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DA BERLIGHIERO BERLINGHIERI A GIOTTO

Tutta l’arte occidentale, dai greci fino alle Avanguardie, è stata quasi sempre
figurativa, il suo fine era quello di rappresentare la realtà. La pittura si basava
sulla prospettiva, quella tecnica che permette di rappresentare su un piano la
terza dimensione, la profondità. Ma non in tutte le civiltà è stato così e non in
tutti i periodi della Storia.
Il nostro occhio percepisce il mondo in prospettiva, ed è un fatto oggettivo. I
primi che hanno capito questo sono stati i greci, all’incirca nel V secolo a.C.,
questi l’hanno trasmesso ai romani.
Cominciamo dall’inizio. A Roma, in generale in tutto l’occidente, sopravvive una
lingua figurativa di “verità, ma con la morte di Teodosio, nel 395 d.C., l’Impero
Romano si divide, tra quello d’Occidente e quello d’Oriente. È qui che comincia
la frattura, non solo politica, ma soprattutto artistica tra l’Arte Occidentale e
l’Arte Orientale.
Per capire la diversa evoluzione del pensiero
figurativo occidentale da quello orientale, basta
confrontare, a pochi metri di distanza, due fasi dei
mosaici ravennati. Nel Mausoleo di Galla Placidia
(425 ca. d.C.), sopra la porta principale, una lunetta
a mosaico raffigura il Buon Pastore. Le rocce in
primo piano hanno la funzione di scandire lo spazio,
la profondità è segnata dalla pecora in scorcio. La
verità è descritta in tutti i particolari. Pochi metri più
in là, in piena cultura bizantina, nel coro della
Basilica di San Vitale, tutto vive nella
bidimensionalità. I due riquadri, l’uno di
fronte all’altro, rappresentano L’Imperatore
Giustiniano e il suo seguito, circa 547
d.C., (lato sinistro dell’abside, fig.) e
L’Imperatrice Teodora e il suo seguito
(lato destro) che assistono alla consacrazione
della basilica. Giustiniano vestito con il manto
di porpora e la testa coronata da un’aureola
d’oro, simbolo dell’origine divina del potere
imperiale, reca in mano un dono avanzando
verso l’altare. Lo precede il vescovo
Massimiano che porta una grande croce
gemmata, indossa sopra una veste bianca
una pianeta di colore oro e porta il pallio1
simbolo della carica episcopale. I piedi di Giustiniano sono dietro al vescovo,
ma il suo manto è davanti a lui. Le figure sembrano sospese nel vuoto e il

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Il Pallio è un paramento liturgico usato nella Chiesa Cattolica dal Papa e dai vescovi
metropoliti. Secondo alcune interpretazioni, il Pallio rappresenta l’agnello portato sulle spalle,
come simbolo del vescovo come buon pastore; è forse per questo il materiale è la lana.

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paesaggio e del tutto scomparso, al suo posto vi è il fondo d’oro simbolo dello
spazio divino. Tutto è immobile, infinito, l’arte è già astratta.

