Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
VITA
È ritenuto, insieme ai suoi amici Leon Battista Alberti, Brunelleschi e Donatello, uno
dei padri fondatori del rinascimento. Il suo vero nome era Tommaso di Ser
Giovanni di Mone Cassai e divenne Masaccio perché, secondo Vasari, era così
profondamente preso dall’arte da non dedicare attenzione alle vicende del mondo
e tanto meno al modo di vestire.
Figlio di notaio e nato in una famiglia di costruttori di casse di legno (il suo vero
nome era Tommaso di ser Giovanni di mone cassai). Come dice il Vasari fu detto
da tutti Masaccio non già perché fosse vizioso essendo egli la bontà naturale ma
per tanta trascurataggine; egli infatti si curava poco di se e degli altri
concentrandosi esclusivamente sulla sua arte.
Masaccio giunse a Firenze nel 1417 e dimostrò il suo talento con il trittico di san
giovenale.
Un giovane trasandato
Nacque il 21 dicembre 1401 a Castel San Giovanni in Altura (oggi San Giovanni
Valdarno, non lontano da Arezzo) in una famiglia agiata. Suo padre Giovanni era un
notaio, mentre i suoi avi probabilmente svolgevano la professione di cassai
(una sorta di mobilieri), da cui sarebbe derivato il cognome. La madre, invece,
si chiamava monna Jacopa. Non si sa molto della donna se non che era nata
attorno al 1382 e che proveniva da una famiglia di osti di Barberino di Mugello.
Il padre di Masaccio morì quando lui aveva circa cinque anni. La madre, all’epoca
incinta del secondo figlio, decise di non chiamare quest’ultimo Vittore come
previsto ma Giovanni, in onore del genitore scomparso. Da adulto divenne
anch’egli artista e fu soprannominato “Scheggia” per via del suo aspetto
gracile. Intorno al 1412 la madre si risposò con Tedesco di Maestro Feo, un uomo
molto più anziano che faceva lo speziale. I rapporti dei due fratelli con il
patrigno non furono mai buoni, tant’è che si trasferirono per qualche tempo
dai nonni paterni.
23 aprile 1422.
a Vergine, immersa nella luce che cade da sinistra, è solida come mai pri- ma
d’ora era stata, da molti secoli, una figu- ra dipinta. Il suo volto, lontano dagli
ste- reotipi graziosi, ha un’espressione seria e consapevole; le sue mani
stringono con for- za la gamba sinistra del robusto Bambino. Dietro di loro,
sant’Anna appare incerta tra convenzioni tardogotiche e novità rinasci- mentali:
la mano sinistra sopra il capo di Gesù, che cita l’Adorazione dei Magi di Gentile
da Fabriano (➤ Volume 1, Unità 12), vuole segnare la profondità spaziale, ma
non si connette con un’anatomia con- vincente; il corpo, di cui è difficile com-
prendere la posizione, si risolve in una molle cascata di pieghe.
CAPPELLA BRANCACCI
Essa rivestiva interamente il vano: sulla volta erano raffigurati gli evangelisti
mentre, a partire dai lunettoni, le pareti erano decorate con Storie di san Pietro
disposte su tre registri.
Tra il 1426 e il 1427 però Masolino abbandonò l’incarico per recarsi a lavorare in
Ungheria al servizio del condottiero Pippo Spano; tornato in Italia prima del
previsto per l’improvvisa morte del mecenate, fu chiamato dal cardinale Branda
Castiglione a Roma per lavorare alla sua cappella in San Clemente. Qui lo
raggiunse Masaccio, che aveva sospeso temporaneamente i lavori della cappella
fiorentina; ma la morte del giovane pittore e il successivo esilio dei Brancacci,
avversi ai Medici, causarono l’interruzione dei lavori e notevoli mutamenti in ciò
che sino a quel momento era stato realizzato.
