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Anno 2015
A. M. G
BIOFISICA
1
INTRODUZIONE
E
BIOFISICA
Fisiologia:
definizione
La
fisiologia
è
lo
studio
delle
funzioni
degli
organi
e
della
loro
integrazione
che
permettono
all’organismo:
-‐ il
mantenimento
di
condizioni
che
consentano
la
vista
(omeostasi);
-‐ l’interazione
con
l’ambiente;
-‐ la
riproduzione
e
lo
sviluppo.
Non
si
può
estrapolare
dal
contesto
la
fisiologia
e
la
funzione
di
un
determinato
organo,
in
quanto
le
funzioni
sono
estremamente
correlate
tra
loro.
Biofisica
Per
biofisica
si
intende
l’utilizzo
della
fisica
per
lo
studio
delle
funzioni
biologiche.
La
biofisica
è
diventata
la
fisiologia
delle
membrane
cellulari,
quindi
lo
studio
delle
membrane
del
nervo,
del
muscolo
e
della
sinapsi.
Considerate
le
funzioni
di
tessuti
eccitabili
(tessuto
nervoso
e
muscolare),
si
comprende
che
alla
base
di
queste
funzioni
c’è
la
polarizzazione
della
membrana
cellulare:
tutte
le
cellule
di
questi
tessuti
mostrano
un
potenziale
di
membrana
modificabile.
In
un
motoneurone
spinale,
cellula
presa
come
riferimento,
è
-‐70mV,
interno
negativo
(a
riposo,
l’interno
è
negativo).
In
una
cellula
di
miocardio
da
lavoro,
il
potenziale
è
-‐85mV.
Parlando
di
attività
del
muscolo
o
del
sistema
nervoso,
si
parla
sostanzialmente
di
modificazioni
del
potenziale
di
membrana
che
producono
passaggio
di
corrente
ionica
attraverso
la
membrana.
La
corrente
è
trasportata
quindi
attraverso
il
movimento
degli
ioni
(che
si
trovano
in
un
mezzo
conduttore),
strettamente
correlato
al
funzionamento
del
SNC.
Le
modificazioni
del
potenziale
di
membrana
possono
essere
divise
in
due
categorie:
-‐ potenziale
d’azione:
si
presenta
in
molteplici
forme.
È
detto
anche
spike
o
impulso
nervoso,
ed
è
una
variazione
del
potenziale
di
membrana
che
si
propaga
senza
modificazione
di
ampiezza
per
distanze
molto
lunghe.
Per
comprendere
questa
definizione
(caratteristica
fondamentale
per
l’impulso
nervoso),
basta
pensare
ai
neuroni
cortico-‐spinali
(che
devono
coprire
distanze
lunghe
anche
metri)
o
ai
motoneuroni
frenici
(che
da
C4
si
porta
al
diaframma)
di
animali
come
giraffe
o
balene;
-‐ potenziali
graduati
o
elettrotonici:
non
sono
potenziali
di
trasmissione,
in
quanto
muoiono
nello
spazio
di
poche
centinaia
di
micron.
Quando
una
cellula
genera
un
potenziale
d’azione,
esso
corre
e
arriva
alla
terminazione
sinaptica,
dove
induce
la
liberazione
del
neurotrasmettitore.
Quest’ultimo,
esocitato
dall’assone
presinaptico
interagisce
con
il
neurone
bersaglio,
modificandone
il
potenziale
d’azione:
la
membrana
può
depolarizzarsi
(da
-‐
70mV
si
sposta
a
-‐65mV)
e
in
questo
caso
viene
favorita
l’insorgenza
del
potenziale
d’azione
(eccitazione);
se
la
membrana
si
iperpolarizza
(da
-‐70
a
-‐95mV),
invece,
si
ha
inibizione
sinaptica.
I
segnali
ricevuti
da
un
neurone
si
sommano
a
livello
di
alberi
dendritici
e
corpi
cellulari,
determinando
la
possibile
risposta
cellulare,
che
può
essere:
-‐ il
neurone
viene
eccitato
a
sufficienza
da
produrre
un
potenziale
d’azione;
-‐ il
neurone
viene
eccitato,
ma
non
abbastanza
da
produrre
il
potenziale
d’azione;
-‐ il
neurone
viene
inibito,
rendendo
più
difficile
l’eccitazione.
Tra
nervo
e
muscolo,
il
potenziale
d’azione
passa
sempre
dal
nervo
al
muscolo,
il
quale
viene
percorso
dal
potenziale
d’azione
sulla
sua
superficie,
che
ne
induce
la
contrazione
progressivamente.
Il
potenziale
di
membrana
nasce
dal
fatto
che
la
concentrazione
ionica
non
è
uguale
nei
due
compartimenti
delimitati
dalla
membrana
(extracellulare
ed
intracellulare).
Il
sodio
(così
come
calcio
e
cloro)
è
sempre
più
concentrato
al
di
fuori
della
cellula,
mentre
il
potassio
all’interno.
In
più,
l’interno
della
cellula
è
ricco
di
anioni
non
presenti
nel
liquido
extracellulare
(gruppi
fosfati
e
proteinati).
L’esistenza
di
gradienti
di
concentrazione
per
gli
ioni
produce
delle
spinte
diffusionali:
se
c’è
differenza
di
concentrazione,
gli
ioni
si
sposteranno
da
dove
sono
più
concentrati
a
dove
lo
sono
di
meno
e
il
flusso
di
correnti
elettriche
risultanti
determinerà
potenziali
diffusionali.
Il
potenziale
di
membrana
è
quindi
conseguenza
della
diversa
concentrazione
degli
ioni
e
le
correnti
da
essi
generate
nel
loro
movimento
attraverso
la
membrana.
2
Canali
ionici
Le
correnti
sono
trasportate
da
ioni
che
devono
attraversare
il
doppio
strato
lipidico,
motivo
per
cui
sono
necessari
canali
ionici.
I
canali
ionici
sono
glicoproteine
integrali
di
membrana
che
sono
assemblate
in
modo
tale
da
attraversare
tutto
il
doppio
strato
fosfolipidico.
Possono
avere
struttura
unitaria,
ma
generalmente
sono
formate
da
diverse
subunità.
Si
possono
quindi
distinguere
canali
omomeri
(tutte
le
subunità
sono
uguali)
ed
eteromeri
(le
subunità
sono
diverse).
Le
subunità
delimitano
un
canale
acquoso
attraversabile
dagli
ioni.
La
velocità
di
passaggio
è
elevata,
circa
100
milioni
di
ioni
al
secondo.
La
proprietà
fondamentale
di
questi
canali
è
la
selettività:
molti
canali
hanno
selettività
specifica
per
un
determinato
ione.
La
selettività
è
di
fondamentale
importanza
in
quanto
determina
sostanzialmente
il
segno
della
risposta
(quindi
eccitazione
o
inibizione
del
neurone)
della
membrana
al
neurotrasmettitore.
L’esempio
è
il
canale
per
il
sodio
voltaggio
dipendente.
In
alcuni
casi,
come
nelle
cellule
cardiache,
l’unica
subunità
che
forma
il
canale
è
la
subunità
α,
un’unica
catena
amminoacidica
su
cui
si
ritrovano
4
domini
successivi
ripetuti.
Ogni
dominio
è
formato
da
6
segmenti
ad
α
elica,
ricchi
di
amminoacidi
idrofobici
che
attraversano
la
membrana.
I
segmenti
sono
collegati
da
loop
che
si
formano
o
verso
l’esterno
o
verso
l’interno
della
cellula.
Anche
i
domini
sono
collegati
da
loop
e
il
più
importante
è
quello
che
forma
la
regione
P
(tra
S5
ed
S6),
la
quale
determina
la
selettività
dello
ione.
Gli
ioni
entrano
nel
canale
con
la
loro
sfera
di
idratazione
(o
acqua
di
solvatazione,
una
sfera
di
molecole
di
acqua
attratte
dalla
sua
carica
elettrica):
tanto
più
piccolo
è
lo
ione,
più
è
maggiore
la
forza
con
cui
le
molecole
di
acqua
sono
attratte
(infatti
la
sfera
è
più
grande
quanto
maggiore
è
la
densità
della
carica
alla
superficie
dello
ione).
A
parità
di
carica
totale,
gli
ioni
più
piccoli
avranno
una
densità
di
carica
maggiore
e,
di
conseguenza,
una
sfera
di
idratazione
più
ampia.
Per
cui,
uno
ione
piccolo
crea
una
corona
di
molecole
di
acqua
maggiore
di
quella
di
uno
ione
grande,
le
cui
cariche
sono
disperse.
Arrivato
in
una
regione
detta
filtro
di
selettività,
lo
ione
si
coordina
con
una
sola
molecola
d’acqua
e
un
gruppo
espresso
sulla
parete
del
canale
(nel
caso
del
sodio,
un
gruppo
–COO−).
Quando
c’è
corrispondenza,
l’interazione
avviene
in
tempi
minori
del
microsecondo
(anche
un
centesimo
di
microsecondo).
Il
canale
per
il
sodio,
legato
alla
molecola
d’acqua,
forma
un
complesso
il
cui
diametro
corrisponde
esattamente
alla
dimensione
del
diametro
del
canale
nella
regione
del
filtro
di
selettività.
Esistono
diverse
sostanze
che
riescono
ad
entrare,
in
quanto
molto
vicine
al
dimetro
critico
(spesso
dimensioni
inferiori).
Al
contrario,
ioni
come
il
K+
non
sono
permeabili
in
quanto
le
dimensioni
molecolari
del
complesso
superano
quelle
del
diametro
del
canale
nel
punto
del
filtro
di
selettività.
I
canali
passivi
possono
essere
definiti
come
canali
aperti
a
riposo,
ma
in
realtà
un
canale
non
è
mai
sempre
aperto,
in
quanto
oscilla
tra
stati
on
e
off.
I
canali
ad
accesso
variabile
sono
canali
che
a
riposo
sono
chiusi
e
la
cui
apertura
avviene
solo
in
caso
di
eventi
particolari
(meccanismi
di
gating),
come
l’interazione
con
una
molecola
all’esterno
(ligando),
che
determina
l’apertura.
Si
tratta
di
tutti
i
canali
regolati
da
neurotrasmettitori.
Altri
canali
si
aprono
per
fosforilazione
(quando
un
gruppo
fosfato
è
attaccato
a
una
regione
interna
del
canale,
dal
versante
3
citoplasmatico).
Altri
ancora
sono
detti
canali
voltaggio
dipendenti
e
la
loro
apertura
dipende
quindi
dal
voltaggio
(sono
quelli
che
permettono
di
generare
il
potenziale
d’azione).
Un’altra
categoria
comprende
i
canali
regolati
da
deformazione
meccanica:
elementi
fibrillari
legano
il
canale
al
citoscheletro
o
alla
membrana,
per
cui
le
trazioni
esercitate
sulla
membrana
determinando
una
tensione
e
quindi
l’apertura
del
canale.
Questi
canali
permettono
di
generare
una
variazione
di
potenziale
in
un
meccanocettore
(permettono
all’elemento
nervoso
di
essere
sensibili
a
stiramento,
tensione
o
pressione).
Esistono
infine
recettori
che
si
aprono
per
stimoli
termici,
detti
TRP
(transient
receptor
potential).
Esempio
di
canale
regolato
da
ligando:
recettore
nicotinico
per
l’acetilcolina
Normalmente,
il
canale
è
chiuso
e
al
legame
di
due
molecole
di
acetilcolina
inizia
ad
alternare
stati
di
apertura/chiusura.
Nel
periodo
in
cui
non
c’è
corrente,
ci
sono
soltanto
piccole
fluttuazioni,
all’apertura
del
canale
si
osserva
una
corrente
di
cariche
positive
rivolta
verso
l’interno,
nuovamente
il
canale
si
chiude,
per
poi
riaprirsi
e
così
via.
L’apertura
è
completata
in
circa
1µsec.
Una
serie
di
molecole
sono
in
grado
di
agire
sul
recettore,
modulandone
la
risposta
all’acetilcolina.
Quindi,
quando
l’acetilcolina
si
lega
al
canale,
la
probabilità
di
apertura
del
canale
dipende
dalle
altre
sostanze
che
hanno
interagito
con
il
canale.
Molte
di
queste
sostanze
sono
tossiche.
Esistono
anche
regolazioni
fisiologiche
(meccanismo
di
gating
specifico):
fosforilazione/defosforilazione
del
canale
(che
altera
la
capacità
di
rispondere
al
neurotrasmettitore).
Questi
modulatori
si
legano
in
siti
diversi
rispetto
a
quelli
dell’acetilcolina.
Altre
sostanze,
invece,
competono
con
l’acetilcolina
per
il
legame
al
suo
sito:
-‐ agonisti:
legandosi
al
suo
sito
sul
canale,
svolgono
la
stessa
azione
dell’acetilcolina,
aprendo
il
canale.
La
capostipite
di
queste
sostanze
è
la
nicotina,
che
dà
il
suo
nome
al
canale
ionico
(recettore
nicotinico);
-‐ antagonisti:
legano
lo
stesso
sito
dell’acetilcolina,
ma
una
volta
sostituiti
ad
essa,
si
limitano
ad
impedire
l’azione
fisiologica
del
neurotrasmettitore,
quindi
non
aprono
il
canale.
In
realtà,
il
canale
non
ha
soltanto
lo
stato
chiuso
e
quello
aperto.
Il
terzo
stato
è
detto
stato
refrattario,
che
non
vuol
dire
che
il
canale
è
chiuso.
Lo
stato
refrattario
non
fa
passare
corrente
in
quanto
scatta
un
meccanismo
di
chiusura
diverso
rispetto
a
quello
dello
stato
chiuso:
il
poro
viene
nuovamente
obliterato,
ma
in
un
punto
diverso
da
quello
su
cui
opera
il
meccanismo
di
gating.
Tutti
i
canali
ionici
si
inattivano
più
o
meno
rapidamente,
chiudendo
il
canale
in
una
zona
più
interna
rispetto
a
quella
di
chiusura.
Per
questo
motivo,
il
primo
meccanismo
di
inattivazione
è
la
stessa
variazione
di
PM
responsabile
dell’apertura
(il
canale
resta
aperto
per
un
tempo
breve).
Un
altro
meccanismo
di
inattivazione
può
dipendere
dallo
ione
che
entra
attraverso
il
canale
stesso.
Il
canale
per
il
calcio
voltaggio
dipendente,
ad
esempio,
può
essere
inattivato
dallo
stesso
calcio:
il
canale
viene
bloccato
una
volta
che
il
calcio
si
lega
alla
parte
interna.
Anche
la
defosforilazione
inattiva
il
canale:
se
il
canale
ha
subito
una
fosforilazione,
nel
momento
in
cui
viene
rimossa
dalla
fosfatasi,
il
canale
si
inattiva.
Nel
caso
dei
canali
attivati
da
ligando,
l’inattivazione
può
essere
generata
dalla
prolungata
esposizione
al
ligando
stesso:
questo
processo
prende
il
nome
di
desensitizzazione
e
può
essere
associato
alla
fosforilazione
del
canale.
Lo
stato
aperto
e
chiuso
sono
in
equilibrio
dinamico
(il
canale
oscilla
tra
questi
due
stati),
ma
una
volta
passati
in
stato
refrattario,
il
canale
è
obbligato
a
passare
di
nuovo
allo
stato
chiuso
per
venire
poi
aperto.
Un
canale
in
stato
refrattario
è
inattivato.
Il
suo
passaggio
in
stato
refrattario
può
verificarsi
nei
processi
di
desensitizzazione,
i
quali
interessano
i
canali
ligando-‐dipendenti.
Si
tratta
del
fenomeno
per
cui
all’aumento
di
livelli
dei
neurotrasmettitori,
diminuisce
la
sensibilità
del
sito
per
il
neurotrasmettitore
stesso.
Nascono
dei
processi
che
rendono
i
canali
refrattari
all’apertura,
che
contribuisce
alla
desensitizzazione.
Nella
desensitizzazione,
i
canali
sensibili
al
ligando
vengono
rimossi
dalla
membrana.
Al
contrario,
quando
una
via
afferente
viene
persa
e
non
rilascia
più
neurotrasmettitore,
il
canale
diventa
più
4
sensibile
al
neurotrasmettitore
cui
non
viene
più
esposto
(iper-‐sensitizzazione).
I
canali
ionici
possono
essere
registrati
con
la
tecnica
del
patch-‐clamp,
che
ha
permesso
di
studiare
dal
punto
di
vista
funzionale
il
significato
delle
diverse
componenti
del
canale
ionico
e
che
consiste
nell’apporre
una
pipetta
sulla
superficie
di
una
cellula
e
produrre
una
suzione
che
sigilla
l’interno
della
pipetta,
isolandolo
completamente
dal
liquido
esterno
alla
cellula.
Per
lo
studio,
si
determina
l’espressione
su
oocita
di
rana
dei
canali
proprio
dell’uomo.
È
stato
possibile
comprendere
la
funzione
della
sequenza
di
amminoacidi
sostituendo
parte
della
sequenza
e
studiandone
le
conseguenze:
l’eliminazione
della
sequenza
della
regione
P,
ad
esempio,
determina
la
perdita
di
selettività.
Si
utilizzano
elettrodi
a
punta
piuttosto
larga,
anche
2µm
(normalmente
per
registrare
intra-‐
cellularmente
si
usano
elettroni
con
punte
di
diametri
minori
di
1µm,
circa
0.2
µm).
La
punta
molto
larga
viene
fatta
scaldare
in
modo
da
farle
perdere
le
asperità
che
potrebbero
danneggiare
la
cellula.
La
pipetta
viene
applicata
sulla
cellula
e
si
effettua
aspirazione
sufficientemente
lieve
da
non
rompere
la
membrana,
ma
abbastanza
forte
da
poter
unire
la
pipetta
alla
membrana
(generare
un
sigillo),
in
modo
che
la
resistenza
tra
il
liquido
contenuto
nella
pipetta
e
l’esterno
della
cellula
sia
dell’ordine
dei
GΩ
(Giga
Ohm).
Una
volta
creato
questo
Giga-‐seal
(sigillo)
si
può
misurare
la
corrente
generata
da
un
unico
canale.
Se
la
procedura
non
avviene
in
modo
corretto,
la
corrente
non
raggiunge
sempre
lo
stesso
livello,
ma
due
o
tre
livelli
a
seconda
di
quanti
canali
siano
contemporaneamente
aperti,
oppure
nessuno.
Si
misura
la
probabilità
(P0)
di
apertura
del
canale,
ovvero
il
rapporto
tra
il
tempo
in
cui
il
canale
è
aperto
e
il
tempo
di
osservazione,
i
tempi
medi
di
apertura
e
di
chiusura
e
la
corrente
totale
che
passa
attraverso
la
cellula
(osservabile
rompendo
la
cellula
mediante
suzione),
detta
corrente
macroscopica
(somma
delle
correnti
che
passano
attraverso
i
singoli
canali,
la
quale
dà
la
corrente
totale
che
passa
attraverso
la
membrana).
Le
leggi
dell’elettricità
mettono
in
relazione
la
corrente
che
passa
attraverso
il
canale
e
la
differenza
di
potenziale
che
genera
la
corrente.
In
particolare,
questa
relazione
è
espressa
dalla
legge
di
Ohm,
per
la
quale:
I
=
ΔV/R
1/R
=
G
I
=
ΔV
x
G
Dove
G
è
la
conduttanza
ed
è
uguale
a
1/R,
dove
R
è
la
resistenza,
ΔV
la
differenza
di
potenziale,
I
la
corrente.
Un
grafico
che
riporta
la
corrente
che
passa
in
un
canale
in
funzione
della
differenza
di
potenziale
permettere
di
dividere
i
canali
in
due
categorie.
Alcuni
canali,
i
canali
Ohmici,
seguono
la
legge
di
Ohm,
quindi
la
relazione
tra
corrente
e
differenza
di
potenziale
è
espressa
da
una
linea
retta:
la
conduttanza,
o
la
resistenza,
è
costante.
Gli
altri
canali,
detti
canali
rettificanti,
tra
cui
alcuni
importantissimi
per
la
vita
(come
quelli
espressi
nel
cuore),
non
hanno
resistenza
costante.
Rispetto
a
un
canale
a
resistenza
costante,
mostrano
una
corrente
maggiore
all’aumento
della
differenza
di
potenziale,
mentre
quando
la
differenza
di
potenziale
diminuisce
cambia
di
segno,
la
corrente
è
minore
di
quella
che
ci
si
può
attendere
da
un
canale
ohmico.
Si
tratta
quindi
di
un
canale
in
cui
la
resistenza
è
piuttosto
bassa
(quindi
la
conduttanza
elevata)
quando
la
corrente
esce
dalla
membrana,
mentre
la
conduttanza
è
bassa
e
la
resistenza
elevata
quando
la
corrente
entra
nella
membrana,
quando
si
è
rovesciato
il
flusso
della
corrente.
Non
si
tratta,
però,
di
un
comportamento
voltaggio
dipendente
(non
c’è
un
sensore
di
voltaggio),
ma
è
dovuto,
molto
più
banalmente,
al
movimento
di
alcune
molecole,
legato
al
movimento
delle
cariche,
che
tappa
il
canale
e
rende
più
difficile
il
passaggio
degli
ioni.
Canali
voltaggio
dipendenti
I
canali
voltaggio
dipendenti
sono
canali
che
si
aprono
alla
depolarizzazione
della
membrana
o
(meno
frequentemente)
alla
sua
iperpolarizzazione.
Possiedono
un
elemento
sensibile
al
voltaggio
che
cambia
conformazione
alla
depolarizzazione
(o
iperpolarizzazione)
della
membrana,
determinando
l’apertura
del
canale.
Esistono,
di
questo
tipo,
canali
per
il
sodio,
il
potassio,
il
calcio
e
il
cloruro.
Sono
legati
alla
5
possibilità
di
generare
potenziali
d’azione,
di
rilasciare
neurotrasmettitore,
nella
generazione
di
attività
pacemaker.
Un
pacemaker
è
un
micro-‐stimolatore
che
genera
impulsi
e
dà
la
frequenza
al
cuore.
Normalmente,
le
cellule
del
cuore
generano
impulsi
ripetuti,
li
comunicano
alle
cellule
contigue
e
determinano
il
battito.
Anche
le
cellule
responsabili
della
posizione
eretta
del
collo
possiedono
attività
pacemaker,
che
è
quindi
definibile
come
attività
tonica
e
continua
endogena,
generata
dalla
cellula.
Questi
canali
in
genere
si
aprono
ad
un
certo
livello
di
depolarizzazione,
detto
“soglia”.
Il
fatto
che
abbiano
una
soglia
fa
sì
che
abbia
una
soglia
tutto
ciò
che
dipende
dalla
loro
funzione.
Infatti,
il
potenziale
d’azione
avrà
una
soglia
e
avverrà
quando
la
depolarizzazione
avrà
raggiunto
un
livello
soglia,
anche
se
la
soglia
del
potenziale
d’azione
non
coincide
con
quella
del
canale
ionico.
I
canali
per
il
sodio,
il
potassio
e
il
calcio
hanno
aspetti
strutturali
comuni,
differenti
da
quelli
del
canale
per
il
cloruro.
In
tutti
i
canali
voltaggio
dipendenti
il
sensore
del
voltaggio
è
il
quarto
segmento
ad
α-‐elica
(S4),
che
si
muove
verso
l’alto
in
risposta
alla
depolarizzazione.
La
nomenclatura
dei
canali
è
duplice:
-‐ nomenclatura
stabilita
dallo
scopritore
del
canale:
ad
esempio,
i
canali
responsabili
dell’attività
pacemaker
del
cuore
sono
detti
canali
di
tipo
F
(dove
F
sta
per
funny)
e
la
corrente
è
la
corrente
F
(primi
canali
voltaggio
dipendenti
scoperti
che
si
aprono
in
caso
di
iperpolarizzazione,
per
cui
erano
“buffi”);
-‐ nomenclatura
ufficiale:
sigla
della
specie
ionica,
la
tipologia
del
canale
(ad
esempio
v
per
voltaggio
dipendente),
isoforma
specifica
della
subunità.
Per
la
subunità
considerata
ci
sono
nove
isoforme
(1-‐9)
per
il
canale
per
il
sodio:
Na
v
1.1
Canali
per
il
sodio
voltaggio
dipendenti
Il
funzionamento
dei
canali
per
il
sodio
voltaggio
dipendenti
è
molto
simile,
nonostante
le
differenze
tra
i
tessuti.
Sono
composti
da
una
o
più
subunità,
di
cui
la
fondamentale
è
la
subunità
α.
Nel
miocardio,
è
presente
solo
la
subunità
α,
nel
muscolo
scheletrico
sono
presenti
le
subunità
α
e
la
subunità
β1,
nel
SNC
esiste
anche
la
subunità
β2
(quindi
le
subunità
sono
tre)
e
la
β1
può
essere
sostituita
dalla
β3.
Nel
cuore,
nel
muscolo
e
in
un
assone
amielinico,
i
canali
per
il
sodio
sono
distribuiti
in
maniera
uniforme
lungo
tutta
la
superficie
della
membrana,
invece,
per
quanto
riguarda
i
neuroni,
i
canali
sono
localizzati
nel
cono
di
emergenza
dell’assone.
In
una
fibra
mielinica,
i
canali
sono
localizzati
a
livello
dei
nodi
di
Ranvier.
La
soglia
di
attivazione
è
bassa
(si
aprono
per
piccole
depolarizzazioni)
e
il
canale
passa
rapidamente
in
stato
refrattario
(inattivazione
rapida)
in
quanto
la
stessa
depolarizzazione
che
apre
il
canale
lo
chiude.
Infatti,
il
potenziale
d’azione
è
estremamente
rapido
nel
caso
in
cui
dipenda
soltanto
dai
canali
per
il
sodio.
Una
volta
che
il
canale
è
diventato
refrattario,
anche
la
cellula
nervosa
diventa
refrattaria,
ovvero
non
è
più
in
grado
di
generare
potenziale
d’azione
e
non
risponde
più
agli
stimoli
che
lo
generano.
La
subunità
α
è
organizzata
in
modo
che
le
4
regioni
P
siano
a
contatto
e
determino
il
filtro
di
selettività,
per
cui
è
quella
che
concorre
alla
formazione
del
poro
funzionale.
Le
subunità
β,
quando
presenti,
sono
localizzate
in
maniera
periferica
rispetto
alla
subunità
α
e
non
intervengono
nella
selettività,
ma
intervengono
nei
meccanismi
di
apertura
e
chiusura
(modulazione
della
cinetica).
Il
pesce
palla
contiene,
soprattutto
a
livello
di
visceri
e
gonadi,
la
tetrodotossina
(TTX),
una
tossina
che
chiude
i
canali
per
il
sodio
(si
lega
al
canale
dall’esterno,
obliterandolo
completamente),
e
che
determina
quindi
la
morte
per
soppressione
del
potenziale
d’azione.
La
tetrodotossina
è
importante
sperimentalmente,
in
quanto
può
aiutare
a
studiare
il
funzionamento
dei
canali.
I
canali
espressi
sui
miocardiociti
la
legano
con
minore
affinità
di
quelli
del
tessuto
nervoso.
6
I
canali
per
il
sodio
non
sono
tutti
omogenei
e
una
differenza
riguarda
in
particolare
i
canali
Nav
da
1.6
a
1.9,
i
quali
hanno
inattivazione
più
lenta
e
mostrano
una
coda
di
corrente:
il
meccanismo
di
refrattarietà
non
è
completo,
permettendo
l’eccitazione
della
cellula,
per
cui
sono
associati
alla
produzione
di
scariche
neuronali
persistenti.
Sono
maggiormente
sensibili
al
blocco
da
TTX.
Ha
un
significato
fisiologico
per
il
mantenimento
del
tono
muscolare
e
della
stazione
eretta,
ma
anche
patologico
(alterazione
della
scarica
motoneuronale,
che
determina
insorgenza
di
crampi).
Il
riluzolo
altera
le
proprietà
del
canale,
bloccando
queste
correnti
persistenti.
I
bloccanti
classici
usati
farmacologicamente
per
il
canale
del
sodio
devono
essere
meno
potenti
della
tetrodotossina:
si
tratta
di
anestetici
locali
(lidocaina,
xilocaina),
che
interagiscono
col
canale
dal
versante
interno,
o
altri
bloccanti
come
la
carbamazepina.
Se
sono
ionizzati,
penetrano
nella
membrana
e
possono
agire
dall’interno
del
canale,
se
sono
in
forma
non
polare
(sostanze
acide,
quindi
l’idrogenione
non
è
stato
ceduto),
passano
sfruttando
le
loro
caratteristiche
idrofobiche
attraverso
il
doppio
strato
fosfolipidico.
Hanno
maggior
affinità
per
lo
stato
inattivato.
Un
altro
farmaco
è
la
carbamazepina,
un
farmaco
antiepilettico
che
stabilizza
lo
stato
inattivo.
Gli
anestetici
locali
hanno
azione
(abbastanza)
selettiva
sulle
fibre
di
piccolo
diametro.
Il
diametro
delle
fibre
è
legato
alle
informazioni
trasportate:
le
più
piccole
sono
le
fibre
del
dolore,
che
sono
quindi
le
prime
ad
essere
bloccate.
Successivamente,
quelle
che
determinano
informazioni
termiche,
tattili
e
in
seguito
propriocettive.
L’ischemia,
invece,
blocca
prima
le
fibre
di
grosso
diametro
(propriocettive),
poi
quelle
tattili,
termiche
e
dolorifiche
(reazioni
delle
mani
al
freddo:
i
movimenti
delle
dita
diventano
goffi
e
grossolani).
Le
mutazioni
delle
subunità
contribuiscono
ad
alcune
malattie.
Esistono
quattro
mutazioni
della
subunità
α
che
inducono
allungamento
del
tempo
di
apertura
del
canale,
generando
quindi
una
corrente
di
sodio
in
ingresso
che
dura
più
a
lungo
del
normale.
Due
esempi
sono:
-‐ sindrome
del
QT
lungo:
si
va
incontro
ad
aritmia
ventricolare.
Il
potenziale
d’azione
delle
cellule
cardiache
dura
più
a
lungo
perché
i
canali
per
il
sodio
voltaggio
dipendenti
generano
una
corrente
più
duratura
e
non
si
inattivano,
comportandosi
come
i
canali
1.6-‐1.9.
Il
potenziale
d’azione
si
allunga
e
si
altera
l’elettrocardiogramma.
La
mutazione
è
a
livello
della
subunità
α;
-‐ una
mutazione
puntiforme
nella
subunità
β
produce
effetti
simili
nel
SNC.
L’inattivazione
del
canale
diventa
lenta
e
le
cellule
sono
molto
eccitabili
(possono
originarsi
crisi
epilettiche).
Canali
per
il
potassio
voltaggio
dipendenti
I
canali
per
il
potassio
voltaggio
dipendenti
(Kv)
e
calcio
dipendenti
(Kca,
regolati
dai
livelli
di
calcio
intracellulare)
sono
legati
alla
ri-‐polarizzazione
della
cellula
e
sono
importanti
per
regolare
la
frequenza
della
scarica
neuronale.
Inoltre,
generano
l’iperpolarizzazione
postuma
(e,
di
conseguenza,
determinano
la
frequenza
della
scarica
di
PDA
nei
neuroni
continuamente
attivi),
una
iperpolarizzazione
che
segue
al
potenziale
d’azione
(una
depolarizzazione
della
membrana).
La
struttura
dei
canali
per
il
potassio
voltaggio
dipendenti
è
uguale
a
quella
del
canale
calcio
dipendente
(quattro
subunità
α,
composte
da
sei
domini
transmembrana),
e
si
attiva
quando
la
depolarizzazione
della
membrana
provoca
ingresso
del
calcio,
il
quale
apre
questi
canali
per
il
potassio.
Nei
motoneuroni
spinali
di
mammifero,
sono
determinanti
per
la
durata
dell’iperpolarizzazione
postuma.
In
questo
canale,
quelli
che
nel
canale
per
il
sodio
erano
quattro
domini
di
una
subunità
sono
diventati
quattro
subunità
distinte
(sono
stati
troncati
gli
amminoacidi
che
permettevano
i
collegamenti
tra
domini).
La
regione
importante
per
la
selettività
è
sempre
tra
il
5
e
il
6
segmento,
il
sensore
per
il
voltaggio
è
nel
quarto
segmento
(come
nel
canale
per
il
sodio).
Il
loop
attaccato
a
S1
rappresenta
l’elemento
che
genera
l’inattivazione
del
canale.
Altri
canali
per
il
potassio
sono
quelli
passivi,
a
rettificazione
interna
(nel
cuore),
modulati
da
ATP
e
altri
accoppiati
a
proteine
G.
La
regione
P
è
sempre
la
stessa,
in
quanto
è
quella
che
determina
la
selettività
del
canale
per
il
potassio,
ma
le
quattro
subunità
in
questo
caso
sono
formate
da
due
soli
domini.
Il
canale
KATP
si
ritrova
nelle
cellule
β
delle
isole
di
Langerhans
del
pancreas.
Il
glucosio
ematico
entra
nella
cellula
attraverso
il
proprio
carrier
e
l’aumento
di
ATP,
dovuto
al
suo
metabolismo,
tende
ad
aumentare
la
probabilità
di
chiusura
del
canale
per
il
potassio.
La
conseguenza
è
una
depolarizzazione
che
quindi
apre
i
canali
per
il
calcio.
Lo
ione
entra
nella
cellula
e
genera
il
rilascio
di
insulina.
In
alcune
patologie,
aumenta
la
risposta
di
tali
canali
all'ATP
(per
via
di
una
mutazione),
per
cui
la
membrana
si
7
depolarizza
più
di
frequente
e
si
libera
troppa
insulina,
con
conseguente
ipoglicemia.
Un
esempio
di
patologia
collegata
a
questo
fenomeno
è
l'ipoglicemia
infantile
da
iperinsulinemia.
Anche
mutazioni
a
carico
dei
canali
per
il
potassio
voltaggio
dipendenti
sono
alla
base
di
malattie
genetiche.
La
malattia
nervosa
atassia
episodica
è
caratterizzata
da
attacchi
episodici
in
cui
i
movimenti
sono
scoordinati,
per
cui
il
movimento
non
è
fine,
ma
goffo
e
sregolato
(sintomi
tipici
di
lesioni
al
cervelletto).
Sebbene
il
meccanismo
non
sia
chiaro,
sono
state
evidenziate
sei
mutazioni
puntiformi
della
subunità
α.
Mutazioni
a
carico
del
canale
per
il
potassio
si
ritrovano
anche
nei
soggetti
affetti
dalla
sindrome
del
QT
lungo
di
tipo
1,
in
cui
il
potenziale
dura
più
a
lungo
del
normale
per
riduzione
della
corrente
di
potassio
voltaggio
dipendente.
Altra
malattia
legata
ai
canali
per
il
potassio
è
l'epilessia
familiare
infantile
benigna,
in
cui
si
ha
diminuzione
nell'espressione
di
questi
canali.
Canali
per
il
calcio
I
canali
per
il
calcio
voltaggio
dipendenti
sono
formati
da
una
subunità
α1
(costituita
da
quattro
segmenti
transmembrana,
che
forma
il
poro
idrofilo,
così
come
avviene
nei
canali
del
sodio)
e
delle
subunità
ancillari
β,
γ
e
δ.
La
subunità
β
è
sito
di
fosforilazione
ed
è
fondamentale
in
quanto
l’aggiunta
di
fosfato
aumenta
la
probabilità
che
il
canale
voltaggio
dipendente
si
apra
in
seguito
a
depolarizzazione.
Le
subunità
α2-‐δ
è
importante
per
la
regolazione
legata
alle
proteine
G,
che
consente
l'interazione
con
recettori
metabotropici.
I
canali
per
il
calcio
voltaggio
dipendenti
possono
essere
divisi
in
due
categorie:
-‐ canali
a
soglia
elevata
(HLA,
high
voltage
activated),
i
quali
cominciano
ad
aprirsi
quando
il
PM
raggiunge
i
-‐20
mV;
-‐ canali
a
bassa
soglia
(LVA,
low
voltage
activated),
che
si
aprono
per
depolarizzazioni
maggiori
(valori
più
negativi,
intorno
a
-‐65/-‐50
mV).
Canali
ad
alta
soglia
(HVA)
I
più
importanti
canali
ad
alta
soglia
sono
i
canali
L,
N
e
P/Q.
I
canali
L
sono
presenti
nel
muscolo,
nelle
cellule
endocrine
e
nei
miocardiociti.
Hanno
una
conduttanza
molto
elevata
(20-‐25
pS,
picoSiemens)
e
lenta
inattivazione.
In
generale,
la
corrente
di
calcio
è
prolungata
nel
tempo
(a
differenza
di
quelle
generate
da
canali
per
il
sodio
voltaggio
dipendenti)
e
svolge
funzioni
fisiologiche
di
fondamentale
importanza.
Nel
muscolo
cardiaco
è
responsabile
dell'accoppiamento
elettromeccanico:
il
canale
è
fondamentale
per
generare
la
contrazione.
Questi
canali
sono
anche
necessari
per
il
normale
potenziale
d'azione
del
muscolo
cardiaco
(plateau
del
potenziale
d’azione
cardiaco),
la
cui
lunghezza
è
molto
maggiore
rispetto
a
quella
del
muscolo
scheletrico
(grazie
all'attivazione
di
questi
canali
in
seguito
all’attivazione
di
quelli
per
sodio).
Il
rapporto
di
durata
è
di
300
a
1
ms
(nel
miocardiocita,
infatti,
il
potenziale
d'azione
è
sostenuto
da
questi
canali).
Inoltre,
sono
importanti
nell'esocitosi
(cellule
endocrine)
e
per
la
generazione
di
aumenti
di
concentrazione
intracellulare
(transienti)
di
calcio
per
l'attivazione
di
funzioni
cellulari
(rilascio
di
sostanze
da
siti
di
storage,
come
il
reticolo
endoplasmatico).
I
canali
L
sono
il
bersaglio
dei
calcio-‐antagonisti,
farmaci
utilizzati
per
la
cura
dell’ipertensione
(regolando
la
contrazione
della
muscolatura
liscia
dei
vasi),
nonostante
siano
canali
voltaggio
dipendenti
e
non
dipendenti
da
ligando.
Esistono
tre
classi
di
sostanze
bloccanti
(che
inibiscono
l’apertura
del
canale
alla
depolarizzazione),
ognuna
delle
quali
si
lega
in
un
sito
specifico
della
subunità
α:
1,4-‐diidropiridine
(nifedipina),
benzotiazepine
(diltiazepam)
e
fenilalchilammine
(verapamil).
L’esistenza
di
siti
di
legame
per
queste
sostanze
lascia
supporre
l’esistenza
di
sostanze
endogene
che
li
leghino
e
modulino
la
funzione
di
questi
canali
(ipotesi
non
confermata).
Le
catecolamine,
invece,
ne
facilitano
l’apertura
e
in
questo
modo
esercitano
azioni
sul
cuore
(come
quella
di
aumentare
la
forza
di
contrazione,
detta
azione
inotropa
positiva).
I
canali
N
sono
espressi
sulle
terminazioni
assoniche
del
sistema
nervoso
autonomo,
ma
anche
su
terminazioni
nervose
centrali.
Sono
soggetti
a
modulazione
negativa
da
dopamina
e
noradrenalina
attraverso
proteine
G.
sono
inattivati
selettivamente
da
sostanze
come
la
ω-‐conotossina-‐GVIA
(prodotta
da
una
conchiglia
dei
mari
tropicali).
8
I
canali
P/Q
sono
espressi
sui
neuroni
centrali
(particolarmente
presenti
nel
cervelletto).
La
loro
funzione,
come
quella
dei
canali
N,
è
quella
di
indurre
la
liberazione
del
neurotrasmettitore
mediante
esocitosi
e
sono
inibiti
dalla
ω-‐conotossina-‐MVIIC
e
dalla
ω-‐agatossina-‐IVA
(veleno
di
ragno)
Canali
a
bassa
soglia
(LVA)
I
canali
a
bassa
soglia
sono
detti
canali
di
tipo
T
e
si
attivano
per
valori
del
potenziale
di
membrana
che
oscillano
tra
i
-‐65
e
i
-‐50
mV.
Si
inattivano
più
velocemente
dei
canali
N,
ma
sono
molto
più
lenti
rispetto
a
quelli
del
sodio
e
hanno
conduttanza
bassa
(9
pS).
Sono
presenti
nelle
cellule
nervose,
endocrine
e
cardiache,
nei
fibroblasti
e
negli
osteoclasti.
Sono
i
canali
più
espressi
a
livello
del
nodo
senoatriale
e
contribuiscono
quindi
alla
generazione
del
potenziale
pacemaker
(funzione
più
nota).
Canale
Caratteristiche
Localizzazione
Funzioni
Modulatori
Canali
ad
alta
soglia
Tipo
L
-‐
Elevata
conduttanza
-‐
Muscolo
-‐
Accoppiamento
-‐
Bloccanti:
-‐
Lenta
inattivazione
scheletrico
elettromeccanico
diidropiridine,
-‐
Cellule
endocrine
-‐
Plateau
del
PdA
benzotiazepine
e
-‐
Miocardiociti
cardiaco
fenilalchilammine
-‐
Esocitosi
-‐
Facilitatori
-‐
Attivazione
dell’apertura:
funzioni
cellulari
catecolamine
Tipo
N
-‐
Subiscono
-‐
terminazioni
del
-‐
Bloccanti:
modulazione
sistema
nervoso
conotossina-‐GVIA
negativa
da
autonomo
dopamina
e
-‐
terminazioni
noradrenalina
nervose
centrali
-‐
Liberazione
Tipo
P/Q
-‐
neuroni
centrali
neurotrasmettitore
-‐
Bloccanti:
conotossina-‐
MVIIC
e
agatossina-‐IVA
Canali
a
bassa
soglia
Tipo
T
-‐
Inattivazione
rapida
-‐
cellule
nervose
-‐
Generazione
del
-‐
bassa
conduttanza
-‐
cellule
cardiache
potenziale
-‐
cellule
endocrine
pacemaker
delle
-‐
fibroblasti
cellule
del
nodo
del
-‐
osteoclasti
seno
Canali
per
il
cloro
Le
informazioni
riguardanti
i
canali
per
il
cloro
sono
ridotte.
Si
tratta
di
canali
estremamente
eterogenei
e
possono
essere
voltaggio-‐dipendenti,
calcio-‐dipendenti
e
regolati
dal
volume
della
cellula
(il
volume
determina
la
trazione
esercitata
sulla
membrana
dagli
elementi
citoscheletrici).
Ad
esempio,
i
canali
di
tipo
CLC
sono
canali
voltaggio
dipendenti,
ne
esistono
nove
(CLC
1-‐7,
Ka
e
Kb)
e
si
possono
trovare
sia
a
livello
della
membrana
plasmatica
(CLC
1-‐2,
Ka,
Kb)
che
negli
organelli,
dove
controllano
l'eccitabilità
cellulare
(in
particolar
modo
a
livello
del
muscolo
scheletrico,
dov’è
detta
eccitabilità
muscolare).
Non
tutte
le
regioni
ad
α
elica
attraversano
la
membrana
da
parte
a
parte.
La
funzione
è
legata
al
controllo
del
pH
nel
lume
degli
organelli,
sebbene
non
se
ne
conosca
la
modalità.
Oltre
alle
due
funzioni
citate,
sono
coinvolti
nei
movimenti
di
ioni
e
acqua
attraverso
gli
epiteli.
Sono
costituiti
da
due
subunità,
ognuna
delle
quali
costituisce
un
canale,
per
cui
risultano
come
una
coppia
di
canali
associati
che
non
sono
indipendenti
e
che
generano
profili
di
corrente
differenti.
Infatti,
si
osservano
tre
livelli
di
intensità
(compreso
il
livello
zero),
in
quanto
il
canale
si
può
trovare
in
tre
stati:
aperto,
semiaperto
e
chiuso.
Mutazioni
dei
canali
CLC-‐1
causano
miotonia
congenita,
che
risulta
in
una
eccessiva
eccitabilità
delle
cellule
muscolari
(per
via
della
riduzione
della
corrente
di
ioni
cloro
dovuta
alla
mutazione).
La
corrente
che
passa
attraverso
CLC-‐1
serve,
pertanto,
a
mantenere
la
cellula
a
riposo.
9
I
canali
CFTR
(regolatore
transmembranario
della
fibrosi
cistica)
sono
implicati
nella
fibrosi
cistica.
Sono
formati
da
due
subunità
(che
determinano
il
poro
per
il
cloruro)
cui
sono
associati
due
elementi
leganti
nucleotidi
(NBD1
e
NBD2)
e
un
elemento
regolatore
R,
che
modula
il
processo
di
apertura.
Sembra
che,
affinché
il
canale
possa
aprirsi,
è
necessario
che
entrambi
gli
elementi
NBD
leghino
ATP,
la
cui
idrolisi
chiude
il
canale.
Uno
dei
sintomi
del
quadro
patologico
della
fibrosi
cistica
è
la
produzione
di
secreti
poco
fluidi,
dovuti
all’incapacità
delle
cellule
secretrici
di
produrre
normali
flussi
di
acqua
e
sali,
generando
così
secreti
altamente
viscosi
che
occludono
il
lume
delle
strutture
ghiandolari
con
gravi
conseguenze,
come,
ad
esempio,
l’accumulo
di
muco
nelle
vie
aeree.
Il
modo
con
cui
molte
cellule
producono
un
secreto
acquoso
è
caricandosi
di
cloruro:
la
fuoriuscita
di
cloruro
si
accompagna
al
passaggio
osmotico
di
acqua.
In
caso
di
malfunzionamento,
il
meccanismo
si
altera.
POTENZIALE
DI
MEMBRANA
Il
potenziale
di
membrana
è
un
potenziale
di
tipo
diffusionale
che
viene
generato
da
gradienti
ionici
che
esistono
a
cavallo
della
membrana
cellulare.
Nei
primi
anni
del
Novecento,
si
credeva
che
la
membrana
fosse
permeabile
solo
al
potassio
(mentre
nella
membrana
inattiva
esistono
canali
per
il
cloro
e,
in
numero
minore,
permeabili
al
sodio).
Il
fisiologo
Bernstein,
che
si
accorse
che
la
membrana
era
polarizzata
e
che
era
altamente
permeabile
al
potassio,
mentre
sembrava
totalmente
impermeabile
del
sodio
(in
realtà
è
poco
permeabile),
formulò
l'ipotesi
che
il
potenziale
di
membrana
(PM)
fosse
un
potenziale
di
diffusione
del
potassio.
Il
potassio,
infatti,
essendo
molto
più
concentrato
all'interno
rispetto
al
liquido
interstiziale,
tende
a
fuoriuscire
dalla
cellula
generando
il
potenziale
di
membrana
e
lasciando
cariche
negative
non
compensate
che
polarizzano
negativamente
l’interno
della
membrana.
La
polarità
raggiunta
neutralizza
gli
effetti
del
gradiente
di
concentrazione.
La
presenza
del
PM
non
viola
il
principio
di
elettroneutralità
della
cellula
e
dell'ambiente
esterno.
Il
numero
di
cariche
contenute
all'interno
della
cellula
(positive
e
negative)
è
incomparabile
con
quello
necessario
alla
polarizzazione
della
membrana,
dal
momento
che
la
carica
netta
all'interno
della
cellula
è
altamente
trascurabile.
La
tendenza
del
potassio
ad
uscire
genera
una
differenza
di
potenziale,
che,
quando
i
flussi
in
un
senso
e
nell'altro
si
equivalgono,
diventa
stabile.
Entro
i
limiti
delle
misure
sperimentali
di
allora,
l'ipotesi
di
Bernstein
era
accettabile
ed
è
importante
per
stabilire
il
potenziale
di
equilibrio,
ovvero
il
PM
per
il
quale
non
vi
sono
flussi
netti
dello
ione
(la
polarità
raggiunta
neutralizza
gli
effetti
del
gradiente
di
concentrazione).
Quando
si
arriva
a
questa
situazione
di
equilibrio,
la
probabilità
che
uno
ione
esca
dalla
cellula
spinto
dal
gradiente
di
concentrazione
è
uguale
a
quella
che
vi
rientri
per
effetto
del
gradiente
elettrico.
Secondo
l’ipotesi
di
Bernstein,
il
PM
era
un
potenziale
di
equilibrio
per
il
potassio
(Ek).
Tuttavia,
quando
fu
possibile
registrare
il
potenziale
di
membrana
in
relazione
al
flusso
di
ioni,
si
verificò
che
l’ipotesi
di
Bernstein
non
era
esatta
e
l'equazione
di
Nerst
non
era
rispettata,
per
cui
furono
necessarie
delle
ipotesi
alternative.
Innanzitutto,
si
osservò
che
la
membrana
era
permeabile
in
parte
al
sodio
(seppure
in
misura
minore).
In
un
esperimento,
fu
misurata
la
concentrazione
di
sodio
radioattivo
all'interno
dell'assone
che
era
stato
preventivamente
collocato
in
una
soluzione
contenente
sodio
radioattivo
(l'assone
veniva
sciacquato
per
registrare
la
radioattività
all'interno
del
citoplasma).
Il
potenziale
di
equilibrio
del
potassio
ha
un
valore
al
di
sotto
del
potenziale
di
membrana
e
può
avere
un
valore
di
-‐100
mV/-‐105mV.
Il
sodio,
invece,
ha
una
carica
positiva
ed
è
molto
concentrato
all'esterno:
sia
per
concentrazione
(il
rapporto
estero/interno
si
aggira
intorno
ai
150:1)
che
per
gradiente
elettrico
tende
ad
entrare
nella
cellula.
Il
potenziale
necessario
per
equivalere
il
flusso
di
sodio
per
una
tale
concentrazione
(potenziale
di
equilibrio
del
sodio,
ENa)
è
di
60
mV.
Il
potenziale
di
equilibrio
di
membrana
(PM)
è
abbastanza
vicino
al
potenziale
di
equilibrio
del
potassio,
mentre
è
molto
lontano
dal
potenziale
di
equilibrio
del
sodio.
La
determinazione
formale
del
potenziale
di
equilibrio
è
data
dall'equazione
di
Nerst:
essendo
la
concentrazione
di
potassio
maggiore
all'interno,
il
valore
del
logaritmo,
e
quindi
dell'equazione,
risulta
negativo.
10
L’equazione
di
Nerst
(che
permette
di
calcolare
Ek)
risulta
uguale
a:
𝑅𝑇 𝐾 ! 𝑜𝑢𝑡
𝐸! = ∙ ln( ! )
𝑧𝐹 𝐾 𝑖𝑛
dove
[K+]out
indica
la
concentrazione
esterna
dello
ione
potassio,
[K+]in
quella
interna.
Il
sodio,
entrando
nella
cellula
(spinto
sia
da
gradiente
elettrico
che
da
gradiente
di
concentrazione),
la
depolarizza
e
la
diminuzione
del
potenziale
determina
che
il
potassio
non
sia
più
trattenuto,
per
cui
inizia
a
uscire.
Il
potenziale
di
membrana
si
è
allontanato
dal
potenziale
di
equilibrio
del
potassio.
Dal
momento
che
i
canali
per
il
potassio
sono
in
numero
maggiore
rispetto
a
quelli
del
sodio,
basta
poco
perché
venga
equilibrato
il
flusso
di
ioni
in
uscita:
quando
la
corrente
di
K+
in
uscita
(Ik)
uguaglia
quella
in
ingresso
di
Na+
(Ina)
la
membrana
cessa
di
depolarizzarsi
e
raggiunge
un
nuovo
equilibrio
elettrico.
Il
nuovo
PM
è
più
vicino
a
Ek
in
quanto
i
canali
per
il
potassio
sono
più
numerosi
ed
è
sufficiente
un
piccolo
allontanamento
del
PM
da
Ek
per
produrre
una
corrente
che
bilancia
esattamente
quella
del
sodio.
Dal
punto
di
vista
formale,
applicando
la
legge
di
Ohm
si
ottiene
l’equazione
di
conduttanza.
La
relazione
tra
I,
G,
PM
ed
E
permette
di
esprimere
la
legge
di
Ohm
tenendo
conto
del
fatto
che
la
corrente
si
annulla
quando
PM
=
E
e
non
quando
PM
=
0
ed
è:
I
=
G
(PM
-‐
E)
La
corrente
di
potassio
è:
I(k)
=
GK
ΔV=
GK
(PM
–
EK)
Dove
GK
è
la
conduttanza
per
il
potassio
La
corrente
del
sodio
è:
I(Na)
=
GNa
ΔV
=
GNa
(PM
–
ENa)
Dove
GNa
è
la
conduttanza
per
il
sodio.
All'equilibrio,
la
somma
delle
due
correnti
(tenendo
conto
del
segno)
dovrà
essere
pari
a
0
(la
corrente
di
sodio
è
uguale
ed
opposta
in
segno
a
quella
del
potassio)
GNa
(PM
–
ENa)
=
−
GK
(PM
–
EK)
PM
(GK
+
GNa)
=
GK
EK
+
GNa
ENa
(GK
+
GNa
=
G
tot)
𝐺𝐾 𝐺
PM
=
( )E
+
( 𝐺𝑁𝑎
)ENa
𝐺𝑡𝑜𝑡 K 𝑡𝑜𝑡
Il
potenziale
di
membrana
dipende
non
solo
da
EK,
ma
anche
da
ENa
e
dalle
rispettive
conduttanze
(poiché
GK
rappresenta
la
frazione
più
cospicua
di
Gtot,
PM
sarà
molto
più
vicino
a
EK
che
a
ENa).
E
cambia
cambiando
la
conduttanza
agli
ioni.
Considerando
anche
il
cloruro,
esso
è
più
permeabile
del
sodio,
ma
non
quanto
il
potassio.
l’equazione
di
conduttanza
si
può
riscrivere
includendo
anche
Cl−:
ΔV
=
I
∙
R
=
I/G
I
=
ΔV/G
Im
=
0
IK
+
INa
+
ICl
=
0
(la
somma
delle
correnti
è
zero)
(PM
−
EK)GK
+
(PM
−
ENa)GNa
+
(PM
–ECl)GCl
=
0
PM
(GK
+
GNa
+
GCl)
=
EK
GK
+
ENa
GNa
+
ECl
GCl
𝐺𝐾 𝐺 𝐺
PM
=
EK
(
𝐺𝑡𝑜𝑡
)
+
ENa
( 𝐺𝑁𝑎 )
+
ECl
( 𝐺 𝐶𝑙 )
𝑡𝑜𝑡 𝑡𝑜𝑡
Il
cloro
può
essere
in
genere
trascurabile
perché
il
suo
potenziale
equivale
o
si
discosta
poco
da
quello
di
membrana
e
di
fatto
non
concorre
a
determinare
il
PM.
Infatti,
il
cloro
è
più
concentrato
fuori
dalla
cellula
e
la
sua
concentrazione
non
è
modificata
da
meccanismi
attivi,
come
trasportatori,
in
quanto
si
distribuisce
passivamente
e
il
suo
gradiente
di
concentrazione
è
determinato
dal
gradiente
elettrico
e
non
viceversa.
Molto
spesso,
ECl
=
PM.
Per
ciò
che
concerne
il
calcio,
invece,
la
membrana
è
sigillata
(perché
questo
ione
influenza
le
funzioni
cellulari)
e
la
sua
conduttanza
a
riposo
può
essere
trascurata
in
quanto
virtualmente
uguale
a
zero:
GCa
=
0
La
permeabilità
è
una
grandezza
che
viene
definita
in
base
alla
diffusione
e
non
in
funzione
della
legge
di
Ohm
(come
la
conduttanza).
L'equazione
di
campo
di
Goldmann
esprime
il
PM
in
funzione
della
permeabilità
(non
è
richiesta
la
dimostrazione):
!" !" [!!]!"# ! !"# [!"!]!"# !!"# [!"!]!"
PM
=
ln
! !" [!!]!" !!"# [!"!]!" !!"# [!"!]!"#
11
Se
si
modifica
la
conduttanza
di
uno
ione,
il
potenziale
di
membrana
si
sposta
verso
lo
ione
la
cui
conduttanza
viene
aumentata.
Quindi,
il
PM
viene
modificato
dai
cambiamenti
di
permeabilità
ionica:
ad
esempio,
l’aumento
della
permeabilità
al
sodio
depolarizza
la
cellula,
l’aumento
di
quella
per
il
potassio
la
iperpolarizza.
Per
il
cloro,
l’aumento
della
sua
permeabilità
iperpolarizza
la
cellula
se
il
valore
di
PM
è
al
disopra
di
ECl,
mentre
non
produce
variazioni
se
PM
=
ECl.
Un
ruolo
fondamentale
in
questo
contesto
è
esercitato
dalla
pompa
sodio/potassio,
che
mantiene
il
gradiente
di
concentrazione
dei
due
ioni
e
in
questo
modo
evita
che
il
continuo
efflusso
di
potassio
e
la
continua
entrata
di
sodio
scarichino
il
gradiente
elettrico,
abolendo
così
il
potenziale
di
membrana.
Se
la
cellula
è
abbastanza
piccola,
la
corrente
generata
dalla
pompa
è
sufficiente
per
produrre
una
modica
iperpolarizzazione
della
membrana.
Nei
tessuti
alterati,
si
osserva
una
graduale
scarica
del
gradiente
e
il
PM
va
lentamente
verso
0.
Se
si
avvelenano
altri
tessuti,
il
gradiente
si
abbassa
immediatamente
(brusca
depolarizzazione)
per
poi
scendere.
In
questi
tessuti
la
pompa
tende
di
suo
a
iperpolarizzare
la
membrana,
per
il
rapporto
di
scambio
che
è
3:2
(due
ioni
potassio
entrano,
3
ioni
sodio
escono).
Il
contributo
della
pompa
è
determinante
solo
per
quelle
cellule
che
hanno
una
conduttanza
bassa
(cellule
piccole).
Nei
miocardiociti
solo
alcuni
mV
sono
determinati
dalla
pompa.
Equilibrio
Donnan
L’equilibrio
Donnan
è
una
condizione
che
si
può
creare
quando
due
compartimenti
liquidi
sono
separati
da
una
membrana
semipermeabile
(che
lascia
passare
liberamente
un
aione
e
un
catione).
L’
anione
e
il
catione
devono
trovarsi
vicini
all'equilibrio
elettrochimico
(il
loro
potenziale
di
equilibrio
coincide
con
il
potenziale
di
membrana).
Se
in
uno
dei
compartimenti
si
trova
un
anione
impermeante,
quel
compartimento
si
troverà
in
una
situazione
di
osmolarità
maggiore
(il
sistema
non
è
in
equilibrio
osmotico)
e
richiamerà
liquido
dal
compartimento
ad
osmolarità
minore.
Questa
condizione
è
vicina
a
quella
della
cellula,
in
cui
K+
e
Cl-‐
(permeanti)
hanno
potenziali
di
equilibrio
vicini
al
potenziale
di
membrana
e
all’interno
della
quale
esistono
proteinati
e
gruppi
fosfato
impermeanti
e
carichi
negativamente.
Le
cellule
non
sono
quindi
osmoticamente
stabili
e
abbiamo
un
flusso
di
acqua
dall'esterno,
che
tende
a
gonfiarle.
Nelle
cellule
vegetali,
la
rigidità
della
parete
si
oppone
al
flusso
osmotico;
in
quelle
animali,
la
pompa
sodio/potassio
consente
di
rendere
la
membrana
di
fatto
impermeabile
al
sodio,
creando
uno
stato
stazionario
osmotico
che
rimane
fintanto
che
il
metabolismo
garantisce
l'attività
della
pompa.
Se
la
pompa
cessa
di
funzionare
a
causa
della
mancanza
di
ATP,
la
cellula
si
può
rigonfiare
fino
a
scoppiare
(i
maggiori
danni
da
ipossia
sono
dovuti
a
questo
meccanismo).
Per
questo
motivo,
si
ha
una
sensibile
diminuzione
dei
danni
se
si
iniettano
durante
l'ipossia
soluzioni
contenenti
destrani
(polimeri
impermeanti
che
aumentano
la
pressione
osmotica
del
sangue).
Scoperta
del
Potenziale
di
Membrana
I
fisiologi,
alla
fine
dell’Ottocento,
hanno
compreso
l'esistenza
del
PM
partendo
dalla
considerazione
che
esiste,
a
riposo,
una
differenza
di
potenziale
fra
la
superficie
integra
e
quella
lesa
di
un
nervo
o
di
un
muscolo,
indicata
col
nome
di
potenziale
di
lesione
o
demarcazione:
la
parte
lesa
risulta
negativa
rispetto
alla
porzione
integra
del
muscolo
e
si
registrava
quindi
un
flusso
di
cariche
positive
dalla
parte
integra
a
quella
lesa.
Interpretarono
correttamente
questa
osservazione,
ammettendo
che
l’elettrodo
sulla
parte
integra
misurasse
il
potenziale
extracellulare,
mentre
quello
sulla
parte
lesa
risentisse
del
potenziale
intracellulare,
in
quanto
la
lesione
aveva
esposto
il
citoplasma,
mettendolo
in
contatto
con
l’interstizio.
Il
potenziale
di
membrana
sarebbe
coinciso
con
il
potenziale
di
equilibrio
per
il
K+,
in
quanto
questo
era
l’unico
ione
che,
secondo
gli
studiosi
di
allora,
avrebbe
potuto
attraversare
liberamente
la
membrana.
Una
seconda
osservazione
fu
che,
quando
il
muscolo
si
contraeva,
il
potenziale
di
demarcazione
si
annullava:
questa
scomparsa
prese
il
nome
di
potenziale
d’azione.
Quando
il
muscolo
si
contraeva,
il
potenziale
di
membrana
si
sarebbe
azzerato
in
quanto
la
membrana
sarebbe
improvvisamente
diventata
permeabile
a
tutti
gli
ioni.
12
Risposta
di
un
tessuto
eccitabile
alla
corrente
La
stimolazione
di
un
tessuto
può
avvenire
in
2
modi:
-‐
stimolazione
intracellulare:
prevede
l'inserimento
di
un
elettrodo
nella
cellula,
causando
polarizzazione
o
depolarizzazione.
L'altra
parte
deve
essere
posta
sul
versante
extracellulare;
-‐
stimolazione
extracellulare:
anodo
e
catodo
sono
posti
all'esterno
della
cellula.
Il
flusso
di
cariche
entra
dalla
parte
dell'anodo
e
fuoriesce
dalla
parte
del
catodo
(movimento
di
cationi).
Il
risultato
deriva
da
quale
parte
viene
posta
in
vicinanza
del
neurone.
Il
potenziale
di
membrana
(PM)
è
alterato
dal
passaggio
di
corrente
attraverso
la
membrana
stessa.
La
direzione
del
passaggio
della
corrente
determina
il
segno
della
risposta
della
membrana.
Se
si
stimola
una
cellula
passando
corrente
fra
un
elettrodo
inserito
al
suo
interno
e
uno
posto
all’esterno,
la
membrana
si
depolarizzerà
quando
l’elettrodo
intracellulare
è
collegato
al
polo
positivo
(anodo)
e
quello
esterno
al
polo
negativo
(catodo),
mentre
si
iperpolarizzerà
se
l’elettrodo
intracellulare
è
collegato
al
polo
negativo.
La
corrente
depolarizzante
(considerando
il
movimento
dei
cationi)
esce
dalla
cellula,
mentre
quella
iperpolarizzante
vi
entra.
Se
la
depolarizzazione
è
sufficiente,
la
cellula
emetterà
un
impulso
nervoso.
Se
invece
si
usano
elettrodi
extracellulari
(come
quelli
utilizzati
per
la
stimolare
i
nervi
periferici
e
produrre
i
riflessi
spinali),
la
depolarizzazione
si
verifica
nelle
cellule
sotto
il
catodo
e
l’iperpolarizzazione
in
quelle
sottostanti
all’anodo,
a
causa
del
movimento
dei
cationi,
che
escono
all’anodo
e
entrano
al
catodo.
Se
uno
dei
due
elettrodi
è
remoto,
la
densità
di
corrente
da
esso
generato
sulla
membrana
cellulare
è
bassa
e
l’effetto
trascurabile.
Un’eccezione
si
ha
quando
si
stimola
extracellularmente
la
superficie
della
corteccia
motoria
cerebrale
(che
si
effettua
con
l’anodo,
e
non
con
il
catodo):
in
questo
caso,
il
dendrite
apicale
viene
iperpolarizzato
dalla
corrente
in
ingresso,
che
fuoriesce
dallo
stesso
dendrite,
dal
corpo
cellulare
e
dalla
regione
del
cono
di
emergenza
dell’assone
(regione
a
bassa
soglia),
attirata
dal
catodo
posto
in
un
punto
del
corpo.
A
livello
del
cono
di
emergenza
l’eccitabilità
è
elevatissima
e
la
corrente
uscente
depolarizza
il
neurone
fino
a
fargli
emettere
un
potenziale
d’azione
(PDA).
Se
si
stimola
invece
con
il
catodo
la
superficie
corticale,
la
corrente
esce
dal
dendrite
a
questo
livello,
depolarizzando
una
struttura
poco
eccitabile,
mentre
il
cono
di
emergenza
viene
iperpolarizzato.
Risposte
graduate
(elettrotoniche)
La
risposta
della
membrana
alla
corrente
consiste
in
un
cambiamento
del
potenziale
di
membrana
(PM)
che
si
sviluppa
più
lentamente
dello
stimolo,
raggiunge
un
valore
massimo
proporzionale
alla
corrente
utilizzata
e
decade
lentamente
non
appena
la
corrente
cessa:
la
risposta
della
membrana
dura
più
a
lungo
dello
stimolo
che
la
ha
provocata.
Queste
risposte
di
membrana
vengono
indicate
come
potenziali
elettrotonici
o
graduati
(perché
hanno
ampiezza
proporzionale
a
quella
dello
stimolo).
I
potenziali
elettrotonici
dipendono
dalle
caratteristiche
fisiche
della
membrana.
Se
si
passa
corrente
depolarizzante,
la
cui
intensità
viene
aumentata
passando
da
uno
stimolo
al
successivo,
si
osserverà,
in
corrispondenza
di
un
valore
critico
di
intensità
(soglia)
la
nascita
di
un
fenomeno
completamente
diverso,
il
potenziale
d’azione,
che
consiste
in
una
brusca
inversione
del
PM
e
che
si
estingue
(a
livello
di
un
assone)
in
circa
1
millisecondo.
Questo
fenomeno,
a
differenza
delle
risposte
elettrotoniche
è
“tutto
o
nulla”,
cioè
la
sua
ampiezza
(costante)
non
dipende
dall’intensità
dello
stimolo:
basta
che
questo
sia
superiore
al
valore
della
soglia.
Se
la
corrente
è
iperpolarizzante,
tale
fenomeno
non
si
verifica
e
l’iperpolarizzazione
della
membrana
continua
a
crescere
proporzionalmente
all’intensità
dello
stimolo.
Al
di
sotto
di
stimoli
soglia,
le
risposte
della
membrana
a
polarizzazioni
e
depolarizzazioni
hanno
un
andamento
abbastanza
simmetrico.
Mentre
la
corrente
che
genera
il
cambiamento
di
potenziale
viene
modificata
velocemente
dallo
sperimentatore,
il
potenziale
di
membrana
si
muove
con
un
certo
ritardo:
si
ha
quindi
una
distorsione
nel
tempo.
Inoltre,
si
ha
una
distorsione
spaziale
per
cui
l'effetto
diminuisce
all'allontanamento
dal
punto
di
applicazione.
La
distorsione
dipende
dalle
caratteristiche
fisiche
della
membrana:
capacità
di
membrana
(un
doppio
strato
lipidico
che
separa
due
mezzi
conduttori,
per
cui
si
comporta
da
condensatore)
e
resistenza
transmembranaria.
13
Maggiore
è
la
capacità,
maggiore
sarà
la
carica
necessaria
a
ottenere
la
stessa
variazione
di
potenziale.
La
membrana
ha
una
capacità
(Cm)
che
è
definita
come
il
rapporto
tra
la
carica
(Q)
necessaria
per
produrre
una
variazione
del
PM
e
la
variazione
stessa
(ΔV):
Cm=
ΔQ/ΔV
ΔV
=
ΔQ/Cm
La
capacità
di
membrana
dipende
dall’estensione
della
superficie:
si
può
definire
una
capacità
specifica
(Cspecifica),
definita
come
rapporto
fra
Cm
e
la
superficie
di
membrana:
il
suo
valore
è
piuttosto
costante
da
cellula
a
cellula
e
corrisponde
a
circa
1
μF/cm2
Cm
=
Cspecifica
x
superficie
Chiaramente,
maggiori
sono
le
dimensioni
della
cellula,
maggiore
sarà
la
capacità
della
sua
membrana.
Inoltre,
i
canali
ionici
della
membrana
formano
un
passaggio
per
la
corrente,
che
è
caratterizzato
da
un
certo
valore
di
resistenza
(RM).
La
resistenza
è
determinata
dai
canali
ionici
e
anche
se
riferita
a
una
stessa
superficie
varia
in
funzione
del
numero
di
canali.
Anche
per
la
resistenza
di
membrana
possiamo
definire
una
resistenza
specifica
(definita
come
la
resistenza
di
1cm2
di
membrana).
In
questo
caso
però
Rm
=
Rspecifica/
superficie
Infatti,
la
resistenza
diminuisce
all'aumentare
della
superficie.
La
resistenza
specifica
si
esprime
in
Ohm
per
cm2
(Ω
x
cm2)
e
varia
da
10
a
106
da
cellula
a
cellula,
in
relazione
al
livello
di
espressione
dei
canali
ionici
aperti
a
riposo.
Se
si
fosse
utilizzata
la
conduttanza,
la
relazione
di
proporzionalità
sarebbe
stata
la
stessa.
La
resistenza
di
membrana,
Rm,
determina
il
voltaggio
finale
prodotto
dal
passaggio
della
corrente
e
da
essa
dipende
la
depolarizzazione
della
membrana
stessa.
La
corrente,
infatti,
deve
attraversare
la
membrana,
dove
produce
una
variazione
di
potenziale
(∆V)
proporzionale
alla
resistenza
di
membrana,
secondo
la
legge
di
Ohm.
∆!
I
=
!!
∆V
=
I
x
RM.
Se
la
variazione
di
potenziale
prodotta
è
costante
(stazionaria),
allora
è
uguale
al
prodotto
della
corrente
iniettata
(I)
per
la
resistenza
di
membrana
(RM).
Poiché
R
=
1/G
(dove
G
sta
per
conduttanza)
!
∆V
=
!
Tenendo
conto
che
la
conduttanza
(resistenza)
della
membrana
è
determinata
essenzialmente
dai
canali
per
il
K+
e
il
Cl-‐
aperti
a
riposo,
allora
!
∆V
=
I
x
(! ! ! !"#)
Dato
che
la
variazione
di
potenziale
dipende
dalla
resistenza,
la
quale
a
sua
volta
dipende
dalle
dimensioni
cellulari,
un
neurone
piccolo
avrà
una
resistenza
maggiore
rispetto
ad
un
neurone
grande
(possiede
meno
canali
ionici).
Si
viene
a
creare
quindi
una
relazione
tra
eccitabilità
del
neurone
e
dimensioni
dello
stesso.
Quindi,
a
parità
di
corrente
iniettata,
i
neuroni
di
piccole
dimensioni
saranno
maggiormente
depolarizzati
rispetto
ai
grandi
e,
di
conseguenza,
raggiungeranno
più
facilmente
la
soglia
per
il
potenziale
d’azione.
I
neuroni
piccoli
sono
i
neuroni
più
facilmente
eccitabili
(quando
la
corrente
attraversa
il
noma,
l’elemento
determinante
è
la
resistenza
di
membrana).
Infatti,
durante
una
contrazione
prolungata
che
man
mano
aumenta
di
intensità,
i
primi
motoneuroni
ad
essere
attivati
sono
quelli
di
piccole
dimensioni
(principio
del
reclutamento
in
base
alle
dimensioni
cellulari)
e
in
seguito
vengono
reclutati
neuroni
di
dimensioni
via
via
maggiori.
Un
metodo
per
misurare
la
resistenza
di
membrana
è
iniettare
corrente
attraverso
un
micro-‐elettrodo
(la
sinapsi
funziona
come
un
iniettore
di
corrente
costante):
conoscendo
la
corrente
iniettata,
si
può
ricavare
la
resistenza.
La
risposta
della
membrana
si
sviluppa
lentamente,
seguendo
una
legge
esponenziale
rappresentata
dall’equazione
di
carica:
∆V
=
I
x
RM
x
(1-‐e−t/τ)
14
dove
τ
rappresenta
la
costante
di
tempo
della
membrana
(il
tempo
necessario
perché
essa
raggiunga
il
63%
del
potenziale
o
voltaggio
finale).
Maggiore
è
la
costante
di
tempo,
maggiore
è
il
tempo
necessario
per
la
produzione
dell’effetto
depolarizzante.
Quando
la
corrente
iniettata
cessa,
la
membrana
non
ritorna
al
valore
di
PM
originale
immediatamente,
ma
seguendo
l’equazione
di
scarica:
∆V
=
I
x
RM
x
e−t/τ
Dopo
un
tempo
uguale
a
τ,
la
membrana
è
calata
al
37%
del
potenziale
raggiunto
durante
l’iniezione
di
corrente.
Quindi,
in
questo
caso
τ
è
il
tempo
necessario
per
arrivare
dal
37%
della
massima
variazione.
La
costante
di
tempo
dipende
dalle
proprietà
elettriche
della
membrana
ed
è
uguale
al
prodotto
della
capacità
per
la
resistenza
della
membrana
(valori
assoluti,
validi
per
tutta
la
membrana):
Τ
=
RM
x
CM
L’iniezione
di
corrente
in
un
punto
della
membrana
cellulare
produce
una
variazione
di
PM
che
si
estende
alle
regioni
adiacenti
(in
quanto
la
corrente
fuoriesce
attraverso
la
membrana
delle
regioni
adiacenti
e
ne
fa
variare
il
potenziale
di
membrana).
Ma
la
differenza
di
potenziale
generata
dal
passaggio
di
corrente
(che
sia
sinaptica
o
artificiale)
si
attenua
man
mano
che
ci
si
allontana
dal
punto
in
cui
la
corrente
elettrica
è
stata
iniettata.
Questo
fenomeno
è
dovuto
alla
distribuzione
della
corrente
sinaptica
e
non-‐sinaptica,
cioè
dipende
dal
fatto
che
la
corrente
si
ripartisce
tra
la
resistenza
di
membrana
e
quella
citoplasmatica.
Di
volta
in
volta,
la
corrente
si
divide
in
due
flussi:
uno
prosegue
nel
citoplasma,
l’altro
fuoriesce
dalla
membrana.
A
livello
della
sinapsi,
l’ingresso
della
corrente
depolarizza
la
regione
in
cui
la
corrente
stessa
entra.
La
corrente,
quindi,
si
distribuisce
lungo
la
membrana
ed
esce
attraverso
i
canali
ionici:
in
tutti
i
punti
in
cui
fuoriesce,
la
membrana
si
depolarizza.
Poiché
la
variazione
di
PM
dipende
dall’intensità
della
corrente
(ΔV
=
I
x
RM),
il
suo
valore
decresce
man
mano
che
ci
si
allontana
dal
punto
di
iniezione,
in
quanto
la
frazione
di
corrente
che
attraversa
la
membrana
si
riduce
sempre
di
più.
Il
fattore
che
determina
l’attenuazione
spaziale
(quanta
corrente
passa
per
la
membrana
in
ogni
punto)
è
il
rapporto
fra
la
resistenza
del
citoplasma
e
quella
della
membrana:
maggiore
è
la
resistenza
di
membrana,
maggiore
è
la
frazione
di
corrente
che
scorre
nel
citoplasma,
per
cui
questa
potrà
raggiungere
regioni
localizzate
lontano
dal
punto
di
iniezione;
maggiore
è
la
resistenza
del
citoplasma,
maggiore
sarà
in
ogni
punto
la
quota
di
corrente
che
scorre
attraverso
la
membrana,
per
cui
la
corrente
citoplasmatica
si
esaurirà
in
prossimità
dell’elettrodo.
Un
altro
fattore
che
interviene
è
la
facilità
con
cui
la
corrente
fuoriesce
dalla
membrana.
Infatti,
se
la
resistenza
di
membrana
è
bassa,
la
corrente
esce
e
il
potenziale
non
si
propaga,
ma
si
esaurisce
immediatamente.
L’attenuazione
della
variazione
di
PM
lungo
la
membrana
è
definita
dalla
costante
di
spazio
(λ),
che
corrisponde
alla
distanza
dal
punto
di
iniezione
della
corrente
per
cui
l’ampiezza
della
variazione
di
PM
si
è
ridotta
al
37%
del
valore
iniziale.
La
legge
che
esprime
il
decadimento
della
risposta
in
funzione
della
distanza
(s)
dal
punto
di
iniezione
è:
∆V
=
∆V0
x
e−s/λ
dove
∆V0
corrisponde
al
valore
della
risposta
nel
punto
di
iniezione.
La
costante
di
spazio
è
legata
alla
resistenza
del
citoplasma,
a
quella
della
membrana
e
al
diametro
dell’assone
(parametri
dimensionali).
Indicando
con
RSM
la
resistenza
(specifica)
di
membrana
di
un
cm
di
assone
(espressa
in
Ω
x
cm)
𝑢𝑛 𝑠𝑒𝑔𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 2 𝑐𝑚 𝑑𝑖 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑛𝑒 ℎ𝑎 𝑢𝑛𝑎 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑚𝑏𝑟𝑎𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑒𝑡à 𝑑𝑖 𝑢𝑛
𝑠𝑒𝑔𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑐𝑚
e
con
RSA
la
resistenza
specifica
di
un
cm
di
assoplasma
(espressa
in
Ω/cm)
2 𝑐𝑚 𝑑𝑖 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑛𝑒 ℎ𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑜𝑝𝑝𝑖𝑎 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑎𝑑 𝑢𝑛 𝑠𝑒𝑔𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑐𝑚, 𝑖𝑛 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑙𝑒
𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑐𝑖𝑡𝑜𝑝𝑙𝑎𝑠𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑛 𝑠𝑒𝑟𝑖𝑒 𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑖𝑛 𝑝𝑎𝑟𝑎𝑙𝑙𝑒𝑙𝑜
La
costante
di
spazio
corrisponde
a:
!!"
λ
=
!!"
15
Più
elevata
è
la
resistenza
di
membrana
e
più
bassa
è
la
resistenza
dell’assoplasma,
tanto
maggiore
è
la
costante
di
spazio.
I
due
parametri
RSM
e
RSA
sono
dipendenti
dalla
geometria
dell’assone,
in
particolare
dal
suo
diametro.
La
costante
di
spazio
può
essere
espressa
in
funzione
di
parametri
resistivi
indipendenti
dalle
dimensioni
assonali.
Indicando
con
rM
la
resistenza
di
un
cm2
di
membrana,
con
rA
la
resistenza
di
un
cm3
di
assoplasma
e
con
r
il
raggio
assonale:
!! !! !! !
λ=
( )/( )
=
( )/( ! )
=
(𝑟 ∙ 𝑟! )/( 2 𝑟! )
!!" !" ! ! !
Infatti,
la
resistenza
di
membrana
di
un
cm
di
assone
si
ottiene
dividendo
la
resistenza
di
membrana
corrispondente
a
un
cm2
di
membrana
per
la
circonferenza
(2πr)
dello
stesso
segmento
assonale
(1
cm),
mentre
la
resistenza
dell’assoplasma
di
un
cm
di
assone
corrisponde
alla
resistenza
di
1
cm3
di
assone
diviso
per
la
sezione
trasversa
dell’assone
medesimo.
Le
unità
di
misura
di
rM
e
rA
sono,
rispettivamente,
Ω
x
cm2
e
Ω
x
cm.
Tipici
valori
di
λ
sono
1mm
per
gli
assoni
e
qualche
centinaio
di
μm
per
i
dendriti.
A
causa
del
valore
della
costante
di
spazio
degli
assoni,
le
variazioni
di
PM
attribuibili
alle
semplici
proprietà
fisiche
della
membrana
si
estinguono
dopo
qualche
centinaio
di
micron.
Attraverso
questi
segnali,
un
neurone
cortico-‐spinale
non
riuscirebbe
mai
a
controllare
i
motoneuroni
spinali,
che
possono
essere
distanti
anche
più
di
un
metro,
per
cui
è
necessario
un
meccanismo
diverso
rispetto
alle
risposte
elettrotoniche.
POTENZIALE
D’AZIONE
Il
potenziale
d’azione
(PDA,
o
impulso,
o
spike)
è
una
rapida
e
brusca
inversione
del
potenziale
di
membrana
(l’interno
diventa
positivo),
la
cui
durata
varia
da
poco
più
di
un
millisecondo
(assone)
ad
alcune
centinaia
di
millisecondi
(cellule
miocardiche).
Può
essere
seguito
da
un’iperpolarizzazione
(detta
postuma)
della
membrana
rispetto
ai
livelli
di
riposo,
ovvero
il
PM
(potenziale
di
membrana)
scende
al
di
sotto
del
valore
di
riposo,
per
tornare
gradualmente
al
valore
di
riposo
stesso.
Nasce
solo
se
la
membrana
cellulare
viene
depolarizzata
al
disopra
di
un
livello
critico,
detto
soglia.
Si
tratta
di
un
fenomeno
“tutto
o
nulla”:
se
la
soglia
è
superata,
il
PDA
si
manifesta
con
la
sua
normale
ampiezza,
se
non
viene
superata,
non
si
manifesta
affatto.
Il
PDA
ha
la
proprietà
di
propagarsi
senza
decremento
in
ampiezza
per
tutta
la
lunghezza
dell’assone,
che
può
arrivare
a
qualche
metro.
Dopo
la
nascita
di
un
PDA,
c’è
un
periodo
di
tempo
durante
il
quale
la
membrana
è
completamente
ineccitabile,
il
periodo
refrattario
assoluto,
che
dura
fino
a
quando
la
membrana
non
è
tornata
in
prossimità
del
valore
del
PM
a
riposo.
Successivamente,
comincia
un
periodo
di
eccitabilità
alterata,
durante
il
quale
la
membrana
è
nuovamente
eccitabile,
ma
sono
necessari
stimoli
più
intensi
per
far
nascere
il
PDA
(periodo
refrattario
relativo).
Questo
periodo
dura
fino
a
quando
la
membrana
non
è
ritornata
ai
valori
di
PM
a
riposo
ed
è
quindi
prolungato
dall’iperpolarizzazione
postuma.
