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MASACCIO

VITA

È ritenuto, insieme ai suoi amici Leon Battista Alberti, Brunelleschi e Donatello, uno
dei padri fondatori del rinascimento. Il suo vero nome era Tommaso di Ser
Giovanni di Mone Cassai e divenne Masaccio perché, secondo Vasari, era così
profondamente preso dall’arte da non dedicare attenzione alle vicende del mondo
e tanto meno al modo di vestire.

Questo celebre artista toscano nacque il 21 dicembre 1401.

Figlio di notaio e nato in una famiglia di costruttori di casse di legno (il suo vero
nome era Tommaso di ser Giovanni di mone cassai). Come dice il Vasari fu detto
da tutti Masaccio non già perché fosse vizioso essendo egli la bontà naturale ma
per tanta trascurataggine; egli infatti si curava poco di se e degli altri
concentrandosi esclusivamente sulla sua arte.

Masaccio è considerato il fondatore dell’umanesimo in pittura accanto ad altre


importanti personalità come quelle di Donatello e di Brunelleschi.

Egli ebbe il coraggio di rifiutare lo stile dell’epoca dominate sulla scena


internazionale (il gotico) per lasciarsi invece ispirare dai suoi più innovativi
contemporanei e conterranei; fu cosi che facendo propria la plasticità di Donatello
ed incorporando nelle sue opere la prospettiva di Brunelleschi, Masaccio diede
vita allo stile rinascimentale.

Masaccio giunse a Firenze nel 1417 e dimostrò il suo talento con il trittico di san
giovenale.

In soli sei anni – questo è il periodo in cui la sua attività è documentata –


Masaccio ha rivoluzionato la pittura rompendo i legami con la cultura artistica
delle generazioni precedenti e aprendo la strada alla maniera moderna. La novità
della sua pittura consisteva nel dare maggiore plasticità ai corpi – perseguendo
una strada aperta da Giotto e culminata in Donatello – unendola alle scoperte
prospettiche di Brunelleschi, così da creare così figure più tridimensionali e dalla
forte carica espressiva. 

Un giovane trasandato

Conosciuto universalmente come Masaccio, il suo vero nome era Tommaso


Cassai. Secondo Giorgio Vasari, il biografo degli artisti, il soprannome deriverebbe
dalla sua trascuratezza nel vestire e dallo scarso interesse per «le cure o cose
del mondo». Addirittura sembra che fosse poco interessato al denaro, tanto da
non riscuotere i crediti dai suoi debitori se non quando si trovava in «bisogno
estremo».

Esiste, con molta probabilità, almeno un suo autoritratto: secondo molti, il


pittore rappresentò sé  stesso nella cappella Brancacci presso la chiesa di Santa
Maria del Carmine a Firenze. Stando a questa immagine, aveva una folta
capigliatura riccia, il naso lungo e il volto non particolarmente interessante.

Nacque il 21 dicembre 1401 a Castel San Giovanni in Altura (oggi San Giovanni
Valdarno, non lontano da Arezzo) in una famiglia agiata. Suo padre Giovanni era un
notaio, mentre i suoi avi probabilmente svolgevano la professione di cassai
(una sorta di mobilieri), da cui sarebbe derivato il cognome. La madre, invece,
si chiamava monna Jacopa. Non si sa molto della donna se non che era nata
attorno al 1382 e che proveniva da una famiglia di osti di Barberino di Mugello. 

Il padre di Masaccio morì quando lui aveva circa cinque anni. La madre, all’epoca
incinta del secondo figlio, decise di non chiamare quest’ultimo Vittore come
previsto ma Giovanni, in onore del genitore scomparso. Da adulto divenne
anch’egli artista e fu soprannominato “Scheggia” per via del suo aspetto
gracile. Intorno al 1412 la madre si risposò con Tedesco di Maestro Feo, un uomo
molto più anziano che faceva lo speziale. I rapporti dei due fratelli con il
patrigno non furono mai buoni, tant’è che si trasferirono per qualche tempo
dai nonni paterni. 

L’arrivo a Firenze e l’incontro con Masolino

A diciassette anni Masaccio è documentato come «dipintore», ma non è chiaro


dove sia avvenuta la sua prima formazione. L’ipotesi più plausibile sembrerebbe
Firenze, anche se alcuni studiosi propongono San Giovanni Valdarno. Nel 1422
però certamente si trovava già in città, giacché il 23 aprile di quell’anno realizzò il
Trittico di san Giovenale, la sua prima opera conosciuta e l’unica datata con
certezza.

TRITTICO SAN GIOVENALE

La prima opera nota ci mostra Masaccio,


poco più che ventenne, già padrone di un
mestiere sicuro, che gli consente di
rileggere con originalità l’esempio di Giotto,
sentito affine sia per la resa sintetica dei
volumi sia per la concentrata espressività.
Si tratta del Trittico di San Giovenale (37) ora nella Chiesa di San Pietro a
Cascia, presso Reggello, che reca inscritta una preziosa indicazione cronologica:
ANNO DOMINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D’AP[RILE].

Le figure sono solide, rigorosamente scalate in profondità, disposte anche – è il


caso degli angeli o del piede di Gesù retto da Maria – secondo scorci difficili.

l’intero polittico è unificato prospetticamente dal convergere delle linee del


pavimento e del seggio della Madonna verso un unico punto di fuga, e tale
centralità ha fatto anche ipotizzare che in origine il dipinto non si presentasse
come un trittico, ma come una pala unitaria tripartita.

