoni, era dedicato a
San Vincenzo (domenicano). Infatti,
lui è il santo raffigurato nel
pannello più importanti. San
Vincenzo, figura straordinario del
taglio ribassato disposto su un
basamento di una colonna coperto
da una tovaglia rossa, col piede
appoggiato sul bordo del
basamento per sottolineare anche
la bravura dell’artista nello scorcio.
Dietro, in prospettiva, un paesaggio
in rovina (spirito romantico antico,
dimensione nostalgica). A destra di San Vincenzo è raffigurata Santa Lucia. I pannelli si
trovano in musei diversi, il pannello di San Vincenzo si trova al National Gallery di Londra.
ERCOLE DE’ ROBERTI (DETTO ANCHE ERCOLE FERRARESI)
Un altro grande pittore che collabora con Francesco del Cossa al ciclo dei mesi di Schifanoia
è ERCOLE DE’ ROBERTI, chiamato anche Ercole Ferraresi. Nativo di Ferrara e più giovane di
Cossa.
Questi sono i particolari del mese di
settembre: a sinistra la cucina di Vulcano
(fabbro) che lavora. A sinistra la moglie di
Vulcano, Venere che fa l’amore con
Marte. Pieghe delle lenzuola taglienti
come le rocce, tuniche piegate in modo
astratto, taglienti. Risalgono forse a una
matrice donatelliana ma, come ogni
artista, declina in modi fantasiosi.
Insieme a Cossa, Ercole lavora anche alla predella
del Polittico Griffoni. Paesaggio da rovina che
diventa ancora più plastico. L’episodio di San
Vincenzo che spegne un incendio e salva un
bambino. Le figure umane si muovono dentro a
questo paesaggio antico come l’arco di trionfo,
panneggio sollevato con pieghe astratte.

VERGINE IN TRONO COL BAMBINO, 1479-1481


Ercole de’ Roberti, con il tempo stempera queste bizzarrie,
acutezze, come questa tavola della Pinacoteca di Brera: La
Vergine in trono col bambino, i Santi Anna, Elisabetta,
Agostino e il beato Pietro degli Onesti. Si va verso
composizioni molto più classiche, pacate, armoniche,
equilibrate e si tratta delle opere realizzate da Ercole tra gli
anni 70 e 80.

ISABELLA D’ESTE NEL REGNO DI


ARMONIA, 1505-1506
Siamo agli inizi del 500 si tratta di una
delle allegorie che un pittore bolognese
realizzò per lo studiolo di Isabella d’Este,
LORENZO COSTA, allievo di Alberti. Il
Classicismo prematuro o proto-
classicismo di inizio 500 ha il suo
protagonista, ovvero Lorenzo Costa.
Abbiamo la figura della stessa Isabella
incoronata dalle virtù con l’amorino
alato.
RITRATTO DI GIOVANNI II BENTIVOGLIO

Il ritratto è stato realizzato da Ercole de’ Roberti e rappresenta


Giovanni II Bentivoglio, signore di Bologna. È una delle ultime
opere di Ercole.

UN CONCERTO

Quest’opera, invece, è stata realizzata nei primi anni del 500 da


Lorenzo Costa e si trova oggi al National Gallery di Londra.
Quindi, si passa al proto-classicismo di Costa con i primi anni
del 500.

Continuando con le corti italiane: a quella di Ferrara lavora Pisanello, alla corte di Rimini
lavora Piero della Francesca, a Mantova Leon Battista Alberti per Ludovico Gonzaga in due
chiese.
MEDIAGLIA DI LEON BATTISTA ALBERTI, 1446-1450 CIRCA

Alberti realizza un autoritratto in una medaglia in bronzo


realizzata per sé. Volto ricorda una figura saggia dell’antichità,
dimensione intellettuale. L’occhio alato simbolo dell’umanista.
ANTONIO DI PIETRO AVERLINO, DETTO IL FILARETE 1400-1469
Tra le corti italiane a quella di Roma (al tempo di Eugenio IV) viene convocato ANTONIO DI
PIETRO AVERLINO, detto il FILARETE, architetto di origine fiorentina ma operoso tra Roma e
Milano.
PORTA DEL FILARETE, 1433-1445
Filarete realizza questa grande porta
bronzeo per la Basilica di San Pietro a Roma.
Il modello è quello delle porte del Ghiberti.
Filarete realizza le cornici della porta
all’antica come Ghiberti, però in Filarete c’è
un’ambizione antiquaria più accentuata. In
una delle formelle in basso della porta,
ovvero il Martirio di Piero, possiamo vedere
come la prospettiva sia un po’ fragile, figure
allineate una sull’altra senza senso di
profondità.