Nel
primi
anni
del
Novecento,
la
teoria
di
Bernstein
assumeva
che
il
PDA
fosse
un
semplice
annullamento
(e
non
un
rovesciamento)
del
potenziale
di
lesione
che
si
osservava
quando
il
muscolo
si
contraeva.
Fu
ipotizzato
che
il
potenziale
di
membrana
fosse
in
potenziale
di
equilibrio
per
il
potassio
(unico
ione
in
grado
di
attraversare
la
membrana)
e
che
la
sua
scomparsa
fosse
dovuta
ad
un
cortocircuito
della
membrana
cellulare,
la
quale
diventava
improvvisamente
permeabile
a
tutti
gli
ioni,
annullando
così
il
PM.
Questa
ipotesi
venne
smentita
da
un
esperimento
che
prevedeva
l’inserimento
di
un
elettrodo
in
un
assone
di
calamaro
(che
ha
dimensioni
di
0.8-‐1
mm):
fu
dimostrato
che,
durante
il
PDA,
il
PM
non
si
annullava,
come
previsto
dalla
teoria
di
Bernstein,
ma
cambiava
di
segno
(overshoot,
l’interno
diventa
positivo).
Visto
che
la
membrana
rovescia
la
sua
polarità,
si
ritenne
che
il
PDA
fosse
dovuto
ad
un
aumento
della
conduttanza
al
Na+,
che
sarebbe
diventato
lo
ione
più
permeante
attraverso
la
membrana
(cambiamento
della
permeabilità
ionica
della
membrana
che
sposta
il
potenziale
di
membrana
verso
il
potenziale
di
equilibrio
dello
ione
di
cui
aumentava
la
permeabilità,
60
mV).
Per
verificare
l’ipotesi,
furono
alterate
le
concentrazioni
di
sodio
nel
liquido
extracellulare
e,
di
conseguenza,
il
potenziale
di
equilibrio
del
sodio
(la
riduzione
del
potenziale
di
equilibrio
può
essere
ricavata
con
l’equazione
di
Nerst
per
quelle
concentrazioni).
Utilizzando
l’equazione
di
conduttanza,
si
può
trovare
il
valore
percentuale
della
conduttanza
al
Na+
che
corrisponde
al
valore
raggiunto
dal
PM
al
picco
del
potenziale.
Facendo
una
stima
del
nuovo
potenziale
di
equilibrio,
fu
osservato
che
l’ampiezza
del
16
PDA
diminuiva
alla
riduzione
della
concentrazione
di
sodio
in
maniera
consistente
con
la
riduzione
del
potenziale
di
equilibrio
del
sodio.
𝐺𝐾 !
PM
=
EK
(
𝐺𝑇
)
+
ENa
( !!"
)
!
!"
Equazione
di
Nerst:
ENa
=
x
ln
([Na+]out/[Na+]in)
!"
Eliminando
completamente
il
sodio
dal
liquido
extracellulare,
il
PDA
viene
abolito:
il
sodio
gioca
un
ruolo
fondamentale
in
questo
fenomeno.
I
fisiologi
Hodgkin
e
Huxley
cercarono
quindi
di
comprendere
fino
a
che
punto
il
PDA
potesse
essere
spiegato
dalle
variazioni
di
permeabilità
ionica
innescate
dalla
depolarizzazione.
Era
innanzitutto
necessario
misurare
le
variazioni
di
permeabilità
(o
conduttanza)
ionica
indotte
dalla
depolarizzazione
sopra-‐soglia
e
il
loro
decorso
temporale.
A
partire
da
questi
dati,
applicando
i
principi
di
Ohm,
calcolarono
l’evoluzione
nel
tempo
del
PM
utilizzando
l’equazione
di
conduttanza
e
verificarono
che
corrispondesse
al
PDA
effettivamente
osservato.
PM=
EK
(GK/GT)
+
ENa
(GNa/
GT)
Ma
per
calcolare
la
conduttanza
(resistenza)
è
necessario
utilizzare
la
legge
di
Ohm:
I
=
∆V
x
G.
Durante
il
PDA,
il
voltaggio,
le
correnti
ioniche
e
la
conduttanza
(la
resistenza
di
membrana
varia
nel
tempo
in
funzione
del
voltaggio)
cambiano
continuamente.
Poiché
la
conduttanza
è
funzione
sia
del
tempo
che
del
voltaggio
[G
=
f
(t,
ΔV)],
non
la
si
può
calcolare
applicando
semplicemente
la
legge
di
Ohm.
I
fisiologi
scelsero
di
bloccare
la
variabile
voltaggio,
mantenendo
un
valore
costante
sopra-‐soglia,
e
misurare
la
resistenza
osservando
le
variazioni
di
corrente.
Infatti,
esiste
una
tecnica,
detta
blocco
del
voltaggio
(voltage
clamp),
che
permette
di
mantenere
costante
il
voltaggio
transmembranario
misurando
contemporaneamente
la
corrente
che
attraversa
la
membrana
come
conseguenza
del
PDA.
In
questo
modo
si
può
ottenere
la
conduttanza
a
tempi
successivi
(variazioni
di
resistenza
nel
tempo)
dividendo
la
corrente
misurata
per
il
voltaggio
costante.
Quando
si
depolarizza
la
membrana
al
disopra
della
soglia
mantenendo
il
voltaggio
costante,
la
corrente
di
membrana
mostra
un
caratteristico
andamento
bifasico,
con
una
componente
iniziale
diretta
verso
l’interno
e
una
tardiva
diretta
verso
l’esterno.
La
componente
iniziale
si
annulla
se
la
membrana
viene
depolarizzata
al
valore
del
potenziale
di
equilibrio
per
il
Na+
(il
potenziale
di
membrana
a
cui
viene
portato
l’assone
durante
il
blocco
del
voltaggio
corrisponde
al
potenziale
di
equilibrio
per
il
sodio,
+60mV)
e
si
rovescia
di
segno,
dirigendosi
verso
l’esterno,
quando
la
depolarizzazione
imposta
alla
membrana
supera
il
valore
del
potenziale
di
equilibrio
per
il
Na+.
Quindi,
a
+60mV
non
veniva
osservata
corrente,
né
in
entrata
né
in
uscita;
a
potenziale
maggiore
di
+60mV
la
corrente
era
in
uscita
(il
gradiente
elettrico,
più
potente
del
gradiente
di
concentrazione,
determina
l’uscita
del
sodio).
Sostituendo
il
Na+
del
liquido
extracellulare
con
la
colina,
la
componente
tardiva,
rivolta
verso
l’esterno
può
essere
isolata
(eliminando
la
prima
corrente,
quella
iniziale).
Essa
è
costituita
da
ioni
K+:
dipende
dal
potenziale
di
equilibrio
per
il
K+
e
inoltre
viene
bloccata
dal
tetraetilammonio.
Sottraendo
la
corrente
in
uscita
dalla
corrente
totale,
si
ottiene
il
decorso
temporale
della
corrente
in
entrata.
La
componente
iniziale,
legata
al
Na+,
è
invece
annullata
dal
TTX,
tetradotossina,
bloccante
specifico
dei
canali
del
Na+.
Ognuna
delle
due
correnti
può
essere
calcolata
per
sottrazione
rispetto
alla
corrente
totale
dopo
il
blocco
dell’altra.
Confrontando
le
due
correnti,
si
osserva
che,
mentre
la
corrente
di
Na+
si
inattiva
velocemente,
quella
di
K+
è
persistente.
La
curva
che
indica
la
corrente
ottenuta
in
presenza
di
colina
(10%
Na+)
non
si
esaurisce
e
l’inattivazione
avviene
in
tempi
lunghi.
Dividendo
i
valori
di
corrente
osservati
per
la
differenza
fra
il
valore
del
PM
stabilito
dal
voltage
clamp
(VM)
e
il
potenziale
di
equilibrio
di
ognuno
dei
due
ioni,
si
potevano
calcolare
le
variazioni
di
conduttanza
ionica
per
il
Na+
e
per
il
K+
indotte
17
dallo
stimolo.
Le
variazioni
di
conduttanza
dipendevano
dall’ampiezza
della
depolarizzazione.
La
conduttanza
poteva
così
essere
espressa
come
funzione
del
voltaggio
e
del
tempo.
La
soglia
del
PDA
non
corrisponde
al
valore
di
depolarizzazione
per
cui
si
aprono
i
canali
per
il
Na+
voltaggio
dipendenti,
in
quanto
in
realtà
l’apertura
comincia
per
valori
inferiori
alla
soglia.
Quindi,
la
soglia
del
PDA
è
al
di
sopra
della
soglia
di
apertura
dei
canali
ionici
(il
PDA
nasce
a
canali
ionici
aperti).
Per
questi
valori,
la
corrente
in
ingresso
di
Na+
(che
entrando
depolarizza
la
cellula)
viene
annullata
dall’uscita
di
K+
(tramite
canali
passivi)
prodotta
dalla
depolarizzazione,
impedendo
quindi
la
nascita
del
PDA.
La
soglia
del
PDA
è
il
punto
di
rottura
dell’equilibrio
fra
le
due
correnti:
la
corrente
di
Na+
supera
quella
di
K+,
depolarizza
ulteriormente
la
membrana,
aumentando
ancora
la
conduttanza
per
il
Na+
(fa
aprire
altri
canali)
e,
di
conseguenza,
la
corrente
di
Na+
in
ingresso.
Questo
sistema
di
auto-‐rinforzo
è
detto
ciclo
di
Hodgkin.
L’intensità
della
corrente
di
Na+
prodotta
da
uno
stimolo
sopra-‐soglia
dipende
dall’intervallo
trascorso
rispetto
allo
stimolo
sopra-‐soglia
precedente.
Quando
l’intervallo
è
inferiore
ad
un
millisecondo,
la
corrente
di
Na+
risulta
completamente
cancellata.
All’aumentare
dell’intervallo,
la
corrente
riappare
e
aumenta
progressivamente,
fino
a
tornare
ai
valori
osservati
con
il
primo
stimolo
in
circa
12
msec.
Il
periodo
in
cui
la
corrente
di
Na+
non
può
essere
evocata
corrisponde
al
periodo
refrattario
assoluto,
in
cui
il
PDA
non
può
essere
generato.
Quando
riappare
la
corrente
di
Na+
si
entra
nel
periodo
refrattario
relativo,
in
cui
per
generare
il
PDA
è
necessario
aumentare
l’intensità
dello
stimolo.
Quindi
è
l’inattivazione
dei
canali
per
il
sodio
voltaggio-‐dipendenti
che
produce
il
fenomeno
della
refrattarietà.
Se
si
stimola
la
membrana
con
una
corrente
di
intensità
lievemente
superiore
alla
soglia,
subito
dopo
il
periodo
refrattario
assoluto
la
stessa
intensità
di
corrente
dà
origine
a
risposte
di
membrana
di
natura
elettrotonica,
che
si
estinguono
in
uno
spazio
breve:
esse
sono
generate
dalla
corrente
per
il
Na+,
ora
insufficiente
per
raggiungere
la
soglia.
Solo
verso
la
fine
del
periodo
refrattario
relativo
l’intensità
della
corrente
torna
ad
essere
sufficiente
per
generare
un
PDA,
che
appare
però
alterato
nell’ampiezza
e
nella
forma.
La
registrazione
dell’attività
di
singoli
canali
mette
in
evidenza
come
la
loro
probabilità
di
apertura
è
massima
subito
dopo
l’inizio
della
depolarizzazione
della
membrana,
per
poi
arrivare
a
zero
in
pochi
msec
se
la
membrana
viene
mantenuta
depolarizzata
su
di
un
livello
costante.
La
conduttanza
dei
singoli
canali
è
dell’ordine
dei
10-‐30
picoSiemens.
La
conduttanza
del
canale
per
il
sodio
non
è
più
elevata
di
quella
per
il
calcio
di
tipo
L,
ma
il
numero
di
canali
presenti
sulla
membrana
è
maggiore,
e
per
questo
motivo
la
corrente
di
sodio
associata
al
PDA
è
maggiore
della
corrente
di
calcio.
Nello
sviluppo
delle
loro
equazioni,
Hodgkin
and
Huxley
avevano
espresso
la
conduttanza
ai
diversi
ioni
(GK
e
GNa)
in
funzione
del
tempo
e
del
voltaggio.
Rielaborandole,
arrivarono
ad
esprimere
la
conduttanza
per
il
Na+
(GNa)
come
prodotto
di
un
valore
GNa
max
(corrispondente
alla
massima
conduttanza
per
il
Na+
realizzabile
a
livello
della
membrana,
ovvero
quanto
tutti
i
canali
sono
aperti)
per
altri
due
parametri,
M
ed
h,
che
variavano
fra
0
e
1
e
il
cui
prodotto
è
minore
o
uguale
a
uno,
entrambi
una
funzione
del
potenziale
di
membrana
e
del
tempo:
GNa
=
M3h
GNa
max.
La
conduttanza
dipende
dalla
probabilità
di
apertura
dei
canali
al
Na.
Se
la
probabilità
è
50%,
la
conduttanza
al
Na
corrisponderà
alla
metà
della
conduttanza
massima.
In
questo
modo,
il
prodotto
M3h
viene
a
corrispondere
alla
probabilità
che
un
singolo
canale
sia
aperto.
Poiché
questo
termine
è
un
prodotto
di
quattro
fattori,
tre
dei
quali
uguali
(M3),
questo
implica
che
l’apertura
del
canale
è
condizionata
da
quattro
eventi
contemporanei,
tre
dei
quali
(M3)
hanno
la
stessa
probabilità
di
verificarsi:
la
probabilità
che
i
quattro
eventi
si
verifichino
insieme
dà
la
probabilità
di
apertura
del
canale.
Se
si
considerano
i
valori
di
M
e
H
ottenuti
verso
la
fine
di
stimoli
molto
lunghi
può
osservare
che
M
è
zero
a
potenziale
di
riposo
ed
aumenta
progressivamente
all’aumentare
della
depolarizzazione
(fino
a
un
valore
prossimo
a
1
per
voltaggi
elevati),
mentre
H
segue
l’andamento
opposto.
Ovvero,
H
=
1
quando
il
PM
è
al
di
sotto
del
valore
di
riposo
(membrana
iperpolarizzata)
e
diminuisce
verso
lo
0
man
mano
che
si
depolarizza.
Questi
dati
sono
stati
interpretati
ammettendo
che
M
rappresenti
la
probabilità
che
si
verifichi
un
evento
necessario
per
aprire
il
canale,
come
ad
esempio
la
rimozione
di
un
blocco
al
suo
interno.
Poiché
il
termine
M
è
presente
al
cubo,
i
blocchi
da
rimuovere
sarebbero
tre,
ognuno
caratterizzato
dalla
stessa
18
probabilità
di
rimozione,
detti
porte
M,
che
vengono
aperte
(gating
iniziale
che
apre
il
cancello)
dalla
depolarizzazione
della
membrana.
La
probabilità
di
apertura
di
queste
porte
aumenta
rapidamente
con
la
depolarizzazione
della
membrana.
H
rappresenterebbe
invece
la
porta
di
inattivazione,
un
blocco
che
non
è
presente
a
riposo
(o
meglio,
è
presente
solo
in
una
piccola
parte
dei
canali),
ma
che
lentamente
si
instaura
quando
la
membrana
viene
depolarizzata
sopra
soglia.
Poiché
la
chiusura
della
porta
H
è
più
lenta
dell’apertura
della
porta
M,
c’è
un
intervallo
di
tempo
in
cui
il
Na+
può
attraversare
il
canale.
La
probabilità
che
la
porta
H
sia
aperta
è
massima
quando
la
membrana
viene
iperpolarizzata.
Naturalmente,
in
questo
caso,
tutte
e
tre
le
porte
M
sono
chiuse.
Il
fatto
che
la
percentuale
di
porte
h
aperte
sia
maggiore
al
di
sotto
del
normale
valore
di
PM
ha
come
conseguenza
che,
se
la
membrana
viene
depolarizzata
partendo
da
un
potenziale
di
membrana
più
negativo
del
normale,
la
corrente
di
Na+
generata
sarà
maggiore
del
normale
(tutti
i
canali
sono
pronti
ad
essere
aperti).
Questo
può
comportare
l’abbassamento
della
soglia
per
generare
il
PDA.
In
alcuni
casi,
la
semplice
ripolarizzazione
della
membrana
ai
suoi
valori
di
riposo
può
favorire
la
nascita
di
un
potenziale
d’azione
tramite
un
fenomeno
detto
eccitazione
di
rimbalzo
(rebound).
Ricapitolando,
la
porta
H
è
aperta
a
riposo
(permettendo
il
passaggio
degli
ioni),
ma
alla
depolarizzazione
della
membrana
si
chiude
lentamente
e
la
corrente
passa
solo
nel
breve
periodo
di
tempo
in
cui
entrambe
le
porte,
M
ed
H,
sono
aperte
contemporaneamente.
Per
quanto
riguarda
la
corrispondenza
fra
le
porte
M
e
h
previste
da
Hodgkin
e
Huxley
e
la
struttura
molecolare
del
canale
per
il
Na+
voltaggio-‐dipendente,
bisogna
rilevare
che
i
gruppi
che
si
muovono
per
aprire
il
poro
non
sono
tre,
ma
quattro
(si
tratta
dei
4
segmenti
S4),
mentre
il
gruppo
che
inattiva
il
canale
(porta
H)
è
uno
solo:
il
loop
fra
il
terzo
e
il
quarto
dominio
della
subunità
α.
Quest’ultimo,
con
la
depolarizzazione,
cambia
la
sua
conformazione
e
determina
una
sorta
di
tappo
del
canale
dall’interno.
È
possibile
che
il
posizionamento
di
tre
segmenti
S4
renda
automatico
il
corretto
posizionamento
del
quarto
(obbligato
da
condizioni
molecolari).
Le
equazioni
di
Hodgkin
e
Huxley
permettono
di
determinare
le
variazioni
di
conduttanza
al
Na+
e
al
K+
prodotte,
nel
tempo,
da
uno
stimolo
sopra-‐soglia
che
genera
il
PDA.
Si
può
osservare
l’aumento
iniziale
rapido
della
conduttanza
per
il
Na+,
che
si
estingue
velocemente
e
quello
ritardato
della
conduttanza
per
il
K+
(la
permeabilità
rimane
più
a
lungo
elevata),
che
raggiunge
il
suo
picco
quando
quella
per
il
Na+
quasi
esaurita.
Queste
variazioni
di
conduttanza
permettono
di
ricostruire
esattamente
il
potenziale
d’azione
osservato.
Resta
quindi
dimostrato
che
esso
è
generato
dalle
variazioni
osservate
nelle
conduttanze
ioniche.
La
corrente
di
potassio
non
è
sempre
presente
con
la
stessa
intensità
ed
è
detta
rettificatrice
refrattaria.
Negli
assoni
mielinici,
dove
la
costante
di
tempo
della
membrana
è
piccola,
l’incremento
della
conduttanza
al
K+
è
piuttosto
ridotto:
in
questo
caso
la
ripolarizzazione
è
garantita
dall’inattivazione
della
conduttanza
per
il
Na+.
Negli
assoni
amielinici,
in
cui
la
costante
di
tempo
è
maggiore,
deve
anche
esservi
un
maggior
incremento
della
conduttanza
per
il
K+
per
poter
ripolarizzare
la
membrana
velocemente,
in
quanto
la
semplice
inattivazione
della
conduttanza
al
Na+
produrrebbe,
a
causa
del
valore
elevato
della
costante
di
tempo,
un
ritorno
piuttosto
lento
della
membrana
verso
il
potenziale
di
riposo.
L’incremento
della
conduttanza
al
K+
spiega
perché
dopo
il
PDA
si
osserva
una
iperpolarizzazione
postuma,
in
cui
la
membrana
è
iperpolarizzata
rispetto
al
suo
valore
a
riposo.
Il
PDA,
a
differenza
dei
potenziali
graduati,
si
propaga
senza
decremento
in
quanto
si
rigenera
punto
per
punto
e
quindi
si
svincola
dall’attenuazione
che
interessa
i
segnali
che
si
propagano
senza
tale
fenomeno
auto-‐rigenerativo
(cioè
passivamente).
19
Nella
zona
in
cui
il
potenziale
di
membrana
si
è
invertito,
l’interno
della
cellula
ha
un
potenziale
elettrico
maggiore
rispetto
a
quello
delle
zone
adiacenti,
mentre
all’esterno
il
potenziale
è
minore.
Di
conseguenza,
le
cariche
positive
si
sposteranno,
lungo
l’assoplasma,
verso
le
zone
adiacenti,
mentre
all’esterno
queste
torneranno
dalle
zone
adiacenti
verso
la
regione
a
potenziale
di
membrana
invertito
(circuito
locale).
Questo
flusso
di
corrente
depolarizza
le
due
regioni
adiacenti
alla
zona
di
inversione
del
potenziale
di
membrana.
Nella
regione
a
valle
viene
superata
la
soglia
e
nasce
un
nuovo
PDA,
che
avanza
verso
il
terminale
assonico,
mentre
in
quella
a
monte,
questo
processo
è
impedito
dal
periodo
refrattario.
Quando
l'avanzamento
non
è
lungo
un
assone,
ma
in
un
complesso
tridimensionale,
come
a
livello
del
cuore,
la
refrattarietà
è
critica.
Per
portare
a
soglia
il
segmento
a
valle,
bisogna
scaricare
la
capacità
di
membrana,
trasportandovi
una
carica
(∆Q)
proporzionale
alla
capacità
della
membrana
(Cm):
∆Q
=
∆V
x
Cm.
La
carica
è
trasportata
dalla
corrente
che
scorre
nel
circuito
locale,
secondo
la
legge:
I
=
∆Q/∆t
dove
I
è
l’intensità
della
corrente.
Quindi,
la
velocità
di
conduzione
diminuisce
all’aumentare
della
capacità
di
membrana,
perché,
a
parità
di
corrente
nel
circuito
locale,
è
necessario
un
tempo
maggiore
per
trasportare
una
quantità
di
carica
maggiore
(maggiore
è
la
capacità
di
membrana,
maggiore
è
la
carica
necessaria
per
far
variare
il
suo
potenziale).
Inoltre,
maggiore
è
la
corrente
che
scorre
nel
circuito
locale,
minore
il
tempo
necessario
per
trasportare,
per
la
stessa
capacità
di
membrana,
la
carica
necessaria
per
depolarizzare
la
membrana
al
di
sopra
della
soglia:
∆t
=
∆Q
/I
Il
fattore
principale
nel
determinale
l’intensità
della
corrente
è
la
resistenza
del
circuito
locale,
in
particolar
modo
quella
del
citoplasma.
Più
bassa
è
la
resistenza,
maggiore
sarà
la
velocità
di
conduzione.
Normalmente,
la
resistenza
esterna
si
considera
trascurabile
rispetto
a
quella
interna,
ma
esistono
eccezioni.
Ad
esempio,
se
un
assone
viene
immerso
nell’olio,
la
resistenza
dell’ambiente
esterno
è
elevata,
il
circuito
rimane
aperto
solo
perché
la
porzione
adiacente
alla
membrana
è
costituita
da
ambiente
acquoso
(che
bagna
la
membrana
stessa)
ma
la
velocità
di
conduzione
si
riduce.
Approssimativamente,
la
velocità
di
conduzione
è
proporzionale
all’inverso
del
prodotto
tra
resistenza
(rA)
e
capacità
(cM)
di
1
cm
di
assone:
!
velocità
di
conduzione
∝
!! ! !!
Sia
la
capacità
che
la
resistenza
sono
legate
al
diametro
della
fibra:
all’aumentare
del
diametro,
aumenta
la
capacità
di
membrana
e
diminuisce
la
resistenza
del
citoplasma.
La
capacità
è
proporzionale
al
raggio
dell’assone,
mentre
la
resistenza
è
inversamente
proporzionale
alla
sezione
dell’assone,
cioè
al
quadrato
del
raggio.
!
Quindi,
all’aumentare
del
raggio,
il
rapporto
aumenta
(in
quanto
il
termine
rA
x
cM
diminuisce)
e,
!! ! !!
di
conseguenza,
aumenta
anche
la
velocità
di
conduzione
(la
conduttanza
aumenta
e
la
resistenza
diminuisce
più
di
quanto
non
aumenti
la
capacità).
Gli
invertebrati
hanno
sviluppato
assoni
di
raggio
maggiore,
come
quello
gigante
del
calamaro
(1
mm
d
diametro),
che
permettono
la
reazione
di
fuga
dell’animale.
Gli
assoni
dei
mammiferi,
invece,
pur
essendo
più
piccoli
possono
condurre
a
velocità
ancora
maggiore
rispetto
a
quello
del
calamaro,
in
quanto
sono
dotati
di
guaina
mielinica.
Lo
sviluppo
della
guaina
mielinica
è
estremamente
importante,
perché
permette
di
raggiungere
elevate
velocità
di
conduzione
in
numerosi
assoni
senza
che
i
nervi
aumentino
enormemente
il
loro
diametro.
L’assone
mielinico
conduce
più
velocemente
di
quello
amielinico
per
diversi
motivi.
In
primis,
i
canali
per
il
Na+
voltaggio
dipendenti
sono
localizzati
solo
a
livello
dei
nodi
di
Ranvier
e
non
dei
tratti
internodali.
Pertanto,
il
PDA
nasce
in
numero
di
punti
discreti
dell’assone,
saltando
da
un
nodo
all’altro
(conduzione
saltatoria).
In
questo
modo,
il
processo
è
velocizzato
rispetto
all’assone
amielinico,
dove
la
corrente
che
scorre
nel
circuito
locale
deve
portare
a
soglia
tutti
i
segmenti
successivi
della
membrana.
20
In
secondo
luogo,
la
costante
di
tempo
dell’assone
(uguale
al
prodotto
della
resistenza
di
membrana
per
la
capacità
della
membrana
stessa)
è
diminuita,
in
quanto,
anche
se
la
resistenza
dei
tratti
internodali
è
aumentata
dal
rivestimento
lipoproteico,
la
loro
capacità
è
ancor
più
ridotta
a
causa
dell’aumento
della
distanza
fra
citoplasma
e
liquido
interstiziale
(i
due
conduttori
si
allontanano
tra
loro).
Di
conseguenza,
la
membrana
viene
portata
a
soglia
assai
rapidamente.
La
dimensione
della
capacità
è
di
gran
lunga
superiore
all’aumento
della
resistenza,
quindi
il
prodotto
r
x
c
(dove
r
è
la
resistenza
di
membrana
e
c
la
capacità),
ovvero
la
costante
di
tempo,
diminuisce,
ed
essendo
la
τ
breve,
l’assone
si
depolarizza
velocemente.
Inoltre,
a
causa
dell’elevata
resistenza
del
tratto
internodale,
la
corrente
generata
dal
PDA
a
livello
di
un
nodo
viene
quasi
tutta
proiettata
sul
nodo
successivo,
senza
cortocircuito
attraverso
la
membrana
internodale.
Questi
assoni
hanno
quindi
una
costante
di
spazio
λ
assai
elevata
(proprio
perché
la
resistenza
di
membrana
aumenta
e
la
corrente
non
esce
negli
spazi
internodali):
ne
consegue
che,
quando
il
PDA
è
generato
a
livello
di
un
nodo,
la
soglia
viene
raggiunta
non
solo
nel
primo
nodo
successivo,
ma
anche
nel
secondo.
Quindi
il
PDA
non
procede,
normalmente,
saltando
da
un
nodo
all’altro,
ma
saltando
due
nodi
(il
salto
può
anche
essere
di
3
nodi
in
3
nodi):
questo
fenomeno
è
importante
perché
garantisce
un
margine
di
sicurezza
alla
conduzione,
che
potrebbe
essere
bloccata
da
fattori
locali
che
abbassano
l’eccitabilità
di
singoli
nodi.
Nella
sclerosi
multipla
(e
in
generale
nelle
malattie
dovute
a
de-‐mielinizzazione)
si
assiste
a
una
degenerazione
della
mielina,
con
conseguente
rallentamento
della
velocità
di
conduzione
e
compromissione
delle
funzioni
sensoriali
e
motorie.
Oltre
al
rallentamento
e
alla
maggior
suscettibilità
al
blocco
di
conduzione,
la
perdita
della
mielina
porta
a
degenerazione
degli
assoni.
La
degenerazione
è
dovuta
alla
sovra-‐espressione
dei
canali
del
sodio
NaV1-‐6,
che
appaiono
anche
nei
tratti
internodali.
In
questo
modo,
si
arriva
ad
un
incremento
della
corrente
di
Na+
durante
il
PDA,
il
quale
sovraccarica
la
pompa
sodio
potassio
e
determina
aumento
della
concentrazione
di
sodio
intracellulare.
Essendo
la
concentrazione
di
sodio
legata
a
quella
del
calcio,
ne
consegue
diminuzione
dello
scambio
Na+/Ca++
e
la
minor
estrusione
del
Ca++
ha
come
conseguenza
un
aumento
della
calcio
intracellulare,
il
quale
innesca
i
meccanismi
della
degenerazione
assonica
e
fenomeni
di
apoptosi
(tramite
l’attivazione
di
caspasi).
21
FISIOLOGIA
DEL
SISTEMA
CARDIO-‐CIRCOLATORIO
IL
CUORE
Esistono
due
tipi
di
tessuto
miocardico:
-‐ miocardio
specifico:
genera
il
battito
cardiaco
(il
cuore
batte
da
solo,
senza
necessità
dell’intervento
del
SN)
e
della
conduzione
dell’eccitazione
(PDA)
al
cuore.
Comprende
il
nodo
senoatriale,
il
tessuto
di
conduzione
atriale,
il
nodo
atrio
ventricolare,
il
fascio
di
His
e
le
fibre
di
Purkinje;
-‐ miocardio
aspecifico:
è
la
forza
lavoro
del
cuore,
deputato
allo
sviluppo
di
tensione.
Tutte
le
cellule
cardiache
sono
tra
loro
accoppiate
da
sinapsi
elettrotoniche
(accoppiamento
elettrico).
Di
conseguenza,
il
PDA
generato
dalle
cellule
del
nodo
seno-‐atriale
si
può
diffondere
a
tutti
gli
altri
miocardiociti.
Per
questo
motivo,
nel
cuore
vale
la
legge
del
“tutto
o
nulla”:
è
sufficiente
che
una
cellula
cardiaca
(qualunque)
venga
eccitata
perché
si
abbia
la
contrazione
di
tutto
il
cuore.
La
corrente
generata
dal
potenziale
d’azione
di
una
cellula
investe
le
cellule
adiacenti,
le
quali
vengono
portate
a
soglia
e
generano
il
potenziale
d’azione.
All’attivazione
di
una
cellula
cardiaca,
inevitabilmente
si
attivano
tutte
le
altre.
Sistema
di
conduzione
Il
sistema
di
conduzione
permette
la
contrazione
coordinata
del
cuore.
Il
rallentamento
della
velocità
di
conduzione
che
si
ha
a
livello
del
nodo
atrioventricolare
(ritardo
di
conduzione
atrio-‐ventricolare)
fa
in
modo
che
il
ventricolo
si
contragga
solo
quando
la
contrazione
atriale
si
è
esaurita,
completando
il
riempimento
ventricolare:
l’atrio
funge
come
una
pompa
di
innesco
per
il
ventricolo.
La
rete
delle
fibre
del
Purkinje
permette
una
rapida
diffusione
dell’impulso
lungo
l’endocardio
(dove
sono
più
distribuite),
mentre
il
PDA
avanza
più
lentamente
attraverso
la
parete
ventricolare,
nella
direzione
endocardio-‐pericardio,
ottenendo
una
contrazione
progressiva
di
una
vasta
porzione
della
camera
ventricolare
diretta
dall’interno
(endocardio)
verso
l’esterno
(epicardio).
In
questo
modo,
si
ha
la
contrazione
contemporanea
di
diversi
settori
della
parete
ventricolare,
con
un
maggior
sviluppo
di
tensione
e
una
più
efficace
azione
di
pompa.
Un
malfunzionamento
del
sistema
di
conduzione
determina
la
perdita
di
diffusione
veloce
e
una
diminuzione
dell’area
della
camera
ventricolare
che
si
contrae,
perdendo
fino
al
20%
dell’efficienza
meccanica.
Omeostasi
ionica
e
potenziale
di
membrana
Come
in
tutte
le
cellule
eccitabili,
nel
miocardiocita
la
pompa
sodio/potassio
mantiene
elevata
la
concentrazione
intracellulare
del
K+
e
bassa
quella
del
Na+.
Esistono
poi
meccanismi
responsabili
della
regolazione
della
concentrazione
intracellulare
del
calcio,
riportandola
a
valori
bassi
quando
il
muscolo
si
rilascia.
w
In
particolare,
lo
scambiatore
sodio/calcio
estrude
uno
ione
calcio
attraverso
il
sarcolemma,
sfruttando
l’energia
liberata
dall’ingresso
nel
citoplasma
di
tre
ioni
Na+
(secondo
gradiente).
È
possibile
che
questo
scambiatore
agisca
in
senso
inverso
in
determinate
condizioni,
come
durante
il
potenziale
d’azione:
la
membrana
si
depolarizza
e
si
crea
un
flusso
di
ioni
all’interno
della
cellula.
w
La
pompa
del
calcio,
stimolata
dalla
calmodulina,
è
un
secondo
elemento
che
estrude
il
Ca++
attraverso
il
sarcolemma
(contro-‐gradiente),
questa
volta
idrolizzando
direttamente
l’ATP.
Si
tratta
di
un
meccanismo
importante
per
mantenere
bassa
la
concentrazione
dello
ione
durante
la
diastole,
regolato
dalla
concentrazione
stessa
di
calcio:
all’aumento
della
concentrazione,
il
calcio
interagisce
con
la
calmodulina,
forma
il
complesso
calcio/calmodulina
e
attiva
la
pompa.
w
Un
trasporto
attivo
primario
del
calcio
avviene
anche
dal
citoplasma
al
reticolo
sarcoplasmatico
grazie
alla
pompa
SERCA.
Il
potenziale
di
membrana
(PM,
-‐85/90mV
nel
miocardio
aspecifico)
dei
miocardiociti
è
principalmente
dovuto
al
potenziale
diffusionale
del
K+.
Ad
esso
può
dare
un
piccolo
contributo
la
pompa
Na+/K+
che,
scambiando
tre
ioni
Na+
con
due
ioni
K+,
crea
una
corrente
positiva
in
uscita
che
fa
variare
il
potenziale,
rendendolo
più
negativo,
nelle
cellule
di
piccole
dimensioni,
caratterizzate
da
un’elevata
resistenza
di
membrana.
La
variazione
di
PM
è
uguale
al
prodotto
di
tale
corrente
per
la
resistenza
di
membrana.
La
presenza
dello
scambiatore
sodio/calcio
crea
una
dipendenza
reciproca
fra
le
concentrazioni
intracellulari
di
Ca++
e
Na+
intracellulari.
Infatti,
se
la
concentrazione
intracellulare
di
Na+
aumenta,
il
gradiente
transmembranario
per
il
Na+
diminuisce
e,
di
conseguenza,
diminuisce
l’estrusione
di
Ca++
attraverso
la
membrana.
Questo
spiega
gli
effetti
della
digitale,
farmaco
che,
a
basse
dosi,
incrementa
la
forza
di
contrazione
del
cuore,
in
quanto
riduce
l’attività
della
pompa
Na+/K+,
incrementando
la
concentrazione
intracellulare
di
Na+
e,
di
conseguenza,
quella
del
Ca++,
responsabile
del
livello
di
tensione
sviluppato
dal
miocardiocita.
Corrente
per
il
potassio
e
rettificazione
interna
I
canali
per
il
K+,
normalmente
aperti
a
riposo,
mostrano
rettificazione
interna
(non
sono
canali
ohmici):
la
resistenza
del
canale
è
maggiore
per
la
corrente
in
uscita
(il
K+
esce
quando
il
valore
di
PM
è
meno
negativo
del
potenziale
di
equilibrio
del
K+)
che
per
quella
in
entrata
(il
K+
entra
quando
il
valore
di
PM
è
più
negativo
del
potenziale
di
equilibrio
del
K+).
La
rettificazione
interna
dipende
dalle
poliamine
e
dal
Mg++,
che
tappano
il
canale
quando
la
membrana
si
depolarizza.
A
potenziali
più
negativi,
per
cui
normalmente
il
K+
tende
ad
entrare
nella
cellula,
il
blocco
è
rimosso
e
il
canale
conduce
meglio.
La
rettificazione
non
sarebbe
quindi
legata
alla
direzione
della
corrente
di
per
se,
ma
piuttosto
al
valore
del
potenziale
di
membrana.
Il
potenziale
d’azione
del
cuore
dura
300
ms
e,
in
questo
arco
di
tempo,
la
cellula
è
depolarizzata.
In
queste
condizioni
potrebbe
perdere
enormi
quantità
potassio
e
una
perdita
eccessiva
ne
farebbe
aumentare
la
concentrazione
nel
liquido
extracellulare.
La
rettificazione
interna
impedisce,
quindi,
l’aumento
della
concentrazione
extracellulare
del
K+
durante
la
depolarizzazione
della
cellula,
il
cui
PDA
dura
centinaia
di
millisecondi.
L’equazione
di
Nerst
permette
di
prevedere
le
conseguenze
dell’assenza
della
rettificazione.
𝑅𝑇 !! !"#
Ek
=
(
𝑥𝐹
)
x
ln
(
[!!]!"
)
[K+]out
=
4
mE/l
[K+]in
=
145
mE/l
Ek
=
58
x
log
(4/145)
=
-‐
90.44
mV
[K+]out
=
6
mE/l
[K+]in
=
145
mE/l
Ek
=
58
x
log
(6/145)
=
-‐
80.22
mV
Quando
la
concentrazione
di
K+
nel
liquido
extracellulare
supera
il
valore
di
4
mE/l,
la
membrana
si
depolarizza.
Questo
avviene
perché
nell’equazione
di
Nerst
il
rapporto
fra
la
concentrazione
esterna
e
quella
interna
di
K+
è
aumentato
e,
di
conseguenza,
il
potenziale
di
equilibrio
per
il
K+
(Ek)
diventa
meno
negativo.
Se
Ek
diventa
meno
negativo,
lo
diventa
anche
il
potenziale
di
membrana.
Quando
la
concentrazione
di
K+
nel
liquido
extracellulare
supera
il
valore
di
8
mE/l,
l’eccitabilità
dei
miocardiociti
diminuisce
e
il
cuore
si
arresta.
La
depolarizzazione
inattiva
i
canali
del
sodio
voltaggio
dipendenti
e
la
permeabilità
al
potassio
aumenta:
la
membrana
perde
eccitabilità.
Durante
interventi
in
cui
è
necessario
collegare
il
paziente
alla
macchina
cuore-‐polmone,
occorre
fermare
il
battito
cardiaco
utilizzando
la
soluzione
cardioplegica,
una
soluzione
di
cloruro
di
potassio
altamente
concentrata.
Quando
il
potenziale
è
zero,
la
corrente
è
zero.
Aumentando
o
diminuendo
la
differenza
di
potenziale,
le
correnti
entranti
e
uscenti
sono
perfettamente
simmetriche.
Il
potenziale
d’azione
(PDA)
presenta
una
forma
diversa
nei
diversi
tipi
di
cellule
miocardiche
(è
eterogeneo).
Nel
PDA
delle
cellule
del
miocardio
aspecifico
distinguiamo
quattro
fasi:
0-‐
fase
di
rapida
ascesa:
è
dovuta
ad
una
corrente
per
il
sodio
a
rapida
inattivazione,
che
entra
nella
cellula
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti;
1-‐
fase
di
ripolarizzazione
iniziale:
la
ripolarizzazione
veloce
è
associata
ad
una
corrente
di
potassio
voltaggio
dipendente,
anch’essa
a
rapida
inattivazione,
che
esce
dalla
cellula
depolarizzata;
2-‐
fase
di
plateau:
è
legata
a
diversi
meccanismi
ionici.
In
primis,
è
coinvolta
la
corrente
in
entrata
di
calcio
voltaggio
dipendente
(ICa)
a
lenta
inattivazione
(attraverso
i
canali
T
e
L).
L’aumento
di
calcio
citoplasmatico
diminuisce
la
conduttanza
di
questi
canali.
Una
piccola
frazione
dell’ingresso
di
Ca++
è
dovuta
al
fatto
che
la
depolarizzazione
produce
una
inversione
della
direzione
di
lavoro
dello
scambiatore
sodio/calcio
,
per
cui
la
molecola
estrude
sodio
e
fa
entrare
calcio
nella
cellula
(durante
la
prima
metà
del
plateau).
Inoltre,
durante
il
plateau
scorre
una
coda
della
corrente
di
sodio
iniziale,
la
cui
inattivazione
non
è
stata
totale.
Infine,
l’aumento
della
resistenza
nei
canali
per
il
K+
aperti
a
riposo,
contribuisce
a
mantenere
la
fase
2,
minimizzando
la
tendenza
della
membrana
a
ripolarizzarsi
(la
corrente
in
ingresso
di
sodio
e
calcio
è
bilanciata
dalla
corrente
in
uscita
di
potassio).
In
questa
fase,
la
membrana
è
mantenuta
a
un
potenziale
costante
e
il
flusso
netto
di
corrente
attraverso
la
membrana
è
uguale
a
zero;
3-‐
fase
di
ripolarizzazione:
in
questa
fase
avviene
la
ripolarizzazione,
a
causa
dell’inattivazione
di
ICa
(diminuzione
conduttanza
per
il
calcio)
e
dell’apertura
sempre
maggiore
di
canali
per
il
K+
voltaggio
dipendenti
(aumento
conduttanza
per
il
potassio):
questa
corrente
di
K+
in
uscita
prende
il
nome
di
rettificatrice
ritardata.
Contribuiscono
ad
essa
almeno
tre
componenti,
indicate
come
KS,
KR,
KU,
caratterizzate
rispettivamente
da
cinetica
lenta,
rapida
e
ultrarapida;
4-‐
fase
di
riposo
della
cellula.
Una
riduzione
dell’attività
metabolica
può
determinare
sofferenza
del
miocardio,
in
quanto
viene
diminuita
l’attività
della
pompa
sodio/potassio,
che
influenza
il
potenziale
di
membrana.
La
conseguente
depolarizzazione
ischemica
di
circa
10
mV
aumenta
la
concentrazione
intracellulare
di
sodio
mentre
quella
di
potassio
diminuisce,
producendo
quindi
inattivazione
di
INa.
Quando
il
PDA
giunge
in
queste
regioni
ischemiche,
le
cellule
non
possono
esprimere
la
corrente
di
Na+
(la
depolarizzazione
tonica
ha
effetto
deleterio
sui
canali
per
il
sodio
voltaggio
dipendenti,
facendo
chiudere
le
porte
H),
ma
si
ha
ugualmente
l’apertura
dei
canali
per
il
Ca++
voltaggio
dipendenti,
con
l’insorgenza
di
risposte
lente
(PDA
al
Ca++),
che
hanno
una
più
bassa
velocità
di
conduzione:
il
PDA
non
viene
abolito,
ma
cambia
progressivamente.
La
risposta
fisiologica
veloce
diventa
una
risposta
lenta,
che
rappresenta
il
potenziale
cardiaco
in
assenza
della
corrente
del
sodio
(quindi
la
porzione
dovuta
alla
corrente
del
calcio).
In
condizioni
fisiologiche,
nel
nodo
del
seno
e
in
quello
atrio-‐ventricolare,
i
PDA
sono
risposte
lente,
perché
INa
è
molto
debole
o
assente.
I
canali
per
il
calcio
sono
di
due
tipi:
-‐ canali
di
tipo
T:
si
aprono
per
valori
di
PM
più
vicini
a
quelli
di
riposo
(hanno
soglia
più
bassa),
si
inattivano
rapidamente
e
hanno
la
resistenza
più
elevata
(cioè
conducono
di
meno).
Nel
nodo
seno
atriale
sono
più
numerosi
dei
canali
L;
-‐ canali
di
tipo
L:
hanno
soglia
più
elevata
e
si
inattivano
più
lentamente
dei
T
(cinetica
lenta).
La
loro
conduttanza
è
più
elevata
e
sono
molto
abbondanti
nel
nodo
atrioventricolare.
I
canali
di
tipo
L
(espressi
sulla
muscolatura
liscia
dei
vasi)
sono
il
bersaglio
di
una
importante
famiglia
di
farmaci
antiipertensivi,
i
calcio
antagonisti.
Inoltre,
sono
modulati,
attraverso
il
recettore
β-‐
noradrenergico,
dalle
catecolamine.
Esistono
tre
classi
di
calcio
antagonisti:
le
1,4
diidropiridine
(come
la
nifedipina,
N),
le
fenilalchilammine
(verapamil,
V)
e
le
benzotiazepine
(diltiazem,
D),
che
si
legano
a
tre
siti
distinti
sul
canale
per
il
Ca++,
che
vengono
indicati
con
le
iniziali
di
questi
farmaci
(N,V,D).
La
cinetica
lenta
di
questi
canali
ha
come
conseguenza
il
fatto
che
all’aumento
della
frequenza
del
battito
cardiaco,
automaticamente
si
riduce
la
durata
del
potenziale
d’azione:
aumentare
la
frequenza
infatti
equivale
a
diminuire
il
tempo
tra
un
battito
e
quello
successivo
(il
tempo
tra
la
nascita
di
un
potenziale
d’azione
e
quello
successivo).
Se
questo
tempo
viene
ridotto,
il
potenziale
d’azione
successivo
trova
un
background
di
attivazione
della
corrente
rettificatrice
ritardata,
quindi
la
sua
fase
di
plateau
dura
di
meno.
La
corrente
di
K+
voltaggio
dipendente
rettificatrice
ritardata,
che
produce
la
ripolarizzazione,
ha
cinetica
molto
lenta
ed
è
quindi
ancora
attivata
nel
periodo
successivo
al
PDA.
Questo
porta
ad
un
accorciamento
della
durata
del
PDA
quando
la
frequenza
cardiaca
aumenta:
in
tal
caso,
infatti,
il
PDA
successivo
viene
generato
quando
la
rettificatrice
ritardata
è
significativamente
attivata
e,
di
conseguenza,
si
ha
una
maggior
uscita
di
K+
durante
la
fase
di
plateau.
Il
periodo
refrattario
assoluto
nel
miocardio
aspecifico
corrisponde
a
0.25-‐0.30
sec
(quindi
per
tutta
la
durata
del
potenziale
d’azione)
e
dura
finché
la
conduttanza
per
il
Na+
voltaggio
dipendente
è
inattivata.
Successivamente,
c’è
un
periodo
refrattario
relativo
di
0.05
sec,
dovuto
al
fatto
che
la
conduttanza
al
Na+
è
ancora
parzialmente
inattivata
e
la
conduttanza
per
il
K+
rettificatrice
ritardata
è
ancora
parzialmente
attivata.
I
PDA
che
nascono
in
questo
periodo
sono
di
ampiezza
inferiore
rispetto
al
normale
e
la
loro
salita
è
più
lenta.
Queste
caratteristiche
fanno
sì
che
la
velocità
della
loro
conduzione
sia
più
bassa
della
norma
(sono
dei
potenziali
disturbatori
del
ritmo).
Nel
complesso,
il
periodo
refrattario
dura
quanto
lo
sviluppo
di
tensione
da
parte
della
cellula.
Pertanto,
lo
sviluppo
di
tensione
successivo
comincia
solo
quando
la
tensione
generata
dal
PDA
precedente
si
è
già
esaurita.
Questo
fa
si
che
nel
cuore
non
sia
possibile
né
la
sommazione
della
tensione
sviluppata
durante
scosse
successive,
né,
a
maggior
ragione,
la
contrazione
tetanica
in
seguito
alla
stimolazione
ad
alta
frequenza.
La
contrazione
tetanica
non
è
compatibile
con
l’azione
di
pompa
del
cuore.
Per
quanto
riguarda
il
muscolo
scheletrico,
invece,
si
ha
possibilità
di
attivazione
mentre
la
tensione
prodotta
dall’attivazione
precedente
si
sta
ancora
sviluppando.
Quando
viene
compiuta
un’azione
di
questo
tipo,
le
tensioni
sviluppate
si
sommano
e
il
muscolo
sviluppa
sempre
più
tensione,
fino
a
raggiungere
la
tensione
tetanica
(dove
per
tetano
si
intende
una
tensione
continua
del
muscolo).
La
contrazione
tetanica
può
avvenire
anche
quando
le
scosse
sono
massimali.
Quando
vengono
attivate
tutte
le
fibre
muscolari
contemporaneamente
si
ha
la
massima
estensione
della
scossa
singola
del
muscolo,
se
vengono
date
due
scosse
singole
che
si
sovrappongono
si
ottiene
una
tensione
maggiore.
Nel
muscolo
scheletrico
(in
cui
il
potenziale
d’azione
dura
poco
rispetto
allo
sviluppo
di
tensione),
questo
meccanismo
aumenta
lo
sviluppo
di
tensione,
mentre
nel
cuore
non
può
avvenire
poiché
il
potenziale
d’azione
dura
esattamente
quanto
lo
sviluppo
di
tensione.
I
miocardiociti,
quindi,
possono
essere
riattivati
soltanto
quando
la
tensione
cessa.
Inotropismo
di
frequenza
Nonostante
la
mancanza
di
contrazione
tetanica,
nel
miocardio
isolato
la
tensione
sviluppata
aumenta
con
la
frequenza
dello
stimolo:
inotropismo
di
frequenza.
Quindi,
ad
una
stimolazione
con
frequenza
maggiore
segue
un
aumento
dello
sviluppo
di
tensione:
aumentando
la
frequenza,
la
cellula
emette,
nell’unità
di
tempo,
un
numero
maggiore
di
potenziali
d’azione.
Questo
fenomeno
non
avviene
da
parte
del
cuore,
ma
da
parte
delle
sue
cellule
ed
è
dovuto
al
fatto
che
la
concentrazione
di
Ca++
citoplasmatica
aumenta
durante
gli
stimoli
ad
alta
frequenza.
Probabilmente,
questo
fenomeno
è
dovuto
al
fatto
che,
in
un
determinato
periodo
di
tempo,
i
canali
voltaggio
dipendenti
per
il
Ca++
restano
aperti
più
a
lungo
e,
di
conseguenza,
anche
la
concentrazione
di
calcio
citoplasmatica
rimane
più
a
lungo
sugli
elevati
livelli
sistolici.
In
questo
modo,
i
siti
citoplasmatici
aspecifici
(situati
sui
vari
organelli)
che
possono
legare
il
calcio
si
saturano
e
la
concentrazione
dello
ione
sale
maggiormente
quando
si
aprono
i
canali
del
reticolo
sarcoplasmatico,
in
quanto
il
calcio
si
lega
di
meno
ai
siti
aspecifici
e
una
percentuale
maggiore
dello
ione
rimane
libero
nel
citoplasma.
Normalmente,
quando
aumenta
la
frequenza
cardiaca,
il
cuore
batte
con
più
forza
per
via
dell’inotropismo
dovuto
al
simpatico
(e
non
inotropismo
di
frequenza).
Se
il
cuore
viene
guidato
ad
un
aumento
di
frequenza
(come
nel
caso
di
impianto
di
pacemaker),
non
si
assiste
ad
un
aumento
della
forza
di
contrazione
del
cuore
o
del
volume
di
sangue
eiettato.
Infatti,
l’aumento
di
frequenza
viene
associato
ad
un
aumento
della
forza
di
contrazione
nella
singola
cellula,
mentre
considerando
il
cuore
in
toto
bisogna
tenere
presenti
altre
variabili.
Se
si
aumenta
la
frequenza
di
contrazione
(senza
associare
una
stimolazione
contemporanea
del
simpatico),
il
cuore
non
ha
il
tempo
di
riempirsi
e
non
si
contrae
in
maniera
efficace.
In
realtà,
l’inotropismo
di
frequenza
esiste
anche
nel
cuore
in
toto,
ma
non
è
osservabile.
Transienti
di
calcio
Il
potenziale
d’azione
genera
un
incremento
della
concentrazione
di
Ca++
intracellulare
(transiente
del
Ca++)
che
produce
la
contrazione
della
cellula.
Questi
transienti
sono
visualizzabili
mediante
indicatori
che
vengono
iniettati
all’interno
della
cellula
e
diventano
fluorescenti
in
presenza
di
calcio:
l’intensità
della
luce
emessa
è
proporzionale
alla
concentrazione
dello
ione.
L’ampiezza
del
transiente
del
Ca++
(così
come
lo
sviluppo
di
tensione)
dipende
dalla
concentrazione
extracellulare
di
calcio:
all’aumento
di
concentrazione
di
calcio
nel
liquido
extracellulare,
aumentano
sia
il
transiente
che
lo
sviluppo
di
tensione.
Ciò
suggerisce
che
il
transiente
del
Ca++
dipenda
dall’ingresso
di
calcio
nella
cellula
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti.
Infatti,
il
transiente
del
calcio
associato
al
potenziale
d’azione
non
si
verifica
in
mancanza
di
calcio
extracellulare.
L’intensità
della
tensione
sviluppata
dipende
a
sua
volta
dall’ampiezza
del
transiente
di
calcio
e,
di
conseguenza,
dalla
concentrazione
extracellulare
dello
ione.
La
dipendenza
dello
sviluppo
di
tensione
(e
del
transiente
del
calcio)
dalla
concentrazione
extracellulare
del
Ca++
è
tipica
del
muscolo
cardiaco
e
non
si
ritrova
nel
muscolo
scheletrico
(in
cui
non
è
necessario
che
il
calcio
entri
nella
cellula
per
attivare
la
contrazione).
Il
transiente
del
Ca++
si
verifica
solo
se
lo
ione
entra
all’interno
della
cellula
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti,
come
dimostrato
dal
fatto
che
se
si
sostituisce
il
calcio
con
il
bario
(ione
permeante
attraverso
i
canali
per
il
Ca++,
ma
che
non
ne
condivide
le
funzioni)
nel
liquido
extracellulare,
si
abolisce
il
transiente
del
calcio,
e
di
conseguenza
si
abolisce
lo
sviluppo
di
tensione.
Anche
se
nel
miocardio
i
tubuli
T
sono
più
larghi
e
contengono
più
calcio
che
nel
muscolo
scheletrico
e
il
transiente
di
Ca++
è
abolito
impedendo
l’ingresso
dello
ione
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti
corrispondenti,
il
calcio
che
genera
il
transiente
non
è
quello
che
entra
attraverso
i
canali
localizzati
lungo
la
membrana
dei
tubuli
T.
Infatti,
la
quota
di
calcio
che
attraversa
la
membrana
è
troppo
piccola
per
produrre
in
modo
diretto
il
transiente,
serve
solo
per
indurre
il
rilascio
di
calcio
dal
reticolo
sarcoplasmatico
(RS).
Quest’ultima
quota,
più
consistente,
è
quella
responsabile
del
transiente,
come
indicato
dal
fatto
che
l’abolizione
del
rilascio
di
calcio
dal
RS,
ottenuta
mediante
una
sostanza
specifica,
la
rianodina
(rende
la
membrana
del
RS
impermeabile
al
calcio),
abolisce
sia
il
transiente
che
lo
sviluppo
di
tensione.
L’utilizzo
di
rianodina
determina
una
prolungazione
del
potenziale
d’azione.
Infatti,
se
si
blocca
il
rilascio
del
calcio
dal
reticolo
sarcoplasmatico,
la
concentrazione
citoplasmatica
di
calcio
diminuisce
e
il
canale
per
il
calcio
voltaggio
dipendente
continua
a
funzionare
(non
viene
più
inattivato
dal
calcio),
per
cui
il
potenziale
d’azione
dura
più
a
lungo.
Il
fatto
che
il
rilascio
dal
reticolo
sarcoplasmatico
dipenda
dalla
corrente
di
calcio
in
ingresso
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti
spiega
in
che
modo,
nel
miocardio,
la
concentrazione
del
Ca++
extracellulare
determina
l’ampiezza
del
transiente
e
della
forza
di
contrazione:
una
concentrazione
extracellulare
maggiore
aumenta
il
gradiente
che
spinge
il
calcio
ad
entrare
e,
di
conseguenza,
aumentano
la
corrente
di
Ca++
voltaggio
dipendente,
il
rilascio
di
Ca++
dal
RS
e
l’ampiezza
del
transiente.
Rilascio
di
calcio
dal
reticolo
sarcoplasmatico
Nel
miocardio,
il
calcio
entra
nella
cellula
attraverso
i
canali
voltaggio
dipendenti
(di
tipo
L)
dei
tubuli
T
detti
recettori
della
diidropiridina,
in
quanto
legano
le
diidropiridine
(una
classe
di
calcio-‐antagonisti).
Nel
citoplasma,
lega
la
calmodulina
e,
formando
il
complesso
calcio-‐
calmodulina,
interagisce
con
la
subunità
inferiore
del
canale
per
il
Ca++
che
si
trova
sulle
membrane
del
reticolo
sarcoplasmatico
(complesso
del
piede),
provocandone
l’apertura.
Questo
canale
viene
bloccato
all’interazione
con
la
rianodina.
Il
calcio
contenuto
nel
reticolo
a
elevata
concentrazione
fuoriesce
nel
citoplasma,
dando
origine
al
transiente.
Nel
muscolo
scheletrico,
il
canale
del
reticolo
sarcoplasmatico
viene
aperto
principalmente
con
un
altro
meccanismo,
più
debole
nel
miocardio,
che
consiste
in
un’interazione
diretta
di
un
gruppo
della
subunità
α
del
canale
del
tubulo
T
con
il
canale
per
il
calcio
del
reticolo,
a
seguito
di
un
cambiamento
di
conformazione
della
subunità
stessa
indotto
dalla
depolarizzazione.
Quando
la
depolarizzazione
è
finita,
la
corrente
di
Ca++
attraverso
la
membrana
dei
tubuli
T
cessa
e
il
reticolo
sarcoplasmatico
ridiventa
impermeabile
al
calcio
(il
canale
per
il
calcio
espresso
sulla
membrana
del
reticolo
sarcoplasmatico
si
inattiva
a
causa
di
un
processo
non
ben
definito,
probabilmente
si
tratta
di
un’inattivazione
spontanea).
La
maggior
parte
del
calcio
del
citoplasma
viene
riportato
nel
RS
grazie
all’azione
della
pompa
SERCA,
localizzata
sulla
membrana
dell’organulo
e
responsabile
della
rimozione
del
calcio
dal
citoplasma
per
l’88%.
Quote
più
piccole
vengono
portate
fuori
dalla
cellula
grazie
allo
scambiatore
sodio/calcio
e
alla
pompa
del
Ca++
del
sarcolemma.
Infine,
un’altra
piccola
quota
dello
ione
viene
portata
nei
mitocondri.
In
questo
modo,
la
concentrazione
di
calcio
nel
citoplasma
cala
ai
livelli
diastolici,
con
rilassamento
del
muscolo.
Nel
muscolo
scheletrico,
nel
momento
in
cui
il
potenziale
cessa,
la
subunità
del
canale
del
tubulo
T
cessa
di
interagire
con
il
complesso
del
piede
(canale
per
il
calcio
del
reticolo)
e
il
canale
si
chiude.
La
pompa
SERCA
è
continuamente
attiva
e
concentra
il
Ca++
all’interno
del
RS.
Viene
regolata
dal
fosfolambano,
molecola
che
ne
inibisce
l’attività
e
che
può
essere
fosforilata
allo
scopo
di
rimuovere
l’inibizione
esercitata
sulla
pompa
del
calcio
quando
si
trova
nella
forma
defosforilata.
La
fosforilazione
viene
prodotta
sia
dal
complesso
Ca++/calmodulina
(il
quale
rispecchia
un’aumentata
concentrazione
citosolica
di
calcio),
che
dalla
fosfochinasi
A,
attivata
dal
recettore
β-‐noradrenergico
e
regolata
da
cAMP.
Esistono
due
siti
di
fosforilazione
sul
fosfolambano,
per
cui
le
stimolazioni
possono
essere
additive.
Durante
la
sistole,
l’attività
della
pompa
è
elevatissima,
ma
senza
nessun
effetto
(è
inutile,
genera
soltanto
calore
e
riscalda
il
citoplasma),
in
quanto
il
reticolo
sarcoplasmatico
è
permeabile
al
Ca++,
che
fuoriesce
immediatamente
da
esso
non
appena
viene
riportato
al
suo
interno.
Dopo
un
lasso
di
tempo,
il
canale
per
il
calcio
sul
reticolo
sarcoplasmatico
sembra
inattivarsi
e
la
sistole
termina
perché
il
calcio
riportato
nel
reticolo
non
può
più
uscire.
A
questo
punto,
più
è
veloce
l’attività
della
pompa
SERCA,
più
è
veloce
il
rilasciamento
muscolare.
Il
legame
del
calcio
con
la
proteina
regolatrice
troponina
(subunità
C)
sposta
la
molecola
di
tropomiosina
(che
nasconde
il
sito
in
cui
la
testa
della
molecola
di
miosina
può
interagire
con
l’actina)
e
libera
un
sito
sulla
molecola
di
actina
su
cui
la
miosina
si
può
attaccare.
L’interazione
tra
actina
e
miosina
produce
l’accorciamento
del
sarcomero.
La
molecola
di
miosina
ha
già
raggiunto
un
elevato
livello
di
energia
potenziale
all’arrivo
del
calcio
(è
pronta
a
scattare),
in
quanto
lega
ADP
e
fosfato
(ha
già
idrolizzato
ATP
per
aumentare
la
sua
energia
potenziale).
Al
momento
dell’interazione,
l’energia
potenziale
viene
liberata.
Inizia
così
il
ciclo
dei
ponti
trasversi.
Una
volta
che
la
testa
della
miosina
ha
reagito
con
l’actina,
essa
ruota,
producendo
una
trazione
sul
filamento
di
actina.
Quest’ultimo,
grazie
all’azione
asincrona
delle
teste
che
ruotano,
viene
spinto
verso
il
centro
del
sarcomero,
che
si
accorcia.
Dopo
la
rotazione
della
testa
della
miosina,
il
ponte
rimarrebbe
bloccato,
ostacolando
un
ulteriore
scorrimento,
se
l’ATP
non
si
legasse
alla
testa,
producendo
lo
scioglimento
del
ponte
(la
molecola
di
miosina
si
distacca
dal
filamento
di
actina).
A
questo
punto,
l’idrolisi
dell’ATP
da
parte
della
testa
della
miosina
cambia
la
conformazione
della
testa
medesima,
che
si
carica
di
energia
potenziale,
la
quale,
dopo
il
successivo
attacco
all’actina,
produrrà
la
rotazione
del
ponte,
contribuendo
all’ulteriore
accorciamento
del
sarcomero.
Se
questo
meccanismo
non
avvenisse,
il
muscolo
si
troverebbe
irrigidito
(rigor
mortis
del
cadavere).
La
tensione
sviluppata
dal
meccanismo
dei
ponti
trasversi
dipende
dalla
concentrazione
di
calcio
libero
nel
citoplasma,
secondo
una
relazione
sigmoide.
In
diastole
la
concentrazione
del
Ca++
è
di
10-‐7
m/litro
e
sale
a
circa
10-‐6
in
sistole.
Tensione
e
lunghezza
Lo
sviluppo
di
tensione
dipende
dalla
lunghezza
del
sarcomero.
Innanzitutto,
si
distinguono
la
tensione
attiva
(tensione
prodotta
dalla
contrazione
muscolare,
che
dipende
dalla
lunghezza
del
sarcomero)
e
quella
passiva.
Fino
ad
una
certa
lunghezza,
il
muscolo
cardiaco
non
è
in
grado
di
sviluppare
tensione
attiva.
Al
di
sopra
di
questa
lunghezza
soglia,
la
tensione
sale
progressivamente,
raggiunge
un
massimo
e
torna
poi
a
zero.
Normalmente,
il
muscolo
cardiaco
lavora
nella
porzione
ascendente
della
curva
(il
sarcomero
è
corto
e
l’aumento
di
lunghezza
aumenta
lo
sviluppo
di
tensione).
Invece,
la
tensione
passiva,
dovuta
alle
semplici
proprietà
elastiche
del
muscolo
non
contratto
e
del
tendine
(che
agiscono
come
delle
molle,
sviluppando
tensione
quando
sono
stirati)
aumenta
progressivamente
al
disopra
della
una
lunghezza
soglia
(fino
ad
un
valore
per
cui
il
tessuto
si
lacera).
Il
muscolo
cardiaco,
a
parità
di
lunghezza,
sviluppa
una
maggior
tensione
passiva
rispetto
al
muscolo
scheletrico
per
via
del
maggior
contenuto
di
collagene
e
titina
(una
proteina
della
linea
Z).
La
tensione
attiva
è
invece
maggiore
nel
muscolo
scheletrico,
probabilmente
perché
in
questo
tessuto
i
livelli
di
calcio
che
si
raggiungono
nel
citoplasma
durante
la
sistole
sono
maggiori
rispetto
a
quelli
del
muscolo
cardiaco.
Dal
punto
di
vista
qualitativo,
le
curve
che
descrivono
i
due
fenomeni
(andamento
della
tensione
attiva)
sono
uguali:
sono
curve
a
campana,
in
cui
la
tensione
è
massima
in
corrispondenza
di
una
certa
lunghezza.
In
entrambi
i
casi,
quando
il
sarcomero
è
corto
la
tensione
è
zero,
se
si
aumenta
la
lunghezza
aumenta
la
tensione,
successivamente
torna
a
zero.
In
entrambi
i
muscoli,
la
relazione
fra
tensione
attiva
e
lunghezza
dipende
dal
numero
di
ponti
trasversi
che
si
possono
formare
alle
diverse
lunghezze
del
sarcomero.
Il
numero
di
ponti
è
massimo
in
un
intervallo
di
valori
di
lunghezza
(ottimali)
che
permettono
la
formazione
di
tutti
i
ponti
trasversi.
Alle
lunghezze
maggiori
di
quelle
ottimali,
le
teste
della
miosina
nella
parte
centrale
del
sarcomero
non
possono
più
agganciare
l’actina.
Aumentando
la
lunghezza
si
può
arrivare
ad
un
punto
in
cui
la
formazione
di
ponti
non
è
più
possibile.
A
lunghezze
inferiori
rispetto
a
quelle
ottimali,
i
ponti
nella
regione
centrale
vengono
rotti
dai
filamenti
di
actina
collegati
alla
linea
Z
opposta.
Quando
il
sarcomero
si
è
accorciato
tanto
che
la
linea
Z
tocca
gli
estremi
dei
filamenti
di
miosina,
tutti
i
ponti
sono
rotti
e
non
c’è
più
sviluppo
di
tensione.
Muscolo
scheletrico
e
muscolo
cardiaco
Il
muscolo
scheletrico,
nella
maggior
parte
dei
casi,
ha
una
lunghezza
vicina
ai
punti
di
massima
efficienza,
che
diminuisce
nel
momento
in
cui
inizia
ad
accorciarsi.
Al
contrario,
il
muscolo
cardiaco
lavora
a
basso
profilo,
lasciando
un
largo
margine
di
incremento
in
modo
da
poter
modulare
la
forza
di
contrazione
(che
dipende
dal
volume
di
sangue
che
arriva
al
cuore,
il
quale
varia
nell’unità
di
tempo).
Se
il
volume
cardiaco
aumenta
e
i
suoi
valori
restano
alti,
si
va
incontro
a
scompenso
cardiaco:
il
cuore
non
ha
ulteriore
margine
di
incremento,
per
cui
se
aumenta
il
volume
del
sangue,
questo
si
accumula
nel
circolo
polmonare
e
determina
edema
polmonare
(gli
alveoli
si
riempiono
di
liquidi
e
si
“annega”).
Ad
esempio,
se
si
considera
un
sarcomero
lungo
circa
3.6
µm,
si
osserva
che
a
questa
lunghezza
non
c’è
sovrapposizione
tra
i
filamenti
di
actina
e
quelli
di
miosina
(i
ponti
trasversi
non
possono
agganciare
l’actina
e
sviluppare
tensione),
il
muscolo
è
troppo
lungo
e
non
può
funzionare.
All’accorciarsi
del
muscolo,
i
filamenti
si
sovrappongono
e
inizia
a
svilupparsi
tensione,
la
quale
raggiunge
il
valore
massimo
quando
la
sovrapposizione
è
massima.
Da
qui,
la
tensione
inizia
nuovamente
a
diminuire
e
i
filamenti
di
actina
provenienti
da
una
linea
Z,
all’accorciarsi
del
sarcomero,
vanno
a
staccare
i
ponti
trasversi
creati
col
filamento
di
actina
sul
lato
opposto
del
sarcomero.
La
tensione
diminuisce
fino
ad
arrivare
a
zero
(tutti
i
ponti
sono
staccati).
In
entrambi
i
tipi
di
muscolo,
se
il
muscolo
è
troppo
corto
non
sviluppa
più
tensione.
Nel
muscolo
cardiaco
esistono
altri
meccanismi
che
concorrono
a
generare
la
relazione
fra
tensione
e
lunghezza,
che
non
sono
presenti
nel
muscolo
scheletrico.
Innanzitutto,
nelle
cellule
cardiache,
l’affinità
della
troponina
per
il
calcio
aumenta
all’aumentare
della
lunghezza
del
sarcomero
(si
tratta
di
un
dato
ben
documentato,
ma
non
ancora
chiaro).
Potrebbero
esistere
canali
per
il
calcio
attivati
dallo
stiramento
cellulare
(regolazione
di
natura
meccanica
associata
alla
regolazione
elettrica).
Inoltre,
esso
viene
regolato
da
proteine
contrattili
(meno
importanti
nel
muscolo
scheletrico).
Il
primo
meccanismo
di
regolazione
riguarda
la
catena
leggera
della
miosina.
Infatti,
la
miosina
del
miocardio
può
essere
fosforilata
da
una
chinasi
c-‐AMP
dipendente
(controllata
dal
recettore
β-‐noradrenergico,
attivato
dalle
catecolamine)
e
da
una
chinasi
Ca++/calmodulina
dipendente.
La
catena
leggera
fosforilata
ha
una
più
elevata
attività
ATPasica,
che
produce
una
maggior
velocità
di
contrazione.
Quindi,
la
velocità
di
contrazione
viene
a
dipendere
dal
livello
di
Ca++
intracellulare
(complesso
calcio/calmodulina)
e
dall’attivazione
del
simpatico
(catecolamine).
Questo
meccanismo
non
è
rilevante
nel
muscolo
scheletrico.
Un
altro
punto
di
regolazione
è
la
fosforilazione
della
subunità
T
della
troponina.
La
troponina
diminuisce
la
sua
sensibilità
al
Ca++
quando
è
fosforilata
(da
una
chinasi
c-‐AMP
dipendente
controllata
dal
recettore
β-‐noradrenergico
attivato
dalle
catecolamine):
questo
effetto
non
modifica
significativamente
lo
sviluppo
di
tensione,
perché
la
concentrazione
del
calcio
presente
nel
citoplasma
durante
la
sistole
è
comunque
in
grado
di
saturare
la
troponina,
mentre
aumenta
invece
la
velocità
di
rilasciamento
quando
la
concentrazione
di
calcio
intracellulare
diminuisce
(diastole).
In
questo
modo,
le
catecolamine
aumentano
la
velocità
di
rilasciamento
del
miocardio
(si
esaurisce
velocemente
lo
sviluppo
di
tensione).
Ricapitolando,
il
muscolo
cardiaco,
pur
avendo
struttura
analoga
a
quella
del
muscolo
scheletrico,
presenta
alcune
differenze
funzionali
importanti.
-‐ Lo
sviluppo
di
tensione
dipende
dalla
concentrazione
di
calcio
extracellulare,
mentre
quest’ultimo
parametro
non
modifica
la
contrazione
del
muscolo
scheletrico;
-‐ il
rilascio
di
calcio
dal
reticolo
è
Ca++
dipendente,
mentre
nel
muscolo
scheletrico
è
voltaggio
dipendente;
-‐ a
differenza
del
muscolo
scheletrico,
il
miocardio
non
può
andare
incontro
a
contrazione
tetanica;
-‐ nel
miocardio
la
relazione
tensione-‐lunghezza
è
influenzata
dal
fatto
che
l’affinità
della
troponina
per
il
calcio
aumenta
con
la
lunghezza
del
sarcomero;
-‐ nel
miocardio,
ma
non
nel
muscolo
scheletrico,
la
troponina
viene
fosforilata
da
chinasi
attivate
dal
calcio
e
dalle
catecolamine,
che
diminuiscono
la
sua
affinità
per
il
Ca++,
aumentando
così
la
velocità
di
rilasciamento;
-‐ nel
miocardio
l’affinità
della
miosina
per
l’ATP
aumenta
con
la
fosforilazione,
mediata
da
chinasi
attivate
dal
calcio
e
dalle
catecolamine.
In
questo
modo,
a
differenza
di
ciò
che
avviene
nel
muscolo
scheletrico,
la
velocità
di
contrazione
viene
a
dipendere
dalla
concentrazione
di
Ca++
intracellulare
e
dall’attivazione
del
simpatico.
Sistema
di
conduzione
del
cuore
Il
sistema
di
conduzione
del
cuore
svolge
importanti
funzioni:
-‐ genera
il
battito
cardiaco
e
conduce
il
potenziale
d’azione
al
cuore;
-‐ fa
ritardare
l’attivazione
ventricolare
rispetto
a
quella
atriale;
-‐ fa
contrarre
sincronicamente
i
diversi
settori
delle
camere
ventricolari
(per
ottimizzare
lo
sviluppo
di
tensione).
Il
battito
cardiaco
è
generato
dal
pacemaker
cardiaco
primario,
localizzato
nel
nodo
del
seno.
Il
potenziale
di
membrana
(PM)
di
queste
cellule
presenta
un
valore
di
circa
–60/-‐70
mV
all’inizio
della
diastole.
Successivamente,
va
incontro
ad
una
depolarizzazione
(diastolica)
spontanea
che
termina
quando
il
PM
raggiunge
il
valore
di
circa
-‐40
mV,
soglia
per
il
potenziale
d’azione
(PDA).
In
queste
cellule
il
PDA
dura
circa
100
msec.
Il
potenziale
che
si
verifica
nella
diastole
è
detto
potenziale
diastolico
e
ad
esso
segue
l’innesco
di
un
fenomeno
più
rapido.
La
depolarizzazione
diastolica
è
dovuta
a
una
serie
di
fattori
concomitanti.
-‐ Quando
la
membrana
viene
ri-‐polarizzata,
si
ha
una
forte
attivazione
della
corrente
di
K+
rettificatrice
ritardata
(IK).
Quando
la
membrana
si
depolarizza,
questa
corrente
che
l’aveva
ri-‐polarizzata,
diminuisce
(durante
la
depolarizzazione
diastolica
si
ha
quindi
una
continua
diminuzione
della
conduttanza
di
membrana
al
potassio);
-‐ la
ripolarizzazione
attiva
la
corrente
“funny”
(If),
associata
a
cariche
positive
che
entrano
nella
cellula
e
la
depolarizzano,
conducendola
verso
la
soglia.
Fu
definita
funny
in
quanto
fu
la
prima
corrente
osservata
che
si
attivava
alla
ripolarizzazione
della
membrana
(quando
la
polarizzazione
della
membrana
aumenta);
-‐ in
prossimità
della
soglia
per
il
PDA
(ultima
parte
del
potenziale
diastolico)
si
attiva
la
corrente
di
calcio
trasportata
dai
canali
T
(ICa),
che,
prima
di
generare
il
PDA,
contribuisce
all’ultima
fase
della
depolarizzazione
diastolica.
Quando
la
corrente
che
scorre
in
questi
canali
diventa
sufficientemente
forte,
si
innesca
una
specie
di
ciclo
di
Hodgkin,
che
fa
scattare
il
potenziale
d’azione
(momento
in
cui
si
arriva
alla
soglia);
-‐ infine,
il
processo
si
avvale
di
una
corrente
in
entrata
di
Na+
che
passa
attraverso
canali
aperti
a
riposo
ed
è
facilitato
dalla
bassa
permeabilità
al
K+
della
membrana
delle
cellule
del
nodo
del
seno
e
del
nodo
atrioventricolare.
Ne
risulta
un
continuo
ingresso
di
sodio
meno
ostacolato
dall’uscita
di
potassio.
Il
PDA
generato
grazie
alla
depolarizzazione
diastolica
sale
lentamente
poiché
i
canali
per
il
Na+
sono
inattivati
dai
valori
del
PM
superiori
a
-‐60
mV,
per
questo
il
PDA
è
generato
esclusivamente
dai
canali
per
il
Ca++,
sia
di
tipo
T
che
di
tipo
L.
Dati
recenti
indicano
che
un
altro
fattore
può
contribuire
alla
depolarizzazione
diastolica:
il
rilascio
di
calcio
da
parte
del
reticolo
sarcoplasmatico
(RS).
Infatti,
la
pendenza
della
depolarizzazione
diastolica
si
riduce
e
la
frequenza
cardiaca
diminuisce
se
il
rilascio
di
calcio
viene
bloccato
mediante
la
somministrazione
di
sostanze
analoghe
alla
rianodina
(come
ZD7288).
Conduzione
del
PDA
La
velocità
di
conduzione
atriale
è
di
0.3
m/sec
e,
secondo
alcuni
autori,
esisterebbero
fasci
internodali
atriali
(medio,
anteriore
e
posteriore)
a
conduzione
veloce
(1
m/sec).
Attraverso
questi
tre
fasci
di
conduzione,
in
circa
30
ms,
il
PDA
che
nasce
dal
nodo
del
seno
arriva
al
nodo
atrio-‐ventricolare
(AV).
Il
PDA
impiega
130
ms
per
attraversare
il
nodo
AV
(in
cui
la
conduzione
rallenta
bruscamente),
dove
la
velocità
di
conduzione
corrisponde
a
0.05
m/sec.
Il
rallentamento
della
conduzione
nel
nodo
AV
è
dovuto
a
tre
fattori:
-‐ dimensioni
cellulari
ridotte,
cui
corrisponde
una
bassa
velocità
di
conduzione;
-‐ a
questo
livello,
i
PDA
sono
risposte
lente
al
calcio,
che
salgono
lentamente,
generano
poca
corrente
nel
circuito
locale
e
quindi
sono
condotti
lentamente;
-‐ scarso
accoppiamento
elettrotonico
fra
le
cellule
del
nodo
AV:
la
corrente
scorre
male
tra
cellula
e
cellula.
In
condizioni
normali,
il
nodo
AV
può
condurre
solo
dall’atrio
al
ventricolo
e
non
viceversa
(vengono
bloccate
le
eccitazioni
retrograde):
le
sinapsi
elettrotoniche,
pur
accoppiando
le
cellule,
non
le
accoppiano
in
ugual
misura
per
le
due
direzioni
del
flusso
di
corrente.
Inoltre,
la
barriera
fibrosa
atrio-‐ventricolare
impedisce
il
rientro
delle
eccitazioni
nell’atrio.
Tragitti
muscolari
anomali
possono
però
ricondurre
il
PDA
dal
ventricolo
all’atrio,
producendo
gravi
disturbi
del
ritmo.
Il
PDA
nel
nodo
AV
è
prodotto
soprattutto
da
canali
per
il
calcio,
essenzialmente
di
tipo
L
(il
potenziale
è
sensibile
ai
calcio-‐antagonisti).
Nella
porzione
iniziale,
atrio-‐nodale
(AN),
la
percentuale
di
canali
per
il
calcio
(lenti)
è
del
60%
(il
restante
40%
sono
canali
voltaggio
dipendenti
per
il
sodio).
Nella
parte
centrale
(nodale,
N)
la
percentuale
dei
canali
lenti
sale
alll’80%
e
nella
parte
terminale
(nodale-‐Hiss,
NH)
è
ancora
il
60%.
Tutti
i
fattori
che
diminuiscono
la
corrente
voltaggio
dipendente
di
calcio
(acetilcolina,
calcio
antagonisti)
diminuiscono
la
velocità
di
salita
del
PDA
nel
nodo
AV
e,
di
conseguenza,
diminuiscono
la
velocità
di
conduzione.
Invece,
quelli
che
potenziano
la
corrente
di
calcio
(le
catecolamine)
aumentano
la
velocità
di
salita
del
PDA
e
la
velocità
di
conduzione.
Dopo
160
ms
dall’origine
dell’eccitazione
elettrica
nel
nodo
seno-‐atriale,
il
PDA
giunge
alla
porzione
distale
del
fascio
di
Hiss.
Dopo
190
ms
il
PDA
è
giunto
al
termine
delle
fibre
di
Purkinje
(necessita
solo
di
30
ms
per
completarne
l’innervazione).
Le
fibre
del
Purkinje,
infatti,
conducono
il
PDA
molto
più
velocemente
(1.5-‐4
m/sec)
del
miocardio
aspecifico
ventricolare
per
via
dell’elevato
grado
di
accoppiamento
elettrotonico
fra
le
fibre
del
Purkinje
e
alle
loro
grandi
dimensioni.
Le
fibre
del
Purkinje
penetrano
per
un
terzo
della
parete
ventricolare
e
si
distribuiscono
alla
regione
endocardica.
In
questo
modo
il
PDA
viene
distribuito
velocemente
all’endocardio
e
avanza
più
lentamente
attraverso
la
parete
del
ventricolo
(si
propaga
verso
l’epicardio):
in
questo
modo
la
contrazione
delle
diverse
regioni
ventricolari
è
più
sincrona
e
quindi
aumenta
la
tensione
sviluppata
in
sistole.
L’attivazione
del
ventricolo
viene
completata
in
60
msec,
seguendo
il
decorso
spirale
della
muscolatura.
Sia
le
cellule
del
nodo
seno-‐atriale
(SA),
che
quelle
del
nodo
AV
hanno
proprietà
autoritmiche
(sono
in
grado
di
generare
spontaneamente
potenziale
d’azione).
Inoltre,
anche
alcune
delle
fibre
del
Purkinje
si
possono
depolarizzare
spontaneamente.
È,
però,
il
nodo
del
seno
che
detta
il
ritmo
cardiaco
(è
il
pacemaker
dominante),
in
quanto
è
quello
che
ha
la
frequenza
più
elevata
(le
sue
cellule
sono
unite
in
un
sincizio
funzionale).