Inoltre le figure sono potentemente individuate: nel pannello di destra, per


esempio, san Giovenale (a sinistra) legge, intento, un salmo domenicale;
sant’Antonio Abate (a destra) ha la severità brusca dell’asceta; il Bambino è
straripante di vita, intento a ficcarsi in bocca gli acini d’uva porti dalla madre.
Era, quest’ultima, un’allusione al mistero eucaristico, ma viene svolta da
Masaccio con naturalezza, semplicemente enfatizzando un gesto infantile.

Fondo oro tipico medioevale.

23 aprile 1422.

MADONNA COL BAMBINO E SANT’ANNA

Nel 1423 c’è l’incontro con masolino, in particolare


Masaccio divenne socio di Masolino pittore di formazione
tardogotica.

I due realizzarono insieme nel 1424-1425 la cosiddetta


sant’anna metterza ossia una tavola con la madonna e il
bambino e sant’anna.

In quest’opera Masaccio dimostrò una notevole perizia


nella esaltazione della struttura delle figure della madonna e
del bambino ma anche nel saper rendere il senso del rilievo,
del volume e della luce che segna e definisce le forme.

a Vergine, immersa nella luce che cade da sinistra, è solida come mai pri- ma
d’ora era stata, da molti secoli, una figu- ra dipinta. Il suo volto, lontano dagli
ste- reotipi graziosi, ha un’espressione seria e consapevole; le sue mani
stringono con for- za la gamba sinistra del robusto Bambino. Dietro di loro,
sant’Anna appare incerta tra convenzioni tardogotiche e novità rinasci- mentali:
la mano sinistra sopra il capo di Gesù, che cita l’Adorazione dei Magi di Gentile
da Fabriano (➤ Volume 1, Unità 12), vuole segnare la profondità spaziale, ma
non si connette con un’anatomia con- vincente; il corpo, di cui è difficile com-
prendere la posizione, si risolve in una molle cascata di pieghe.

Sant’Anna assume il termine che appartiene al dialetto toscano del Duecento, di


‘Metterza’. Letteralmente si può tradurre in lingua italiana come “mi è terza” e
descrive la posizione assunta da Anna nel dipinto L’anziana Santa infatti è
collocata in terzo piano in quanto, madre di Maria e progenitrice di Gesù.

Secondo questo modello iconografico, la figura di sant’Anna, nonostante si trovi


in terzo piano, acquista maggiore evidenza. Sant’Anna è accompagnata da
un’aureola più grande e stende la mano per proteggere e benedire Maria e Gesù.

CAPPELLA BRANCACCI

La storia travagliata della Cappella Brancacci La decorazione della Cappella


Brancacci (45-46), nella chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine, fu
commissionata a Masolino e Masaccio nel 1424 dal ricco mercante Felice
Brancacci.

Essa rivestiva interamente il vano: sulla volta erano raffigurati gli evangelisti
mentre, a partire dai lunettoni, le pareti erano decorate con Storie di san Pietro
disposte su tre registri.

Tra il 1426 e il 1427 però Masolino abbandonò l’incarico per recarsi a lavorare in
Ungheria al servizio del condottiero Pippo Spano; tornato in Italia prima del
previsto per l’improvvisa morte del mecenate, fu chiamato dal cardinale Branda
Castiglione a Roma per lavorare alla sua cappella in San Clemente. Qui lo
raggiunse Masaccio, che aveva sospeso temporaneamente i lavori della cappella
fiorentina; ma la morte del giovane pittore e il successivo esilio dei Brancacci,
avversi ai Medici, causarono l’interruzione dei lavori e notevoli mutamenti in ciò
che sino a quel momento era stato realizzato.

Infatti i frati, per cancellare il ricordo di committenti sgraditi, ne fecero eliminare i


volti dagli affreschi e mutarono l’intitolazione della cappella trasportandovi la
venerata tavola duecentesca della Madonna del Popolo;

solo nel 1480 affidarono a Filippino Lippi l’incarico di completarla. Ma nel corso dei
secoli vi furono cambiamenti ancora più radicali: la costruzione dell’altare barocco
causò la distruzione della scena con il Martirio di san Pietro nella parete di fondo,
nel 1746-48 furono demolite la volta e le lunette per costruire una nuova copertura
più slanciata e infine, nel 1781, un incendio danneggiò pesantemente l’intero
edificio. La cappella fu sostanzialmente risparmiata, ma i fumi causarono un
annerimento dei colori che generò una falsa lettura dell’opera: fino all’ultimo
restauro, concluso nel 1989, critici e storici ritennero che l’austero Masaccio
dipingesse i suoi affreschi con toni bassi e fumosi. È stato proprio questo
intervento a permetterci di capire meglio non solo i caratteri originari dell’insieme
ma anche l’attento sistema di lavoro comune adottato da Masolino e Masaccio. I
due, infatti, consapevoli della diversità della loro pittura e dell’effetto dissonante di
una divisione troppo netta, si alternarono sulle pareti.