STATUETTA IN BRONZO DI MARCO AURELIO


Filarete realizza questa piccola statuetta n bronzo che raffigura
Marco Aurelio e si tratta della coppia. Possiamo richiamare così
l’affresco di Lippi, una storia di San Domenico con la raffigurazione
di Marco Aurelio, dove si trovava allora nel 400, quella originale
davanti al Laterano.

CAPPELLA NICCOLINA, 1447-1448

Ritornando a BEATO ANGELICO, egli realizza nella Cappella


Niccolina, in Vaticano, gli affreschi commissionati da
Niccolò V con storie di Santo Stefano e San Lorenzo.
Inoltre, si tratta dell’unica testimonianza di Angelico a
Roma.
Impianto architettonico che fa
da teatro a Santo Stefano e a
San Lorenzo. Il papa che
consegna a San Lorenzo il
tesoro di San Pietro per
donarlo ai poveri di Roma.
Distribuzione delle ricchezze ai
poveri a destra. Architetture
che fanno da fondale non solo
in prospettiva ma rivestite di
marmi policromi con in Alberti.

IL TEMPIO MALATESTIANO, 1450


LEON BATTISTA ALBERTI, non solo umanista e
autore di ben 3 trattati sulle arti, realizza anche
degli edifici, come il Tempio Malatestiano. La
decorazione dell’esterno della chiesa di San
Francesco (chiesa gotica) che Alberti realizzò su
commissione di Sigismondo Malatesta. Questo
progetto però non andò
in porto, non fu
concluso, però abbiamo una medaglia che ci mostra come doveva
apparire la facciata secondo l’Alberti con triplice arcata, 3 fornici
dell’arco romano, 3 semicolonne e con la copertura a cupola
emisferica come quella del pantheon (Roma antica). Si tratta di una
copertura che doveva superare quella del Brunelleschi in Santa
Maria del Fiore. Parlando dell’opera non conclusa: il rivestimento
esterno della chiesa di San Francesco si presenta innovativa. Nella facciata motivi, marmi di
diversi colori secondo i principi dell’architettura romana, non presente in Brunelleschi.

INTERNO DEL TEMPIO MALATESTIANO:


L’elemento plastico e architettonico fu
realizzato a seguito dell’Alberti, lui non
interviene all’interno del tempio. Scultori e
pittori ornano il dentro secondo i nuovi
parametri rinascimentali fiorentini.
AGOSTINO DI DUCCIO, 1418-1481
Il maggior scultore operoso all’interno del Tempio
Malatestiano è AGOSTINO DI DUCCIO. È raffigurata
una danza di putti. Si mostra allievo di Donatello,
infatti a confronto abbiamo un putto di Donatello (a
destra).

Altro motivo di Agostino di Duccio, angelo reggi cortina:


forma iper-decorativa dove la linea di contorno diventa
una cifra ornamentale, non a creare spazio e profondità. E
come un tradimento a Donatello.

ORATORIO DI SAN BERNARDINO, PERUGIA


Agostino di Duccio lavora anche a Perugia nell’Oratorio di San
Bernardino. Nella lunetta, Agostino di
Duccio raffigura San Bernardino all’interno
di una mandorla sorretta da angeli. E nel
portone abbiamo figure di angeli musici,
sempre
ornamentale.