solo nel 1480 affidarono a Filippino Lippi l’incarico di completarla. Ma nel corso dei
secoli vi furono cambiamenti ancora più radicali: la costruzione dell’altare barocco
causò la distruzione della scena con il Martirio di san Pietro nella parete di fondo,
nel 1746-48 furono demolite la volta e le lunette per costruire una nuova copertura
più slanciata e infine, nel 1781, un incendio danneggiò pesantemente l’intero
edificio. La cappella fu sostanzialmente risparmiata, ma i fumi causarono un
annerimento dei colori che generò una falsa lettura dell’opera: fino all’ultimo
restauro, concluso nel 1989, critici e storici ritennero che l’austero Masaccio
dipingesse i suoi affreschi con toni bassi e fumosi. È stato proprio questo
intervento a permetterci di capire meglio non solo i caratteri originari dell’insieme
ma anche l’attento sistema di lavoro comune adottato da Masolino e Masaccio. I
due, infatti, consapevoli della diversità della loro pittura e dell’effetto dissonante di
una divisione troppo netta, si alternarono sulle pareti.
Sfruttando un solo ponteggio avrebbero dipinto l’uno sulla parete laterale, l’altro
sulla parete di fondo, per poi scambiarsi sul lato opposto. Questo procedimento a
scacchiera, che garantiva unità alla decorazione, si percepisce bene nell’attuale
registro superiore. Per lo stesso motivo fu adottato un punto di vista unico,
pensato per uno spettatore al centro della cappella, e fu progettata un’architettura
che racchiude le scene. Infatti alle estremità delle pareti sono dipinte paraste
corinzie che reggono cornici dentellate oltre le quali si aprono i fondali che spesso
scorrono da un episodio all’altro, come avviene tra Il tributo e la Predicazione di
san Pietro.
Tutto ciò però non basta ad annullare la distanza tra i due pittori.
ADAMO ED EVA
L’affresco di Masolino mostra Adamo ed Eva in piedi, entrambi nudi, una accanto
all’altro, mentre stanno per mordere il frutto proibito che il Serpente dal volto di
donna ha offerto loro. Eva, ambigua e tentatrice, abbraccia l’albero che anche il
demonio sta avviluppando con le sue spire: le due figure, in tal modo, si
assomigliano e si identificano. Adamo è impacciato e incerto, esita, forse
argomenta debolmente, come sembra indicare il gesto della mano sinistra.
Sappiamo che alla fine cederа.
La scena risente fortemente del clima tardogotico in cui era maturata l’arte di
Masolino: le figure dei progenitori sono infatti elegantemente composte, illuminate
da un diffuso quanto generico bagliore e sono come sospese a mezz’aria. I loro
corpi, nell’intenzione dell’artista, dovrebbero essere puri, eterni e celesti, giacché il
peccato non и stato ancora compiuto, ma risultano piuttosto privi di consistenza
fisica. La figura di Adamo, inoltre, parrebbe voler aderire a un certo canone di
bellezza classica ma il tentativo appare chiaramente un po’ maldestro, anche
perché le competenze anatomiche di Masolino non erano abbastanza
approfondite.
L’angelo, che in alto li caccia armato di una spada un tempo luccicante (grazie ad
una foglia di metallo applicata sull’affresco, poi caduta), ha un’espressione dura,
da «maschera tragica e crudele, come di Furia dalla ampia chioma scarmigliata, o
di legionario imperiale romano inesorabile» (L.Berti): un’espressione che si fa
testimonianza dell’Ira di Dio. Con la mano sinistra, tuttavia, il messaggero divino
giа indica la via del riscatto: Cristo, che campeggia al centro del vicino affresco del
Tributo.
Con la sua Cacciata, Masaccio realizzò un’immagine tragica fra le più grandiose
dell’arte occidentale. Nessuno, dopo Giotto e prima di Masaccio, era stato capace
di osservare l’uomo con tale profonditа di analisi e soprattutto di collocarlo con
tale sicurezza al centro del mondo reale, tanto che la critica, accettando un
giudizio del critico d’arte Bernard Berenson, ha per lungo tempo collocato
Masaccio nel solco della storia come un “Giotto rinato”. Senza dubbio, Masaccio
seppe guardare alla grande lezione di Giotto con occhi nuovi, ne comprese il piщ
intimo significato rivelandosi, a quasi un secolo di distanza, il suo vero erede e la
portata rivoluzionaria della Cappella Brancacci può essere paragonata solo a
quella della Cappella degli Scrovegni a Padova.