Sfruttando un solo ponteggio avrebbero dipinto l’uno sulla parete laterale, l’altro
sulla parete di fondo, per poi scambiarsi sul lato opposto. Questo procedimento a
scacchiera, che garantiva unità alla decorazione, si percepisce bene nell’attuale
registro superiore. Per lo stesso motivo fu adottato un punto di vista unico,
pensato per uno spettatore al centro della cappella, e fu progettata un’architettura
che racchiude le scene. Infatti alle estremità delle pareti sono dipinte paraste
corinzie che reggono cornici dentellate oltre le quali si aprono i fondali che spesso
scorrono da un episodio all’altro, come avviene tra Il tributo e la Predicazione di
san Pietro.

Tutto ciò però non basta ad annullare la distanza tra i due pittori.

ADAMO ED EVA

Nell’unità della struttura si confrontano intenzioni


pittoriche diverse Confrontiamo il Peccato
originale e la Cacciata dei progenitori. Le figure
di Masolino (47) hanno carni tenerissime, rese
tridimensionali da un chiaroscuro tenue e luminoso
di cui si ricorderanno i “pittori di luce” della
generazione successiva, ma che non deriva da
un’illuminazione specifica, piuttosto sembra
irradiare dalle figure stesse. Sfiorano appena il
terreno, e volti e gesti non restituiscono azioni o
stati d’animo ma sono dettati da simmetrie
compositive, come mostra la disposizione delle
braccia, alternativamente tese o flesse. Al contrario
la coppia di Masaccio (48) avanza saldamente sul
terreno spoglio disegnato dalle ombre prodotte da
una luce abbacinante in alto a destra, che dà forma
ai corpi. Questi sono resi sinteticamente ma con
una precisa conoscenza anatomica che nasce
dallo studio degli esempi antichi congiunto a quello
del “naturale”. Il nudo di Eva deriva forse da
un’antica Venere pudica, ma il suo ventre è
contratto per lo sforzo che le costa il lungo lamento
disperato, e così la posa convenzionale si
trasforma in espressione istintiva di pudore,
contribuendo a definirla psicologicamente nei
confronti di Adamo, che non teme di mostrare la
propria nudità ma che, con un gesto che nel Quattrocento indicava la vergogna,
si copre il volto.

Anche la stesura pittorica è inconciliabile: mentre Masolino definisce le forme e i


particolari in modo grafico, con sottilissime sequenze in punta di pennello,
Masaccio abolisce i contorni e costruisce i volumi grazie a decisi colpi di luce.

Sullo spessore dell’arcone d’ingresso della Cappella, Masolino e Masaccio


realizzarono due episodi della Genesi: il Peccato originale, dipinto da Masolino
a destra, e la Cacciata di Adamo ed Eva, affrescato da Masaccio a sinistra. La
presenza di Adamo ed Eva tra le Storie di San Pietro ha un preciso significato
teologico: il peccato originale è l’antefatto all’opera di redenzione di Cristo, poi
proseguita da Pietro, primo papa e dunque personificazione della Chiesa.

L’affresco di Masolino mostra Adamo ed Eva in piedi, entrambi nudi, una accanto
all’altro, mentre stanno per mordere il frutto proibito che il Serpente dal volto di
donna ha offerto loro. Eva, ambigua e tentatrice, abbraccia l’albero che anche il
demonio sta avviluppando con le sue spire: le due figure, in tal modo, si
assomigliano e si identificano. Adamo è impacciato e incerto, esita, forse
argomenta debolmente, come sembra indicare il gesto della mano sinistra.
Sappiamo che alla fine cederа.

La scena risente fortemente del clima tardogotico in cui era maturata l’arte di
Masolino: le figure dei progenitori sono infatti elegantemente composte, illuminate
da un diffuso quanto generico bagliore e sono come sospese a mezz’aria. I loro
corpi, nell’intenzione dell’artista, dovrebbero essere puri, eterni e celesti, giacché il
peccato non и stato ancora compiuto, ma risultano piuttosto privi di consistenza
fisica. La figura di Adamo, inoltre, parrebbe voler aderire a un certo canone di
bellezza classica ma il tentativo appare chiaramente un po’ maldestro, anche
perché le competenze anatomiche di Masolino non erano abbastanza
approfondite.

Nella Cacciata di Adamo ed Eva, Masaccio non si concesse alcun


compiacimento edonistico. Infatti, l’opera, giustamente considerata un manifesto
pittorico del primo Rinascimento, non colpisce nй per la bellezza nй per le
armoniose proporzioni dei personaggi: Eva ha le gambe un po’ tozze, le natiche
poco arrotondate, i fianchi larghi; Adamo ha le braccia troppo magre in rapporto al
torace ampio e all’addome muscoloso. Insomma, Adamo ed Eva non sono “belli”
in senso classicistico e meno che mai idealizzati ma
sono certamente umani. I loro corpi, sferzati dalla
luce che li investe frontalmente, hanno una
concretezza senza precedenti.