MADONNA DEL CARMINE


Sempre di Agostino di Duccio, la Madonna del Carmine è una
delle più importanti opere dell’artista e oggi si trova al Bargello.
Pieghe mosse, ondulate, la lezione di Donatello a Firenze viene
sottilmente tradita per l’adozione di un attenzione alla grafica,
al linearismo lontana da Donatello e da Masaccio.
Parlando di rilievi della Madonna col bambino anni 50/60 del 400, abbiamo 2 scultori che
avevano collaborato con Donatello: DESIDERIO DA SETTIGNANO e BERNARDO ROSSELLINO.
DESIDERIO DA SETTIGNANO

MADONNA COL BAMBINO


Desiderio comincia a lavorare nei primi anni 50 e muore nel 1463 e
la sua fu un’attività intensa. Questa Madonna col bambino del
Bargello è un esempio di come la lezione donatelliana viene
declinata in queste forme aggraziate, gentili e anche con una
consapevolezza prospettica, volumetrica della lezione di Donatello.
La mano della vergine dietro la coscia del bambino si vede di
scorcio, quindi è presente la profondità. Tutto però è privo di quel
pathos, la drammaticità di Donatello.
MONUMENTO FUNEBRE DI CARLO MARSUPPINI, 1453-1455
Desiderio realizza anche il celebre Monumento Funebre di Carlo
Marsuppini a Firenze. Marsuppini era un cancelliere di Firenze
(cancellieri: erano dei letterati, degli studiosi che avevano anche
cariche politiche della repubblica, erano quelli che gestivano la
repubblica estera). Alla morte di Carlo Marsuppini viene realizzato
questo monumento a spese della repubblica. Il monumento è
ispirato al Monumento di Leonardo Bruni (il predecessore di
Marsuppini) realizzato da BERNARNO ROSSELLINO.

MONUMENTO FUNEBRE DI LEONARDO BRUNI


Bernardo Rossellino, seguace di Luca della Robbia, imposta il
monumento di carattere umanistico, che poi Desiderio replicò per il
Monumento Funebre Marsuppini. Rossellino si richiama ai precedenti
di Donatello e Michelozzo. Abbiamo un’impronta classica con una
tomba col l’arco all’antica, coi pilastri di ordine classico, arco a tutto
sesto decorato col vocabolario degli antichi. All’interno della nicchia,
l’unico elemento che richiama il cristianesimo è la Madonna col
bambino, il resto è tutto improntato alla scultura romana, dove anche
i simboli del cristianesimo sembrano in qualche modo meno evidenti,
in secondo piano.
MARSUPPINI Volto dei due morti dei Monumenti Funebri di
Bernardo Rossellino (a sinistra) e Desiderio da
Settignano (a sinistra). Possiamo vedere grande
realismo e gusto per l’antico spiccato in Rossellino.
Desiderio, vediamo lui come scultore e poi come
grande architetto negli anni successivi. Bernardo
solo scultore. Il viso del Monumento Marsuppini con
il cuscino sotto la testa: senso della sintesi.
BRUNI

Altri dettagli dei due monumenti funebri: del


monumento Marsuppini figura con il piumaggio,
pelo delle zampe, modo di graffiare quasi il marmo
con lo scalpello da parte di Desiderio. Senso
atmosferico particolare.

Del monumento funebre Marsuppini: decorazioni


intrecciate, sottile incisione della superficie marmorea.
LUCA DELLA ROBBIA ROSSELLINO

Abbiamo una tipologia che è stata elaborato


per prima da LUCA DELLA ROBBIA in
Sant’Egilio, tipologia seguita anche nel
tabernacolo di BERNARDO ROSSELLINO nella
chiesa di Sant’Ambrogio (seguace di luca
della Robbia).

Infine, abbiamo il TABERNACOLO di DESIDERIO DA SETTIGNANO.


Molto più monumentale e complesso, rispetto ai due precedenti,
perché l’edicola è in prospettiva, con il pavimento su cui sono
collocati 2 angeli ai lati che reggono una croce, la copertura a
cassettoni all’antica, in basso abbiamo un basso rilievo che
raffigura La Pietà: vergine con cristo morto.