Di
conseguenza,
le
altre
cellule
pacemaker
non
sono
in
grado
di
generare
il
loro
PDA,
in
quanto,
prima
che
la
loro
membrana
sia
arrivata
a
soglia
grazie
alla
depolarizzazione
diastolica
spontanea,
vengono
invase
dal
PDA
proveniente
dal
nodo
SA,
che,
a
causa
della
maggior
frequenza,
ha
già
completato
il
ciclo
di
eccitazione.
Normalmente,
il
nodo
SA
ha
una
frequenza
di
70–80
PDA/min,
il
nodo
AV
di
40-‐60
PDA/min
e
le
fibre
di
Purkinje
di
15-‐
40
PDA/min.
Il
battito
cardiaco
può
essere
attivato
in
regioni
diverse
dal
nodo
del
seno
(avviatori
ectopici)
quando
una
regione
diversa
dal
nodo
SA,
per
svariate
cause,
genera
un
PDA
prima
del
nodo
del
seno.
Se
questo
PDA
trova
il
miocardio
eccitabile
(che
non
si
trova
in
periodo
refrattario)
lo
attiva,
producendo
un’extrasistole
(battito
ectopico).
La
tensione
sviluppata
dall’extrasistole
è
inferiore
a
quella
di
un
battito
normale
(infatti
produce
un
battito
debolissimo),
perché
il
cuore
non
ha
completato
il
suo
riempimento
e
le
cellule
ventricolari
si
contraggono
ad
una
lunghezza
inferiore
alla
norma.
All’extrasistole,
fa
seguito
una
pausa
compensatoria
(che
va
dall’inizio
dell’extrasistole
al
battito
successivo)
dovuta
alla
refrattarietà
del
miocardio,
che
impedisce
al
PDA
successivo
generato
nel
nodo
SA
di
propagarsi
(si
avrà
un
battito
in
meno).
La
pausa
può
mancare
se
la
frequenza
cardiaca
è
bassa
e
l’extrasistole
(Extr)
si
inserisce
fra
due
battiti
normali
(interpolata)
in
modo
tale
che
le
cellule
siano
ridiventate
eccitabili
quando
comincia
il
nuovo
PDA
nel
nodo
SA.
Se
avviene
la
pausa
compensatoria
(Pc),
il
battito
successivo
è
più
forte
del
normale,
in
quanto
il
ventricolo
ha
avuto
più
tempo
per
riempirsi.
Se
una
cellula
cardiaca
comincia
a
scaricare
con
una
frequenza
superiore
a
quella
del
nodo
SA
e
i
suoi
PDA
trovano
il
miocardio
eccitabile,
detta
il
ritmo
cardiaco
(diventa
pacemaker),
producendo
una
tachicardia
(aumento
della
frequenza
cardiaca
rispetto
al
suo
normale
valore).
ANOMALIE NELLA CONTRAZIONE CARDIACA
Nel cuore esistono almeno tre tipi di cellule che possono attivare un potenziale pacemaker, per cui
quando il pacemaker primario non funziona possono prendere il suo posto le cellule del nodo atrio
ventricolare e le cellule di Purkinje (le quali non hanno uno spike al calcio, è l'ingresso di sodio che
causa una salita rapida). In condizioni normali, queste cellule sono dominate dal pacemaker primario,
(che ha frequenza più elevata) ed entrano in azione quando quest'ultimo smette di funzionare.
Visto che queste cellule (pacemaker secondario) sono tenute a freno costantemente, non entrano in
azione immediatamente in caso di necessità, per cui nel periodo di tempo interposto tra l'inattivazione
del pacemaker primario e l'attivazione di quello secondario il soggetto potrebbe svenire (la ripresa del
battito non è immediata, c'è un periodo di latenza che va da 5 a 30 secondi).
Il battito generato dal nodo atrio-ventricolare ha una frequenza più bassa di quella normale (generata
dal nodo seno-atriale), le cellule di Purkinje hanno frequenza ancor minore.
La funzione del cuore si espleta efficacemente se esso si contrae in maniera ordinata: l'impulso che
arriva alle cellule di Purkinje deve raggiungere l’endocardio dei ventricoli, contemporaneamente
giungere verso l’epicardio e verso la base del cuore.
Il potenziale d'azione non deve generare onde
circolari (che seguano la circonferenza del cuore) che
non si annullino, in quanto sarebbe impedito il
rilasciamento del cuore. La trasmissione circolare è
impedita dalla modalità di trasmissione dell’impulso,
che dipende dalla refrattarietà del tessuto: il
tessuto a monte del fronte d’onda non può essere
eccitato, quindi la refrattarietà indica la modalità di
avanzamento. Se la durata del periodo refrattario
diminuisce, può avvenire attivazione delle zone a
monte dello stimolo.
La durata del periodo refrattario dipende dalla
durata del PDA. Pertanto, i potenziali d'azione ectopici che nascono durante il periodo refrattario
relativo, a causa della loro ridotta durata (che quindi determina un periodo refrattario ridotto),
possono generare alterazioni nella conduzione dell’impulso: il potenziale d'azione torna ad eccitare
una zona che era stata già eccitata e può dare origine a propagazione circolare del PDA.
Anche un allungamento della durata del potenziale d'azione, prodotto da un fenomeno ischemico
che ritarda la ripolarizzazione del tessuto, può produrre anomalie nella conduzione dell’impulso.
Questo si può
verificare quando
viene generato un
battito ectopico che
trova la regione
ischemica refrattaria
e, di conseguenza, si
propaga in maniera
anomala.
Un altro elemento importante nel determinare l’ordinata
conduzione dell’impulso è la velocità di conduzione. Se la
conduzione lungo un tratto di miocardio rallenta (se la
conduttanza voltaggio dipendente si inattiva, come in caso
di ischemia, ovvero per mancanza di ossigeno e quindi
inattivazione della pompa sodio/potassio), il fronte
dell’onda si modifica
profondamente, perde la
sua compattezza, e quella
regione potrà essere
ancora eccitabile quando le regioni a valle si sono depolarizzate,
generando cosi condizioni favorevoli al rientro dell’eccitazione.
Quindi, una velocità di conduzione non uniforme può generare
un’alterazione nella diffusione del PDA.
ELETTROCARDIOGRAMMA
L’elettrocardiogramma è la registrazione delle differenze di potenziale che l’attività del cuore genera
tra punti della superficie
corporea. La differenza di
potenziale registrata tra gli
elettrodi posti sul corpo
permette di osservare le
fasi del ciclo cardiaco. Il
segno della DDP dipende
dalla posizione degli
elettrodi e dalla direzione
di avanzamento del PDA
nel cuore.
In un elettrocardiogramma standard, si incontrano:
– onda P: un’onda positiva (le differenze di potenziale positive sono quelle che vanno verso
l’alto) dovuta alla depolarizzazione atriale;
– oltre alle onde, si osservano tratti (segmenti isoelettrici che separano le onde). Il tratto PQ è
quello che segue l’onda P ed è il tempo in cui il potenziale d’azione viaggia all’interno del nodo
atrioventricolare senza produrre potenziale e nessun tracciato elettrocardiografico;
– complesso QRS: l’onda Q e quella S sono negative, l’onda R è positiva ed è interposta tra le
altre due. È dovuto alla depolarizzazione ventricolare (60ms).
– tratto ST: più lungo, in cui le cellule ventricolari sono in plateau (150 ms).
– onda T: è quella dovuta alla ripolarizzazione del ventricolo (140 ms).
La durata dell’intervallo QT indica quanto dura in media la contrazione del cuore (che dura più o
meno quanto il potenziale d’azione). La ripolarizzazione dell’atrio non è osservabile in quanto
mascherata da QRS.
Per la teoria del dipolo l’attività elettrica di un miocardiocita genera un campo elettrico nel volume
conduttore che la contiene solo quando la sua polarizzazione non è uniforme lungo tutta l'estensione
della membrana cellulare
(per il teorema di Gauss). Se
una cellula è tutta a
potenziale di riposo, normale,
non genera campo elettrico.
Se una cellula ha su tutta la
sua membrana un potenziale
che corrisponde al potenziale
d’azione, +40mV, non genera
campo elettrico. Per generare
un campo elettrico, la cellula
deve essere a un capo a
riposo, all’altro depolarizzata.
Il teorema di Gauss spiega
questo fenomeno. Nella
cellula a riposo, ogni
elemento di membrana è
polarizzato e forma un dipolo,
ma il campo elettrico
generato da un pezzo di membrana è annullato dal campo elettrico generato dal pezzo di membrana
adiacente. Nel momento in cui si crea depolarizzazione, nella regione di transizione tra tessuto a
riposo e tessuto depolarizzato si formano dipoli che creano un campo elettrico. Dal punto di vista
formale, la dimostrazione richiede l’uso del flusso del vettore attraverso la superficie e l’angolo solido.
Si arriva alla conclusione che il campo elettrico c’è solo
quando la membrana non ha polarizzazione uniforme.
Nella fase 2, quella di plateau, la cellula cardiaca ha
polarizzazione uniforme e non genera campo elettrico,
nella fase 4 la polarizzazione uniforme genera dipoli
opposti (i cui campi elettrici si annullano
reciprocamente), mentre è in grado di generarlo in fase
0 e in fase 3.
Il campo elettrico di una cellula è identico a quello di un
dipolo con la carica negativa dalla parte meno
polarizzata e la carica positiva dalla parte opposta (a
riposo).
Quando il potenziale d’azione arriva in fondo, le cellule
sono tutte in plateau e il campo elettrico non si genera. Il
dipolo viene rappresentato come un vettore orientato
verso la regione della cellula a riposo (polo positivo). I
dipoli sono generati nella regione dove il potenziale di
membrana sta cambiando (linea di confine che separa il
tessuto attivo dal tessuto a riposo). Nel cuore attivo,
molti dipoli sono generati simultaneamente, originando un dipolo risultante, pari alla somma
vettoriale dei singoli dipoli.
Il campo elettrico generato da una superficie è uguale a quello che
si ottiene da un dipolo formato dalla somma vettoriale di tutti
dipoli presenti lungo la superficie polarizzata: i dipoli che
formano la superficie polarizzata sono numerosi e sommati
corrispondono a un dipolo in grado di generare il campo globale
registrato dall’ECG.
Il dipolo risultante, dipolo cardiaco, dà alcune informazioni
interessanti, anche se incomplete, su quella che è la disposizione
relativa, nel cuore, del tessuto attivo e del tessuto a riposo: ad
esempio, un dipolo orientato verso il basso mostra che il tessuto a
riposo si trova in basso e quello attivato sta sopra.
Il dipolo non cambia se si aggiungono o tolgono regioni attivate
disposte perpendicolarmente e simmetricamente rispetto al suo
asse. Quindi, un dipolo può corrispondere a diverse distribuzioni
Generazione di dipoli elettrici durante
dell’eccitazione nel cuore. Con l’elettrocardiogramma, si può
l’invasione del ventricolo (il tessuto
depolarizzato e tratteggiato). I dipoli a, b, conoscere il dipolo cardiaco in un istante di tempo o la sua media
c, d ed e si sommano generando la in un certo intervallo, avendo cosi un’idea di come si sta
risultante XY. Il campo elettrico risultante propagando il potenziale d’azione nel cuore.
polarizza i tessuti come indicato. Una volta trova il dipolo equivalente del cuore, esso non dà
un'idea chiara, in quanto dipoli opposti si annullano (la
depolarizzazione del ventricolo coincide con la ripolarizzazione del setto, l'elettrogardiogramma
mostra solo la risultante di questi due eventi).
Sono molti di più i dipoli che si annullano rispetto a quelli che sommati formano il dipolo risultate, per
cui dall’elettrocardiogramma (che permette di individuare solo il dipolo risultante) si analizza ben
poco dell’attività cardiaca.
La direzione del dipolo risultante dipende dalla posizione relativa delle regioni attivate e a riposo, la
sua ampiezza dipende innanzitutto dall’estensione della superficie polarizzata. Un ventricolo piccolo
genera un ECG di ampiezza inferiore rispetto a un ventricolo di dimensioni maggiori. Le dimensioni del
cuore sono importanti in quanto determinano la dimensione della superficie polarizzata (il numero di
dipoli che si sommano per dare la risultante).
Un altro fattore è il gradiente spaziale, che dipende dalla differenza di potenziale tra il tessuto attivato
e il tessuto a riposo.
Il PM del tessuto depolarizzato è +50mV, mentre quello del tessuto a riposo è -90mV. Quindi, la
differenza tra i due è 140mV. La distanza spaziale che esiste tra le cellule a +50mV e quelle a -90mV è
di 300µm: in questa distanza, il PM cambia di 140 mV. Il gradiente spaziale è il rapporto tra la
differenza del potenziale di membrana (calcolata come PM tessuto attivo – PM tessuto a riposo) e la
distanza tra le cellule attivate e quelle a riposo, quindi:
50mV – (-90mV) / 0.3 mm = 140mV/0.3mm = 467 mV/mm
All’interno dello spessore del miocardio, durante il ciclo cardiaco non si troveranno mai cellule in tutte
le fasi. Il ventricolo è spesso circa 1 cm (0.01 m), per cui in depolarizzazione si troveranno cellule in
fase 4 e cellule all’apice del potenziale d’azione: in poco spazio il
potenziale di membrana effettuerà un salto notevole (l'endocardio è
depolarizzato completamente, l'epicardio ancora a riposo). Durante la
ripolarizzazione, in cui la variazione di potenziale è più lenta, non si
hanno mai differenze cosi grandi tra cellule in differenti stati di
polarizzazione tra epicardio ed endocardio. Quindi, l'onda di
ripolarizzazione ventricolare ha ampiezza minore rispetto a quella di
depolarizzazione.
Questo dipende dalla lunghezza d’onda del potenziale d’azione
(estensione di miocardio interessato dal potenziale d'azione, L), che è
di circa 0.15 m, molto più elevata dello spessore del ventricolo.
L = 0.3 sec x 0.5 m/sec = 0.15 m
A livello dell’endocardio, le cellule sono a +50 mV, che sono vicine a cellule a risposo, per cui il
gradiente spaziale sarà elevato.
Il campo elettrico generato dal cuore investe tutti i tessuti conduttori,
per cui si possono registrare con elettrodi differenze di potenziale
sulla superficie corporea. L’ECG dà informazioni su come variano nel
tempo l’ampiezza relativa e la direzione del dipolo cardiaco.
Le linee di derivazione sono le linee che uniscono i due punti tra cui
si calcola la differenza di potenziale. Poiche il dipolo cardiaco dipende
dalla direzione di avanzamento del potenziale d’azione e dall’ampiezza
della superficie che separa tessuto attivo e tessuto a riposo, tutti i
processi patologici che alterano questi parametri alterano anche il
dipolo cardiaco e, di conseguenza l’EKG.
La differenza di potenziale tra due punti è proporzionale all’ampiezza
del dipolo e alla sua proiezione sulla linea di derivazione.
Se si ruota una striscia di miocardio, si ruota il campo elettrico,
spostando la carica positiva verso l’alto (passando da un andamento
orizzontale a uno verticale), la differenza di potenziale diminuisce
progressivamente: la variazione è dovuta al fatto che il campo
elettrico è vincolato alla striscia di miocardio che lo genera.
La differenza di potenziale diventa zero quando l’asse di derivazione
è perpendicolare all’asse del dipolo.
Il dipolo cardiaco in un piano può essere ricostruito mediante due
diversi elettrocardiogrammi. Se si vuole definirlo nello spazio, allora
le derivazioni a disposizione devono essere tre.
Si tratta di un semplice problema geometrico. Si considerano tre linee
di derivazione: una linea di derivazione passa tra ascella destra e
ascella sinistra, le altre due passano dall’ascella alla linea pubica
corrispondente, formando un triangolo. Istante per istante, lungo ogni
linea di derivazione si avrà un particolare valore di differenza di
potenziale che indica l’orientamento del dipolo cardiaco, che si sposta
continuamente.
Il dipolo può essere risolto in maniera istantanea, al tempo t, un
istante preciso nel tempo scelto arbitrariamente. Si registra il valore di differenza di potenziale che si
raggiunge in ogni linea di derivazione. La derivazione
lungo un asse dà un valore in mV proporzionale alla
proiezione del dipolo sull'asse medesimo. Istante per
istante, si conoscono le proiezioni del dipolo lungo le
linee di derivazione. Bastano due proiezioni, ad esempio
+2mV e +5mV, per ottenere il dipolo risultante.
Geometricamente, si innalzano le perpendicolari delle
proiezioni (su ognuno dei due assi) dai punti di inizio e
fine del vettore per ricostruire la direzione del dipolo che
ha generato le due proiezioni. In questo modo, si è in
grado di comprendere l’orientamento prevalente del
tessuto a riposo rispetto al tessuto depolarizzato.
Nelle derivazioni unipolari, uno dei due elettrodi deve essere localizzato su una zona a potenziale
costante. Nessun punto della superficie corporea è a potenziale costante durante il ciclo cardiaco, per
cui si considerare il cuore come un generatore di forza elettromotrice posta al centro di un triangolo
equilatero i cui vertici corrispondono alle due ascelle e alla regione pubica (triangolo di Einthoven). In
queste condizioni si può assumere (con lieve imprecisione) che:
VL + VR + VF = 0
Di conseguenza, se si cortocircuitano attraverso delle resistenze gli elettrodi L, R e F (la somma dei
potenziali agli apici viene effettuata dalla macchina per cortocircuito degli elettrodi), si ottiene un
terminale a potenziale costante, detto elettrodo centrale terminale di Wilson, che si può
considerare come posto nel cuore al centro del dipolo, dove il potenziale è zero.
Nelle derivazioni
precordiali si registra la
differenza fra sei diversi
punti della superficie
toracica e il centrale
terminale. Nelle
derivazioni unipolari di
Wilson si registra la
differenza di potenziale
fra ognuno degli elettrodi
L, R, F e il centrale
terminale. Le derivazioni
sono indicate come VL VR e VF e l'asse di ognuna di queste derivazioni si ottiene unendo il punto
corrispondente del triangolo di Einthoven (L, R, F) al centro del cuore.
EKG
La pratica clinica prevede la distinzione tra EKG fisiologici e patologici.
Dal punto di vista fisiologico, invece, aiuta a definire il dipolo cardiaco, in
modo da comprendere da che parte stanno tessuto attivo e tessuto a
Le derivazioni bipolari e quelle riposo.
di Goldberger (unipolari Per un’analisi elettrocardiografica, sono necessarie tutte le derivazioni.
aumentate) danno vita a un
Ogni asse di derivazione studia quello che succede lungo una particolare
sistema di riferimento esa-
assiale. direzione. Durante l’attivazione ventricolare, si può avere facilmente un
dipolo cardiaco orientato come visibile nell’immagine. Esso genera dipoli
positivi nelle derivazioni soprattutto dalla 3 alla 6, V2 è il punto di transizione, mentre in V1 il
potenziale prevalente è negativo. V1, infatti, si trova dalla parte del tessuto depolarizzato perche il
ventricolo destro è più sottile di quello di sinistra e si attiva prima: nel momento in cui questa parete
viene invasa dall’onda, il PDA arriva subito
all’epicardio. La cellule della parete ventricolare
sono in fase di plateau e l’elemento che genera il
campo elettrico, quindi, si sposta dall’altra parte:
è la superficie polarizzata a livello del ventricolo
sinistro, che in questo momento diventa la parte
negativa del dipolo.
Con le derivazioni classiche, si studiano
componenti del dipolo nel tempo. La prima
derivazione, ad esempio, permette di ottenere
una misura del dipolo cardiaco per tutta la
durata del ciclo cardiaco. Il tracciato
elettrocardiografico rappresenta il valore del
dipolo cardiaco (della sua proiezione) lungo
quella direzione in ogni momento del tempo.
⦁ Tratto PQ
All’onda P, segue un silenzio elettrico, il tratto PQ. L’onda P è dovuta alla depolarizzazione dell’atrio e
termina quando tutte le cellule atriali sono andate in plateau (campo elettrico pari a zero), mentre il
ventricolo è ancora a riposo. Ventricolo e atrio, pur essendo a polarizzazione diversa, insieme non
creano un dipolo per via dell’anello fibroso che separa i due tessuti (non ci sono elementi di
transizione a potenziale non uniforme). L’unico contatto tra i due è il nodo atrio-ventricolare,
costituito da poche cellule, non sufficienti a creare un campo elettrico rilevabile dalla superficie del
corpo. Per visualizzare questa situazione, occorre effettuare un EKG in situ .
Una cellula polarizzata uniformemente come quella atriale, in plateau, o quella ventricolare, a riposo,
non crea un campo elettrico.
⦁ Onda Q
Il setto interventricolare si attiva generalmente a partire dalla branca sinistra e dalla parte sinistra del
cuore il potenziale d’azione si dirige verso la parte destra. L’attivazione del setto (che si depolarizza in
10 ms) dà origine a dipoli orientati da sinistra verso destra e leggermente verso il basso. Il dipolo cosi
orientato genera, a livello della prima e della seconda derivazione, onde negative. La parte positiva del
dipolo è orientata verso il polo negativo della registrazione, il quale è in entrambe le derivazioni
l’elettrodo posto all’ascella destra. La differenza di potenziale tra ascella sinistra e destra e piede
sinistro e ascella destra è negativa: si tratta dell’onda Q, che emerge in prima e seconda derivazione.
Per quanto riguarda la terza derivazione, viene prodotta una differenza di potenziale positiva, in
quanto rispetto all’asse di derivazione il potenziale registrato a livello del piede è maggiore rispetto a
quello registrato nell’ascella destra.
⦁ Onda R
In terza derivazione, l’invasione del setto contribuisce allo sviluppo dell’onda R.
L’invasione ventricolare procede e i due fronti d’onda si congiungono a livello del setto formando un
unico fronte compatto. In questa distribuzione della superficie depolarizzata, l’orientamento del dipolo
è verso il basso e verso sinistra. Questo dà origine, in tutte le derivazioni, all’onda R, elemento più
cospicuo dell’attivazione ventricolare.
Il pattern elettrocardiografico di base può variare fisiologicamente tra individui.
Il ventricolo destro è più sottile e viene invaso prima del ventricolo sinistro, per cui il fronte d’onda
raggiunge l’epicardio. Il ventricolo destro si trova in plateau mentre quello sinistro è da attivare, per
cui il tessuto a riposo si trova a sinistra, quello depolarizzato a destra. Il vettore ruota quindi verso
sinistra e in alto, portando a un ulteriore sviluppo dell’onda R in prima e seconda derivazione, mentre
in terza derivazione l’onda R cambia di segno (vettore che punta verso il polo negativo della
registrazione).
⦁ Onda S
Si genera cosi l’onda S dell’elettrocardiogramma, che avviene quando l’attivazione ventricolare è in
fase di completamento. Si attivano le ultime regioni poste comunque alla base del cuore, verso sinistra.
L’attivazione del cuore si completa, tutte le cellule ventricolari sono in fase di plateau e tutti i voltaggi
vanno a zero in tutte le derivazioni, perche nel frattempo l’atrio si è depolarizzato (cellule in fase di
riposo), tutto il ventricolo è depolarizzato, ma le cellule di transizione tra atrio e ventricolo sono poche
e non generano un campo sufficiente.
Il tempo medio in cui tutto il ventricolo è depolarizzato e i voltaggi vanno a zero è 60ms. Nelle
derivazioni precordiali i voltaggi sono prevalentemente:
- negativi in V1- V2 (alla base del cuore);
- positivi in V4- V6 (all’apice del cuore).
Ciò è dovuto al fatto che la parte destra e centrale del torace stanno di fronte alla parete del ventricolo
destro, che si è già tutta depolarizzata, mentre la regione sinistra del torace è davanti alla parete del
ventricolo sinistro, ancora in parte a riposo.
⦁Onda T
A questo punto, a 150 ms dalla fine della depolarizzazione, comincia la ripolarizzazione.
L’onda T ha la stessa polarità dell’onda R, ovvero il dipolo, durante la depolarizzazione, è orientato
nello stesso modo in cui è orientato durante la ripolarizzazione del ventricolo. Ci si aspetterebbe che la
regione (endocardio, non epicardio) depolarizzata per prima sia la prima a ripolarizzarsi, per cui si
potrebbe prevedere un dipolo inverso. Invece, la regione epicardica si ripolarizza per prima, per cui il
dipolo è nuovamente orientato verso sinistra e verso il basso. Innanzitutto, questa inversione del
cammino del fenomeno elettrico indica che il potenziale d’azione nelle cellule endocardiche dura di più
rispetto a quelle epicardiche. La spiegazione è che l’endocardio è interno al cuore rispetto alla parete
del ventricolo e agli strati muscolari che generano tensione, quindi la pressione è maggiore rispetto a
quella dell’epicardio, in quanto gli strati muscolari del cuore generano molta più pressione intra-
tissutale: i vasi vengono schiacciati, il sangue non passa, il tessuto diventa ischemico (ischemia
fisiologica) e l’ischemia ritarda il processo di ripolarizzazione.
Se si crea ischemia non fisiologica, ma patologica (da ridotto apporto di sangue al ventricolo) per cui si
annulla questa differenza creando sofferenza sia a livello dell’epicardio che dell’endocardio, questo
fenomeno non si verifica più e l’endocardio si ripolarizza per primo: l’onda P si rovescia in tutte le
derivazioni (una P rovesciata in una derivazione può capitare anche in situazioni fisiologiche).
L’onda P è vicina alla perpendicolarità rispetto all’asse della terza derivazione per cui è possibile che si
verifichi una P negativa. Generalmente, le P sono sempre positive. Con l’onda P si completa il
fenomeno elettrico e le cellule tornano tutte al loro potenziale di riposo.
L’onda T ha voltaggio più basso dell’onda R in quando il gradiente spaziale di potenziale di membrana
è piccolo. In ripolarizzazione, le cellule hanno differenza minore del potenziale di membrana. Se si
considerano cellule a riposo, esisteranno cellule in stadio intermedio e cellule in fase di plateau, senza
brusche differenze.
Una misura ancillare alla derivazione elettrocardiografica è l’asse elettrico medio, che indica la
direzione prevalente del dipolo cardiaco durante il complesso QRS. Con i valori di due derivazioni
elettrocardiografiche nello stesso istante si costruisce un dipolo istantaneo.
Si può calcolare, invece, il dipolo cardiaco medio durante il complesso QRS facendo la media dei valori
durante il QRS. Si calcola l’area compresa sotto i “triangolini” ottenuti dall’EKG e dividerla per la durata
dell’onda. Se le onde sono negative, le aree
corrispondenti vanno sottratte.
Si ottiene una componente media lungo un certo
intervallo di tempo (durata del complesso QRS). In
condizioni normali, è compreso tra -20 e 100°.
Il segmento orizzontale è zero (vettore orizzontale che
punta verso sinistra), -20° è un vettore che punta
verso sinistra orientato verso l’alto inclinato di 20°
rispetto al piano orizzontale, 90° punta verso il basso
e 100° verso destra.
Il cuore, infatti, può trovarsi in diverse posizioni nel
torace e i suoi movimenti possono modificare le
proiezioni del dipolo sul piano frontale. L’asse
elettrico medio del cuore cambia durante la
respirazione: in un respiro profondo, il diaframma si
abbassa, la punta del cuore che poggia su di esso tende
a ruotare insieme al muscolo, spostandosi verso il
basso. L’asse medio del cuore si sposta quindi verso
destra. Questo tipo di variazione si verifica anche sei
soggetti longilinei e in posizione eretta.
Durante l’espirazione, la punta del cuore si sposta
verso sinistra, cosi come in posizione sdraiata e nei
soggetti tarchiati e obesi.
In condizioni che alterano la depolarizzazione ventricolare destra o sinistra, come blocco di branca o
ipertrofia cardiaca, serve più tempo per completare l’attivazione del miocardio (in quanto il cuore o ha
aumentato le dimensioni o ha perso punti di conduzione veloci).
Si hanno caratteristiche variazioni del dipolo medio cardiaco durante il QRS:
- si sposta verso destra quando il ventricolo destro aumenta di dimensioni o si ha blocco di
branca destra;
- si sposta verso sinistra quando questi fenomeni avvengono a sinistra.
Nel blocco di branca sinistra, il ventricolo destro è attivato molto rapidamente in maniera normale ma
la propagazione verso sinistra è lentissima: per un tempo molto prolungato, il vettore cardiaco
istantaneo è orientato verso sinistra, dove si trova il tessuto a riposo. In questo caso, aumenta la
durata dell’onda R. Di conseguenza, il vettore cardiaco medio è tutto spostato verso sinistra. In quinta e
sesta derivazione si verifica una inversione dell’onda P dovuta al rovesciamento del normale andamento
del processo di depolarizzazione-ripolarizzazione: non è più vero che depolarizzazione e
ripolarizzazione percorrano cammini opposti, come succede normalmente, quando la
depolarizzazione comincia nell’endocardio mentre la ripolarizzazione a livello dell’epicardio. A
sinistra, il PDA sale senza una differenza precisa tra endocardio ed epicardio, per cui si perde la
normale situazione di uguale polarità tra onda P ed R.
Nel blocco di branca destra, l’attivazione del ventricolo sinistro avviene più velocemente, mentre il
ventricolo destro, che normalmente si attiva subito e prima del sinistro, è ancora da attivare. I dipoli
istantanei sono orientati verso destra e l’asse medio del cuore si sposta anch’esso verso destra. Il
complesso QRS è allungato, anche se meno rispetto al blocco di branca sinistra.
In caso di ipertrofia ventricolare sinistra, l’attivazione del ventricolo sinistro è ritardata, serve più
tempo per completare l’invasione e si generano dipoli istantanei orientati verso sinistra, spostando
verso sinistra anche il dipolo medio.
Nell’ipertrofia ventricolare destra succede l’opposto, in quanto il ventricolo destro è l’ultimo a
completare l’attivazione, generando dipoli istantanei orientati verso destra, di conseguenza anche il
dipolo medio si sposta verso destra.
Aritmie
Le aritmie sono gli studi del ritmo. Sono dovute a:
- modificazioni del pacemaker primario: cambiamenti di frequenza del cuore generati da
meccanismi che colpiscono l’avviatore principale;
- fibrillazione: il diffondersi lungo il cuore di un’eccitazione anomala che non è più efficiente;
- blocco di conduzione: difetto della conduzione dall’atrio al ventricolo;
- extrasistoli;
- tachicardia parossistica: aumento della frequenza cardiaca che nasce da focus ectopici che
diventano eccitabili e partono ad alta frequenza imponendo il loro ritmo sul cuore.
Nella tachicardia sinusale (cioè originante dal nodo del seno), il battito a riposo è al di sopra di
100/minuto e il tracciato EKG è normale.
In caso di bradicardia, ci si trova al di sotto di 60 battiti al minuto. Il vago, quindi il parasimpatico, ha
effetto bradicardico, al contrario del simpatico, che ha effetto tachicardico (porta la frequenza cardiaca
fino a 180/minuto).
Frequenze basse non sono necessariamente patologiche, ad esempio nei soggetti allenati il tono vagale
sul cuore viene aumentato.
Le aritmie sinusali sono variazioni di circa il 5% nella frequenza istantanea del cuore (piccole
variazioni) dovute a riflessi circolatori o a influenze nervose. Possono essere legate, ad esempio, al
centro respiratorio, in quanto i centri del respiro sono associati ai centri cardiovascolari, che quindi
possono essere influenzati da essi. Durante l’ispirazione la frequenza cardiaca tende ad aumentare,
durante l’espirazione tende a diminuire. Altre modulazioni legate al respiro possono originare da
recettori attivati durante il respiro (recettori vagali da stiramento) o da recettori localizzati nel circolo
attivati in maniera ritmica.
Tra le aritmie, si inseriscono i difetti di conduzione atrio-ventricolare. Il difetto maggiore è il blocco
totale, ovvero quando la conduzione atrio-ventricolare viene bloccata. Se il nodo del seno continua a
funzionare, si osserverà un elettrocardiogramma formato solo da onde P che non sono seguite dal
complesso QRS (arresto della conduzione atrio-ventricolare). Casi meno drammatici prevedono un
rallentamento della conduzione (blocco di primo grado).
Il blocco dell’attività nel nodo seno-atriale (SA) può essere prodotto dall’attivazione vagale. Il tratto PQ
è estremamente lungo e in alcuni casi aumenta progressivamente finche non si perde un battito.
Il blocco di secondo grado è un blocco intermittente, in cui il complesso QRS è assente.
Un’altra condizione che si può verificare è il cambio di ritmo tra atrio e ventricolo, che iniziano ad
avere ritmo indipendente (completa separazione tra atrio e ventricolo). Il ritmo del ventricolo può
essere generato sia da un pacemaker localizzato a livello delle fibre del Purkinje sia dal nodo atrio-
ventricolare. Si registra quindi a-sincronia tra onda P e complessi QRS (onda P si sovrappone all’onda
R o all’onda T).
Se il ritmo viene dettato dal nodo atrio-ventricolare, quando P compare regolarmente, manca il
complesso QRS successivo. quando si registra il complesso QRS allora non è preceduto dall’onda P.
Se invece il ventricolo riparte ad opera di un pacemaker non localizzato a livello del nodo atrio-
ventricolare si registra una variazione nel complesso QRS, dove variano durata, ampiezza e forma.
Quindi, quando atrio e ventricolo battono a ritmi diversi, si osservano onde P a-sincrone e svincolate
dal complesso QRS.
Se si ha forte attivazione vagale che blocca il nodo seno atriale, il nodo del seno può comunque
ripartire (sfugge al vago).
Se c’è stato un evento ischemico, il nodo del seno potrebbe non ripartire e potrebbero attivarsi altri
pacemaker, come quello atrio-ventricolare: in questo caso, manca l’onda P. Quindi, quando il
potenziale d’azione nasce nel nodo atrio-ventricolare, l’onda P è assente in quanto il nodo atrio-
ventricolare permette la conduzione in avanti ma si oppone a quella inversa (verso l’atrio). In alcuni
casi, la conduzione retrograda può succedere e in questo caso l’EKG si presenta con un’onda P negativa
perche l’atrio si depolarizza a partire dalla regione del nodo atrio-ventricolare, quindi dal basso verso
l’alto e da sinistra verso destra, per cui l’elettrodo positivo in prima derivazione vede la parte negativa
del dipolo. Quindi P assente o P rovesciata dimostrano che il PDA è partito dal nodo atrio-ventricolare.
La partenza di un pacemaker ventricolare, invece, è evidente in quanto assolutamente anomala.
Quando parte il nodo atrio-ventricolare si ha comunque l’invasione del sistema di conduzione, ma se si
attiva un pacemaker ventricolare la forma del QRS è anomala: ha ampiezza considerevole, lunga
durata e forma irregolare,
dovuta al fatto che
l’attivazione del ventricolo ha
un decorso più tortuoso.
Il blocco atrio-ventricolare
(dovuto a processi patologici
o alla stimolazione vagale)
può essere:
- incompleto di 1° grado:
quando il tratto P-Q è
compreso fra 0.20 e 0.25
secondi;
- incompleto di 2° grado: il
tratto PQ è compreso fra 0.25
e 0.45 sec e alcuni PDA non
passano, dando origine a onde
P non seguite dal QRS;
- completo di 3° grado: in
questo caso l’onda P e il
complesso QRS sono
indipendenti.
In questo caso il ventricolo può essere guidato dal nodo AV oppure da un pacemaker ventricolare.
Le extrasistoli sono battiti ectopici che producono pause compensatorie. Possono essere prodotte da
foci ectopici (punti del cuore che normalmente non generano il battito ma vengono attivati da eventi
occasionali o
patologici) o segnali
rientrati per anomalie
di conduzione. Se
l’onda P è rovesciata (o
assente) e QRS è
normale, si può
affermare che il battito è partito dal nodo atrio-ventricolare.
Le extra-sistoli
ventricolari sono più facili
da riconoscere per la
forma anomala del
complesso QRS: la
conduzione del potenziale
d’azione non segue la via
ad alta velocità di
conduzione. Infatti, le
extrasistoli ventricolari
sono spesso generate da
segnali rientranti da zone
ischemiche a bassa
velocità di conduzione e hanno le seguenti caratteristiche:
- non viene seguito il sistema di conduzione;
- QRS allungato;
- non si annullano i dipoli normalmente generati da ventricolo destro e sinistro;
- ampiezza elevata del QRS;
- onda T di polarità opposta al QRS.
Se sono frequenti c'è possibilità di fibrillazione.
L’EKG permette di individuare anche da che parte del cuore è nata l’extrasistole. Il battito può nascere
o nel ventricolo destro o in quello sinistro. Se nasce a destra, il ventricolo destro è attivato mentre
quello sinistro non lo è ancora, quindi a livello della prima derivazione (differenza tra polso sinistro e
polso destro) la parte negativa del dipolo sta verso destra e quella positiva verso sinistra. La differenza
di potenziale è quindi positiva. Se nasce a sinistra, invece, la situazione è inversa: il ventricolo sinistro
forma la parte negativa del dipolo e la differenza di potenziale è negativa.
Con gli stessi criteri si può identificare facilmente la localizzazione di focolai di tachicardia
parossistica (scariche
cardiache ad alta frequenza
prodotte dall’attivazione di un
punto preciso del cuore). Ad
esempio, la tachicardia atriale
è indicata dalla presenza
dell’onda P. Nell’inizio di una
tachicardia a livello del nodo
atrio-ventricolare, prima del
complesso QRS l’onda P è
negativa. La P evolve
direttamente nella T.
La tachicardia ventricolare
mostra un complesso QRS
completamente anomalo e
assenza di onda P.
Nel caso di un battito cardiaco
che nasce nell’atrio (P
normale) può accadere che
l’onda T appaia come addossata ad un’onda P che però non parte (attivazione atriale precoce, non
viene prodotta), quindi segue un blocco e una nuova onda P.
Attraverso la teoria del dipolo, si può capire anche come mai l’infarto cronico lascia come segno
un’onda negativa ampia in alcune derivazioni.
Si osservano onde negative sulle derivazioni che passano per la
parte lesa del cuore. Nel caso dell’immagine, in V5, V4 e V3, per
esempio, si trovano onde negative durante l’attivazione ventricolare
(non fisiologiche, dovrebbero essere positive). Quando le cellule
cardiache muoiono, non si rigenerano nemmeno con fattori trofici o
cellule staminali, al massimo diminuiscono le cellule che muoiono in
seguito alla lesione (non vanno più incontro ad apoptosi), la quale
normalmente induce l’apoptosi nelle cellule circostanti. Infatti,
cellule staminali impiantate nel miocardio non generano muscolo,
ma rispondono alla pressione esercitata dalle cellule in contrazione
trasformandosi in osso.
Le derivazioni in cui l’elettrodo positivo fronteggia la zona di
tessuto cicatriziale risentono del dipolo generato dalla parte
opposta del cuore, che orienta la sua porzione negativa
(endocardica) verso l’elettrodo positivo. Infatti, il tessuto
cicatriziale non presenta eventi elettrici, per cui l'elettrodo misura l'attività della parte opposta del
cuore, l'endocardio. Pertanto, in queste derivazioni si registrano ampie onde negative (l'endocardio è
la porzione negativa del dipolo).
Anomalie dell’onda T
L’anomalia dell’onda T (ripolarizzazione) consiste nel rovesciamento dell’onda, che generalmente ha la
stessa polarità del complesso di attivazione ventricolare. A causa dell’ipertrofia o del blocco di branca,
si rovescia questa relazione di polarità. Un’altra
condizione in cui si osserva il rovesciamento è
l’extrasistole ventricolare, in cui l’onda di
ripolarizzazione è opposta in segno all’onda di
depolarizzazione.
Il rovesciamento si ritrova in tutte le derivazioni in
caso di cuore ischemico: l’ischemia patologica
cancella gli effetti dell’ischemia fisiologica che fa
ripartire l’epicardio invece che l’endocardio (in
questo caso, l’endocardio si depolarizza e si ripolarizza per primo e le onde T saranno di polarità
opposta, quindi negative, rispetto alle onde R).
Azioni dell’acetilcolina
L’acetilcolina regola la conduttanza della membrana al potassio. Per registrare le correnti di potassio
da una singola cellula occorre eliminare le altre correnti. Il potassio entra nella cellula (corrente
negativa) quando il potenziale di membrana è inferiore al potenziale di equilibrio del potassio. Al
contrario, esce dalla cellula
(corrente positiva) quando il
potenziale di membrana è
maggiore di quello di equilibrio
del potassio. La corrente positiva
però è debole per via della
rettificazione interna dei canali al
potassio. Con somministrazione di
acetilcolina, si apre una corrente di
potassio: il recettore
metabotropico M2 agisce su una
proteina G che apre il canale.
L’aumento della conduttanza al
potassio:
- diminuisce l’eccitabilità cellulare (effetto batmotropo negativo);
- nel nodo atrio-ventricolare, la salita del potenziale d’azione diventa meno ripida perche il
calcio entra ma il potassio esce: rallenta la velocità di conduzione (effetto dromotropo negativo).
L'effetto è evidente a livello del nodo AV, ma si verifica in tutto il tessuto;
- può rallentare la depolarizzazione diastolica a livello del nodo seno-atriale (effetto
cronotropo negativo).
L’aumento della conduttanza al potassio non sarebbe di per se sufficiente per rallentare la velocità di
salita delle cellule del nodo del seno.
Inoltre, l’acetilcolina diminuisce la corrente di calcio voltaggio dipendente riducendo i livelli di cAMP
tramite una proteina G(I) che inibisce l’adenilato ciclasi. Quindi, diminuisce la quantità di calcio che
fuoriesce dal reticolo endoplasmatico. Quando il canale per il calcio è defosforilato, si apre a frequenza
inferiore (diminuisce la sua probabilità di apertura), per cui a livelli di AMP ciclico inferiori diminuisce
la possibilità di fosforilazione del canale, che avviene da parte della PKA (dipendente dal cAMP).
La riduzione della corrente di calcio:
- determina una sistole meno rigorosa (diminuisce la forza di contrazione del cuore) per via del
minor rilascio di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico delle cellule del miocardio aspecifico
(effetto inotropo negativo);
- diminuisce la corrente pacemaker nelle cellule del nodo senoatriale, riducendo la pendenza del
prepotenziale diastolico (effetto cronotropo negativo), quindi la membrana impiega maggior
tempo per arrivare a soglia e si aumenta l'intervallo tra un
battito e il successivo. L’iperpolarizzazione della membrana,
indotta dall’aumento della conduttanza per il K+ da sola non
sarebbe sufficiente a ridurre la pendenza del prepotenziale
diastolico: l’iperpolarizzazione, infatti, attiverebbe la
corrente If annullando gli effetti della fuoriuscita di K+. La
riduzione di If generata direttamente dall’ACH, è quindi
indispensabile per lo sviluppo dell’effetto cronotropo negativo;
- può diminuire l’accoppiamento elettronico tra le cellule miocardiche, diminuendo la velocità di
conduzione del PDA (effetto dromotropo negativo);
- nel nodo atrio-ventricolare viene rallentata la velocità di salita del PDA, che è una risposta
lenta, calcio-dipendente (anche in questo caso,
effetto dromotropo negativo).
A basse dosi (10ng, per esempio), le catecolamine producono un allungamento del plateau del PDA e
un incremento della tensione sviluppata durante la sistole.
Questi effetti sono dovuti al fatto che la noradrenalina aumenta la corrente di Ca ++ voltaggio
dipendente (il plateau del potenziale d'azione dipende dal flusso di calcio e, inoltre, il maggior rilascio
di calcio da parte del RE aumenta la forza di contrazione).
L'azione della noradrenalina è mediata da due meccanismi, ma
dipende principalmente dall’incremento nei livelli di cAMP prodotti
dal recettore β1 noradrenergico. Il recettore attiva la proteina GS, la
quale, attraverso l’attivazione dell’adenilato ciclasi, attiva una
chinasi cAMP dipendente (fosfochinasi A) e porta alla fosforilazione
del canale per il Ca++, con conseguente aumento della corrente di
calcio quando il canale è aperto dalla depolarizzazione. I canali
modulati dalla noradrenalina sono di tipo L e dati più recenti
indicano un controllo anche sulla corrente dei canali T. Il secondo
meccanismo con cui la
noradrenalina aumenta la
corrente di calcio è legata all'azione “diretta” (mediata da
una proteina G) che il recettore β1 ha sul canale per il calcio.
Un’ altra azione attraverso la quale le catecolamine potrebbero aumentare la velocità di conduzione è
aumentando l’accoppiamento elettronico fra le
cellule miocardiche. Infatti, l’attivazione del
recettore β1 noradrenergico aumenta
l’accoppiamento elettrico fra i miocardiociti
aumentando i livelli di cAMP (apre i connessoni,
effetto dromotropo positivo).
Legge di Starling
La legge di Starling postula che, entro limiti fisiologici, il cuore pompa tutto il sangue che giunge ad
esso, evitandone il ristagno nelle vene, grazie allo stiramento del miocardio (che aumenta la tensione
sviluppata). La gittata sistolica è il sangue eiettato (in sistole) e
dipende dalla forza con cui il cuore si contrae, mentre il volume
telediastolico è il volume di sangue che si trova nel cuore a fine
diastole. Il volume telesistolico, invece, è quello che si ritrova a
fine sistole, inferiore a quello telediastolico (in quanto un certo
volume è stato eiettato nelle arterie). La capacità del cuore di
pompare tutto il sangue che riceve è fondamentale, in quanto un
accumulo di sangue nei capillari del circolo polmonare, ad
esempio, determinerebbe “annegamento”: l'aumentata
pressione aumenterebbe il passaggio di liquido dal capillare
all'interstizio, riempiendo gli alveoli e bloccando la diffusione
dell'ossigeno verso il sangue.
Inoltre, a causa della legge di Starling, il cuore è in grado di
mantenere la gittata sistolica costante quando varia il post-carico, termine che definisce la pressione
arteriosa.
Il cuore eietta la sua gittata sistolica, si riempie
nuovamente e, se la pressione arteriosa aumenta da 80
a 100 mmHg, la forza di contrazione non è sufficiente per
eiettare la normale gittata sistolica, il volume eiettato
diminuisce e il volume del cuore alla file della sistole
(telesistolico) è maggiore rispetto alla condizione di
controllo. Quindi, alla fine del riempimento diastolico, il
cuore si contrae con forza maggiore per pompare lo
stesso volume.
Alla base della legge di Starling risiede il fatto che il
sarcomero è normalmente corto nel cuore, ovvero la
maggior parte dei ponti trasversi non si formano. Se si allunga il sarcomero, aumenta la formazione dei
ponti trasversi e lo stiramento aumenta l'affinità della troponina per il calcio. Inoltre, si suppone che
esistano canali per il calcio che si aprono allo stiramento della cellula. Quando si raggiunge la
lunghezza ottimale, vuol dire che il cuore non è più in grado di generare un aumento del riempimento
ventricolare (pre-carico) ne di incrementare la forza di contrazione.
Il ciclo di lavoro di una striscetta di miocardio comincia con la distensione prodotta dal volume di
sangue che riempie il ventricolo a fine diastole (pre-carico, quello che determina il grado di
stiramento della fibra) e mette in tensione le cellule pacemaker. Il cuore deve contrarsi attivamente,
lavora contro la pressione arteriosa che è di circa 80mmHg (post-carico), la quale non agisce
direttamente sul miocardio in quanto, all’inizio del ciclo di attività del cuore, le valvole semilunari sono
chiuse e il carico contro cui il cuore deve fare lavoro (post-carico, pressione arteriosa) è sorretto.
Quando il cuore inizia a contrarsi, sviluppa tensione e riesce a fare lavoro solo quando la tensione
sviluppata è in grado di sollevare il peso. La prima fase di contrazione è una fase isometrica, in cui il
miocardio deve raggiungere un livello di tensione corrispondente al post-carico.
A questo punto, si solleva il peso in una fase isotonica (le valvole si aprono, il sangue viene eiettato).
Inizia il rilasciamento isometrico quando la forza non è sufficiente a continuare l’eiezione del sangue:
si chiudono le valvole e il muscolo viene fissato ad una lunghezza costante (il sangue non defluisce
perche il muscolo è corto e non riesce a produrre forza sufficiente per continuare l'eiezione). In
pratica, il muscolo si accorcia finche la lunghezza raggiunta non permette uno sviluppo di tensione
superiore al carico (pressione arteriosa). Il flusso retrogrado del sangue è impedito dalla chiusura
delle valvole (è proprio quest chiusura che fissa il muscolo a lunghezza costante).
Quando la pressione del ventricolo cala al di sotto di quella atriale per il
rilassamento del muscolo, di nuovo la striscia di miocardio può essere
messa in tensione dal sangue che riempie il ventricolo. Quindi, il pre-
carico è la distensione iniziale dovuta al volume di sangue che riempie
il ventricolo mentre il post-carico è la pressione arteriosa che deve
essere vinta per eiettare il sangue nelle arterie.
Ciclo cardiaco
Il ciclo cardiaco, il periodo intercorrente tra l’inizio di una contrazione
regolare (non extrasistole) e la successiva, viene diviso in due parti,
sistole e diastole (in riferimento al ventricolo). La sistole è la
contrazione del ventricolo, la diastole è il rilassamento. Il volume di
sangue che passa al minuto attraverso il cuore sinistro è uguale a quello
che passa attraverso il cuore destro.
La vera pompa del cuore è il ventricolo, che porta il sangue a una
pressione maggiore di quelle delle arterie. L’atrio si contrae prima del
ventricolo (0.13 sec prima) per permettere il riempimento del
ventricolo stesso, funzionando da pompa di innesco. Grazie a questo
ritardo, il ventricolo non inizia a contrarsi prima di aver raggiunto un
normale riempimento.
Il ciclo cardiaco può essere descritto attraverso il diagramma di Wiggers
(che tiene conto di parametri importanti come la pressione arteriosa, quella ventricolare e quella
atriale), l'elettrocardiogramma e il fonocardiogramma (registra i rumori prodotti dal cuore durante il
ciclo di attività ).
Gli eventi elettrici
(EKG) precedono
quelli meccanici
(pressione, Pr): se si
considera l’onda P,
essa comincia molto
prima dell’inizio
dell’aumento della
pressione dell’atrio.
Quando cominciano
gli sviluppi di
tensione dell’atrio,
l’onda P è quasi
terminata. La
pressione
ventricolare
aumenta all'apice
del complesso QRS,
mentre l'onda T
inizia poco prima
del picco della
pressione aortica
(precede il rilasciamento del ventricolo, che inizia al picco dell'onda T).
- Presistole
La presistole corrisponde alla contrazione dell’atrio (le
valvole atrio-ventricolari sono già aperte da un po’, non
si aprono all’inizio della contrazione dell’atrio), che
aumenta la pressione atriale (onda A) e ventricolare (in
quanto l’atrio spinge il sangue nel ventricolo,
incrementando il suo volume del 15% e portandolo al
volume telediastolico).
L’onda A dell’atrio è dell’ordine dei 5mmHg, poco di più a
sinistra (7-8 mmHg). Alla fine della presistole, i lembi
delle valvole atrio-ventricolari cominciano a portarsi a
contatto (non sono ancora chiuse). Normalmente, la
contrazione atriale non è fondamentale per il
funzionamento del cuore a riposo, ma lo diventa in caso
di attività fisica. Il motivo è che l’attività fisica aumenta la
frequenza cardiaca, il ciclo cardiaco dura meno e si
riduce molto di più la durata della diastole rispetto a
quella della sistole. La riduzione della diastole ha
conseguenze drammatiche in quanto il cuore non riesce a
completare il suo riempimento (non arriva all’85%) e
quindi l’atrio è importante per completare il riempimento ventricolare. La percentuale di riempimento
dovuta alla contrazione atriale è maggiore durante l’attività fisica: la contrattilità dell'atrio, in attività
fisica, è stimolata dal simpatico.
- Sistole isovolumetrica
La contrazione del ventricolo (sistole ventricolare), che determina aumento della pressione
ventricolare al di sopra di quella atriale, chiude le valvole atrio-ventricolari e la loro chiusura genera il
primo tono cardiaco (i lembi delle valvole si erano già avvicinati per via delle turbolenze della fase
finale della presistole). La sistole avviene in condizioni isovolumetriche (le valvole semilunari sono
chiuse perche la pressione aortica è maggiore di quella ventricolare e le valvole atrio-ventricolari sono
anch’esse chiuse), in quanto i ventricoli sono camere chiuse. Per via della contrazione del ventricolo,
viene aumentata leggermente la pressione atriale (onda C) a causa della spinta sulle valvole atrio-
ventricolari.
La sistole isovolumetrica dura 20-30ms, il cuore si accorcia
in senso punta-base e aumenta la sua circonferenza.
Quando la pressione ventricolare supera quella aortica, si
aprono le valvole semilunari (80 mmHg, la pressione
minima, quella diastolica, e non la massima) e comincia la
fase di eiezione rapida.
• Eiezione rapida
Quando la valvola funziona bene, le pressioni sono molto
simili (si crea un gradiente pressorio anche con una
differenza di 1-2mmHg), mentre se la valvola non funziona
bene (se è stenotica, ad esempio) occorre una maggior
differenza di pressione tra ventricolo e aorta per eiettare il
sangue nell’arteria (può salire addirittura a 200 mmHg per
creare una pressione aortica di 80-120mmHg).
La fase di eiezione rapida, quindi, inizia quando la
pressione ventricolare supera quella aortica e termina
all'apice della pressione ventricolare, quando in aorta si è
raggiunta la pressione massima (sistolica, 120-130mmHg).
Il sangue esce sotto la spinta di questo piccolo gradiente
pressorio tra ventricolo e aorta. Il ventricolo si accorcia in
senso longitudinale (punta-base) e si abbassa il piano
valvolare, si dilatano le camere atriali (onda X,
diminuzione della pressione atriale) e viene favorito
l’ingresso di sangue nell’atrio proveniente dalle vene cave e
dalle vene polmonari (tensione della parete dell’atrio che
aumenta, cosi come la pressione atriale, onda V in salita
progressiva che continua anche durante l’eiezione lenta).
La pressione in aorta aumenta in quanto il sangue pompato in aorta ha volume maggiore di quello che
esce (e arriva ai tessuti) nella stessa unità di tempo (l'aorta si dilata, la parete viene messa in tensione
ed esercita maggiore pressione sul sangue). La pressione raggiunge il suo picco e comincia a calare
(quando il sangue che va ai tessuti è maggiore rispetto a quello che dal cuore passa nell’aorta) e inizia
la fase di eiezione lenta.
• Eiezione lenta
Durante la fase di eiezione lenta, la pressione ventricolare diminuisce perche le cellule cominciano a
rilasciarsi (diminuisce il volume dell'aorta e, con esso, la pressione esercitata sul sangue). Il sangue
continua a uscire pure essendo contro gradiente pressorio (la pressione aortica supera quella
ventricolare) perche ha accumulato energia cinetica. L'accumulo di sangue negli atri produce un
progressivo aumento di pressione (onda V), che continua per tutta la fase di eiezione lenta.
Questa fase cessa quando l’energia cinetica non è più sufficiente a spingere il sangue fuori verso
l’aorta, per cui inizia un reflusso che chiude le valvole semilunari. Qui si avverte il secondo tono
cardiaco.
• Diastole
La diastole comincia alla chiusura delle valvole semilunari. La spinta del sangue si è esaurita, non
riesce più a fare lavoro contro la pressione dell’aorta e il flusso di sangue si inverte per qualche
secondo. La caduta della pressione ventricolare produce la chiusura delle semilunari (110 mmHg) e il
secondo tono cardiaco. La pressione del ventricolo è molto maggiore di quella atriale. A questo evento
fa seguito un rilasciamento isovolumetrico (30-60 ms), ovvero il ventricolo si rilascia senza modificare
il suo volume, in cui sia le valvole semilunari che le atrio-ventricolari sono chiuse.
Quando la pressione ventricolare (che diminuisce per via del rilassamento ventricolare) cade al di
sotto di quella atriale (che aumenta per il sangue in arrivo dalle vene cave), le valvole atrio-
ventricolari si aprono e comincia la fase di riempimento veloce del ventricolo (80% del riempimento
finale). Nella prima fase della diastole, quindi, il ventricolo non si riempie perche tutte le valvole sono
chiuse: la prima fase di riempimento è proprio quella di riempimento veloce.
La pressione atriale diminuisce per l’uscita del sangue dall’atrio al ventricolo (onda Y).
Successivamente, la velocità di riempimento ventricolare diminuisce: questa seconda fase è detta
diastasi ed è responsabile del 5% del riempimento ventricolare finale (dura di più della fase di
riempimento veloce, ma il volume di sangue che entra nel ventricolo è ridotto).
L’ultimo evento della diastole è la contrazione atriale (presistole), che pompa il restante 15% di
sangue. A questo punto, inizia un altro ciclo cardiaco.
In conclusione, la diastole consta di tre diverse fasi:
– fase isovolumetrica;
– fase di riempimento veloce;
– diastasi.
Le valvole semilunari sono aperte quando la pressione a monte supera quella a valle, sono chiuse
quando la pressione a valle supera quella a monte, impedendo il flusso retrogrado.
Il volume del ventricolo alla fine della diastole, alla fine del riempimento (volume telediastolico)
corrisponde a 110-120 ml in un soggetto
maschio in condizioni normali e può arrivare
fino a 180 ml in un atleta adeguatamente
allenato (aumento del 50%).
Il volume alla fine della sistole, ovvero quello
che rimane nel cuore dopo la spremitura dei
ventricoli (volume telesistolico) è di 40-50
ml, ma può diminuire fino a 10-20 ml sotto
stimolazione simpatica (il cuore
rimpicciolisce le sue dimensioni in quanto
l’attivazione del simpatico determina una forza di contrazione maggiore, le fibre raggiungono una
lunghezza minore).
La differenza fra i due volumi è la gittata sistolica (ciò che il cuore eietta in una singola sistole), che
corrisponde a 70 ml, ma può giungere fino a 160 ml negli atleti in condizioni di attivazione simpatica.
La percentuale di sangue eiettata rispetto al volume telediastolico (frazione di eiezione, rapporto tra
gittata sistolica e volume telediastolico) è del 60% in condizioni normali, ma può arrivare fino all’89%
(sempre sotto stimolazione simpatica).
Valvole cardiache
Le valvole del cuore servono per assicurare che il movimento del sangue avvenga dall’atrio al
ventricolo e dal ventricolo alle arterie. Chiudendosi, esse impediscono i flussi retrogradi (rendono il
flusso uni-direzionale) e generano i due principali toni cardiaci. Le valvole semilunari, che si chiudono
durante la diastole, impediscono il reflusso di sangue dall’aorta al ventricolo durante la diastole, quelle
atrio-ventricolari impediscono il riflusso dal ventricolo all’atrio durante la sistole.
La struttura delle valvole cardiache riflette i regimi pressori che devono sopportare quando, aperte,
permettono il passaggio del sangue.
Le valvole atrio-ventricolari (AV) hanno struttura sottile e flessibile, orifizio ampio e il flusso di sangue
attraverso di esse è lento. Hanno un orifizio di dimensioni maggiori rispetto a quelle semilunari: le
dimensioni dell’orifizio determinano la velocità del flusso (l'area di apertura è inversamente
proporzionale alla velocità del flusso in cm/s). Per questa ragione, sono sottoposte ad una usura minore
rispetto alle valvole semilunari. La loro chiusura è smorzata e avviene dopo un flusso retrogrado
trascurabile (appena si verifica la prima oscillazione retrograda del flusso).
Le valvole semilunari sono più spesse, l’orifizio è ridotto, il flusso attraverso esse è rapido e l’usura
maggiore (motivo per cui la loro struttura è più spessa e robusta). La loro chiusura avviene dopo un
reflusso potente, della durata di qualche ms, in quanto la loro costante elastica maggiore determina lo
sviluppo di una forza di ritorno in risposta ad una deformazione (si chiudono più difficilmente).
La chiusura delle valvole atrio-ventricolari determina il primo tono cardiaco, quella delle valvole
semilunari determina il secondo tono.
La struttura sottile delle valvole atrio-ventricolari le esporrebbe ad un ribaltamento verso l’atrio
durante la sistole, quando il ventricolo sviluppa pressioni elevate, per cui è necessario un meccanismo
volto a garantire una chiusura efficiente. Il ribaltamento è impedito dai muscoli papillari (spuntano
dall’endocardio, fanno parte da quella regione del cuore che sviluppa immediatamente la sistole,
quindi si contraggono immediatamente e conferiscono alla valvola la resistenza necessaria a impedire
il ribaltamento), che, tramite le corde tendinee, sono connessi alle valvole e si contraggono durante la
sistole. In questo modo, le valvole atrio-ventricolari vengono mantenute in posizione di chiusura dalla
tensione delle corde tendinee e non si ribaltano. La paralisi dei muscoli papillari e la lesione delle
corde tendine (o infarti) compromettono questo meccanismo: i lembi valvolari vengono spinti verso
l’atrio e la chiusura della valvola risulta compromessa. Questa condizione può dar luogo ad una
insufficienza cardiaca.
Toni cardiaci
I toni cardiaci sono causati dalla chiusura delle
valvole: inversioni di flusso che producono tale
chiusura generano oscillazioni delle valvole e del
sangue contenuto nel cuore e nei vasi, che si
comunicano alle pareti cardiache e arteriose e ai
tessuti circostanti. Inoltre, le variazioni di flusso
generano turbolenze del sangue che producono
rumore.
I rumori cardiaci possono essere indicatori utili per la diagnosi in quanto sono alterati in maniera
caratteristica in determinate condizioni patologiche. Le malattie valvolari possono produrre deficit
della chiusura (insufficienza) o dell’apertura (stenosi) delle valvole, che sono associati a rumori
abnormi (soffi).
Per quanto riguarda le valvole semilunari:
– nella stenosi aortica (la valvola aortica è stenotica, si apre male), ad esempio, si ha eiezione
attraverso una valvola aortica ristretta. La pressione ventricolare è elevata, aumenta la velocità
del flusso per via del passaggio dall'orifizio ristretto, il sangue in uscita genera turbolenze (per
l'equilibrio di Reynolds), vibrazioni e, di conseguenza, rumori: si verifica, pertanto, un soffio
sistolico (durante il passaggio del
sangue tramite l’orifizio ristretto, la
sistole);
– nell’insufficienza aortica (valvole
semilunare insufficienti, non si
chiudono bene), invece, si verifica un
riflusso di sangue nel ventricolo
durante la diastole. Anche in questo
caso, si verificano vibrazioni e
turbolenze (il passaggio avviene
tramite un orifizio ristretto che
impone maggiore velocità al flusso)
che producono un soffio diastolico.
Per quanto riguarda, invece, le valvole atrio-
ventricolari:
– nella stenosi della valvola mitralica
si sviluppano rumori limitati
all’ultimo terzo della diastole. Il ventricolo deve essere messo in tensione prima di poter
vibrare, per cui solo a partire dall'ultimo terzo della diastole il ventricolo è abbastanza pieno di
sangue per poter vibrare a seguito dello sviluppo di turbolenze. Si genera, quindi, un soffio
diastolico;
– nell’insufficienza mitralica si verifica un reflusso di sangue dal ventricolo all’atrio durante la
sistole. Anche in questo caso si verificano turbolenze, vibrazioni, e si sviluppa un soffio
sistolico (come durante la stenosi aortica).
L’ampiezza dei soffi (generati durante il passaggio di sangue attraverso orifizi ristretti) è diversa.
Lavoro cardiaco
Il cuore deve mettere il sangue sotto pressione: il sangue del ventricolo deve avere una pressione
sufficiente da aprire le valvole semilunari, quindi deve essere portato da una pressione di pochi mmHg
(quella diastolica) a pressioni elevate (80mmHg nel ventricolo sinistro, 8mmHg in quello destro).
La seconda attività del cuore è quella di spostare il sangue, quindi dotarlo di energia cinetica.
Il lavoro cardiaco al minuto è uguale al lavoro di gittata (L) per la frequenza cardiaca (f)
Lavoro cardiaco = L x f
Il lavoro cardiaco di gittata (definito per ogni sistole) è il lavoro che viene compiuto durante
l'eiezione di 70ml di sangue e può essere considerato come la somma di due componenti, il lavoro di
pressione-volume (LP) e il lavoro di accelerazione (LA).
L = LP +LA
Il lavoro di pressione-volume (LP) è quello necessario per portare il sangue alle
alte pressioni dell’arteria, mentre il lavoro di accelerazione (LA) è quello che
imprime velocità al sangue e corrisponde all’energia cinetica
trasferita al sangue eiettato dal ventricolo.
LA = (mv2)/2
Normalmente LA è una quota piccola del lavoro totale (1%),
per cui le due quote sono squilibrate, ma arriva fino al 50%
del totale nei casi di stenosi aortica (aumenta il lavoro che
impartisce energia cinetica). L'orifizio ristretto determina una velocità di eiezione
elevata, la quale implica un necessario aumento del lavoro che serve per impartire
al sangue energia cinetica (il lavoro di pressione-volume è uguale a quello di
accelerazione: per mettere il sangue sotto pressione occorre lo stesso lavoro che serve per far
muovere il sangue).
Quindi, la quota maggiore (99%) è quella del volume-pressione e per far muovere il sangue in
condizioni normali basta poco.
Se si considera il ciclo di lavoro di una fibra muscolare cardiaca, visualizzabile in un diagramma
tensione-lunghezza, si osserva che deve compiere un lavoro contro un post-carico (la pressione
arteriosa), su cui
non ha azione
diretta in un
primo momento
perche le valvole
sono chiuse (il
post-carico è
sorretto). La
contrazione della
fibra è isometrica
fino al momento
in cui la tensione
supera il post-
carico: a questo
punto, la fibra
inizia ad
accorciarsi. Nel cuore in toto si aprono le valvole semilunari e le fibre cominciano ad accorciarsi con
velocità costante, inversamente proporzionale al post-carico superato.
Una fibra isolata, che parte da una certa lunghezza, viene allungata (il carico che ne determina
l'allungamento è il sangue che entra nel ventricolo, aumentano le dimensioni del ventricolo) e deve
contrarsi (contrazione isometrica, a lunghezza costante) finche non riesce a sostenere il post-carico.
Quando la tensione supera il post-carico la fibra inizia ad accorciarsi.
Durante la fase di accorciamento, la tensione rimane costante (contrazione isotonica), appena superiore
al post-carico. Il muscolo si accorcia e la diminuzione di lunghezza si associa con una riduzione della
massima tensione sviluppabile dal muscolo che, per la legge di Starling, dipende dalla lunghezza delle
fibre. Si arriva quindi a una lunghezza per la quale la tensione sviluppata dal miocardio è inferiore al
post-carico (la curva blu mostra la massima contrazione isometrica della cellula, che dipende dalla
lunghezza).
L’accorciamento cessa quando la tensione sviluppata cala al di sotto del post-carico (quando la massima
tensione sviluppabile corrisponde al pre-carico). Il rilassamento avviene come se il post-carico fosse
sorretto, la valvola si chiude e la pressione aortica non può riempire il ventricolo. Nonostante il
rilasciamento muscolare, questo fenomeno avviene solo quando la lunghezza del muscolo raggiunge
un valore tale per cui la massima tensione sviluppabile cala al di sotto del post-carico. Il rilasciamento
è isovolumetrico (il ventricolo rimane chiuso) e termina quando si permette al pre-carico di agire
nuovamente sulla fibra (le valvole atrio-ventricolari si aprono, il sangue entra nel ventricolo.
Nel cuore intero, la contrazione non è isotonica, non avviene a tensione costante. La tensione non
rimane costante perche il pre-carico non è costante a causa della variazione della pressione aortica.
Infatti, quando viene eiettato il sangue, la pressione aortica aumenta come conseguenza dell'aumento
di volume di sangue (nella prima fase dell'eiezione il sangue in entrata in aorta è maggiore di quello
che viene distribuito ai tessuti). Per questo motivo, la contrazione è auxo-tonica. Quando la tensione
sviluppata dal muscolo diventa inferiore del post-carico, la contrazione termina.
Nel momento in cui il muscolo non sviluppa abbastanza tensione e il post-carico non può essere retto,
si chiudono le valvole semilunari e il muscolo continua a rilassarsi isometricamente.
Il lavoro cardiaco (ventricolare) è visualizzabile su un piano pressione- volume, come una porzione
dell’area compresa fra le due curve che esprimono la relazione corrispondente che esiste nel cuore
rilasciato e in quello contratto (isometricamente). Quando il cuore è rilasciato, la pressione (diastolica)
si mantiene bassa fino a volumi di circa 150 ml. Successivamente, essa sale rapidamente per le
proprietà delle fibre muscolari e del pericardio.
La tensione attiva sviluppata dal cuore aumenta
all’aumentare del volume fino a 150-170 ml e poi
diminuisce per annullarsi al volume di 250 ml:
per valori superiori, la tensione totale del cuore
corrisponde a quella passiva.
Nel cuore, la contrazione non è isotonica: la fibra
si accorcia, ma la tensione cambia (auxo-tonica).
Il ciclo cardiaco si compone di quattro fasi:
- riempimento (distensione passiva);
- contrazione iso-volumetrica;
- contrazione auxo-tonica;
- rilassamento isovolumetrico.
Mentre la massima pressione isometrica
(tensione sistolica) del ventricolo sinistro supera i
250 mmHg (270mmHg), quella del ventricolo
destro è 80 mmHg.
Durante il ciclo cardiaco, il ventricolo si riempie
in diastole, aumentando il volume con scarso
incremento pressorio (al di sotto di 150 ml):
ovvero il rendimento passivo (la pressione che si esercita sul ventricolo quando esso viene dilatato)
non determina un aumento notevole di pressione fino a 150ml.
Superati i 150ml, comincia la fase di contrazione isovolumetrica, in cui la pressione sale verticalmente,
senza che vi siano variazioni di volume. Raggiunto il valore della pressione aortica, si aprono le valvole
semilunari e inizia l’eiezione, durante la quale il volume diminuisce, mentre la pressione ventricolare
aumenta per poi calare nuovamente.
Inizialmente la pressione intra-ventricolare è al disotto della massima pressione isometrica
corrispondente al volume assunto dal ventricolo. Questo significa che, se la pressione aortica fosse più
elevata, il ventricolo potrebbe ancora compiere un lavoro di eiezione. Quando, diminuendo il volume, la
pressione diventa uguale al valore della massima pressione isometrica, cessa la capacità di eiettare il
sangue: infatti, se il volume diminuisce ulteriormente la pressione necessaria non può più essere
generata dal cuore. A questo punto si chiudono le valvole semilunari e la pressione ventricolare
diminuisce bruscamente, senza variazioni di volume.
Quando la pressione ventricolare scende al disotto di quella atriale, si aprono le valvole atrio-
ventricolari ed inizia il riempimento.
Questa serie di eventi delimita un’area chiusa (EW) nel piano pressione-volume detta area del ciclo
cardiaco, che corrisponde all'area del lavoro volume-pressione, quindi al lavoro di gittata (L), che si
espande verso destra e verso l’alto quando L aumenta.
L’area (PE) compresa fra EW, la curva pressione-volume attiva, e quella di riempimento passivo,
rappresenta il lavoro interno che il cuore deve compiere per mantenere la normale pressione atriale di
riempimento, ovvero il lavoro necessario per il riempimento iniziale di base (per garantire le
condizioni di partenza del cuore).
Il consumo di ossigeno del cuore non è proporzionale all'area del ciclo cardiaco EW, ma aumenta
proporzionalmente alla somma delle due aree (PE + EW).
Il consumo di O2 dipende dal lavoro cardiaco e aumenta all’aumentare della pressione arteriosa, che
determina il lavoro di gittata, nonche della frequenza (ovvero aumenta se aumentano i parametri che
fanno aumentare il lavoro cardiaco). Per questo, un soggetto iperteso (la pressione arteriosa è
maggiore, il lavoro cardiaco è maggiore) compie un lavoro cardiaco maggiore rispetto ad un soggetto
normoteso.
Se la pressione arteriosa aumenta (mentre la gittata cardiaca rimane costante), il consumo di ossigeno
aumenta perche occorre eiettare lo stesso volume di sangue contro una pressione arteriosa maggiore:
la gittata sistolica richiede lavoro maggiore (il cuore consuma più ossigeno).
Se la frequenza aumenta del doppio, ma il lavoro cardiaco totale rimane costante (per far si che il
lavoro cardiaco rimanga costante in seguito al raddoppiamento della frequenza, si dimezzare la gittata
sistolica, in quanto se si dimezza la gittata sistolica, si dimezza anche il lavoro associato alla sistole), il
consumo di ossigeno aumenta: anche a parità di gittata cardiaca (gittata cardiaca = gittata sistolica x
frequenza cardiaca ), il consumo di O2 è più alto quando la frequenza cardiaca è maggiore.
Per questo è fondamentale che la frequenza cardiaca di un cardiopatico (che ha problemi di
circolazione) rimanga bassa, in quanto l'aumento di frequenza, oltre ad aumentare il lavoro cardiaco,
rende il cuore meno efficiente (consuma di più per compiere lo stesso lavoro, il bilancio tra spesa
energetica e lavoro compiuto è svantaggioso).
Quindi, la combinazione di una gittata sistolica elevata e di una bassa frequenza cardiaca è una
combinazione vantaggiosa per il cuore. Questo è esattamente quello che si verifica negli atleti allenati a
sport di resistenza (cuore più
efficiente: compie lo stesso
lavoro consumando meno
ossigeno).
Un brusco aumento di frequenza,
causato ad esempio da
un’emozione, produce invece un
aumento improvviso della
richiesta di O2 del cuore che può
causare seri danni ai soggetti in
cui il flusso coronarico non può
aumentare proporzionalmente
all’esigenza del tessuto, a causa
di una parziale ostruzione
coronarica.
Il rendimento massimo del cuore, cioè il rapporto fra il lavoro effettuato dal cuore e l ’energia
liberata dall’ossidazione dei nutrienti (stimata in base al consumo di O2), è del 20-25%.
Un altro fattore che può influenzare la contrattilità è la frequenza della contrazione cardiaca. Nelle
cellule miocardiche isolate, che si contraggono in seguito a stimolazione elettrica diretta, si può
osservare il cosiddetto fenomeno della scala
(“treppe”). Questo fenomeno consiste nel fatto che
all’aumento della frequenza di stimolazione,
aumenta anche la tensione sviluppata durante la
sistole. Ogni stimolo determina una contrazione,
per cui quando la frequenza dello stimolo aumenta,
l'intensità della contrazione aumenta
progressivamente, mentre quando la frequenza di
stimolazione torna normale, si torna lentamente ai
livelli di partenza.
Questo non è dovuto ad una sommazione delle
scosse, fenomeno che nel cuore non si verifica, ma
al fatto che, a causa della più elevata frequenza del
potenziali di azione, si ha un aumento della
quantità di calcio che entra nella cellula (i livelli di
calcio durante la sistole sono più elevati in
stimolazioni ad alta frequenza).
Verosimilmente, questo produce una maggior
saturazione dei siti a-specifici cui lo ione può
legarsi nel citoplasma: di conseguenza, quando si
aprono le cisterne del reticolo sarcoplasmatico,
durante la sistole, si raggiungono concentrazioni
citoplasmatiche di calcio libero maggiori della
norma.
Anche se questo fenomeno esiste nel cuore in toto, non si vede: se si stimola elettricamente il cuore
senza aumentare la contrattilità, diminuendo la frequenza della contrazione cardiaca il cuore non ha
tempo per riempirsi.
Gittata cardiaca
La gittata cardiaca è il volume di sangue che viene eiettato al minuto (gittata cardiaca, Q), e
corrisponde a 4/6 litri di sangue a riposo (aumenta da 4 a 7 volte nell’esercizio fisico).
La gittata è uguale al prodotto della gittata sistolica (GS,
volume eiettato durante la sistole) per la frequenza cardiaca
(f).
Q = GS x f
La gittata cardiaca si può misurare direttamente nell’animale
da esperimento (molto invasiva), attraverso la cannulazione
diretta dell’arteria polmonare, dell’aorta o delle grandi vene e
la misurazione diretta con un flussimetro.
Nell’aorta, questa metodica diretta mette in evidenza l’inversione del flusso associata alla chiusura
valvolare.
La gittata cardiaca aumenta in funzione della frequenza cardiaca, ma l’aumento non è perfettamente
lineare. L'aumento è maggiore di quanto ci si aspetterebbe moltiplicando la gittata sistolica a riposo
per l'aumentata frequenza: a causa
dell'incremento di contrattilità del
miocardio (dovuto all'azione del
simpatico), aumenta anche la gittata
sistolica.
Per analizzare l’aumento della
gittata, si utilizza come riferimento
la retta che risulterebbe se ci fosse
questa proporzionalità tra aumento
di frequenza e aumento di gittata.
La compliance ritardata è un fenomeno e non un parametro fisico (importante proprietà dei vasi),
che consiste in variazioni a medio termine (minuti o ore) della compliance in risposta a variazioni del
volume del sangue (per le caratteristiche intrinseche del muscolo liscio). Ad esempio, se si aumenta il
volume di un compartimento vasale, si aumenta la pressione di un valore che dipende dalla
compliance del compartimento. Se la compliance è elevata, la pressione aumenta di poco; se è bassa, la
pressione aumenta molto in quanto la resistenza che viene opposta è maggiore.
Un tessuto messo in tensione dall’aumento di
volume (ad esempio dopo una trasfusione)
aumenta la sua compliance (diventa più
distensibile) e sviluppa meno pressione
(proprietà soprattutto del muscolo).
Se il volume si riduce, la pressione si abbassa per
poi tornare a salire dopo un certo tempo: la
compliance del tessuto, una volta che il volume
diminuisce, si riduce ed è più difficile mettere in
tensione il tessuto. Queste modificazioni sono
importanti: durante un’emorragia ci si potrebbe
aspettare una riduzione della pressione di
riempimento dei vasi, ma, nel tempo, il valore
torna verso i livelli di controllo perche il circolo
reagisce diminuendo la sua compliance (il tessuto
diventa più resistente allo stiramento).
Le curve pressorie indicano le pressioni dei compartimenti venoso e arterioso in funzione del sangue
in essi contenuto. Affinche il cuore possa generare, a livello delle arterie, una pressione in grado di far
circolare il sangue, è necessario che il volume di sangue sia sufficiente a mettere in tensione la parete del
vaso. Se ciò non avviene, l’azione di pompa del cuore finisce per dilatare il diametro dei vasi invece di
spingere il sangue in avanti.
Nel compartimento arterioso (pressione
media di 100mmHg), infatti, bastano meno di
100ml di perdita di sangue per arrivare a
pressione zero: il cuore batte, ma il suo
battito è assolutamente inutile per far fluire il
sangue (il battito del cuore non fa salire la
pressione). La parete del vaso quindi deve
essere tesa affinche il cuore possa esercitare
la sua funzione di pompa. La perdita specifica
di sangue dal compartimento arterioso è
estremamente pericolosa.
A livello venoso (pressione media di
7mmHg), invece, possono essere persi fino a
300ml di sangue prima di arrivare a
pressione zero.
Le curve sinistra e destra indicano le variazioni dovute al simpatico, il quale determina le condizioni di
tensione della parete vasale:
– attivazione simpatica (sinistra): la compliance è ridotta e lo stesso volume di sangue genera
pressione maggiore (dopo aver perso 100ml di sangue non si arriva a pressione zero, ma a una
pressione poco inferiore della norma);
– diminuzione dell’attività simpatica (curva a destra): serve un volume maggiore per mantenere
la pressione media (compliance aumentata).
Durante un’emorragia, la pressione cala: è tanto più grave quanto è bassa la compliance (che è elevata
nelle vene). L’attivazione simpatica determina contrazione della muscolatura liscia vasale, viene
ridotto il volume di sangue contenuto nei vasi e la capacità del sistema (volume di sangue contenuto a
pressione zero) diminuisce. Quindi, il simpatico riduce la compliance e quindi la capacità delle vene,
che sono importanti serbatoi di sangue. Il sangue viene quindi spostato dal compartimento venoso agli
atri: si riesce a sopportare una perdita di sangue circolante anche del 25%. Quindi, il simpatico
controlla la capacità e la compliance.
La caduta pressoria dovuta alla diminuzione del volume di sangue contenuto in un dipartimento è
inversamente proporzionale alla compliance:
C = ΔV/ΔP
ΔP = ΔV/C
Normalmente, il volume di sangue dell’organismo è maggiore della
capacità (si ha pressione di riempimento) e la parete vasale è tesa:
quando il sangue viene eiettato, la parete si distende ed è in grado di
generare una pressione che spinge il sangue in avanti.
Se la capacità è molto maggiore del volume di sangue, il sangue
verrebbe fatto fluire di
meno.
In un circuito idraulico, due vasi in serie sono vasi in cui il sangue scorre prima nell'uno e poi nell'altro.
Le resistenze in serie si sommano: la resistenza totale di vasi messi in serie è maggiore della resistenza
del singolo vaso, in quanto:
R tot = R1 + R2 + R3
Due vasi messi in parallelo sono vasi in cui il sangue, attraversando il circuito, scorre nell'uno o
nell'altro. Le singole resistenze in parallelo, invece, sono maggiori della resistenza totale in quanto:
1/R tot = 1/R1 + 1/R2 + 1/R3
L’analisi delle variazioni pressione fa capire il livello di resistenza relativo nei diversi distretti (per la
relazione tra flusso, pressione e resistenza).
Q = ΔP/R
ΔP = Q x R
R = ΔP/Q
Essendo Q costante, dove si
ha cauta di pressione
maggiore, la resistenza è
maggiore.
Un primo crollo di pressione
avviene tra grandi arterie e
piccole arterie. A livello
delle arteriole sistemiche,
dove la resistenza è
massima, avviene la caduta
di pressione vera e propria:
la differenza di pressione tra
inizio di capillari e inizio delle arteriole è molto elevata (la caduta di pressione più grossa, da 80 arriva
a 35mmHg). Le arteriole quindi sono i vasi che offrono maggior resistenza al circolo. La differenza di
pressione è invece trascurabile nelle vene.
La pressione in aorta oscilla fra 80 e 120 mmHg e cade progressivamente fino a 0, valore che viene
raggiunto a livello dell’atrio destro. La maggior caduta di pressione (50 mmHg) si può osservare a
livello delle arteriole muscolari, che sono quindi l’elemento del circuito vascolare caratterizzato dalla
maggior resistenza. Nei capillari sistemici la pressione varia fra 35 mmHg e 10 mmHg (valore medio
17). La pressione nell’arteria polmonare oscilla fra 8 e 25 mmHg: essa diminuisce progressivamente,
attraverso i vasi della piccola circolazione, fino ad arrivare a 4 mmHg nell’atrio sinistro. Nei capillari
polmonari il valore medio è 7 mmHg.