La pittura di Masaccio è sobria e sintetica ma


proprio per questo non lascia adito a fuorvianti
interpretazioni. La porta del Paradiso è l’arco di una
cinta di mura, il mondo esterno è brullo e inesplorato,
duro come l’esilio cui la coppia è stata condannata.
L’uomo e la donna, caduti nella disperazione,
cacciati con forza dal luogo che amavano e nel quale
si sentivano protetti, obbligati a farsi carico delle
proprie responsabilitа, provano anche vergogna:
Adamo ha le mani che coprono il volto, esprimendo
così sentimenti di dolore e di afflizione profondi ma
dignitosi; Eva assume la posa di una Venere pudica
che nasconde il seno e il pube. Entrambi
mantengono, tuttavia, la dignitа umana di chi ha la
forza e la possibilitа di ricominciare, sia pure
affrontando indicibili fatiche. Eva urla, ma il suo è un
grido in fondo liberatorio; Adamo singhiozza, ma
cammina con passo svelto e virile incontro alla sua
nuova vita.

I piedi di entrambi sono saldamente appoggiati per


terra, i due corpi (pesanti in quanto consapevoli della
propria finitezza) proiettano ombre. Non si può fare a
meno di notare e commentare la vigorosa mascolinitа
di Adamo, cosм inconsueta per la pittura dell’epoca,
scoperta negli anni Ottanta del Novecento sotto fronde
seicentesche, aggiunte a nascondere la nuditа troppo realistica e un tempo
giudicata, per un luogo sacro, decisamente peccaminosa. Ha scritto, a questo
proposito, lo storico dell’arte Luciano Berti, toscano impenitente: «dobbiamo pur
citare l’ormai famoso sesso defoliato del nostro, che scuro di ombre e di pelurie
ma anche con colpi di luce, spicca davvero nel suo ballonzolio di moto».

L’angelo, che in alto li caccia armato di una spada un tempo luccicante (grazie ad
una foglia di metallo applicata sull’affresco, poi caduta), ha un’espressione dura,
da «maschera tragica e crudele, come di Furia dalla ampia chioma scarmigliata, o
di legionario imperiale romano inesorabile» (L.Berti): un’espressione che si fa
testimonianza dell’Ira di Dio. Con la mano sinistra, tuttavia, il messaggero divino
giа indica la via del riscatto: Cristo, che campeggia al centro del vicino affresco del
Tributo.
Con la sua Cacciata, Masaccio realizzò un’immagine tragica fra le più grandiose
dell’arte occidentale. Nessuno, dopo Giotto e prima di Masaccio, era stato capace
di osservare l’uomo con tale profonditа di analisi e soprattutto di collocarlo con
tale sicurezza al centro del mondo reale, tanto che la critica, accettando un
giudizio del critico d’arte Bernard Berenson, ha per lungo tempo collocato
Masaccio nel solco della storia come un “Giotto rinato”. Senza dubbio, Masaccio
seppe guardare alla grande lezione di Giotto con occhi nuovi, ne comprese il piщ
intimo significato rivelandosi, a quasi un secolo di distanza, il suo vero erede e la
portata rivoluzionaria della Cappella Brancacci può essere paragonata solo a
quella della Cappella degli Scrovegni a Padova.

IL TRIBUTO

Sempre nella cappella brancacci troviamo l’affresco: il tributo della moneta di


masaccio.

La scena si apre, grandiosa e unitaria, come se fosse vista attraverso un portico,


come è indicato dalle due colonne alle estremità del dipinto. Ma si compone di tre
episodi:

- al centro il gabelliere chiede il tributo agli apostoli e Cristo ordina a Pietro di


andare a prendere la moneta nella bocca di un pesce;

- a destra il momento in cui Pietro, pescato il pesce nel lago, ne estrae la moneta;

- a sinistra Pietro paga il tributo al gabelliere.

Nonostante siano tre episodi diversi c'è una sostanziale unità. I tre episodi non
sono separati, appartengono alla stessa scena e si svolgono nello stesso
paesaggio. L'unità complessiva dipende in gran parte dalla composizione,
imperniata sul gruppo circolare degli apostoli al centro.

Il cerchio è una forma molto cara al Rinascimento, sia per la sua perfezione
geometrica, sia perchè è inteso come simbolo universale.

Ma in questo caso ha anche la funzione di fulcro: è il centro della composizione  e


anche il centro del significato. In questo centro convergono tutte le linee
prospettiche della scena, dei caseggiati, degli alberi, della collina, del lago e delle
montagne, via via più lontane.

Così Masaccio realizza uno spazio (prospettico) unificatore di spazi e di tempi, è


uno spazio unico e aperto, senza quinte o divisori, in cui si inseriscono il paesaggio
urbano a destra, quello naturale a sinistra e gli uomini al centro, secondo un
principio di unità e armonia universale. Si tratta di una visione pienamente
rinascimentale.

Il paesaggio deserto, invernale e desolato, esalta il gruppo dei personaggi


isolandoli, facendoli sembrare maestosi, imponenti, anche grazie alla veduta
prospettica.

La luce piove da destra in alto, crea riflessi bianchissimi su fronti, barbe, capelli,
panneggi. Aumenta l'effetto plastico e di presenza fisica di queste figure piene di
dignità umana, volti nobili, espressioni intense, profonde. Le fisionomie sono tutte
diverse, perchè Masaccio realizza dei ritratti. Secondo alcuni studiosi tra i
personaggi c'è anche il suo autoritratto, forse nell'uomo col mantello rosso, il
ritratto del fratello Giovanni, dello stesso Brancacci, identificato da alcuni
nell'uomo all'estrema destra con il mantello rosso, e altri.