L’opera più singolare è data però dal BAMBINO RIDENTE di DESIDERIO DA


SETTIGNANO, oggi al Museo Statale di Vienna. Non lo sappiamo chi
raffigura, sappiamo solo che si tratta di un ritratto di un bambino. Qui
abbiamo una modernità tale, un bambino che ride senza freni, termini
molto naturalistici, vivi (siamo circa nel 1450). Il modo di rendere i capelli
morbidi, soffici sulla nuca del bambino è molto naturale.
ANTONIO ROSSELLINO
Un altro importante scultore della metà del 400 (anni 60) è il fratello di Bernardo Rossellino,
ANTONIO ROSSELLINO ed era soprattutto uno scultore.
MONUMENTO FUNEBRE, 1475-1490
Il capolavoro di Antonio Rossellino è il
Monumento Funebre. La cappella è dedicata
al Cardinale di Portogallo morto giovane a
Firenze e dove soprattutto i Medici poi le
autorità dedicano questo Monumento. Nella
Cappella lavorano vari artisti e nella parte di
fondo si trova il monumento sontuoso
dedicato al personaggio. Il gisant al centro
sul sarcofago. Abbiamo 2 putti che reggono
un panneggio e due angeli in ginocchio ai lati del sarcofago.
Come Bernardo, anche Antonio ha fatto un tondo con la Madonna col bambino circondata
da 2 angeli.

PALAZZO RUSCELLAI, 1446-1451


Ritornando all’architetto LEON BATTISTA ALBERTI, realizza in
questo decennio, prima di morire nel
Palazzo Medici
1472, questo palazzo per Giovanni
Ruscellai, che segue in qualche modo
l’impostazione del palazzo medici
(autore Michelozzo) col la suddivisione
in 3 ordini distinti. Alberti, però,
elabora la strutta in forme ancora più
all’antica. Nel piano inferiore la
facciata presenta 2 porte architravate
e lesene piatte di ordine dorico; nel
piano superiore, invece, abbiamo l’ordine ionico e infine nell’ultima parte ordine corinzio.
CORONAMENTO SANTA MARIA NOVELLA
Sempre per il Ruscellai, Alberti realizza
anche il coronamento della facciata di
Santa Maria Novella (la parte bassa fu fatta
in periodo gotico). Lui inserisce un grande
fregio nella parte inferiore e per la parte
superiore un’edicola architettonica di
forma rettangolare con iscritto il cerchio
del rosone. Le forme tendono al
geometrico, alla perfezione della forma geometrica fino al triangolo del coronamento che è
il timpano con un altro tondo. Ai lati dell’edicola superiore, Alberti inserisce due volute che
hanno una soluzione pratica: devono coprire le strutture gotiche che stanno dietro. Questa
facciata con questa soluzione diventerà canonica nella seconda metà del 500, il periodo
della controriforma.

Alberti ha lavorato anche a Mantova per due chiese:


SANT’ANDREA, grande navata con piccole cappelle ai lati per dare più risalto a quella
che è la cappella principale su cui si proietta la luce dall’alto.
SAN SEBASTIANO, che è una chiesa elevata su una struttura, si accede ad una chiesa
vera e propria con una scalinata. La facciata ricorda il Tempio Malatestiano.

SANT’ANDREA SAN SEBASTIANO

DUOMO DI PIENZA, PROVINCIA DI SIENA


Progettata da ROBERTO ROSSELLINO in sodalizio quasi con
il pontefice e realizzata da ALBERTI: dialogo stretto tra Papa
Pio II° e Alberti. A Pienza vediamo quello che non possiamo
vedere a Roma. La facciata di Pienza, senza riprende la
facciata di Rimini del Tempio Malatestiano, con le
semicolonne tipico dell’antichità, modo di scandire la
superficie con archi a tutto sesto quasi a evocare l’arco di
trionfo romano e il timpano triangolare. Papa Pio II° è papa per pochi anni, negli ultimi anni
quando cominciano i cantieri di Pienza.

L’interno del duomo di Pienza: Papa Pio II° era molto


determinato delle sue scelte, imponeva delle norme
precise e qui voleva evocare questi grandi finestroni ad
arco acuto ogivale quasi da architettura gotica
fiammeggiante, voleva evocare l’architettura gotica.