A livello delle arterie polmonari, le resistenze sono tutte più basse (in generale a livello del piccolo
circolo) e la caduta di pressione è minore rispetto a quella osservabile nel grande circolo.
Elementi di reologia
La viscosità, parametro che misura l'attrito interno di un
fluido, è definita (in un liquido omogeneo come l'acqua
che si muove di moto laminare in un condotto aperto)
come il rapporto tra shear stress (τ) e shear rate (γ)
η = τ/γ
Lo shear rate è il gradiente di velocità, mentre lo shear
stress corrisponde allo sforzo di taglio (rapporto tra la
forza di taglio che agisce sulla lamina superficiale in
movimento e la superficie della lamina). La lamina
superficiale è quella che si muove più velocemente, quella
sul fondo è ferma.
Si deve immaginare il moto del liquido come laminare: la lamina prossima alla parete del vaso ha
velocità zero, quella al centro del vaso ha velocità massima. Il
gradiente di velocità che si crea tra le lamine corrisponde allo
shear rate.
Maggiore è la viscosità, maggiore è l'attrito, maggiore è la forza
che occorre per muovere la massa del fluido.
Il profilo della velocità all’interno del vaso è un paraboide (tipo
di flusso che si verifica in tutti i vasi, tranne che in aorta durante
alcune fasi del ciclo cardiaco).
In aorta, durante alcuni momenti della fase di eiezione rapida,
possono esserci regimi transitoriamente turbolenti, in cui si
formano dei vortici: la velocità ha sia elementi trasversali
(perpendicolari alla parete del vaso) che longitudinali. La
resistenza è maggiore in questo caso e il flusso è minore (a parità
di gradiente pressorio).
La tendenza alla turbolenza è definita dal numero di Reinolds,
Re (se maggiore di 200 ci può essere turbolenza, se è maggiore
di 2’000, si ha turbolenza generalizzata):
Re = D ρ V/η
Dove D è il diametro, ρ è la densità e η la viscosità.
Il passaggio tra i due regimi si verifica anche se la parete vasale è
irregolare e dove ci sono brusche variazioni di forma (placche
sclerotiche che diminuiscono il diametro vasale).
Pressione
Il cuore è la pompa del sistema circolatorio, che spinge il sangue nel compartimento arterioso (arterie
elastiche). A questo livello, la componente elastica determina l'effetto Windkessel, fenomeno
fisiologico che permette, a livello delle grosse arterie elastiche, di modificare il flusso discontinuo della
gittata cardiaca in un flusso continuo (effetto matrice).
Durante la sistole, la parete dell'arteria si dilata e la pressione aumenta (il cuore pompa sangue ai
tessuti). Durante la
diastole, il cuore si
rilascia e il ritorno
elastico della parete
arteriosa (l'arteria ha
immagazzinato
energia potenziale
elastica) determina
una “spinta” sul
sangue, che in questo
modo può fluire
anche in diastole. Se
quest'effetto non avvenisse (se le arterie elastiche fossero rigide, come tubi di vetro), il flusso sarebbe
pulsatorio (dispendioso, a parità di portata, il lavoro che il cuore deve compiere è maggiore) e il
sangue non fluirebbe in diastole.
Alle arterie elastiche fanno seguito le arterie muscolari, le quali subiscono due controlli:
– auto-regolazione tissutale: il tessuto regola la sua perfusione in funzione delle sue necessità;
– controllo centrale: il SNC (tramite l'azione del simpatico) regola il flusso in funzione delle
necessità dell'organismo. Il simpatico effettua un controllo vasocostrittore, mentre il
parasimpatico, che non ha azione generalizzata (la sua azione è limitata ad alcuni distretti, in
altri è assente), è vasodilatatore e aumenta il flusso di sangue agli organi. Il parasimpatico, per
la sua azione non generalizzata, non è un elemento di regolazione considerevole per il circolo.
Dal distretto arterioso si passai ai, vasi deputati allo scambio. Per questo motivo, possiedono una
parete molto sottile (per facilitare il movimento di gas, nutrienti e metaboliti).
Essendo la sezione totale dei capillari molto grande, il flusso è lento (per facilitare gli scambi).
Il distretto venoso, grazie alla capacità variabile, permette di subire una trasfusione o un'emorragia
minimizzando le variazioni di pressione che questi eventi comportano. Infatti, sebbene la contrazione
della muscolatura liscia a livello venoso non determini variazioni di resistenza notevoli, ha un ruolo
sulla capacità (le vene ospitano il 60% del volume di sangue). Una piccola costrizione determina lo
svuotamento del distretto venoso (aumenta il ritorno venoso al cuore).
Se il cuore si riempie di più, per la legge di Starling pompa con più forza. Di conseguenza, eietta un
volume di sangue maggiore e la pressione in aorta sale. Questo è il motivo per cui il ritorno venoso
aumenta la pressione arteriosa.
Occorre distinguere la pressione in:
– pressione sistolica (massima): 120/125 mmHg;
– pressione diastolica (minima): 80 mmHg;
– pressione media: 100mmHg.
La pressione (tutti e tre i
valori) tende ad aumentare
con l'età per via di
modificazioni delle arterie
(processi di
arteriosclerosi) e per il
deterioramento della
funzionalità renale (il rene
influisce sulla regolazione
della pressione a lungo
termine), che rendono
meno distensibile la parete
di questi vasi.
Le arterie, con l'età,
diventano meno
distensibili (aumenta la
costante elastica), di
conseguenza, il
mantenimento dello stesso
volume di eiezione richiede
un aumento della pressione arteriosa generata dal cuore (anche la pressione aumenta con l'età).
Quindi, il cuore pompa di più ma deve fare uno sforzo maggiore (con l'età è problematico per via della
peggior perfusione del circolo coronarico).
La differenza fra
pressione sistolica e
diastolica (40mmHg)
prende il nome di
pressione pulsatoria.
Durante la fase di
eiezione, la gittata sistolica distende la parete aortica, che
accumula energia potenziale elastica. La pressione
raggiunge il valore massimo di 120 mmHg.
Durante la diastole, quando l’eiezione è terminata e le
valvole semilunari sono chiuse, il ritorno elastico della
parete vasale continua a spingere il sangue verso i tessuti,
mentre la pressione scende al suo valore minimo di 80
mmHg.
La pressione pulsatoria:
– aumenta con l’aumento della gittata sistolica: se il
volume eiettato aumenta, la parete dell'aorta si
distende maggiormente ed esercita un ritorno
elastico maggiore;
– aumenta con la riduzione della distensibilità delle
arterie: se le arterie sono molto distensibili, il
sangue le dilata e non viene prodotto un notevole
aumento di pressione. Quando diventano meno
distensibili, lo stesso volume determina un ritorno elastico maggiore, quindi una pressione
pulsatoria maggiore (nell'arteria si deve realizzare una pressione maggiore per dilatare la
parete);
– aumenta anche in caso di aumento dell’efflusso diastolico, cioè la fuoriuscita del sangue
dall’aorta verso i tessuti durante la diastole.
Nella stenosi della valvola aortica grave, la pressione pulsatoria diminuisce a causa della diminuzione
del volume di sangue eiettato in aorta (il cuore fatica a produrre un normale volume sistolico): ciò è
dovuto alla resistenza che l’apertura delle valvole semilunari offre al suo passaggio.
Nella pervietà del dotto arterioso, la pressione pulsatoria aumenta, in quanto, in diastole, il sangue non
fluisce solo verso i tessuti, ma anche nell’arteria polmonare (a causa del dotto che la unisce all’aorta):
ciò porta ad un maggior diminuzione del volume dell’aorta e quindi della pressione minima (maggiore
è la diminuzione del volume, minore è la pressione: più l'aorta si svuota, più diminuisce il ritorno
elastico, quindi la pressione).
Un fenomeno analogo si verifica nell’insufficienza della valvola aortica: il sangue in diastole rifluisce
nel ventricolo e la pressione diastolica può arrivare a valori molto bassi.
La pressione pulsatoria aumenta anche in caso di vasodilatazione: l'aorta si svuota maggiormente, per
cui diminuisce la pressione minima.
Per via della pressione pulsatoria, la distensione della parete vasale genera un’onda di pressione che si
propaga nel liquido e sulla parete del vaso e viaggia più velocemente del flusso di sangue. Per questo
motivo, nelle arterie periferiche la pressione aumenta molto prima che vi giunga il sangue eiettato. Il
polso arterioso è l'espansione ritmica delle arterie prodotta dalle variazioni di pressione al loro
interno che viene trasmesso come un'onda sfigmica lungo la parete dei vasi (che si propaga
attraverso il sangue grazie all'interazione tra le molecole).
Quando si palpa il polso arterioso, si rileva la presenza dell'onda sfigmica.
Nell’onda sfigmica, la fase di ascesa della pressione (inizio dell'incremento sistolico) viene indicata
come fase anacrotica (ritardata in quanto l'onda di
pressione non si propaga immediatamente lungo la parete
dell'aorta), quella di discesa (fase diastolica) come fase
catacrotica.
La curva A indica l'andamento dell'onda sfigmica in aorta,
la curva B mostra l'andamento in un'arteria periferica.
L'incisura aortica, visibile sul grafico, è un'irregolarità
della fase catacrotica dovuta alle oscillazioni conseguenti
alla chiusura delle valvole semilunari. In arterie
periferiche, queste oscillazioni sono assenti, ma la fase
catacrotica ha andamento bifasico e l'incisura dovuta alla
chiusura delle valvole semilunari si approfondisce, dà
origine ad un'onda secondaria: l'onda dicrota.
La velocità di propagazione dell’onda sfigmica è molto più
elevata di quella del sangue.
La velocità di propagazione dell’onda sfigmica varia tra
l'aorta e gli altri vasi.
Infatti, la velocità è di 3-5 m/sec in aorta , passa a 7-10
m/sec nelle grandi arterie fino a 15-35 m/sec nelle piccole
arterie (quella del sangue in aorta è di soli 20- 33 cm/sec).
La velocità di propagazione dell’onda sfigmica è
inversamente proporzionale alla distensibilità della parete
vasale (cioè al rapporto fra l’incremento percentuale di
volume e la variazione di pressione trans-murale
responsabile dell’aumento), quindi direttamente
proporzionale alla costante elastica: maggiore è la
costante elastica, più veloce è l'onda.
Per questo, la velocità aumenta con l’età (vasi meno
distensibili) e con la pressione arteriosa media: più la
parete vasale è tesa, minore è la sua distensibilità.
Passando dal clino- all'ortostatismo, alla pressione generata dalla pompa cardiaca si aggiunge in ogni
punto del sistema vascolare la pressione dovuta al peso della colonna sovrastante (pressione
idrostatica).
La pressione a livello del cuore resa constante per via del fatto che ogni aumento della pressione a
questo livello aumenta il riempimento del cuore, che aumenta di conseguenza la sua forza di
contrazione e mantiene a zero la pressione dell'atrio destro. Si definisce un piano di indifferenza
ortostatica, passante per il cuore, a livello del quale la pressione non varia passando dal clinostatismo
all'ortostatismo.
Le pressioni dei vasi al di sopra del piano diminuiscono, mentre quelle al di sotto aumentano rispetto
al clinostatismo. Nei piedi, la pressione venosa sale di 90mmHg; le vene del collo sono schiacciate dalla
pressione atmosferica, collassano e la loro pressione va a zero; mentre le vene del cranio, in particolare i
seni venosi, (dato che sono contenuti in una camera rigida, hanno lume fisso) non possono collassare e
mostrano una pressione negativa (-10mmHg) (per questo c'è possibilità di embolia dopo apertura del
seno sagittale).
Questo fenomeno (piano di indifferenza ortostatica passante per il cuore) non è passivo per il fatto che
la pressione atriale resta zero grazie alla legge di Starling (come già detto, la pressione resta costante
per il fatto che aumenta il riempimento del cuore, aumenta di conseguenza la forza di contrazione e
l'atrio si svuota) e le pressioni a livello del resto del circolo si adeguano.
Quando la pressione delle vene della parte inferiore del corpo aumenta, vengono dilatate e aumentano
di volume (questo avviene meno nelle arterie per via della minor compliance). Quindi, il volume di
sangue nei vasi della parte superiore del corpo diminuisce. È, quindi, la distensibilità dei vasi a
determinare la maggior capacità (e pressione) a livello delle vene dei piedi. Questa ridistribuzione
porta a una riduzione del ritorno venoso, quindi della gittata cardiaca e della pressione arteriosa
(anche in questo caso per la legge di Starling). Se le pareti dei vasi fossero rigide e non elastiche, il
flusso sarebbe costante indipendentemente dall'orientamento in un campo gravitazionale
(dipenderebbe soltanto dal gradiente creato dalla pompa cardiaca): il passaggio all'ortostatismo non
implicherebbe variazioni della pressione arteriosa perche non verrebbero modificati i gradienti
pressori generati dal cuore tra arterie elastiche e camere atriali.
Ad esempio, a livello dei piedi la pressione di arterie e vene aumenta dello stesso valore (90mmHg),
quindi la differenza tra i due distretti rimane costante.
Il ritorno venoso al cuore, che potrebbe risultare difficoltoso, viene promosso dalla contrazione
muscolare, la quale spreme le vene: le valvole unidirezionali impediscono il movimento retrogrado del
sangue, per cui l'azione muscolare determina una spinta del sangue per il cuore. Quest'azione
mantiene la pressione venosa nei piedi a 25mmHg (scenda da 90 a 25mmHg).
Anche i movimenti respiratori possono avere azione analoga. Durante l'inspirazione, la diminuzione
della pressione intra-toracica dilata atrio e vene cave, facilitando il ritorno del sangue alla parte destra
del cuore. Inoltre, l'abbassamento del diaframma aumenta la pressione intra-addominale (il contenuto
delle vene addominali viene spremuto verso il torace). Durante l'espirazione, in cui la pressione intra-
addominale diminuisce, il sangue si sposta dalle vene degli arti nelle vene addominali.
L'ortostatismo prolungato, soprattutto a temperature elevate, produce un aumento della pressione
capillare degli arti inferiori che può superare anche di 90mmHg i valori normali. Questo induce un
aumento di filtrazione con conseguente accumulo di liquido nell'interstizio e perdita di volume
ematico (fino al 15% in 15 minuti, soprattutto se occorre mantenere un abbondante circolo cutaneo in
risposta all'elevata temperatura ambientale). La diminuzione di pressione che ne consegue può
portare a svenimento soprattutto in soggetti predisposti o con problemi valvolari.
Il mantenimento dell'ortostatismo per lunghi periodi, quindi determina la distensione permanente
delle vene (per via della pressione cui sono sottoposte), con incapacità delle valvole di impedire il
flusso verso i piedi. L'azione della pompa muscolare viene vanificata e si accumula sangue nelle vene:
le vene diventano varicose e si sviluppa deficit nutrizionale con edema tissutale.
La valutazione della pressione atriale, che corrisponde alla pressione venosa centrale, può essere
effettuata cateterizzando l'atrio destro. Grossolanamente, si può effettuare una stima ispezionando le
vene del collo: quando le vene nella parte inferiore del collo sono distese, la pressione atriale è circa
10mmHg, se sono distese anche nella parte superiore, la pressione atriale è di 15mmHg.
Le vene contengono il 60% del sangue circolante, per cui sono una riserva in caso di emorragia (in cui
la loro capacità viene diminuita dal simpatico, con conseguente aumento della pressione di
riempimento del sistema circolatorio). Quindi, le vene possono funzionare come serbatoi di sangue che
viene passato agli altri distretti in caso di necessità. Contribuiscono a questo scopo per diverse
centinaia di ml: vene epatiche, grosse vene addominali, plesso venoso sottocutaneo. Inoltre, il
simpatico con il suo effetto inotropo positivo sul cuore determina la diminuzione del volume
telesistolico: il cuore immette più sangue in circolo.
Inoltre, la milza produce la spremitura dei globuli rossi della rete trabecolare della polpa rossa,
aumentando il valore ematocrito dell'1-2%.
• Iperemia attiva
Si definisce iperemia attiva l’incremento del flusso
sanguigno innescato da un aumento del metabolismo
cellulare. L'incremento dell'attività tissutale può aumentare il
flusso anche di 8 volte rispetto ai valori di riposo. La
relazione tra metabolismo e flusso ematico è quasi
esponenziale: la pendenza della relazione aumenta
all'aumentare dell'attività
metabolica, come mostra il
grafico.
Un primo fattore responsabile
dell'iperemia attiva è la caduta locale della concentrazione di ossigeno: se
si perfonde un tessuto con sangue a ridotto contenuto di O 2 si osserva un
aumento del flusso rispetto ai valori basali (grafico della saturazione di
ossigeno del sangue arterioso %).
L'iperemia attiva è sostenuta da due fenomeni che si sviluppano in
parallelo quando aumenta l'attività dei tessuti:
– teoria della richiesta di nutrienti: l'attività fa calare la
concentrazione di diverse sostanze nutrienti metabolicamente attive, la più importante delle
quali (oltre ad acidi grassi e zuccheri) è l'ossigeno. La mancanza di ossigeno può impedire alle
cellule muscolari lisce vasali di mantenere il tono di base, con conseguente vasodilatazione e
aumento del flusso. Normalmente, la saturazione di ossigeno è del 75% nella maggior parte dei
tessuti. Il circolo polmonare fa eccezione in quanto all'ipossia risponde con una
vasocostrizione;
– teoria dei vasodilatatori: il metabolismo aumenta i livelli locali di sostanze vasodilatatrici
(CO2, H+, potassio), le quali determinano aumento di flusso per vasodilatazione della
muscolatura liscia vasale. Altre sostanze coinvolte sono l'acido lattico, il NO di origine
endoteliale, i fosfati, l'istamina rilasciata dai mastociti e l'adenosina formata per idrolisi
dell'ATP.
Il controllo locale agisce soprattutto a livello degli sfinteri pre-capillari (molto sensibili ai fattori
locali), localizzati nei punti in cui i capillari originano dal canale vasale preferenziale che collega
l’arteriola alla venula. A riposo, la maggior parte degli sfinteri è contratta e la rete capillare è ipo-
perfusa. In attività, l’apertura degli sfinteri porta ad un aumento del numero di capillari reclutati.
• Iperemia reattiva
L'iperemia reattiva è l'incremento di flusso ematico in
risposta ad un evento ischemico proporzionale alla sua
durata. Se un tessuto viene sottoposto ad ischemia, il flusso
può aumentare fino a cinque volte. Questo aumento è
dovuto all’accumulo di metaboliti vasodilatatori e al calo
della concentrazione di nutrienti che si verifica nel tessuto
durante l’ischemia. L’iperemia reattiva che si verifica
durante la diastole permette di rifornire di sangue il cuore
dopo che il flusso coronarico al ventricolo sinistro era stato
bloccato dalla contrazione del cuore durante parte della
sistole. Un altro esempio di iperemia reattiva è il rossore
delle mani dopo esposizione a basse temperature.
• Autoregolazione
Il fenomeno di autoregolazione consiste nel fatto che un
tessuto il cui livello di attività metabolica rimane costante
tende a mantenere costante il flusso, reagendo alle variazioni
della perfusione tissutale. Per pressioni comprese tra 60 e 150
mmHg, il tessuto mantiene costante il flusso (e non la
pressione). In pratica, il tessuto mette in atto meccanismi che
mantengano una perfusione sufficiente se essa viene a
mancare e si oppone ad una eventuale perfusione eccessiva.
Questo fenomeno, particolarmente efficiente in situazioni
croniche (in cui le variazioni pressorie si instaurano in un
lungo periodo o comunque il tessuto può rispondere ad esse in
un tempo lungo), è dovuto a meccanismi di natura miogena e
metabolica:
– teoria miogena:
L'aumento della pressione stira la parete delle arteriole e, in
risposta, le cellule muscolari lisce si contraggono
(vasocostrizione) e
aumentano la resistenza
vasale. È probabile che
esistano canali stretch-
dipendenti, i quali, in risposta
al flusso aumentato e al
conseguente incremento
pressorio, si aprirebbero e
permetterebbero l'ingresso
di calcio. Alla vasocostrizione,
quindi, contribuisce la
muscolatura vasale (con
meccanismi intrinseci) e non
l'endotelio o un riflesso
nervoso. Questa modifica
porta alla norma il flusso aumentato in seguito
all'incremento pressorio e la pressione capillare rimane
costante. Un suo aumento dovuto alla distensione passiva
per l'alta pressione arteriosa, infatti, potrebbe portare a
gravi conseguenze.
Se la pressione cala, le cellule muscolari perdono tono, la
resistenza vascolare diminuisce e il flusso incrementa,
compensando gli effetti del calo di pressione.
L'autoregolazione non stabilizza la pressione di perfusione
del circuito vascolare, le cui variazioni sono esaltate dalle
modificazioni di resistenza associate proprio
all'autoregolazione (mentre mantiene costante la pressione dei capillari);
– teoria metabolica:
Modificazioni nelle concentrazioni locali di prodotti del metabolismo e nutrienti, che si verificano in
seguito ad aumenti di pressione non associati a modificazioni dell'attività metabolica, possono
determinare autoregolazione.
Un aumento della pressione produce aumento della perfusione, quindi la concentrazione di anidride
carbonica e di altri prodotti del metabolismo cala. La pCO 2 tende asintoticamente a 40mmHg (valore
che normalmente si ritrova nel sangue arterioso, quindi è come se il tessuto immettesse nel sangue
refluo una quota di CO2 irrilevante) e viene ridotta la risposta vasodilatatrice: la resistenza dei vasi
aumenta e il flusso diminuisce. La vasocostrizione viene favorita anche da un aumento della
concentrazione locale di ossigeno e nutrienti.
In condizioni normali, la pCO2 è 46 mmHg. Se la pressione
diminuisce, si riduce la perfusione, nel tessuto questo
valore aumenta, allora si manifestano effetti
vasodilatatori, mentre si riduce la concentrazione di
ossigeno e altri nutrienti.
Per quanto riguarda l'ossigeno, invece, la pO2 è
normalmente circa 40mmHg, mentre all'aumentare del
flusso tende asintoticamente a 100mmHg (limite massimo
con flusso ematico infinito, come se all'aumentare del
flusso la quota di ossigeno prelevata dal tessuto fosse
irrilevante). L'aumento della disponibilità di ossigeno
determina un aumento del tono muscolare con
conseguente vasocostrizione.
In condizioni di bassa perfusione, invece, i vasi si dilatano
per sia per la teoria dei nutrienti che per quella dei
vasodilatatori.
L'origine di questo fenomeno è il fatto che il tessuto in crescita o il tessuto metabolicamente attivo ad
alto livello per lunghi periodi o il tessuto cronicamente ipossico, produce fattori angiogenetici, come il
fattore di crescita endoteliale, l'angiogenina e il fattore di crescita dei fibroblasti.
Questi ultimi determinano la gemmazione di nuovi vasi da piccole vene o capillari (diventano capillari
o arteriole in relazione alla velocità del flusso di sangue che scorre in esse). Come nel sangue
coesistono fattori della coagulazioni e fattori anticoagulanti, all'interno di un tessuto coabitano fattori
angiogenetici e anti-angiogenetici (angiostatina, derivato del plasminogeno ed endostatina, derivata
del collagene). Normalmente, si equilibrano tra di loro, ma l'equilibrio può spostarsi in una direzione o
nell'altra.
Le sostante anti-angiogenetiche possono avere azione antitumorale, bloccandone le vascolarizzazione.
Le sostanze angiogenetiche, invece, potrebbero essere utilizzate per vascolarizzare un cuore
infartuato: l'applicazione locale di FGF-1 sul cuore di pazienti ischemici migliora la perfusione del
miocardio. Nel circolo coronarico, i fattori angiogenetici sono chiamati spesso in gioco. A livello delle
arterie coronarie, si formano precocemente placche arteriosclerotiche che possono ostruire i vasi
coronarici. La risposta immediata è la creazione di anse vascolari che oltrepassano il blocco e nelle ore
successive si verifica dilatazione. In seguito, il processo angiogenetico ha il compito di creare nuovi
capillari e arteriole per ripristinare il circolo ed evitare il punto di restrizione (processo che continua
per mesi). Se il blocco vasale è lento, il nuovo circolo si sviluppa parallelamente all'ipossia e non si
manifestano sintomi di ischemia. In alcuni casi il meccanismo di ostruzione prosegue finche il
meccanismo di angiogenesi non esaurisce le sue capacità: improvvisamente, la richiesta del cuore
supera l'apporto di sangue e si creano le condizioni per un'ischemia acuta e un infarto (nonostante
abitudini sane).
In caso di malfunzione renale, la perdita di funzionalità deve ridursi di 1/3 per determinare i primi
sintomi. Nel morbo di Parkinson fino al 70% dei neuroni perde la sua funzionalità.
Il massimo dell'adattamento che il nostro organismo è in grado di sviluppare in risposta a processi
patologici è quello che avviene in caso di idrocefalo: nonostante la perdita di connessioni, non si
verifica perdita di coscienza. Una lesione lenta dà all'organismo la capacità di adattarsi e limitare i
danni rispetto ad una lesione improvvisa.
Controllo nervoso
Il controllo nervoso del circolo viene effettuato dal sistema nervoso autonomo, sulla base delle
necessità generali dell’organismo. Mentre il simpatico svolge un’azione generalizzata, il parasimpatico
agisce in modo importante solo su alcuni distretti circolatori.
Le catecolamine sono rilasciate dalle terminazioni simpatiche (rilasciano esclusivamente
noradrenalina) e dalla midollare del surrene (soprattutto adrenalina, ma anche una notevole quantità
di noradrenalina, che giungono a tutti i tessuti attraverso il torrente circolatorio).
Gli effetti dipendono dal recettore con cui interagiscono. A livello post-sinaptico esistono recettori di
tipo α e β, soprattutto α1 e β2.
Producono effetti vasocostrittori legandosi a recettori α1 (e forse anche α2), presenti sulla
muscolatura liscia vasale. Rimuovendo il simpatico, infatti, si verifica vasodilatazione. L'adrenalina,
che ha scarsa affinità per i recettori α, produce vasodilatazione quando si lega ai recettori β2 presenti
sulla muscolatura liscia vasale (non è l'effetto dominante del simpatico). La noradrenalina, molto
affine per il recettore α1, è poco affine al recettore β2.
I recettori α2 sono presenti soprattutto sulle
terminazioni simpatiche (pre-sinaptici, sono
autocettori) e la loro attivazione (per la presenza
di noradrenalina nel vallo sinaptico) diminuisce il
rilascio del neurotrasmettitore (meccanismo di
controllo del rilascio del neurotrasmettitore). Se i
recettori α2 sono post-sinaptici, hanno lo stesso
effetto degli α1 e producono vasocostrizione.
I recettori β2 sono abbondanti in fegato, muscolo
scheletrico e miocardio.
L'adrenalina produce effetti in base alla concentrazione: a basse dosi predomina la vasodilatazione, a
dosi elevate predomina l'effetto vasocostrittorio. Gli effetti dilatatori si manifestano solo dove sono
presenti recettori β2 a sufficienza (se questi ultimi vengono
bloccati, si ha vasocostrizione). Quindi, l'adrenalina lavora su
entrambi i recettori in base alla sua concentrazione.
Se si inietta una bassa dose di adrenalina in circolo (10 µm al
minuto, una concentrazione tanto bassa da non attivare i
recettori α1), si verifica aumento della frequenza cardiaca
(attiva i recettori β1 del cuore, effetto cronotropo positivo) e
della forza di contrazione del cuore, ma anche
vasodilatazione. La pressione sistolica aumenta in quanto
l'adrenalina aumenta la forza di contrazione del cuore. La
pressione diastolica, invece, diminuisce in quanto aumenta
l'efflusso diastolico (l'aorta si svuota di più) poiche
diminuisce la tensione periferica dell'aorta.
L'iniezione di noradrenalina, invece, produce un aumento
della pressione diastolica e di quella sistolica (in parte per
l'aumento della forza di contrazione del cuore, in parte per
l'aumento della pressione diastolica dovuta all'aumento
delle resistenze periferiche). Aumenta fortemente anche la
pressione media. La contrattilità cardiaca aumenta, ma la frequenza, dopo un iniziale aumento,
diminuisce: non si tratta di un'azione difasica della noradrenalina, che ha solo effetto cronotropo
positivo, cioè aumenta la frequenza cardiaca, in realtà la diminuzione è dovuta ad un'azione riflessa
innescata dall'aumento di pressione.
Il rilasciamento del muscolo liscio prodotto dall’attivazione dei recettori noradrenergici β2 è
attribuibile all’aumentata attivazione della pompa che sequestra il calcio nel reticolo sarcoplasmatico,
per via della fosforilazione (a livello del fosfolambano) da parte della PKA, attivata a sua volta
dall’incremento dei livelli di cAMP intracellulare.
Il parasimpatico, a differenza del simpatico, non ha azione generalizzata sul circolo. Mentre il
simpatico è in grado di aumentare la pressione se sale di attività e diminuirla se si abbatte di attività, il
parasimpatico non è in grado, almeno per quanto riguarda gli effetti sul circolo, di svolgere un'azione
cosi diffusa e importante. Il parasimpatico può aumentare la pressione agendo a livello cardiaco.
Sia i neuroni post-gangliari del parasimpatico (che innervano i corpi cavernosi del pene, le arterie piali
del cervello e i vasi coronarici) che quelli appartenenti ad una particolare sezione del simpatico
possono rilasciare acetilcolina in prossimità delle cellule della parete arteriolare.
Questo neurotrasmettitore agisce inducendo una vasodilatazione che non sembra però legata ad
un’azione sulla muscolatura liscia arteriolare, l'azione sembra dipendere invece dall’induzione del
rilascio, da parte dell’endotelio vascolare, di ossido di azoto (NO). Questo gas diffonde rapidamente
inducendo il rilassamento muscolare. L’azione del parasimpatico sulla muscolatura vasale non è
generalizzata, ma ristretta al tessuto erettile (corpi cavernosi del pene, clitoride della donna), dove è
responsabile del meccanismo dell’erezione, alle arteriole piali del cervello e ai vasi coronarici.
La sottosezione del simpatico colinergica è quella che si ritrova nell'innervazione della cute e del muscolo
scheletrico: a livello cutaneo, controlla le ghiandole sudoripare, a livello del muscolo controlla la
muscolatura liscia del vaso. L'attivazione è dovuta a particolari stati emotivi, come paura o ira, oppure
situazioni pericolose del tipo “combatti o fuggi”.
L'azione del parasimpatico viene prodotta prima dell'esercizio fisico per garantire un aumento di
sangue al muscolo prima di quando fosse necessario. In seguito, si è scoperto che l'aumento del flusso
di sangue non riguarda la rete capillare, ma dei canali preferenziali di connessione tra arteria e vena
(la rete capillare è bypassata). Tali effetti potrebbero evitare eccessivi incrementi di pressione legati
alle emozioni. Inoltre, l’azione sui canali preferenziali (diminuzione della resistenza lungo di essi)
potrebbe creare condizioni ottimali per una rapida perfusione tissutale, non appena l’incremento
dell’attività metabolica fa rilasciare gli sfinteri pre-capillari.
Controllo umorale
Il controllo del microcircolo è collegato al controllo della pressione: la vasocostrizione aumenta la
pressione, la vasodilatazione la diminuisce. Inoltre, il controllo della pressione si inserisce nell'ambito
del controllo idro-salino dell'organismo, attuato da una serie di processi fisiologici.
Il primo meccanismo da considerare è quello che riguarda il sistema renina-angiotensina-
aldosterone, che viene attivato quando la pressione diminuisce, dovuto all'azione diretta della
pressione arteriosa sulle cellule dell'arteriola afferente ed efferente (del glomerulo renale). Quando la
pressione diminuisce, le cellule delle due arteriole secernono la renina, che trasforma
l'angiotensinogeno (prodotto dal fegato) in angiotensina I, che viene trasformato dall'enzima
convertente (ACE), espresso soprattutto a livello polmonare, in angiotensina II. Inibendo l'enzima ACE,
viene controllata l'ipertensione: si diminuisce la produzione di angiotensina II.
L'angiotensina II è l'agente vasocostrittore più potente al momento conosciuto (basta 1mg per
aumentare di 50mmHg la pressione arteriosa). Inoltre, ha azioni che agiscono sulla corticale del
surrene, inducendo la produzione di aldosterone. Quest'ultimo, incrementa il riassorbimento di sodio
a livello renale, in modo da espandere il volume del sangue (in quanto il riassorbimento di sodio
determina riassorbimento di acqua). L'angiotensina II ha un'azione integrata per l'accumulo di acqua
all'interno dell'organismo in quanto agisce a livello cerebrale stimolando la secrezione di ormone
antidiuretico ADH (della neuroipofisi), che determina maggior trattenimento di acqua a livello renale
(che deve avvenire in quanto viene riassorbito anche sodio). Se non avvenisse il riassorbimento di
sodio, i liquidi dell'organismo verrebbero diluiti dal riassorbimento di acqua, provocando shock
osmotico.
Il secondo modo mediante il quale l'angiotensina II promuove l'accumulo di acqua riguarda l'azione
sull'ipotalamo che, in comunicazione col sistema limbico, stimola la sete.
Il peptide atriale natriuretico è prodotto dal cuore e viene rilasciato in caso di eccessiva distensione
della parete atriale, cioè quando il volume di sangue è elevato. La dilatazione atriale, da un lato porta
alla secrezione dell'ormone, d'altra parte (tramite recettori da distensione della parete dell'atrio)
agisce a livello ipotalamico riducendo la produzione di ormone ADH.
Occorre considerare anche meccanismi che si attivano durante l'infiammazione e che contribuiscono a
regolazioni fisiologiche.
Le chinine (piccoli peptidi) si formano dalle α2-globuline per azione di enzimi.
La Callicreina, attivata da modificazioni chimico-fisiche del sangue e dall’attività dei tessuti (ad
esempio dalla ghiandola salivare attiva) libera callidina (lisin-bradichinina) dalle α2-globuline. La
callidina è convertita a bradichinina (vasodilatatrice) da enzimi tissutali.
Un microgrammo di bradichinina in arteria aumenta di 6 volte il flusso ematico. L’iniezione
sottocutanea produce edema (la sostanza aumenta la permeabilità vascolare). Ha azione
nell’infiammazione e nel controllo fisiologico del flusso ematico alle ghiandole salivari (agisce a livello
degli sfinteri pre-capillari e garantisce maggior flusso alla ghiandola in attività), a quelle
gastrointestinali e alla cute. Viene inattivata dalla carbossipeptidasi e dall’enzima convertitore
dell’angiotensina (ACE).
Anche l'istamina, prodotta da mastociti e granulociti basofili in condizioni di danno tissutale (o
reazioni allergiche), partecipa al controllo del circolo. Ad esempio, l'attivazione vagale determina un
rilascio dei granuli contenenti istamina. Questa sostanza aumenta la secrezione di acido cloridrico da
parte delle cellule ossintiche, è alla base dello shock anafilattico e induce vasodilatazione. Durante le
reazioni allergiche, invece, determina vasodilatazione e aumenta la produzione di muco a livello dei
bronchioli.
Per quanto riguarda la serotonina, l’azione fisiologica sul circolo non è chiara. Essa è prodotta dalle
piastrine e dalle cellule enterocromaffini e può esercitare effetti di segno opposto. In genere viene
rilasciata in caso di danno vascolare (durante la riparazione tissutale prevale la vasocostrizione).
Agendo direttamente sulla muscolatura liscia essa induce vasocostrizione, mentre, stimolando il
rilascio di autacoidi a livello endoteliale genera vasodilatazione.
Bisogna considerare anche l'attività di cellule spontaneamente attive, che determinano un tono basale
della muscolatura liscia dovuta a fattori intrinseci delle cellule (attività elettrica spontanea o
mantenimento di una certa concentrazione di calcio).
Da considerare è anche la temperatura, che lavora soprattutto nella parte terminale delle arteriole e a
livello degli sfinteri pre-capillari, cosi come gli altri fattori locali.
I fattori nervosi agiscono a livello delle arteriole, mentre gli ormoni circolanti agiscono su entrambi i
livelli indifferentemente.
La muscolatura liscia vasale risente anche delle concentrazioni ioniche del plasma.
L’aumento della concentrazione di calcio produce vasocostrizione, per un’azione diretta sul muscolo
liscio (è l'unico ione il cui aumento determina vasocostrizione). L’aumento della concentrazione di
potassio e magnesio produce invece vasodilatazione, sempre attraverso un’azione diretta sul muscolo
liscio.
Una vasodilatazione è generata anche dall’aumento della concentrazione di citrato e acetato (importanti
intermedi del ciclo di Krebs e dell'ossidazione degli acidi grassi, rispettivamente).
L’acidosi produce vasodilatazione (a causa della produzione di lattato nel muscolo e per la perdita di
potassio verso l'esterno, eventi che hanno luogo durante l'iperemia attiva), l’alcalosi vasocostrizione.
L’effetto dell’alcalosi si rovescia quando l’aumento di pH è assai elevato.
Infine, l’aumento della concentrazione di Na + produce vasodilatazione: quest'effetto sembra però
dovuto al contemporaneo aumento della osmolarità del plasma (aumento dell'osmolarità produce
vasodilatazione in quanto diminuisce il volume cellulare).
Circolo capillare
A livello capillare hanno luogo gli scambi tra sangue e tessuti.
Dopo 6-8 ramificazioni, le arterie diventano arteriole (diametro
inferiore a 20µm).
Dopo altre 2-5 ramificazioni, si passa alle arteriole terminali (da
cui hanno origine i capillari), che possono avere diametro di 5-9µm.
Le arteriole controllano l'afflusso del sangue ai capillare in base a
influssi nervosi.
In alcuni tessuti (soprattutto a livello dei mesenteri), l'arteriola
perde la guaina muscolare e si trasforma in meta-arteriola (canale
di flusso direttamente collegato a una venula, detto canale
preferenziale), da cui hanno origine gli sfinteri pre-capillari, quindi i capillari veri e propri. Non esiste
soltanto questo tipo di disposizione.
Una rete capillare presenta spesso anastomosi artero-venose, che normalmente sono chiuse dalla
contrazione della muscolatura liscia legata ad un elevato tono simpatico. Non è del tutto chiaro il ruolo
e la regolazione di queste anastomosi. Se vengono aperte, si produce un incremento di flusso (che
percorre una via a bassa resistenza), che però non si traduce in una maggiore vascolarizzazione del
tessuto, perche la rete capillare diventa poco perfusa: la maggior parte del sangue passa direttamente
dall'arteria alla vena. Le anastomosi non vanno confuse con i canali preferenziali che collegano le
arteriole alle vene.
I capillari sono formati da un unico strato di cellule per conferire uno spessore inferiore ai 0.5µm,
distanza di diffusione ottimale per garantire gli scambi. Il numero di capillari messi in parallelo è
enorme e raggiunge una superficie totale di 500-700m2. La distanza massima tra una cellula e il
capillare è 30µm.
La dinamica della rete capillare è intermittente a causa
della vasomozione. La vasomozione è la ciclicità
dell'apertura degli sfinteri precapillari, che quindi non si
aprono o chiudono in maniera graduale, ma sono cercini
ad attività contrattile periodica. In questo modo, il flusso
attraverso la rete capillare conosce momenti di stasi
alternati a momenti di rapido passaggio del sangue. I
fenomeni di chiusura ed apertura hanno una certa
frequenza temporale: il capillare viene bloccato al flusso
circa 6 volte al minuto e l'apertura viene garantita per 7-8
secondi.
Si può ricostruire la funzione originale sommando un
numero elevato di registrazioni e costruire una curva
sinusoide. La componente dominante è quella che registra
6 cicli al minuto.
La durata dell'apertura degli sfinteri aumenta al diminuire
della pO2 e viene modulata da fattori locali. Se si blocca la
sintesi di ossido di azoto, infatti, la chiusa dei capillare
aumenta e l'attività dominante si sposta da 6 a 9.
Tipologie di capillari
Dal punto di vista anatomo-funzionale, si distinguono:
- capillari continui: possono essere totalmente impermeabili alle sostanze idrosolubili
(capillari cerebrali, barriera emato-encefalica) o permeabili (muscolo). La permeabilità alle
proteina è ovunque piuttosto basta, per cui esse restano essenzialmente all'interno del
capillare. La lamina basale è ben sviluppata e le cellule endoteliali sono collegate da giunzioni
serrate, da cui dipende la permeabilità;
- capillari fenestrati: lamina basale sviluppata e continua. Le fenestrature garantiscono
abbondante passaggio di acqua ma non rendono il capillare permeabile a grosse molecole di
natura proteica, che rimangono poco capaci di attraversare il capillare. L'elemento limitante, in
questo caso, non è la giunzione tra le cellule endoteliale, ma la lamina basale, che funge da
filtro. Esempi sono il rene e le ghiandole esocrine;
- capillari discontinui: la membrana basale è discontinua e attraverso le giunzioni tra cellule
endoteliali possono passare tutte le molecole presenti nel sangue. Si tratta della situazione di
fegato (passaggio delle proteine), milza e del midollo osseo.
Alla base degli scambi tra tessuto e sangue c'è il meccanismo della diffusione: i nutrienti passano dal
capillare al tessuto, cosi come i metaboliti passano dalla cellula al sangue secondo gradiente di
concentrazione.
La legge di Fick postula che la quantità di sostanza che si sposta nel tempo (J) è proporzionale all'area
di superficie di scambio (A), al gradiente di concentrazione e inversamente proporzionale allo
spessore della membrana endoteliale (X), ovvero la distanza da percorrere.
D è la costante di diffusione o coefficiente di permeabilità, che dipende dalla natura del mezzo in cui
avviene la diffusione (acqua) e soprattutto dalla natura della molecola che diffonde.
J = -DA ΔC/ΔX
La diffusione può essere influenzata da qualunque fattore influenzi la distanza da percorrere, la
differenza di concentrazione e la superficie di scambio.
Ad esempio, la distanza da percorrere nel capillare a livello polmonare è data dallo spessore
dell'endotelio capillare e della parete dell'alveolo, quindi l'accumulo di sostanze tra i due diminuisce
gli scambi.
Le sostanze liposolubili attraversano tutta la membrana, quelle idrosolubili e l'acqua, anche se
possiedono meccanismi di trasporto, passano attraverso le giunzioni tra le cellule (trasporto
paracellulare). Le sostanze idrosolubili possono anche usufruire di meccanismi di trasporto
transcellulari, che utilizzano molecole trasportatrici. Nei capillari cerebrali questa è l’unica via di
accesso delle sostanze idrosolubili al cervello.
I pori tra le cellule endoteliali sono tali da permettere al massimo il passaggio di poche proteine a
basso peso molecolare, infatti i diametri sono di 6-7nm (superiore a quello dell'albumina, inferiore a
quello delle proteine ad alto peso molecolare). Le proteine di grosso peso molecolare, in quantità
ridotte, passano attraverso i meccanismi di micropinocitosi, che addirittura possono formare canali
vescicolari. Le fibre presenti nei pori rendono bassa la permeabilità all'albumina, che quindi tende a
restare nel capillare.
Struttura dell'interstizio
L'interstizio tra una cellula e l'altra non è liquido, ma gelatinoso. L'elemento dominante è l'acqua, che
non è libera, ma inserita in un gel in cui idrata filamenti di proteoglicani, formati da uno scheletro
proteico e GAG (glicosamminoglicani). L'acqua libera non coordinata alle molecole di proteoglicani
corrisponde a circa l'1% dell'acqua interstiziale, che aumenta in caso di edema. Il fatto che l’acqua sia
intrappolata nel gel è molto importante, perche, se fosse mobile, la gravità ne favorirebbe l’accumulo
nella parte inferiore del corpo.
L'interstizio è formato da una matrice solida, composta da fibre collagene e filamenti di proteoglicani
(composti per il 98% da glicosaminoglicani e per il 2% da proteine).
Si ritrovano quattro tipi di glicosaminoglicani: l’acido ialuronico, il condroitinsolfato
(dermatansolfato), l’eparansolfato e il cheratansolfato. Gli aggregati proteoglicanici sono composti da
un filamento centrale di acido ialuronico, cui sono uniti, in maniera non covalente, grazie alla
mediazione di proteine di collegamento, catene laterali proteoglicaniche, formate da un filamento
proteico centrale da cui si dipartono i residui di glicosaminoglicani.
Gli scambi avvengono anche con i vasi linfatici, che drenano l'interstizio (circa 2ml al minuto) per
riportare poi il ricavato all'interno del circolo venoso. I linfatici impediscono eventuali accumuli di
acqua.
Lo scambio di sostanze tra capillari e tessuti dipende dai gradienti di concentrazione e una quota dello
spostamento dei soluti è dovuto a un meccanismo di trascinamento (solvent drag): il movimento di
acqua tra capillare e interstizio trascina una quota di soluti disciolti in essa (quota inferiore rispetto a
quella che si sposta per diffusione).
Il movimento di acqua tra capillare e interstizio è generato dalle pressioni di Starling. In particolare, le
forze di Starling e le loro azioni sono:
– la pressione idrostatica del capillare (Pc) spinge il liquido nell'interstizio;
– la pressione del liquido interstiziale (Pi) del liquido interstiziale ha la funzione opposta e
spinge l'acqua dall'interstizio al capillare.
Il primo movimento è la filtrazione dal capillare all'interstizio,
il secondo è il riassorbimento.
La pressione colloido-osmotica, ovvero la quota di pressione
osmotica dovuta alle proteine, ha un ruolo importante. La
pressione osmotica, di per se, non genera movimento in
quanto i due liquidi sono iso-osmotici. Invece, la
concentrazione di proteine nel plasma è maggiore di quella
dell'interstizio: la presenza di proteine del plasma assorbe
acqua dall'interstizio (riassorbimento).
– La pressione colloido-osmotica dell'interstizio (πi) determina filtrazione;
– la pressione colloido-osmotica del capillare (πc) favorisce il riassorbimento.
La pressione colloido-osmotica può essere considerata costante lungo il capillare (poiche le sue
variazioni sono opposte tra la prima e la seconda parte del capillare, il suo valore medio non cambia).
Inoltre, si possono considerare costanti anche la pressione colloido-osmotica del liquido interstiziale e
la pressione idrostatica dell'interstizio.
L'unica pressione che cambia è la pressione del capillare:
inizialmente, a livello arteriolare è a 30-40 mmHg, nell'estremo
venoso è di circa 10-15 mmHg.
Nella porzione arteriolare, quindi, predomina la filtrazione, mentre
nel ramo venoso predomina il riassorbimento di liquido
dall'interstizio al capillare.
La pressione del liquido interstiziale è negativa, ovvero inferiore a quella atmosferica. Non è stato
possibile identificare un valore standard, l'unico riferimento comune nei diversi esperimenti è che i
valori sono negativi, compresi tra -1 e -6mmHg.
Una metodologia per misurarla è l'incannulazione diretta del tessuto mediante capsula forata
impiantata. Al centro della capsula forata si forma una cavità piena di liquido in equilibrio con
l'interstizio, in cui proliferano le cellule. Misurando la pressione a livello della capsula, si otterrà un
valore negativo.
Questo vale per tutti gli organi tranne quelli situati in involucri rigidi (come cervello, nella scatola
cranica, e il rene, nella capsula fibrosa). Infatti, le cavità rigide determinano pressioni: in questi organi,
le pressioni sono positive, ma minori rispetto alla pressione esercitata dall'involucro.
La pressione del liquido cerebrospinale, ad esempio, è di 10mmHg (indice della pressione esercitata
dalla dura madre), quella esercitata dalla capsulare renale è 13 mmHg: le pressioni degli interstizi
però sono rispettivamente 4-6 e 6 mmHg.
Nell'interstizio, quindi, c'è una pressione inferiore a quella che l'ambiente genera sul tessuto (regola
generale). Considerando le cavità piene di liquido in equilibrio con l'interstizio (spazio sinoviale
articolare, epidurale, pleurico), la pressione è inferiore a quella atmosferica (rispettivamente -4/-6
mmHg nello spazio
sinoviale, cosi come nello
spazio epidurale e -8 in
quello intra-pleurico).
All'origine della pressione
negativa interstiziale vi è il
drenaggio linfatico: la
pressione diventa inferiore a
quella atmosferica grazie
alla suzione (drenaggio).
La pompa linfatica drena
continuamente il liquido
dall'interstizio, abbassa la
pressione e compatta il
tessuto, conferendo una
pressione inferiore a quella
che agisce dall'esterno. La pressione negativa porta alla coesione dei tessuti corporei.
La pressione oncotica del plasma è dovuta alle proteine plasmatiche e ai cationi trattenuti da esse
(effetto Donnan). La pressione oncotica totale del plasma è di circa 28 mmHg, determinata da una
concentrazione di proteine di 7.3g/100ml. Si stima che le proteine contribuiscano a generare 19mmHg
di pressione, mentre i restanti 9mmHg sarebbero dovuti all'effetto Donnan. Della quota dovuta alle
proteine, un ruolo fondamentale è giocato dalle albumine.
La pressione oncotica dell'interstizio dipende dalla concentrazione delle proteine a questo livello.
Se la permeabilità del vaso è elevata (come nel capillare epatico) alle proteine, allora la concentrazione
nel tessuto delle proteine sarà uguale a quella del plasma, per cui la pressione oncotica sarà uguale in
entrambi i compartimenti. In zone in cui la permeabilità è bassa (come nel cervello), la concentrazione
di proteine nell'interstizio sarà bassissima (quindi anche la pressione oncotica).
In generale, la membrana capillare è poco permeabile alle proteine, per cui la pressione oncotica
dell'interstizio è minore di quella capillare.
Le forze di Starling sono quelle che generano la filtrazione o il riassorbimento (determinano la
pressione netta di filtrazione).
Le forze dominanti che producono filtrazione sono, a livello del polo arterioso, la pressione
idrostatica del capillare e la pressione oncotica del liquido interstiziale. Per convenzione, queste forze
sono indicate con il segno positivo.
Calcolando la pressione netta di filtrazione ΔP, si osserva che la pressione idrostatica capillare è di
circa 30 mmHg (positiva, produce filtrazione), la pressione oncotica dell'interstizio è un valore medio
calcolato da Guyton sulla base della quantità di proteine contenute nell'interstizio e il volume
dell'interstizio (3g/dL), pari a circa 8 mmHg.
Le forze che generano riassorbimento sono la pressione idrostatica dell'interstizio, circa -3mmHg
(valore medio tra -1 e -6mmHg) e la pressione colloido-osmotica del capillare, che è -28 mmHg:
ΔP = Pc + πi - Pi -πc = 30 + 8 - (-3) - 28 = 13 mmHg
La pressione nell'interstizio non è negativa in realtà, è solo inferiore a quella a quella atmosferica
(presa come riferimento, valore 0, che è 760 mmHg), in quanto vale 757 mmHg.
Aumentando la pressione del liquido interstiziale, si produce riassorbimento.
La pressione netta di filtrazione a livello arteriolare è 13mmHg che produce un flusso di 16 ml/min in
tutto il corpo di liquido che si sposta dal sangue all'interstizio (circa lo 0.5% del plasma).
Verso l'estremo venoso, prevalgono le forze che producono il riassorbimento, indicate con il segno
negativo (pressione oncotica del capillare e pressione idrostatica del liquido interstiziale).
ΔP = Pc + πi - Pi -πc = 10 + 8 - (-3) – 28 = -7mmHg
La pressione netta di riassorbimento è 7 mmHg, e il riassorbimento totale è di circa 14 ml/min, quasi
la stessa quantità prodotta dalla più alta pressione di filtrazione: questo vuol dire che l'estremo venoso
è più permeabile (un gradiente di pressione più basso, ovvero 7mmHg rispetto ai 13mmHg a livello del
polo arterioso, riesce a generare un flusso quasi pari a quello che si produce con la filtrazione).
La quota non riassorbita corrisponde quindi a 2 ml/min in tutto il corpo, che non possono rimanere
nell'interstizio (si gonfierebbe, riducendo il volume del sangue) per cui vengono continuamente
drenati nei vasi linfatici che li pompano nel circolo venoso. Se il drenaggio viene meno, l'equilibrio
viene sconvolto (2ml al minuto implica un accumulo di 12 ml in un'ora, 1.2L in dieci ore).
Si può definire un coefficiente di filtrazione CF, indicato come il rapporto tra filtrazione netta
(ml/min) e pressione di filtrazione media (mmHg). La pressione di filtrazione media si ottiene
ponendo nell'equazione il valore 17.3 mmHg (pressione media) al posto del valore Pc
ΔP medio = Pc media + πi - Pi - πc = 17.3 + 8 - (- 3) – 28 = 0.3 mmHg
Visto che la filtrazione netta è pari a 2ml/min:
CF = 2ml/0.3mmHg = 6.67 ml/min/mmHg
Edema
Quando l'equilibrio viene alterato, si accumula liquido nell'interstizio, determinando edema
interstiziale. Se l'acqua si accumula nella cellula, si verifica edema cellulare.
L'edema cellulare avviene, ad esempio, quando il tessuto non è abbastanza irrorato dal sangue, la
pompa sodio/potassio funziona meno. In ogni caso, il blocco del metabolismo determina che il sodio di
accumuli nella cellula e si crei squilibrio osmotico, per cui la cellula si gonfia.
L'edema cellulare può essere dovuto anche all'infiammazione, la quale aumenta la permeabilità delle
membrane cellulari, aumentando i flussi ionici in ingresso che tendono ad aumentare l'osmolarità
della cellula e a richiamare acqua dall'interstizio. Quando l'acqua si accumula nelle cellule (anche per
l'aumento di permeabilità nella membrana), il tessuto è compatto e resistente alla pressione.
L'edema interstiziale si sviluppa in seguito a blocco del sistema linfatico o per variazioni nelle forze
di Starling, ad esempio per aumento di filtrazione:
Volume filtrato = Kt (Pc - Pi - πc + πi)
Dove Kt è il coefficiente di permeabilità idraulica del capillare.
Quindi, il volume di acqua che viene filtrato nell’interstizio (V) dipende dalla pressione capillare (Pc),
dalla pressione interstiziale ( Pii), dalla pressione oncotica capillare (Πc), da quella interstiziale ( Πi),
nonche dalla permeabilità idraulica del capillare.
L'aumento della pressione capillare aumenta la filtrazione, cosi come l'aumento del coefficiente di
permeabilità. Per questo l'edema si può formare se aumentano la pressione capillare, il Kt o la
pressione oncotica dell'interstizio oppure se diminuiscono la pressione interstiziale o la pressione
oncotica del capillare.
Uno scarso apporto di proteine dovuto a malnutrizione determina edema con accumulo di liquido
intraperitoneale: se non ci sono proteine, la concentrazione di proteine plasmatiche diminuisce.
Inoltre, il sistema linfatico può essere distrutto da alcuni parassiti con conseguente ingrossamento
degli arti interessati dalla patologia (elefantiasi).
In un soggetto a riposo, si può osservare un flusso a riposo nei diversi tessuti. Durante l'attività fisica, il
muscolo scheletrico necessita di un maggior
apporto di sangue (da 1.18 L a 22.5 L), il
cervello e la cute hanno ancora bisogno di un
flusso di sangue adeguato, cosi come il cuore.
Nel rene, nell'apparato intestinale e in altri
tessuti vengono tagliate le risorse: ricevono
meno sangue.
Quando invece la pressione diminuisce (ad
esempio per una perdita di sangue), si verifica una sofferenza generalizzata di tutti i tessuti. Il
meccanismo di compensazione ha il compito di ripristinare il flusso nei tessuti importanti e, solo se le
risorse lo consentono, vengono accontentati tutti i tessuti.
Le condizioni del sistema circolatorio vengono controllate dal simpatico (cuore e vasi) e dal
parasimpatico (controlla solo alcuni distretti vasali, e il cuore). Il simpatico controlla arterie e vene.
Il controllo del sistema simpatico parte dal centro vasomotore.
Il centro vasomotore è composto da una regione rostrale, l'area vasocostrittrice C1, che proietta al
midollo spinale ed eccita i neuroni pre gangliari del simpatico (situati nella colonna intermedio-
laterale del midollo), determinando vasocostrizione.
Quest'area viene inibita dall'area vasodilatatrice A1 (regione caudale del centro vasomotore), che
inibisce C1 e riduce il tono eccitatorio sul simpatico.
A causa di proprietà pacemaker, l'attività dell'area C1 è tonica e continua. Quindi, il simpatico ha
azione tonica vasocostrittrice (mediante recettori α1).
L’ attività tonica del centro vasomotore è in parte dovuta ad un’attività pacemaker dei suoi neuroni e
sostiene il tono vasocostrittore simpatico (o tono vasomotore). Infatti, i neuroni del centro vasomotore
eccitano i neuroni preganglionari del sistema simpatico, contribuendo notevolmente alla loro scarica
tonica e, di conseguenza, a quella dei neuroni postganglionari, che mostrano una frequenza di 0.5-2 Hz.
Nel nucleo motore dorsale del vago e nel nucleo ambiguo (area cardio-inibitrice) si trovano i neuroni
pregangliari del parasimpatico.
Il nucleo del tratto solitario, area A2, riceve afferenze periferiche ed esercita un controllo sulle altre
aree, per regolare la pressione.
Se si interrompe la connessione tra l'area C1 e i neuroni del simpatico (come in anestesia spinale
totale), crolla la pressione arteriosa da 100 a 50mmHg (i vasi si dilatano).
Bloccando il segnale dal bulbo, i motoneuroni del diaframma smettono di scaricare e si verifica paralisi
respiratoria.
I recettori che arrivano fino al nucleo del tratto solitario sono i barocettori arteriosi. Essi informano
sulla pressione arteriosa in quanto sono sensibili alla distensione della parete vasale.
Questi recettori sono il seno carotideo e il seno aortico, che hanno una scarica tonica inviata al
cervello rispettivamente dal nervo glossofaringeo (tramite il nervo di Hering) e il vago (nervo di
Cyon).
Quando la pressione diminuisce, la scarica dei barocettori diminuisce e a livello centrale viene
modificata l'attività autonomica: si aumenta l'attività del simpatico e si diminuisce quella del
parasimpatico, in modo da aumentare la pressione.
Quando la pressione aumenta, la scarica barocettiva aumenta e a livello centrale si determina un
aumento dell'attività del parasimpatico, e una diminuzione di quella del simpatico.
Si costituisce un sistema a feedback negativo per la
regolazione della pressione arteriosa.
Barocettori
All'aumento della pressione arteriosa, si registra aumento della scarica barocettiva (i barocettori sono
recettori da stiramento, risentono dello stiramento della parete vasale). Alla pressione di 40 mmHg il
recettore non scarica, a pressioni superiori la scarica aumenta progressivamente.
In realtà, però, la pressione è pulsatoria durante il ciclo cardiaco e il barocettore ha notevole
sensibilità dinamica, cioè è sensibile alla velocità con cui la pressione varia.
Durante il ciclo cardiaco, mostrano un picco di scarica durante la sistole e una pausa durante la
diastole (o la sua ultima parte). All'aumentare della pressione media, il periodo di silenzio si riduce
fino a scomparire del tutto. Alla pressione di 180 mmHg la scarica è costante (non è sensibili a ulteriori
stiramenti).
Se si considera la media della frequenza di scarica durante un ciclo cardiaco con una pressione media
di 100mmHg ma con profilo pressorio normale, si osserva che questa risposta di scarica è maggiore a
quella che si otterrebbe in risposta a una pressione costante. Questo avviene perche il barocettore ha
sensibilità dinamica: non è sensibile solo alla distensione (di quanti micron si allarga l'arteria), ma
anche alla velocità di allargamento (micron al secondo), per cui la scarica barocettiva durante il ciclo
cardiaco è più alta di quella che ci sarebbe se avessero solo sensibilità statica.
Considerando una fibra del seno carotideo che scarica durante i normali cicli cardiaci, se si smorza la
pressione pulsatoria mantenendo la pressione costante nel nodo del seno, la scarica barocettiva
diminuisce.
A livello normale di pressione, i recettori scaricano di più durante la sistole e la scarica diminuisce
durante la diastole. L'attività parasimpatica aumenta all'aumentare della pressione e diminuisce al
diminuire della pressione. Il simpatico, in maniera opposta, aumenta la frequenza di scarica alla
diminuzione della pressione e diminuisce all'aumento della pressione.
I barocettori sono il sistema più popolare nel controllo della pressione e verosimilmente anche nel
controllo immediato della pressione, ma non sono l'unico sistema.
Chemiocettori
I chemiocettori si ritrovano nei glomi aortici e carotidei. Questi recettori sono tra i tessuti che
consumano 2.4L di sangue per mg di tessuto (per cui sono tessuti molto piccoli, il nostro organismo
non si può permettere di averne molti). Sono localizzati al di fuori del vaso, nel tessuto intorno al vaso.
I chemocettori sono collegati a fibre la cui scarica aumenta quando:
- diminuisce la pressione parziale dell'ossigeno nel sangue;
- aumenta la pressione parziale dell'anidride carbonica;
- diminuisce il pH.
Queste fibre risentono anche del calo della pressione. Normalmente, quando vengono stimolate dal
calo pressorio, è necessario che la pressione scenda al di sotto di 80 mmHg affinche la scarica dei
recettori si modifichi. Queste fibre sono prevalentemente rivolte al controllo del respiro, ma agiscono
anche sul sistema circolatorio.
La loro stimolazione tende ad aumentare la pressione contribuendo all'aumento di pressione cui si va
incontro quando si sale di quota. L'aumento della pressione è dovuto soprattutto a vasocostrizione
(che risparmia i tessuti importanti, cervello e cuore). Mentre nel riflesso barocettivo la vasocostrizione
si accompagna ad aumento di frequenza cardiaca, questo riflesso provoca bradicardia. Allo stesso
modo, durante l'immersione (la pressione parziale dell'ossigeno cala), si verifica il riflesso da
immersione (vasocostrizione generalizzata e bradicardia). Il riflesso da immersione non è dovuto
solo ai chemiocettori, ma parte da una stimolazione tattile e termica (l'acqua fredda sul viso basta a
determinare vasocostrizione e bradicardia).
I chemiocettori aumentano la ventilazione (non in immersione, ovviamente) in condizioni normali,
provocando iperpnea. In questo modo, si attivano altri recettori che agiscono anche sulla frequenza
cardiaca, producendo tachicardia. Molto spesso, quindi, l'effetto bradicardizzante di questi barocettori
è nascosto dagli effetti tachicardici dovuti all'aumento di ventilazione. Lo stimolo chemiocettivo
produce un aumento dell'intervallo R-R (tra onda R e successiva, periodo tra un battito e l'altro)
transitorio (l'iperventilazione attiva altri recettori che sopprimono e rovesciano la bradicardia).
Recettori cardiopolmonari
I recettori cardiopolmonari sono una classe di barocettori eterogena. All'interno di questa classe, si
conoscono bene sono due tipi di recettori,
quelli localizzati negli atri.
Questi recettori sono localizzati anche
nell'endocardio ventricolare e in arterie e
vene polmonari. I due tipi di recettori
degli atri sono:
- recettori di tipo A: mentre nel
classico barocettore aortico la
scarica si riduce in diastole e
aumenta in sistole, i recettori di
tipo A scaricano durante l'onda A
(contrazione dell'atrio);
- recettori di tipo B: scaricano
durante l'onda Y, che corrisponde
al riempimento diastolico del
ventricolo.
La scarica di questi recettori dipende dal
grado di riempimento della parete atriale.
Il loro ruolo è importante nella
regolazione della pressione soprattutto
quando sono implicate variazioni del
volume (come in trasfusioni, che
aumentano il ritorno venoso, l'attività del
cuore e quindi la pressione). Più
correttamente, infatti, possono essere
definiti volumo-cettori (risentono della
massa circolante).
Questi recettori producono azioni che si
oppongono all'aumento di pressione.
Dopo infusione di 300 ml di sangue in
animale da esperimento, la pressione
aumenta di 15 mmHg. Denervando i
barocettori arteriosi, dopo infusione di sangue la variazione di pressione è raddoppiata (50 mmHg).
Denervando i recettori atriali di tipo B, l'incremento di pressione è enorme (120 mmHg). Questo
effetto sembra dipendere principalmente dai recettori di tipo B.
Quando il circolo va incontro a grosse variazioni di volume di sangue, questi recettori modificano la
loro scarica e impediscono variazioni pressorie consistenti.
⦁ La scarica aumenta quando l'atrio si dilata, diminuisce quando si riduce di volume. Infatti, i recettori
di tipo B riducono la pressione quando sono stimolati e la aumentano quando la loro scarica
diminuisce.
Rispetto ai barocettori, come è evidente dal grafico, sono sensibili a minime variazioni del volume
ematico, mentre i barocettori arteriosi rispondono solo a variazioni maggiori del volume ematico.
Questo indica che la maggior parte della compensazione alla variazione di volume viene effettuata in
anticipo, prima che la variazione di volume influenzi la pressione.
L'azione di questi barocettori è integrata ed è coinvolta nel controllo dell'equilibrio idrosalino.
La loro azione vasodilatante è importante a livello renale, in cui viene aumentata la filtrazione, quindi
aumenta l'escrezione urinaria. Il volume del sangue aumentato viene scaricato a livello renale.
Attivando i recettori atriali, oltre a
vasodilatazione dovuta a riduzione della
scarica simpatica, si verifica un altro effetto
sul rene: il simpatico, sul rene, non
controlla solo la muscolatura vasale, ma
anche la produzione di renina (sistema
renina-angiotensina-aldosterone).
Diminuisce, quindi, rilascio di renina (la
scarica simpatica stimola il rilascio di
renina) e diminuisce il riassorbimento di
sodio a livello renale (perche c'è meno
angiotensina I, meno angiotensina II e
meno stimolazione sull'aldosterone).
Essendoci meno angiotensina II, viene
stimolato meno l'ipotalamo e diminuisce la
produzione di ormone antidiuretico. Oltre a
questo, la scarica barocettiva atriale agisce
direttamente sull'ipotalamo riducendo il rilascio di ormone antidiuretico.
Si tratta quindi di un'azione generalizzata integrata con focalizzazione sul rene.
Gli effettori del riflesso barocettivo sono tre, ma in realtà il riflesso barocettivo agisce anche sulla
muscolatura addominale, coinvolta nel controllo della pressione.
La spremitura delle vene degli arti inferiore facilita il ritorno venoso al cuore aumentando la
pressione. La spremitura delle vene addominali alla contrazione dei muscoli addominali (che
aumentano la pressione addominale) permette il passaggio di sangue nella vena cava inferiore,
contribuendo a mantenere alta la tensione. Infatti, in caso di paralisi muscolare si va incontro a
ipotensione.
Nel riflesso barocettivo, oltre all'attivazione del simpatico, (anche quando vengono attivati i
chemocettori) aumenta la contrazione della muscolatura addominale, contribuendo ad aumentare la
pressione. Questa attivazione avviene quando la pressione diminuisce per stimolazione dei barocettori
o per stimolazione dei chemocettori.
Variazioni periodiche dei tracciati pressori
La variazione periodica della pressione è quella del ciclo sisto-diastolico (periodicità di 70 cicli al
minuto).
Si possono trovare variazioni dovute alla periodicità del respiro
(12 cicli al minuto), dette onde respiratorie. Queste onde
possono avere ampiezza anche di 5-20 mmHg. Questi eventi
sono stati registrati già agli inizi del 1900 da uno strumento
detto chimografo.
Il picco pressorio si verifica durante la prima fase
dell'espirazione. Può esserci un accoppiamento del centro
respiratorio (che genera l'attivazione periodica della
muscolatura respiratoria) con il centro vasomotore, per cui le
azioni del centro respiratorio possono farsi risentire sul centro
vasomotore. I recettori dell'atrio destro risentono della
distensione della parete atriale, che si distende durante
l'ispirazione. Altri recettori sono sensibili alle variazioni di volume polmonare, influenzando il centro
vasomotore.
Un altro elemento importante sono le variazioni del volume di sangue all'interno dei polmoni. Durante
l'inspirazione, il volume di sangue a livello polmonare aumenta (aumenta la capacità delle vene) e può
ridurre l'uscita a livello dell'atrio sinistro. Durante l'espirazione, il volume di sangue nel polmone si
riduce e viene spremuto maggiormente nell'atrio sinistro. Una qualunque variazione del genere può
generare conseguenze a livello del centro vasomotore.
Altre onde sono quelle vasomotorie o di Meyer, non sempre visibili, con ampiezza di 10-40mmHg.
Queste onde hanno periodicità più bassa di quella del respiro (periodo di 7-10 secondi), quindi non
sono dovute all'attività respiratoria, ma sono attribuibili a una variazione del circuito di controllo della
pressione arteriosa.
Il circuito più importante è quello barocettivo, ma in generare questi circuiti di controllo producono
variazioni di pressione di segno opposto a quelle che hanno attivato il sistema: feedback negativo,
risposta che annulla ciò che ha generato il segnale.
Questi circuiti, sono caratterizzati da attività tonica continua e da ritardi di conduzione. Messi insieme
l'attività tonica, il ritardo di conduzione e il meccanismo a feedback si realizza un circuito che presenta
una potenziale instabilità. Quando il guadagno (rapporto tra risposta e segnale che l'ha generato) è
molto elevato, il circuito comincia a oscillare, e determina tremore della pressione, oscillazione
pressoria (proprio come si verifica tremore se viene interessato il circuito motorio).
Ricordare che il mantenimento della pressione costate serve a mantenere costante la perfusione degli
organi vitali (non di tutti gli organi).
PRESSIONE
Gli effetti dell'infusione di sangue (dopo blocco dei riflessi barocettivi) provocano aumento della
pressione arteriosa, che si estingue in poco tempo per aumento del flusso urinario (che fa scendere la
gittata cardiaca ai livelli di controllo). Questo dimostra che la regolazione a livello renale a lungo
termine è fondamentale ed efficiente.
I problemi insorgono al momento dell'alterazione della funzionalità renale.
Se la capacità escretoria diminuisce, ad
esempio, per eliminare la normale quantità di
acqua e sale occorrono 150 mmHg e la
pressione si sposta, può essere alterata da
alterazioni della funzionalità renale. Il
meccanismo di regolazione fa in modo che le
malattie renali alterino la pressione arteriosa.
Un cambiamento della dieta (assunzione
eccessiva di acqua e sale) può aumentare
l'escrezione di acqua e sali, e la pressione da
mantenere sarebbe 160mmHg. Deve esistere
quindi un meccanismo che impedisca che la
pressione di modifichi in seguito a variazioni
della dieta: si tratta di un meccanismo che
permette di modificare la curva
dell'escrezione renale in relazione al cambio di
dieta.
Un aumento di pressione viene tamponato dalle
modificazioni renali di acqua e sali. La pressione può essere
alterata da due fattori:
– diminuzione o aumento della capacità escretoria
renale: la curva che lega la pressione arteriosa e
l'escrezione si sposta verso destra o verso sinistra.
Per eliminare la stessa quantità di acqua e sali che il
rene eliminava normalmente, è necessaria una
pressione arteriosa maggiore (il grafico A mostra il
caso dello spostamento a destra della curva di
eliminazione renale su un livello di pressione più
elevato);
– aumento dell'assunzione di acqua e sali:
normalmente, modificazioni della dieta con
aumento di apporto di acqua e sali non determinano
conseguenze notevoli (grafico B).
Se l'assunzione idrosalina aumenta in un soggetto normale, invece, l’aumento della pressione dovuta
ad un’espansione del volume del LEC (causato dall'aumento dell’assunzione idro-salina) comporta
l’insorgenza di un meccanismo regolatorio che aumenta l’escrezione di acqua e sali, spostando verso
sinistra la curva escrezione/pressione.
In caso di cambiamento della dieta, quindi, la curva della diuresi pressoria, a rene funzionante, si
sposta perche il rene diventa molto più capace di eliminare acqua e sali a pressioni normali: fino a una
quantità di acqua e sali 4 volte superiore a quella normale ad una pressione di 100mmHg. Questo
avviene grazie a un controllo di natura nervosa e umorale.
Un carico idrosalino (dieta salata per una settimana) in soggetti
resistenti e non resistenti ai sali tutti normo-tesi provoca un
evidente aumento di peso per accumulo di liquidi e sale
(cambiamento del 3%). L'aumento dell'escrezione si sviluppa
con una certa lentezza.
– Peso corporeo, grafico E: l'accumulo di liquidi
immediato e decisivo (aumento di peso) dimostra che
ancora non si è aumentata l'escrezione. Si espande il
volume del liquido extracellulare e il volume del sangue,
ma il meccanismo che sposta la curva della funzione
renale non è immediato;
– Accumulo di sodio, grafico D: accumulando 600mmol
di sodio, visto che la concentrazione di sodio nel liquido
extracellulare è di 140mmol/L, si accumulano 4 L di
liquido (questa relazione permette di valutare
l'incremento del peso corporeo in funzione del sodio
accumulato);
– Gittata cardiaca, grafico C: la gittata cardiaca
incrementa, raggiunge un picco e poi inizia a declinare;
– Pressione arteriosa media, grafico A:
paradossalmente, in alcuni soggetti, la pressione non
aumenta, anzi diminuisce, mentre in altri la pressione
aumenta. I soggetti che non diventano ipertesi (la
pressione non aumenta) sono soggetti resistenti ai sali
(SR), quelli sensibili ai sali (SS) diventano leggermente
ipertesi, la pressione aumenta del 10% (10-15 mmHg).
– Resistenza vascolare sistemica, grafico B: il
meccanismo di difesa contro l'aumento pressorio che
seguirebbe all'aumento di volume, quindi, è più efficace
in alcuni soggetti. La differenza è la capacità dei soggetti
resistenti ai sali di generare un calo della resistenza
periferica: all'aumento del volume, i soggetti resistenti
fanno calare la resistenza periferica. I soggetti sensibili ai
sali non attuano questo meccanismo e la pressione sale.
Un abbassamento della pressione arteriosa stimola la produzione della renina che agisce
sull'angiotensinogeno (per 30-60 minuti) per produrre angiotensina I. Quest'ultima, soprattutto a
livello polmonare, viene trasformata in angiotensina II (emivita di pochi minuti, viene
immediatamente inattivata), che induce il rilascio di ADH a livello ipotalamico e agisce direttamente
sull'assorbimento renale di acqua e soluti (aumentandolo) e direttamente sull'arteriole
(vasocostrizione, aumenta la pressione).
Al contrario, un aumento della pressione arteriosa inibisce il
rilascio di renina.
Almeno in una popolazione dei soggetti (SS), la pressione non
cambia: il livello della pressione arteriosa non giustifica i
cambiamenti nella produzione di renina.
Quindi, il segnale che porta alla diminuzione della produzione di
renina (per aumentare l'escrezione renale bisogna inibire il
sistema renina-angiotensina-aldosterone) non può essere
l'aumento di pressione, in quanto nei soggetti sensibili la
pressione aumenta (solo in essi si potrebbe giustificare
l'inibizione del rilascio di renina), ma nei soggetti resistenti
addirittura la pressione diminuisce, il che indurrebbe il rilascio
di renina. Le variazioni di pressione vengono percepite
dall'endotelio dell'arteriola afferente.
Nella produzione di renina, inoltre, interviene il controllo
nervoso: l'aumento della scarica simpatica induce aumento nella
produzione di renina.
In questa condizione, il volume del sangue aumenta, incrementa
la scarica dei recettori atriali di tipo B e viene prodotto un calo
del tono simpatico sul rene (attraverso i recettori β il simpatico
controlla la produzione di renina). Questo potrebbe essere
un meccanismo che spiega la diminuita produzione di
renina (sebbene non sia stato verificato nell'esperimento
preso ad esempio).
Ipertensione di Goldblatt
Se il rene non funziona bene, la sua capacità di controllo del volume del LEC diminuisce. Oltre a un
malfunzionamento, esistono altre condizioni che possono
alterare i meccanismi renali e quindi la loro regolazione
della pressione arteriosa. Se il rene soffre di ischemia si
mettono in modo meccanismi che tendono ad aumentare la
pressione arteriosa e il volume del sangue.
Ad esempio, costringendo le arterie renali si determina
l'ipertensione di Goldblatt: la pressione arteriosa
sistemica aumenta immediatamente per la produzione di
renina (e la conseguente vasocostrizione) dovuta alla caduta
di pressione dell'arteria renale. L'aumento di pressione
rialza la pressione nell'arteria renale e la produzione di
renina diminuisce. La pressione continua a salire per
l'accumulo di acqua e sale ed espande il volume del sangue.
L’aumento della pressione arteriosa dopo la costrizione
renale ha un andamento temporale bifasico: l’aumento
tardivo è dovuto all’espansione del volume plasmatico.
Nonostante la produzione di renina sia poco più elevata dei
livelli normali, la pressione è comunque elevata. Se la
costrizione dell'arteria viene rimossa, la pressione
diminuisce gradualmente e torna ai livelli normali. I
meccanismi del rene scattano in relazione alla sua
irrorazione, per cui può essere "ingannato".
In caso di scompenso cardiaco, il cuore non riesce a
sostenere la normale circolazione (non riesce a pompare la
normale gittata) e il rene viene perfuso di meno. Per questo motivo, vengono innescati, anche in
questo caso, meccanismi sodio-ritentivi che aggravano la condizione.
Allo stesso modo, un tumore secernente che infonde continuamente angiotensina o aldosterone
può avere le stesse conseguenze (ipertensione per accumulo di acqua e sali). In questo caso la
pressione ritorna ai livelli di controllo per l'intervento di altri meccanismi. Uno di essi può essere il
peptide atriale natriuretico (prodotto per la dilatazione atriale).
CIRCOLI LOCALI
Circolazione coronarica
Il flusso relativo nelle due arterie coronarie presenta, nell’uomo, una notevole eterogeneità.
Il flusso attraverso la coronaria di sinistra e quella di destra in molti è uguale (30%), o si può verificare
un maggior flusso a destra (50%) o a sinistra (20%).
I due circoli sono anastomizzati a livello arterioso (non artero-venoso, altrimenti il cuore andrebbe
incontro ad infarti perche i capillari sarebbero bypassati) all'apice del cuore.
La capillarizzazione è di 1 capillare per fibra: lo stesso rapporto del muscolo scheletrico, con la
differenza che la fibra del muscolo scheletrico è di dimensione molto maggiore quindi la densità
capillare del cuore è più elevata (3000-4000 capillari per mm 2 contro i 300-400 del muscolo
scheletrico).
A riposo, la portata è 60-80ml/min per 100 grammi di tessuto (circa 225 ml/min, 5% della gittata),
durante l'attività fisica aumenta di 4/5 volte (200-330ml/min/100g).
Il ritorno venoso, per la maggior parte, viene dal seno venoso coronarico che si svuota nell'atrio
destro (90%). Un 10% viene dalle vene cardiache accessorie che si svuotano nell'atrio destro e dalle
vene di Tebesio, che si svuotano bilateralmente. Le vene di Tebesio, per il fatto che si gettano nell'atrio
sinistro, portano a un mescolamento del sangue arterioso proveniente dai capillari polmonari con
quello venoso refluo dai tessuti cardiaci. Questa situazione è definita shunt anatomico: cortocircuito
tra sangue arterioso e sangue venoso che determina un leggero calo della pO 2 (pressione parziale di
ossigeno), per cui la pO2 del sangue arterioso è inferiore di
quella del capillare alveolare.
La dinamica del ventricolo sinistro è diversa nella regione epicardica da quella endocardica. L'ischemia
della parte epicardica del ventricolo sinistro è inferiore a quella endocardica, in quanto la pressione
interstiziale, durante la sistole, è molto più elevata nell'endocardio che nell'epicardio.
In un esperimento, si inseriscono due micro-cannucce cave nell'endocardio che lasciano passare
liquido. Le due cannucce sono congiunte da un tratto collassato (che viene compresso dalla pressione
del tessuto) e perfuse da un liquido la cui pressione è mantenuta costante da un manometro. Si può
misurare la pressione che si ottiene a livello dell'endocardio osservando il livello di pressione del
recipiente per il quale il flusso diventa da continuo a gocciolante a causa della pressione tissutale che
schiaccia in tratto collassabile (durante la sistole). Si dimostra che la pressione, a livello endocardico, è
maggiore di quella a livello epicardico (dove la pressione non supera mai il valore della pressione
sistolica aortica): durante la sistole l'epicardio riceve più sangue e il flusso a questo livello non diventa
mai nullo. L'endocardio, che è più ischemizzato, va incontro a maggior iperemia reattiva, per cui il
flusso coronarico medio è uguale nelle due regioni del cuore (per la maggior iperemia reattiva
diminuiscono le resistenze).
Le differenze che ci sono in sistole vengono annullate da quelle che ci sono in diastole per cui entrambi
ricevono la stessa quantità di sangue. L'endocardio ha anche densità maggiore di capillari, facilitando
l'afflusso di sangue (altro elemento che "pareggia i conti") e, inoltre, ha livelli di mioglobina maggiori
rispetto all'epicardio.
L'aumento della frequenza cardiaca, inoltre, produce aumento del flusso coronarico e anche a parità di
lavoro del cuore l'aumento di frequenza ha sempre l'effetto di aumentare il consumo di ossigeno.
Se la frequenza cardiaca aumenta da 113 a 136 battiti al
minuto (cuore pilotato, il battito è regolato dallo
sperimentatore con un pacemaker e vengono bloccati
simpatico e parasimpatico), il consumo di ossigeno aumenta
indipendentemente da possibili rifletti simpatici e
parasimpatici. Il grafico mostra l'effetto sul flusso coronarico di
un aumento della frequenza.
– Il flusso coronarico fasico, illustrato dal grafico in
basso, mostra un rovesciamento del flusso durante la
sistole e valori molto bassi durante la prima fase di
eiezione;
– il grafico del flusso coronarico medio (una media
valutata in un certo intervallo) mostra in maniera più
evidente che, nel momento in cui la frequenza viene
portata a 136-137 battiti al minuto (indicato dalla
freccia), il flusso aumenta.
Le coronarie sono influenzate da diversi recettori, che si ritrovano nella parete degli organi interni:
- recettori atriali;
- recettori gastrointestinali;
- recettori vescicali;
- recettori della cistifellea.
La stimolazione di questi recettori per dilatazione della parete dell'organo determina costrizione
coronarica.
Gli esperimenti sono fatti a cuore pilotato e blocco dell'innervazione (si deve evitare che la frequenza e
l'inotropismo siano alterati dalla stimolazione simpatica). Questo avviene stimolando elettricamente
l’atrio destro ad una frequenza superiore a quella ottenibile con l’attivazione simpatica o bloccando i
recettori β1 per la noradrenalina, responsabili delle azioni sui miocardiociti, con un antagonista
specifico. I recettori β espressi sulla muscolatura liscia vasale sono di tipo 2 e non sono bloccati dagli
antagonisti specifici β1.