Il gruppo centrale impostato su uno schema circolare è una chiara derivazione


dal motivo a emiciclo di "Socrate e i sei discepoli", che dall'antichità è stato
riutilizzato nell'arte paleocristiana con il nuovo significato di "Cristo e gli
apostoli", innestandosi poi sullo schema geometrico-simbolico del cerchio, figura
simbolo di perfezione cara al primo Rinascimento, specialmente per il Brunelleschi.

Ma secondo alcuni studiosi la scena centrale del Tributo sembra collegarsi anche


alla Sagra, opera perduta di Masaccio e conosciuta solo attraverso copie e
derivazioni di altri artisti. In questo caso il gruppo dei personaggi è disposto in
cerchio e non in processione, come nella Sagra, realizzata in precedenza.

La storia sacra del tributo pagato dagli apostoli, sembra inoltre riferirsi al catasto
promosso per la prima volta da Felice Brancacci nel 1427. Si trattava di un nuovo
sistema fiscale ideato dal Brancacci  per far fronte alle nuove necessità belliche
della città di Firenze. Questo genere di allusioni, in cui si ricollega la storia sacra
con l'attualità, fa parte del gusto allegorico-simbolico del tempo.

Secondo Steimbart (1948) il Tributo rinvia invece all'intenzione di Martino V di


ristabilire l'autorità della chiesa su Firenze.

Un altro riferimento politico è indicato dall'episodio del ritrovamento della


moneta nel pesce, che potrebbe entrare in rapporto con i nuovi interessi marittimi
di Firenze, promossi dal console del mare, Felice Brancacci.

Altre interpretazioni sono di tipo religioso, con rinvii alla redenzione, o riferimenti al
problema delle eresie, ecc.

Dai restauri è risultato che il Tributo è stato eseguito in 28 giornate.

Rispetto a quelle degli apostoli, la testa di Cristo è diversa per l'espressione più
dolce, i lineamenti più idealizzati, il trattamento più morbido. Secondo qualche
studioso è stata dipinta da Masolino prima della partenza e risulta eseguita in una
sola giornata.

Nel gruppo centrale, dipingendo le teste degli apostoli, Masaccio ha eseguito


dapprima le figure più estreme, procedendo verso il centro, dove si trova la testa di
Gesù. Si è notato infatti che il gruppo di destra e quello di sinistra sono stati
eseguiti in tempi diversi.

Un fatto miracoloso in cui il protagonista è cristo e Pietro non fa che obbedire.


Masaccio elimina dalla rappresentazione dei miracoli ogni aspetto episodico, ogni
commento sia pure ammirativo. Il miracolo è per lui il fatto storico per eccellenza,
perché è fatto umano che attua una decisione divina.

Dal punto di vista della narrazione ci sono 3 tempi

Cristo a cui il gabelliere chiede il pedaggio

Cristo ordina a Pietro di andarla a prendere nella bocca del pesce

Pietro prende la moneta porge l’obolo al gabelliere.

Nella rappresentazione i tre tempi si saldano e le lunghezze del tempo sono


espresse in misure di spazio.

qui non c’è successione cronologica perché masaccio non vuole la successione
ma la simultaneità perché tutti i fatti dipendono dal gesto imperativo di cristo.

La sua volontà diventa istantaneamente la volontà di Pietro che ripete esattamente


il gesto del maestro.

Il miracolo avviene, Pietro trova la moneta nella bocca del pesce, ma il pittore lo
relega ad un estremo del dipinto e lo accenna con un breve, tratto di sponda e la
piccola figura di pietro ridotta ad un sintetico e duplice schema di moto: è appena
arrivato, si china, sta per riprendere la corsa in senso inverso.

La porta di città ha un volume definito.

È pietro a dare l’obolo al gabelliere perché lui solo come capo della chiesa,
toccherà trattare con il mondo.

Il paesaggio è arido, senza luce, e senza colori.

La pala del “Pollittico di Pisa”, originariamente destinata


alla chiesa del Carmine, purtroppo è stata smantellata e
solo alcuni suoi pannelli sono giunti fino a noi. La tavola
centrale era quella della Madonna in trono con il Bambino
e quattro angeli, oggi alla National Gallery di Londra.

Rappresentare cose «vive et vere»: questa era la poetica


che Masaccio.

Tipico dei personaggi masacceschi è la fisicità della


Madonna: essa è messa in particolare e realistica
evidenza dal pesante e fortemente chiaroscurato
panneggio. Campeggia su un fondo oro, ma anche
questo si trasforma da convenzionale schermo piatto in
sostanza spaziale, quasi in atmosfera dorata grazie alla
luce che scolpisce il volume delle figure.

Inoltre Maria non è rappresentata con i consueti canoni di


giovinezza e leggiadria. Il volto appare infatti stanco e
segnato, come se la madre già presagisse il destino del
figlio. Masaccio, avendo frequentato Donatello,
evidentemente cerca di ispirarsi alla copia del vero. Il
Bambino poi è colto nell’atto di mangiare un acino d’uva,
allusione al vino, simbolo eucaristico del sangue di Cristo.
Questo gesto spontaneo, impensabile prima di Masaggio,
mette in luce la natura umana di Gesù. Anche la sua aureola sottostà alla
prospettiva, e per questo appare come un massiccio disco metallico dalla forma
ellittica.