In occidente nel Duecento dominava ancora l’arte


bizantina; solo nella seconda metà del secolo si avvertono i
primi segni di un rinnovamento. Tale rinnovamento
avvenne quasi contemporaneamente in due centri Italiani,
in Toscana e a Roma. Questo processo si concreta,
soprattutto in pittura, nella progressiva liberazione dalla
dominante cultura bizantina. Il processo è graduale e si
compie a diversi livelli. Per tutto il secolo XII, la cultura
bizantina domina ancora, con il suo mondo di immagini
piatte e con i suoi fondi d’oro, ed è nella pittura italiana del
secolo XIII che dobbiamo cercare i primi fermenti e i primi
filoni di rinnovamento.
A Pisa e a Lucca, nella prima metà del Duecento, la
tradizione bizantina è ancora ben salda nell’opera di
Berlinghiero Berlinghieri (1175? – 1235 o 1236?) e di
suo figlio Bonaventura Berlinghieri (Lucca, 1210 circa –
1287 circa) (San Francesco e storie della sua vita, 1235, tempera su
tavola, chiesa di San Francesco, Pescia, fig. a sin.) , anche se in quest’ultimo
possiamo trovare i primi segni di un cambiamento. È solo con Giunta Pisano
(notizie tra il 1229 e il 1254) che la pittura comincia a liberarsi dalla cultura
bizantina. Anche se non si separa dal tipo tradizionale della croce dipinta e
dalla calligrafia bizantina, esaspera la tensione dei tratti e la forza dei colori:
specialmente nella tarda Croce di San Domenico a Bologna si può vedere il
limite di rottura. In scultura, invece, i primi segni di un cambiamento si
cominciano a vedere in Nicola Pisano (1223 – 1281), e poi in suo figlio
Giovanni (Pisa, 1248 circa – Siena, 1315 circa). Con Nicola Pisano le figure
iniziano a staccarsi dal fondo, dal piano del
Bassorilievo.
Una vera riforma strutturale del fatto pittorico, si
pone con Cenni di Pepo detto Cimabue (Firenze,
1240 circa – Pisa, 1302): un artista che, come Giotto
a Dante, è paragonabile, per l’importanza che ha
nella storia della lingua pittorica italiana, a Guido
Cavalcanti. Si hanno, per la sua opera, pochissime
date certe: nel 1272 è documentata la sua presenza a
Roma, successivamente lavorò ad Assisi nella basilica
superiore ed inferiore e a Pisa. Nella sua pittura i
modelli bizantini assumono caratteri più umani, le
figure cominciano a staccarsi dal fondo, acquistano
consistenza, c’è un principio di chiaroscuro, anche se
ancora conservano una certa rigidità e sono lontane
dalla realtà. Nella Madonna di Santa Trinità
(Firenze, Uffizi) (fig. a sin.), realizzata intorno il
1285-86, ancora persiste il fondo oro, ma c’è un

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tentativo di aumentare i caratteri volumetrici. La profondità è suggerita dalla
forma curva del trono e dalla disposizione semicircolare degli angeli, che hanno
una sensibile corposità, evidenziata dai panneggi. Meno rilevata è la figura
della madonna che conserva ancora una certa ieraticità, pur presentando una
umana dolcezza, rispetta l’iconografia tradizionale bizantina: raffigurata quasi
completamente di fronte. La luce astratta si diffonde dal fondo d’oro che
simboleggia lo spazio divino.
Quasi contemporaneamente alla Toscana, si ha un tentativo di rinnovamento
della pittura a Roma con Pietro Cavallini (Roma, 1240 circa – 1330 circa), la
cui opera certa si riduce ai mosaici di Santa Maria in Trastevere (1291), benché
non innovino l’iconografia corrente, sono composti con un senso plastico e
coloristico che dimostra una conoscenza dell’arte tardo-antica.
È soltanto con Giotto da Bondone detto Giotto (Colle di Vespignano, 1267
circa – Firenze, 8 gennaio 1337), che avviene qualcosa che prima non si
poteva neanche immaginare, cioè l’avvento dell’uomo dentro la pittura, per la
prima volta, dopo tanti secoli, l’uomo è inserito in uno spazio reale (cubico), le
figure ritornano ad avere volume mediante il chiaroscuro, scompare il fondo
oro, rappresentazione di uno spazio astratto, e riappare il cielo azzurro.
Giotto, fa quello che Dante fa in letteratura, è il primo che abbandona
completamente quel latino della pittura bizantina, equivalente a una lingua
morta e lontana, e comincia a dipingere in italiano, cioè in “volgare”. Però,
ancora, con Giotto, non si può parlare di prospettiva razionale (prospettiva
lineare), ma soltanto di prospettiva intuitiva.

Pietro Cavallini, Presentazione al tempio,


mosaico, Santa Maria in Trastevere, Roma

Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni, 1292-1296,


affresco, 230×270 cm, Basilica superiore di San Francesco, Assisi
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Giunta Pisano, Crocifisso, 1254, tempera e oro su tavola,
basilica di San Domenico, Bologna

Dettaglio

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