Si osserva una costrizione coronarica dalla stimolazione di questi recettori, ma il significato fisiologico
è ignoto.
Infatti, si ha alta incidenza di ischemia coronarica al mattino, a vescica tesa (i recettori vescicali
effettuano la loro azione vasocostrittoria); quelli gastrointestinali possono essere associati agli eventi
di ischemia coronarica post-pradiale; c'è inoltre correlazione tra patologie della cistifellea e ischemia
coronarica.
I vasi coronarici vengono costretti dall'insulina e dall'ormone somatotropo (utilizzato come forma di
doping per aumentare la massa corporea).
Hanno azione dilatante gli ormoni sessuali come 17β-estradiolo, testosterone e progesterone. Il
deidroepiandrosterone, precursore degli ormoni sessuali, ha azione vasocostrittoria.
L'insulina (cosi come l'ormone somatotropo, utilizzato nel doping) produce contrazione delle
coronarie, ma può agire in modo diverso:
- attiva il SNC centrale, quindi il simpatico e produce vasocostrizione (azione prevalente);
- agisce sull'endotelio e sul rilascio di ossido di azoto, quindi dilatazione.
Circolo muscolare
Il muscolo scheletrico riceve, a riposo, il 20% della gittata cardiaca. In attività fisica, la percentuale di
consumo della gittata cardiaca si rovescia e l'80% del sangue va ai muscoli di attività.
L'irrorazione muscolare dipende dal tipo di muscolo, quindi dal tipo di fibra muscolare.
Le unità motorie (motoneurone e fibre da esso innervate) in grado di sviluppare poca tensione sono
composte da fibre muscolari che hanno capacità di resistere alla fatica in quanto hanno un buon
metabolismo aerobico (muscoli tonici). Queste fibre sono ben irrorate (15ml/min per 100g di tessuto
a riposo), per cui i muscoli sono rossi, e si contraggono lentamente. In attività fisica, l'irrorazione
arriva a 150ml/min/100g
Le fibre rapide, invece, sviluppano tanta tensione (organizzate in unità motorie molto più grandi) e si
affaticano subito (muscoli fasici), in quanto non hanno un buon metabolismo aerobico. La scarsa
irrorazione rende il muscolo pallido, bianco. Il livello di irrorazione è 3ml/min per 100g di tessuto. In
attività fisica la vascolarizzazione può raggiungere i
60ml/min/100g.
La contrazione muscolare può essere continua, tonica,
oppure ritmica. Il tipo di contrazione prodotto influenza
notevolmente il flusso innanzitutto dal punto di vista
meccanico. I muscoli contratti, che sviluppano alti livelli
di tensione per tempi lunghi, hanno flusso scarso (la
contrazione schiaccia i vasi). Se il muscolo si contrae e si
rilascia ritmicamente, il flusso aumenta anche se le
contrazioni ritmiche producono un aspetto pulsatile del
flusso (la perfusione continua anche se il muscolo si
contrae in quanto la contrazione non è tale da chiudere il
vaso).
L'autoregolazione che caratterizza questo distretto
permette di mantenere il flusso ematico costante tra i 60 e
i 180mmHg. Un importante contributo è dato dalla risposta miogena delle arteriole. Il tono miogeno,
generato da proprietà intrinseche delle cellule muscolari lisce, è necessario a mantenere il livello di
contrazione basale dei vasi.
A riposo, il tessuto muscolare è sotto un tono simpatico vasocostrittore mediato dai recettori α1.
Privando il muscolo di queste fibre nervose, il flusso aumenta fino al 200-300%. Un incremento di
livello di attività del simpatico può diminuire il flusso fino a 1/4 del livello di partenza. Nonostante
l'azione simpatica dominante, l'endotelio vasale del tessuto muscolare è sensibile alla noradrenalina e
all'adrenalina (recettori β), che contribuiscono all'iperemia attiva.
Il muscolo è innervato anche da fibre simpatiche colinergiche, cui precedentemente veniva attribuita
un'azione vasodilatatoria in grado di garantire maggior
apporto sanguigno al muscolo nel momento
precedente all'attività fisica. Sebbene sia vero che
queste fibre si attivano prima dell'esercizio fisico e
aumentano il flusso al muscolo, tale incremento non
riguarda la rete capillare, ma i canali preferenziali che
collegano arteriole e vene. In base a
quest'osservazione, si deduce che l'innervazione
colinergica sia volta piuttosto ad evitare eccessivi
aumenti della pressione.
La muscolatura liscia dei vasi del muscolo scheletrico è
sotto il controllo dei barocettori: la loro attivazione
produce una caduta della resistenza vascolare del
muscolo. Si verifica il classico riflesso carotideo, dopo
occlusione delle carotidi: l'occlusione della carotide
provoca caduta di pressione nel seno carotideo, crollo
della stimolazione dei barocettori, aumento dell'attività
simpatica e quindi aumento della pressione. Quando
l'occlusione viene rimossa, l'incremento di pressione
nel seno carotideo determina in via riflessa una riduzione della scarica simpatica, quindi un aumento
del flusso ematico muscolare. Il grafico mostra le variazioni della pressione arteriosa media e del
flusso muscolare medio determinate dall'occlusione temporanea della carotide (le frecce indicano
inizio e fine dell'occlusione). Durante il periodo di aumento della pressione arteriosa, il flusso a livello
muscolare diminuisce per vasocostrizione dovuta al riflesso barocettivo.
Anche i vasi della circolazione muscolare risentono dei recettori (meccanocettori) presenti a livello di
colecisti, stomaco, vescica e utero, la cui distensione attiva il simpatico e produce vasocostrizione nel
muscolo.
La circolazione muscolare risente anche di influenze umorali. In particolare, i vasi muscolari sono
dilatati dall'insulina e dall'adrenalina (sui recettori β, fondamentale durante l'attività fisica). Lo stesso
effetto hanno altri ormoni attivi anche a riposo, come progesterone, 17β-estradiolo e testosterone, il
cui significato funzionale non è chiaro.
A riposo, domina l'attività nervosa, che tiene sotto controllo il flusso muscolare. Appena comincia
l'attività e si accumulano i metaboliti, la regolazione locale prende il sopravvento grazie ai fattori
plastici che sono aumento dei livello di potassio. In aggiunta, si verifica un aumento dell'osmolarità
dell'interstizio legata ai metaboliti, aumento del fosfato, dell'adenosina, della pCO 2, di acido lattico e
prostaglandine. Tutte queste sostanze inibiscono il rilascio di noradrenalina. Quindi, il tono simpatico
viene meno grazie all'azione periferica di queste sostanze, aumentando il peso delle catecolamine
circolanti.
Circolo cerebrale
A livello cerebrale, il flusso è di 750-900 ml/min, circa il 15% della gittata cardiaca, ovvero 50-60
ml/min per 100g di tessuto. Per i vasi extra-parenchimali esiste una innervazione autonomica, ma il
simpatico e il parasimpatico non entrano a innervare i vasi del parenchima. A livello intra-
parenchimale si verifica una innervazione intrinseca attuata da nuclei di neuroni. Innanzitutto, il
nucleo parabrachiale e il nucleo basale di Meynert sono nuclei colinergici che innervano regioni
estesissime della corteccia e dell'encefalo in generale. L'acetilcolina genera attività neuro-modulatoria
influenzando diversi distretti. Ruoli simili sono svolti dal sistema noradrenergico del locus coeruleus e
dalla serotonina del nucleo dorsale del rafe.
Questi sistemi che controllano in maniera diffusa l'attività cerebrale sono anche implicati nel controllo
regionale della circolazione.
Quando una regione del cervello aumenta la sua attività, si verifica un incremento localizzato del flusso
(localizzato nel senso di limitato all'area in cui si è verificato l'incremento) attribuibile a diversi fattori:
– innanzitutto l'aumento è dovuto al classico meccanismo di iperemia attiva, attribuibile al
potassio, agli idrogenioni (soprattutto derivati dall'anidride carbonica che aumenta in caso di
metabolismo attivo), all'adenosina e al lattato;
– la stessa rete neuronale che viene attivata (spesso composta da neuroni eccitatori
glutammatergici) libera glutammato, che agisce sugli astrociti aumentando la concentrazione
intracellulare del calcio. Il calcio determina aumento del rilascio di sostanze vasodilatatrici,
aumentando l'iperemia attiva;
– l'innervazione intrinseca (da parte dei nuclei cerebrali)
a sua volta agisce sugli astrociti e determina rilascio di
sostanze vasodilatatrici;
– inoltre, i neuroni nitrinergici attivi nella rete portano ad
aumento del flusso per l'azione vasodilatante immediata
del NO;
– i neuroni nitrinergici, anche non specifici per la
funzione vasale (che potrebbe essere una funzione
accessoria), e neuroni che producono prostaglandine ad
azione vasodilatatrice, vengono attivati da glutammato
per stimolazione dei recettori NMDA (sensibili sia al
ligando che alla depolarizzazione, si attivano solo quando la membrana cellulare è
depolarizzata: se il ligando interagisce col recettore
quando la membrana non è depolarizzata, non
funzionano);
– l'elemento locale più importante è la pCO2, per effetto
soprattutto degli idrogenioni che fanno rilasciare
direttamente il muscolo liscio e inducono il rilascio locale
di NO e prostaglandine.
La risposta all'ipossia (vasodilatazione) ha una curva meno ripida
di quella dovuta alla pCO2. Quando la pO2 scende a circa 60mmHg, la curva si impenna (a quella
pressione il carico di ossigeno sull'emoglobina è pari all'89% del valore normale), cioè l'aumento del
flusso cerebrale è particolarmente marcato.
Il flusso ematico cerebrale è mantenuto costante per pressioni tra i 70 e i 120mmHg e in questa
regolazione il meccanismo miogeno è particolarmente importante. L'autoregolazione è dovuta al fatto
che lo stiramento della parete modifica le proprietà dei filamenti di actina e miosina (o forse
all'apertura di canali per il calcio voltaggio dipendenti).
I vasi si costringono quando la pressione aumenta e si rilasciano quando diminuisce in modo da
mantenere costante il flusso. Se la pressione del
circolo è elevata, il tessuto andrebbe incontro ad
edema per cui i vasi si costringono per limitare il
flusso. In caso di ipertensione ad alti livelli
permanente progressiva, il vaso si arrende, la
compliance vasale aumenta, si ha vasodilatazione
con aumento di flusso e aumento di pressione a
livello tissutale.
La curva auto-regolatoria è modulata dall'attività
del simpatico e viene ad essere spostata verso
destra quando il tono simpatico aumenta, verso
sinistra quando diminuisce. Nei casi in cui la
pressione è cronicamente elevata, la curva si
sposta verso destra, in modo da permettere di
mantenere il flusso costante anche a pressioni più elevate rispetto a quelle di un soggetto normale.
Siccome la pressione può variare verso il basso anche in un soggetto iperteso, lo spostamento della
curva a destra rende il cervello meno protetto al rischio dell'ipoperfusione (che è più facilmente
raggiungibile da un soggetto iperteso rispetto a uno normale).
L'ambiente cellulare cerebrale non può essere esposto all'ambiente circolatorio in maniera
discriminata, in quanto molte sue componenti potrebbero inferire con l'attività neuronale. Per questo
motivo, i capillari cerebrali sono molto poco permeabili e non lasciano passare le sostanze polari. Se si
iniettano coloranti polari nel liquor o nel sangue, è visibile che rimangono confinati al compartimento
in cui sono stati iniettati. L'endotelio capillare e la lamina basale formano la barriera emato-
encefalica che impedisce la diffusione delle sostanze idrosolubili attraverso gli spazi intracellulari.
Alla lamina basale aderiscono i pedicelli degli astrociti e i periciti, che probabilmente contribuiscono
alla differenziazione delle giunzioni serrate fra le cellule endoteliali, o di altre caratteristiche legate
all’impermeabilità della barriera.
La mancanza di permeabilità degli spazi tra le cellule alle sostanze polari non impedisce il movimento
delle medesime. Non è più possibile il trasporto
diffusionale paracellulare, ma solo transcellulare, attivo o
passivo. Il controllo del passaggio delle sostanze polari è
maggiore, legato all'esistenza di carrier specifici. Viene
permessa quindi una sensibilità di controllo molto
maggiore sia per l'eliminazione dei prodotti del
metabolismo sia per l'ingresso a livello cerebrale.
A differenza delle sostanze polari, quelle non polari
passano facilmente (ossigeno, anidride carbonica,
anestetici, alcol).
Il coefficiente di distribuzione olio-acqua è il rapporto
tra la concentrazione che ha la sostanza tra una fase
lipidica e una acquosa poste a contatto tra loro (se è
basso allora la sostanza è più concentrata nell'acqua, se è
alto nei lipidi). Il passaggio di sostanze a livello
cerebrale dipende da questo rapporto. Tre sostanze (L-
DOPA, fenilalanina e D-glucosio) hanno capacità di
passaggio notevole pur essendo polari per la presenza
di trasportatori specifici. Un altro meccanismo
attraverso cui grosse molecole polari come proteine possono attraversare la barriera sono i processi di
pinocitosi, in generale endocitosi, soprattutto quelli mediati da recettori.
Il cervello è chiuso in un compartimento rigido, per cui ogni aumento della pressione nell'interstizio e
nel liquor ha la conseguenza di bloccare il flusso del sangue perche il vaso viene compresso
dall'aumento di pressione e si verifica ischemia.
Anche in caso di trauma si verifica un aumento della filtrazione a livello capillare (i traumi aumentano
la permeabilità capillare, cosi come l'aumento di pressione capillare), aumentando la pressione
interstiziale con conseguente blocco del flusso ematico.
Per ripristinare il circolo, è necessario decomprimere il liquor e somministrare soluzioni ipertoniche
che drenano l'interstizio cerebrale.
Per questo motivo, l'ipertensione deve essere associata ad un aumento della scarica simpatica per
difendere il cervello. Prima dell'aumento della scarica simpatica, un altro elemento di difesa è
l'autoregolazione della muscolatura vasale.
Circolazione cutanea
La circolazione cutanea è strettamente
legata alla cessione di calore
all'ambiente: la circolazione aumenta
quando bisogna cedere calore
all'ambiente, diminuisce in caso
contrario. Quando occorre cedere calore
all'ambiente, la circolazione passa da
1mL/min per 100g di tessuto a
150mL/min/100g di tessuto.
Il flusso aumenta in caso di temperature
ambientale elevate in quanto, oltre a
raffreddare il sangue che raggiunge la
superficie del corpo, il circolo sanguigno
sostiene la sudorazione. Facendo evaporare il sudore, il sangue si raffredda: il calore del sangue serve
a far evaporare il sudore anche se l'ambiente è a una temperatura superiore del sangue.
Il circolo cutaneo è formato da due componenti:
- plesso profondo: arterie e vene collegate da anastomosi artero-venose normalmente chiuse
da tono simpatico elevato;
- plesso superficiale: sviluppo del circolo solo a livello di capillari che si approfondano nel
derma.
Quando aumenta il flusso alla cute, si aprono gli shunt artero-venosi (per caduta del tono simpatico) e
il circolo superficiale ne soffre. Se questo sistema non è ben calibrato, per quanto sia funzionale alla
termoregolazione, si possono avere problemi al circolo superficiale e indurre difficoltà nella nutrizione
della cute. I meccanismi vasodilatatori non sono solo profondi, ma anche superficiali.
A livello profondo di alcuni tessuti, le anastomosi si aprono all'aumento del flusso di sangue
(polpastrelli, cute delle orecchie, pianta del piede, naso, labbra).
Le ghiandole sudoripare sono innervate da neuroni post-gangliari colinergici, che inducono la
sudorazione e si affiancano al ruolo svolto dal controllo simpatico. Le ghiandole sudoripare, una volta
attivare, producono callicreina e attivano sostanze come la bradichinina, che ha azione vasodilatante.
Si può parlare di una vera e propria iperemia attiva che incrementa il circolo nella regione più
superficiale.
In seguito a denervazione simpatica si assiste a vasodilatazione cutanea, che però diminuisce nel
tempo a causa di un’aumento della sensibilità arteriolare alle catecolamine circolanti.
Circolo splancnico
Diversi organi dell'apparato gastrointestinale sono vascolarizzati separatamente da rami che si
staccano dall'aorta, mentre il sangue venoso entra nel sistema della vena porta. Il sangue portale
costituisce il 70% del sangue che giunge al fegato ed è drenato dalle arterie epatiche.
A riposo, il circolo splancnico riceve il 30% della gittata
cardiaca, cioè 1500-1800 ml/min.
I vasi arteriosi che irrorano l’intestino penetrano nella
sottomucosa e danno origine a vasi di secondo ordine e
terzo ordine (ramificazioni progressive). Da questi ultimi
si staccano vasi che si portano nei villi intestinali e altri
che terminano negli strati di
muscolatura circolare e longitudinale.
Il sangue contenuto nelle arteriole del
villo defluisce dalla base all'apice,
mentre il sangue delle venule fluisce
dall'apice alla base del villo.
Arteriola e vena sono in stretto
contatto tra loro e in questo modo le
sostanze riassorbite passano in parte
nell’arteriola, impedendo variazioni elevate dell’osmolarità del sangue portale.
L'arteriola, infatti, non è ricca di nutrienti, in quanto è avvenuto già un certo
assorbimento da parte dell'epitelio intestinale, per cui le sostanze passano dalla
venula all'arteriola e si riportano verso l'apice del villo. Di conseguenza, la
concentrazione di nutrienti nell'interstizio aumenta e questo rende più difficoltoso
l'assorbimento delle sostanze che si ritrovano nel lume.
D’altra parte, però, parte dell’ossigeno passa dall’arteriola alla venula prima di
essere trasportato fino all’epitelio, che, per questa ragione è molto sensibile
all’anossia.
In pratica, avvengono scambi controcorrente, cortocircuiti che determinano scambi di sostanze tra i
due vasi per gradiente di concentrazione.
L'interstizio del villo tende a mantenere una concentrazione di nutrienti bassa per permettere il
riassorbimento di sostanze dal lume. In caso la concentrazione di sostanze aumenti all'apice del villo,
si rallenta la velocità di assorbimento intestinale: è uno dei meccanismi sfruttati per regolare la
velocità dell'assorbimento di nutrienti.
Durante l’attività, il flusso totale (che a riposo è di 15-25 nel colon, nel tenue 30-40mL/min/100g di
tessuto) sale fino a 45-70mL/min/100g.
L'aumento del flusso è più marcato di quanto sembri in quanto si deve considerare che l'attività non
varia simultaneamente lungo tutto il tubo digerente, ma è limitata a una regione mentre le altre sono a
riposo e non necessitano di un aumento del flusso.
Inoltre, la mucosa riceve 4-5 volte più sangue della muscolatura e passa da 50-60 a 300-400
mL/min/100g di tessuto.
Il flusso di sangue all'intestino diminuisce durante la contrazione muscolare, in cui aumenta il ritorno
venoso. A questo livello, l'attività più rappresentata è quella di riassorbimento (non tanto l'attività
contrattile dunque), la quale riassorbe circa 8.5L al giorno (grazie soprattutto all'intensa attività della
pompa sodio-potassio).
Rispetto al colon, la perfusione dell'intestino è maggiore.
La regolazione della circolazione splancnica spetta a meccanismi locali (iperemia attiva) e al SNA.
Il parasimpatico, ad esempio, agisce sia sulle cellule enterocromaffini (serotonina e istamina) che sulla
secrezione ghiandolare (callicreina) generando un'azione vasodilatante indiretta.
Il simpatico, tramite i recettori α, induce vasocostrizione (sono presenti anche recettori β).
Il flusso intestinale presenta autoregolazione solo a livello del tenue. Il fenomeno è dovuto a
meccanismi metabolici, rappresentati da variazioni nella concentrazione di K +, adenosina e
dell’osmolarità del tessuto.
La vasodilatazione del circolo intestinale è prodotta dal rilascio degli ormoni nel corso dell’attività
digestiva (secretina, gastrina, colecistochinina) da cellule dello stomaco e dell’intestino, oltre che da
fattori umorali locali, alcuni dei quali rilasciati da cellule nervose dei plessi.
Fra i fattori locali i più importanti sono la bradichinina, il NO, le prostaglandine, i peptidi VIP (peptide
intestinale vasoattivo) e la sostanza P.
Inoltre, le cellule enterocromaffini rilasciano istamina e serotonina a seguito di stimoli meccanici,
dell’attivazione del vago e dell’influenza degli ormoni gastrointestinali (secretina, gastrina e
colecistochinina). Gli stimoli meccanici sono recepiti da meccanocettori situati nella mucosa che
reagiscono alla distensione della parete.
Infine anche l’insulina, ormone secreto dal pancreas durante l’attività digestiva esercita un azione
vasodilatatoria, dovuta alla produzione di NO.
Circolo epatico
Le venule portali terminali danno origine ai capillari
sinusoidi, che confluiscono nelle venule epatiche
terminali. Ai sinusoidi si uniscono i capillari che hanno
origine dalle arteriole terminali epatiche.
A livello dell’arteria epatica, la pressione è di 90 mmHg,
mentre è di 10 mmHg a livello portale e di 2.5 mmHg nei
sinusoidi. Le variazioni di pressione della vena epatica si
trasferiscono direttamente ai sinusoidi, in quanto la
resistenza a monte di questi è abbastanza elevata.
Il sangue portale è piuttosto ricco di ossigeno
(18ml/100ml di sangue), in quanto il consumo
intestinale di ossigeno è basso.
Il flusso ematico epatico corrisponde a 100-130
ml/min/100gr, di cui 30-40 provenienti dall’arteria epatica e 70-90 dalla vena porta. Ogni aumento del
flusso di sangue in uno dei due distretti è compensato da una riduzione nell’altro, in modo da
mantenere la perfusione quasi costante. I meccanismi di questo effetto non sono noti.
Mentre il flusso nell’arteria epatica è autoregolato, quello portale non lo è. Il flusso aumenta durante la
fase digestiva come semplice conseguenza dell’aumento del flusso intestinale.
I vasi arteriosi e le venule pre-sinusoidali ricevono una innervazione simpatica.
L’effetto sul circolo portale è vasocostrittorio, dovuto ai recettori α, mentre quello sulle arteriole
potrebbe essere vasodilatatorio, mediato da recettori β.
Il fegato contiene il 15% del sangue circolante e metà di questo volume può essere messo in circolo a
seguito di un’emorragia, grazie alla stimolazione del simpatico (serbatoio di riserva).
Circolo polmonare
Essendo la circolazione polmonare e quella sistemica disposte in serie, la gittata del ventricolo destro e
sinistro devono essere uguali. Qualunque differenza permanente di gittata porterebbe ad un
progressivo aumento del volume di sangue in uno dei due distretti del circolo (sistemico o polmonare)
e ad un depauperamento dell’altro distretto.
Bisogna tener conto del fatto che il circolo polmonare riceve anche l’1% della gittata del ventricolo
sinistro attraverso le arterie bronchiali che irrorano il connettivo, i setti e i bronchi (grandi e piccoli). Il
sangue refluo dalla circolazione bronchiale torna all’atrio sinistro (piccola circolazione) e non a quello
destro, contribuendo ad abbassare la pressione di ossigeno del sangue arterioso.
Questa differenza è comunque tralasciabile, per cui si assume che le uscite dei due ventricoli siano
uguali.
Il circolo polmonare è un circolo a bassa resistenza: le arterie polmonari hanno lunghezza ridotta, con
ramificazioni corte. Le loro pareti sono sottili e di spessore ridotto (un terzo dello spessore dell’aorta).
A causa di tale sottigliezza, la compliance dell’albero arterioso polmonare è 7 mL/mmHg, pari a quella
dell’albero sistemico. Questo vuol dire che una variazione di pressione tran-smurale di 1 mmHg
produce una variazione volumetrica di 7mL sia nelle arterie sistemiche, il cui volume è di circa 600 mL,
che in quelle polmonari, il cui volume si aggira probabilmente attorno ai 200 mL. Pertanto la
compliance specifica (distensibilità) delle arterie polmonari è circa 3 volte maggiore rispetto a quelle
sistemiche (in cui è 1.12%, contro il 3.5% delle arterie polmonari).
Le vene polmonari sono invece simili a quelle sistemiche.
Il volume di sangue contenuto nel circolo polmonare è di circa 450 mL (9% del volume di sangue
totale): 70 ml sono contenuti nei capillari, il resto è diviso in parti più o meno uguali fra arterie e vene.
Il volume di sangue contenuto nel circolo polmonare
diminuisce nell’emorragia, in quanto, grazie all’attivazione
simpatica, viene spostato negli altri distretti circolatori.
Diminuisce anche nell’espirazione forzata, in cui i capillari
sono obliterati dalla pressione alveolare positiva.
Il volume aumenta invece in condizioni patologiche:
nell’insufficienza ventricolare sinistra e nelle malattie della
valvola mitralica il volume può aumentare anche del doppio.
Sia nella stenosi che nell’insufficienza della mitralica, infatti, il
sangue si accumula nell’atrio sinistro ostacolando il ritorno
dai capillari polmonari.
A causa della conformazione dei vasi, il circolo polmonare è
un circolo a bassa resistenza. La differenza di resistenza fa si
che la pressione nell'arteria polmonare sia minore di quella
aortica.
Di conseguenza, per sospingervi lo stesso volume di sangue al
minuto che passa nella grande circolazione è sufficiente un
gradiente pressorio assai minore. I valori pressori arteriosi
del circolo polmonare sono inferiori a quelli del circolo
sistemico: la pressione sistolica corrisponde a 25 mmHg,
quella diastolica a 8 mmHg, quella media a 15 mmHg.
La pressione a livello dei capillari, dove le oscillazioni sisto-
diastoliche non sono più presenti, corrisponde a 7 mmHg (più
bassa rispetto ai capillari sistemici), mentre quella dell’atrio a
circa 1-2 mmHg (può variare da 1 a 5 mmHg).
In relazione alla percentuale di ciclo cardiaco in cui la pressione di perfusione è inferiore a quella
atmosferica (ovvero in base alle condizioni del capillare), si
distinguono tre zone:
– Zona 1, apice del polmone: la pressione capillare è inferiore
a quella alveolare e l'alveolo non è perfuso ne in sistole ne in
diastole. Questa condizione si verifica solo in condizioni
patologiche;
– zona 2 o di West: la pressione capillare è maggiore di quella
alveolare solo in sistole, per cui l'alveolo è perfuso solo
durante questa fase. In altre parole, all'apice del polmone, la
pressione arteriosa cala al di sotto della pressione alveolare
durante la diastole (la pressione capillare da 8mmHg passa a
-7mmHg) e il capillare viene schiacciato dalla pressione
atmosferica dell'alveolo. Durante la sistole, la pressione
capillare sale a 10mmHg e genera un flusso intermittente
(generato in sistole, bloccato in diastole);
– zona 3, base del
polmone: la
pressione capillare è
sempre maggiore di quella alveolare (sia in sistole che
in diastole), per cui il flusso è continuo e maggiore
rispetto a quello della zona 2.
Il valore cosi negativo della pressione interstiziale, associato all'alta pressione oncotica (richiamano
liquido dal capillare all'interstizio), permette di mantenere l’alveolo asciutto e ne protegge l’integrità:
se la pressione interstiziale aumenta al di sopra di 0 mmHg, il fragile epitelio alveolare si rompe e
l’acqua dell’interstizio invade l’alveolo.
Nell’insufficienza del ventricolo sinistro e nelle malattie della valvola mitrale, l’aumento della
pressione atriale può portare ad aumento della pressione capillare polmonare, della filtrazione e della
pressione interstiziale (che diventa positiva), generando edema polmonare.
L’edema polmonare può essere generato anche da una
polmonite (che compromette anche la pompa linfatica) o da
gas irritanti come il cloro e l’anidride solforosa: sia
l’infiammazione associata alla malattia polmonare che gli
agenti irritanti aumentano la permeabilità dei capillari
polmonari, producendo fuoriuscita di acqua e proteine.
La pressione capillare può aumentare fino a un valore
corrispondente alla pressione oncotica del capillare senza
che vi sia edema grazie all’incremento del drenaggio
linfatico.
Poiche la pressione oncotica è 28 mmHg e quella capillare è
7 mmHg, il margine di sicurezza è di 21 mmHg.
Quest'ultimo sale a 30- 35 mmHg in condizioni croniche per
l’aumento, anche di 10 volte, dell’azione drenante dei vasi
linfatici.
In questi pazienti la pressione capillare può salire quindi a
40- 45 mmHg senza formazione di edema. Ma se questo
limite è superato anche di poco si muore nel giro di qualche
ora.
FISIOLOGIA DELL'APPARATO
RESPIRATORIO
SISTEMA RESPIRATORIO: GENERALITÀ
La respirazione, dal punto di vista fisiologico, è il processo attraverso cui si verifica lo scambio di
sostanze tra i tessuti e l'ambiente esterno.
La prima tappa di questo processo è la ventilazione, il
rinnovo continuo dell'area alveolare. Il sangue assume
ossigeno e cede anidride carbonica prodotta dall'organismo,
costituendo il mezzo che permette gli scambi.
Durante la ventilazione, si determina il passaggio all'interno
del sangue di un volume di ossigeno di 250mL al minuto.
Questa quota di ossigeno è uguale a quella che, nello stesso
tempo, consumano i tessuti. Nel sangue che arriva al cuore
(atrio di sinistra) ci sono 750ml di ossigeno, che diventano
1L sommando i 250ml prelevati dall'ambiente esterno: la
gittata cardiaca porta ai tessuti 1L di ossigeno al minuto, di
cui i tessuti consumano 250ml.
La concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso è
200ml/L di sangue, 20ml per 100ml di sangue
(considerando che la gittata cardiaca è 5L). La
concentrazione scende a 150ml per litro di sangue dopo il consumo a livello dei tessuti.
Se si consumano 250ml di ossigeno, la produzione di CO 2 è variabile tra il 100% e il 70% del consumo
di ossigeno. Assumendo che il consumo di ossigeno sia 200ml, la produzione di CO2 varia da 200ml a
140ml. Quando si consumano carboidrati, il rapporto è di 1:1, quando si consumano acidi grassi il
rapporto è di 1:0.7, se si consumano proteine allora il rapporto è di 1:0.8.
Il sistema respiratorio è distinto in una zona di conduzione e una di scambio, dove avviene lo scambio
di gas tra sangue e aria alveolare.
Il sistema di conduzione, composto da trachea, bronchi e bronchioli, umidifica e riscalda l'aria.
L'umidificazione avviene già a livello della mucosa nasale (superficie 160cm 2 creata dai turbinati),
molto vascolarizzata: l'aria passa da 20-24°C a 31°C e si satura di vapore. La temperatura raggiunge i
33° al di sotto della glottide e aumenta fino a 35°C all'inizio della trachea.
Il sistema di conduzione, inoltre, filtra l'aria attraverso il sistema muco-ciliare. L'epitelio ciliato è
coperto da uno strato di muco viscoso prodotto dalle cellule mucose. Al di sotto del muco si trova il
liquido periciliare. Le ciglia battono in modo da spostare il muco come un "nastro trasportatore" verso
la faringe, dove viene ingoiato e le polveri eliminate. Il liquido periciliare si forma grazie a canali ionici
che accumulano cloruro grazie a un trasporto attivo secondario mediato dal sodio (secrezione di cloro,
riassorbimento di sodio). Si crea un gradiente di concentrazione di cloruro che può uscire grazie al
canale associato alla fibrosi cistica. Il canale è tenuto aperto dall'AMP ciclico, in modo da poter avere un
normale ricambio del liquido periciliare. Il flusso di cloro richiama acqua per osmosi.
In caso di fibrosi cistica, i liquidi prodotti sono estremamente densi e privi di liquido e tendono a
tappare le vie aeree.
Le cellule a calice, produttrici del muco (dette anche CSS, cellule secretorie di superficie o globet
cells), sono presenti fino alla 12° generazione di bronchi (12esima ramificazione, ma possono andare
oltre nei fumatori), mentre le ghiandole sottomucose (anch'esse produttrici di muco), anch'esse
importanti nella produzione di muco, si trovano solo nelle grandi vie di conduzione.
Le cellule Clara contribuiscono alla secrezione (non producono muco) in quanto secernono una
componente del surfattante, un liquido che serve a modificare le proprietà meccaniche del polmone, e
fattori detossificanti, come citocromo P450, che idrossila (aggiunge gruppi ossidrilici) sostanze lipofile
in modo da segregarle in compartimenti specifici e limitare la loro permanenza nell'organismo.
Il muco prodotto dalle cellule contiene innanzitutto glicoproteine, che rendono l'insieme vischioso, e
molecole proteiche importanti, come la lattoferrina (antivirale, antibatterico e antifungino), lisozima e
antileucoproteasi (sostanze che bloccano gli enzimi con cui i leucociti si fanno strada nel tessuto,
quindi controllano la reazione immunitaria). Alcune malattie polmonari, come l'enfisema (rottura
degli alveoli), potrebbero essere causate più che a un effetto traumatico a un disequilibrio del sistema
immunitario, quindi un'eccessiva perdita di freno che porta a una reazione dannosa per il tessuto.
Il sistema muco-ciliare è composto da secrezione mucosa e movimento delle ciglia, coordinati dal
sistema parasimpatico, che li promuove entrambi. Il simpatico esercita un'azione meno importante,
sebbene sembri che la stimolazione noradrenergica mediata da recettori sia α che β induca la
produzione di muco.
Durante l'infiammazione, la secrezione mucosa viene stimolata, ma si ha inibizione del trasporto
muco-ciliare: le sostanze che si accumulano a livello tissutale. Non ha lo stesso effetto l'istamina, in
quanto essa incrementa la secrezione di muco ma anche il movimento ciliare, quindi non tappa le vie
aeree.
La deposizione di particelle inizia a livello nasale (dove si depositano particelle di dimensioni maggiori
di 6µm) e continua nelle vie aree con particelle di dimensioni via via inferiori. La precipitazione di
particelle da 6 fino a 1 μm avviene nei bronchi e nei bronchioli (può generare le malattie dei bronchioli
terminali nei minatori).
Le polveri inferiori al micron arrivano all'interno degli alveoli. A questo punto, possono essere
eliminate dall'espirazione oppure aderire all'alveolo ed essere fagocitate dai macrofagi. Possono
insorgere malattie d'accumulo.
I macrofagi sono tra gli elementi fondamentali di difesa delle vie aeree, così come gli anticorpi prodotti
dalle plasmacellule sottostanti all'epitelio che passano nelle cellule secernenti.
Bronchi
Tra trachea e zona di scambio ci sono 20-25 generazioni di condotti bronchiali. La sezione totale
aumenta dalla trachea ai sacchi alveolari. Prima degli alveoli, la sezione trasversa totale arriva a 1m 2
(10'000cm2).
I bronchioli sono sottoposti alle stesse variazioni volumetriche del polmone se non hanno impalcatura
cartilaginea: si dilatano in ispirazione, si restringono nell'espirazione.
Il sistema nervoso controlla i bronchi. Nel circolo, il simpatico costringe e il parasimpatico dilata. Qui
l'effetto è opposto: il simpatico dilata in quanto dominano i recettori β (i bronchi sono soprattutto
sensibili all'ormone circolante adrenalina, l'innervazione simpatica è meno rappresentata) e il
parasimpatico costringe in quanto non determina rilascio di NO.
Quando le vie aeree sono intasate da patologie respiratorie che irritano la muscolatura o provocano
accumulo di sostanze ostruenti, la costrizione dovuta al parasimpatico dà problemi (il parasimpatico
può essere attivato per via riflessa da parte di agenti irritanti), per cui vengono utilizzati farmaci che
ne bloccano l'effetto.
L'istamina produce aumento del tono bronchiale e bronco-costrizione che può rendere il respiro
affannoso durante una reazione allergica.
Le pressioni parziali di ossigeno e anidride carbonica agiscono anche sulla muscolatura liscia dei
bronchioli e non solo su quella dei vasi: i bronchioli si dilatano quando c'è tanta anidride carbonica e
poco ossigeno, in modo da ripristinare la ventilazione.
Il diametro delle vie aeree è controllato anche nella parte superiore. La prima regione controllata è la
narice: la resistenza delle narici varia in maniera periodica e le variazioni nella radice destra e in
quella sinistra sono fuori fase di 180°, per cui la resistenza totale al flusso di aria è costante.
Quando la pressione capillare aumenta, la mucosa nasale (tessuto erettile) si inturgidisce, aumenta di
volume e tappa le vie aeree, se la pressione capillare diminuisce le vie aeree si aprono. La pressione
capillare è controllata dal simpatico e dal parasimpatico (il parasimpatico dilata i vasi, il simpatico li
costringe).
Per questo, il naso si tappa quando si è sdraiati: la pressione al di sopra del cuore aumenta e aumenta
il turgore della mucosa. In condizioni di busto eretto, il naso si stappa.
Il calibro della parte superiore delle vie aeree è controllato da diverse azioni muscolari.
I dilatatori delle vie aree si attivano ciclicamente durante il respiro, così come i muscoli che inducono
le variazioni volumetriche del torace, in modo da diminuire la resistenza delle vie aeree durante
l’inspirazione. Durante l’espirazione, i dilatatori si rilasciano, mentre si attivano i tireoaritenoidei,
costrittori della glottide. L’applicazione di pressioni negative al
cavo nasofaringeo durante il respiro potenzia l’attivazione di
alcuni muscoli dilatatori, come l’ala del naso e il genioglosso.
L’aumento di attività dei muscoli dilatatori delle vie aeree
(genioglosso e cricoaritenoideo posteriore) osservato quando si
respira contro una pressione negativa è almeno in parte
attribuibile ad un riflesso nervoso, attivato dalla deformazione
meccanica indotta a livello delle vie aeree dalla diminuzione della
pressione al loro interno. In questo modo viene evitato il collasso
delle vie aeree che potrebbe essere indotto dall’eccessivo calo di
pressione al loro interno.
Una pressione di -25 cmH2O generata artificialmente (molto
inferiore rispetto alle pressioni del respiro a riposo) determina
contrazione del muscolo genioglosso con una latenza di circa 20-30
ms.
I meccanocettori, molto sensibili alla deformazione meccanica
introdotta dalla variazione pressoria, si determinano il riflesso.
Superficie di scambio
Il sistema di scambio è deputato all'ossigenazione del sangue e all’eliminazione di anidride carbonica.
La superficie totale è elevatissima (data dalla superficie
degli alveoli), paragonabile alla metà di quella di un campo
da tennis (60-100m2).
Gli scambi gassosi avvengono attraverso la parete alveolo-
capillare, formata dall'epitelio alveolare, dall'endotelio
capillare e dalle due lamine basali. Lo spessore scende al di
sotto di 0.5µm nei punti in cui sono assenti i nuclei delle
cellule: in questo modo viene facilitata enormemente la
diffusione.
Nel momento in cui l'interstizio aumenta le sue dimensioni
(edema polmonare, polmonite), aumenta il tempo
necessario alla diffusione. In questo modo, il sangue non ha
il tempo necessario per porsi in equilibrio con l'aria
alveolare (in termini di pO2 e pCO2), per cui è impoverito di ossigeno e ricco di anidride carbonica.
Il volume di sangue interessato allo scambio è 60-140 ml. I capillari sono fittamente anastomizzati in
modo che la superficie alveolare sia sfruttata al massimo per lo scambio (si forma una sorta di lamina
di sangue a circondare l'alveolo). Il diametro del capillare è 5 μm, sufficiente al passaggio dei globuli
rossi in singola fila: ne consegue un contatto globulo rosso-endotelio che aumenta la rapidità della
diffusione.
La parete alveolare è bagnata da un film liquido, che può essere prodotto:
– dal plasma per filtrazione all'estremo arterioso del capillare, dove la pressione idrostatica è
maggiore (arterie bronchiali);
– dagli pneumatici: per secrezione
attiva di sali dalla cellula
all’alveolo, con richiamo osmotico
di liquido.
Parallelamente, il drenaggio del liquido
alveolare avviene a causa:
– delle forze di Starling
(riassorbimento dal circolo
bronchiale);
– di un riassorbimento attivo di sali
dallo pneumocita all’interstizio, che
richiama acqua per osmosi.
Il volume del film deve rimanere costante,
in quanto un suo aumento renderebbe difficoltosi gli scambi diffusionali e una sua diminuzione
L'umidità che ne consegue genera una tensione superficiale all’interfaccia con l’aria contenuta
nell’alveolo che tende a farlo collassare. Questa pressione deve essere vinta per permettere
l'inspirazione: il surfactante è in grado di abbattere la tensione superficiale dovuta al film liquido e
permettere l'inspirazione.
In sua assenza, l'inspirazione è difficoltosa e si ha dispnea.
VOLUMI E CAPACITÀ POLMONARI
La ventilazione è il processo mediante il quale si immette e si espelle aria a livello del polmone.
La funzione respiratoria può essere misurata determinando i
volumi e le capacità polmonari (combinazioni di volumi
polmonari).
Il volume corrente o tidale è il volume di aria di cui il volume
polmonare aumenta durante una inspirazione tranquilla (per poi
diminuire dello stesso volume in espirazione) e corrisponde a 500
ml (0.5L). In realtà, il volume inspirato non è mai uguale a quello
espirato, perché la quantità di ossigeno consumato non equivale
sempre alla quantità di anidride carbonica prodotta.
Se invece di espirare il volume corrente si decide di proseguire
l’inspirazione, si possono introdurre nel polmone ancora 3000 ml
(3L nell'uomo, 1.9L nella donna) di aria: il volume di riserva
inspiratorio è il volume di aria che si può inspirare dopo
un'inspirazione tranquilla.
Analogamente, se si vuole proseguire l’espirazione una volta
espirato il volume corrente, si può ulteriormente svuotare i
polmoni di 1100-1200 ml: il volume di riserva espiratorio è il
volume di aria che si può espirare dopo un'espirazione a riposo
(0.7L nella donna).
A questo punto, il polmone non si è svuotato completamente: il
volume residuo è il volume d'aria che resta nel polmone anche
dopo aver espirato il volume di riserva espiratorio, e corrisponde
all’incirca a 1100-1200 ml. Il volume residuo non può essere espirato, sia perché i muscoli non
sviluppano forza elastica sufficiente a vincere il ritorno elastico della struttura toraco-polmonare, sia
perché i bronchioli di dimensioni minori
cominciano a collassare e bloccano l'uscita
di aria.
La somma del volume di riserva
inspiratorio, volume di riserva espiratorio
e del volume corrente costituisce la
capacita vitale (CV), il volume massimo di
aria che si può far entrare e uscire dal
polmone con un singolo ciclo respiratorio
(massima profondità di respiro).
Normalmente, viene sfruttata circa la metà
della CV. Non viene utilizzata nella
respirazione spontanea, può essere
utilizzata solo durante una respirazione
volontaria.
Se alla capacità vitale si aggiunge il volume
residuo si ottiene la capacita polmonare
totale (CPT).
Si definisce capacita inspiratoria la somma di riserva inspiratoria e volume tidale.
La somma del volume residuo e del volume di riserva espiratorio forma la capacita funzionale
residua (CFR), cioè il volume che il polmone ha a riposo
(alla fine di una espirazione tranquilla).
VR e CPT si raggiungono quando le forze muscolari non
sono più sufficienti a vincere il ritorno elastico delle
strutture toraco-polmonari e l’espansione del polmone (a
CPT) e la sua compressione (a VR) devono arrestarsi.
I volumi e le capacità polmonari, tranne capacità funzionale residua e volume residuo, si misurano
direttamente con lo
spirometro.
Lo spirometro è
formato da due
cilindri inferiori
concentrici e coassiali,
la cui intercapedine è
piena di acqua. Un
cilindro superiore
capovolto è inserito
nell’intercapedine del
cilindro basale,
all’interno della quale
esso può alzarsi o
abbassarsi. La cavità
interna, essendo
ripiena di acqua e
limitata dai due
cilindri, è isolata rispetto all'esterno.
Il soggetto respira con la bocca (a naso tappato) attraverso un tubo collegato con lo spazio pieno di
aria contenuto all’interno dei due cilindri. Il cilindro superiore è collegato, tramite una carrucola, ad un
pennino che disegna un tracciato (spirometrico) su una carta che scorre a velocità costante.
Il pennino sale quando il cilindro superiore scende (l'aria entra nei polmoni) e viceversa.
Durante il respiro, il tracciato spirometrico si abbassa quando il volume polmonare diminuisce, in
quanto l’aria viene espirata dal polmone all’interno dello spirometro, il cui cilindro superiore si
innalza. Il tracciato si alza quando invece il soggetto inspira, portando l’aria dallo spirometro
all’interno dei suoi polmoni e abbassando il cilindro superiore.
È ovvio che in questo modo non si può misurare il volume residuo, che non fuoriesce mai dal polmone.
Per misurare VR e capacità funzionale residua, si utilizza il metodo della diluizione dell'elio.
Il soggetto respira da uno spirometro contenente una
certa quantità di elio. L’elio si distribuisce fra gli
alveoli e lo spirometro, senza passare nel sangue.
Quando si raggiunge l’equilibrio, la concentrazione
dell’elio è la stessa nello spirometro e nel polmone.
La concentrazione finale dell’elio è inferiore a quella
iniziale nello spirometro, in quanto la stessa quantità
di elio iniziale è distribuita in un volume più grande
(dato dalla somma dello spirometro e del polmone).
La quantità di elio totale, ETOT corrisponde a:
ETOT = V spirometro · [E]iniziale
L'elio non passa nel sangue, per cui all'equilibrio:
ETOT = Elio spirometro + Elio polmone
Elio spirometro = [Elio]finale · V spirometro
Elio polmone = [Elio]finale · V polmone = [Elio]finale · CFR
[Elio]spirometro = [Elio]polmone
V spirometro · [Elio]iniziale = V spirometro [Elio]finale + CFR [Elio]finale
CFR = ([Elio]iniziale/[Elio]finale -1) · V spirometro
Spazio morto
Solo una parte del volume tidale entra nella zona di scambio, in quanto l’aria deve riempire le vie di
conduzione prima di arrivare all'alveolo.
Quindi, una frazione del volume tidale, corrispondente a 350ml, entra nella zona di scambio, mentre i
restanti 150ml riempiono le vie di conduzione (non efficaci per gli scambi), costituendo lo spazio
morto anatomico (volume delle vie di conduzione, occupato da una frazione del volume tidale).
Anche l’aria che termina negli alveoli non perfusi non partecipa agli scambi (questo volume è
trascurabile in un individuo giovane e sano): aggiungendo il volume degli alveoli non perfusi allo
spazio morto anatomico si ottiene lo spazio morto fisiologico.
In soggetti sani, lo spazio morto fisiologico è uguale a quello anatomico per l'assenza di alveoli non
perfusi, mentre in caso di patologie respiratorie ci possono essere alveoli meno perfusi (nella zona I di
West il polmone non è completamente perfuso in sistole e in diastole).
L’aria del volume tidale riempie lo spazio morto e poi entra negli alveoli, mescolandosi all'aria ivi
presente. Espirando, si emette prima l’aria dello spazio morto, che, a parte la maggior umidità, ha la
stessa composizione di quella atmosferica (priva di CO 2), in seguito esce una miscela di aria dello
spazio morto e alveolare e, infine, l’aria alveolare non contaminata da quella delle vie aeree. L’aria
alveolare contiene CO2 ed è più povera di ossigeno rispetto all'aria dello spazio morto.
Quindi:
D + A = 0.6 (VD + VA)
D + A = 0.6 VD + 0.6 VA
D + 0.6 VA = 0.6 VD + 0.6 VA
D = 0.6 VD
D
VD =
0.6
Quindi anche l'area D può essere utilizzata per calcolare lo spazio morto.
Il calcolo del volume dello spazio morto che viene effettuato segue una procedura diversa:
(1) A = 0.6 VA
(2) D = 0.6 VD
Sommando membro a membro si ottiene:
(3) D + A = 0.6 (VA + VD)
poiché VA + VD è il volume tidale:
D + A = 0.6 VT
Dividendo membro a membro (2) per (3):
D
= VD / VT
D+A
D
VD = ( ) VT
D+ A
Se, nell’esecuzione di questi calcoli, ci si ferma alla concentrazione di anidride carbonica alveolare, la
misura ottenuta corrisponde sostanzialmente allo spazio morto anatomico: in espirazione, tutti gli
alveoli si svuotano (anche quelli non perfusi, che non hanno anidride carbonica), per cui la
concentrazione della CO2 è determinata anche dalla concentrazione che essa raggiunge negli alveoli
non perfusi (quindi la concentrazione ottenuta è più bassa di quella reale, in quanto la CO 2 viene
“diluita” in un volume maggiore).
Per conoscere la concentrazione (media) di CO 2 degli alveoli perfusi è sufficiente conoscere quella del
sangue refluo dai capillari polmonari, che ha raggiunto esattamente lo stesso valore.
Dal punto di vista pratico, si determina la pressione parziale di CO 2 del sangue arterioso (non
sostanzialmente diversa da quella del capillare polmonare, pCO 2 A = pCO2 arteriosa) e si sostituisce al
rapporto tra le concentrazioni il rapporto fra le corrispondenti pressioni parziali (pressione parziale e
concentrazione sono proporzionali).
Quindi:
VD = VT (1 – pCO2 E /pCO2 arteriosa)
In modo analogo, a partire dalla ventilazione polmonare totale si possono definire una ventilazione
alveolare e una dello spazio morto:
Vent p = VT · f = 6 - 120 L/min
Vent p = VT · f = (VA + VD) · f = VA f + VD f
Vent p = VentA + VentD
VENTILAZIONE
Le variazioni volumetriche del complesso toraco-polmonare che generano la ventilazione sono
prodotte dai movimenti delle coste e del diaframma.
Il ciclo ventilatorio è formato da una fase inspiratoria e una fase espiratoria (leggermente più lunga
per via del fatto che è un atto passivo) e dura in totale 5 secondi (12 atti respiratori al minuto).
Nel respiro tranquillo, l'inspirazione dura 2 secondi: è un fenomeno
attivo, associato alla contrazione muscolare (l'espirazione è dovuta
al semplice rilasciamento dei muscoli inspiratori).
Il movimento verso il basso del diaframma (1-10cm) aumenta il
diametro longitudinale della gabbia toracica. La contrazione del
diaframma aumenta anche il diametro trasverso della gabbia
toracica.
In gravidanza e in soggetti obesi il movimento del diaframma è
impedito e la respirazione è prevalentemente costale.
Nell'emiparesi diaframmatica, la metà paretica si solleva durante
l'inspirazione per l'aumento della pressione in cavità addominale.
Il movimento verso l'alto delle coste (simile al
movimento di un manico di secchio sul piano frontale e a
manico di pompa sul piano sagittale) incrementa
rispettivamente i diametri trasverso e antero-posteriore
della gabbia toracica.
Il pneumotorace è una condizione in cui l’aria entra nel cavo pleurico a causa di una lesione della
parete diaframmatica o della rottura interna di un alveolo (oppure per una lesione dall'esterno, come
una coltellata). L’ingresso dell’aria, per via della differenza fra la pressione atmosferica e quella intra-
pleurica, fa perdere l’adesione fra il polmone e la gabbia toracica (e il diaframma) dovuta al liquido
pleurico.
Il polmone collassa a un volume di 350ml e la gabbia toracica si espande: questo è dovuto al fatto che
le due strutture, rese indipendenti,
seguono ognuna il proprio ritorno
elastico. In questa condizione, i
movimenti del diaframma e della
gabbia toracica non possono più
modificare il volume polmonare,
perché si è perso il rapporto fra
queste strutture, che ora risultano
separate.
La differenza tra pressione alveolare e pressione pleurica
è la pressione trans-polmonare (PT), la quale aumenta
durante l'inspirazione. In condizioni statiche, misura la
tendenza del polmone a collassare.
Anche se è negativa, la direzione della pressione pleurica (pleura viscerale) è verso l'alveolo.
Nella pleura parietale, la pressione pleurica spinge verso l'esterno.
Quindi, la pressione trans-polmonare esprime la tendenza del polmone a collassare.
Le forze in gioco a livello della pleura parietale, invece, sono innanzitutto la pressione pleurica (minore
di zero), che spinge verso l'esterno, la pressione atmosferica che spinge verso l'interno (uguale a zero),
ma bisogna considerare anche in questo caso il ritorno elastico della gabbia toracica che spinge verso
l'esterno. Quindi, la pressione pleurica più il ritorno elastico che spinge verso l'esterno è uguale alla
pressione atmosferica (che spinge verso l'interno).
Muscoli respiratori
I muscoli inspiratori sono divisi in:
- principali: sempre attivi durante un ciclo respiratorio. I muscoli principali sono i muscoli
intercostali esterni, intercostali para-sternali e il diaframma. I muscoli intercostali esterni e
quelli para-sternali sollevano le coste;
- accessori: si attivano quando lo sforzo respiratorio aumenta. Sono gli scaleni, che sollevano le
prime coste, e lo sternocleidomastoideo, che solleva lo sterno. La loro contrazione avviene in
iperventilazione, iperpnea e quando le vie respiratorie sono ostruite. Inoltre, si contraggono
durante gli sforzi inspiratori che precedono tosse e starnuto.
I muscoli intercostali esterni hanno inserzione sulla costa
superiore più vicina al fulcro (all'articolazione costo-
vertebrale), mentre l'inserzione sulla costa sottostante è
lontana dall'articolazione. La contrazione fa accorciare i
sarcomeri: la costa superiore tende ad essere abbassata,
quella sottostante tende ad essere sollevata. Visto che la
forza sulla costa inferiore si applica più lontano
dall'articolazione, il momento rotatorio è maggiore
rispetto al momento rotatorio che tende ad abbassare
quella superiore. Quindi, il risultato è il sollevamento delle
coste.
L'espirazione è passiva nel respiro tranquillo (rilassamento dei muscoli precedentemente contratti) e
dura di più dell'ispirazione, in quanto è un movimento passivo, dovuto al ritorno elastico del polmone,
perché il polmone ha un ritorno elastico che tende al collasso (mentre la gabbia toracica ha un ritorno
elastico che tende ad espandersi).
I muscoli espiratori si utilizzano solo in caso di aumentato lavoro, ovvero in iperpnea, iperventilazione,
ostruzione delle vie aeree, espirazione forzata, tosse e starnuto. Anche durante la fonazione vengono
attivati i muscoli espiratori. In sostanza, si attivano quando l'espirazione deve portare il volume
polmonare al di sotto della capacità
funzionale residua.
Sono innanzitutto i muscoli
addominali, che contraendosi
aumentano la pressione addominale
e spingono la cupola diaframmatica
verso l'alto, e gli intercostali interni,
che abbassano le coste.
Gli intercostali interni hanno
l'inserzione sulla costa inferiore più
vicino all'articolazione rispetto
all'inserzione sulla costa superiore. Quindi, il
momento rotatorio dominante è quello che
solleva le coste.
Normalmente, la muscolatura espiratoria non
si attiva, ma in caso sia necessaria
un'espirazione forzata, si vede l'alternanza
dell'operato di muscoli intercostali interni ed
esterni.
Durante l'inspirazione, si modifica la pressione alveolare (per la legge di Boyle: PV = k): espandendo il
polmone, la pressione alveolare diminuisce e si genera un flusso d'aria che varia in intensità in
funzione della resistenza delle vie aeree.
– A riposo, la pressione alveolare è uguale a 0.
– Durante l'inspirazione, diminuisce e diventa negativa rispetto a quella atmosferica. In un
respiro tranquillo si crea una depressione di 1 cmH2O. La negatività della pressione alveolare
viene raggiunta nella prima parte della respirazione, per poi aumentare per l'ingresso dell'aria.
– Le variazioni di pressione alveolare fanno entrare e uscire 0.5L di aria nei polmoni.
– La pressione sale fino a tornare nuovamente a livello di quella atmosferica (termine
dell'inspirazione). La fine dell'inspirazione è segnata dal ritorno della pressione alveolare alla
pressione atmosferica.
– Durante l'espirazione, il ritorno elastico del polmone aumenta la pressione alveolare
comprimendo gli alveoli, che diventa maggiore di quella atmosferica di 1cmH 2O e produce un
flusso in uscita.
– La pressione massima, anche qui, viene raggiunta nella prima fase dell'espirazione, poi cala
fino a tornare nuovamente alla pressione atmosferica quando tutta l'aria è stata espulsa.
Il mezzo litro di volume totale si può inspirare velocemente o lentamente: se si inspira velocemente,
bisogna creare un gradiente pressorio per produrre un flusso maggiore (si attivano velocemente i
muscoli, si sollecita fortemente la struttura toraco-polmonare espandendola e si crea un gradiente che
genere un veloce flusso di aria in ingresso), e per l'espirazione diventa necessario attivare la
muscolatura espiratoria.
In caso di inspirazione lenta, si attivano lentamente i muscoli, la gabbia toracica si espande lentamente
e non c'è bisogno di un rilevante gradiente pressorio.
Le variazioni di flusso sono proporzionali a quelle della pressione intra-alveolare, a causa del fatto che
il flusso è uguale al gradiente pressorio (P alv -P atmosferica) diviso per la resistenza delle vie aeree.
Ovvero, la relazione tra pressione alveolare e flusso respiratorio è:
(Patm – Palv) / resistenza = flusso respiratorio
In situazione statica, le forze in gioco sono la pressione pleurica, quella alveolare e quella atmosferica e
i ritorni elastici del polmone (Tin , verso l'interno, tendenza al collasso) e della gabbia toracica (T out ,
tendenza a dilatarsi). Anche se opposti in segno, Tin e Tout hanno lo stesso valore. In condizioni di
riposo, i due ritorni elastici tendono a espandere lo spazio pleurico, rendendo la pressione
intrapleurica inferiore a quella atmosferica e a quella alveolare (che sono uguali tra loro).
Se si attivano i muscoli, si altera l'equilibrio delle forze in gioco: i muscoli inspiratori espandono il
complesso e la pressione all'interno (P pl) cade, diventa ancor più negativa: la pressione alveolare
diventa maggiore della somma della pressione intrapleurica e del ritorno elastico del polmone (T in + Ppl)
e si crea il flusso d'aria. Il volume polmonare di espande (CFR + ΔV) e la pressione alveolare
diminuisce.
Se la contrazione muscolare è veloce e potente, si ha grossa caduta della pressione pleurica, quella
alveolare crolla (perché l'espansione è rapida) e si ha un flusso veloce. Se l'attivazione non è potente, la
caduta di pressione è piccola e il movimento è lento. La velocità del respiro dipende dall’intensità
dell’attivazione muscolare. Se si inspira lentamente, l’aria ha il tempo di entrare mano a mano che il
polmone si espande e la caduta di pressione all’interno degli alveoli e nello spazio pleurico è minore.
Se si respira velocemente, il ritardo nell’ingresso dell’aria produce una caduta molto maggiore della
pressione alveolare e pleurica.
La caduta della pressione intrapleurica è il modo con cui l’azione meccanica del diaframma e della
gabbia toracica fa espandere il polmone esercitandosi in maniera distribuita sulla sua superficie.
La caduta di Palv genera un flusso in ingresso proporzionale alla caduta medesima. L’ingresso dell’aria
aumenta la pressione intra-alveolare riducendo il gradiente pressorio fra alveoli e atmosfera nella
seconda metà dell’inspirazione.
La caduta della pressione pleurica durante la prima parte dell'ispirazione dipende dal volume
polmonare raggiunto, in quanto aumentando il volume polmonare, aumenta il ritorno elastico del
polmone mentre diminuisce il ritorno elastico della gabbia toracica. Quando non c'è movimento di
aria, è solo il volume polmonare (quindi il ritorno elastico, forza statica) che determina il valore della
pressione intrapleurica. Se c'è movimento d'aria, oltre al ritorno elastico del polmone si tiene conto
dell'effetto legato all'ingresso dell'aria. La forza muscolare durante l'inspirazione abbatte ancora di più
la pressione pleurica rispetto all'effetto della semplice espansione di volume.
A bocca aperta (con un volume polmonare costante al di sopra della capacità funzionale residua), la
pressione alveolare è uguale a quella
atmosferica e i muscoli, che sono attivi,
pareggiano la tendenza del sistema
toraco-polmonare al collasso in quanto
dilatano la gabbia toracica (la tendenza
del polmone al collasso supera quella
della gabbia toracica ad espandersi).
Sia la forza muscolare che i ritorni
elastici agiscono sullo spazio pleurico
generando una Ppl tanto più negativa
quanto maggiore è il volume
polmonare.
A livello della pleura viscerale, il
ritorno elastico del polmone è
maggiore (per via del fatto che si è al di
sopra della CFR) e la pressione
intrapleurica è ridotta rispetto alla
capacità funzionale residua, mentre la
pressione atmosferica è bilanciata dal
ritorno elastico (che è aumentato). In
altre parole, la pressione alveolare pareggia la somma di ritorno elastico e pressione intrapleurica.
Per questo motivo, durante l'inspirazione la pressione intrapleurica è più negativa durante il respiro
veloce. Il valore finale della pressione, invece, è sempre lo stesso, a prescindere dalla velocità del
respiro.
Se la diminuzione di pressione alveolare è forte (se la caduta della pressione pleurica è forte), il flusso
di aria in ingresso è elevato (respiro veloce).
Compliance
Le variazioni volumetriche del complesso toraco-
polmonare sono determinate dalle caratteristiche
elastiche di polmone e gabbia toracica.
La compliance è il rapporto tra variazione di volume e
variazione di pressione transmurale che l'ha prodotta:
C = ΔV/Δ Ptm
Si può misurare in un palloncino sia riempiendolo
d'aria, sia creando il vuoto attorno. Se si gonfia il
palloncino, la pressione al suo interno è maggiore di
quella atmosferica. Questa differenza è necessaria per
vincere la tensione elastica del palloncino, che crea una
pressione transmurale (Ptm):
Ptm = P interna – P esterna
A pressione transmurale elevata, per produrre la stessa
variazione di volume occorre una pressione maggiore.
Quindi, la compliance non è costante: man mano che la
struttura viene messa in tensione diventa sempre meno
distendibile (maggiore è il volume, minore è la
compliance). Minore è la compliance, più difficile è
gonfiare il palloncino.
Considerando la compliance del polmone isolato, si osserva che varia continuamente, non è costante,
sebbene si possa definire un valore medio. Può essere studiata valutando la relazione tra volume
polmonare e pressione trans-polmonare.
Se si diminuisce il volume polmonare, si osserva che i valori di
ritorno del sistema non corrispondono ai valori di andata (la
traiettoria della retta è diversa). Questo fenomeno è l'isteresi: per
lo stesso valore di pressione, il volume e quindi la compliance è
maggiore nella desufflazione rispetto all'insufflazione.
Ovvero, -20cmH2O producono una transizione volumetrica in
desufflazione maggiore rispetto a quando la transizione viene
prodotta in insufflazione: il polmone è più distendibile quando si
svuota rispetto a quando si riempie.
Il fattore principale responsabile della produzione dell'isteresi è
l'interfaccia aria-acqua che c'è nel polmone (tensione superficiale generata dal film liquido che bagna
l'alveolo). Se il polmone viene riempito di soluzione salina (come quando si annega), diventa molto più
distendibile e l'isteresi quasi scompare (quello che rimane può essere dovuto a una modifica della
costante elastica).
Il polmone diventa più distendibile anche per via del fatto che il ritorno elastico, dato dalla tensione
superficiale degli alveoli, viene a
mancare nel momento in cui il
polmone viene riempito d'acqua.
Quindi, l'isteresi è dovuta a:
– tensione superficiale generata
negli alveoli tra la pellicola
liquida che bagna gli alveoli e
l'aria;
– modificazioni dell'elasticità
polmonare.
Alle forze elastiche, dà un contributo importante la pressione di collasso generata dalla tensione
superficiale T del film liquido che copre la superficie degli alveoli.
La Pc, che tende a chiudere gli alveoli e a riempirli di acqua, è uguale a 2 volte la tensione superficiale
fratto il raggio:
Pc = 2T/R
Il riempimento del polmone con soluzione fisiologica fa quasi completamente sparire l'isteresi
(elimina le forze di tensione superficiale), sebbene aumenti la compliance (quindi aumenta la
distensibilità).
In qualche modo, la tensione superficiale dipende dalla direzione della variazione di volume, che si
modifica in desufflazione e in insufflazione. L'isteresi è dovuta alla presenza di un tensioattivo
alveolare che, oltre ad abbassare la tensione superficiale, la rende dipendente dall'area della superficie
alveolare (aumenta la tensione all'aumentare dell'area) e dal segno delle sue modificazioni (a parità di
volume, la tensione superficiale è maggiore quando il volume polmonare sta aumentando). A parità di
superficie, la tensione superficiale è minore in desufflazione (quando il volume polmonare
diminuisce).
La tensione superficiale viene misurata su un film liquido posto su una
superficie. La superficie del film viene fatta variare attraverso una
striscia di platino (trasduttore di forza) che viene introdotta sulla
superficie liquida. È presente una barriera spostabile in grado di
rispondere alla tensione esercitata dalle molecole della superficie che
aderiscono al trasduttore (A).
Si nota che la tensione superficiale dell'acqua è assolutamente
indipendente dalla superficie: all'interfaccia aria-acqua, la tensione
superficiale è sempre la stessa, sia che la superficie si stia contraendo
che si stia espandendo. Quindi, l'isteresi non dipende in assoluto dalla
tensione superficiale. Un semplice detergente diminuisce la tensione
superficiale, ma ancora questo parametro non dipende dalla superficie.
Inserendo un estratto di polmone, la misurazione cambia: la tensione
superficiale diminuisce e compare l'isteresi, cioè all'espansione del
volume del film liquido la tensione superficiale è maggiore rispetto a
quando viene contratto. Quindi, la tensione superficiale (interfaccia aria-
liquida), quando nel liquido viene sciolto estratto di polmonare, risente dell'isteresi.
Questo comportamento è dovuto al surfattante, o tensioattivo alveolare, il quale abbatte la tensione
superficiale e, in secondo luogo, la rende dipendente dalla direzione della variazione volumetrica
polmonare, per cui quando il polmone si espande la tensione superficiale è maggiore, quando riduce il
suo volume la tensione superficiale è minore. Si tratta di una sostanza prodotta dagli pneumociti di
tipo 2 e che, a causa della sua interazione con il film liquido, crea la dipendenza della tensione
superficiale dalla variazione di volume. La sua importanza risiede nel fatto che diminuisce
notevolmente il lavoro da compiere in inspirazione per vincere le resistenze elastiche del polmone.
Il surfactante è formato da lipidi (per il 90% fosfolipidi, in particolare fosfatidilcolina, 80% dei
fosfolipidi, presente come dipalmitoil-fosfatidilcolina, elemento tensioattivo), calcio e proteine
(quattro proteine che distribuiscono l'elemento tensioattivo sulla superficie alveolare). Il
fosfatidilglicerolo (10%) è fondamentale per il ruolo del surfactante, in quanto permette la
distribuzione omogenea del complesso molecolare sulla superficie. Una mancanza di fosfatidilglicerolo
produce la sindrome da distress respiratorio del neonato prematuro, che porta a morte per collasso
alveolare.
L'effetto del surfattante è imponente: la pressione di collasso di un alveolo di 100µm diminuisce da 18
a 4 cmH2O. Si accumula nei punti dove il raggio di curvatura è minore.
Inoltre, contribuisce alla stabilizzazione dei piccoli alveoli (potenzialmente instabili), in quanto essi si
svuoterebbero negli alveoli grandi (diminuendo il raggio aumenta la pressione di collasso, Pc = 2T/R).
Se questo avvenisse, diminuirebbe la superficie respiratoria
(enfisema fisiologico, si perderebbero gli alveoli a favore di grandi
cavità). La stabilizzazione del surfactante è legata al fatto che è
maggiormente concentrato negli alveoli di piccole dimensioni.
Gli alveoli piccoli sono stabilizzati anche dalla struttura stessa del
polmone, in quanto gli alveoli hanno segmenti di pareti in comune
(come celle di un alveare), impedendo la riduzione degli spazi.
Esistono corto-circuiti tra alveoli e tra alveoli e bronchioli
(rispettivamente pori di Kohn e canali di Lambert), funzionali per
garantire una ventilazione collaterale, in caso un bronchiolo sia
ostruito.
Se, utilizzando la stessa tecnica, si misura la differenza fra la pressione pleurica e quella atmosferica si
può calcolare la compliance toracica.
Il polmone isolato tende sempre al collasso, la gabbia toracica quasi sempre ad espandersi salvo che
per volumi maggiori del 55-75% della capacità vitale. Quando la pressione pleurica è inferiore a quella
atmosferica, la gabbia toracica tende sempre all'espansione. Oltre il 55%, la pressione transmurale
diventa positiva, per cui la gabbia toracica tende al collasso.
Alla CFR i due ritorni elastici sono in equilibrio, al di sotto prevale quello del torace, al di sopra quello
del polmone. Se il volume è superiore al 55-75% della capacità vitale, ambedue i ritorni elastici
favoriscono la diminuzione del volume toraco-polmonare.
Se si misura, invece, la differenza fra pressione alveolare e pressione intrapleurica, si può valutare la
compliance polmonare. Si preferisce però determinarla in modo differente. Il soggetto mantiene un
certo volume polmonare attivamente a bocca aperta. In questo modo, la pressione all'interno
dell'alveolo è uguale alla pressione atmosferica, 0. Contemporaneamente, si misura l'altro elemento
della pressione trans-polmonare, la pressione intrapleurica. Quindi, si fa la differenza tra pressione
atmosferica e intrapleurica. Il soggetto mantiene un altro volume, si fa un'altra misurazione e così via
(si parte da volumi maggiori e si procede per volumi minori). Si segue sempre la curva di
desufflazione.
La curva di compliance polmonare indica che, fino a volume residuo (livello 0) si ha sempre pressione
transmurale positiva: Il polmone tende sempre al collasso, anche al di sotto della capacità funzionale
residua. Dalla capacità funzionale residua al volume residuo il complesso toraco-polmonare tende ad
espandersi perché la tendenza all'espansione della gabbia toracica vince sulla tendenza al collasso del
polmone (Ptm < 0).
Alla capacità funzionale residua, il ritorno elastico del polmone e quello della gabbia toracica, sono
uguali ma opposti in direzione (Ptm = 0).
Al di sopra della capacità funzionale residua, il ritorno elastico del polmone prende il sopravvento sul
ritorno elastico della gabbia toracica, che diminuisce: la struttura tende a tornare al suo punto di
equilibrio.
Oltre a 55-70% della capacità vitale, punto di equilibrio della gabbia toracica, la gabbia toracica
tende a collassare come il polmone: entrambi tendono a far diminuire il volume polmonare (P tm > 0).
Al di sotto della capacità funzionale residua, il ritorno elastico del polmone diminuisce.
Avvicinandosi al volume residuo, aumenta la forza che tende a diminuire il volume polmonare. Il
sistema ha un punto di equilibrio posto tra capacità vitale e volume residuo, per cui si espande e si
comprime in funzione delle forze in gioco.
Quindi, a partire dalla capacita funzionale residua l'inspirazione deve essere attiva (per vincere la forza
che si oppone all'espansione del polmone), mentre l'espirazione puo essere passiva.
Dal volume residuo alla capacita funzionale residua l'inspirazione puo essere passiva, ma occorre
attivare la muscolatura espiratoria per l'espirazione.
Flusso
Il flusso F respiratorio è determinato dalle variazioni pressorie create dai muscoli respiratori e
dipende dalla resistenza delle vie aeree. Secondo la legge di Poiseuille:
F = ΔP/R
La resistenza (inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio) è massima verso il 4°
ordine di diramazione bronchiale. La resistenza è minima nella parte più distale dell'albero bronchiale
(zona di scambio), in cui l'aumento delle ramificazioni in parallelo aumenta la sezione trasversa totale
e diminuisce la resistenza, rendendo difficili le diagnosi precoci di malattie respiratorie a carico delle
ramificazioni distali. Alla ventesima generazione, la resistenza diminuisce fin quasi a zero. L'aumento
del diametro trasverso fa diminuire progressivamente la velocità dell'aria (cm/s).
Il flusso è considerato in litri al minuto e la relazione che c'è tra flusso e velocità di flusso (in cm/s) è:
F=v A
dove A sta per area trasversa totale. Quindi, la velocità diminuisce all'aumentare dell'area della
sezione (inversa proporzionalità tra le due grandezze).
• Secondo una teoria, i dotti alveolari sono l'ultima regione polmonare interessata dal movimento
dell'aria, dopodiché lo scambio avviene per semplice diffusione gassosa: gli alveoli non modificano il
loro volume durante il respiro (o comunque le variazioni sono piccole).
• Secondo altri, l'aria arriva anche agli alveoli, che si dilatano.
• Una terza ipotesi propone che potrebbe avvenire che gli alveoli, durante il respiro, passino da una
situazione atelettasica ad una situazione di distensione.
Indipendentemente dai fenomeni di dilatazione attiva dovuta ai muscoli dilatatori, la dilatazione dei
bronchi non cartilaginei aumenta durante l'inspirazione, diminuisce durante l'espirazione, ovvero
vanno incontro alle stesse variazioni volumetriche del polmone.
La resistenza dei bronchi non cartilaginei, quindi:
– diminuisce nell'inspirazione: per segnali nervosi riflessi e centrali che dilatano le vie aeree
superiori e per via della diminuzione della Ppl che dilata i bronchioli;
– aumenta in espirazione: per la riduzione di calibro dei bronchioli e per l'attivazione dei
costrittori della glottide.
La conduttanza delle vie aeree aumenta linearmente all'aumentare del volume polmonare (e la
resistenza si abbatte). A questo si aggiunge il controllo nervoso.
Questa è la ragione per cui una persona asmatica può tendere a mantenere un volume polmonare
maggiore rispetto alla capacità funzionale residua, che chiede il mantenimento di un tono dei muscoli
respiratori (che non sarebbe necessario a capacità funzionale residua), in quanto il respiro è più
faticoso per la resistenza al flusso delle vie aeree. In sostanza, l’asmatico può mantenere, a riposo, un
volume polmonare più elevato della capacità funzionale residua, in modo che le vie aeree siano più
pervie.
Mentre il flusso nel sistema circolatorio è turbolento solo in aorta e solo in alcuni momenti del ciclo
cardiaco, nelle vie aeree si passa da un regime di flusso turbolento nelle grandi vie aeree, a un flusso
intermedio nei bronchi di medio calibro fino a un flusso laminare nei bronchioli.
Espirazione forzata
L'espirazione forzata è lo sforzo espiratorio che porta al di
sotto della capacità funzionale specifica.
Il soggetto espira, svuota tutto il polmone, e inspira dal
volume residuo alla capacità vitale.
Il grafico mostra la respirazione forzata: le curve
dell'espirazione sono quelle sopra la linea dello 0, quelle
dell'inspirazione sono in basso.
Gli sforzi respiratori tra espirazione ed inspirazione sono
diversi, così come i flussi.
• Inspirazione
Il flusso aumenta all'aumentare dello sforzo respiratorio, sia
nella prima che nella seconda parte dell'inspirazione. Alla
capacità vitale, il polmone si è riempito completamente.
Infatti, la prima curva indica un flusso inspiratorio di
1L/secondo, mentre l'ultima indica che è stato prodotto un
flusso di 9L/s: lo sforzo inspiratorio che determina l'ultima
curva è maggiore di quello che determina le curve
precedenti.
• Espirazione
Il soggetto espira con uno sforzo più o meno della stessa
intensità e le curve diventano asimmetriche.
Il massimo flusso si sposta verso volumi polmonari sempre
maggiori all'aumentare dello sforzo. Inoltre, la seconda parte
della curva diventa indipendente dallo sforzo (linea retta
determinata dalla curva di sforzo massimale che è una tappa
obbligata per le curve di tutti gli altri sforzi espiratori).
A questo punto, il flusso diventa dipendente dal volume polmonare e indipendente dallo sforzo: alla
riduzione del volume polmonare, il flusso espiratorio si riduce.
Per l'inspirazione non avviene lo stesso: più il soggetto si sforza, maggiore è il flusso che ottiene,
determinando curve diverse sia nella prima che nella seconda parte, che confluiscono solo nel punto
della capacità vitale e nel punto del volume residuo (in cui il flusso è uguale a zero).
Dal punto di vista qualitativo, per espirare e quindi per schiacciare i dotti alveolari si aumenta la
pressione pleurica, che può diventare molto positiva (50 cmH 2O, generati non solo attorno agli alveoli,
ma anche attorno ai bronchioli). La stessa forza che spinge l'aria negli alveoli tende a chiudere i canali
attraverso cui passa l'aria, determinando il fenomeno appena descritto.
Le forze in gioco nello svuotamento del polmone nell'espirazione forzata sono:
- pressione pleurica: comprime gli alveoli e i canali bronchiali (due azioni che si annullano
reciprocamente);
- forza di collasso (di retrazione elastica) del polmone: tende a schiacciare gli alveoli,
determinando la fuoriuscita dell'aria, ma ha effetto opposto sui bronchi (allargandoli). Gli
alveoli aderiscono tutti alla parete esterna del bronco. L'alveolo tende a collassare per la sua
tensione superficiale, per cui attorno al bronco si concentrano forze che tendono a "tirare"
verso l'esterno, dovute agli alveoli. La forza di retrazione elastica del polmone, quindi,
mantiene aperti i bronchi.
La dinamica di instaurazione di diminuzione del flusso viene definita dal punto di ugual pressione,
punto in cui la pressione all'interno del bronco più la forza di retrazione elastica del polmone che lo
mantiene aperto eguagliano la forza della pressione intra-pleurica. In pratica, Ppl diventa positiva e,
oltre a comprimere gli alveoli, svuotandoli, contemporaneamente tende a occludere i bronchi,
impedendo che all'aumentare dello sforzo il flusso aumenti al di sopra di un valore limite, determinato
dal volume polmonare. Questo fenomeno si innesca solo quando si scende al di sotto di determinati
volumi polmonari.
A monte del punto di ugual
pressione, la pressione del
bronco più la forza di
retrazione elastica del
polmone superano la
pressione intra-pleurica,
mentre a valle è la pressione
intrapleurica a essere
maggiore.
Se si aumenta lo sforzo
espiratorio, la resistenza a
valle del punto di ugual
pressione aumenta per l'ulteriore compressione delle vie aeree e il flusso espiratorio rimane costante.
Maggiore è lo sforzo, maggiore è lo spostamento del punto di ugual pressione verso la regione
collassabile, verso gli alveoli.
Man mano che il volume polmonare si
riduce (espirazione), il punto di ugual
pressione si sposta verso gli alveoli
perché si riduce la forza di retrazione
elastica del polmone, che tiene aperti i
bronchioli e dipende dal volume
polmonare. Se il volume polmonare è
basso (in prossimità del volume
residuo), la forza di retrazione è ridotta
e i bronchioli alla base polmonare, dove
la forza di retrazione polmonare è più
bassa, si chiudono.
A un certo volume polmonare, il punto
di ugual pressione è più a valle (perché la forza di retrazione elastica è uguale a 10), ma riducendo il
volume, si riduce la forza di retrazione elastica (a 2 cmH 2O) e il punto di ugual pressione si sposta più a
monte, verso gli alveoli, verso i punti in cui la pressione del bronco è maggiore.
In caso di enfisema, la compliance polmonare è elevata e il ritorno elastico del polmone è scarso: non
ha la capacità di espirare velocemente, ma espira lentamente. Se espira velocemente, il flusso di aria si
riduce immediatamente perché va incontro a costrizione bronchiale (si chiudono i bronchioli molto al
di sopra del volume residuo), dato che la forza di retrazione elastica è insufficiente a mantenere il
bronco aperto.
L'aumento della resistenza delle vie aeree produce maggior caduta di pressione (riducendo il volume
polmonare), quindi il punto di ugual pressione si sposta a monte, verso gli alveoli.
La riduzione del volume polmonare che
si realizza durante l’espirazione
determina una riduzione del volume dei
bronchi e un aumento delle resistenze
delle vie aeree. L'aumento delle
resistenze genera una caduta pressoria
che fa spostare il punto di ugual
pressione a monte. Nell'immagine, si
vede come il punto di ugual pressione,
40cmH2O, si sposta verso l'alveolo
all'aumento della resistenza.
Infatti, quando aumenta la resistenza,
dove prima la pressione era di 50cmH2O, diventa di 40cmH2O, ed è per questo che il punto di ugual
pressione si sposta a monte (la pressione diminuisce a valle della zona interessata dalla diminuzione
del diametro del condotto bronchiale).
Lavoro respiratorio
Il lavoro respiratorio costituisce il 3-5% del consumo basale di energia ed è formato da due
componenti, lavoro elastico e lavoro contro le forze di attrito, necessario per mantenere la velocità
del movimento dell'aria nonostante gli attriti interni.
Il classico esempio è una molla.
Senza attrito, il lavoro che bisogna fare corrisponde all'aria (area a) compresa tra la retta
distanza/forza e l'asse della distanza (forza per spostamento):
L=F·s
⦁ In un respiro tranquillo, si parte dalla CFR e si aumenta la capacità polmonare fino a mezzo litro di
espansione (volume vitale) compiendo un tragitto che corrisponde a una curva sul diagramma (a-b).
La pressione è sempre maggiore a parità di volume tranne nei
punti in cui non c'è flusso (inizio e fine): la pressione
intrapleurica riflesse solo la forza di retrazione elastica del
polmone.
Occorre sommare l'area A (lavoro elastico, dipende solo dal
volume polmonare) e l'area B (lavoro fatto per vincere gli
attriti dell'aria e le resistenze delle vie aeree e creare il flusso
di area). Durante l'inspirazione, in cui la pressione
intrapleurica diminuisce e aumenta il volume, si è compiuto
lavoro attivo (muscoli inspiratori).
⦁ Nell'espirazione, si rilasciano i muscoli ispiratori e il volume
ritorna al punto di partenza secondo una curva che individua
una terza area, area C.
Il lavoro fatto durante l'espirazione rimane sempre l'area
compresa tra la curva volume/pressione e l'asse del volume (L
= A - C). Non si parte da 0, ma da -5, in quanto -5 è il punto di
equilibrio. Sarebbe 0 se si potesse misurare la pressione
alveolare.
A una frequenza di 12 atti respiratori al minuto si respira mezzo litro di aria. Il lavoro elastico mostra
una certa particolare dipendenza dalla frequenza respiratoria.