DONATELLO torna da Padova nel 53/54 e trova un panorama


scultoreo radicalmente cambiato e non a lui favorevole, ovvero la
scultura che recupera l’antico, ortodossia classica che era estranea
al gusto di Donatello. Forme sottili, graziose, gentili che
contraddicono l’impero di Donatello. Vasari dice che queste
difficoltà portarono a lasciare Firenze da Donatello per soggiornare
a Siena. Lavora lì ad un’impresa: le porte bronzee della cattedrale
che poi non furono mai realizzate da Donatello. Sono anni in cui
lascia una statua per San Giovanni, per questa cappella progettata a
partire dagli anni 80 del 400 statua grand in bronzo che rappresenta
San Giovanni come un santo precursore, un profeta, figura magra
con una mimica incisiva come le braccia che si muovono quasi a
seguire un impeto interiore, volto scavato, veste di cammello resa in termini approssimativi
ma efficaci.

LORENZO DI PIETRO detto IL VECCHIETTA realizza per la chiesa della


Santissima Annunziata, a Siena questo CRISTO RISORTO (1476) in
bronzo. Figura magra, ossuta. Vecchietta aveva chiesto di essere
seppellito nella Chiesa della Scala. dove ha
messo questa statua. Poi sarebbe stata
collocata sull’altare maggiore della chiesa.
Vecchietta riprende la lezione donatelliana
rendendo le forme più levigate, eleganti.
A destra altri esempi di figure allungate di
Donatello.
MADONNA DEL PERDONO, 1457-1459
Realizzata da Donatello a Siena, collocata per la Cappella
della Madonna delle Grazie nel Duomo di Siena e poi fu
rimontato all’esterno della cattedrale. In questo tondo
con la Madonna col bambino e angeli, Donatello ha
realizzato la figura della Vergine vista dal basso (perché
Donatello immaginò il fatto che gli osservatori
guardavano dal basso) quindi la realizza di scorcio.

GIUDITTA E OLOFERNE
Gruppo scultoreo in bronzo dove Giuditta è una figura di
eroina biblica, quasi il simbolo della libertà contro
l’oppressore e che diventa una figura utopica come il David
contro il Golia. Fu disposto in Piazza della Signoria.

PULPITO DELLA RESURREZIONE E PULPITO DELLA PASSIONE, DOPO IL 1460


Le ultime 2 opera di Donatello prima di
morire sono i 2 Pulpiti per la Chiesa di San
Lorenzo. L’amico Cosimo de Medici gli offre
2 pulpiti bronzei per la chiesa, i quali sono
collocati su 4 colonne di marmo e sono
opere colossali a cui Donatello lavora con
altri collaboratori, alcuni addirittura venuti
da Padova. Il pulpito della Passione è
dedicato alle Storie di Cristo e il pulpito della
Resurrezione alle storie San Lorenzo. Il genio
creativo di Donatello: immagina e realizza
delle composizioni a basso rilievo densissime di figure. Ogni elemento, ogni minimo
dettaglio è ricoperto con decorazioni all’antica, con figure.
Abbiamo sopra la flagellazione di Cristo e sotto
l’incoronazione di Spine di Cristo. Gli spazi architettonici
scenografici qui si caricano di figure all’antica, di pathos,
scene tragiche del martirio. Questo modo di rappresentare
di Donatello è nuovo e ci troviamo appunto della sua piena
maturità (poco prima di morire), rispetto a lui giovane.
Altro dettaglio: altare di San Lorenzo: Martirio di San
Lorenzo.

Altri dettagli: sepoltura di Cristo con figure che debordano,


sono tante e in movimento che nemmeno le cornici agli angoli
riescono a contenerle, fuoriescono dalla scena e si
soprappongono alle cornici dei rilievi.