La prospettiva del massiccio trono è tracciata con estrema precisione. La linea di


orzzionte, in cui convergono tutte le linee di fuga, coincide con la superficie della
seduta. La struttura del trono è innovativa e dimostra l’interesse di Masaccio nei
riguardi dell’architettura classica: il seggio infatti ha quasi la conformazione di un
edificio monumentale, la predella su cui la vergine appoggia i piedi ricorda i
sarcofagi strigilati romani. I rosoni della parte inferiore del trono sono anchessi di
eviente derivazione classica.

Originale invece è l’utilizzo di colonnine ornamentali di ordini differenti. Nei fianchi


del trono esso ricorre a colonnine composite inalveolate, a loro volta sormontate a
da coppie di colonnine composite. Rare colonnine ioniche ornano la spalliera e
risultano appena visibili.

I 4 angeli, due dietro il trono e i due davanti danno maggiore tridimensionalità al


dipinto.

L'opera venne chiaramente descritta da Vasari, facilitando così il riconoscimento


del 1907. La Madonna in trono (una Maestà), tiene in braccio il Bambino,
reggendolo con la mano sinistra, mentre con la destra gli porge un grappolo d'uva,
simbolo dell'Eucarestia, presente anche nel Trittico di San Giovenale (1422). Il
Bambino con una manina tocca il frutto e con l'altra porta gli acini alla bocca,
succhiandosi anche le dita. La sua aureola è disegnata in prospettiva. La Madonna
indossa un magnifico mantello azzurro con orlo dorato. Il maestoso trono è ricco di
dettagli architettonici, come le colonnine in pietra e le cornici "all'antica": la sua
struttura così pienamente rinascimentale stona con la cuspide goticheggiante
dell'arco del pannello.

Attorno a esso si dispongono quattro angeli: due oranti ai lati, in parte nascosti
dalla spalliera, e due musicanti in basso, seduti davanti all'alto zoccolo del trono.
Questi ultimi due hanno ali d'uccello e suonano due liuti: uno sembra cantare,
mentre l'altro, come scrisse il Vasari, "porge con attenzione l'orecchio all'armonia
di quel suono".

Il formato del dipinto è piuttosto insolito, più alto e stretto del normale, ed ha
subito un taglio ai lati, ma non si sa se di pochi centimetri o di una porzione più
grande. Shearman ipotizzò che l'alone sui gradini in basso a sinistra del trono
fosse l'ombra di un altro angelo, o di una figura. Forse lo era dell'elemento che
separava il pannello attiguo (un pilastrino o colonna) o forse era una proiezione che
unificava lo spazio con il pannello successivo.

STILE

L'effetto d'insieme del dipinto è monumentale, come le figure principali improntate


a una massiccia statuarietà, attenuata dai gesti e le espressioni tratte dalla
quotidianità: entrambi gli elementi rivelano un'influenza di Donatello, che proprio in
quegli anni lavorava a Pisa con Michelozzo e che in un'occasione si incaricò anche
di riscuotere un pagamento per conto dell'amico pittore. L'illuminazione, più che il
disegno di contorno, definisce la forma plastica delle figure, facendole
assomigliare a voluminose sculture.

Il manto della Madonna è composto da pieghe realistiche, che modellano il volume


delle gambe e del busto, e contrastano con la dolce fragilità del viso. Il Bambino è
paffuto e dai gesti infantili, ma il volto appare pensoso, sospeso probabilmente al
significato premonitore dell'uva eucaristica. L'opera assomiglia alla Madonna
Hildburgh di Donatello o copia della sua bottega (oggi al Victoria and Albert
Museum e colpisce in entrambe le opere il difficile scorcio dei liuti, quasi fosse
stata una gara di virtuosismo dei due artisti.

Colpisce la precisione della luce che taglia lo schienale del trono e lascia in ombra
gran parte del volto della Madonna, forse per la prima volta nell'arte italiana.

Crocifissione Masaccio

Le figure, modellate con forti contrasti di luce e


ombra, si collocano in uno spazio misurabile e
vero, teatro di un evento drammaticamente
doloroso, espresso dalle mani contratte che
sporgono dal corpo massiccio della Madonna, da
quelle portate al volto del dolente san Giovanni, ma,
soprattutto, dalle braccia alzate in un incontenibile
moto di angoscia di Maria Maddalena,
inginocchiata di schiena.

Masaccio riduce la scena della Crocifissione


all’essenziale, con i personaggi principali e un
lembo di terra a simboleggiare il Golgota: niente
deve distrarre dall’evento tutto umano anche se
trasfigurato nel fondo oro.

Il dipinto emoziona per la sua capacità di parlare


oltre il tempo di un dramma universale, la morte,
e del dolore che essa provoca in chi rimane. Il linguaggio di Masaccio, teso e
concentrato, inchioda al confronto con questo mistero, prima ancora che con
quello religioso.

, prospettiva scientifica , cristo con la testa quasi staccata non si vede il collo, opera
interessante presenta la figura della maddalena figura più addolorata ed è la figura più
espressiva infatti esprime la sua tristezza e disperazione nonostante non si veda il volto ,
giovanni con il suo volto pieno di disperazione guarda Maria maddalena.