IL TRIBUTO
- a destra il momento in cui Pietro, pescato il pesce nel lago, ne estrae la moneta;
Nonostante siano tre episodi diversi c'è una sostanziale unità. I tre episodi non
sono separati, appartengono alla stessa scena e si svolgono nello stesso
paesaggio. L'unità complessiva dipende in gran parte dalla composizione,
imperniata sul gruppo circolare degli apostoli al centro.
Il cerchio è una forma molto cara al Rinascimento, sia per la sua perfezione
geometrica, sia perchè è inteso come simbolo universale.
La luce piove da destra in alto, crea riflessi bianchissimi su fronti, barbe, capelli,
panneggi. Aumenta l'effetto plastico e di presenza fisica di queste figure piene di
dignità umana, volti nobili, espressioni intense, profonde. Le fisionomie sono tutte
diverse, perchè Masaccio realizza dei ritratti. Secondo alcuni studiosi tra i
personaggi c'è anche il suo autoritratto, forse nell'uomo col mantello rosso, il
ritratto del fratello Giovanni, dello stesso Brancacci, identificato da alcuni
nell'uomo all'estrema destra con il mantello rosso, e altri.
La storia sacra del tributo pagato dagli apostoli, sembra inoltre riferirsi al catasto
promosso per la prima volta da Felice Brancacci nel 1427. Si trattava di un nuovo
sistema fiscale ideato dal Brancacci per far fronte alle nuove necessità belliche
della città di Firenze. Questo genere di allusioni, in cui si ricollega la storia sacra
con l'attualità, fa parte del gusto allegorico-simbolico del tempo.
Altre interpretazioni sono di tipo religioso, con rinvii alla redenzione, o riferimenti al
problema delle eresie, ecc.
Rispetto a quelle degli apostoli, la testa di Cristo è diversa per l'espressione più
dolce, i lineamenti più idealizzati, il trattamento più morbido. Secondo qualche
studioso è stata dipinta da Masolino prima della partenza e risulta eseguita in una
sola giornata.
qui non c’è successione cronologica perché masaccio non vuole la successione
ma la simultaneità perché tutti i fatti dipendono dal gesto imperativo di cristo.
Il miracolo avviene, Pietro trova la moneta nella bocca del pesce, ma il pittore lo
relega ad un estremo del dipinto e lo accenna con un breve, tratto di sponda e la
piccola figura di pietro ridotta ad un sintetico e duplice schema di moto: è appena
arrivato, si china, sta per riprendere la corsa in senso inverso.
È pietro a dare l’obolo al gabelliere perché lui solo come capo della chiesa,
toccherà trattare con il mondo.
Attorno a esso si dispongono quattro angeli: due oranti ai lati, in parte nascosti
dalla spalliera, e due musicanti in basso, seduti davanti all'alto zoccolo del trono.
Questi ultimi due hanno ali d'uccello e suonano due liuti: uno sembra cantare,
mentre l'altro, come scrisse il Vasari, "porge con attenzione l'orecchio all'armonia
di quel suono".
Il formato del dipinto è piuttosto insolito, più alto e stretto del normale, ed ha
subito un taglio ai lati, ma non si sa se di pochi centimetri o di una porzione più
grande. Shearman ipotizzò che l'alone sui gradini in basso a sinistra del trono
fosse l'ombra di un altro angelo, o di una figura. Forse lo era dell'elemento che
separava il pannello attiguo (un pilastrino o colonna) o forse era una proiezione che
unificava lo spazio con il pannello successivo.