Se si mantiene costante la ventilazione alveolare facendo variare la frequenza respiratoria in aumento, il
lavoro elastico diminuisce progressivamente (in quanto dipende dall'espansione polmonare e i volumi
tidali diminuiscono durante una respirazione veloce), mentre il lavoro non elastico (contro la resistenza
delle vie aeree) aumenta progressivamente all'aumentare della frequenza respiratoria (più si respira
velocemente, più alte sono le resistenze).
Sommando i due valori, ci si rende conto che la frequenza respiratoria
ottimale per un lavoro respiratorio minimo è piazzabile a un livello che
corrisponde alla nostra normale frequenza respiratoria, la più
conveniente dal punto di vista energetico, che minimizza il lavoro
associato al ciclo respiratorio.
A - A livello della capacità vitale, la pressione sviluppata nelle vie aeree corrisponde esclusivamente
alla pressione esercitata dalle forze elastiche di ritorno. Alla capacità vitale, non si può fare uno sforzo
inspiratorio, mentre uno sforzo espiratorio a glottide chiusa porta il volume polmonare al 75% della
capacità vitale (pressione alveolare di 225mmHg);
B - la pressione sviluppata
dallo sforzo espiratorio si
somma alla pressione
esercitata dalle forze
elastiche di ritorno. Il
volume si riduce quasi
contemporaneamente alla
pressione. Partendo da
volumi sempre più bassi, la
pressione nelle vie aeree si
riduce progressivamente;
Alla CFR, la pressione
generata è puramente attiva
(non c'è più ritorno
elastico);
Anche quando il volume
scende al di sotto della CFR
si può generare forzo
espiratorio (sviluppare pressione isometrica), fino al punto del volume residuo, in cui non si riesce più
a modificare la pressione delle vie aeree;
C - a volume residuo, però, non è possibile uno sforzo espiratorio (la pressione negativa generata dalle
proprietà elastiche del sistema nelle vie aeree non è modificabile), mentre si può inspirare a glottide
chiusa. Uno sforzo inspiratorio in condizioni isometriche produce una variazione di pressione di circa
120 cmH2O (capacità di sforzo inspiratorio è inferiore alla capacità di sforzo espiratorio, che variava la
pressione di 225cmH2O), portando il volume polmonare ad un aumento del 18% della capacità vitale e
la pressione alveolare a -125mmHg.
Aumentando il volume di partenza, la capacità di realizzare pressione negativa nelle vie aeree cala
finché non si torna al massimo volume polmonare (capacità vitale), in cui non è possibile compiere
sforzo inspiratorio.
I limiti della capacità respiratoria sono 225 cmH2O in espirazione (cui si devono togliere 20 cmH2O
dovuti a caratteristiche passive del sistema) e 125 cmH 2O in inspirazione (tenendo conto che il
contributo delle forze elastiche passive è circa 40 cmH 2O).
Diffusione
dei
gas
Il
moto
disordinato
delle
particelle
di
un
gas
genera
un
processo
diffusionale
quando
esiste
un
gradiente
di
concentrazione
(ovvero
quando
la
concentrazione
di
un
gas
non
è
uniforme).
I
gas
tendono
a
diffondere
sia
in
fase
aeriforme
sia
se
sciolti
in
un
liquido
seguendo
il
loro
gradiente
di
concentrazione
(da
dove
sono
più
concentrati
a
dove
lo
sono
meno).
In
questo
caso,
nello
studio
della
diffusione
dei
gas
non
si
usa
la
differenza
di
concentrazione,
ma
la
pressione
che,
sulla
base
dell'equazione
di
gas,
dipende
dalla
concentrazione:
PV
=
nRT
La
legge
di
Boyle,
coinvolta
anche
nella
meccanica
della
respirazione
(durante
l'ispirazione
diminuisce
la
pressione
all'interno
dell'alveolo
perché
il
volume
di
quel
compartimento
aumenta),
afferma
che:
P
x
V
=
costante
T=cost
La
legge
di
Gay-‐Lussac
afferma
che,
all'aumento
della
temperatura,
mantenendo
costante
la
pressione,
aumenta
il
volume.
Infine,
la
legge
di
Dalton
indica
che
la
pressione
esercitata
da
un
gas
è
uguale
alla
pressione
parziale
dei
singoli
gas
che
compongono
la
miscela,
ovvero
la
pressione
che
il
singolo
gas
eserciterebbe
se
occupasse
da
solo
tutto
il
volume.
Ptot
=
PA
+
PB
+
PC
La
pressione
parziale
è
uguale
al
prodotto
della
pressione
totale
del
miscuglio
gassoso
moltiplicato
per
la
concentrazione
del
gas.
La
concentrazione
è
il
rapporto
tra
volume
del
gas
e
volume
totale
della
miscela,
quindi
una
concentrazione
percentuale.
La
nostra
atmosfera,
trascurando
il
contributo
dell'umidità,
è
costituita
per
il
79%
di
azoto
e
21%
di
ossigeno,
quindi:
pN2
=
760mmHg
(pressione
atmosferica)
x
79%
(ovvero
0.79)
=
600
mmHg
pO2
=
760mmHg
x
0.21
=
160mmHg
Quando
l'aeriforme
è
in
fase
liquida,
le
molecole
di
gas
si
sciolgono
nel
liquido
e
creano
una
pressione
parziale,
che
sale
man
mano
che
le
molecola
di
gas
passano
sempre
più
in
soluzione.
Il
processo
diffusionale
ha
fine
quando
la
pressione
esercitata
dal
gas
nella
fase
aeriforme
è
uguale
alla
pressione
esercitata
dal
gas
in
fase
liquida.
Quindi,
le
concentrazioni
possono
essere
diverse
ma
la
pressione
sarà
sempre
uguale.
Il
rapporto
tra
concentrazione
e
pressione
in
un
liquido
è
espresso
dalla
legge
di
Henry:
la
concentrazione
(C)
di
un
gas
in
un
liquido
è
uguale
al
prodotto
della
pressione
del
gas
(P)
per
il
coefficiente
di
solubilità
(S).
C
=
P
x
S
Se
un
gas
è
molto
solubile,
a
parità
di
pressione
avrà
una
concentrazione
maggiore
nel
liquido
rispetto
a
un
gas
con
coefficiente
di
solubilità
inferiore.
Se
si
riscrive
la
legge
di
Henry
mettendo
in
evidenza
la
pressione,
allora:
P
=
C/S
Non
appena
si
scioglie
una
piccola
quantità
di
gas
poco
solubile,
aumenta
subito
la
pressione
parziale
del
gas,
mentre
se
un
gas
è
poco
solubile
aumenta
di
meno.
Maggiore
è
la
solubilità
del
gas,
maggiore
è
il
volume
di
gas
che
entra
in
soluzione
senza
aumentare
la
pressione.
La
solubilità
dei
gas,
esprimendo
pressione
in
atm
e
concentrazioni
in
volumi
%,
è:
-‐
0.024
per
l'ossigeno,
-‐
0.57
per
l'anidride
carbonica
(20
volte
più
solubile
dell'ossigeno),
-‐
0.018
per
il
CO,
-‐
0.012
per
il
N2,
-‐
0.008
per
l'He.
La
legge
che
regola
il
movimento
dei
gas
a
livello
alveolare
è
la
legge
di
Fick,
per
cui
la
velocità
di
diffusione
(unità
di
volume/unità
di
tempo)
è
proporzionale
al
gradiente
di
pressione
a
cavallo
della
membrana
alveolo-‐capillare,
alla
superficie
di
scambio
(A)
e
alla
costante
di
diffusione
(o
coefficiente
di
diffusione,
D).
v
=
(D
A
ΔP)
/
X
Dove
X
è
lo
spessore
della
membrana
alveolo-‐capillare,
A
la
superficie
della
membrana
alveolo-‐
capillare.
Si
tratta
della
stessa
legge
che
descrive
la
diffusione
dei
metaboliti
nel
contesto
degli
scambi
capillare-‐
tessuto.
Il
coefficiente
di
diffusione
è
uguale
al
rapporto
tra
la
solubilità
del
gas
nel
liquido
e
la
radice
quadrata
del
peso
molecolare
(MV).
D
=
S/ 𝑀𝑉
Si
intende
solubilità
nell'acqua
e
non
nei
lipidi
(in
cui
la
solubilità
è
altissima).
Nel
processo
diffusionale,
il
tempo
di
attraversamento
della
membrana
è
trascurabile
rispetto
al
tempo
di
attraversamento
della
fase
acquosa.
Rispetto
all'ossigeno,
la
CO2
ha
capacità
diffusionale
20
volte
superiore
per
la
relativa
differenza
nella
solubilità
nell'acqua.
Infatti
D
per
l'ossigeno
è
1,
per
l'anidride
carbonica
20.3,
per
il
CO
è
0.81
e
per
N2
0.53.
Quindi,
quando
si
osserva
il
gradiente
di
pressione
tra
alveolo
e
capillare,
si
trova
per
l'ossigeno
un
gradiente
di
ben
60mmHg,
mentre
per
la
CO2
solo
6mmHg.
Nonostante
questo,
la
velocità
di
diffusione
dei
due
gas
è
quasi
uguale
per
il
fatto
che
la
solubilità
della
CO2
è
molto
maggiore,
per
cui
basta
un
gradiente
piccolo
per
spingere
grossi
volumi
di
CO2
attraverso
la
membrana
alveolo-‐capillare,
mentre
per
l'ossigeno
occorre
un
gradiente
superiore.
Valori
di
pressione
parziale
dei
gas
respiratori
nelle
vie
aeree
La
pressione
parziale
di
O2
nell'atmosfera
è
160mmHg
contro
i
600mmHg
dell'azoto,
trascurando
l'umidità,
ovvero
la
pressione
parziale
del
vapore
acqueo.
La
pressione
barometrica
è
sempre
la
stessa,
760mmHg,
per
cui
la
presenza
di
vapore
acqueo
determina
una
diminuzione
delle
pressioni
parziali
degli
altri
gas,
li
diluisce,
anche
se
la
concentrazione
relativa
dei
gas
rimane
costante.
Immaginando
di
avere
12mmHg
di
pressione
di
acqua,
l'ossigeno
costituisce
sempre
il
21%
e
l'azoto
il
79%,
occorre
per
togliere
dai
760mmHg
la
quota
che
dipende
dal
vapore
acqueo,
ottenendo
748mmHg,
ascrivibili
sempre
per
il
21%
all'ossigeno
e
il
79%
all'azoto,
per
cui
si
può
ancora
calcolare
la
pressione
parziale
di
ossigeno
e
azoto
dopo
aver
modificato
la
pressione
barometrica
tenendo
conto
dell'umidità:
pN2
=
748mmHg
x
0.79
=
591mmHg
pO2
=
748mmHg
x
0.21
=
157mmHg
Quindi,
le
pressioni
parziali
dipendono
dall'umidità
(o
dalla
CO2
in
situazioni
particolari,
come
esalazione
vulcanica
che
libera
anidride
carbonica).
La
pressione
di
vapore
nel
nostro
organismo
è
di
47mmHg,
che
diluisce
ulteriormente
i
valori
di
pressioni
parziali
di
azoto
e
ossigeno:
pO2
=
(760
-‐
47)
x
0.21
pN2
=
(760
-‐
47)
x
0.79
L'ossigeno
arriva
nelle
vie
aeree
a
una
pressione
parziale
di
150mmHg.
Nell'alveolo,
l'ossigeno
passa
nel
sangue
(viene
consumato)
e
il
sangue
cede
CO2,
modificando
ulteriormente
le
concentrazioni
dei
gas,
le
pressioni
parziali
e
le
frazioni
secche
(concentrazioni
senza
tener
conto
del
vapore
acqueo),
che
nelle
vie
aeree
sono
costanti
(0.21
e
0.79),
ma
non
sono
costanti
nell'alveolo,
perché
l'ossigeno
viene
consumato
e
si
aggiunge
anidride
carbonica.
Si
modificano
quindi
anche
i
valori
percentuali
relativi
di
ossigeno
e
azoto.
L'ossigeno,
in
media,
a
livello
alveolare,
è
sceso
a
100mmHg
(rispetto
a
157mmHg
nelle
vie
aeree
quando
si
ispira),
nell'alveolo
si
è
aggiunta
CO2,
aumentando
la
sua
pressione
parziale
(che
nell'aria
ambiente
è
zero)
a
40mmHg.
Nel
sangue
che
arriva
a
livello
alveolare,
l'ossigeno
ha
pressione
parziale
di
40mmHg
contro
i
46mmHg
della
CO2.
Il
sangue
scorre
nei
capillari
polmonari
e,
alla
fine,
si
ritrovano
nel
sangue
gli
stessi
valori
che
si
ritrovano
nell'alveolo,
per
cui
si
giunge
a
un
equilibrio
in
cui
le
pressioni
parziali
dei
due
gas
sono
uguali
nell'alveolo
e
nel
sangue
se
si
è
in
ambiente
normale,
a
riposo
e
in
condizioni
normali.
Passando
dal
sangue
refluo
del
capillare
alveolare
all'arteria,
si
osserva
che
la
pressione
parziale
di
ossigeno
cala
da
100
a
95mmHg,
mentre
la
pressione
parziale
della
CO2
è
costante
(anche
se
in
realtà
si
modifica,
aumentando
di
pochissimo).
Questo
fenomeno
è
dovuto
agli
shunt
anatomici
e
ad
altri
fattori
da
analizzare.
Il
sangue
refluo
della
circolazione
bronchiale
e
il
sangue
della
circolazione
coronarica
si
mescola
al
sangue
arterioso.
Nel
muscolo
in
esercizio
massimale,
la
pO2
è
10
mmHg
e
la
pCO2
arriva
a
60mmHg.
A
riposo,
il
sangue
refluo
che
confluisce
nelle
vene
cave
produce
una
pO2
di
40mmHg
e
una
pCO2
di
46mmHg.
Nel
sangue
refluo
dei
capillari
alveolari,
la
pressione
parziale
dei
tali
gas,
uguale
a
quella
alveolare,
è
tale
che
la
somma
totale
delle
pressioni
parziali
dà
760mmHg
(pressione
atmosferica),
mentre
a
livello
venoso
cala
a
706mmHg
per
via
della
diversa
solubilità
di
ossigeno
e
CO2
e
per
via
del
fatto
che
la
quantità
di
ossigeno
consumata
è
superiore
alla
CO2
che
prodotta
dai
tessuti.
Normalmente
si
consumano
250ml
di
ossigeno
al
minuto,
ma
si
producono
soltanto
200ml
di
CO2,
inoltre
il
volume
di
ossigeno
che
viene
sottratto
dal
sangue
produce
un
abbattimento
della
pressione
parziale
del
sangue
molto
maggiore
rispetto
a
quello
generato
dall'anidride
carbonica,
perché
l'anidride
carbonica
è
più
solubile
e
la
sua
aggiunta
al
sangue
non
provoca
una
variazione
di
pressione
uguale
a
quella
prodotta
dalla
quantità
di
ossigeno
prelevata.
Di
conseguenza,
nel
sangue
venoso
la
pressione
barometrica
è
un
po'
più
bassa
rispetto
a
quella
atmosferica.
Questo
squilibrio
(differenza
di
pressione
tra
alveolo
e
sangue
venoso)
può
determinare,
quando
i
bronchioli
vengono
chiusi,
fenomeni
di
atelettasia,
perché
l'ossigeno
continua
a
passare
nel
sangue
e,
quando
nell'alveolo
trova
una
pressione
barometrica
inferiore
a
quella
del
sangue,
facilita
la
tendenza
degli
alveoli
ad
andare
incontro
a
collasso,
che
si
può
verificare
all'ostruzione
di
compartimenti
bronchiali.
In
un
singolo
respiro,
si
porta
nei
polmoni
un
volume
tidale
di
mezzo
litro,
di
cui
250ml
finiscono
negli
alveoli,
dove
si
aggiungono
a
un
volume
che
è
superiore
a
2L.
Questo
fa
sì
che
la
concentrazione
di
O2
e
CO2
durante
il
ciclo
respiratorio
non
subisca
variazioni
drammatiche.
Naturalmente,
questo
non
avviene
quando
il
volume
aumenta,
come
durante
l'esercizio
fisico.
A
riposo,
il
rapporto
tra
volume
tidale
e
volume
alveolare
di
base
è
basso
e
fa
sì
che
le
concentrazioni
dei
gas
presenti
nell'alveolo
subiscano
variazioni
modeste.
Allo
stesso
modo,
il
ricambio
ridotto
dell'aria
alveolare
(350ml
per
respiro)
fa
sì
che
occorre
un
tempo
lungo
per
eliminare
un
eventuale
gas
estraneo
inalato
(circa
17
secondi
per
eliminarne
il
50%).
Il
grafico
mostra
le
variazioni
di
pCO2
e
pO2
all'interno
dell'alveolo.
Durante
l'inspirazione,
si
porta
aria
ricca
di
ossigeno
(250ml)
quindi
si
varia
la
concentrazione
di
ossigeno
e
la
sua
pressione
parziale
nell'alveolo.
Allo
stesso
modo,
anche
della
CO2,
perché
l'aria
introdotta
è
priva
di
anidride
carbonica.
Le
fluttuazioni
sono
di
più
o
meno
di
1.5mmHg
(oscillazioni
tra
98
e
101
mmHg
per
l'ossigeno),
per
cui
si
può
considera
costante
la
pO2
durante
il
ciclo
respiratorio.
Se
la
ventilazione
aumenta,
le
fluttuazioni
sono
considerevoli
e
l'approssimazione
non
è
valida.
Fattori
da
cui
dipendono
le
pressioni
parziali
La
pressione
alveolare
di
O2
è
100mmHg
(secondo
alcuni
testi
104mmHg)
e
dipende
da:
-‐ ventilazione
alveolare
(aumenta
all'aumento);
-‐ pO2
nell'atmosfera;
-‐ consumo
di
ossigeno
(aumenta
se
diminuisce
la
velocità
di
assorbimento
di
ossigeno).
E'
possibile
definire
questa
relazione
in
maniera
quantitativa
tenendo
conto
che
il
consumo
tissutale
di
ossigeno
è
uguale
all'ossigeno
che
nell'unità
di
tempo
passa
dall'alveolo
a
sangue.
Indicando
con
VO2
l'ossigeno
consumato,
si
può
affermare
che:
VO2
=
VentA
[O2]insp
-‐
VentA
[O2]A
L'ossigeno
che
passa
nel
sangue
è
uguale
all'ossigeno
che
si
porta
nel
polmone
meno
l'ossigeno
che
viene
esalato,
ovvero
il
prodotto
della
ventilazione
alveolare
per
la
concentrazione
di
ossigeno
inspirato
(ventA
[O2]insp)
meno
la
ventilazione
alveolare
per
la
concentrazione
di
ossigeno
nell'aria
alveolare
(ventA
[O2]A).
La
ventilazione
alveolare
in
ingresso
non
è
uguale
a
quella
in
uscita
perché
normalmente
il
volume
di
CO2
prodotto
non
è
uguale
al
volume
di
ossigeno
che
nello
stesso
tempo
viene
consumato.
VentA
[O2]A
=
VentA
[O2]insp
-‐
VO2
Mettendo
in
evidenza
la
concentrazione
di
ossigeno
alveolare:
[O2]A
=
[O2]insp
-‐
(VO2/VentA)
Per
la
legge
di
Dalton,
la
concentrazione
dell'ossigeno
è
uguale
al
rapporto
della
pressione
parziale
dell'ossigeno
rispetto
a
quella
totale:
[O2]A
=
pO2
alv
/(760
-‐
pH2O)
Questo
parametro
si
definisce
anche
frazione
secca
(perché
la
pressione
totale
è
quella
che
tiene
conto
della
pressione
parziale
del
vapore
acqueo).
Quindi
l'equazione
diventa:
pO2
alv
=
(760
-‐
pH2O)
([O2]insp
-‐
VO2/VentA)
Questa
curva,
all'aumentare
della
ventilazione
alveolare,
tende
a
un
valore
asintotico,
il
quale
è
la
pressione
parziale
di
ossigeno
che
si
ritrova
a
livello
delle
vie
aeree
(150mmHg).
Le
curve
si
riferiscono
a
due
livelli
diversi
nel
consumo
di
ossigeno,
rispettivamente
250ml
e
1L.
Si
considerano
i
valori
delle
curve
quando
la
ventilazione
alveolare
è
tra
4
e
5
L
al
minuto,
valore
normale.
Se
il
consumo
di
ossigeno
è
di
250ml/min,
la
pressione
parziale
di
ossigeno
nell'aria
alveolare
è
100mmHg,
se
il
consumo
di
ossigeno
aumenta
di
4
volte
(1000ml)
la
pressione
cala
a
25mmHg.
All'aumento
del
consumo
di
ossigeno,
i
meccanismi
omeostatici
nel
nostro
organismo
aumentano
la
ventilazione
in
modo
da
poter
mantenere
valori
costanti
di
ossigeno
a
livello
alveolare.
La
pCO2,
invece,
dipende
da:
-‐ ventilazione
alveolare
(aumenta
se
diminuisce
la
ventilazione);
-‐ velocità
di
produzione
della
CO2
(VCO2)
Normalmente,
l'anidride
carbonica
non
è
presente
nell'aria,
tranne
in
condizioni
particolari
in
cui
si
possono
respirare
miscele
di
gas
in
cui
la
pCO2
è
diversa
da
zero.
Se
si
respira
normalmente
in
un
ambiente
privo
di
CO2,
allora
la
velocità
nella
produzione
della
CO2
è
uguale
alla
velocità
con
cui
viene
espulsa
all'esterno.
Quindi:
VCO2
=
ventA
[CO2]A
Il
volume
di
CO2
prodotto
è
uguale
al
prodotto
della
ventilazione
alveolare
per
la
concentrazione
alveolare
di
anidride
carbonica.
[CO2]A
=
VCO2/ventA
Sostituendo
al
termine
[CO2]A
il
valore
dato
dalla
legge
di
Dalton:
[CO2]A
=
pCO2
alv/(760-‐pH2O)
Quindi,
il
prodotto
della
pCO2
per
la
ventilazione
alveolare
è
uguale
ad
un
termine
che
è
costante
se
l'attività
metabolica
del
soggetto
è
costante.
All'aumentare
della
ventilazione
alveolare,
il
valore
della
pCO2
tende
asintoticamente
a
zero,
mentre
quando
la
ventilazione
alveolare
si
azzera,
la
pCO2
tende
all'infinito.
Se
si
dimezza
il
livello
di
ventilazione
senza
modificare
il
metabolismo
(in
intossicazione
da
barbiturico,
per
esempio)
la
produzione
di
CO2
rimane
costante,
ma
diminuisce
la
sua
velocità
di
eliminazione
dall'organismo,
per
cui
si
accumula
nei
tessuti,
nel
sangue
e
nell'alveolo.
L'accumulo
continua
finché
la
concentrazione
di
CO2
nell'alveolo
raggiunge
una
concentrazione
doppia
a
quella
iniziale.
A
questo
punto,
la
ventilazione
dimezzata
elimina
la
stessa
quantità
che
viene
prodotta
dai
tessuti.
La
relazione
fondamentale
è
VCO2
=
ventA
[CO2]A
(produzione
di
anidride
carbonica
uguale
a
ventilazione
alveolare
per
concentrazione
alveolare
di
CO2),
per
cui
se
si
dimezza
la
ventilazione
alveolare,
la
concentrazione
deve
raddoppiare
per
pareggiare
il
prodotto.
Se
raddoppia
la
concentrazione
di
CO2,
vuol
dire
che
è
raddoppiata
anche
la
pCO2
(perché
è
costante
il
prodotto
della
ventilazione
alveolare
per
la
concentrazione
di
CO2
nell'alveolo
ed
è
costante
anche
il
prodotto
tra
ventilazione
alveolare
e
pressione
parziale
di
CO2
dell'alveolo).
Se
si
aumenta
il
metabolismo
di
4
volte,
la
pCO2
salirebbe
da
40mmHg
fino
a
150mmHg.
Questo
non
accade
perché
aumentando
il
metabolismo,
automaticamente
aumenta
la
ventilazione
alveolare
che
si
porta
tra
15
e
20L
al
minuto,
mantenendo
la
pCO2
costante
a
40mmHg.
Il
plateau
alveolare
è
la
concentrazione
dei
gas
nell'alveolo
che
si
può
misurare
alla
fine
dell'espirazione.
Registrando
un
plateau
alveolare
in
un
soggetto
sano,
vuol
dire
che
sta
esalando
aria
dagli
alveoli
e
si
può
misurare
la
concentrazione
dei
gas
in
essa.
Quando
si
inspira,
si
riempie
l'aria
dello
spazio
morto
di
aria
ambiente:
150mmHg
di
ossigeno
e
0
di
anidride
carbonica.
I
primi
valori
che
si
iniziano
a
esalare
sono
150
per
l'ossigeno
e
0
per
la
CO2.
Poi,
comincia
ad
essere
esalata
una
frazione
di
aria
dello
spazio
morto
degli
alveoli
per
cui
la
pO2
diminuisce
fino
ad
arrivare
a
100.
La
CO2
sale
fino
ad
arrivare
a
40mmHg.
Alla
fine
dell'espirazione,
l'aria
dello
spazio
morto
non
è
più
aria
ambiente,
ma
aria
alveolare,
con
le
pressioni
parziali
di
ossigeno
e
anidride
carbonica
a
100
e
a
40.
Quindi,
l'aria
dello
spazio
morto
dipende
dal
momento
del
ciclo
respiratorio
(inspirazione
o
espirazione).
Un
altro
fattore
importante
nel
determinare
i
valori
alveolari,
oltre
a
ventilazione
e
consumo
e
produzione
dei
gas,
è
il
rapporto
tra
ventilazione
(VentA)
e
perfusione
(Q).
In
un
alveolo
molto
ventilato,
entra
molto
ossigeno
nell'unità
di
tempo,
ma
il
valore
di
pO2
che
si
crea
dipende
dall'ossigeno
che
entra
e
da
quello
che
si
porta
nel
sangue.
Se
l'alveolo
è
molto
perfuso,
è
molto
elevata
la
quantità
di
ossigeno
che
si
porta
nel
sangue.
Per
questo,
la
ventilazione
non
può
essere
considerata
da
sola,
ma
deve
essere
considerata
in
rapporto
alla
perfusione.
Se
è
poco
ventilato
ed
è
ancor
meno
perfuso
(l'ossigeno
che
entra
è
maggiore
di
quello
che
si
porta
nel
sangue),
nell'alveolo
resta
abbastanza
ossigeno
da
determinare
una
pressione
parziale
anche
maggiore
della
media
alveolare.
Occorre
prendere
in
esame
i
casi
limite,
ovvero
quello
di
un
rapporto
ventilazione/perfusione
infinito
e
quello
di
un
rapporto
ventilazione/perfusione
uguale
a
zero.
In
caso
di
rapporto
ventilazione/perfusione
infinito,
l'alveolo
è
tanto
ventilato,
ma
pochissimo
perfuso,
quindi
è
come
se
fosse
pieno
di
aria
ambiente
(non
c'è
perdita
verso
il
sangue).
Questo
sarebbe
l'alveolo
ventilato,
ma
non
perfuso.
Avrebbe,
quindi,
una
pCO2
a
zero,
come
quella
atmosferica,
e
pO2
a
150mmHg,
valore
delle
vie
aeree
(che
non
può
mai
essere
superato,
perché
tutti
i
movimenti
sono
diffusionali
quindi
l'aria
ambiente
nell'alveolo
avrà
al
massimo
la
pO2
che
si
trova
nelle
vie
aeree
e
non
quella
che
si
può
misurare
nell'atmosfera,
perché
la
temperatura
corporea
di
37°
determina
una
pressione
di
vapore
acqueo
di
47mmHg).
L'altro
caso
limite
è
quello
di
un
alveolo
non
ventilato,
ma
perfuso:
in
esso
la
pO2
e
la
pCO2
sono
uguali
a
quelle
che
si
trovano
a
livello
del
sangue
capillare
(rapporto
ventilazione/perfusione
uguale
a
zero).
I
valori
del
rapporto
ventilazione/perfusione
sono
disposti
tra
questi
estremi
(casi
limite).
Il
valore
medio
corrisponde
a
un
rapporto
ventilazione/perfusione
uguale
a
1,
normale
(ventilazione
e
gittata
corrispondono
entrambi
a
circa
5
L
al
minuto).
In
ortostatismo,
la
base
è
più
perfusa
e
l'apice
meno
perfuso,
così
come
la
base
è
più
ventilata,
l'apice
meno
ventilato.
La
pendenza
della
relazione
tra
perfusione
e
distanza
dall'apice
è
molto
maggiore
rispetto
alla
pendenza
della
relazione
tra
ventilazione
e
distanza
dall'apice.
Per
questo,
il
rapporto
ventilazione/perfusione
cambia
nel
polmone
in
ortostatismo.
Tra
apici
e
terza
costa
la
ventilazione
è
sempre
maggiore
alla
perfusione,
quindi
il
rapporto:
VentA/Q
>
1
ovvero
domina
la
ventilazione
(valore
massimo
3.3).
Non
si
può
dire
però
che
l'apice
è
meglio
ventilato
e
meno
perfuso,
in
quanto
è
peggio
ventilato
così
come
è
peggio
perfuso.
L'affermazione
corretta
è:
l'apice
è
meglio
ventilato
CHE
perfuso.
Alla
base,
il
rapporto
è:
VentA/Q
<
1
Questo
perché
la
base,
che
è
meglio
ventilata
dell'apice,
presenta
alveoli
con
una
pO2
più
bassa
rispetto
all'apice,
dove
gli
alveoli
sono
peggio
ventilati,
quindi
essere
meglio
ventilati
non
basta
per
avere
una
pO2
più
elevata:
gli
alveoli
alla
base,
infatti,
sono
meglio
perfusi
CHE
ventilati,
quindi
la
ventilazione
non
è
sufficiente
a
mantenere
il
livello
di
pO2.
Quindi,
la
pO2
è
più
bassa
alla
base,
più
alta
all'apice.
L'opposto
avviene
per
la
pCO2,
più
elevata
alla
base,
più
bassa
all'apice.
Facendo
respirare
al
soggetto
aria
che
contiene
Xeno
radioattivo,
si
verifica
questa
situazione
(che
dipende
dalla
gravità,
infatti
scompare
nel
soggetto
sdraiato).
La
base
del
polmone
è
meglio
ventilata
per
via
del
volume
degli
alveoli
alla
base.
Osservando
la
curva
di
compliance,
si
osserva
che
quando
le
dimensioni
sono
ridotte
basta
una
piccola
variazione
di
pressione
per
aumentare
il
volume
(compliance
elevata),
mentre
se
le
dimensioni
sono
maggiori,
variazioni
di
pressione
non
determinano
variazioni
di
volume
(compliance
ridotta):
se
l'alveolo
è
piccolo,
c'è
margine
di
espansione,
se
l'alveolo
è
grande
si
allarga
di
poco.
Gli
alveoli
alla
base
hanno
dimensioni
minori
di
quelli
all'apice
perché
sono
"schiacciati"
dal
peso
della
parte
superiore
del
polmone,
mentre
quelli
all'apice
sono
allargati
dal
peso
della
parte
inferiore
del
polmone,
che
li
stira
verso
il
basso.
Con
una
terminologia
più
raffinata,
il
cavo
pleurico
è
pieno
di
liquido
e
vige
una
pressione
idrostatica:
se
ci
si
trova
in
piedi,
la
pressione
all'apice
(-‐10cmH2O)
è
inferiore
di
quella
alla
base
(-‐3cmH2O),
quindi
la
pressione
transmurale
sarà
ridotta
alla
base
(meno
negativa),
quindi
ridotto
il
volume
(la
pressione
alveolare
è
zero).
Gli
alveoli
alla
base
non
sono
sempre
meglio
ventilati,
in
quanto
se
si
respira
dal
volume
residuo
(e
non
dalla
capacità
funzionale
residua)
questo
non
avviene.
Il
motivo
è
che,
quando
si
inspira
dal
volume
residuo,
dopo
una
espirazione
forzata,
i
bronchioli
basali
sono
collassati,
quindi
la
base
del
polmone
è
meno
ventilata.
E'
possibile
misurare
in
maniera
quantitativa
il
volume
polmonare
per
cui
cominciano
a
chiudersi
gli
alveoli
alla
base
del
polmone.
Si
utilizza
lo
stesso
metodo
che
si
utilizza
per
calcolare
lo
spazio
morto
anatomico.
Il
soggetto
inspira
e
in
seguito
esala
e
a
un
certo
punto
inizia
a
esalare
azoto
a
concentrazione
sempre
crescente
(sta
svuotando
il
compartimento
alveolare).
Quando
si
arriva
alla
fine
dell'espirazione
e
il
volume
è
vicino
al
volume
residuo,
la
curva
della
concentrazione
dell'azoto
comincia
a
impennarsi,
in
quanto
iniziano
a
chiudersi
gli
alveoli
alla
base
del
polmone
(segnata
da
un
aumento
della
concentrazione
di
azoto
nell'aria
esalata).
Questo
avviene
perché
l'apice
del
polmone
è
peggio
ventilato
della
base,
quindi
c'è
meno
ossigeno
puro
(hanno
preso
una
quota
minore
del
respiro
di
O2
e
la
concentrazione
di
azoto
è
maggiore).
In
condizioni
patologiche
il
plateau
alveolare
non
viene
raggiunto
e
il
volume
di
chiusura
non
può
essere
valutato.
Fattori
che
limitano
il
movimento
dei
gas
Il
movimento
di
gas
può
essere
limitato
dalla
diffusione
o
dalla
perfusione:
quando
il
movimento
è
limitato
dalla
diffusione,
se
si
migliora
la
diffusione,
si
migliora
il
passaggio
del
gas
da
alveolo
a
sangue
e
viceversa.
Il
livello
di
diffusione
che
si
verifica
nell'alveolo
non
consente,
in
condizioni
normali,
che
il
sangue
sia
in
equilibrio
con
l'aria
alveolare:
questo
non
avviene
nel
nostro
organismo.
Nel
caso
degli
scambi
che
avvengono
in
un
soggetto
normale
in
buone
condizioni
di
salute,
a
riposo,
il
fattore
limitante
non
è
la
diffusione,
per
cui
deve
essere
la
perfusione
(volume
di
sangue
che
passa
al
minuto
attraverso
il
circolo).
Aumentando
la
perfusione,
si
può
veicolare
un
volume
maggiore
di
ossigeno.
Ogni
volume
di
sangue
che
passa
per
i
capillari
alveolari
raggiunge
la
pressione
parziale
dell'alveolo,
quindi
carica
il
massimo
possibile
di
ossigeno.
Se
la
pressione
parziale
nell'alveolo
e
nel
sangue
alla
fine
sono
uguali,
il
trasporto
è
limitato
dalla
perfusione,
se
sono
diversi
è
limitato
dalla
diffusione.
Nel
nostro
organismo,
il
trasporto
è
limitato
dalla
perfusione.
Potrebbe
essere
limitato
dalla
diffusione
solo
se
esistesse
un
meccanismo
di
trasporto
attivo
del
gas.
Considerando
il
caso
limite
di
trasporto
limitato
dalla
diffusione,
immaginiamo
che
un
gas
sia
presente
nell'alveolo
a
pressione
molto
bassa,
il
quale
si
lega
a
un
traportatore,
come
l'emoglobina,
che
ha
un
livello
di
saturazione
molto
basso
perché
la
pressione
parziale
nell'alveolo
è
tanto
bassa
da
essere
lontana
dai
livelli
di
pressione
parziale
che
sarebbero
necessari
per
raggiungere
la
saturazione
del
trasportatore.
Quando
si
lavora
in
queste
condizioni
(ad
esempio,
il
gas
è
il
monossido
di
carbonio),
il
gas
diffonde
e
immediatamente
si
lega
al
trasportatore,
quindi
la
sua
concentrazione
a
livello
del
plasma
è
praticamente
zero
e
rimane
quasi
a
zero
per
tutta
la
durata
del
capillare
alveolare.
Si
è
lontani
dal
raggiungere
la
massima
possibilità
di
trasporto
del
gas.
Quindi,
la
pressione
parziale
del
CO
nel
sangue
rimane
per
tutta
la
durata
del
percorso
quasi
a
zero
e
rimane
un
gradiente
alveolo
capillare
che
corrisponde
alla
differenza
tra
la
pressione
alveolare
e
quella
del
plasma,
che
è
virtualmente
zero.
Questo
è
il
trasporto
più
limitato
dalla
diffusione
che
si
può
immaginare.
In
caso
di
trasporto
limitato
della
perfusione,
si
considera
il
N2O,
senza
trasportatore.
Le
molecole
di
gas
diffondono
subito
in
soluzione,
alzano
immediatamente
la
pressione
parziale
nel
sangue
che
si
equilibra
rapidamente
alla
pressione
parziale
alveolare.
Per
determinare
il
passaggio
di
altre
molecole
nel
sangue,
occorre
che
il
sangue
scorra.
Il
sangue
si
è
riempito
della
massima
capacità
di
trasporto,
della
quantità
di
gas
che
corrisponde
alla
pressione
parziale
che
si
rileva
nell'alveolo.
Il
movimento
dei
gas
respiratori
nel
polmone
umano
avviene
attraverso
il
meccanismo
di
trasporto
ad
elevata
affinità
per
l'ossigeno
(emoglobina).
La
pressione
parziale
alveolare
non
è
lontana
dalla
massima
saturazione
dell'emoglobina:
il
gas
diffonde
aumentando
progressivamente
la
pressione
parziale
del
sangue
finché
a
circa
1/3
del
tratto
del
capillare
alveolare
non
si
mette
in
equilibrio
con
quella
alveolare.
A
questo
punto,
il
sangue
non
è
in
grado
di
caricarsi
di
altro
ossigeno.
Nei
primi
250ms
(prima
parte
del
tragitto),
si
osserva
la
diffusione
all'opera
che
porta
la
pO2
a
livelli
sempre
maggiori,
finché
non
raggiunge
il
massimo
del
risultato
realizzando
nel
capillare
la
stessa
pO2
dell'alveolo.
Anche
se
inizialmente
la
diffusione
è
il
fattore
limitante
(se
migliorata
si
arriva
più
velocemente
alla
pO2
dell'alveolo),
in
questo
caso
il
trasporto
è
limitato
dalla
perfusione.
Questo
è
il
caso
reale,
il
comportamento
di
anidride
carbonica
e
ossigeno.
Gli
esempi
precedenti
erano
casi
limite:
il
primo
è
il
caso
del
trasporto
limitato
da
diffusione,
in
cui
il
gradiente
alveolo
capillare
permane
perché
il
trasportatore
è
ad
alta
affinità,
ma
lontanissimo
dalla
saturazione.
Nel
secondo
caso
le
molecole
si
disciolgono
nel
sangue,
aumentano
immediatamente
la
pressione
e
il
volume
di
sangue
si
satura.
In
condizioni
patologiche,
all'aumento
della
dimensione
dell'interstizio
(accumulo
di
liquido
dovuto
a
infiammazione),
le
distanze
del
processo
di
diffusione
si
allungano,
per
cui
il
raggiungimento
della
pO2
alveolare
è
tardivo,
non
accade
entro
i
300ms,
ma
verso
i
600ms.
In
questo
caso,
il
gradiente
alveolo-‐capillare
non
si
forma:
il
problema
di
diffusione
ancora
non
manifesta
le
sue
conseguenze.
Se
il
problema
diffusionale
diventa
più
importante,
allora
il
sangue
non
riesce
a
raggiungere
il
valore
di
pO2
che
si
ritrova
nell'alveolo.
La
curva
B
mostra
un
carico
di
ossigeno
normale
(nonostante
il
problema
di
diffusione),
mentre
nella
curva
C
si
forma
un
gradiente
alveolo-‐capillare
(il
sangue
non
preleva
tutto
l'ossigeno
che
è
alla
sua
portata).
Anche
per
la
CO2,
il
trasporto
è
limitato
dalla
perfusione.
Un
soggetto
normale
raggiunge
un
valore
di
pCO2
a
livello
alveolare
identico
a
quella
del
sangue
(40mmHg).
Il
sangue,
in
condizioni
normali,
scarica
tutta
la
CO2
che
è
in
grado
di
scaricare.
Se
la
diffusione
è
impedita
(curva
B),
si
crea
un
gradiente
alveolo-‐capillare.
In
questo
caso,
la
pCO2
nel
sangue
del
capillare
risulta
ancora
maggiore,
alla
fine
del
transito,
a
quella
che
si
trova
nell'alveolo.
Nell'esercizio
fisico,
occorre
aumentare
la
gittata
cardiaca,
che
richiede
la
capacità
di
far
circolare
il
sangue
con
maggiore
velocità,
dovuta
alla
stimolazione
del
simpatico
(forza
e
frequenza
di
contrazione
maggiore).
Questo
vuol
dire
che
il
sangue
attraverserà
in
tempo
minore
i
vari
circuiti
capillari,
e
a
livello
polmonare
il
tempo
può
arrivare
a
250ms
(1/3
di
quello
normale).
Già
300
ms
possono
non
essere
sufficienti
per
il
raggiungimento
della
corretta
pO2
a
livello
capillare.
Quindi,
ci
si
aspetterebbe
che
l'aumento
della
gittata
cardiaca
porti
a
un
aumento
del
gradiente
alveolo-‐capillare,
ma
in
realtà
il
fenomeno
si
verifica
molto
raramente.
Nella
maggior
parte
dei
casi,
in
esercizio
fisico
moderato,
non
si
osserva
gradiente
alveolo-‐capillare
perché
durante
l'esercizio
fisico,
l'aumento
della
gittata
cardiaca
determina
una
distensione
della
rete
capillare,
quindi
un
aumento
della
superficie
di
scambio
tra
aria
e
sangue:
nonostante
il
tempo
ridotto,
si
raggiunge
comunque
l'equilibrio.
La
pressione
parziale
alveolare
di
ossigeno
è
maggiore
di
quella
a
livello
del
sangue
arterioso
perché
esiste
una
commistione
artero-‐venosa
(shunt
anatomico)
per
cui
la
pressione
parziale
dell'ossigeno
si
abbassa.
Quella
della
CO2,
invece,
si
è
alzata
talmente
di
poco
da
essere
trascurabile:
diminuisce
l'ossigeno
ma
la
CO2
non
aumenta
perché
la
differenza
di
pressione
parziale
tra
arteria
e
vena
è
circa
6mmHg
(46
e
40mmHg),
quindi
quando
si
mescola
un
piccolo
volume
di
sangue
venoso
in
un
grande
volume
di
sangue
arterioso
la
salita
non
è
rilevante.
In
un
soggetto
normale,
fino
al
40%
di
consumo
di
ossigeno
(massima
capacità
di
lavoro
aerobico),
la
pressione
parziale
dell'ossigeno
nel
sangue
arterioso
è
normale
(costante),
ma
a
un
certo
punto
la
pO2
nel
sangue
arterioso
crolla
(si
crea
un
gradiente
alveolo-‐capillare),
mentre
allo
stesso
tempo
aumenta
a
livello
dell'alveolo
perché
aumenta
la
ventilazione
(tende
al
suo
limite
asintotico,
anche
quando
arriva
al
massimo
della
ventilazione
è
comunque
lontana
dal
suo
limite
asintotico,
che
è
150).
Questo
soggetto
è
allenato,
potente
dal
punto
di
vista
cardio-‐vascolare.
Il
gradiente
alveolo-‐
capillare,
però,
è
spaventoso,
tanto
da
determinare
ipossia
in
alcuni
tessuti.
Per
questo
motivo,
il
soggetto
non
è
adatto
a
condizioni
di
altitudine,
in
cui
la
pO2
dell'aria
alveolare
è
30-‐35mmHg.
In
queste
condizioni
si
forma
un
gradiente
alveolo-‐
capillare
piuttosto
consistente.
Un
atleta
che
fa
circolare
il
sangue
molto
velocemente
genera
un
gradiente
molto
maggiore.
Quindi,
i
soggetti
potenti
dal
punto
di
vista
cardio-‐vascolare
non
sono
adatti
all'alta
montagna.
La
pO2
del
sangue
arterioso
è
inferiore
a
quella
raggiunta
nei
capillari
alveolari
a
causa
degli
shunt
anatomici
e
fisiologici.
Lo
shunt
anatomico
è
quello
per
cui
il
sangue
della
circolazione
bronchiale,
il
sangue
delle
vene
di
Tebesio
della
circolazione
coronarica
non
passa
attraverso
l'alveolo,
ma
arriva
direttamente
nelle
vene
polmonari.
Lo
shunt
fisiologico
è
quello
prodotto
dagli
alveoli
poco
ventilati.
Normalmente,
tutti
gli
alveoli
sono
ventilati,
ma
nel
polmone
il
rapporto
ventilazione/perfusione
non
è
omogeneo,
per
cui
si
abbassa
la
pressione
parziale
dell'ossigeno
a
livello
arterioso
rispetto
a
quella
che
si
ha
nell'alveolo.
La
variabilità
del
rapporto
ventilazione/perfusione
che
porta
a
un
abbassamento
della
pressione
parziale
di
O2
a
livello
arterioso
indipendentemente
dagli
shunt
anatomici
è
mostrata
dal
modellino:
basta
il
fatto
che
il
rapporto
ventilazione/perfusione
sia
eterogeneo.
Questo
dipende
sostanzialmente
da
un
unico
fenomeno:
la
pendenza
della
relazione
tra
ventilazione
e
distanza
dall'apice
è
inferiore
a
quella
della
relazione
tra
perfusione
e
distanza
dall'apice.
Quando
si
esala,
si
svuotano
i
diversi
compartimenti
alveolari
(apice,
base,
compartimento
intermedio),
l'aria
che
esce
da
questi
compartimenti
si
mescola
e
la
pO2
arriva
a
100mmHg.
In
realtà,
se
si
potesse
misurare
la
pO2
che
ha
origine
dai
tre
compartimenti,
sarebbe:
-‐ apice:
120
mmHg;
-‐ parte
di
mezzo:
102
mmHg;
-‐ base:
93
mmHg;
Quando
questi
tre
volumi
si
mescolano,
danno
102
mmHg.
L'apice
del
modello
contribuisce
al
20%
della
ventilazione,
la
parte
centrale
al
35%
e
quella
basale
al
45%.
I
valori
che
si
ritrovano
negli
alveoli
sono
uguali
a
quelli
del
sangue
capillare
refluo
da
questi
tessuti
(120mmHg,
102mmHg
e
93mmHg
rispettivamente)
e
analogamente,
questi
volumi
si
mescoleranno
tra
di
loro.
Il
mescolamento,
però,
avviene
con
pesi
diversi
perché
la
perfusione
dell'apice
è
solo
il
10%
della
perfusione
totale,
mentre
alla
base
è
al
57%,
quindi
la
quota
a
120
mmHg
sarà
il
10%
e
così
via,
la
quota
a
93mmHg
sarà
il
57%.
Quindi,
questa
media
dà
un
valore
di
pO2
inferiore
alla
media
alveolare.
Non
c'è
bisogno
di
shunt
anatomici
perché
la
pressione
parziale
del
sangue
arterioso
cada
al
di
sotto
della
media
alveolare,
basta
che
il
rapporto
vent/Q
non
sia
costante.
Quindi,
il
sangue
che
arriva
a
bassa
concentrazione
di
ossigeno
è
percentualmente
maggiore
dell'aria
esalata
da
quegli
alveoli.
Capacità
diffusionale
La
capacità
diffusionale
del
polmone
(DL)
è
una
misura
di
come
i
gas
passano
attraverso
la
barriera
alveolo-‐capillare
ed
è
uguale
al
volume
di
gas
che
passa
per
ogni
mmHg
di
gradiente
pressorio
(medio).
Per
l'ossigeno,
il
gradiente
iniziale
è
100mmHg
nell'alveolo
contro
40mmHg
all'inizio
del
capillare
alveolare.
All'aumentare
della
pO2
del
sangue
capillare,
il
gradiente
diminuisce,
quindi
il
gradiente
medio,
10-‐11mmHg,
è
il
gradiente
medio
che
si
per
la
durata
del
capillare.
Si
può
stimare
la
capacità
diffusionale
dell'ossigeno
a
21
ml/min
per
mmHg.
Innanzitutto,
la
capacità
diffusionale
dipende
dalla
superficie
di
scambio
(ridotta
nell'enfisema)
e
aumenta
nell'attività
fisica.
Se
aumenta
lo
spessore
della
membrana
alveolo-‐capillare,
la
capacità
diffusionale
diminuisce
(come
in
caso
di
edema
polmonare)
e
il
movimento
del
gas
diventa
limitato
dalla
diffusione.
In
edema
polmonare
non
trattato
il
gradiente
alveolo-‐capillare
arriva
anche
a
40mmHg,
rendendo
il
sangue
ipossico.
Modificando
la
pO2
a
livello
alveolare,
aumentandola,
si
può
intervenire
e
migliorare
la
situazione:
si
porta
la
pressione
alveolare
a
270mmHg
(ossigenoterapia,
si
incrementa
la
percentuale
di
ossigeno
nell'aria
respirata
dal
soggetto).
Anche
a
questa
pressione,
si
crea
un
gradiente
alveolo-‐capillare
(il
sangue
non
raggiunge
la
pressione
dell'alveolo),
ma
è
tale
per
cui
resta
nel
sangue
refluo
dal
capillare
una
pO2
di
circa
100mmHg.
Nell'esercizio
fisico,
la
capacità
diffusionale
aumenta
di
circa
tre
volte
per
l'apertura
di
nuovi
capillari
e
per
la
dilatazione
dei
capillari
funzionanti.
Questo
vale
non
solo
per
l'ossigeno,
ma
per
tutti
i
gas.
La
capacità
diffusione
della
CO2
è
enorme
rispetto
a
ossigeno
e
CO
per
via
della
sua
maggior
solubilità
nel
sangue.
La
capacità
diffusionale
è
un
parametro
importante
e
la
sua
denotazione
diretta
per
l'ossigeno
è
estremamente
problematica.
DLO2
=
VO2/(pO2
alveolare
-‐
pO2
capillare)media
Nella
formula,
l'unico
valore
difficile
da
calcolare
è
la
pO2
capillare,
gli
altri
valori
sono
a
portata
di
mano:
VO2
=
(volume
O2
inspirato
-‐
volume
O2
espirato)/
Δt
VO2
=
(VT
[O2]insp
-‐
VT
[O2]esp)/
Δt
La
pO2
alveolare
si
calcola
monitorando
della
pO2
nell'aria
in
cui
ci
si
trova.
Quindi,
per
calcolare
la
capacità
diffusionale
dell'ossigeno
si
sfrutta
il
rapporto
tra
la
capacità
diffusionale
dell'ossigeno
e
quella
di
un
altro
gas
(il
rapporto
tra
i
coefficienti
di
diffusione).
La
capacità
diffusionale
dell'ossigeno
è
1.23
volte
la
DL
del
CO,
perché
il
rapporto
tra
i
corrispondenti
coefficienti
di
diffusione
è
1.23.
Conoscendo
la
capacità
diffusionale
del
CO
è
possibile
risalire
a
quella
dell'ossigeno.
Si
può
calcolare
la
DL
del
CO
perché
la
pressione
capillare
del
CO
può
essere
considerata
uguale
a
zero,
quindi
è
sufficiente
conoscere
la
pressione
alveolare
e
la
quantità
di
CO
che
passa
nel
sangue
nell'unità
di
tempo
per
determinare
la
capacità
diffusionale
del
gas
e
risalire
a
quella
dell'ossigeno.
Dove
∆t
è
il
tempo,
Vi
è
il
volume
di
CO
inalato
nel
tempo
e
Ve
quello
esalato.
DLCO
=
VCO/pCO
alveolare=
[(Vi
–
Ve)/∆t]/pCO
alveolare
TRASPORTO DEI GAS NEL SANGUE
L'ossigeno si trova nel sangue fisicamente disciolto o legato all'emoglobina.
Per la legge di Henry, la concentrazione dell'ossigeno è uguale al prodotto della sua pressione parziale
nel sangue moltiplicato per il coefficiente di solubilità.
[O2] = pO2 x S = 0.29 ml/100ml
Il valore che si ottiene (la concentrazione dell'ossigeno disciolto) è 0.29ml/100ml o 2.9ml/L.
Alla pressione parziale del sangue arterioso con la gittata cardiaca l'ossigeno disciolto è 14.5 ml (in 5
l/min). Dal punto di vista energetico, questa quantità è irrisoria, in quanto si consumano 250ml/min di
ossigeno al minuto (a riposo), ma è di fondamentale importanza. Quindi, questa quota da sola non è
abbastanza per soddisfare il fabbisogno dell'organismo a riposo.
L'emoglobina è il trasportatore dell'ossigeno e
al legame con essa le molecole di ossigeno
sono sottratte al circolo, per cui non
contribuiscono a determinare la pressione
parziale dell'ossigeno nel sangue (determinata
solo dalla quota di ossigeno disciolta). Le
molecole legate all'emoglobina lasciano la
pressione dell'O2 invariata. Ai 3ml/L di
ossigeno fisicamente disciolto nel sangue (0.3
per 100 ml) se ne aggiungono 197, portando la
capacità di trasporto totale dell'ossigeno a
200ml/L. La quota di ossigeno legata
all'emoglobina è il 98.5% del totale. Se la
quota di ossigeno disciolto diminuisce,
diminuisce anche quella legata all'emoglobina, perché in base alla legge di Henry diminuisce la
pressione parziale di ossigeno del sangue (fattore che determina la saturazione dell'emoglobina).
La capacità di trasporto dell'ossigeno da parte del sangue dipende dall'emoglobina, ma quanto
ossigeno lega l'emoglobina dipende dalla pO2, la quale a sua volta dipende solo dalla quota disciolta.
Quindi, quest'ultima dal punto di vista energetico non è importante, ma è fondamentale perché
determina la quantità di ossigeno legata all'emoglobina.
La curva della saturazione dell'Hb indica quanta emoglobina è stata legata dall'ossigeno o la
percentuale di ossigeno trasportato su totale massimo. Ci si può riferire anche alla quantità di ossigeno
del sangue, che a parità di concentrazione di Hb, dipende dalla pressione parziale.
Ipossie o anossie
Le anossie (o ipossie, in questo caso sono sinonimi) sono condizioni di ridotta disponibilità di
ossigeno per i tessuti.
L'ipossia ipossica (o anossia anossica) è quella condizione in cui la pO2 nel sangue arterioso è ridotta.
Questo può essere dovuto a:
- diminuzione della ventilazione (intossicazione da
barbiturici): si diminuisce la pressione parziale di
ossigeno a livello alveolare, per cui si diminuisce
immediatamente quella del sangue arterioso;
- polmonite: peggiora la diffusione a livello alveolare
perché l'edema ingrossa gli spazi interstiziali e si
forma un gradiente alveolo-capillare. La pO 2 alveolare
è normale, ma il sangue non si mette in equilibrio con
essa;
- incremento degli shunt anatomici.
In tutte queste condizioni, si riduce la pO2 nel sangue
arterioso.
Il consumo di ossigeno è normale, i tessuti hanno
sempre uguale bisogno ma vengono serviti meno
bene. La concentrazione dell'O2 nel sangue arterioso è
vicina a 20ml/100ml, ma se è diminuita la pO2, la concentrazione di O2 si riduce (concentrazione più
bassa di quella fisiologica). Se il consumo di ossigeno è costante, anche la caduta della concentrazione
di ossigeno è costante (la caduta era di 5ml, da 20 a 15ml), ovvero la differenza artero-venosa è la
stessa. Ora però, non si parte da 20, ma da 18-17-16, andando a finire a 11-12-13ml nel sangue venoso.
La percentuale di saturazione del sangue venoso diminuisce, non è più a 75%, ma più bassa, per cui la
pO2 del sangue venoso diminuisce.
Avvelenamento da CO
In caso di avvelenamento da monossido di carbonio (che può essere assimilato ad un'anossia
anemica), la pO2 nel sangue arterioso (che dipende dalla pressione alveolare, che non cambia perché
dipende dall'ambiente), normalmente, è normale (a meno che l'avvelenamento non sia massiccio). Il
soggetto quindi non iperventila, non è cianotico (perché l'emoglobina legata al CO è ancora rossa),
respira normalmente. In questo caso, l'ipossia è anemica perché è come se il monossido di carbonio
avesse eliminato parte dell'emoglobina, rendendola inagibile per il trasporto. Si tratta di una
situazione pericolosa e difficile da diagnosticare.
Ipossia stagnante
Il consumo di ossigeno è uguale al prodotto del flusso per la differenza artero-venosa. C'è il rischio di
confondersi, in quanto la differenza artero-venosa dell'ossigeno è data in ml/100ml, mentre la gittata è
data in L/min:
250ml/min (consumo di ossigeno) = 5ml/100 ml x 5L/min
Ma 5 x 5 fa 25, non 250, per cui occorre esprimere la differenza artero-venosa nella grandezza
compatibile con la gittata, quindi ml/L: 5ml/100ml diventano 50ml/L.
50ml/L x 5L/min = 250 ml/min
In caso di ischemia (ipossia stagnante), il flusso si riduce, ma se il consumo di ossigeno non si modifica
(rimane costante), la riduzione di flusso è associata a un aumento della differenza artero-venosa: ogni
volume di ossigeno viene “spremuto” maggiormente. Se il flusso si dimezza, la differenza artero-
venosa raddoppia, per cui la concentrazione di ossigeno venosa è più bassa, circa 10ml/100ml (e non
più 15ml/100ml). A concentrazione venosa di ossigeno di 15ml/100ml, la saturazione è del 75% (15
su 20), con una pO2 di 40mmHg. La concentrazione venosa di ossigeno in caso di ipossia stagnante,
10ml/100ml, corrisponde a una saturazione del 50% (10 su 20), quindi una pO 2 di 25mmHg.
Quindi, in caso di ipossia stagnante la
pO2 arteriosa è normale, aumenta la
differenza artero-venosa per via della
riduzione di flusso, si ha diminuzione
della concentrazione venosa,
diminuzione della saturazione venosa
e diminuzione della pO2 nel sangue
venoso.
Anossia isto-tossica
In questo tipo di ipossia, il problema è
il tessuto: non riesce a consumare
ossigeno perché è stato avvelenato. È
l'unica ipossia che presenta una
concentrazione di O2 nel sangue
venoso aumentata, perché è consumato meno dal tessuto. La differenza artero-venosa diminuisce, la
pO2 aumenta in quanto aumenta la concentrazione di O 2 nel sangue venoso e aumenta la percentuale di
saturazione dell'emoglobina.
Una condizione di ipossia si può associare a cianosi, colorito bluastro della cute e dei tessuti. La
cianosi si sviluppa quando l'emoglobina è insatura in circolo in certe quantità. Esiste un criterio
semplice per calcolare velocemente le condizioni che possono generare cianosi e si basa sulla
determinazione dell'insaturazione del sangue, dove per insaturazione del sangue si intende una
misura complementare alla quantità di emoglobina insatura (volume di O2 che manca per completare
il carico). Più emoglobina insatura è presente, più è il volume di ossigeno che manca per saturarla
completamente (100% del carico). L'insaturazione (I) viene determinata nel sangue venoso e in quello
arterioso e si fa la media: quando la media è superiore a 6ml/100ml di sangue, allora insorge il colorito
bluastro.
Imedia = (Ivenosa + Iarteriosa)/2
Nell'ipossia anemica, il soggetto veicola meno sangue ai tessuti (10ml invece che i 20ml del soggetto
normale) l'insaturazione nel sangue arterioso è normale, circa 1ml (perché la pO 2 arteriosa è normale).
Nel sangue venoso la concentrazione scende, come in condizioni normali, di 5ml, quindi passa a
4ml/100ml. Se il massimo carico possibile era 10, vuol dire che l'insaturazione venosa è pari a 6 (stessi
valori del soggetto normale).
Imedia = (1+6)/2 = 3.5ml/100ml anche in questo caso, non è cianotico, ma pallido.
Quindi, per quanto riguarda l'anemico, la quantità di ossigeno che manca per fare il carico non è
maggiore di quella di un soggetto normale.
[Bisogna ricordare che la cianosi è dovuta all'emoglobina insatura, l'anemico ha minori quantità di
emoglobina quindi può trasportare meno ossigeno]
Può diventare cianotico il soggetto con ipossia da stasi, perché la differenza artero-venosa aumenta di
parecchio, quindi l'insaturazione venosa diventa molto elevata.
Imedia = (1+15)/2 = 8 ml/100ml
Trasporto di CO2
Nell'interstizio, la pCO2 è 46mmHg (mentre nel sangue
venoso è 45mmHg secondo il Guyton, secondo altri
testi corrisponde a 46mmHg). Questo valore dipende
dal flusso ematico. Per l'ossigeno, l'aumento di flusso
aumenta la pO2 interstiziale, mentre per la CO2
l'aumento di flusso fa diminuire la pCO2 fino a un
valore asintotico pari alla pCO2 che si ritrova nel
sangue arterioso, il quale si ha semplicemente quando
la perfusione è enorme rispetto a quello che è il
fabbisogno metabolico del tessuto.
Le concentrazioni di CO2 nel sangue sono maggiori di
quelle dell'ossigeno.
Ad esempio, nel sangue arterioso la concentrazione di
CO2 è di 48ml/100ml di sangue, i tessuti in media aggiungono in media altri 4ml/100ml, portando la
concentrazione finale a 52ml/100ml. I 4ml/100ml saranno persi poi nel passaggio successivo nei
polmoni, riportando la concentrazione ai valori arteriosi.
Il valore della differenza artero-venosa è legato al consumo di ossigeno, quindi, fissato il volume di
ossigeno, la produzione di CO2 varia tra il 100% e il 70%: la differenza può variare da 3.5 (quando si
consumano solo i grassi) a 5ml/100ml (quando
si consumano carboidrati).
Il trasporto del bicarbonato, quindi, è cruciale per il movimento della CO 2. Il bicarbonato si forma nel
globulo rosso (sebbene si formi in molti tessuti, questo è l'unico rilevante): a questo livello, l'anidrasi
carbonica trasforma CO2 e acqua in acido carbonico, quindi ione bicarbonato e ioni H +. La reazione è
spostata verso i prodotti perché l'idrogenione viene eliminato (non con un passaggio nel plasma, ma
mediante tamponamento) in quanto si lega all'emoglobina. Quando l'Hb perde l'ossigeno, diventa più
basica, cambia le sue proprietà acido-base e lega gli ioni H +: questo determina lo spostamento della
reazione verso i prodotti.
Lo ione bicarbonato passa in parte nel
sangue mediante una molecola
trasportatrice che sfrutta un gradiente
per portarlo fuori introducendo lo ione
cloruro.
Lo scarico dell'ossigeno da parte
dell'emoglobina rende questa molecola
anche più capace di legare l'anidride
carbonica.
La CO2 non si lega al gruppo eme, ma a livello del gruppo amminico terminale mediante un legame
carbo-ammidico.
Quindi, l'Hb tampona l'idrogenione e lega la CO2:
questo è alla base dell'effetto Haldane,
fenomeno per cui il sangue in cui l'emoglobina è
deossigenata a parità di pCO2 ne trasporta di più.
Nel grafico, la quota di CO2 trasportata viene
mostrata per 3 livelli di saturazione
dell'emoglobina. A 40mmHg di pCO2, nel sangue
arterioso, il trasporto di CO2 corrisponde a circa
48ml/100ml.
Nel sangue venoso si passa a 45mmHg di CO2
(aumenta di poco), che comporterebbe un
piccolo incremento nella concentrazione se la
capacità di trasporto di CO2 del sangue fosse
rimasta la stessa, ma in realtà la capacità di
trasporto è migliorata, per cui la concentrazione di CO2 corrisponde a 54ml/100ml grazie all'effetto
Haldane (conseguenza della deossigenazione dell'emoglobina). La differenza tra le due rette rosse dà
semplicemente quello che sarebbe stato l'incremento della concentrazione di CO 2 dato da
un'emoglobina con la saturazione del sangue arterioso.
Il quoziente respiratorio (QR) è il rapporto tra il volume di CO2 prodotto e il volume di ossigeno
consumato, che dipende dal substrato utilizzato per sostenere l'attività metabolica. In caso di consumo
di glucidi corrisponde a 1, in caso di consumo di grassi corrisponde a 0.7.
QR = VCO2 / VO2
QR grassi = 0.7
QR glucidi = 1.0
QR proteine = 0.8
Si possono distinguere diversi tipi di neuroni respiratori in base al loro tipo di scarica. Innanzitutto si
classificano i neuroni di uscita dal sistema:
– neuroni I-rampa: hanno una caratteristica scarica, ovvero durante l'inspirazione aumentano
progressivamente la loro
frequenza di scarica, che aumenta
fino al suo massimo alla fine
dell'inspirazione, mentre
diminuisce in espirazione. I
neuroni reticolo-spinali che
controllano i motoneuroni
inspiratori hanno questo tipo di
scarica, quindi i neuroni I-rampa
contengono neuroni di uscita dal
sistema, che innervano i muscoli.
La frequenza di scarica dei
neuroni I-rampa, infatti, segue
molto bene l'andamento che si
registra a livello dei nervi che
innervano i muscoli respiratori,
come il nervo frenico. Il segnale
registrato a livello del nervo
frenico aumenta
progressivamente in ampiezza sia
perché viene reclutato un numero
sempre maggiore di motoneuroni,
sia perché i motoneuroni
scaricano a una frequenza sempre
maggiore. L'eccitazione dei
motoneuroni frenici è prodotta dall'aumento di scarica che si registra a livello nei neuroni I-
rampa. L'aumento della frequenza di scarica dei neuroni I-rampa è reso più rapido da ipossia e
ipercapnia. Sono localizzati nel nucleo para-ambiguo e nel nucleo del tratto solitario;
– neuroni E-rampa: sono neuroni che aumentano progressivamente la frequenza di scarica
durante l'espirazione e bruscamente cessa alla fine dell'espirazione. L'E-rampa non parte subito
all'inizio dell'espirazione, ma circa a metà. Si distingue una prima fase E1 dell'espirazione e
una fase E2, in cui comincia l'attività degli E-rampa e l'attività dei motoneuroni espiratori.
Quindi, l'E-rampa è l'elemento di controllo dei motoneuroni espiratori. Quando il respiro
avviene senza attivazione dei muscoli espiratori (quindi motoneuroni espiratori inattivi), i
neuroni E-rampa mantengono la loro attività. In condizioni di respiro tranquillo, la scarica
degli E-rampa non porta a soglia i motoneuroni espiratori, ma ha effetto solo quando aumenta
di frequenza. Possono essere bulbo-spinali e sono localizzati nel nucleo retro-ambiguo.
Gli interneuroni del sistema sono:
– I-tardivi: hanno lo stesso ruolo dei neuroni I-post, ma si attivano per primi (verso la fine
dell'inspirazione). Cessano la loro scarica durante i primissimi istanti dell'espirazione. Si
trovano nel nucleo para-ambiguo e nel nucleo del tratto solitario;
– I-post: si attivano durante la prima parte dell'espirazione, dopo l'inspirazione. Essi bloccano
l'inspirazione, per cui sono detti “interruttore dell'inspirazione”, in quanto (così come gli I-
tardivi) inibiscono i neuroni I-rampa;
– I-precoci: sono neuroni importanti in quanto impediscono all'interneurone interruttore di
partire troppo precocemente. Quindi tengono bloccati gli interneuroni inibitori
dell'inspirazione, una sorta di freno del freno dell'inspirazione. Si trovano nel nucleo para-
ambiguo. La loro scarica inizia durante l'inspirazione e si esaurisce prima che essa cessi;
– Pre-I: si trovano a livello del complesso Pre-Botzinger, potrebbero essere i neuroni
pacemaker e si ritiene che inibiscano gli E-rampa, in quanto si attivano alla fine
dell'espirazione (prima dell'inspirazione).
L’attività ritmica verrebbe generata soprattutto grazie alle connessioni inibitorie reciproche fra
popolazioni di neuroni dotati di particolari proprietà:
– la scarica di questi neuroni deve essere dotata di capacità di adattamento (il neurone smette
di scaricare), che è data soprattutto da conduttanze per il potassio calcio-dipendenti. Il calcio
entra nei neuroni tramite canali voltaggio dipendenti ed apre i canali del potassio per
scatenare iperpolarizzazione;
– conduttanza per il calcio;
– input eccitatorio tonico che può provenire da altre strutture nervose pontine o bulbari o da
afferenze sensoriali;
– un'altra proprietà è il rebound, rimbalzo, ovvero la capacità di emettere scariche di potenziali
d'azione quando il neurone torna al potenziale di riposo dopo una iperpolarizzazione.
Due neuroni A e B che si inibiscono a vicenda possono generare una scarica alternata, se la loro scarica
si adatta. Se uno dei due smette di scaricare (per via dell'adattamento), l'altro prende il sopravvento e
inibisce il primo. Quando questo avviene per A (smette di scaricare), cessano le influenze inibitorie su
B che aumenta la sua attività a causa del “rimbalzo” e inibisce A, abbattendone definitivamente
l'attività. Poi anche B si adatta e cessa di scaricare (si adatta), liberando A dal freno inibitorio e
favorendone il “rimbalzo”.
Il ritmo oscillante è dovuto ai fenomeni di adattamento, rebound e inibizione reciproca.
Le uniche connessioni eccitatorie sono quelle che uniscono i neuroni I-rampa con gli I-tardivi, i quali
spengono gli I-rampa (connessione reciproca di senso opposto), tutte le altre connessioni sono
reciproche di natura inibitoria.
Gli I-rampa sono inibiti prima dagli I-tardivi, poi dai post-I e poi dagli E-rampa.
I post-I inibiscono, oltre agli I-rampa, anche gli E-rampa, per cui nel momento in cui essi smettono di
scaricare si verifica una scarica di rimbalzo degli E-rampa, che continua a inibire gli I-rampa. Questo
genera una scarica alternata. I Pre-I interrompono bruscamente la scarica degli E-rampa.
Di conseguenza vengono disinibiti e iniziano a scaricare i neuroni I-precoci e gli I-rampa. Gli I-precoci
inibiscono i neuroni I-tardivi, Post-I ed E-rampa. Quando la scarica degli I-precoci viene meno, Post-I e
I- tardivi scaricano, inibendo gli I-rampa e producendo la fine dell’inspirazione.
Recettori polmonari
I recettori polmonari sono localizzati:
– muscolatura liscia bronchiale;
– mucosa bronchiale (polimodali);
– nell'interstizio polmonare (juxtacapillari).
Le afferenze vagali bronchiali sono importanti per determinare il volume tidale e la frequenza del
respiro.
Le curve mostrano tre diversi livelli di ventilazione (diverse
frequenze di respiro e diversi volumi tidali) prodotti in
esperimenti in cui vengono fatte respirare miscele di aria
contenenti concentrazioni di anidride carbonica crescenti.
Inspirando la miscela, aumenta la frequenza e l'ampiezza del
respiro. I respiri diventano quindi più veloci e raggiungono
volumi tidali maggiori.
Sezionando il vago, aumenta in tutti e tre i casi l'ampiezza del
respiro (viene eliminato l'interruttore che blocca
l'inspirazione) e i respiri assumono la stessa frequenza.
Questo dimostra che i recettori contribuiscono a determinare
lo spegnimento anticipato: le afferenze vagali eccitano i
neuroni I-tardivi anticipando lo
“spegnimento”dell’inspirazione ad un determinato volume
polmonare.
Nell’uomo questo non avviene fino a circa due volte il volume tidale.
La soglia dell’effetto è innalzata da ipercapnia, ipossia, acidosi (che attivano i chemiocettori) e stimoli
propriocettivi. Questi stimoli aumentano la ventilazione e generano inspirazioni veloci che, grazie
all’azione sull’interruttore, vengono arrestate a volumi polmonari più elevati, ma risultano comunque
di minor durata.
A vaghi tagliati, tutti i movimenti inspiratori veloci e lenti hanno la stessa durata, dettata dal ritmo
intrinseco del circuito.
⦁Recettori juxtacapillari
I recettori juxtacapillari sono fibre di piccolo diametro (gruppo C) , a-mieliniche, che conducono
lentamente. Rispondono a:
– insufflazione (stimolo meccanico);
– bronco-costrizione (stimolo meccanico);
– edema;
– stimoli chimici.
La loro attivazione produce una irritazione locale, dovuta al rilascio di peptidi (tachichinine), che attiva
i recettori polimodali e potrebbe quindi generare tosse.
Nell’uomo, infatti, la tosse può essere generata da aerosol di capsaicina, a dosi in grado di stimolare
queste fibre.
Producono anche bronco-costrizione, costrizione laringea, apnea inspiratoria seguita da respiro veloce
e superficiale, con contrazione tonica dei muscoli inspiratori (per sospendere momentaneamente
l'ingresso di aria contaminata da agenti irritanti).
Recettori muscolari
Lo sviluppo di tensione dei muscoli respiratori è regolato da due tipi di recettori:
– fusi neuromuscolari: a livello dei muscoli. Sono assenti nella parte costale del diaframma,
presenti esclusivamente in quella vertebrale;
– organi tendinei del Golgi: nel tendine, si trovano in tutti i muscoli respiratori.
I fusi neuromuscolari sono formati da fibre muscolari di tipo particolare che ricevono assoni
sensoriali (recettori) in grado di trasmettere le informazioni al SNC. Gli assoni sensoriali possono
essere di due tipi: terminazioni primarie (Ia, diametro maggiore) e secondarie (II). La loro
disposizione in parallelo li rende sensibili allo stiramento.
La particolarità delle fibre muscolari che li compongono sta nel fatto che non si contraggono in toto: i
poli possiedono attività contrattile, la parte centrale (equatore) ha un comportamento passivo ed è la
parte in cui si trovano le afferenze sensoriali.
Si distinguono due tipi di fusi neuromuscolari: a catena e a sacco di nuclei.
I motoneuroni γ (corno anteriore della sostanza grigia del midollo spinale) innervano queste strutture.
Le afferenze fusali, data la disposizione in parallelo dei fusi rispetto alle fibre muscolari, aumentano la
loro scarica allo stiramento passivo del muscolo (quando si contrae l'antagonista, figura A1), mentre la
diminuiscono quando il muscolo si contrae per stimolazione diretta del nervo motore (figura B1).
L'innervazione motoria delle fibre intra-fusali (motoneuroni γ) ha gli stessi effetti dello stiramento,
aumentando la scarica del recettore (i motoneuroni γ fanno contrarre solo le porzioni apicali, stirando
la regione centrale)
I corpi tendinei sono posti in
serie rispetto alle fibre
muscolari e rispondono alla
contrazione muscolare (B2).
Non sono invece attivati dallo
stiramento del muscolo
rilasciato (A2), rispondono
poco. Non hanno controllo
efferente (ovvero non esiste un
analogo dei motoneuroni γ per
questi recettori).
I motoneuroni frenici sono inibiti anche da recettori muscolari ad alta soglia, detti metabocettori,
localizzati nello stesso muscolo che sono sensibili alle variazioni tissutali di pO2, pCO2, concentrazione
di potassio e pH associate all’affaticamento del muscolo. Questi recettori mirano a bloccare l'attività
dei motoneuroni frenici in caso di lavoro eccessivo. Non sono una peculiarità di questo muscolo, in
quanto si ritrovano anche ad altri livelli.
Il riflesso facilitatorio intercostale-frenico è un riflesso eteronimo che permette di attivare i
motoneuroni frenici a seguito della stimolazione dei corpi tendinei dei muscoli intercostali esterni
(muscoli inspiratori). Questo riflesso è importante quando si modifica la postura toraco-
diaframmatica.
Il passaggio alla stazione eretta produce aumento del volume
polmonare con accorciamento passivo del diaframma (per via
del peso dei visceri) e diminuita efficacia della sua contrazione.
Tale diminuzione della prestazione diaframmatica viene
compensata dall’attività riflessa.
Durante lo spostamento della massa viscerale verso il basso, le
costole ruotano nella stessa direzione. Lo stiramento degli
intercostali esterni ne attiva i recettori fusali, producendo la
contrazione degli stessi muscoli che innesca il riflesso
intercostale-frenico.
Inoltre, lo stiramento dei muscoli addominali prodotto dalla
spinta della massa viscerale ne attiva i recettori fusali e fa
contrarre gli stessi muscoli, spostando in alto il diaframma, che
ritrova la sua lunghezza originale.
Recettori gastro-intestinali
Le afferenze gastro-intestinali inibiscono l’attività inspiratoria, riducendo l’attività diaframmatica.
Il diaframma in inspirazione, abbassandosi, comprime i visceri, per cui eventuali condizioni di
sofferenza del tratto gastro-intestinale potrebbero essere aggravate dall'azione meccanica del
diaframma, che per questo viene inibito.
Ad esempio, la stimolazione meccanica della colecisti riduce il movimento diaframmatico. Potrebbe
trattarsi di un riflesso protettivo che evita la pressione eccessiva del diaframma sulla colecisti quando
questa contiene calcoli.
La distensione esofagea che avviene durante la deglutizione fa rilassare la parte vertebrale del
diaframma, che ha azione sfinterica aggiuntiva a quella dello sfintere esofageo inferiore (l'orifizio
esofageo nel diaframma si trova proprio a livello della sua parte vertebrale).
Anche il riflesso del vomito blocca temporaneamente l'attività diaframmatica e il respiro.
Barocettori
Anche i barocettori hanno un ruolo nel controllo riflesso
del respiro e in particolare inibiscono l’attività
inspiratoria.
I tracciati al chimografo risalgono a studi effettuati nei
primi anni del Novecento e mostrano:
– A. L’occlusione della carotide comune (nel periodo
fra le frecce) fa calare la pressione del seno
carotideo, per cui diminuisce la scarica barocettiva
producendo per via riflessa l’aumento della
pressione arteriosa (tracciato in basso) e
dell’ampiezza del respiro (tracciato centrale).
L'aumento di frequenza del respiro è un dato certo,
mentre l'aumento del volume tidale non è stato
confermato;
– B. La denervazione dei barocettori elimina gli
effetti riflessi prodotti sulla pressione arteriosa e
sul respiro dall’occlusione della carotide. La scarica
barocettiva addirittura diminuisce la frequenza
respiratoria.
Modificazioni del respiro associate ad atti volontari o riflessi
Le manovre respiratorie sono inspirazione forzata a glottide chiusa ed espirazione forzata a glottide
chiusa.
Nell'inspirazione forzata a glottide chiusa, si attivano il diaframma e gli intercostali esterni, mentre
le corde vocali chiudono la glottide grazie alla contrazione dei muscoli tireoaritenoidei. L'aria non può
entrare nel polmone, ma il polmone viene sollecitato ad espandersi: questo determina una
diminuzione della pressione intrapleurica e intra-alveolare. La pressione intratoracica diminuisce e
diminuisce anche quella intra-esofagea. Questa manovra respiratoria viene prodotta durante il riflesso
del vomito, in quanto la riduzione della pressione intratoracica (intra-alveolare e intrapleurica) facili il
passaggio del contenuto gastrico nell'esofago.
Chemiocettori
I valori di pCO2, pO2 e pH influenzano la ventilazione: sono rilevati da chemiocettori periferici e
centrali. Lo stimolo di gran lunga più potente nel modificare la ventilazione è l’aumento della pCO 2.
Quest'ultimo può aumentare la ventilazione alveolare fino a 70L/min, mentre gli altri stimoli (calo di
ossigeno, diminuzione del pH) determinano variazioni meno drastiche in condizioni acute. In cronico,
il contributo della pressione parziale di ossigeno sull'influenza della ventilazione alveolare aumenta.
I recettori periferici sono localizzati nei glomi carotidei e aortici, piccole masse di tessuto poste in
prossimità del seno carotideo e dell’arco dell’aorta (fuori dal vaso). Sono composti da:
– cellule glomiche di tipo I: recettori, collegati a fibre afferenti tramite sinapsi;
– cellule di tipo II: cellule di sostegno.
Lo stimolo aumenta il rilascio di neurotrasmettitore da parte delle cellule di tipo I. Le afferenze
chemiocettive giungono, tramite il vago (nervo di Cyon per il glomo aortico) e il glossofaringeo (nervo
di Hering per il glomo carotideo), a neuroni nel nucleo del tratto solitario. Da questo nucleo, gli stimoli
vengono riferiti ai centri respiratori e vasomotori.
Le cellule glomiche sono sensibili al pH (in diminuzione), alla diminuzione della pO2 e all’aumento
della pCO2. Tutti e tre gli stimoli fanno diminuire la permeabilità della membrana al potassio (per
chiusura di canali) con conseguente depolarizzazione: aumenta il rilascio di neurotrasmettitore
(calcio-dipendente).
La chiusura dei canali del potassio da parte del pH avviene in diversi modi, molto probabilmente legati
alla diminuzione del pH intracellulare. La diminuzione dell'ossigeno nel sangue arterioso si fa risentire
a livello della cellula glomica che, essendo molto grande, ha necessità di grandi quantità di ossigeno e
in qualche modo il calo della disponibilità di ossigeno agisce sull'efflusso di ioni potassio. In più, i
canali del potassio vengono mantenuti aperti al legame con l'ossigeno, per cui una diminuzione di pO 2
agirebbe anche direttamente sui canali.
La depolarizzazione apre canali per il calcio voltaggio-dipendenti che inducono il rilascio di
neurotrasmettitore, probabilmente dopamina.
La perfusione dei glomi è elevatissima se rapportata alla massa del tessuto: 1.5-2 litri/min per 100 gr
di tessuto, circa 20 volte più del cervello. I glomi ricevono un volume di ossigeno smisurato rispetto
alla quantità da essi consumata. Ne consegue che la pO 2 nel sangue refluo dai glomi è virtualmente
uguale a quella arteriosa, come se la differenza artero-venosa fosse zero. Questo spiega perché i glomi
non sono stimolati dalla normale estrazione di ossigeno dal sangue (altrimenti starebbero
continuamente stimolati dal calo della pO2 prodotto dal loro stesso metabolismo).
Il flusso di sangue i glomi è controllato dal simpatico, che lo riduce producendo vasocostrizione. È
stato proposto che un’attivazione del controllo simpatico delle arteriole del glomo possa rendere il
recettore più sensibile allo stimolo ipossico: teoricamente, una riduzione del flusso per
vasocostrizione potrebbe far calare la pO 2 nel sangue refluo dal glomo già in condizioni di normale pO2
arteriosa. Un’anossia da stasi, infatti, aumenta l’estrazione di O 2 da un determinato volume di sangue,
quindi induce una differenza artero-venosa
significativa.