TRINITA’

La Trinitа, realizzata nel 1427, ad affresco, sulla navata sinistra della Chiesa di
Santa Maria Novella a Firenze. Non conosciamo con sicurezza l’identitа del
committente, nonostante questi sia raffigurato con la moglie ai piedi del dipinto (si
и parlato di un componente della famiglia Lenzi ma anche di Berto di Bartolomeo).
Allo stesso modo, non sappiamo con certezza se Masaccio si avvalse della
consulenza di un teologo. Questa ipotesi и tuttavia assai fondata, giacchй il
principio fondamentale della Trinitа costituiva un tema di assoluta importanza
per i domenicani, cui la chiesa apparteneva. La Trinitа, и bene ricordarlo, и un
dogma cristiano, riconosciuto dal Concilio di Nicea del 325, secondo il quale
Padre (Dio), Figlio (Cristo) e Spirito Santo sono uniti in una sola realtа. Questo in
base alle parole di Cristo che affermт: «Andate dunque e ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo» (Mt, 28, 19).

La complessa composizione prevede, in primo piano in


basso, un altare, sostenuto da coppie di colonnette,
sotto il quale и posto un sarcofago con uno scheletro.
Una scritta, «io fui giа quel che voi siete e quel ch’io son
voi ancor sarete», allude chiaramente alla fugacitа della
vita e alla transitorietа delle cose terrene. Ricordiamo
che, secondo un’antica tradizione, Cristo venne
crocifisso sulla tomba di Adamo: questo perchй, con la
sua morte, volle redimere l’umanitа dal peccato.

In un secondo livello, si apre una cappella: in primo


piano si trovano le due figure inginocchiate dei
committenti, mentre all’interno, ai piedi della croce,
vediamo Maria e Giovanni

Laddove il giovane apostolo congiunge le mani in


preghiera, la Madonna, ammantata di blu, rivolge lo
sguardo impassibile a noi spettatori e con la mano
destra indica il Figlio.

Alle spalle del crocifisso, campeggia la figura di Dio


Padre. Fra loro si trova lo Spirito Santo in forma di
colomba che quasi avvolge, con le sue ali, il collo del
Padre e pare scendere in picchiata sul Figlio. Leggiamo
infatti nei Vangeli che «appena battezzato, Gesщ uscм
dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo
Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di
lui» (Mt, 3, 16).

Osserviamo che tutte le figure della scena sono comprese all’interno di uno
schema triangolare (il triangolo и simbolo del numero tre e quindi della Trinitа
stessa). Le tre figure della Trinitа, cioи Padre, Figlio e Spirito Santo, sono inoltre
disposte secondo un modello iconografico ancora trecentesco, chiamato “Trono di
Grazia”, con Dio che regge la croce di Cristo. La figura del Padre и collocata in
piedi sopra una piattaforma orizzontale e ha l’aspetto di un vecchio dalla barba
bianca, secondo una nuova iconografia comparsa giа nel secolo precedente. La
sua espressione и severa e la sua aureola sfiora la volta della cappella, sicchй egli
appare gigantesco: in realtа, la sua statura è uguale a quella di Cristo.

colori prevalenti, ossia il rosso e l’azzurro, si dividono equamente i diversi settori


della scena, alternandosi nei lacunari della volta a botte, nella veste di Dio Padre e
di quelle di Maria, di Giovanni e dei committenti. Questi colori, unitamente al verde,
al grigio e, ovviamente, al bianco, all’epoca erano considerati i piщ adatti a
decorare le pareti del tempio del Signore.

Il significato teologico

Nonostante le apparenze, e come d’altro canto conferma il titolo, quest’opera di


Masaccio non и una normale scena di crocifissione. Se Masaccio, nella sua
Crocifissione del Polittico di Pisa, aveva affrontato il tema drammatico
dell’uccisione di un innocente sotto lo sguardo disperato di amici e familiari, in
questa Trinitа scelse di riflettere sul significato concettuale dell’evento. Gesù,
venendo sulla terra, aveva rivelato agli uomini il mistero principale della religione
cristiana, affermando simultaneamente l’unitа della natura di Dio e la sua
distinzione in tre persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Un dogma, in quanto
principio di fede indiscutibile, non puт essere spiegato: Masaccio, attraverso il
gesto esplicito della Vergine, che difatti non è addolorata, lo mostra utilizzando la
concretezza delle immagini.

Nell’opera possiamo inoltre riconoscere il percorso che ogni uomo deve compiere
per conquistare la salvezza. La sua vita terrena e mortale (simboleggiata dallo
scheletro) deve riscattarsi attraverso la preghiera (i committenti) sicchè, grazie
all’intercessione degli eletti (la Vergine e i Santi) egli puтòarrivare a Dio (la Trinitа).

La Trinitа di Masaccio presenta alcune novitа iconografiche, la cui portata fu da


subito considerata rivoluzionaria. La prima è quella dei due committenti borghesi,
marito e moglie, che sono ovviamente comuni mortali, e come tali dipinti senza le
aureole e con le vere fattezze dei volti, ma qui presentati con le medesime
proporzioni dei personaggi sacri, dei quali condividono realisticamente lo spazio.

La seconda и quella dello sfondo, che non è più il tradizionale fondo oro ma una
grandiosa architettura dipinta. Tutti i personaggi sono infatti immaginati
all’interno di una cappella, rappresentata in prospettiva come se fosse una
struttura reale.