FRANCESCO DI GIORGIO, 1439-1502


Fra i scultori senesi che risentirono della lezione di Donatello: FRANCESCO FI GIORGIO,
allievo del Vecchietta e che, quindi, appartiene ad una generazione successiva. Due
bassorilievi realizzati per Urbino.
DEPOSIZIONE DELLA CROCE
Realizzata su commissione di Federico da Montefeltro. Accortezze
utilizzate della tecnica dello schiacciato donatelliana. Senso del cielo
mosso con gli angeli mossi intorno alla croce. Pieghe dei panneggi rese
in modo delicato ma anche rilevate con tanta maestria, abilità secondo
lo schiacciato di Donatello. Oggi conservata a Venezia nella Chiesa del
Crimine.

FLAGELLAZIONE DI CRISTO
Oggi alla Pinacoteca Nazionale dell’Umbria. Cristo raffigurato alla
colonna con pilato e i carnefici che si accaniscono contro di lui.
Impianto architettonico della scena che riflette le riflessioni di
Francesco di Giorgio? Tempio antichizzante, un anfiteatro sulla
destra, quindi, una specie di Roma antica che fa da scenario
architettonico alla raffigurazione.
I DUE ANGELI
Sempre di Francesco di Giorgio i due angeli. Siamo anni 90 del
400 dopo il ritorno da Urbino.

INCORONAZIONE DI MARIA
Francesco di Giorgio è stato anche pittore, infatti abbiamo
l’Incoronazione della vergine della Pinacoteca di Siena.

Due opere emblematiche: Deposizione e Pala di


Brera.

Francesco di Giorgio viene


ricordato anche IL CORTILE
D’ONORE, sempre a Urbino.
GIUSTO DI GAND, 1430-1480
A Urbino, approdano alla corte anche artisti di cultura fiamminga come GIUSTO DI GAND.
Giusto di Gand arriva in Italia poco prima di realizzare quest’opera. Lui ha lavorato
soprattutto a Gand (Belgio) insieme HUGO VAN DER GOUES.
PALA DEL CORPUS DOMINI, 1467-1468
Questa è una scena della Pala: istituzione
dell’eucarestia che nasce con l’ultima cena
quando Cristo distribuisce il pane (l’ostia
consacrata) agli apostoli intorno a lui. Il dipinto
ha ben poco a che fare con la cultura italiana.
Abbiamo spazio contratto, figure disposte quasi a
ventaglio, panneggi siglati da pieghe lamellate,
quasi metalliche che non rendono il senso del
corpo sottostante. Dipinto tipico dei fiamminghi.
Sono presenti nell’opera anche Federico da
Montefeltro con il figlio (commissionò l’opera).
Alla Pala di Urbino lavora anche Paolo Uccello
alla predella verso fine anni 60 del 400. Qui
abbiamo il MIRACOLOL DELL’OSTIA
CONSACRATA.

RITRATTO DI FEDERICO DI MONTEFELTRO CON FIGLIO, 1475-77


L’opera è stata realizzata da PEDRO BERRUGUETE e raffigura
Federico di Montefeltro che legge un libro dopo aver
depositato sul pavimento le armature come a ricordare che era
un uomo di guerra, ma anche attento a quella che era la cultura
umanistica, infatti, viene rappresentato mentre legge. Accanto
a lui il figlio. Pedro era uno scultore castigliano (Spagna, Toledo
capitale di Castiglia) che a Urbino lavora per Federico. Capacità
di sintetizzare il lume fiammingo, la realtà minuta dei
fiamminghi, la prospettiva con il senso dello spazio visto da
sotto in su, vista dal basso secondo i principi della cultura
italiana
FRA CARNEVALE, pseudonimo di BARTOLOMEO DI GIOVANNI CORRADINI

EPISODI VITA DI MARIA


Raffigurano la Nascita di Maria (a
sinistra) e l’entrata al Tempio (a
sinistra). Alle tavole venne attribuito
come artista IL MAESTRO DELLE
TAVOLE BARBERINI in quanto era
anonimo, si scoprì solo del 2000 chi
fosse il maestro, ovvero Fra Carnevale.
Pittore originario dell’Umbria, spostato
poi a Firenze per imparare la pittura
nuova. Lui lavora anche con Lippi, poi
torna a Urbino dove realizza queste due tavole forse su commissione di Federico
Montefeltro nel 1477 per una Chiesa di Urbino. Abbiamo una ricerca prospettica
straordinaria, è più un teorema prospettico rispetto alle figure, neppure si riesce a capire
bene il soggetto se non si studia bene, la cosa che attira la nostra attenzione è proprio
l’architettura.
ANNUNCIAZIONE
Sempre di Fra Carnevale è l’Annunciazione al National
Gallery di Washinton. L’annunciazione richiama quella di
Domenico Veneziano di Filippo Lippi. Quindi Fra Carnevale
guarda da una parte alla pittura di luce di Domenico e
dall’altra quella di Lippi.