Questo potrebbe avvenire a seguito dell’attivazione
delle fibre simpatiche innervanti l’arteriola che
irrora i glomi, portando la pO2 nel sangue refluo dal
glomo a valori inferiori rispetto a quella in ingresso.
La diminuzione di flusso potrebbe comunque
abbassare la pressione parziale di O2 nel sangue refluo
dal glomo in condizioni di ipossia producendo cosi una risposta recettoriale maggiore.
I chemiocettori centrali, situati in prossimità della superficie ventrale del bulbo, sono stimolati dagli
ioni idrogeno liberati a seguito della reazione di idratazione della CO 2.
Risentono pertanto in maniera diretta delle variazioni di pCO2 del sangue: l'anidride carbonica
diffonde attraverso la barriera emato-encefalica.
Il pH ematico, invece, li può influenzare solo indirettamente, in quanto gli ioni H + non attraversano
liberamente la barriera emato-encefalica.
I chemiocettori centrali sono sensibili anche al pH del liquor, a sua volta influenzato dalla pCO2
plasmatica e non dal pH plasmatico.
Di conseguenza, un accumulo di idrogenioni nel plasma può non attivare i chemiocettori centrali:
vengono attivati i chemiocettori periferici, aumenta la ventilazione, quindi si abbassa la pCO 2..
Nel caso in cui la risposta ventilatoria innescata dai chemiocettori periferici non fosse sufficientemente
veloce, la diminuzione di pH farebbe aumentare la pCO 2 con conseguente stimolazione dei
chemiocettori centrali.
La risposta dei chemiocettori centrali subisce un fenomeno di adattamento a causa del trasporto di
ione bicarbonato dal sangue al liquor: lo ione HCO 3- è pompato attivamente nel liquor, che si alcalinizza
lievemente, diminuendo l’impatto che la stimolazione
degli idrogenioni ha sui chemiocettori centrali.
– I chemiocettori periferici (non quelli centrali) sono stimolati dall’ipossia ipossica (dovuta ad
esempio ad intossicazione da barbiturici), associata ad una diminuzione della pressione
parziale dell’O2.
– Nell’ipossia anemica (carenza di emoglobina), la pO2. arteriosa è normale e i glomi non sono
stimolati. Lo stesso fenomeno si verifica nell’avvelenamento da CO (poca emoglobina libera, i
glomi non vengono stimolati).
– Nell’ipossia stagnante, la pO2 arteriosa è normale, ma se la perfusione dei glomi è ridotta, la pO 2
può diminuire all’interno dei glomi, che vengono così stimolati. Quindi la risposta dipende da
dove si verifica l'ischemia: il glomo risponde alla propria ischemia.
– Nell’ipossia isto-tossica, la pO2 arteriosa è normale, ma i glomi possono essere stimolati
dall’agente isto-tossico (se viene avvelenato il glomo, esso si attiva: la situazione è simile
all'ipossia ipossica).
Durante il sonno, all’interno di una generale depressione della
ventilazione (diminuisce sia la frequenza respiratoria che il volume
tidale), risulta anche diminuita la risposta ventilatoria alla stimolazione
chemiocettiva (a parità di aumento della pCO 2, la ventilazione aumenta
di meno rispetto che
nella veglia).
Nel sonno paradosso
si ha atonia
posturale: il
rilasciamento dei
dilatatori delle vie
aeree produce apnea da ostruzione.
L’ipercapnia stimola la ventilazione e aumenta
l’eccitabilità dei motoneuroni inspiratori e di quelli
che dilatano le vie aeree. Inoltre, la depressione che
si crea nelle vie aeree a valle del punto occluso
riesce ad attivare per via riflessa i muscoli dilatatori
delle medesime.
Queste azioni portano alla rimozione
dell’ostruzione.
Nel secondo grafico, le rette colorate mostrate hanno un significato limite (ovvero indicano valori di
differenza tra la frazione inspiratoria ed espiratoria di ossigeno costanti), mentre la retta nera è quella
reale, che si impenna a un certo volume di ossigeno.
Fino a un consumo di ossigeno corrispondente a circa 2 litri e mezzo, la pendenza della retta è
costante, dopodiché si impenna.
Il consumo di ossigeno (VO2) è uguale al prodotto della
ventilazione polmonare (VP) per la concentrazione
dell'ossigeno nell'aria inspirata meno la concentrazione
dell'ossigeno nell'aria espirata:
VO2 = VP x ([O2]insp – [O2]esp)
Da qui, si ottiene che la ventilazione polmonare (in ordinata)
è uguale al consumo di ossigeno (in ascissa) diviso la
differenza tra concentrazione di ossigeno nell'aria inspirata
ed espirata:
VP = VO2 / ([O2]insp – [O2]esp)
Questa relazione è semplificata e non tiene conto che le
ventilazioni in entrata e in uscita non sono uguali (la
differenza è legata al fatto che il consumo di ossigeno,
solitamente, non è uguale alla produzione di CO 2), ma ai fini
della trattazione didattica questa variazione può essere
ignorata.
La pendenza di queste rette è l'inverso della differenza
([O2]insp – [O2]esp).
Se la pendenza aumenta, vuol dire che la differenza diventa più piccola (ovvero diminuisce la
differenza tra le due concentrazioni).
Controllo cardio-vascolare
I centri cardiovascolari bulbari tengono sotto controllo sia il cuore che i vasi. Da un lato ci sono i
neuroni pregangliari del parasimpatico (particolarmente importanti sul cuore) e da un lato c'è il
centro vasomotore, il quale prende contatto con i neuroni pregangliari del simpatico spinale.
Il centro vasomotore ha azione sulla struttura pre-gangliare che innerva i vasi, ma anche sui neuroni
simpatici che innervano il cuore (quindi, sebbene si chiami “vasomotore”, controlla anche il cuore, è un
centro vaso-cuore-motore).
Il centro vasomotore subisce l'influenza da parte di:
– la stazione intermedia della formazione reticolare (per l'attivazione riflessa);
– aree corticali, come l'area motoria (per le modifiche legate alla nostra attività)
– ipotalamo (reazioni comportamentali su base istintiva);
– giro del cingolo, aree orbito-frontali, sistema limbico, che regolano il centro vasomotore sulla
base di emozioni e istinti (ad esempio il battito accelerato quando si ha paura).
L'attività ortosimpatica, in esercizio fisico (o in caso di reazioni d'allarme), determina aumento della
frequenza cardiaca, dando un contributo fondamentale
all'aumento della pressione che consegue all'esercizio fisico. Il
simpatico ha attività tonica, per cui se viene inibito si
diminuisce la frequenza cardiaca e quindi la pressione.
L'incremento di frequenza cardiaca che si ha in un soggetto
sano in esercizio fisico è differente rispetto all'incremento di
frequenza cardiaca in un soggetto trapiantato. Quest'ultimo
non ha innervazione simpatica, ma comunque aumenta la sua
frequenza cardiaca in esercizio fisico. Questo è dovuto
all'attività umorale del surrene, per cui oltre alla stimolazione
simpatica diretta del cuore si ha anche una stimolazione che
proviene dal surrene (adrenalina e noradrenalina). Potrebbero
esserci anche controlli di altra natura da parte del SNC non ancora conosciuti. L'attivazione simpatica
fa aumentare la pressione sistolica in 5-15 secondi, mentre in caso di inibizione del simpatico si può
dimezzare in 10-40 secondi.
L'incremento della gittata cardiaca che si verifica all'aumento del consumo di ossigeno può essere
schematizzato da una retta. Il consumo di ossigeno è uguale al prodotto della gittata cardiaca per la
differenza artero-venosa, per cui la gittata è uguale al consumo di ossigeno diviso la differenza artero-
venosa.
VO2 = Q [A-V]
Q = VO2/[A-V]
La pendenza delle
rette è quindi
l'inverso della
differenza artero-
venosa.
Se si prendono i
punti
caratterizzati da
valori di consumo
di ossigeno più
bassi, si nota che
questi sono
interpolati da rette
che hanno
pendenza
maggiore (ovvero
la differenza
artero-venosa è
più bassa).
Ad esempio, i
primi tre punti visibili sul grafico sono interpolati da una retta che ha differenza artero-venosa di 5
ml/100ml di sangue. Man mano che aumenta, invece, il livello di esercizio fisico, si passa a rette che
sono sempre meno ripide, a pendenze sempre minori: la differenza artero-venosa (che è l'inverso della
pendenza) sta aumentando.
Quindi, l'aumento della gittata cardiaca in corrispondenza dell'aumento del consumo di ossigeno è
tipizzato da un incremento progressivo della differenza artero-venosa, che aumenta all'aumentare del
consumo di ossigeno. Questo deve avvenire perché, se il consumo di ossigeno aumenta di 21 volte, la
gittata cardiaca può aumentare al massimo di 7 volte, per cui per soddisfare il bisogno di ossigeno
dell'organismo, se il consumo aumenta di 21 volte occorre aumentare di 3 volte da differenza artero-
venosa:
VO2 = Q [A-V]
21 = 7 x 3
Il grafico, che esprime la concentrazione e la capacità totale di
trasporto di ossigeno nel sangue arterioso e venoso misto in
funzione dell'intensità di esercizio (espressa come consumo di
ossigeno), mostra l'aumento della differenza artero-venosa in
relazione al volume di ossigeno consumato nell'uomo e nella
donna. La massima capacità di trasporto è indicata dai
quadratini in alto. In entrambi i grafici, è evidente che,
all'aumentare del consumo di ossigeno, aumenta anche la
capacità di trasporto dell'ossigeno da parte del sangue. Perché
aumenti la capacità di trasporto dell'ossigeno nel sangue è
necessario che aumenti la quantità del suo trasportatore,
l'emoglobina: in esercizio fisico, la milza viene spremuta e ri-
immette in circolo globuli rossi (aumento dell'ematocrito).
I grafici mostrano i volumi cardiaci in posizione supina e in piedi (aumentano in entrambi i casi).
In piedi, si arriva
anche a realizzare
un volume
telesistolico
minore (il cuore
si svuota
maggiormente
per produrre una
eiezione
maggiore), cosa
che non è
necessaria in
posizione supina.
In posizione
supina, infatti, i
volumi cardiaci
sono più grandi, in quanto, quando ci si mette in piedi, aumenta il volume delle vene della parte
inferiore del corpo (c'è meno sangue per la parte superiore del corpo, anche se c'è un meccanismo
nervoso che compensa), mentre in posizione supina c'è più sangue nel cuore, il volume della camera
cardiaca è maggiore.
Durante l'esercizio fisico, a quella che è l'azione dei meccanismi locali che si occupano della deviazione
del sangue verso i muscoli, si somma l'attività del simpatico, che riduce il flusso a livello degli organi
non necessari all'esercizio fisico (a livello renale, dell'apparato gastro-intestinale e di altri tessuti).
L'apporto sanguigno a livello cutaneo dipende dalle condizioni ambientali in cui si svolge l'esercizio. In
ambiente caldo, il flusso cutaneo deve aumentare altrimenti si raggiungerebbe una temperatura
troppo elevata (occorre raffreddare il sangue che arriva al cervello). Alcuni animali possiedono
dispositivi vascolari atti a raffreddare il sangue che arriva al cervello: la rete mirabile è una rete
arteriolare che passa attraverso un seno venoso alla base del cervello (che contiene sangue refluo dal
naso). Per questo, gli animali che vivono in ambienti caldi hanno una prestazione molto maggiore
(possono correre di più, produrre calore, perché il sangue che arriva al cervello viene raffreddato in
questo modo).
In un allenamento di tipo isometrico, di forza, si inspessisce la parete con poco aumento del volume (i
sarcomeri si depositano in parallelo). Un cuore in queste condizioni è più vulnerabile, risente più
facilmente del deterioramento della circolazione dovuta all'età: un cuore con parete più spessa,
quando si contrae, genera a livello della parte interna (endocardica) una pressione molto forte e
l'ischemia che si verifica in sistole è molto più pronunciata.
Oltre al cuore, si modifica anche il volume del sangue, che aumenta per la produzione di globuli rossi. Il
cuore è più potente, si contrae con più forza, per cui si è in grado di generare una gittata cardiaca
maggiore. Maggiore è anche il valore ematocrito, quindi è maggiore la quantità di ossigeno che arriva
ai tessuti.
Allo stesso tempo, i tessuti aumentano la loro capacità di prelevare l'ossigeno: aumentano i
mitocondri, aumenta la concentrazione degli enzimi ossidativi, aumenta la mioglobina.
In questo modo, i tessuti aumentano la differenza artero-venosa, che si modifica non solo durante
l'esercizio, ma anche a riposo.
Se si misura la gittata cardiaca (non al massimo delle capacità, per lo stesso livello di consumo di
ossigeno) di un soggetto allenato e quella di un soggetto sedentario, si osserva che la gittata cardiaca è
minore nel soggetto allenato. Questo avviene perché il soggetto allenato ha una differenza artero-
venosa maggiore: invia meno sangue ai tessuti perché questi ultimi sono in grado di prelevarne una
maggior quantità.
Un'altra modifica considerevole è il fatto che, negli atleti allenati per sport aerobici, si verifica
un'importante riduzione della frequenza cardiaca. La gittata sistolica aumenta in questi soggetti e la
frequenza cardiaca si riduce. A parità di gittata cardiaca, il cuore di un soggetto allenato consuma
meno ossigeno (perché a parità di gittata, il consumo di ossigeno dipende dalla frequenza). Piccola
gittata sistolica e alta frequenza vuol dire alto consumo di ossigeno.
La gittata cardiaca è il prodotto della gittata sistolica per la frequenza, quindi la gittata cardiaca può
incrementare con diverse combinazioni di frequenze e gittate sistoliche.
Più bassa la frequenza, minore è il consumo di ossigeno anche se la gittata sistolica dovrà essere
maggiore per determinare uguale gittata cardiaca.
Inoltre, si scatenano processi angiogenetici che determinano migliore vascolarizzazione del tessuto e
migliorano la diffusione dell'ossigeno.
Quindi, i soggetti allenati sono in grado di mantenere comunque nel tessuto pressioni parziali di
ossigeno elevate, motivo per cui hanno angolo letale meno vulnerabile, sono meno sensibili all'ipossia
dei soggetti normali.
EQUILIBRIO ACIDO-BASE
La concentrazione di ioni idrogeno del sangue è di 4 · 10-5mEq/L e viene regolata con molta precisione,
in quanto influenza quasi tutta l’attività enzimatica dell’organismo (la struttura terziaria delle
proteine, quindi la loro funzione).
H2O ⇄ H+ + OH-
Gli acidi sono molecole capaci di rilasciare un protone in soluzione, mentre le basi sono molecole
capaci di legarlo. Si definiscono alcali molecole formate da uno o più metalli alcalini (sodio, potassio,
litio) e da un anione fortemente basico (come ad esempio l’OH -)
Il calcolo del pH parte dalla concentrazione degli ioni idrogeno nel sangue:
[H+] = 40 x 10-9 Eq/L (o mol/L, in quanto il pH può essere calcolato per concentrazioni espresse in
mol/L)
pH = log 1/[H+] = - log [H+] = - log [40 x 10-9 Eq/L] = 7.4
Le variazioni del pH del sangue arterioso (non interessa il sangue venoso, in cui il pH è più basso per
via degli idrogenioni prodotti dal metabolismo tissutale) sono quelle da tenere in considerazione.
Se il pH arterioso è minore di 7.4 si è in condizioni di acidosi, se è maggiore di 7.4 si è in alcalosi.
Il range di valori di pH compatibili per la vita (per alcune ore) va da 6.8 a 8. Per pH inferiori di 6.8,
viene depressa l'attività neuronale con torpore e sonnolenza, mentre per pH maggiori di 8 si riscontra
ipereccitabilità nervosa e muscolare (tetano), quindi in entrambi i casi morte.
Nel sangue venoso, a riposo, il pH è di 7.35, che corrisponde a quello del fluido interstiziale (minore di
quello arterioso a causa del rilascio di CO 2 che forma acido carbonico).
All'interno della cellula, il pH varia tra 6 e 7.4 in funzione
dell'attività cellulare: è alto se la cellula non è molto
attiva, è basso se la cellula è in intensa attività (il
metabolismo produce acidi). Può diminuire in ipossia e
ischemia.
Le variazioni di pH urinario sono legate ai meccanismi
omeostatici, in quanto il pH delle urine varia per
mantenere costante il pH del sangue (tra 4.5 e 8).
Il succo gastrico concentrato ha un pH di 0.8, praticamente acido cloridrico puro.
Il pH del nostro organismo non ha la tendenza a mantenersi costante per via del metabolismo (che
altera il pH), per cui è necessario un meccanismo omeostatico che lo corregga.
In tutti gli esseri viventi, c'è una continua e notevole produzione di CO 2 (circa 15-20 moli al giorno).
Quest'ultima forma acido carbonico, che (pur essendo un acido debole) a sua volta forma ione
bicarbonato e idrogenioni. Inoltre, le diete che contengono proteine animali e grassi tendono a
immettere in circolo direttamente acidi (soprattutto se non accompagnati da verdure), come acido
solforico per quanto riguarda le proteine animali.
Per quanto riguarda la CO2, essa non costituisce un problema perché gli acidi ad essa associati sono
detti acidi volatili (volano via con il respiro). Quindi, si riesce a espirare tutta la CO2 prodotta,
mantenendo costante il pH. Tutte le volte in cui si respira poco, si accumula anidride carbonica e si
determina acidosi.
Gli altri acidi, quelli dovuti al metabolismo di grassi e proteine, sono acidi non volatili e se ne formano
50-100 millimoli al giorno. Nei soggetti che hanno escluso completamente proteine animali e grassi
dall'alimentazione, la problematica dell'equilibrio acido base cambia, perché una dieta ricca di vegetali
porta il sangue in una condizione di alcalosi.
La CO2 è sotto il controllo del respiro, mentre le valenze acide prodotte in altro modo vengono
tamponate dai sistemi tampone dell'organismo. Dal punto di vista chimico, un sistema tampone è un
sistema che permette di neutralizzare gli effetti sul pH indotti dall'aggiunta a una soluzione di un acido
o una base forte (rispettivamente H+ o OH-) ed è formato da un acido debole (HL) in presenza di un suo
sale (BL, dissociato in B+ ed L-).
Una volta avvenuto il tamponamento, il pH non ritorna al valore iniziale (sebbene la variazione sia
piccola), che può essere determinata sulla base dell'equazione di Henderson-Hasselbach.
Quindi, il tamponamento ha un effetto momentaneo, in quanto il pH continuerebbe a variare.
L'organismo, inoltre, deve sostituire i tamponi che sono stati persi. A questo punto, entra in gioco il
rene, il quale deve sintetizzare ex novo le moli di base consumate per il tamponamento degli acidi non
volatili.
Il rene non lavora su tutti i tamponi, ma mantiene costante la concentrazione di bicarbonato. Questo
permette di eliminare tutti gli acidi (entro i limiti dell'azione renale). Per il principio isoidrico, è
sufficiente perché, bloccando la concentrazione plasmatica di bicarbonato (quindi controllando un
solo sistema tampone), fa in modo che i tamponi non vengano esauriti dalla continua deriva di acidi
immessi nel plasma.
Il rene, per aggiungere una base nuova, deve eliminare idrogenioni nelle urine: per questo motivo il pH
delle urine si acidifica. Per eliminare 50-100 millimoli al giorno di acido, il rene deve eliminare 100
millimoli al giorno di ioni (in quanto deve produrre 100millimoli di bicarbonato). Per eliminare 100
millimoli al giorno di ioni a pH 4.5, sarebbero necessari migliaia di litri di urina. Devono esistere,
quindi, sistemi particolari che permettano l'escrezione di ioni al pH minimo di 4.5.
I sistemi tampone, formati da un'acido debole in presenza di un suo sale, limitano le variazioni di pH
indotte dall'aggiunta di H+ o OH- ai liquidi corporei.
L'equazione di Henderson-Hasselbach si può ricavare dall'equazione di dissociazione dell'acido
applicando il logaritmo:
H+ + L- ⇆ HL
[H+] [L-]/[HL] = Ka
log [H+] + log ([L-]/[HL]) = log Ka
log [H+] = log Ka – log ([L-]/[HL])
pH = log ([L-]/[HL]) + pKa
Equazione di Henderson-Hasselbalch: pH = pKa + log
(base/acido)
Il grafico mostra in ascissa il pH e in ordinate il rapporto base/acido (che determina il valore di pH).
Se si aggiungono basi, il rapporto base/acido
tende a infinito, se si aggiungono acidi il
rapporto tende a zero. Se si aggiungono basi o
acidi, si modifica quindi il rapporto
base/acido, che influenza il pH.
Esiste un pH per il quale si possono
aggiungere quantità elevate di basi e acidi
variando enormemente il rapporto base/acido
senza però variare il pH (ovvero la variazione
del rapporto base/acido produce minime
variazioni di pH).
Questo è il pH ottimale a cui il sistema
tampone funziona e corrisponde al pH per cui
il rapporto base/acido è uguale a 1: la
concentrazione della base è uguale a quella dell'acido:
pH = pKa
[base]/[acido] = 1
Log1 = 0
Allontanandosi da questo valore, basta aggiungere poco per far variare il pH e il tampone perde la sua
efficacia. Questo valore di pH corrisponde al valore di pK dell'equazione di Henderson-Hasselbach. Il
pK del sistema tampone, quindi, determina il punto di lavoro ottimale del sistema tampone stesso. Il
tampone di gran lunga più efficiente dell'organismo non ha pK 7.4, ma 6.1 (valore di pH che il nostro
sangue non può raggiungere).
Tamponi
Il primo tampone da considerare è il tampone fosfato, che ha un pK = 6.8, limite del pH sanguigno. È
importante a livello renale (utilizzato per eliminare idrogenioni) e a livello intracellulare. Nel rene, il
fosfato eliminato viene utilizzato per intrappolare idrogenioni. Nel plasma, la sua concentrazione non è
elevata, quindi a questo livello non è fondamentale.
H+ + HPO42- → H2PO4-
Le proteine hanno pK ottimale vicino a 7.4, e agiscono sia a livello cellulare che a livello plasmatico.
Il bicarbonato, che si forma grazie all'anidrasi carbonica a livello di eritrociti, parete alveolare e tubuli
renali, ha un pK pari a 6.1, quindi il pH ottimale per questo sistema tampone sarebbe 6.1, troppo basso
per il nostro organismo.
CO2 + H2O → H2CO3 → H+ + HCO3-
Si può scrivere l'equazione di Henderson-Hasselbach per il bicarbonato:
K' = ([H+][HCO3-]) /[H2CO3]
[H+] = K' [H2CO3]/[HCO3-]
L'acido carbonico non è misurabile, per cui occorre cambiarlo con un elemento che sia relazionabile ad
esso: la CO2. Il rapporto tra le concentrazioni di questi due elementi è noto:
H2CO3 / CO2 = 1/400
Alcuni testi addirittura stimano 1/1000, il che dipende dalle condizioni in cui il rapporto è calcolato. Si
sostituisce quindi alla concentrazione del bicarbonato la concentrazione di CO 2 diviso 400, ottenendo
questa relazione:
[H+] = K [CO2]/[HCO3-]
dove K = K'/400
A questo punto, bisogna ricordare che la
concentrazione di CO2 è uguale alla pCO2 per il
coefficiente di solubilità (0.03 mM/mmHg):
[H+] = K [0.03 pCO2]/[HCO3-]
quindi, l'equazione diventa:
pH = pK + log ([HCO3-] / 0.03 pCO2)
Quindi, il pH viene espresso in funzione della
pressione parziale di anidride carbonica.
Questo sistema tampone nel nostro organismo è
controllato attraverso il respiro: se si accumula
CO2, vengono stimolati i chemocettori, che a loro
volta stimolano i centri respiratori, che la
eliminano.
Se si sottraggono idrogenioni (o se si aggiunge
una base), si provoca la dissociazione dell'acido
carbonico e si abbassa la concentrazione di CO 2: la ventilazione diminuisce (ipoventilazione da
ipocapnia).
Tutti i sistemi tampone si trovano nella stessa soluzione, per cui è irrilevante la quantità di idrogenioni
che si legano alle proteine o al fosfato. Se si blocca l'elemento base in uno di questi tamponi (lo si
mantiene costante), allora si bloccano tutti i tamponi. Quindi, variazioni del pH producono
modificazioni dell'equilibrio di tutti i tamponi (principio isoidrico) e il pH può essere ristabilito anche
agendo su un unico tampone:
H+ = K1 (HA1)/A1 = K2 (HA2)/A2 = K3 (HA3)/A3
Il bicarbonato prodotto in più sarà utilizzato per tamponare idrogenioni, permettendo il ripristino
degli altri tamponi.
• Nell'alcalosi metabolica, gli idrogenioni vengono persi e la loro perdita produce la dissociazione di
nuovo acido carbonico (per ripristinare gli ioni andati). Per formare nuovo acido carbonico, la CO 2
deve reagire con l'acqua, quindi ci si aspetterebbe la diminuzione di CO 2 (che può avvenire
transitoriamente). In realtà, il paziente ipoventila, quindi aumenta la pCO 2 (il pH aumenta, i glomi
inducono ipoventilazione, aumentando i livelli di CO 2). Il compenso respiratorio è immediato, ma ha un
prezzo: la correzione del pH porta a sregolare un altro parametro, in quanto l'ipoventilazione
determina ipossia.
Le cause di alcalosi metabolica sono: vomito (che elimina idrogenioni, i quali sono introdotti nel lume
dello stomaco solo se uno ione bicarbonato si sposta nel sangue, che si alcalinizza), eccessiva
assunzione di acidi alcalini, eccesso di aldosterone, che ha funzioni omeostatiche per il bilancio di
sodio e potassio, ma ha effetto anche sul bilancio acido/base (un suo eccesso aumenta l'escrezione di
idrogenione da parte del rene). Si può verificare anche alcalosi da aggiunta di bicarbonato: la sua
reazione con H+ forma acido carbonico, che si dissocia in acqua e anidride carbonica e porta ad
aumento immediato della CO2, che continua ad aumentare per l'ipoventilazione indotta dall'alcalosi.
Modificando la ventilazione nel soggetto, si modifica sia la concentrazione di bicarbonato che la pCO 2.
Aumentando la ventilazione, la pCO2 diminuisce con la concentrazione di bicarbonato; viceversa,
diminuendo la ventilazione aumentano entrambi.
In un retta, la relazione tra bicarbonato e pCO2 è costante (rapporto tra ordinata e ascissa è uguale al
coefficiente angolare della retta, ed è costante), ma se il rapporto HCO 3-/pCO2 è costante, per
l'equazione di Henderson-Hasselbach, queste rette hanno pH costante.
• Nell'acidosi respiratoria, il respiro non può essere utilizzato come meccanismo di correzione, in
quanto è la causa stessa dell'acidosi. In caso di ipoventilazione, la CO 2 si accumula nel sangue e
produce acido carbonico, che dà origine a bicarbonato e idrogenioni. A differenza dell'acidosi
metabolica, dove il bicarbonato diminuisce, in questo caso il bicarbonato aumenta (anche se il pH
diminuisce per via dell'aumento della pCO2 e di conseguenza degli ioni H+). Si arriva al punto della
curva indicato dalla freccia. In una condizione del genere,
può funzionare solo il compenso renale. Il rene, nonostante
l'eccesso di bicarbonato, ne aumenta ancora la
concentrazione (aumento della secrezione di idrogenioni,
aumento della produzione di ammoniaca). Il pH che era
diminuito torna verso quello originario.
La situazione del soggetto è anomala finché non viene
ripristinato il respiro, perché il soggetto contiene la
variazione di pH aumentando la concentrazione di
bicarbonato.
Per identificare acidosi e alcalosi metaboliche e respiratorie bisogna determinare sia il pH che la pCO 2
e la concentrazione di bicarbonato nel plasma arterioso.
Se il pH è minore di 7.4 si parla di acidosi, se è maggiore di alcalosi.
In una acidosi metabolica ci si attende una [HCO 3-] < 24 mEq/L. Se c’è un compenso respiratorio la pO2
deve essere inferiore a 40 mmHg.
Nella acidosi respiratoria, la pCO2 è superiore a 40 mmHg e il compenso renale aumenta la [HCO3-] al di
sopra di 24 mEq/L.
Nelle alcalosi metaboliche (pH > 7.4), la concentrazione di bicarbonato risulta maggiore di 24 mEq/L:
a causa dell’ipoventilazione la pCO2 è maggiore di 40 mmHg.
Infine, nelle alcalosi
respiratorie la pCO2 è
inferiore a 40 mmHg e il
compenso renale abbassa la
[HCO3-] al di sotto dei 24
mEq/litro.
Gap anionico
La differenza tra concentrazione del sodio e somma delle concentrazioni di bicarbonato e cloruro
prende il nome di gap anionico ed è un parametro che permette di differenziare le acidosi
metaboliche (parametro aggiuntivo per le diagnosi). Normalmente, il suo valore è di circa 10 mE/litro.
In alcune acidosi rimane normale, perché la perdita di bicarbonato è compensata da un aumento del Cl-.
Questo succede, ad esempio, nell’acidosi prodotta dalla diarrea (o diarrea da cloruro). In questa
situazione, l'assenza di un trasportatore che permette lo scambio di bicarbonato e cloro determina
perdita di bicarbonato, quindi acidosi, ma aumento del cloruro.
Nella chetoacidosi (che si verifica nel diabete per una eccessiva produzione di corpi chetonici acidi), le
basi coniugate di questi acidi sostituiscono il bicarbonato, aumentando il gap anionico.
SINAPSI, POTENZIALI D'AZIONE
E OMEOSTASI DEI LIQUIDI
CORPOREI
SINAPSI
Sherrington coniò la parola sinapsi e Eccles, suo ultimo studente, studiò per primo la trasmissione
sinaptica chimica. La parola sinapsi viene dal greco e significa
“connettere”. Si tratta di una struttura altamente specializzata che
consente la comunicazione tra le cellule del tessuto nervoso, i
neuroni, o tra neuroni e cellule muscolari e ghiandolari.
Il neurone in foto è colorato con fluorescenza. I punti verdi sono
anticorpi anti-GluR1 che marcano sinapsi glutamatergiche. I punti
rossi indicano anticorpi anti-GABA (sinapsi GABAergiche) e i
punti blu marcano dendriti e soma (anticorpi anti-MAP2,
microtubule-associated protein).
La sinapsi è un contatto tra due cellule di vario tipo in cui viene
trasmesso da una cellula all’altra un segnale elettrico. A livello di
tale contatto si sviluppano influenze fra l’attività elettrica dei due
elementi, che sono unidirezionali (in questo caso uno dei due
elementi viene definito presinaptico e l’altro post-sinaptico) nelle
sinapsi di tipo chimico, mentre possono essere bidirezionali in quelle di tipo elettrico.
Le influenze esercitate a livello delle sinapsi possono aumentare l'eccitabilità neuronale (eccitatorie)
oppure deprimerla (inibitorie).
A livello sinaptico possono avvenire scambi di sostanze che esercitano azioni sull'attività metabolica
delle cellule comunicanti.
Teoria neuronale
La teoria neuronale di Ramon y Cajal considerava il cervello come un insieme di elementi
funzionalmente distinti e separati tra loro. In altre parole, ciascuna cellula nervosa è una entità
strutturale delimitata dalla sua membrana e la discontinuità strutturale corrisponde ad una
discontinuità funzionale.
Le prove del riconoscimento del neurone come entità anatomia individuale sono:
- esistono spazi interneuronali di 15-20nm;
- dipendenza metabolica di tutte le parti del neurone dal corpo cellulare: se si taglia l’assone, si ha
degenerazione anterograda che non investe le cellule con cui l’assone ha rapporti. Anche il soma
reagisce al taglio, alterando la sua matrice e andando incontro a cromatolisi, senza modificazioni
nei bottoni sinaptici afferenti;
- esistenza di una membrana con alta resistenza e capacità elettrica;
- i neuroblasti del mantello del tubo embrionario rimangono entità cellulari distinte durante tutto
lo sviluppo ontogenetico.
I rapporti sinaptici sono quelli che conferiscono al SNC le
sue proprietà di trasmissione, eccitazione/inibizione e
integrazione.
• Guaina mielinica
Le cellule di Schwann del SNP e gli oligodendrociti del SNC sostengono meccanicamente i neuroni e li
isolano elettricamente formando la guaina mielinica, composta da strati multipli di membrana, a
seguito di ripetuti avvolgimenti che le cellule di
Schwann e gli oligodendrociti effettuano attorno
agli assoni. Mediamente, la mielina è formata da 25
avvolgimenti e quindi 50 strati di membrana
(membrana esterna e membrana interna), ma
esistono neuroni rivestiti anche da 160
avvolgimenti.
Nel SNC un oligodendrocita riveste più assoni
mentre nel SNP la cellula di Schwann avvolge un
solo assone ricoprendo l’assone per circa 1-1,5
mm.
A intervalli regolari, tra un manicotto e l’altro,
l’assone rimane scoperto per circa 3 μm (nodo di
Ranvier). Il nodo di Ranvier contiene un’alta densità di canali voltaggio-dipendenti per sodio e potassio, e
svolge un ruolo fondamentale nella generazione e nella propagazione dei PdA lungo la fibra mielinizzata
(conduzione saltatoria, il segnale salta da un nodo all'altro e la velocità di conduzione è maggiore).
Le malattie demielinizzanti interessano alcune parti del SN e privano fibre di mielina, ritardando la
trasmissione.
Un neurone periferico lungo circa 50 cm può essere ricoperto da circa 500 cellule di Schwann.
• Sinapsi elettriche
Le sinapsi elettriche, o gap junctions, si costituiscono di un contatto che mette in comunicazione i
citoplasmi delle cellule attraverso pori o canali. Sono più rapide delle sinapsi chimiche ed economiche
dal punto di vista energetico (non consumano ATP). Generano sincronizzazione in quanto permettono
a gruppi di cellule di lavorare contemporaneamente, sono prevalentemente non modulabili e
bidirezionali.
Quindi, il flusso di corrente avviene attraverso le gap junctions (connessoni), per cui non si registra un
ritardo sinaptico. La conduzione, prevalentemente bidirezionale, può essere anche unidirezionale. Sono
sinapsi molto veloci. Il vallo sinaptico è di 3.5nm, molto più piccolo della sinapsi chimica.
• Sinapsi chimiche
Un segnale chimico genera un impulso elettrico in grado di modificare il potenziale di membrana. Le
caratteristiche sono:
– ritardo sinaptico di 1ms;
– spazialmente precisa (0.1µm);
– modulazione: il fatto che queste sinapsi siano modulabili è alla base della plasticità neuronale
(elaborazione, apprendimento, memorizzazione). In genere, durante la giornata le connessioni
aumentano e durante il sonno possono diminuire;
– varia entità: eccitatoria, inibitoria, di modulazione per crescita, sviluppo o morte cellulare;
– differenti modalità di rilascio del neurotrasmettitore: il rilascio può essere deputato a effetti
autocrini (ovvero dove è stato rilasciato), paracrini (agisce nelle vicinanze) oppure la diffusione
del neurotrasmettitore avviene al di fuori della zona
recettoriale post-sinaptica (spillover);
– generalmente unidirezionale, può essere
bidirezionale.
Le sinapsi chimiche, a differenza di quelle elettriche, sono
molto modulabili. Questa particolarità è fondamentale in
processi di memoria e apprendimento e si parla di
potenziamento a lungo termine (la ripetuta stimolazione di
una sinapsi induce modificazioni che generano un aumento
del numero di recettori a livello post-sinaptico e un aumento
della produzione di neurotrasmettitore a livello pre-
sinaptico).
Nella sinapsi chimica, non essendoci continuità citoplasmatica tra le due cellule, il messaggio viene
trasmesso da un mediatore chimico che induce alterazioni della permeabilità di membrana post-
sinaptica. Il vallo ha ampiezza di 20-50nm e il ritardo sinaptico varia da 0.3 a 1.5 millisecondi.
Se i recettori sono ionotropici, la trasmissione è veloce, più lenta se i recettori sono metabotropici.
Il potenziale d'azione si genera solo se la depolarizzazione della membrana raggiunge una certa soglia e
se sono presenti canali per sodio e potassio. A livello dell'assone, ogni contatto sinaptico genera un
segnale elettrico, mentre a livello di soma e dendriti non si formano potenziali d'azione per l'assenza di
canali per sodio e potassio. A questo livello, più impulsi si possono sommare algebricamente: la somma
di queste correnti genera potenziale d'azione.
Esistono altre due modalità attraverso le quali una cellula eccitabile può influenzare il comportamento
elettrico di cellule limitrofe:
– trasmissione di volume: il potassio si accumula nello spazio extracellulare (a causa della
ripetuta attività elettrica), di conseguenza la fuoriuscita di potassio dalle cellule limitrofe
diminuisce ed esse possono depolarizzarsi. Questo meccanismo potrebbe avvenire durante
l'attivazione massiva di fasci di fibre in uno spazio limitato. I grafici mostrano l'influenza del
potassio extracellulare sul raggiungimento della soglia;
Sinapsi elettriche
Le sinapsi elettriche sono molto diffuse nel SNC e periferico di vertebrati e invertebrati e, inoltre, si
ritrovano in stadi embrionali. A sviluppo ultimato, sono presenti a livello di:
– SNC: in particolare talamo e neocorteccia cerebrale,
nel nucleo olivare inferiore e a livello del cervelletto,
dove generano l'attività sincrona di gruppi neuronali;
– Sistema nervoso periferico;
– miocardio: i cardiociti lavorano come sincizio
funzionale (uniti da gap junctions);
– cellule gliali;
– cellule epiteliali;
– epatociti;
– muscolatura liscia.
La conduttività della sinapsi elettrica dipende dalla resistenza e dalla grandezza della superficie di
contatto che la compongono: la conduttività è maggiore se la superficie di contatto è estesa.
Il funzionamento è modulabile (accoppiamento metabolico), sebbene meno di quanto siano modulabili
le sinapsi chimiche, e risente del pH, della variazione di concentrazione di calcio, nucleotidi ciclici e
neurotrasmettitori.
La modulazione si basa sulla probabilità dei connessoni di trovarsi in una delle due possibili
configurazioni (aperta o chiusa).
In particolare, il disaccoppiamento (chiusura del canale) avviene per:
– diminuzione del pH intracellulare;
– aumento della concentrazione intracellulare di calcio: l'aumento del calcio e la diminuzione del
pH sono indici di potenziale sofferenza cellulare;
– variazioni di cAMP (controllati da neurotrasmettitori);
– neurotrasmettitori stessi che possono influenzare i connessoni attraverso diversi meccanismi.
L'accoppiamento, invece (canale aperto) avviene in risposta a variazioni della concentrazione di cAMP
intracellulare e neurotrasmettitori.
• Sinapsi elettriche del miocardio, a livello della retina e nel complesso olivare inferiore
A livello del miocardio, il sistema nervoso è in grado di controllare l'accoppiamento delle cellule
attraverso il rilascio di neurotrasmettitori. In particolare:
– le catecolamine rilasciate dal simpatico aumentano l'accoppiamento in quanto, attraverso il
recettore adrenergico β1, aumentano i livelli di cAMP. In questo modo aumenta la velocità di
conduzione del potenziale d'azione (effetto dromotropo positivo);
– l'acetilcolina rilasciata dal parasimpatico, invece, agendo tramite il recettore muscarinico M2
diminuisce i livelli di cAMP e riduce l'accoppiamento delle cellule (effetto dromotropo negativo).
A livello dei dendriti delle cellule dell'oliva inferiore, le sinapsi GABAergiche aumentano la conduttanza
della membrana, per cui le correnti ioniche che giungono vengono cortocircuitate attraverso la membrana
e sarà minore la frazione cha passa da una cellula all'altra attraverso le sinapsi elettriche.
In pratica, il GABA apre canali e in questo modo aumenta la conduttanza: la corrente ha più possibilità
di uscire e, invece che propagarsi tramite le sinapsi elettriche, viene cortocircuitata.
A livello delle creste (la parte più vicina all’uscita del neurotrasmettitore) del sarcolemma, si trovano i
recettori nicotinici, primo elemento di innesco del processo. Ogni recettore lega due molecole di
acetilcolina. Questo legame, genera un potenziale post-sinaptico eccitatorio, detto in questo caso
potenziale di placca, un evento graduato elettrico che trasferisce il potenziale d’azione arrivato al
motoneurone nella membrana post sinaptica. Il potenziale d’azione, per la sua propagazione, oltre che il
raggiungimento del valore soglia, ha bisogno dei canali per il sodio e per il potassio voltaggio
dipendenti. Infatti, a livello delle invaginazioni, esistono dei canali per il sodio e il potassio voltaggio
dipendenti, i quali servono per portare al muscolo un comando corticale, trasferendo il potenziale
d’azione al muscolo, dove diffonde nei tubuli a T per innescare la contrazione.
Il potenziale viene spesso detto potenziale di placca (EPP, end plate potential).
A livello della placca, sul versante pre-sinaptico, si trovano zone attive, quelle in cui si addensano le
vescicole e dove sono localizzati i canali cacio voltaggio dipendenti, che fanno aumentare il calcio
intracellulare di circa 1000 volte (da 100nM a 100µm). Risentendo dell’arrivo del potenziale d’azione a
livello della terminazione presinaptica, si aprono e determinano l’ingresso del calcio (che normalmente
a livello citoplasmatico è poco concentrato, in quanto sequestrato dal RE), il quale provoca il rilascio del
neurotrasmettitore.
Nella porzione post-sinaptica, sono situati i recettori nicotinici per l’acetilcolina, i quali fanno passare
circa 35000 cationi (sodio, potassio o calcio), rimanendo aperti per circa 1,5 ms. Non è un canale molto
selettivo, infatti si tratta di un canale cationico permeabile a calcio (ne passa poco e non è
determinante), sodio e potassio. La depolarizzazione che ne consegue fa nascere il potenziale di placca
(EPP), di solito sufficiente a raggiungere la soglia per il PDA.
Il sodio tende a entrare, in quanto scarsamente concentrato all’interno (per via della pompa sodio-
potassio): entra sia per il gradiente di concentrazione che per gradiente elettrico (negativo all’interno).
Il potassio, al contrario, tende ad uscire per gradiente di concentrazione, ma ad entrare per gradiente
elettrico (la somma di queste due tendenze vede una maggiore uscita).
In totale, le cariche positive che entrano sono maggiori di quelle positive che escono.
La membrana cellulare ha un potenziale di riposo (-70mV/-85mV), durante il quale è più permeabile al
potassio che al sodio. Il potenziale di equilibrio del potassio, infatti, è -90, quello del sodio è +60/+55,
per cui il potenziale di riposo di membrana è più vicino a quello del potassio, per cui la forza con cui
entra il sodio è molto maggiore, in quanto tende a entrare in maniera massiccia per raggiungere il suo
potenziale di equilibrio. Il potassio, invece, tende a uscire in modo meno importante per raggiungere il
suo potenziale, -90. Come risultato, si ha una depolarizzazione e la membrana da -70 va a valori meno
negativi (la distanza tra interno ed esterno è minore).
L’applicazione di una sostanza, come la µ-conotossina, che blocca i canali
del sodio espressi dal muscolo, impedisce l’insorgere del potenziale
d’azione. Con un elettrodo posizionato nei pressi della placca, è
possibile misurare il cambiamento dovuto alla tossina. L’abolizione del
potenziale d’azione rivela un potenziale sottostante di ampiezza più
piccola (circa 40mV) e decorso più lento: è il potenziale sinaptico della
fibra muscolare, o potenziale di placca (end plate). A livello delle creste,
si ha depolarizzazione in grado di propagarsi per un po’, ma
successivamente decade.
Se non cala al momento in cui incontra i canali per sodio e potassio
voltaggio dipendenti, essi si aprono (risentendo del voltaggio) e lì nasce
il potenziale d’azione (che si auto-rigenera punto per punto). Quindi, se
si bloccano i canali voltaggio dipendenti, il potenziale di placca si
estingue.
Nei neuroni, il potenziale sinaptico è molto più piccolo (<1mV) e da solo
non fa raggiungere mai la soglia. Essa è raggiunta solo con la
convergenza di molti input, che nel muscolo non c’è. Nel neurone, le 103-
104 sinapsi a livello del cono di crescita determinano la nascita del
potenziale d’azione.
Nella giunzione neuromuscolare, invece, si ha un fattore di sicurezza: il potenziale di placca supera con
un buon margine la soglia per la generazione del potenziale d’azione, garantendo la trasmissione 1 a 1.
Quindi, il potenziale i placca è un fenomeno graduato che ha un’ampiezza superiore alla soglia per il
PdA.
In presenza di curaro (veleno che compete con l’acetilcolina e blocca i recettori nicotinici), l’ampiezza
del potenziale di placca si riduce sotto la soglia del PdA; se si somministra la conotossina (che blocca i
canali per il sodio), non nascono PdA e si vede solo il potenziale di placca. Se tutti i recettori AChN sono
bloccati dal curaro, il potenziale di placca scompare e non si ha contrazione muscolare. L’ampiezza del
potenziale di placca è massima a livello della placca motrice e diminuisce allontanandosi da essa.
Il curaro è utile durante interventi chirurgici in quanto genera una paralisi transitoria.
Il potenziale d’azione (molto breve) si propaga attraverso la membrana superficiale lungo i tubuli a T
dove sono presenti canali per il cacio di tipo L attivati da voltaggio, detti recettori per le
diidropiridine (in quanto sono sensibili a queste sostanze), che agiscono sui recettori per la rianodina,
i quali determinano la
fuoriuscita del calcio dal
reticolo endoplasmatico. Il
calcio si lega alla troponina sui
filamenti di actina. Il potenziale
d'azione è molto breve e
innesca la fuoriuscita di calcio
dal RE, mentre in tempi più
lunghi il calcio interagisce con
le proteine contrattili e innesca
il meccanismo della
contrazione.
Il calcio che passa per il
recettore per la diidropiridina
non è rilevante per
l’accoppiamento eccitazione-
contrazione, sebbene
necessario per ripristinare i
depositi di calcio. L'uscita di
calcio dal recettore per la rianodina, invece, arricchisce il citosol di calcio.
La fine della contrazione dipende dalla velocità di ricaptazione del calcio da parte del RE tramite la
SERCA (calcio-ATPasi).
Osservando una sinapsi intensamente stimolata con la tecnica della
criofrattura, si rivelano nella zona attiva, sul foglietto interno della
membrana presinaptica, delle particelle disposte ordinatamente, sui
margini della striscia. Queste potrebbero essere canali per il calcio, in
contatto con una struttura allungata, detta costola, che si connette ad un
corpuscolo centrale. La costola prende contatto con la vescicola
sinaptica, avvicinandola in questo modo al canale per il calcio.
La capacità della membrana aumenta per l’aumento di superficie dovuto alla fusione delle vescicole che
si fondono con la membrana presinaptica.
Il neurotrasmettitore viene rilasciato in multipli interi di una quantità fondamentale (quella contenuta
in una vescicola): rilascio quantale. Alla sinapsi neuromuscolare, l’acetilcolina è liberata in pacchetti
multi-molecolari detti quanti (circa 5000 molecole di acetilcolina), corrispondente ad una vescicola
(ipotesi vescicolare).
A livello della placca motrice, anche in assenza di stimolazione del motoneurone, si osservava il rilascio
di una vescicola di neurotrasmettitore a formare dei potenziali, i minimi potenziali possibili, detti
potenziali in miniatura (MEPP, circa 0.5 mV) o minis, indistinguibili dai potenziali di placca (EPP, 30
mV) in quanto:
- diminuiscono di ampiezza con il curaro (che blocca i recettori nicotinici);
- aumentano di ampiezza e durata in presenza di anticolinesterasi (come l’eserina), enzima che
contrasta l’idrolisi dell’acetilcolina
contrastando l’azione dell’acetilcolinesterasi.
La conseguenza è il potenziamento dell’azione
dei potenziali in miniatura (l'acetilcolina non
viene degradata). Le anticolinesterasi sono
utilizzate come farmaci per aumentare
l’efficienza delle sinapsi nel caso in cui i
recettori siano difettosi.
I MEPP sono molto al di sotto della soglia per
produrre potenziale d'azione, per cui non producono
contrazione e si verificano anche a riposo.
L’apertura di un singolo recettore nicotinico produce una variazione di potenziale di 0.3µV, per cui un
singolo MEPP sarà prodotto dall’apertura di 1500 canali. Infatti, l’ampiezza del potenziale in miniatura è
0.5 mV mentre l’ampiezza di risposta del singolo recettore è 0.0003 mV.
Grazie a questi dati è possibile calcolare il numero di recettori attivati, visto che:
numero di recettori · ampiezza risposta singolo recettore (0.0003 mV) = ampiezza MEPP (0.5mV)
allora:
0.4 - 05 mV / 0.0003 mV = 1333-1667 recettori attivati
Si stima che siano necessarie 5000 molecole di acetilcolina (il contenuto di una vescicola) per aprire
1000-2000 recettori canali (bisogna infatti considerare che non tutte si legano e che ogni recettore lega
due molecole di acetilcolina) e produrre un MEPP.
L’impulso nervoso presinaptico sincronizza, in un tempo molto breve, il rilascio contemporaneo di
quanti (100-150) dalle zone attive e produce una risposta di grande ampiezza.
In assenza di impulso nervoso presinaptico, il ritmo di liberazione quantale è basso (1 quanto al
secondo, 1 Hz).
Per dimostrare meglio il rilascio
quantale, si è deciso di attuare una
stimolazione in ambiente povero di
calcio (il quale determina il rilascio
delle vescicole), in modo che la
stimolazione determinasse il
rilascio di poche vescicole alla
volta. Il grafico mostra il numero
dei potenziali di placca (sulle
ordinate) e l'ampiezza di essi (in
ascisse): l'ampiezza media dei
picchi dell'istogramma è un
multiplo intero dell'ampiezza media del MEPP.
In queste condizioni, l’ampiezza dei potenziali di placca evocati dalla stimolazione è molto piccola e
corrisponde a multipli interi di un valore fondamentale. Tale valore è uguale all’ampiezza media dei
MEPP spontanei.
La Myasthenia gravis è una malattia autoimmune che produce debolezza muscolare (che si nota per la
perdita di tono dell’elevatore palpebrale, ptosi). È generata dalla produzione di auto-anticorpi contro il
recettore nicotinico (nell’80% dei casi) o contro la proteina MuSK, recettore tirosin-chinasico richiesto
per la formazione della sinapsi neuromuscolare ed espresso anche nella giunzione matura. La terapia
prevede l’uso di anticolinesterasici (per rinforzare la sinapsi), corticosteroidi e immunosoppressori.
La proteina MuSK (muscle specific kinase) media il raggruppamento dei recettori per l’acetilcolina
durante lo sviluppo, a seguito della stimolazione da parte della proteina agrina, secreta dal terminale.
Il primo destino del neurotrasmettitore è il legame al recettore. Esistono poi enzimi di degradazione che
lo eliminano. Alcuni neurotrasmettitori possono poi diffondere fuori dalla fessura sinaptica ed essere
veicolati dal sangue o assorbiti dalla terminazione assonica presinaptica (o interi o in una delle loro
componenti) o da cellule gliali (che in alcuni casi partecipano al metabolismo del neurotrasmettitore, lo
trasformano e lo ripropongono all’assone).
Gli studi che hanno portato all’identificazione dei meccanismi del funzionamento delle sinapsi chimiche
sono stati:
- studio dell’ultrastruttura al microscopio elettronico;
- osservazione dei fenomeni elettrici con registrazioni intracellulari con elettrodi;
- metodi chimici e biochimici che identificano i trasmettitori.
In una sinapsi chimica, quindi, si verifica un processo di trasduzione: un fenomeno elettrico (PdA
presinaptico) viene trasformato in un segnale chimico (neurotrasmettitore), che a sua volta induce nella
membrana postsinaptica un evento di tipo elettrico (potenziale postsinaptico eccitatorio, EPSP, o
inibitorio, IPSP).
Le sinapsi chimiche possono essere:
- asso-assoniche;
- asso-dendritica;
- dendro-dendritica;
- sinapsi reciproche: sinapsi localizzate una vicina all'altra e con polarità opposta: la membrana di
una cellula è presinaptica nella prima sinapsi, post-sinaptica nella seconda;
- asso-somatiche;
- sinapsi multiple;
- sinapsi organizzate in strutture glomerulari (come a livello del cervelletto o del bulbo olfattivo).
Inoltre, si possono
distinguere sinapsi Gray di
tipo I (asimmetriche, con
vescicole sferiche,
generalmente asso-
dendritiche eccitatorie) e di
tipo II (simmetriche, con
vescicole appiattite,
generalmente asso-somatiche
inibitorie)
un'ulteriore classificazione,
attuata da Bodian, divide le
sinapsi in vescicolate
chimiche, elettriche non
vescicolate e giunzioni miste,
sia elettriche che chimiche.
Sinapsi asso-dendritiche
Nell’ambito delle sinapsi, quelle asso-dendritiche avvengono su strutture detti dendriti. Le spine
dendritiche sono siti di zone attive post-sinaptiche e un singolo neurone corticale ne contiene 50'000, il
che si traduce in 50'000 punti di sinapsi. Possono avere forme diverse e, inoltre, sono soggette a
plasticità, ovvero possono modificarsi nel tempo.
Al microscopio elettronico, si nota che la
parte post-sinaptica forma filopodia,
prolungamenti (estroflessioni filiformi) che
formano la spina vera e propria. La struttura
interna non è semplice ed è composta da
diverse proteine.
Il processo di formazione e variazione delle
spine dendritiche, negli individui giovani
fino a una certa quota di sviluppo, va
incontro a variazioni (aumenti e
diminuzioni).
Al microscopio a due fotoni è possibile
visualizzare in vivo il processo di
modificazione delle spine: nello sviluppo, il numero cala progressivamente; nell’adulto, le spine sono
più stabili, per cui il grosso processo di movimento è più visibile nel momento di sviluppo.
Nell’adulto persiste un certo grado di movimento, ma il processo è meno evidente e più attenuato,
sebbene in alcune situazioni le spine cambino molto. Ad esempio, in un esperimento, in seguito ad
apprendimento di compiti di qualsiasi genere (associato a sostanze che aumentano la memoria)
aumenta la quantità di contatti sinaptici. Anche altri esempi di modelli di apprendimento mostrano la
modificazione delle spine. Infatti, un aumento del numero delle spine dendritiche nel neurone bersaglio
è correlato ai processi di potenziamento a lungo termine (LTP).
Bisogna considerare la complessità della struttura sinaptica, dove la densità post-sinaptica (PSD)
contiene reticolo endoplasmatico, proteine come actina e altre proteine strutturali (le quali provvedono
alla base strutturale per la forma delle spine), proteine scaffold (ponteggio, come PSD-95) ecc.
Molte delle spine che si formano, si formano sotto sinapsi che rilasciano glutammato, principale
neurotrasmettitore eccitatorio.
Esistono proteine di ponteggio che si collegano al citoscheletro (filamenti di actina), protagoniste dei
processi plastici. Infatti, i filamenti di actina sono indirettamente collegati ai recettori del
neurotrasmettitore (glutammato) e ad altre proteine transmembrana che regolano la forma e lo
sviluppo delle spine, incluse caderine e neurolighine.
Le spine sono i luoghi in cui avviene la plasticità sinaptica. Inoltre, studi recenti hanno cominciato a
collegare la plasticità delle spine a patologie come l’alcolismo.
Alla stimolazione dei neuroni del rafe, i quali proiettano ai neuroni della colonna intermedio-laterale
(neuroni pregangliari del simpatico), si ha rilascio di serotonina (5HT), TRH e sostanza P. A seconda
della frequenza di scarica, rilasciano un trasmettitore differente:
- a bassa frequenza di scarica rilasciano soltanto serotonina;
- a media frequenza rilasciano 5HT e TRH;
- ad alta frequenza rilasciano tutti e tre i trasmettitori.
Questo fenomeno ha un ruolo nella plasticità sinaptica che dipende dall’attività dei neuroni e nella
modulazione pre- (autorecettori) e post-sinaptica.
⦁ Prendendo in esempio una sinapsi che rilascia acetilcolina, ossido nitrico (unico neurotrasmettitore
gassoso conosciuto) e VIP (peptide intestinale vasoattivo) e agisce sulla muscolatura liscia vasale (si
tratterà probabilmente del parasimpatico, il cui neurotrasmettitore postgangliare è l’acetilcolina).
L’acetilcolina non possiede recettori sulla muscolatura, ma sull’endotelio. In questo caso, sono recettori
muscarinici, i quali non aprono un canale, ma sono collegati a una proteina G. L’effetto finale è un
aumento del calcio intracellulare, il quale attiva l’enzima ossido nitrico sintasi, che produce NO. L’ossido
nitrico (sia quello prodotto a livello endoteliale che quello rilasciato dalla sinapsi) diffonde e agisce sulla
muscolatura liscia. Interagendo con la guanilato ciclasi, produce un rilasciamento del muscolo. Anche il
VIP, che ha un recettore sulla muscolatura, determina il rilasciamento (diminuzione di calcio
intracellulare: se il calcio diminuisce il muscolo cessa la contrazione) tramite un meccanismo non
ancora noto.
⦁ Se invece si considera una sinapsi che rilascia noradrenalina, ATP e neuropeptide Y (probabilmente
una terminazione del sistema simpatico), l’effetto è opposto. L’ATP lega un recettore che si comporta da
canale cationico (determina l’ingresso di calcio e sodio): il sodio depolarizza la membrana, il calcio va ad
aumentare la sua concentrazione intracellulare. Il sodio, depolarizzando la membrana, incontra canali
voltaggio dipendenti, che risentono della depolarizzazione e determinano l’ingresso di calcio. Quindi,
abbiamo due meccanismi che determinano aumento del calcio intracellulare: si ha contrazione della
muscolatura. Un terzo meccanismo che permette l’ingresso di calcio è il legame della noradrenalina
tramite il recettore di tipo α1, legato a una proteina G, il quale genera secondi messaggeri, tra cui
l’inositolo-3-fosfato, che apre canali per il calcio sul reticolo endoplasmatico. Inoltre, anche il
neuropeptide Y aumenta la concentrazione di calcio con un meccanismo non ancora noto, legandosi al
recettore Y1. La sinapsi è quindi rinforzata dall’azione di queste tre sostanze.
I nervi del sistema simpatico rilasciano esclusivamente noradrenalina, e mai adrenalina. Quest’ultima
viene dalla midollare del surrene, e fa comunque parte del sistema simpatico. Per cui è corretto dire che
il sistema simpatico rilascia adrenalina e noradrenalina, ma bisogna sottolineare che il trasmettitore
rilasciato dai nervi è la noradrenalina.
Le vescicole sono collegate tra loro tramite la molecola sinapsina e successivamente intervengono altre
proteine (NSF, SNAP, SNARE), come la clatrina, la sinaptotagmina (il sensore per il calcio, con cui
interagisce) e la dinamina (serve per rompere le vescicole quando vengono riciclate).
Le vescicole si trovano in un pool detto pool di riserva (la maggioranza, circa il 95-85%) ancorate ai
filamenti di actina e spectrina tramite la proteina sinapsina. La restante percentuale si trova nel pool
di liberazione (0.5-15%), ancorata alla membrana presinaptica (zone attive). Sono queste le vescicole
che determinano la liberazione sporadica del trasmettitore non collegata all’eccitazione del neurone.
Il calcio è indispensabile per la liberazione delle vescicole e ha due ruoli:
- prende parte al processo di fusione delle membrane delle vescicole con la membrana del
bottone sinaptico;
- fosforila le sinapsine, le quali liberano le vescicole dal reticolo del citoscheletro di actina, in
modo da rendere più efficace la successiva attivazione sinaptica. La fosforilazione avviene da
parte di chinasi calcio/calmodulina dipendenti, cAMP-dipendenti o attivate da neurotrofine.
Queste ultime, molto diffuse nel SNC, possono agire anche indipendentemente dal potenziale
d’azione, per cui le sinapsi sono entità molto dinamiche e possono essere moderate da fattori
trofici: all’arrivo dell’impulso successivo, il sistema è pronto. La fosforilazione aumenta
l’efficienza del rilascio, determinando potenziamento sinaptico a breve termine (come ad
esempio il potenziamento post-tetanico, in cui il rilascio di neurotrasmettitore aumenta dopo
attivazione ad alta frequenza della sinapsi).
La vescicola sinaptica ha una membrana ricca di trasportatori (come VGLUT, trasportatore per il
glutammato) e proteine. Le proteine deputate all’accumulo del neurotrasmettitore sono:
- pompa protonica: acidifica l’interno della vescicola;
- trasportatori vescicolari per i neurotrasmettitori: utilizzano il gradiente protonico per
introdurre il trasmettitore nella vescicola.
Il meccanismo di zippering porta ad uno stato di emifusione (priming), il calcio lega la sinaptotagmina
(formando un complesso) e scatena il processo di fusione.
Le vescicole vengono liberate dal citoscheletro e vengono indirizzate verso le zone attive mediante le
proteine Rab3 (una proteina G legata a GTP) e la proteina Rim (Rab3 interacting molecules, la quale
permette l’aggancio alla membrana interagendo con Rab3 nella forma con il GTP), rilasciando la
proteina GDI (GDP dissociation inhibitor, la quale le mantiene libere e non le fa posizionare), così che si
ancorano alla membrana plasmatica. Una volta che la vescicola è ancorata alla zona attiva e va incontro
a priming (attivazione, predisposizione alla fusione), il GTP si trasforma in GDP e Rab3 si stacca dalla
vescicola, la quale continua il processo di fusione e liberazione del neurotrasmettitore. Rab3, quindi,
lega GDI, proteina che la mantiene solubile fino ad una nuova interazione con una vescicola.
Il meccanismo è detto ciclo di proteine Rab e GTP e fa in modo che le vescicole vengano a trovarsi
nella posizione corretta.
A questo punto, le proteine SNARE mediano l’ancoraggio delle vescicole, in modo da avvicinare la
sinaptotagmina ai canali del calcio.
Lo stato di emifusione, se non ci sono condizioni favorevoli, resta tale e arriva difficilmente allo stato di
fusione per via della presenza di complexine, proteine che si legano al complesso SNARE. Infatti, il
meccanismo non avviene soltanto all’arrivo del potenziale d’azione, in quanto tende ad avvenire anche a
riposo, per cui sono necessarie molecole che impediscano il rilascio indesiderato.
In seguito alla fusione, in cui il NT viene rilasciato, entrano in azione le proteine SNAP e l’ATPasi NSF
(attive soltanto quando le proteine SNARE sono complessate). Esse legano le SNARE e slacciano il
complesso formato. Se le SNARE non sono complessate, queste proteine non hanno funzione. La fusione
può essere anche spontanea (rilascio dei singoli quanti).
Il rilascio del NT è efficiente, efficace e preciso (si verifica in una zona limitata) e ha notevole resistenza
all’esaurimento del neurotrasmettitore, sia grazie al processo di reuptake sia perché la terminazione,
spesso, è relativamente indipendente dal corpo cellulare, con riserve di vescicole e capacità di
sintetizzare in loco il NT. Infatti, in tutte le terminazioni postsinaptiche la quantità di mitocondri è
estremamente elevata.
Il potenziale di azione ad ampiezza costante (è sempre uguale), mentre il rilascio del NT avviene in
maniera modulata (sempre differente), in modo da modificare la situazione in base all’attività
pregressa, all’ambiente biochimico pre- e postsinaptico ed eventuali fenomeni di plasticità promossi
dalle interazioni dei vari fattori.
Fino a pochi anni fa, la sinapsi era considerata un “punto di arrivo”, mentre in realtà è un sito di scambio
di informazioni.
Ambiente postsinaptico
La densità postsinaptica presenta una complessa organizzazione biomolecolare che consente di
regolare diversi processi importanti nella trasduzione dei segnali sinaptici:
- disposizione dei recettori al di sotto del rilascio del NT rispetto ai siti di liberazione;
- interazione dei recettori con proteine regolatrici (chinasi, fosfatasi, ossido nitrico sintasi), le
quali interagiscono con il citoscheletro. Quest’ultimo, è responsabile della formazione delle
spine dendritiche (filopodia);
- regolazione della quantità dei NT;
- regolazione del trafficking e turnover recettoriale;
- induzione ed espressione della plasticità sinaptica (aggiunta o disposizione di recettori
postsinaptici).
NEUROTRASMETTITORI
Le patologie del SNC derivano dall'alterazione dei neurotrasmettitori. Sostanze psicoattive sono in
grado di interferire con il rilascio p l'azione di questi ultimi.
I neuroni piramidali ricevono afferenze da parte di neuroni che liberano neurotrasmettitori differenti
sui dendriti apicali e basali. In particolare, il dendrite apicale riceve glutammato (da parte del talamo e
dalla corteccia). Il GABA, neurotrasmettitore inibitorio principale, viene rilasciato sui dendriti apicali e
sul corpo cellulare. I dendriti basali ricevono istamina, acetilcolina, serotonina e noradrenalina.
Sinapsi colinergica
Il primo trasmettitore scoperto è stata l’acetilcolina, rilasciata dalla sinapsi colinergica (esperimento di
Otto Loewi).
Un neurone che presenta recettori per l’acetilcolina è detto colino-recettivo. L’enzima acetilcolinesterasi
scinde l’acetilcolina in acetato e colina (la quale viene re-introdotta nel neurone presinaptico). Il gene
che codifica la proteina trasportatrice (che introduce Ach nelle vescicole) si trova sul cromosoma 10,
vicino a quello che codifica per la colina acetiltransferasi, CAT, enzima di sintesi dell’acetilcolina. Per la
costruzione di mappe anatomico-funzionali dei neuroni si utilizzano anticorpi diretti, ad esempio,
contro enzimi di sintesi del neurotrasmettitore. In particolare, per i neuroni colinergici si utilizzano
anticorpi diretti contro CAT.
Diverse sostanze sono in grado di interferire con la sinapsi colinergica.
⦁ La tossina botulinica impedisce la formazione del complesso vescicola-membrana presinaptica,
impedendo la liberazione di acetilcolina dai terminali.
⦁ Il curaro è agonista dell’acetilcolina e compete per i recettori sulla placca motrice (diminuzione
dell’ampiezza del potenziale di placca fino a paralisi completa).
⦁ La neostigmina inibisce la colinesterasi (è una sostanza anticolinesterasi), prolungando e
potenziando l’azione dell’Ach sulla placca motrice.
⦁ Infine, esistono sostanze come l’emicolinio che bloccano la riassunzione della colina nel terminale
presinaptico, riducendo le riserve di acetilcolina nei terminali presinaptici.
I neuroni colinergici che esprimono la CAT (enzima di sintesi dell’acetilcolina) si ritrovano nel SNP e
SNC:
- neuroni colinergici periferici: motoneuroni, neuroni pregangliari del SNA (simpatico e
parasimpatico), neuroni postgangliari del SNA parasimpatico;
- neuroni colinergici centrali: interneuroni colinergici (nuclei della base), telencefalo basale
(basal forebrain), neuroni colinergici ponto-mesencefalici.
Il sistema colinergico, detto a proiezione diffusa, è coinvolto nelle funzioni globali che coinvolgono la
corteccia cerebrale come attenzione, arousal, motivazione, memoria e coscienza. Il basal forebrain
contiene due gruppi di neuroni colinergici: il medial septal group e il nucleus basalis group.
I neuroni colinergici ponto-mesencefalici proiettano alle parti posteriori dell'encefalo, al talamo e
all'ipotalamo.
Nella malattia di Alzheimer, la degenerazione dei neuroni colinergici contribuisce alla perdita di
funzioni cognitive. In questa malattia, si osserva perdita delle diramazioni dendritiche neuronali
associata ad atrofia cerebrale.
Amine biogene
Catecolamine
La catena biosintetica delle amine parte dalla tirosina che viene trasformata in L-DOPA da parte della
tirosina idrossilasi, che a sua volta viene decarbossilata a Dopamina, la prima delle amine.
La dopamina viene trasportata nelle vescicole da un trasportatore specifico che viene bloccato dalla
reserpina.
La dopamina può essere trasformata
(nelle vescicole) dalla dopamina β-
idrossilasi in noradrenalina, che può
essere trasmettitore finale oppure
incontrare l’enzima feniletanolamina N-
metil transferasi nel citoplasma, che la
trasforma in adrenalina (rilasciata da
pochi neuroni).
La dopamina β-idrossilasi è l’enzima
marcatore dei neuroni noradrenergici.
Gli enzimi che portano alla produzione
della dopamina sono marcatori dei
neuroni dopaminergici.
Gli enzimi di degradazione che inattivano le catecolamine sono specifici, in particolare monoamino
ossidasi (MAO) o catecol-O-metiltransferasi (COMT), presenti sia all’interno della terminazione, che
nel vallo sinaptico. Il prodotto finale è l’acido vanilmandelico (VMA).
⦁ Sistema noradrenergico
La noradrenalina incontra recettori di tipo α o β, e può diffondere nel sangue, essere metabolizzata da
enzimi degradativi, essere re-introdotta nella terminazione pre-sinaptica (trasportatore bloccato dalla
cocaina, che quindi potenzia la sinapsi noradrenergici) oppure legarsi ad autorecettori di tipo α2,
rallentando sia il rilascio che la sintesi di noradrenalina (meccanismo a feedback negativo).
Nel SNC, i neuroni noradrenergici sono localizzati nel ponte, soprattutto a livello del locus coeruleus e
proiettano a quasi tutto l’encefalo e al midollo spinale con funzione attivatoria.
Recentemente, si è scoperto il locus coeruleus è influenzato enormemente dal trigemino (nervo
filogeneticamente antico). Una linea di ricerca recente mira a cercare modi per modificare il
funzionamento del trigemino (direttamente con elettrodi o indirettamente) per andare ad influire sulle
funzioni del locus coeruleus. Attraverso la stimolazione del nervo, si può addirittura interferire con il
funzionamento del sistema cognitivo (sono stati riscontrati miglioramenti nell’apprendimento infantile
ed effetti positivi per malattie come Alzheimer e Parkinson).
Un’altra porzione di cellule noradrenergiche è localizzata a livello bulbare, frammista a gruppi cellulari
che utilizzano esclusivamente adrenalina, e a livello mesencefalico (nucleo tegmentale laterale).
Il sistema noradrenergico è coinvolto negli stati di vigilanza e nel ritmo sonno-veglia (in particolare è
molto attivo nella veglia, diminuisce nel sonno non-REM e cessa nel sonno REM).
È anche implicato nel controllo dell'umore. L’aumento del funzionamento della sinapsi noradrenergica
provoca effetti antidepressivi, se inibita provoca effetti depressivi. Si può intervenire a livello di sintesi,
rilascio e degradazione.
Gli antidepressivi, che aumentano il funzionamento della sinapsi, sono inibitori degli enzimi di
degradazione MAO e COMT, inibitori del reuptake da parte del terminale, stimolanti del rilascio,
antagonisti per i recettori presinaptici α2 (impediscono che la noradrenalina interagisca con essi e auto-
inibisca il proprio rilascio). Le anfetamine, ad esempio, sono stimolatori del rilascio sinaptico.
⦁ Sistema dopaminergico
Il sistema dopaminergico ha importanza nel controllo motorio e posturale (morbo di Parkinson) e nel
controllo di emozioni e comportamento (motivazioni, piacere e rinforzo, quindi disturbi psichiatrici). Si
trova principalmente nella sostanza nera e nell’area tegmentale ventrale.
I sistemi coinvolti sono:
- sistema nigrostriatale: i neuroni della sostanza nera proiettano verso caudato e putamen
(neostriato) per il controllo del movimento;
- sistema mesocorticale: neuroni dell’area tegmentale ventrale che proiettano alla corteccia
frontale, implicati nella memoria a breve termine;
- sistema mesolimbico: neuroni dell’area tegmentale ventrale inviano assoni al sistema limbico
(rinforzo lego a stimoli e controllo delle emozioni). In particolare, il nucleo accumbens è
importante per gli effetti di rinforzo (reward) legati a stimoli (anche l'assunzione di sostanze
d'abuso), mentre l'amigdala svolge un ruolo nel controllo delle emozioni.
Molti disturbi dell’alimentazione sono legati a malfunzionamenti del sistema dopaminergico, collegati al
piacere.
I trasportatori che immettono la dopamina nelle vescicole sono di diverso tipo: uno di essi è bloccato
dalla reserpina, un altro da anfetamine.
Il recettore per la dopamina coinvolto nel reuptake, inoltre, è inibito da cocaina e anfetamina.
La sinapsi dopaminergica è implicata nello sviluppo delle psicosi: l'aumento di sintesi di dopamina, la
stimolazione del rilascio e l'inibizione degli enzimi che la inattivano possono indurre sintomi psicotici.
Al contrario, l'inibizione della sintesi o il blocco dei recettori post-sinaptici di tipo D2 hanno azione
antipsicotica.
Serotonina
La serotonina controlla principalmente l’umore, ma ha anche un ruolo nell’appetito, nel sonno e nel
dolore, nell’attività locomotoria e nella termoregolazione. A livello centrale, i nuclei più importanti che
utilizzano questo neurotrasmettitore sono i nuclei del rafe. Il 70% della serotonina si trova nel sistema
nervoso enterico, dove induce contrazione della tonaca muscolare della parete intestinale. Anche le
piastrine (coinvolte nella vasocostrizione e nell’attività di cellule del sistema immunitario) sono
regolate parzialmente dalla serotonina (tramite recettori specifici).
Anche la sinapsi serotonergica è implicata in disturbi dell'umore e, per questo motivo, interessa molto
la farmacologia. Infatti, molti dei farmaci antidepressivi agiscono bloccando il trasporto della serotonina
dal vallo al terminale (il Prozac agisce a questo livello, così come antidepressivi triciclici).
Anche inibitori delle MAO sono farmaci antidepressivi, in quanto inibiscono la degradazione della
serotonina che, come le catecolamine, viene inattivata dalle MAO.
I recettori presinaptici sono oggetti di studio, mentre è risaputo che i recettori post-sinaptici sono
sensibili a LSD (dietilammide-25 dell'acido lisergico), una delle più potenti e pericolose sostanze
psichedeliche, che induce allargamento della coscienza con effetti anche irreversibili.
GABA
Il GABA è un neurotrasmettitore inibitorio a proiezione diffusa. È il
neurotrasmettitore delle cellule di Purkinje del cervelletto e viene
largamente utilizzato in tutto il SNC.
Il GABA deriva dal glutammato per decarbossilazione ad opera dell'acido
glutammico decarbossilasi (GAD) e viene degradato dall’enzima GABA-T, α-
chetoglutarato transaminasi (che sintetizza glutammato da α-chetoglutarato e degrada il GABA a
semialdeide succinica). La semialdeide succinica, prodotto di degradazione del GABA, viene trasformata
in acido succinico dall'enzima semialdeide succinica deidrogenasi (SSADH).
Anticorpi diretti contro GAD marcano i neuroni GABAergici.
Il glutammato necessario alla sintesi di GABA può anche derivare
dalla glutammina, che proviene dalle cellule gliali (che tra le altre
funzioni hanno quella di partecipare al metabolismo dei
neurotrasmettitori), la quale viene trasformata dall'enzima
glutaminasi in glutammato. Le cellule gliali trasportano il GABA
dal vallo al loro citoplasma tramite il GABA Transporter (GAT),
dove viene convertito in glutammato. Dal glutammato (il GABA
prelevato dal vallo viene trasformato in glutammato passando per
il mitocondrio), la glutammina sintetasi delle cellule gliali forma
glutammina, che viene trasportata nel neurone per poter
sintetizzare nuovo GABA.
I trasportatori per il GABA (GABA T) sono coinvolti in patologie
come autismo, schizofrenia o disordini del sonno e alcolismo.
Nel cervello adulto, il GABA ha prevalente azione inibitoria ma, in alcuni casi, può essere depolarizzante.
Generalmente, se il GABA viene rilasciato, l’effetto dei suoi recettori (GABA A e GABA B) è quello di
iperpolarizzare la membrana aprendo una porta per il cloro (nel recettore A) e aumentando la
conduttanza al potassio (recettore B).
Il cloro è concentrato prevalentemente all’esterno della
cellula, ma si dispone a seconda di meccanismi passivi a
riposo, risentendo del potenziale di membrana. Il suo
potenziale di equilibrio è quasi uguale al potenziale di
membrana. Meccanismi di estrusione del cloro fanno sì
che la concentrazione sia minore all’interno, per cui
aprendo un canale per questo ione, esso tende ad entrare
(visto che all’interno è meno concentrato) e la membrana
si iperpolarizza.
In una serie di neuroni, prevalentemente durante lo
sviluppo (neuroni immaturi), il meccanismo attivo che
estrude il cloro non è maturato, per cui prevale l’entrata di
cloro: la concentrazione di cloro intracellulare è più alta
rispetto ai neuroni maturi. Il potenziale di equilibrio del
cloro, in questo caso, è leggermente maggiore del potenziale di membrana. La conseguenza è che
l’apertura dei canali del cloro determinano una fuoriuscita dello ione, determinando depolarizzazione.
Anche alcuni neuroni adulti, come i gangli delle radici dorsali, vengono depolarizzati dal GABA.
Glicina
La glicina è un trasmettitore inibitorio prevalentemente del midollo spinale. Viene probabilmente
prodotta dalla serina. Interagisce con un recettore canale, determinando apertura del canale per gli ioni
cloro con conseguente iperpolarizzazione. Il clostridio del tetano produce una tossica che impedisce il
rilascio della glicina. Il risultato è un’iper-eccitabilità dei muscoli che risulta in spasmi muscolari.
L’inibizione sui motoneuroni serve per movimenti fini e ponderati, mentre il blocco della trasmissione
di glicina impedisce l’azione inibitoria tonica, per cui i motoneuroni risentono dell’attivazione centrale e
vengono ipereccitati. Il recettore per la glicina è legato alla gefirina, la quale è legata al citoscheletro a
formare la densità post-sinaptica. Anche le cellule gliali possiedono recettori per la glicina.
Un antagonista della glicina è la stricnina.
Glutammato
Il rilascio di glutammato, trasmettitore eccitatorio più rappresentato del SNC, si lega
a tre tipi di recettori e viene ricaptato dai terminali grazie ad un trasporto attivo
secondario: l’ingresso di due ioni sodio e l’uscita di uno ione potassio e di uno ione
OH- determina l’ingresso di Glu.
Un’eccessiva liberazione di glutammato porta a morte cellulare (eccitotossicità).
Questo fenomeno si può verificare in seguito a ischemia cerebrale: la mancanza di
ossigeno determina deplezione di ATP e diminuzione della funzione delle pompe ATP-dipendenti (come
la pompa sodio-potassio o quella che estrude il calcio dalla cellula). Aumenta la concentrazione di
potassio extracellulare e la concentrazione di calcio intracellulare: il potassio extracellulare depolarizza
i terminali assonici con ulteriore liberazione di glutammato. L'aumento di calcio di per sé determina
alterazioni della permeabilità della membrana mitocondriale e attivazione delle caspasi citoplasmatiche
(inducendo apoptosi).
L’adenosina, derivata dalla degradazione dell’ATP e secreta dai
terminali assonici, entro certi limiti, effettua azione protettiva
agendo sui recettori presinaptici A1 che limitano la liberazione
del Glu.
L’aumento di potassio extracellulare altera il funzionamento del
trasportatore Na/Glu e inverte il senso, pompando il glutammato e
il sodio verso l’esterno.
Il recettore NMDA, sotto effetto dell’eccessivo glutammato, determina aumento del calcio intracellulare,
il quale generalmente è tenuto basso grazie alle pompe del RE e della membrana. Per via dell’aumento
di calcio, vengono attivate caspasi (che inducono apoptosi) e lipasi (che danneggiano le membrane).
L’attivazione della NOS (ossido nitrico sintasi) favorisce la formazione di radicali liberi. L’aumento della
formazione di acido arachidonico, messaggero retrogrado, diminuisce la ricaptazione del glutammato
e/o porta all’aumento del suo rilascio e della produzione di ROS.
A causa di questi meccanismi, l'ipossia cerebrale determina danni irreversibili.
L’eccitotossicità, oltre ad essere implicata nel danno neurale conseguente a grave ipossia, è coinvolta
nella patogenesi di malattie neurodegenerative come Parkinson, corea di Huntington, SLA ed epilessia.
Neuropeptidi
Si tratta di NT grandi, proteici, sintetizzati nel corpo cellulare e trasportati dal sistema di microtubuli e
microfilamenti nel terminale assonico. Non esistono meccanismi di reuptake per i peptidi e vengono
degradati nel vallo sinaptico da enzimi specifici. Due esempi sono il VIP e il neuropeptide Y.
Spesso, sono co-trasmettitori e vengono rilasciati in associazione ad altri neurotrasmettitori (ad
esempio, le terminazioni postgangliari parasimpatiche liberano acetilcolina e VIP e quelli del simpatico
liberano noradrenalina e neuropeptide Y).
Purine
ATP e adenosina sono utilizzate nel SNC e nel sistema simpatico, in particolare per la genesi del dolore.
Ossido nitrico
L’ossido nitrico è un gas comune inquinante dell’aria, instabile e reattivo. Viene prodotto dai macrofagi
come battericida e dalle cellule endoteliali per rilasciare la muscolatura vasale, per questo è stato detto
Endothelium-Derived Relaxing factor (fattore rilasciante rilasciato dall’endotelio, EDRF).
La sua sintesi necessita di arginina, citrullina e ossigeno e calcio (l'enzima è l'ossido nitrico sintasi,
NOS). Agisce sulla guanilato ciclasi per formare cGMP. Ha un raggio d’azione di 0.1-0.5 mm con emivita
di 5-15 secondi (azione limitata nel tempo e nello spazio) ed è altamente diffusibile. La sua alta
reattività implica la necessità di numerosi meccanismi regolativi.
L’ossido nitrico può essere anche rilasciato dal terminale presinaptico per via dell’ingresso del calcio
oppure dal neurone postsinaptico (in quanto anche a questo livello si verifica aumento del calcio
intracellulare): nei neuroni centrali, infatti, il glutammato può attivare recettori NMDA che fanno
entrare calcio e attivano NOS nel neurone post-sinaptico.
Essendo una sostanza potenzialmente tossica, è necessario uno stretto controllo del suo rilascio. In
particolare, la sua sintesi è complessa e regolata da NOS e molti cofattori.