La potenza illusionistica della volta a botte è in effetti straordinaria: ponendosi a


circa quattro metri di distanza dall’affresco, si ha la percezione di una vera
cappella che si affaccia sulla navata. Non a caso, Vasari commentт: «pare sia
bucato quel muro». I contemporanei di Masaccio rimasero, insomma, fortemente
impressionati da questo miracolo artistico, con grande soddisfazione dell’artista e
anche di Brunelleschi, che di tale prospettiva matematica era stato l’inventore. A
lungo fu attribuito a Filippo il disegno dell’intera parte architettonica; oggi, и stata
restituita a Masaccio l’intera autografia dell’affresco. Abbiamo perт motivo di
pensare che Brunelleschi abbia seguito da vicino il lavoro del suo giovane amico.

L’Adorazione dei Magi di Masaccio (1401-1428), grande maestro della pittura


Rinascimentale, и un quadretto nato come predella del Polittico di Pisa, dipinto nel
1426 dal medesimo autore. Questo piccolo dipinto si caratterizza per una sobria
raffinatezza e per una tecnica esecutiva da miniaturista. Tale sobrietа и
chiaramente polemica nei confronti della contemporanea pittura tardogotica di
Gentile da Fabriano, artista molto noto e di successo, ancora legato alla
celebrazione della vita di corte, con i suoi riti e i suoi fasti.

contro uno sfondo naturalistico nudo ed essenziale, si allineano i Magi, giunti a


rendere omaggio al Redentore con i servi del seguito. Nella tavola, non compaiono
fiori ne preziosi ornamenti; il divino non appare attraverso le meraviglie della natura
ma piuttosto in relazione agli uomini, con i quali rinsalda un rapporto privilegiato.

Sedia di maria\ sella unico elemento ricco.

Capanna - spazio- Gesù maria giuseppe- spazio- uomini -spazio- cavalli.

Spiccano, al centro, le figure di due enigmatici personaggi: sono i donatori, due


borghesi vestiti con semplici e moderni costumi alla moda, ossia gli austeri lucchi
scuri del tempo. И, questa, una presenza molto indicativa, che si giustifica
considerando come, all’esordio del Rinascimento, accanto ai committenti
istituzionali di opere d’arte (pontefici, sovrani, principi, signori), anche i nuovi
borghesi avessero assunto un ruolo rilevante nel mercato dell’arte.

Il dipinto di Masaccio, insomma, и una preziosa testimonianza storica sul ruolo,


economico, sociale e culturale, che la nuova borghesia stava assumendo in seno
al contesto del primo Quattrocento. In particolare, esso esalta la fondamentale
figura del mercante-banchiere, il quale, proprio in virtщ del suo potere
economico, stava legando la sua azione alla politica giungendo, in alcuni casi, ad
assumere apertamente la guida politica dello Stato.

Colori meno accesi, meno ricchi e sopratutto vesti moderne!!!

MASACCIO esprime una concreta coscienza della realtà. L'Adorazione fu dipinta


per un ricco notaio, vi sono pochi personaggi che posano su un piano orizzontale.
Gli abiti sono severi e scarsamente ornati. Non c'è fuga nell'infinito, lo spazio è
reale. L'unico accenno alla nobiltà si trova nella sedia su cui è seduta la Madonna,
quasi a dire che non vi sono cose nobili e cose vili perché difatti lì accanto c'è la
sella dell'asino. Masaccio compone dei pieni e dei vuoti, come fece Brunelleschi.
Tra gli astanti due hanno costumi moderni: sono i donatori e vestono l'austero
lucco nero dell'alta borghesia.

Appunti confronto tra gentile da Fabriano e masaccio

opera di Masaccio che rappresenta la stessa opera nello stesso periodo, atmosfera più
intima , sfondo che fa solo da cornice , dettagli dei personaggi che si notano in maniera
più esatta, poco sfarzo ma umiltà, capanna realistica, il pittore si diverte a mettere i cavalli
in posizioni diverse nello spazio per farci percepire la profondità, particolari che ci
riportano ad una scena concreta e reale,

luce che potenzia l’effetto di profondità e tridimensionalità e conferisce verità , dignità e


solennità

( formella di Brunelleschi ), Madonna voto con volume, da madre , reale.

Presenza di due personaggi che non fanno parte del corteo e non sembrano fare parte
della storia , benestanti ma non nobili bensì appartenenti alla classe borghese che
rappresenta l’umo che si fa da si che fa la cultura e rappresentano i due commettenti , e
colui che commissiona l’opera si fa
ritrarre in grandezza naturale e
quindi ricordato e celebrato ,
ribadendo la sua importanza nella
società ( rappresentato in
grandezza naturale , concreto e
reale nello stesso spazio di una
divinità )

Punto in comune:

-In entrambe le opere i personaggi


sono vestiti in maniera contemporanea , ma sono differenti del primo si nota la ricchezza
e sfarzosità dalle vesti dei protagonisti ma anche dal corteo  e dai  gioielli dei personaggi
e dagli animali , poca umiltà , molti elementi oro ,

nella seconda opera maggiore semplicità e umiltà , vesti eleganti ma più sobrie , pochi
elementi oro

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