Domenico Veneziano Filippi Lippi


Continuando con le CORTI ITALIANE: la corte, l’unico regno sulla penisola italiana era
REGNO DI NAPOLI. Ci fa capire che la Corte di Napoli tra la seconda metà del 400 è davvero
uno dei centri più importanti di carattere politico, umanistico e culturale. Napoli, negli anni
40 del 400 era stata una capitale molto contrastata per quanto riguarda la politica, gli
Angioini e gli Aragonesi si confrontarono per il Mezzogiorno. Napoli è sotto il dominio degli
Angiolini, in particolare sotto il RE RENATO D’ANGIO’, che diventa Re di Napoli dal 1438
(quando arriva dalla Provenza a Napoli) fino al
42. Anni determinati perché era un re senza
trono, andava alla ricerca del proprio torno
migrando per il mediterraneo. Era una figura
interessante, un po’ romantica per certi versi,
era un grande uomo di cultura, estimatore
della pittura nordica. Alcune opere
emblematiche del periodo aragonese: anni 40
del 400: ARCO DI TRIONFO DI ALFONSO dove
lavorarono scultori di diverse provenienze,
come da Napoli e Toscana.

LA PITTURA DI NAPOLI - COLANTONIO


La figura determinante è quella di COLANTONIO, opera tra anni 40 e 50 del 400. Dal punto
di vista politico i suoi avversari erano gli Aragonesi e gli Angioini, ma per quanto riguarda la
cultura erano vicini. Le regioni della Francia, della Spagna in quest’epoca di metà 400, erano
sostanzialmente province fiamminghe, di forte influenza fiamminga. Colantonio pittore
napoletano, ma di cultura più fiamminga che fiorentina.
CONSEGNA DELLA REGOLA FRANCESCANA, 1445
Questa tavola celebre raffigura, appunto, la consegna
della regola dove San Francesco consegna la regola ai
francescani e alle clarisse. Grande icona che stava nella
chiesa di San Lorenzo a Napoli e oggi si trova al Museo
Nazionale di Capodimonte a Napoli. Al centro è
raffigurato San Francesco in maniera quasi schematica,
consegna i libri della regola. Il fondo oro rameggiato, il
pavimento è quadrettato come usavano gli artisti
fiorentini, ad esempio Donatello, per la profondità. Qui
però lo spazio non è misurato, è uno spazio quasi
ribaltato. Le figure, i panneggi tutti siglati da pieghe
come nei pittori fiamminghi. Non c’è l’idea di coprire la figura con il mantello e suggerire la
forma plastica. Il pittore che ha più condizionato Colantonio è il maestro Barthélemy d'Eyc.
Barthélemy d'Eyc (francese) realizzò
quest’Annunciazione nella cittadina della Provenza in
cui Re Renato andò dopo che fu cacciato da Napoli. Il
pittore è stato sempre l’ombra del Re Renato, è
sempre stato legato a questo personaggio.
L’annunciazione con la Madonna: senso di spazio non
matematico, come in Brunelleschi, ma fa intuire la
profondità dello spazio.
SAN GIROLAMO NELLO STUDIO, 1445-1446
Colantonio realizza anche questa tavola: San
Girolamo nello studio che toglie la spina dalla
zampa del leone secondo la leggenda e, secondo
sempre la leggenda, la belva
divenne poi suo compagno
fedele. Vestito da
francescano (commissione
francescana) conservata al
Museo Nazione di
Capodimonte. La libreria è
un riflesso di un’opera di Jan
van Eyck che era in Italia in quel periodo e realizzò anche lui San
Girolamo nello studio.