STILE
Colpisce la precisione della luce che taglia lo schienale del trono e lascia in ombra
gran parte del volto della Madonna, forse per la prima volta nell'arte italiana.
Crocifissione Masaccio
, prospettiva scientifica , cristo con la testa quasi staccata non si vede il collo, opera
interessante presenta la figura della maddalena figura più addolorata ed è la figura più
espressiva infatti esprime la sua tristezza e disperazione nonostante non si veda il volto ,
giovanni con il suo volto pieno di disperazione guarda Maria maddalena.
TRINITA’
La Trinitа, realizzata nel 1427, ad affresco, sulla navata sinistra della Chiesa di
Santa Maria Novella a Firenze. Non conosciamo con sicurezza l’identitа del
committente, nonostante questi sia raffigurato con la moglie ai piedi del dipinto (si
и parlato di un componente della famiglia Lenzi ma anche di Berto di Bartolomeo).
Allo stesso modo, non sappiamo con certezza se Masaccio si avvalse della
consulenza di un teologo. Questa ipotesi и tuttavia assai fondata, giacchй il
principio fondamentale della Trinitа costituiva un tema di assoluta importanza
per i domenicani, cui la chiesa apparteneva. La Trinitа, и bene ricordarlo, и un
dogma cristiano, riconosciuto dal Concilio di Nicea del 325, secondo il quale
Padre (Dio), Figlio (Cristo) e Spirito Santo sono uniti in una sola realtа. Questo in
base alle parole di Cristo che affermт: «Andate dunque e ammaestrate tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo» (Mt, 28, 19).
Osserviamo che tutte le figure della scena sono comprese all’interno di uno
schema triangolare (il triangolo и simbolo del numero tre e quindi della Trinitа
stessa). Le tre figure della Trinitа, cioи Padre, Figlio e Spirito Santo, sono inoltre
disposte secondo un modello iconografico ancora trecentesco, chiamato “Trono di
Grazia”, con Dio che regge la croce di Cristo. La figura del Padre и collocata in
piedi sopra una piattaforma orizzontale e ha l’aspetto di un vecchio dalla barba
bianca, secondo una nuova iconografia comparsa giа nel secolo precedente. La
sua espressione и severa e la sua aureola sfiora la volta della cappella, sicchй egli
appare gigantesco: in realtа, la sua statura è uguale a quella di Cristo.
Il significato teologico
Nell’opera possiamo inoltre riconoscere il percorso che ogni uomo deve compiere
per conquistare la salvezza. La sua vita terrena e mortale (simboleggiata dallo
scheletro) deve riscattarsi attraverso la preghiera (i committenti) sicchè, grazie
all’intercessione degli eletti (la Vergine e i Santi) egli puтòarrivare a Dio (la Trinitа).
La seconda и quella dello sfondo, che non è più il tradizionale fondo oro ma una
grandiosa architettura dipinta. Tutti i personaggi sono infatti immaginati
all’interno di una cappella, rappresentata in prospettiva come se fosse una
struttura reale.
opera di Masaccio che rappresenta la stessa opera nello stesso periodo, atmosfera più
intima , sfondo che fa solo da cornice , dettagli dei personaggi che si notano in maniera
più esatta, poco sfarzo ma umiltà, capanna realistica, il pittore si diverte a mettere i cavalli
in posizioni diverse nello spazio per farci percepire la profondità, particolari che ci
riportano ad una scena concreta e reale,
Presenza di due personaggi che non fanno parte del corteo e non sembrano fare parte
della storia , benestanti ma non nobili bensì appartenenti alla classe borghese che
rappresenta l’umo che si fa da si che fa la cultura e rappresentano i due commettenti , e
colui che commissiona l’opera si fa
ritrarre in grandezza naturale e
quindi ricordato e celebrato ,
ribadendo la sua importanza nella
società ( rappresentato in
grandezza naturale , concreto e
reale nello stesso spazio di una
divinità )
Punto in comune:
nella seconda opera maggiore semplicità e umiltà , vesti eleganti ma più sobrie , pochi
elementi oro