ANTONELLO DA MESSINA, 1430-1469


Colantonio aveva in bottega a Napoli un allievo geniale che nei primi anni 50 si formò:
ANTONELLO DA MESSINA.
CROCIFISSIONE
Nella sua bottega di Colantonio, Antonello da Messina realizza la
Crocifissione che oggi si trova a Madrid. Si tratta di un’opera
molto fiamminga con il senso della profondità, resa del
paesaggio lontanante in modo naturalistico, c’è un senso reale
dell’abitabilità dello spazio che va oltre la lezione di Colantonio.
CROCIFISSIONE
Antonello da Messina realizza anche un’altra Crocifissione che
si conserva a Bucarest, in Romania. una sintesi tra le novità
fiamminghe e quelle italiane. In lontananza si vede lo Stretto di
Messina. I corpi giovane dei due ladroni sono visti di taglio, in
prospettiva. C’è una capacità di coniugare la cultura polentina
(nordica, fiamminga) con quella mediterranea grazie alla
lezione degli italiani.

SAN GIROLAMO PENITENTE NEL DESERTO, 1460-1465


confronto con dipinto di Piero
della Francesca, entrambi
raffigurano San Girolamo. La
conservata a Reggio Calabria.
Anche qui vediamo la cultura
fiamminga con il prato in primo
piano, le rocce definite, le
pieghe della veste in modo
fiammingo. La capacità di
rendere il volume del corpo,
come il crocifisso in lontananza. PIERO
ANTONELLO

MADONNA BENSON, 1474-1477


Antonello, dopo il soggiorno a Napoli torna a Messina per
poi compiere nuovi soggiorni. La Madonna Benson oggi si
trova della National Gallery di Washington. L’opera riflette
uno studio sulla forma della pittura italiana che ha visto
forse a Firenze, Roma; oppure in Provenza, dove potrebbe
essere approdato e aver studiato meglio i pittori come
Barthélemy d'Eyc. Qui però vediamo tanto della pittura
italiana. Quindi forse ha soggiornato a Roma, per poi
realizzare questo capolavoro.
SALVATOR MUNDI, 1565-1475 CIRCA
Si tratta di un’opera molto dibattuta anche per quanto
riguarda la cronologia, sempre di Antonello da Messina, e
oggi si trova a Londra al National Gallery. L’opera raffigura
Cristo benedicente. Qui abbiamo l’iconografia fiamminga,
come la soluzione della luce riflessa, i capelli che
sembrano quasi bagnati… Se
guardiamo da vicino, ad esempio
le mani, le falangi si proiettano in
uno spazio articolato, molto
razionale secondo i principi della
cultura prospettica fiorentina.
C’è stato un pentimento da parte
di Antonello perché in un primo momento voleva rappresentare le dita in modo rigido,
schematico; ma in un secondo tempo rilavora a questo dipinto e pensa a queste dita
proiettate, a questo spazio dove anche l’orlo della piega dà il senso di prospettiva. Quindi
Antonello cambia il suo dipinto e lo rende più accattivante.

ANNUNCIATA DI PALERMO
Facendo un confronto con quest’opera, sempre di Antonello,
anche qui notiamo il gioco di mani messe di scorcio in uno
spazio misurato.

POLITTICO DI SAN GREGORIO, 1473


Oggi nella Galleria Nazionale di
Messina (Sicilia). Il polittico è
deteriorato per i terremoti purtroppo,
noi vediamo la volontà di rendere
queste figure stereometriche,
collocate in uno spazio perfettamente
abitabile.
ANNUNCIAZIONE, 1474
Oggi al Museo di Siracusa. Anche qui abbiamo una
tavola deteriorata, la superficie rovinata, ma
ancora mostra tutta la forza della cultura di
Antonello dei primi anni 70, dopo il soggiorno in
oriente, ovvero: la cultura mediterranea,
fiamminga e la cultura prospettica fiorentina.
Percorso diverso di quello di Piero della Francesca
che parte dalla cultura fiorentina fino alla
fiamminga. Con Antonello sintesi di culture.

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