L’ossido nitrico interferisce con i fenomeni di plasticità neuronale. Probabilmente non è l’unico NT
gassoso, in quanto anche il monossido di carbonio (prodotto dall'enzima eme-ossigenasi) potrebbe
svolgere analoghe funzioni.
Cannabinoidi
La sostanza endogena è l’anandamide, cannabinoide fisiologico presente nel SNC come
neurotrasmettitore e neuromodulatore. Le regioni primarie alle quali si legano i cannabinoidi sono i
gangli della base e il sistema limbico (quindi coinvolti nel controllo del movimento, dei processi di
apprendimento e memoria, nella regolazione di stati emotivi e controllo dell’alimentazione).
È stato dimostrato che la secrezione di cannabinoidi da parte della terminazione presinaptica può
inibire la liberazione di altri neurotrasmettitori, modulandone il rilascio. Sembra che esista un sistema
di reuptake da parte della terminazione post-sinaptica.
L'azione del trasmettitore sulla membrana post-sinaptica può portare ad un aumento della
concentrazione di calcio citoplasmatica, con attivazione di enzimi che agiscono sui fosfolipidi di
membrana e liberazione di endocannabinoidi. Una volta liberi nel vallo, agiscono sul recettore CB1
presinaptico e inducono una diminuzione della concentrazione di cAMP, con conseguente chiusura dei
canali per il calcio e diminuzione nel rilascio di neurotrasmettitore.
Il loro reuptake da parte del neurone post-sinaptico è seguito da un'idrolisi da parte dell'enzima acidi
grassi amide idrolasi (FAAH).
Quindi il sistema degli endo-cannabinoidi è una neuro-modulazione in grado di regolare l’eccitabilità
neuronale. Inoltre, gli endocannabinoidi hanno proprietà antiemetiche (agisce sui circuiti del vomito),
modulano l’appetito, la spasticità, hanno attività analgesica, regolano processi di memoria, hanno
proprietà anti-epilettiche, modulano la risposta immunitaria e regolano processi di proliferazione
cellulare (come nei tumori).
RECETTORI
L'azione di un neurotrasmettitore si espleta
attraverso l'apertura diretta di un canale
ionico oppure tramite la produzione di
secondi messaggeri (soprattutto cAMP e
triacilglicerolo).
Le categorie principali sono recettori che
formano canali (recettori ionotropici),
oppure proteine di membrana (recettori
metabotropici, in quanto innescano
metabolismo intracellulare) che non formano
canali, ma attivano proteine cellulari che
trasducono il messaggio. Questi ultimi sono i
più diffusi.
Esistono anche recettori tirosina-chinasi e
recettori intracellulari, ma non verranno
trattati.
Un recettore ionotropico che lega un NT si
apre, mentre un recettore metabotropico
attivato da un neurotrasmettitore, attraverso
una proteina G, innesca meccanismi volti ad
aprire canali (lo scopo è sempre quello di
modificare il potenziale di membrana).
I recettori non sempre sono specifici.
Recettori ionotropici
I recettori ionotropici sono composti da
proteine transmembrana che si uniscono in
più subunità e formano un poro idrofilo, il quale si apre quando il recettore interagisce con il ligando.
Si dividono in 3 categorie:
- recettori canale nicotino-simili: recettore per l’acetilcolina, per il GABA, la glicina e la
serotonina. Sono formati da 5 subunità, ognuna costituita da M1-M4;
- recettori canale per il Glutammato: AMPA, kainato e NMDA. Sono tetrameri
transmembranari, di cui ogni subunità è formata da M1-M4;
- canali attivati da ATP: purinergici, trimerici (subunità formate da M1-M2).
Il recettore per l’acetilcolina nella giunzione neuromuscolare è permeabile soprattutto a sodio e
potassio ma, nei recettori centrali, è permeabile anche al calcio.
Recettori metabotropici
Sono caratterizzati da un unico polipeptide con 7 segmenti transmembranari con siti di legame per le
proteine G, costituite da trimeri α, β e γ. Le proteine G sono coinvolte nella regolazione di canali ionici
come quelli per il potassio, il sodio e il calcio (direttamente) oppure controllano indirettamente i canali
attraverso enzimi come l’adenilato ciclasi, la fosfodiesterasi e la IP3 chinasi.
L’entrata di serotonina, per esempio, determina la chiusura di canali per il potassio (tramite l’azione
della PKA) con conseguente depolarizzazione della membrana.
I secondi messaggeri principali sono lo ione calcio, cAMP e cGMP, DAG e IP3.
I secondi messaggeri attivano chinasi, le quali fosforilano determinati substrati, dando il via ad una
reazione cellulare e alla risposta biologica, determinando una cascata di eventi che amplifica il segnale.
Più sostante vengono prodotte, più livelli di controllo possono esistere: ogni punto di produzione di
nuovi messaggeri è un possibile punto di controllo.
La noradrenalina, legando il recettore β1, porta all’aumento del cAMP, che attiva la PKA, la quale
fosforila canali per il potassio, chiudendoli e depolarizzando la membrana. La PKA fosforila, inoltre, una
proteina regolatrice del nucleo che attiva la sintesi di canali per il potassio maggiormente sensibili alla
modulazione per fosforilazione: in questo modo, i secondi messaggeri possono modificare l'espressione
genica (produzione di nuovi canali, potenzialmente a lungo termine).
Recettori colinergici
I recettori colinergici sono il recettore nicotinico ionotropico (permeabile a sodio, potassio e spesso
anche calcio) e il recettore muscarinico metabotropico. Il recettore muscarinico può direttamente,
attraverso la proteina G, interferire con il canale ionico o indirettamente attraverso secondi messaggeri.
Il legame di un NT con un recettore su una cellula ghiandolare, ad esempio, modifica la conduttanza del
potassio per
aumentare la
concentrazione di
potassio nel secreto
ghiandolare. Un altro
esempio è il recettore
M2, che si trova
nell'atrio del cuore e
induce inibizione
cardiaca per aumento
della conduttanza al
potassio.
Le cellule pacemaker
creano un pre-
potenziale, alla soglia
parte un picco, il quale
ri-cala all’uscita del
potassio. Il pre-
potenziale dipende da un canale Funny, da un canale T per il calcio e un canale L per il calcio (che
determina il picco d’azione). I picchi generati dal pre-potenziale possono essere più vicini o meno e
determinano la frequenza cardiaca: se il potenziale è più ripido, i picchi sono più vicini, se diventa meno
ripido i picchi si allontanano e la frequenza diminuisce. Il sistema parasimpatico diminuisce la sequenza
cardiaca attraverso tre azioni (espletate attraverso il recettore colinergico muscarinico):
- chiude i canali T per il calcio (diminuzione dell’ingresso di ioni calcio);
- aprono canali per il potassio che
aumentano l’iperpolarizzazione
(aumento della fuoriuscita di potassio);
- chiude i canali funny.
In questo modo, le fibre parasimpatiche fanno
diminuire l'entità della depolarizzazione
spontanea agendo su recettori muscarinici.
In una cellula gangliare del simpatico, l’acetilcolina trova un recettore ionotropico N1 e un recettore
metabotropico M1 (in genere non descritto), producendo una risposta più lenta e duratura (dipendente
dal recettore metabotropico) e una rapida e breve (dipendente dal recettore ionotropico per
l'immediato aumento della conduttanza di membrana al sodio e al potassio).
I recettori metabotropici per il glutammato, divisi in tre gruppi, modificano l’attività del recettore
NMDA e hanno diversa localizzazione:
– il gruppo I dei recettori metabotropici attiva la fosfolipasi C: ne consegue aumento dell'attività
del recettore NMDA, con potenziale rischio di eccitotossicità. Sono recettori prevalentemente
post-sinaptici e comprende mGluR1 e mGluR5;
– i recettori di gruppo II (prevalentemente pre-sinaptico): inibiscono l'adenilato ciclasi.
Diminuiscono l'attività del recettore NMDA (hanno ruolo nell'attenuazione della schizofrenia).
Comprende mGluR2 ed mGluR3;
– quelli del gruppo III inibiscono l’adenilato ciclasi. Anche questi diminuiscono il rischio di
eccitotossicità e sono prevalentemente pre-sinaptici. I recettori sono mGluR4, mGluR6, mGluR7,
mGluR8.
L'ingresso di calcio attraverso i recettori NMDA può attuare processi caldio-dipendenti che aumentano
l'espressione di AMPA (per attivazione della proteina chinasi C) e dell'enzima NOS (con conseguente
produzione di ossido nitrico, il quale attiva ulteriormente la liberazione di glutammato). Tra i processi
calcio-dipendenti, il più importante riguarda modificazioni a lungo termine dell'attività sinaptica
(plasticità).
L'aumento di calcio produce aumento della fosfolipasi A2, la quale catalizza la formazione di acido
arachidonico (aumenta il rilascio pre-sinaptico di glutammato). Inoltre, la fosfolipasi NAPE-PLD
catalizza la produzione dell'anandamide, che agisce a livello delle sinapsi GABAergiche e, inibendole,
aumenta la trasmissione del segnale.
Le modificazioni a lungo termine possono essere potenziamento (LTP) o depressione a lungo termine
(LTD).
Recettori adrenergici
I recettori adrenergici sono tutti
metabotropici. Sono interessanti i
recettori β3, situati a livello del tessuto
adiposo bruno. È stato ipotizzata la
possibilità di trapianti di tessuto
adiposo bruno nei soggetti sovrappeso
in modo da determinare un maggior
consumo di energia.
Lo stesso trasmettitore è in grado di
determinare effetti differenti in
funzione del recettore che viene
attivato. Infatti, la disposizione diversa
dei recettori a livello della parete
vasale determina vasocostrizione (α1)
e vasodilatazione (β2) in zone
differenti.
Recettori dopaminergici
Esistono recettori dopaminergici
di cinque tipi, ma i più comuni
sono due: D1 e D2 e
rispettivamente aumentano e
diminuiscono la concentrazione
di cAMP. D1 è prevalentemente
post-sinaptico, D2 può essere
anche presinaptico.
La dopamina è implicata in
processi come motivazione, piacere, cognitività, memoria, apprendimento e alimentazione, per cui
anomalie si accompagnano a disordini neuropsichiatrici.
Esistono recettori dopaminergici (principalmente localizzati nel SNC) anche nel sistema cardio-
polmonare, a livello di atri (D4, diminuiscono la contrattilità e la gittata senza cambiare la frequenza) e
delle arterie polmonari (D1, D2, D3, D4 e D5, hanno effetti vasodilatatori).
Nel sistema renale, esistono recettori dopaminergici nel tubulo prossimale e nell’apparato
iuxtaglomerulare (D1-like), ma anche sulle ghiandole surrenali e sulle terminazioni simpatiche (D2-
like): la dopamina influenza la diuresi e la natriuresi (eliminazione di sodio).
Recettori purinergici
I recettori purinergici sono attivati sia dall’ATP che dall’adenosina (modula la liberazione dei
neurotrasmettitori a livello pre-sinaptico) prodotta dalla sua degradazione. Sono sia ionotropici (P2X e
P2Z) che metabotropici (P2Y).
POTENZIALI POST-SINAPTICI
Le sinapsi permette di trasferire le informazioni da una membrana presinaptica, cui arrivano sotto
forma di potenziale d'azione, alla membrana post-sinaptica.
I potenziali post-sinaptici che si verificano a livello della membrana post-sinaptica possono essere di
due tipi:
– potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP): depolarizzazione. Un esempio è il potenziale di
placca. La depolarizzazione è dovuta prevalentemente a canali permeabili a sodio e potassio. Il
principale neurotrasmettitore eccitatorio è il glutammato;
– potenziale post-sinaptico inibitorio (IPSP): iperpolarizzazione. È mediato da canali
permeabili a cloro o al potassio. I principali neurotrasmettitori inibitori sono GABA e glicina.
Nelle sinapsi chimiche, si possono distinguere risposte veloci e risposte lente, dipendenti dai recettori.
In particolare:
– risposta veloce: recettori ionotropici. Essendo canali ionici, il legame del neurotrasmettitore li
apre e permette il flusso ioni immediatamente. La risposta avviene in pochi millisecondi;
– risposta lenta per accoppiamento diretto: il recettore metabotropico regola l'apertura di un
canale tramite una proteina G. La risposta avviene con un ritardo nell'ordine dei secondi;
– risposta lenta per attivazione di secondi messaggeri: il recettore metabotropico induce la
produzione di secondi messaggeri che, alla fine, porteranno all'apertura del canale, per cui è la
risposta più lenta.
Quindi:
– PM > E EPSP : l'uscita di potassio supera l'ingresso di sodio e la membrana si iperpolarizza;
– PM = E EPSP (passando corrente attraverso la cellula): l'ingresso di sodio e l'uscita di potassio
sono uguali e il PM non si modifica;
– PM < E EPSP : l'ingresso di sodio supera l'uscita di potassio e la membrana si depolarizza.
Visto che il PM fisiologico è pari a -65mV, all'apertura di un canale ugualmente permeabile a sodio e
potassio, il risultato è una depolarizzazione.
Ricapitolando, l'EPSP:
– è un fenomeno graduato, elettrotonico, capacitativo;
– decade nello spazio e nel tempo in funzione delle costanti di spazio e tempo della membrana;
– è sommabile sia spazialmente che temporalmente;
– è graduato (non segue la legge del tutto o nulla) e la sua ampiezza è proporzionale alla quantità
di neurotrasmettitore liberato;
– è depolarizzante e se raggiunge la soglia per l'apertura dei canali ionici voltaggio-dipendenti per
sodio e cloro determina l'insorgenza di un potenziale d'azione.
Il canale GIRK (canale per il potassio a rettificazione interna accoppiato a proteina G) è attivato
direttamente da proteine G e lascia passare selettivamente il potassio e può essere aperto dal legame
dell’acetilcolina sul recettore muscarinico, o dal legame del GABA sul recettore GABA-B. Le subunità
GIRK1-GIRK3 si trovano in tutto il SNC, GIRK4 a livello cardiaco.
Molti recettori accoppiati a proteine G attivano GIRK: M2 muscarinici, A1 adenosinici, D2
dopaminergici, α2 adrenergici, recettori per gli oppioidi, 5-HT1A serotonergici, somatostatinergici, m-
Glu glutammatergici.
Il movimento degli ioni attraverso il canale può seguire la legge di Ohm (canale ohmico a resistenza
costante), oppure può essere un canale rettificante, in cui la resistenza dipende dal verso in cui passa la
corrente, legato al potenziale di membrana.
Si può verificare anche che un canale per il potassio sia chiuso in presenza di un neurotrasmettitore,
come la noradrenalina, che modifica la concentrazione intracellulare di cAMP, determina
depolarizzazione e rende più eccitabile la cellula. A riposo:
ENa = 60 mV
EK = -90mV
GK/G tot = 0.95 (il 95% dei canali per il potassio sono aperti)
GNa/G tot = 0.05 (il 5% dei canali per il sodio sono aperti)
PM = (GK/G tot) EK + (GNa/G tot) ENa = -82.5 mV
Alla chiusura dei canali per il potassio, la conduttanza totale cambia. Ad esempio, se si chiudono 90
canali dei 95 aperti, ne restano 5. Questi costituiscono il 50% dei canali aperti, visto che gli altri 5 sono
del sodio. Quindi:
GK/G tot = 0.5
GNa/G tot = 0.05
PM = (GK/G tot) EK + (GNa/G tot) ENa = - 15 mV
Si verifica depolarizzazione.
Un meccanismo attivo che estrude cloro fa in modo che la concentrazione di cloro intracellulare
diminuisca, per cui E Cl < PM.
L'esempio dell'acetilcolina può chiarire le risposte eccitatorie e inibitorie nelle cellule post-sinaptiche:
– muscolo scheletrico: l'acetilcolina o la nicotina, agendo sul recettore nicotinico, provoca
depolarizzazione. I recettori nicotinici, infatti, sono canali cationici e il legame con il
neurotrasmettitore li apre, permettendo il passaggio di sodio, potassio e calcio;
– muscolo cardiaco: l'acetilcolina o la muscarina, agendo sul recettore muscarinico, provoca
iperpolarizzazione. I recettori muscarinici sono accoppiati tramite proteine G a canali per il
potassio, per cui l'attivazione del recettore porta all'apertura del canale.
Quindi, il tipo di azione sinaptica non dipende dal mediatore chimico, ma dalla variazione di
permeabilità che risulta sulla membrana post-sinaptica.
INTREGRAZIONE DEGLI IMPULSI SINAPTICI
Su ogni neurone arrivano 103-104 impulsi, che possono essere eccitatori, inibitori, modulatori, ad azione
trofica, deboli o forti.
Gli impulsi possono arrivare sui dendriti apicali, prossimali, sulle spine dendritiche, sul soma o
sull'assone e vengono integrati e trasformati in potenziale d'azione a livello dell'ilo assonico, o
monticolo, o cono d'emergenza, o zona trigger.
A livello del monticolo assonico, la soglia per
generare PdA è più bassa a causa
dell’addensamento di canali del sodio voltaggio-
dipendenti (Nav 1.6), che sono presenti ad una
densità critica, come a livello dei nodi di Ranvier.
La presenza di canali per sodio è potassio è
proprio una delle due condizioni necessarie alla
nascita del potenziale d'azione, insieme al
raggiungimento della soglia.
Quindi, nei dendriti e nel soma l’EPSP è di
maggior ampiezza rispetto al cono di emergenza,
ma è solo in quest’ultima regione che può
raggiungere la soglia. Infatti, anche se a livello
dendriti l'ampiezza del EPSP supera la soglia, non
si genera potenziale d'azione per l'assenza di
canali voltaggio-dipendenti.
A livello del monticolo assonico, però, il
potenziale d'azione non si genera se lo stimolo è
sotto-soglia (infatti non è sufficiente la presenza
dei canali, occorre anche il raggiungimento della soglia).
La costante di tempo τ è il tempo necessario perché la membrana raggiunga il 63% del potenziale
finale. All'iniezione di corrente, la risposta della membrana si sviluppa lentamente, seguendo la legge
esponenziale dell'equazione di carica e, quando la corrente iniettata cessa, la membrana ritorna al PM
originale seguendo la legge dell'equazione di scarica. Dopo un tempo uguale a τ, la membrana cala del
37% del potenziale raggiunto durante l'iniezione di corrente.
La costante di tempo tiene conto della resistenza di membrana e dipende dalle proprietà elettriche della
membrana stessa: se la costante di tempo è bassa la membrana si carica e scarica velocemente, se è alta
si scarica e carica lentamente. È uguale al prodotto della capacità per la resistenza ed è espressa in
secondi:
τ = R m · Cm
Un neurone centrale, che riceve un insieme di afferenze sinaptiche di natura opposta, esprime
un’integrazione netta di tutte queste attraverso una differenza di frequenza di scarica di PdA o tipi
diversi di pattern di scarica.
Modulazione presinaptica
Il rilascio dei neurotrasmettitori può essere controllato dalle sinapsi asso-assoniche, la cui attivazione
modifica la conduttanza ionica del terminale presinaptico. L'inibizione presinaptica è molto presente
nei vertebrati e negli invertebrati si assiste anche a facilitazione presinaptica.
Nell’inibizione presinaptica, l'inibizione riguarda la membrana che rilascia il neurotrasmettitore (ad
esempio per diminuzione dell'ingresso di calcio).
Diversi neurotrasmettitori possono produrre inibizione:
– GABA tramite recettore GABA-A: vengono aperti canali del cloro con conseguente
iperpolarizzazione. Questo causa un minor ingresso di calcio attraverso i canali voltaggio-
dipendenti quindi minor rilascio di neurotrasmettitore;
– GABA tramite recettore GABA-B: chiude direttamente i canali per il calcio, causando il minor
rilascio di neurotrasmettitore;
– encefaline attraverso recettori per gli oppioidi: chiudono i canali per il calcio;
– encefaline: aprono canali per il potassio, inducendo iperpolarizzazione. Il calcio entra meno e il
rilascio di neurotrasmettitore è minore.
Il circuito del sistema nervoso somatico comprende recettori somatici e sensoriali (afferenti, verso il
SNC) e neuroni somatomotori volontari (efferenti) che intervengono sulla muscolatura scheletrica; il
sistema nervoso autonomo riceve da recettori sensoriali autonomi e risponde attraverso neuroni
visceroeffettori (involontari), i quali controllano la muscolatura liscia, cardiaca e le ghiandole; il sistema
nervoso enterico riceve afferenze da neuroni motori enterici (involontari), plessi enterici e dal sistema
nervoso autonomo e controlla la muscolatura e le ghiandole del tratto gastrointestinale.
Nel SNC, esistono strutture deputate al controllo del sistema somatico e di quello autonomo e che
coordinano effettori somatici, autonomici ed endocrini (attività integrata a carattere istintivo). Queste
strutture sono prevalentemente situate a livello ipotalamico, bulbare, pontino e mesencefalico.
Controllano il bilancio idrico, il comportamento alimentare, la temperatura, l’attività respiratoria,
riproduttiva e cardiovascolare.
Fondamentalmente, esiste una stazione di entrata (il nucleo del tratto solitario, situato a livello del
midollo allungato organizzato somatotopicamente) e nuclei efferenti di tipo parasimpatico (a livello del
tronco, come nucleo motore dorsale del vago e nucleo ambiguo; il simpatico è situato nel midollo,
quindi più inferiormente).
L’ipotalamo controlla l’organismo (oltre al controllo del SNA) grazie al collegamento con l’ipofisi
(controllo endocrino).
I riflessi autonomi involontari comprendono la regolazione di:
– pressione arteriosa,
– frequenza cardiaca,
– forza di contrazione del cuore,
– respirazione (riflesso somatico): quando il pH diminuisce, aumenta la respirazione;
– del flusso sanguigno ai diversi organi (in funzione degli stati metabolici),
– del bilancio idrico (sete alla diminuzione del volume del sangue),
– temperatura corporea: produzione di sudore,
– numero di globuli rossi: contrazione della milza per aumentare l'ematocrito,
– diametro della pupilla,
– visione a distanza,
– motilità e secrezione intestinale;
– metabolismo: mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo, glicogenolisi epatica.
Per arrivare all’organo bersaglio, il SNA (al contrario del sistema nervoso somatico) necessita di due
neuroni: un neurone pregangliare (a monte di un ganglio autonomo) e uno postgangliare. A livello
del ganglio autonomo, i due neuroni si connettono tra loro. La giunzione tra neurone postgangliare e
l’organo bersaglio è detta giunzione neuro-effettrice.
Il sistema simpatico origina dalla colonna intermedio-laterale dei neuromeri da T1 a L2-L3, la fibra
pregangliare arriva ai gangli della catena del simpatico e i neuroni postgangliari innervano i tessuti
bersaglio.
Il parasimpatico origina a livello bulbare (porzione rostrale) e a livello sacrale (S3,S3 ed S4, porzione
caudale). Le fibre pregangliari del simpatico sono molto lunghe, arrivano fino all’organo, all’interno del
quale (nel parenchima) nasce il breve neurone postgangliare.
Tutti i neuroni che partono dal SNC (motoneuroni, neuroni pregangliari del simpatico e del
parasimpatico) rilasciano acetilcolina su recettori di tipo nicotinico.
Il neurone postgangliare del parasimpatico rilascia acetilcolina su recettori muscarinici, mentre il
sistema nervoso simpatico rilascia esclusivamente noradrenalina (che può agire su diversi recettori). La
midollare del surrene può essere considerata un ganglio simpatico modificato, il quale riceve neuroni
pregangliari simpatici che secernono acetilcolina su recettori nicotinici. I neurotrasmettitori rilasciati
nel circolo sistemico dalla midollare sono noradrenalina (20%) e soprattutto adrenalina (80%).
Esistono però eccezioni, che riguardano:
– via parasimpatica che non è colinergica, ma trasmette sostanze di diverso tipo, come VIP e NO (è
detta parasimpatica in quanto si mantiene la morfologia di questo sistema, ovvero fibra
pregangliare lunga, postgangliare corta);
– sistema simpatico colinergico: la fibra postgangliare rilascia acetilcolina su recettori
muscarinici. È tipica delle ghiandole sudoripare e della muscolatura liscia vasale del muscolo
scheletrico per indurre vasodilatazione (come a livello dello sfintere esofageo inferiore).
La via più veloce per quanto riguarda la conduzione dell'impulso (mielinizzata) è quella motoria
somatica. Nel sistema nervoso autonomo, è il parasimpatico a condurre l'impulso più velocemente in
quanto ha fibre pregangliari molto lunghe mielinizzate (tutte le fibre che partono dal SNA centrale sono
mielinizzate, i neuroni post-gangliari, invece, sono amielinici).
Il surrene ha una componente midollare controllata dal simpatico e una componente corticale (che
secerne altri ormoni, come androgeni, cortisolo e aldosterone) controllata prevalentemente dall’ACTH
(ormone adenoipofisario), ma anche dall’angiotensina II e dall’ANP (atrial natriuretic peptide).
Il rilascio ghiandolare di adrenalina e noradrenalina da parte della midollare dura 5-10 volte più a lungo
rispetto alla liberazione da parte del SN simpatico. L'adrenalina prodotta dal surrene ha un'azione
maggiore sul metabolismo e sulla gittata cardiaca della
stimolazione simpatica diretta. Grazie a questa secrezione, può
avvenire il controllo da parte del simpatico anche su organi non
innervati da esso ma che possiedono recettori adrenergici (come i
polmoni).
Il cuore ha una prevalenza di recettori β1, sebbene sia presente una piccola percentuale di recettori β2.
La muscolatura scheletrica, prevalentemente comandata dai motoneuroni, riceve anche un controllo dai
recettori β2 (presinaptici), i quali influenzano il rilascio dell’acetilcolina e modulano il funzionamento.
L’azione del rilascio generalizzato di adrenalina e noradrenalina può avere effetti sul rilascio di insulina
e sull’aggregazione piastrinica (attivata tramite i recettori α2, inibita dai recettori β).
Recettori colinergici
I recettori per l’acetilcolina sono situati nella sinapsi tra neuroni pre e postgangliare di simpatico
(nicotinici), parasimpatico e midollare del surrene (nicotinici) e nella sinapsi tra neuroni postgangliari
effettori e organi del parasimpatico. In quest'ultimo caso, si tratta di recettori muscarinici accoppiati a
proteina G:
– M1: aumenta IP3 e DAG con conseguente eccitazione cellulare. Si trovano sulle cellule parietali
dello stomaco;
– M2: accoppiati a proteina Gi , fanno diminuisce la concentrazione di cAMP e aprono canali al
potassio, con inibizione cellulare. Si trovano sulle cellule cardiache e sulla muscolatura liscia per
cui diminuiscono la frequenza cardiaca e la forza di contrazione;
– M3: hanno stesso effetto e meccanismo dei recettori M1 (eccitazione cellulare), ma si trovano
sulle ghiandole esocrine
Somministrando antagonisti muscarinici, come atropina o scopolamina, l’azione competitiva reversibile
inibisce tutte le funzioni muscariniche ma non blocca i recettori nicotinici.
Riflessi
Il riflesso somatico parte da un neurone afferente che risente di stimoli periferici, si connette o no
tramite un interneurone a un motoneurone efferente e determina una risposta allo stimolo.
Nel riflesso autonomo simpatico, il neurone afferente che deriva dalla periferia entra nel midollo
spinale dal corno posteriore e si connette con la catena intermedio laterale (punto di origine del sistema
simpatico). Il neurone effettore esce dal corno anteriore, si connette al neurone postgangliare, il quale
arriva in periferia e mette in atto il riflesso.
Il neurone pregangliare che esce dal corno anteriore del midollo spinale, nel caso della midollare del
surrene, non si ferma nel ganglio e arriva a destinazione in maniera diretta.
I gangli sono centri di integrazione. I neuroni pregangliari possono fermarsi a livello del ganglio
paravertebrale (corrispondente al proprio livello, o a quelli adiacenti), oppure possono immettersi in un
nervo splancnico e stabilire contatti sinaptici in un ganglio prevertebrale, o ancora attraversare i gangli
prevertebrali e recarsi ad altri gangli.
I neuroni gangliari contengono sistemi peptidici (secernono neuropeptidi).
I riflessi simpatici si distinguono in:
– riflessi corti: si espletano attraverso il solo SNE;
– riflessi medi: sono riflessi in cui la fibra afferente arriva al ganglio e ritorna in periferia senza
passare dal SNC;
– riflessi lunghi: l'informazione arriva al SNC per poi attuare il riflesso.
Il circuito del riflesso parasimpatico parte dalla periferia e giunge a un ganglio intramurale
parasimpatico.
Due riflessi autonomi fondamentali sono il riflesso chemiocettivo e barocettivo, i cui recettori relativi
sono a livello della carotide e dell’aorta. Utilizzano fibre afferenti verso il SNC, verso il nucleo del tratto
solitario, connesso con i nuclei del parasimpatico come il nucleo motore dorsale del vago e il nucleo
ambiguo o i nuclei di origine del simpatico nella colonna intermedio-laterale del midollo. Lo stimolo
chimico (ossigeno, anidride carbonica, pH) o di tipo pressorio trasmette informazioni al SNC che,
attraverso simpatico e parasimpatico, modifica funzioni dell'organismo in modo da mantenere
l'omeostasi.
Gli scambi mettono in comunicazione l’acqua totale (che riceve una quota dal metabolismo) con
l’apparato digerente e il rene.
I liquidi (2.2L/g) vengono assunti attraverso il
digerente, e solo una piccola parte viene escreta da
esso con le feci (circa 0.2L/giorno). L’assorbimento è
il passaggio di liquido nel sangue, la secrezione è
viceversa.
Nell’ambito del rene, che ha funzione specifica nel
gestire e regolare il volume dei liquidi corporei e la
sua composizione, avvengono secrezione,
riassorbimento e filtrazione (passaggio massivo di
liquido dal sangue al tubulo). Quest’ultima, permette il
passaggio di molta acqua lungo il tubulo renale, a
livello del quale avvengono i processi di assorbimento
verso il sangue e secrezione verso il tubulo. A livello
dell’urina, quindi, si verifica un’escrezione di circa
1.5L/giorno.
⦁ Diffusione
Secondo la legge di Fick, il tasso di diffusione è direttamente proporzionale all’area della superficie,
all’entità del gradiente di concentrazione tra interno ed esterno e alla permeabilità della membrana, ma
inversamente proporzionale allo spessore
della membrana.
La diffusione attraverso la membrana è
influenzata dalla solubilità nei lipidi, dalle
dimensioni molecolari, dal gradiente di concentrazione e dalla composizione dello strato lipidico.
La permeabilità della membrana è direttamente proporzionale alla solubilità nei lipidi, mentre è
inversamente proporzionale alla dimensione molecolare.
Modificazioni nella composizione dello strato lipidico aumentano o diminuiscono la permeabilità della
membrana.
⦁ Osmosi
Il passaggio di acqua avviene per osmosi: movimento dell’acqua
verso il compartimento più ricco di soluti (impermeabili ad una
membrana semipermeabile, che l’acqua può attraversare). La
differenza di pressione osmotica determina il passaggio di liquido
dalla soluzione dove l'osmolarità è minore (iposmotica) a quella dove
è maggiore (iperosmotica). Questo passaggio produce variazioni nel
volume delle soluzioni, che possono essere impedite aumentano la
pressione idrostatica del compartimento più concentrato.
La pressione osmotica è la pressione che deve essere esercitata sul compartimento contenente il
soluto non diffusibile per impedire il passaggio d’acqua.
A temperatura corporea, una soluzione con una concentrazione 1mOsm/Kg produce un dislivello di
19.3 mmHg.
Equilibrio Donnan
Se una soluzione contiene proteine, le quali sono soluti che non sono diffusibili, si osserva uno squilibrio
di cariche e di soluti. La diversa concentrazione di proteine dà luogo a una diversa
concentrazione/pressione osmotica: equilibrio di Gibbs-Donnan.
Per semplificare, occorre immaginare la situazione di plasma, liquido interstiziale e liquido
intracellulare come due compartimenti dividi da una membrana semipermeabile. In uno dei due
compartimenti (in analogia con il plasma o il LIC) la soluzione è ricca di anioni, proteine ad esempio,
impermeabili alla membrana. Il secondo compartimento, invece, è ricco di ioni permeabili alla
membrana. Ne consegue che la quantità di soluti nel compartimento contenente le proteine aumenta
per la migrazione in esso di ioni.
Il principio di elettroneutralità di ogni compartimento viene rispettato, in quanto le cariche negative
sono in numero uguale alle cariche positive in entrambi i compartimenti. Il prodotto degli ioni diffusibili
in un compartimento, inoltre, è uguale al prodotto degli ioni diffusibili nell’altro compartimento. La
membrana permette quindi il passaggio di acqua e ioni permeanti, in modo che il volume di acqua
aumenti nel compartimento che ha una quantità maggiore di soluti. I due compartimenti avranno
raggiunto un equilibrio, per cui, applicando l’equazione di Nerst:
Per raggiungere l’equilibrio di Donnan, quindi, devono essere rispettate due leggi:
- principio di elettroneutralità delle soluzioni:
[K+]int = [Cl−]int + [A−]
- equazione di Donnan (il prodotto delle concentrazioni delle specie ioniche diffusibili deve
essere uguale nelle due soluzioni).
Le proteine restano nel loro compartimento, mentre gli ioni si spostano finché il potenziale di equilibrio
dei due ioni è uguale (dipende dalle concentrazioni degli ioni nel compartimento 1 e 2).
Le cellule risentono di questa condizione quando due compartimenti sono separati da una membrana
che lascia passare liberamente un anione e un catione (cloro e potassio) che si trovano in una
condizione di equilibrio elettrochimico (ovvero il cui potenziale di equilibrio coincide con il potenziale
di membrana). Se in uno dei due compartimenti si trova un anione impermeante, il sistema non è in
equilibrio osmotico: il compartimento che contiene l’anione impermeante (proteinati e fosfati
impermeanti) avrà osmolarità maggiore rispetto all’altro e richiamerà liquido da questo.
La presenza di proteine del plasma (che non sono presenti nel liquido interstiziale), determina il
richiamo di fluidi dal liquido interstiziale verso il plasma. Anche nelle cellule, per la presenza di
proteine, verrebbe richiamata acqua (fino a farle esplodere).
La pressione osmotica dovuta alle proteine è detta pressione oncotica.
Nelle cellule vegetali, la rigidità della parete si oppone al flusso osmotico, in quelle animali, la pompa
3sodio/2potassio confina il sodio (poco permeabile alla membrana) all’esterno, neutralizzando l’effetto
osmotico creato dagli anioni impermeanti intracellulari. Infatti, se la pompa sodio/potassio cessa di
funzionare (come in caso di ipossia cerebrale) la cellula si rigonfia fino a scoppiare, creando
compressioni ed edema. L’iniezione di polimeri impermeanti (come mannitolo o altre sostanze
antiedemigene), che rimangono confinati nel circolo o nel liquido extracellulare, aumenta la pressione
osmotica del sangue e riduce i danni cerebrali dovuti al rigonfiamento delle cellule.
Le proteine plasmatiche cariche negativamente fanno sì che la concentrazione plasmatica degli ioni
carichi positivamente sia maggiore di circa 2% rispetto all’interstizio.
I tre compartimenti, quindi, sono diversi in termini di quantità relativa di soluti, benché non si
verifichino enormi scambi osmotici. Questo è dovuto al fatto che i compartimenti sono isoosmotici,
hanno tutti osmolarità di circa 300mOsM/L.
La concentrazione osmotica è il numero di particelle per un certo volume, mentre la pressione
osmotica (π) tiene conto della concentrazione totale dei soluti (C), o osmolarità (OsM) ed è uguale a:
π=CRT
dove R è la costante dei gas e T la temperatura assoluta.
Poiché le particelle che hanno una massa maggiore si muovono ad una velocità minore e quelle che
hanno una massa minore si muovono ad una velocità maggiore, la loro energia cinetica media si
eguaglia. Quindi mediamente, l’energia con cui ogni particella colpisce la membrana è
approssimativamente la stessa, a prescindere dalla massa.
Per esprimere la concentrazione in termini di numero di particelle, e non in grami, si usa l’osmole (che
valuta la capacità dei soluti di provocare osmosi).
Una soluzione contenente 1osmole di soluto per Kg di H2O ha una concentrazione (osmolalità) di 1
osmole/Kg, ovvero 1 osmolale.
I liquidi corporei sono talmente diluiti che 1kg = 1L, per cui si può parlare di osmolalità o osmolarità
indifferentemente (per cui si utilizzano le osmoli/L).
A 37°C, una soluzione che ha concentrazione osmotica di 1mOsm/L, determina una pressione osmotica
di 19.3 mmHg.
Basta moltiplicare la concentrazione dei liquidi corporei (300 mOsm) per la pressione osmotica (19.3
mmHg) per ottenere la pressione osmotica totale:
300 mOsm x 19.3 = 5790 mmHg
La quota dovuta a proteine è 1/200 del totale: la pressione osmotica dovuta a proteine è 25-28 mmHg
(pressione oncotica o colloido-osmotica). La quota di proteine determina aumento di ioni, per cui il
valore dipende per i 2/3 da proteine e per 1/3 da ioni.
In realtà, la pressione osmotica reale è di 5500 mmHg perché la pressione osmotica è minore di 0.93
volte il valore calcolato. Questo è dovuto al fatto che molti ioni si attraggono tra loro e non sono liberi di
esprimere il loro potenziale osmotico.
Per ripristinare i liquidi extracellulari, occorre somministrare sodio, cloro e acqua (soluzione
fisiologica). Infatti, l’osmolarità totale dei liquidi extracellulari è formata per la metà dal sodio (ione più
importante per l’osmolarità extracellulare) e un’enorme parte è dovuta al cloro. Se si somministrano
soluzioni fisiologiche, occorre rispettare le proporzioni dei due ioni.
Soluzione fisiologica: NaCl 0.9% (p.m. 58.44) = NaCl 9g/l
M = 9/58.44 = 0.154
OSM = 0.154 x 2 = 0.308
Solo variazioni osmotiche sono in grado di causare movimento di liquido attraverso la membrana
cellulare. Aggiungendo un soluto impermeante, come il mannitolo, l’acqua uscirà dalla cellula, che
diminuirà di volume. Se si aggiunge urea, soluto permeante, nel liquido extracellulare, essa entra
attraverso il trasportatore UT, per cui l'acqua torna nella cellula e l'equilibrio viene ristabilito.
Solo se le differenze di concentrazione dovute a molecole impermeanti producono modificazioni del
volume permanenti e determinano il volume dei compartimenti liquidi corrispondenti.
Visto che ad opera della pompa sodio/potassio il potassio è concentrato maggiormente all'interno e il
sodio all'esterno, questi due ioni determinano i volumi del LIC e del LEC. Uno squilibrio del potassio si
associa a disturbi dell'eccitabilità, mentre uno squilibrio di sodio porta ad alterazione dell'osmolarità
extracellulare con passaggio di acqua in entrata o uscita dalle cellule.
Il volume degli spazi idrici viene determinato con il metodo della diluizione dell’indicatore. La quantità
di una sostanza (massa, Q) è data dalla concentrazione (C) per il volume (V):
C = Q/ V
Q=CxV
In un volume incognito B si inserisce una concentrazione nota A e si aspetta che il soluto si distribuisca
completamente a livello del volume incognito. Prendendo un campione del liquido nel volume
incognito, si può misurare la concentrazione B.
volume noto x concentrazione nota
Volume incognito =
concentrazione B nota dopo aver raggiunto l ’ equilibrio
A questo scopo, si deve utilizzare una sostanza che si distribuisce al circolo e non esce da esso, come
proteine. Misurandone la concentrazione all'interno del circolo (conoscendo la quantità somministrata)
si può calcolare il volume del plasma sanguigno. A questo scopo si utilizzano blu di Evans e albumina
triziata.
Allo stesso modo si può utilizzare una sostanza che resta confinata nel LEC (plasma e liquido
interstiziale), ma che non penetra nelle cellule. Per conoscere esclusivamente il volume del liquido
interstiziale, basta sottrarre il volume plasmatico calcolato precedentemente al volume totale del LEC .
Sostanze di questo tipo sono inulina e mannitolo.
Utilizzando una sostanza che penetra anche a livello cellulare (come l'acqua pesante, ovvero acqua
marcata con deuterio), si può calcolare il volume del LIC.
Il volume ematico si può misurare anche iniettando in circolo eritrociti marcati con cromo radioattivo.
Dopo mescolamento, la misura della radioattività di un campione di sangue indica di che fattore è stato
diluito l'indicatore.
SANGUE
Il sangue ha una percentuale di acqua dell’83%, costituisce il
7.7% del peso corporeo ed ha un volume di circa 5 litri, di cui 3
sono di plasma.
Un lavoro su 17’000 persone, in cui si valutavano bio-markers nel
sangue, ha cercato di prevedere gli anni che mancavano alla
morte.
Il sangue ha funzioni di trasporto:
- funzione respiratoria: trasporto di ossigeno ai tessuti
da parte degli eritrociti e di anidride carbonica ai
polmoni;
- funzione nutritiva: trasporto ai tessuti delle sostanze
assorbite a livello intestinale;
- funzione depuratrice: trasporto dei cataboliti agli
organi emuntori (come rene, che elimina le sostanze
azotate non proteiche, polmone, intestino, cute);
- funzione di correlazione chimica: trasporto degli ormoni immessi nel sangue dalle ghiandole
endocrine.
Inoltre, interviene nella regolazione dell’omeostasi corporea:
- funzione di difesa: globuli bianchi e γ-globuline;
- funzione di conservazione dell’equilibrio idro-salino: con regolazione della pressione
arteriosa e della pressione osmotica;
- funzione di regolazione del pH corporeo: per mezzo dei sistemi tampone;
- funzione di mantenimento della temperatura corporea: grazie alla circolazione del sangue,
che ha alto calore specifico (buon conduttore termico);
- funzione di coagulazione (agglomerazione piastrinica) ed emostasi (tempo con cui
l’organismo riesce a tamponare la fuoriuscita di
sangue da un vaso).
Ematocrito e generalità
Ad esclusione dell’endotelio vasale integro, qualunque
superficie innesca la coagulazione del sangue (a meno che
non si utilizzino anticoagulanti).
Il test ematocrito, attraverso centrifugazione, permette di isolare le componenti del sangue a diversa
densità: cellule (parte corpuscolata) e una sostanza trasparente (plasma). L’ematocrito è il volume
della parte corpuscolata rispetto al volume totale del campione (espresso in percentuale). In genere è
intorno al 43-45%.
Ematocrito di Wintrobe % = (volume eritrociti / volume totale del sangue) x 100
Globuli bianchi e piastrine sono in quantità minore dell’1%, per cui il volume ematocrito si può
identificare con il volume degli eritrociti.
Lo striscio di sangue, invece, permette di analizzare tipo e forma delle cellule.
Un esame del sangue accurato può dare diverse informazioni:
- ematocrito;
- contenuto di emoglobina;
- conta delle componenti corpuscolate (eritrociti, leucociti, piastrine);
- volume globulare medio (che varia in determinate patologie);
- morfologia dei globuli rossi. Le proteine
citoscheletriche mantengono la forma
biconcava di queste cellule, opportuna per
la funzione di trasporto (scambi) e per
sopportare i cambiamenti di osmolarità.
In una persona del peso di 60kg, i litri di sangue sono 5 (7-8% del peso corporeo). L’asportazione
improvvisa del 40% di sangue porta a morte per decremento della pressione intravasale, che genera
uno spostamento dei liquidi dall’interstizio al sangue, con conseguente diluizione del sangue. Si può
ripristinare il volume sanguigno in modo duraturo somministrando sangue intero o plasma contente
proteine (che drenano liquidi dai tessuti). La ricostituzione delle proteine del plasma e degli elementi
figurati interviene successivamente e richiede un certo tempo.
Le piastrine hanno un volume inferiore a quello degli eritrociti e cambiano conformazione quando sono
attivate (aderendo le une alle altre e sviluppano una superficie con protrusioni spiniformi).
Morfologie anomale dei globuli rossi si osservano nell'anemia falciforme, in cui assumono la tipica
forma a falce per variazioni nel citoscheletro.
Per calcolare il volume globulare medio (MGV), si divide l’ematocrito per il numero di eritrociti,
ottenendo un valore di 85-93 µm3.
Per valutare la resistenza globulare, si mette una goccia di sangue in soluzioni sempre più diluite
(0,75%-0,20%), per cui i globuli rossi tendono ad assumere acqua in volumi sempre maggiori:
– resistenza minima (0,48%): si cominciano a rompere;
– resistenza massima (0,30%): sono tutti rotti.
Sono più resistenti gli eritrociti giovani, quelli a forma più biconcava e dopo asportazione della milza.
Sono meno resistenti in caso di anemie emolitiche (deficit di Glu6P deidrogenasi).
Emoglobina
L’emoglobina è una proteina composta da 4 subunità contenente il gruppo eme, il quale contiene lo
ione ferro (ferroso), responsabile del legame con l’ossigeno.
L’emoglobina provvede anche al parziale trasporto della anidride carbonica (15-25%) che si fissa alla
globina con un legame carbo-aminico.
Si può combinare irreversibilmente con CO, che ha affinità 200 volte maggiore di quella per l’ossigeno
(carbossi-Hb). È una molecola di colore rosso (più rossa quanto maggiore è il contenuto di ossigeno).
La cianosi è uno stato di colorazione bluastro della pelle e delle mucose, dovuta o alla presenza nel
sangue di più di 5 g/100ml di emoglobina non ossigenata e di composti anomali emoglobinici.
L’emoglobina glicata è una forma di emoglobina usata per identificare una concentrazione plasmatica
media del glucosio per un lungo periodo di tempo, in quanto viene prodotta in una reazione non
enzimatica a seguito dell’esposizione dell’Hb
normale al glucosio plasmatico.
L’emoglobina può essere dosata in due modi, in
base al volume e in base al peso.
Il dosaggio in base al volume tiene conto del fatto
che la percentuale di volume di emoglobina in un
globulo rosso è pari a 1/3. In funzione di questa percentuale, si esprime la concentrazione di
emoglobina corpuscolare media (MCHC):
33% per 15g Hb/100cc
Il dosaggio in base al peso valuta la massa per globulo rosso, ovvero l'emoglobina corpuscolare media
o quantità media di emoglobina per globulo rosso:
29.5 ± 2.5 pg/globulo rosso
Dove pg = 10-2 gr (µµg)
Con il calcolo colorimetrico (emometro di Sahli) si paragona il sangue del campione con un sangue
standard che ha il 100% di emoglobina: si ottiene un valore (ad esempio 90) che indica che il campione
contiene una certa percentuale (90%) di emoglobina rispetto a quello che dovrebbe avere (emometria)
valore di Hb all ' emometria 90
Valore globulare = = = 0.9
numero globuli rossi / µl x 20 5M / µl x 20
Le anemie indicano una caduta del tasso di emoglobina nel sangue, quindi del trasporto di ossigeno, e
possono essere diagnosticate valutando emoglobina ed ematocrito. Per l'uomo, il tasso di emoglobina
deve essere minore di 12.5 g/dl e l'ematocrito minore del 40% per una diagnosi di anemia; per la donna
il tasso di emoglobina deve essere minore di 11.5g/dl e l'ematocrito minore del 37%.
Il valore globulare (valori normali compresi tra 0.9 e 1.1) serve per valutare se le anemie sono:
- normocromiche: il valore globulare è pari a 1 se eritrociti ed emoglobina diminuiscono in modo
uguale;
- ipocromiche: se i globuli rossi diminuiscono meno dell’Hb, valore globulare < 1;
- ipercromiche: i globuli rossi diminuiscono più dell'emoglobina (pochi globuli rossi con tanta
emoglobina).
⦁ La vitamina B12 o cianocobalamina viene assunta con la dieta da carne, fegato, latte, uova e lievito (il
fabbisogno è intorno ai 2µg/giorno). La flora batterica è in grado di produrne una piccola quota.
⦁ Il fattore antipernicioso intrinseco viene prodotto dalle cellule dello stomaco (le stesse che producono
HCl) e, a livello duodenale, lega il fattore estrinseco e da questo legame risulta la possibilità di
assorbimento della vitamina B12: senza questo legame, la vitamina non è in grado di essere assorbita.
Patologie autoimmuni dirette contro cellule parietali della mucosa gastrica o contro il fattore intrinseco
causano l’anemia perniciosa, in quanto la vitamina non viene assorbita anche se viene introdotta con la
dieta.
Una volta assorbita, una piccola quota viene depositata al fegato e da lì prelevata quotidianamente per
la corretta maturazione degli eritrociti.
I sintomi dell’anemia perniciosa possono essere migliorati con somministrazione di estratti di fegato
proprio per questa sua funzione di deposito.
⦁ Il ferro, per il 60-65%, si trova all’interno degli organi che ospitano i meccanismi che portano avanti la
maturazione degli eritrociti, quindi nel midollo osseo.
Il 15-30% si trova sotto forma di deposito nel fegato, mentre circa 5% è legato a proteine come la
transferrina. Solo lo 0.1% è il ferro circolante.
Il ferro è tossico, per cui alti livelli non sono tollerati. Per la sua perdita, gli unici meccanismi che
intervengono sono le desquamazioni della cute e delle cellule delle mucose del tratto intestinale. È
importante valutare l’ingresso e l’uscita di ferro e, poiché l’organismo non ha meccanismi regolabili per
l’escrezione, ne regola l’assorbimento. In gravidanza, ad esempio, la quantità di assorbimento aumenta
e dall’1-2% arriva al 20-30%.
Per misurare il ferro, si valutano 3 parametri:
- ferritina: permette di valutare il ferro di deposito. È una proteina enorme, in grado di contenere
4500 atomi di ferro. È in equilibrio con la ferritina sierica, dosabile del plasma (infatti non
sarebbe facile misurare la ferritina contenuta nel
fegato): 1µg/L di ferritina sierica corrisponde a 10mg
di ferro di deposito. Il valore normale è 10-200 µg/L.
Per valori inferiori, si parla di anemia;
- transferrina: è la proteina che lega il ferro circolante
nel plasma. Una molecola lega due atomi di ferro nella
forma ferrica, Fe3+ (i meccanismi di assorbimento
assorbono ferro ferroso, per cui la conversione dello
ione tra le due forme è cruciale);
- sideremia: reale quantità di ferro legata alla
transferrina (visto che normalmente la transferrina
non è totalmente saturata).
Se le concentrazioni di ferro sono basse, la transferrina
aumenta (l’organismo risponde alla bassa quantità dello ione
secernendo più proteine), al contrario, ad alte concentrazioni,
la transferrina diminuisce per legarne meno quantità.
Emocateresi
Gli eritrociti hanno vita media di 120 giorni, dopodiché vengono riconosciuti come invecchiati dalla
milza, dove vengono degradati: la globina è riciclata, l’eme viene degradato a biliverdina. La biliverdina
reduttasi la trasforma in bilirubina, la quale lega l’albumina e costituisce la quota di bilirubina libera o
indiretta, derivata direttamente dall’emocateresi. La bilirubina entra nel fegato (senza l’albumina), che
la coniuga all’acido glucuronico, diventando bilirubina coniugata o diretta.
Dopo opportune modificazioni, una parte viene eliminata con le urine (urobilinogeno, colora le urine) e
un’altra porzione viene eliminata con la bile. Mentre i sali biliari vengono recuperati dopo aver
espletato la sua funzione, la bilirubina viene eliminata con le feci (85%). Se le quote di bilirubina
aumentano, si verifica l’ittero (colorazione gialla): può aumentare sia la bilirubina diretta, che quella
indiretta indipendentemente.
Uno stimolo stressante induce riduzione delle difese immunitarie. Questo avviene perché l’ipotalamo
(che può funzionare attraverso l’asse SNA o attraverso l'asse ipofisi) viene stimolato in seguito allo
stress derivato dall’alterazione dell’ambiente esterno a produrre ACTH (sostanza che diminuisce le
difese immunitarie per inibizione della maturazione dei macrofagi).
In situazioni di stanchezza, la risposta immunitaria diminuisce a causa del feedback negativo che induce
una minor produzione delle cellule immunitarie.
Allostasi
L’allostasi (termine coniato da Sterling ed Eyer nel 1988) è la capacità di mantenere la stabilità dei
sistemi fisiologici per mezzo di modificazioni/cambiamenti. Si produce quindi uno stato di salute
diverso rispetto al precedente.
Il carico allostatico è il prezzo che il nostro organismo è costretto a pagare per adeguarsi a cambiamenti
indesiderati esterni o interni, andando a modificare alcuni parametri interni per mantenere inalterate le
funzionalità di organi e apparati.
Gli studi sull’allostasi e sul carico allostatico sono estremamente utili nello studio dello stress e delle sue
conseguenze.
I meccanismi allostatici sono protettivi nel breve periodo, ma possono essere dannosi nel lungo
termine, quando il carico allostatico diventa eccessivo o troppo prolungato.
Piastrine o trombociti
Le piastrine sono 200’000-300'000/mm3, non hanno nucleo ma molti granuli. Hanno ruolo
fondamentale nell’emostasi e se sono in numero minore di 60'000 si va incontro a trombocitopenia o
piastrinopenia, malattie emorragiche con tempo di coagulazione normale, ma aumentato tempo di
emorragia.
Sono in grado di liberare e fornire fattori glicoproteici e lipidici per l’emostasi e coagulazione. Sono
collegate al tempo di emorragia, non al tempo di coagulazione. Possono cambiare forma e acquistare
proprietà adesive e aggreganti.
Aumentano di numero dopo danno tissutale o dopo asportazione della milza (la quale è responsabile
della loro distruzione).
Nell’attivazione, si caricano di proteine di membrana, le quali servono a legarsi tra loro o aderire alla
soluzione di continuo che si è creata nel vaso. L’organismo è fatto in modo che la coagulazione possa
avvenire in qualsiasi momento: la coagulazione può impedire la vascolarizzazione di distretti se si
innesca quando non è necessario.
Le piastrine iniziano ad aderire tra loro quando esprimono determinati recettori (glicoproteine) che
sono implicati nell’adesione (Ib) e aggregazione piastrinica (IIb e IIIa).
Il primo tappo che si forma in caso di lesione vasale è costituito da piastrine (tappo bianco).
Al loro interno, contengono granuli specifici (fattore antieparinico, fattore di accrescimento) e a-
specifici (densi, che contengono serotonina, ADP, ATP).
Ematopoiesi
Nei primi tempi della vita embrionale, si formano cellule che costituiscono l’endotelio vasale, dopodiché
l’eritropoiesi passa alle cellule del mesenchima, al sacco vitellino, a fegato, milza, linfonodi e midollo
osseo, dove sono contenute le cellule capostipiti dei globuli rossi, globuli bianchi e delle piastrine
(formate da frammenti di megacariocita). Prima della nascita, l’attività cessa in fegato e milza e viene
assunta dal midollo osseo per globuli rossi e piastrine, per i globuli bianchi la produzione avviene
anche nel tessuto linfoide (linfoghiandole e timo).
Plasma
Il plasma costituisce il 55% del sangue. È trasparente, liquido, composto al 92% da acqua.
Contiene ioni (come sodio, potassio, cloro, calcio) e gas (ossigeno, anidride carbonica fisicamente
disciolti nel plasma). È possibile effettuare l’emo-gas-analisi per analizzare la pressione parziale dei due
gas all’interno del plasma.
Tra le molecole organiche, sono presenti amminoacidi, proteine (globuline, albumine, fibrinogeno) ed
enzimi che si liberano da tessuti che vanno incontro a danno, necrosi o malfunzionamento: ad esempio,
l’amilasi, enzima pancreatico, aumenta nel sangue in caso di danno al pancreas; in caso di infarto
aumentano le creatinin-fosfochinasi e in caso di danno epatico aumentano le transaminasi. Sono
presenti anche lipidi (mai liberi, sempre associati a proteine: chilomicroni, VLDL, ecc), prodotti azotati
non proteici (urea, acido urico, creatinina, ammoniaca) e glucosio (tra 80-100 mg/100cc).
Proteine
Funzioni generali
Una delle funzioni generali è la produzione di pressione
oncotica, unica forza che determina il richiamo di acqua
dai tessuti al sangue. La più importante in questo senso è
l’albumina, che contribuisce per il 70% alla pressione
oncotica.
Pur essendo poche, le proteine costituiscono il 90% del
peso totale dei soluti.
Regolano il pH in quando sono sostanze anfotere,
possono cedere o legare H+.
A pH < 4, legano H+ e si comportano da basi, a pH > 6
(come il pH fisiologico) si comportano da acidi e cedono
H+.
Contribuiscono alla viscosità del sangue, quindi all’entità
delle resistenze periferiche e alla pressione arteriosa.
Costituiscono una riserva di amminoacidi.
Funzioni specifiche
Le funzioni specifiche sono molteplici:
- trasporto di: nutrienti, lipidi, metalli, farmaci, CO2 e ossigeno;
- trasporto di ormoni (alcune sono esse stesse ormoni);
- ruolo nella coagulazione, come il fibrinogeno;
- ruolo nella difesa dell’organismo, come le γ-globuline.
Origine e dosaggio
Originano dal fegato (albumina, tutti i fattori della coagulazione, fibrinogeno) o dal sistema reticolo-
endoteliale, dalle plasmacellule e da noduli linfatici (globuline).
Il 5% viene rinnovato ogni 3 giorni.
Normalmente, sono circa 7g/dl.
Possono essere dosate ed analizzate
mediante elettroforesi.
La più veloce è l’albumina
(quantitativamente maggiore).
In seguito ai tracciati elettroforetici, si
possono trascrivere i dati su grafici utili
per alcune diagnosi.
Una delle differenze tra siero e plasma è
che in quest'ultimo è assente il
fibrinogeno (nel processo di
coagulazione è trasformato in fibrina).
COAGULAZIONE ED EMOSTASI
Il flusso sanguigno risente di un equilibrio tra fattori coagulanti e fattori anti-coagulanti (che
prevalgono) in condizioni basali.
Per emostasi si intende il tempo in cui il sangue cessa di fuoriuscire da una lesione vasale.
Il sangue è costituito da cellule e plasma, il quale contiene numerose proteine, come il fibrinogeno.
Questa proteina si trasforma in fibrina in caso sia necessario avviare il processo di coagulazione. La
fibrina, con cellule del sangue (piastrine), in 5-10 minuti forma il coagulo bianco. Il siero (quello che
permane del plasma dopo coagulazione) non ha possibilità di coagulare in quanto, in un plasma che ha
coagulato, il fibrinogeno si è trasformato in fibrina e la protrombina in trombina: senza i fattori della
coagulazione il sangue non si coagula.
I fattori della coagulazione sono numerati da I a XIII (più altri due che non hanno numero), ma il fattore
VI non esiste. I due fattori non numerati sono la pre-callicreina e il chininogeno ad alto peso molecolare.
La coagulazione può essere innescata anche da irregolarità dell'endotelio, da un rallentamento del
flusso e da altri fattori (non esclusivamente dalla lesione vasale).
Problemi della coagulazione derivano dall'assenza o dal malfunzionamento di questi fattori (prodotti
dal fegato, la maggior parte in presenza di vitamina K)
Le fasi della coagulazione partono dalla lesione vasale. La prima reazione, nel giro di pochi secondi, è la
vasocostrizione: il sangue che passa all’interno del vaso diminuisce, in modo che la perdita di sangue
non sia consistente. Le piastrine aderiscono alla lesione della parete vascolare e si aggregano tra loro. Si
forma quindi il trombo bianco (costituito da piastrine e fibrina in basse quantità).
La cascata coagulativa determina il fatto che il fibrinogeno circolante si trasformi in fibrina che, con le
cellule rosse del sangue, forma il trombo rosso (deve il suo colore ai globuli rossi).
Il trombo serve in primis per evitare la fuoriuscita di sangue dal vaso e, inoltre, fa sì che l’endotelio al di
sotto si riformi e ripari la ferita. Il coagulo viene quindi distrutto, andando incontro a retrazione (il
momento in cui il coagulo si solidifica, ovvero quando la fibrina diventa stabile) e fibrinolisi enzimatica
(il coagulo a quel punto è dannoso, in quanto se si stacca e circola in vasi di calibro minore può
ostruirli).
Dai primi del Novecento, Morawitz comprese che il fibrinogeno si trasforma in fibrina solubile soltanto
in presenza di un’altra sostanza (la
trombina), che in condizioni
fisiologiche non deve trovarsi nel
sangue. Aveva anche intuito che è
necessaria la presenza di calcio e che a
monte esiste una trombochinasi (o
tromboplastina piastrinica o tissutale),
la quale trasforma la protrombina in
trombina.
In seguito al danno della parete vasale,
si determina vasocostrizione per
diminuire il flusso di sangue. Dalla
lesione dell’endotelio, vengono esposti
due fattori: fattori tissutali e collagene.
Le piastrine risentono dell’esposizione
di collagene, cui aderiscono (legami tra
collagene e recettori piastrinici). Il
legame determina l’attivazione delle
piastrine, che si aggregano tra loro e
danno il via alla cascata coagulativa. Le
piastrine producono il primo tappo, il
trombo bianco. In seguito, si forma il
trombo rosso per l’intervento degli
eritrociti. Dopo un certo tempo
l’endotelio rigenera e l’enzima plasmina (derivata dal plasminogeno, presente nel sangue in condizioni
basali) distrugge il coagulo. Il processo inizia con la lesione e finisce con la rigenerazione dell’endotelio
e la distruzione del coagulo.
• La prima fase è la fase vascolare e si osserva nel giro di secondi. È dovuta a un riflesso vasomotorio
locale che costringe la muscolatura del vaso stesso e a sostanze come endotelina e serotonina. La
serotonina si libera in seguito all’attivazione delle piastrine, mentre l’endotelina viene rilasciata dalle
cellule endoteliali quando il flusso sanguigno diminuisce (infatti, il rilascio è inibito dal flusso sanguigno
fisiologico).
• La seconda fase è la fase piastrinica, in cui si osservano l’adesione, il cambiamento di forma e
l’aggregazione delle piastrine, e in cui si forma il tappo piastrinico. Se l’endotelio è integro, produce
prostaciclina o PGI2 e NO, sostanze che tengono le piastrine in soluzione e impediscono l’aggregazione
piastrinica (potenti anti-aggreganti), contrapponendosi alla formazione del coagulo. Se la lesione
interrompe l’endotelio, il collagene sotto-endoteliale viene esposto alle piastrine circolanti, le quali vi
aderiscono attraverso l’interazione di glicoproteine di membrana (Glicoproteina GpIa/IIa, Gp-Ib) che
legano direttamente il collagene o legano il fattore di von Willebrand, o fattore VIII, a sua volta adeso
al collagene.
Nell’endotelio, in seguito a stimoli chimici, fisici, infiammatori o mitogenici, i fosfolipidi si trasformano
in acido arachidonico, il quale a sua volta, in presenza di enzimi, forma prostaglandine, leucotrieni,
trombossani, ecc. In questo caso, si forma la prostaciclina PGI2.
Il cortisone e i FANS intervengono a questo livello, inibendo le COX, ciclo-ossigenasi responsabili della
formazione delle prostaglandine.
Le piastrine, in seguito all’adesione, cambiano di forma, aderiscono e rilasciano granuli (de-
granulazione). A questo punto, si attivano PLC, DAG, IP3 e DAG, determinando l’attivazione di PKC.
Viene fosforilata una proteina, la plekstrina, che fosforilata facilita la degranulazione ed è coinvolta
nella liberazione di ADP.
Vengono esibiti all’esterno dei complessi glicoproteici, fondamentali per l’aggregazione piastrinica,
come il complesso GpIIb/IIIa.
L’aumento di calcio intracellulare determina effetti su proteine che portano al cambiamento della forma
(come la miosina, proteina fondamentale in questo processo).
L’ADP liberato dalle piastrine trova recettori sulle piastrine stesse: il legame determina la
trasformazione dei fosfolipidi di membrana in acido arachidonico con formazione di trombossano A2;
aumenta il calcio intracellulare e rinforza a sua volta la formazione di acido arachidonico. La funzione
finale dell’ADP è quindi la produzione di trombossano A2, il quale fuoriesce e potenzia la
degranulazione dopo aver trovato un recettore sulla membrana piastrinica.
Mentre le prostacicline PGI2 vengono prodotte dall’endotelio (cellule metabolicamente molto attive), il
trombossano A2 viene prodotto dalle piastrine (che sono frammenti cellulari e non hanno attività
metabolica consistente).
L’aggregazione piastrinica è dovuta a induttori naturali:
- fibre collagene scoperte dalla lesione;
- ADP fuoriuscito dalla lisi cellulare delle cellule endoteliali, dalla degranulazione delle piastrine o
da emolisi (rottura dei globuli rossi). Infatti, anche la semplice emolisi (e la conseguente
fuoriuscita di ADP) è un fattore che facilita aggregazione piastrinica;
- Trombina: si forma nella sede della lesione vascolare all’innesco del processo coagulativo
indotto dai fattori tromboplastinici tissutali (è una delle sue prime funzioni, in quanto si tratta di
un enzima multifattoriale, che inoltre attiva il fibrinogeno e i fattori V, VIII e XIII);
e da altri stimoli (non necessariamente derivanti dalla parete vasale):
- Adrenalina che agisce sui recettori α;
- Vasopressina;
- batteri e virus;
- endotossine;
- complessi immuni;
- enzimi proteolitici;
- diminuzione del flusso ematico;
- PAF leucocitario (platelet activating factor, fattore attivante le piastrine): mediatore
dell’infiammazione acuta contenuto nei basofili polinucleati. È un potente aggregante
piastrinico, che agisce indipendentemente dall’ADP.
I fattori anti-aggreganti, invece, sono:
- prostaciclina PGI2 e il monossido d’azoto, secreti in condizioni fisiologiche dall’endotelio;
- adrenalina sui recettori β;
- aspirina e farmaci FANS in basse dosi.
L’aggregazione piastrinica si verifica perché il fibrinogeno si pone a ponte tra il GpIIb/IIIa di una
piastrina e quello di altre piastrine, facendo da collante dell’aggregazione.
La via estrinseca deve il suo nome al fatto che comprende un fattore che non è contenuto nel plasma, il
fattore tissutale (TF, fattore III, CD142 o tromboplastina tissutale), una glicoproteina presente nel
sotto-endotelio (che viene esposta in seguito a lesione). Le cellule endoteliali non esprimono TF eccetto
quando sono esposte a molecole infiammatorie come il tumor necrosis factor-α (TNF-α).
Il fattore VII si attiva dopo l’interazione con il TF (in presenza di calcio) e attiva direttamente il fattore X
e il fattore IX. L'attivazione del fattore IX è un cross-over: la via estrinseca contribuisce alla via
intrinseca e attiva il complesso tenasico.
I fattori VII attivo e X attivo possono attivare ulteriore fattore VII legato a TF.
Fattore VII, calcio e TF formano un complesso che attiva il fattore X.
Si conclude la via estrinseca.
La via comune prevede l’attivazione del fattore V da parte di piccole quantità di trombina.
Il fattore V adatta sui fosfolipidi di membrana il fattore X attivo, accelerando la reazione. Il complesso
pro-trombinasico (costituito da fattore X attivo, fosfolipidi di membrana, calcio e fattore V) attiva la
protrombina a trombina, che a sua volta attiva il fibrinogeno a monomero di fibrina.
Il fibrinogeno è formato da due subunità, a loro volta formate da tre catene polipeptidiche con due
domini D (regione C-terminale) e 1 dominio E (quello centrale, porzioni ammino-terminali) e
fibrinopeptidi di tipo A e B. In questa forma, è inattivo e si trova in soluzione.
All’arrivo della trombina, vengono tagliati i fibrinopeptidi, che vanno in soluzione. Privato di queste
ancore che mantengono la sua forma, il
fibrinogeno cambia assetto geometrico e
diventa una proteina filamentosa (dominio E
centrale e domini D terminali), la fibrina. I
monomeri di fibrina, avendo perso le
cariche negative tagliate dalla trombina,
interagiscono tra loro con legami non
covalenti spontaneamente: formano legami
termino-terminali (D-D) e latero-terminali
(E-D) che fanno aumentare di spessore il
fascio di fibrina. Si forma un reticolo di
fibrina morbido, solubile, non stabilizzato.
Per arrivare al passaggio finale che produce
fibrina insolubile (stabile), è necessario il
fattore XIII, o fattore di Laki-Lorand (attivato anch’esso dalla trombina).
La fibrina può quindi formare il trombo rosso.
• La callicreina e i fattori XII e XI attivi entrano in gioco nella fase finale per la costituzione dell’enzima,
la plasmina, che distrugge il coagulo.
Le sostanze anti-trombotiche, o trombolitiche, sono quelle che mirano a produrre plasmina.
La fase finale è proprio la fase fibrinolitica, in cui viene attivato il sistema fibrinolitico per la
distruzione del coagulo.
Sono necessari meccanismi di controllo della coagulazione affinché non si abbia l’estensione del coagulo
nel sistema vascolare (un 1 ml di sangue è potenzialmente capace di coagulare tutto il sangue in 15 sec):
- i filamenti di fibrina che si formano rimuovono immediatamente l’80%-90% di trombina dal
sangue;
- il flusso sanguigno rimuove tutti i fattori della coagulazione attivati, contrapponendosi ad un
ulteriore processo coagulativo;
- sistema fibrinolitico (demolisce i prodotti della coagulazione): formato da attivatori del
plasminogeno (attivati dal flusso sanguigno), plasminogeno, plasmina e inibitori plasmatici pro-
trombotici;
- fattori fisiologici che si contrappongono alla coagulazione, ovvero inibitori fisiologici:
antitrombina III (velocizzata dall’eparina), proteina C/proteina S, inibitore della via del TF (che
inibisce l’attivazione del fattore X), C1, macroglobulina e antitripsina.
Il processo fibrinolitico è determinato dalla produzione della plasmina, formata a partire dal
plasminogeno. Questa proteina degradata la fibrina, la trasforma in vari prodotti della degradazione
della fibrina: uno di essi è il D-dimero. Pur non essendo specifico, è fondamentale nella diagnosi
dell’embolia polmonare, della trombosi venosa profonda e della coagulazione intravascolare
disseminata.
Gli attivatori fisiologici del plasminogeno sono attivati dal flusso sanguigno (questo è il modo in cui il
flusso esercita la sua azione antitrombotica). Accanto ad essi, esistono anche inibitori plasmatici del
processo fibrinolitico (sono pro-trombotici, sostanze che facilitano la permanenza dei trombi formati). I
fattori attivatori del plasminogeno sono callicreina, fattore XII e XI attivi e tPA (sotto forma di
complesso tPA/fibrina, molto affine per il plasminogeno, è il più importante). La callicreina e la
plasmina stessa possono attivare l'uPa, attivatore di tipo urochinasico, che attiva il plasminogeno.
In seguito a infarto miocardico acuto, per favorire la dissoluzione dei coaguli di sangue che hanno
provocato l'ostruzione coronarica, si somministra streptochinasi: una proteine prodotta dallo
streptococco β emolitico, che non è dotata di attività enzimatica intrinseca ma forma con il
plasminogeno un complesso stabile (stafilochinasi o fibrinolisi) che trasforma il plasminogeno stesso in
plasmina.
Tra gli inibitori fisiologici responsabili dell'inattivazione delle proteasi e dei cofattori, uno dei più
importanti è l’antitrombina III che, formata dal fegato, inibisce quasi tutti i fattori della coagulazione
(tranne V e VIII), ha affinità per la trombina ed è un co-fattore dell’eparina, anticoagulante. È l'inibitore
fisiologico conosciuto da più tempo.
La proteina C e la proteina S sono proteine fisiologiche che utilizzano più o meno la vitamina K
(prodotte anch’esse dal fegato) e che inibiscono i fattori V e VIII (quelli su cui non agisce
l’antitrombina).
In particolare, la proteina C è sintetizzata dal fegato come zimogeno ed è vitamina K-dipendente. Viene
attivata dalla trombina e svolge azione inibitoria sui fattori V e VIII attivati.
La proteina S, anch'essa sintetizzata dal fegato e vitamina K-dipendente, è sintetizzata anche dalle
cellule endoteliali. È presente in due forme: il 40% è la forma attiva, libera, mentre il restante 60% è
legato alla proteina C4BP. Ha funzione di co-fattore della proteina C e ne potenzia l'attività.
Quindi, all’interno del nostro
organismo si trova un equilibrio tra
fattori anti- e pro-trombotici. Se
prevalgono questi ultimi, si innesca la
coagulazione. Nei fattori anti-
trombotici, i principali sono PGI2 e NO
prodotti dall’endotelio.
Anticoagulanti e patologie
Per produrre effetti anti-coagulanti, si
può intervenire con chelanti del calcio
(come EDTA, acido
etilendiamminotetracetico), i quali
sequestrano il calcio dal sangue e
impediscono in questo modo la
coagulazione.
Un’altra opzione è contrastare la vitamina K a livello epatico, impedendo la produzione di alcuni dei
fattori della coagulazione (utilizzando sostanze come dicumarolo e cumadin).
Eparina ed eparinoidi disturbano la formazione di trombochinasi e inibiscono la reazione tra trombina
e fibrinogeno.
Anticoagulanti cumarino-simili riducono la formazione
della protrombina e ritardano la sua trasformazione in
trombina mediante la riduzione dell'attività della
trombochinasi.
Superfici non bagnabili come cera, silicone e polistirolo e
raffreddamento rapido ritardano la formazione di
trombochinasi.
I meccanismi di trasporto
fondamentali sono la
pompa sodio/potassio, i
canali per il potassio
(anche voltaggio
dipendenti), i canali per il sodio (molto rappresentato sulla porzione apicale dei tubuli), i trasportatori
degli amminoacidi, i canali per il calcio voltaggio dipendenti e le pompe per il calcio, lo scambiatore
sodio/calcio.
Il cloro è in equilibrio:
tende a entrare per
gradiente di
concentrazione, ma
tende a uscire per
gradiente elettrico.
Sono presenti
trasportatori per il
cloro che lo scambiano
con il bicarbonato e
trasportatori sinporto
sodio/potassio/cloro.
Se aumentano gli ioni
H+ all'interno della
cellula, il trasportatore
che li espelle viene
stimolato per
diminuirne la concentrazione (trasportatori sodio/idrogenione).
Per l'equilibrio Donnan, le due soluzioni devono essere elettricamente neutre (stesso numero di
cationi e anioni) e il prodotto delle concentrazioni delle specie ioniche diffusibili deve essere uguale
nelle due soluzioni, per cui nelle soluzioni in cui ci sono anioni impermeanti, ci sono più cationi
(principio di elettroneutralità delle soluzioni).
In conseguenza all'equilibrio Donnan, viene prodotta una differenza di potenziale transmembranaria
stabile nel tempo e, per la presenza delle proteine, la concentrazione osmotica del compartimento che
le contiene è maggiore.
Le particelle osmoticamente attive che determinano la pressione osmotica sono quelle che fanno
muovere l'acqua e ci sono differenze tra i tipi di cellule:
– vegetali: la parete rigida si oppone al rigonfiamento (determina una variazione della pressione
idrostatica interna, bilanciando la differenza di pressione osmotica);
– animali: l'acqua deforma la parete (la pressione idrostatica non varia), per cui occorre un
lavoro osmotico che si opponga all'ingresso di acqua. Questo lavoro è compiuto dalla pompa
sodio/potassio e dal gradiente risultante: espelle tre ioni sodio permettendo l'ingresso di due
ioni potassio (flussi attivi), bilanciando perfettamente i due flussi passivi degli ioni. Il cloro è
all'equilibrio e il flusso netto per questo ione è zero. Se cessa di funzionare, le cellule si
riempiono di acqua. Se, infatti, l'entrata passiva di 3 ioni sodio eccede l'uscita passiva di due
ioni potassio (ovvero un sodio in più entra), la cellula si depolarizza leggermente (l'interno
diventa meno negativo). Anche l'uscita di potassio (maggior artefice del potenziale di
membrana) determina una leggera depolarizzazione. Il potenziale di membrana (che
normalmente è negativo) è il maggior responsabile dell'estrusione di cloro, per cui, nel
momento in cui viene meno (leggera depolarizzazione), il cloro entra. Quindi, nella cellula
entrano un catione e un anione, aumentano le particelle osmoticamente attive e lo squilibrio
elettrolitico a favore di una maggior quantità di ioni intracellulari determina l'ingresso di
acqua.
In realtà, la pompa sodio potassio non è l'unico meccanismo che regola il volume delle cellule, in
quanto esistono numerosi fenomeni, più o meno noti, che contribuiscono alla regolazione.
⦁ Ad esempio, nel caso dell'aumento regolatorio del volume (regulatory volume increase, RVI)
all'aumento della concentrazione osmotica al di fuori della cellula, l'acqua tende a uscire e cellule
tendono a diminuire di volume. Lo stimolo diminuzione di volume attiva l'ingresso di soluti, di
conseguenza entra acqua e il volume ritorna allo stadio originario. Addirittura, nuovi soluti vengono
accumulati all'interno delle cellule, come taurina, betaina (ammine), sorbitolo e inositolo (derivanti
alcolici di zuccheri comuni). L'aldosio reduttasi, infatti, è un enzima che si attiva quando il volume
cellulare diminuisce e trasforma glucosio e sorbitolo. Riassumendo, la cellula si arricchisce di soluti
per ritornare al volume ottimale.
⦁ Nel caso del meccanismo della diminuzione regolatoria del volume (regulatory volume decrease,
RVD), invece, quando l'osmolarità diminuisce all'esterno, l'acqua tende ad entrare nella cellula e la
cellula si rigonfia. L'aumento di volume innesca meccanismi di espulsione dei soluti, in modo che
l'acqua esca e la cellula non esploda.
Quindi, i meccanismi di regolazione sono vari e diversi e, quando prevale un meccanismo di scarico dei
soluti, vengono inibiti quelli a favore del carico dei soluti e viceversa.
Nell'ambito dei tanti meccanismi, è noto che l'esplosione della cellula è evitata da un canale ionico
detto canale anionico regolato dal volume (VRAC, volume-regulated anion channel), che si apre
quando la cellula inizia a essere troppo gonfia, facendo fuoriuscire anioni come cloro, bromo, iodio e
fluoro, riducendo il rigonfiamento.
Recentemente, è stata individuata una proteina di membrana, chiamata SWELL1 (già nota con la sigla
LRRC8A), una piccola ma essenziale componente del canale VRAP in grado di modificarne la selettività
ionica. Una mutazione di SWELL1 determina l' “esplosione” dei linfociti B in via di maturazione prima
che essi raggiungano lo stadio in cui iniziano a produrre anticorpi. La conseguenza è un
agammaglobulinemia.
Tutti i fluidi corporei hanno circa la stessa osmolarità di ≅ 290 mOsm, di cui 1 mOsm è dovuto alle
proteine. Per il principio di elettroneutralità, ogni fluido ha lo stesso numero di cariche negative e
cariche positive. La presenza di più cationi all'interno della cellula è dovuta all'equilibrio Donnan.
Anche tra plasma e liquido interstiziale esiste un gap anionico (analogo dell'equilibrio Donnan), la
differenza tra cationi e anioni (sodio e cloro e ione bicarbonato), che corrisponde a:
gap anionico = [Na+]plasma – ([Cl-]plasma + [HCO3-]plasma) = 9-14 mEq/L
La concentrazione di potassio plasmatica è molto bassa, per cui viene ignorata.
Il gap è dovuto ad anioni come proteine, solfati, fosfati e
acidi organici presenti nel sangue (acido urico, acido
lattico, cheto-acidi).
Il gap anionico è un parametro utilizzato nella
diagnosi, perché può aumentare in condizioni
patologiche.
Nell'acidosi metabolica da diarrea, ad esempio, il
bicarbonato si riduce e il cloro aumenta (la perdita di
bicarbonato con i succhi intestinali è compensata dal cloro riassorbito alla secrezione di HCO 3-). In
questo caso, il gap anionico non cambia.
In caso di cheto-acidosi (che si verifica, ad esempio, nel diabete per eccessiva produzione di corpi
chetonici), invece, la concentrazione di cloro resta costante, mentre quella di bicarbonato diminuisce
(consumato dai cheto-acidi): il gap anionico aumenta.
L'acqua passa facilmente attraverso le membrane: il suo spostamento varia a seconda dei vari tipi di
membrana e può sfruttare acquaporine. Il movimento che l'acqua subisce a un certo punto raggiunge
un equilibrio, ma la forza trainante dipende dalla concentrazione di acqua tra i due compartimenti e
dalla pressione idrostatica dei compartimenti (ovvero la differenza di energia/mole di acqua che
risulta dalla differenza di pressione idrostatica):
Forza trainante netta = Δ[H2O] + ΔPidrostatica H2O
Forza trainante netta = RT ln ([H2O]i /[H2O]o) + VW (Pi – Po)
Dove VW è il volume occupato da una mole di acqua (volume molare), per cui visto che P · V è il lavoro,
VW · P è il lavoro/mole.
Il termine concentrazione non è opportuno, è meglio utilizzare il termine osmolarità (quantità dei
soluti). Quindi, la formula si può riscrivere sostituendo con la differenza di osmolarità. In soluzioni così
diluite, il gradiente per l'acqua è proporzionale alla differenza di osmolarità attraverso la membrana:
Nel caso degli scambi interstiziali, la pressione idrostatica gioca un ruolo importante, mentre la
concentrazione osmotica non è una forza trainante, perché le concentrazioni di soluti si equilibrano tra
i due compartimenti (passano tra una cellula e l'altra). L'unica porzione di osmolarità che interessa ai
fini del passaggio dell'acqua è la pressione oncotica (quella dovuta a proteine che non passano
dall'endotelio capillare), in quando gli ioni attraversano il capillare liberamente. Quando pressione
oncotica (pressione di riassorbimento) e pressione idrostatica (pressione di filtrazione) sono uguali, si
raggiunge l'equilibrio e non avviene passaggio. Nei capillari esiste un punto di equilibrio dinamico in
cui la filtrazione cala e inizia il riassorbimento.
Quando la pressione idrostatica è maggiore di quella oncotica avviene filtrazione, in caso contrario
(pressione oncotica maggiore della pressione idrostatica) riassorbimento.
Solo le variazioni osmotiche dovute a soluti impermeanti sono in grado di causare movimento di
liquido attraverso la membrana cellulare. Se si aggiunge mannitolo, infatti, nel LEC, l'acqua esce dalla
cellula, la quale (a meno che non intervengano
meccanismi di regolazione del volume) diminuirà di
volume.
Se si aggiunge un soluto permeante, come l'urea, si può
verificare una variazione iniziale del volume della cellula
(l'acqua esce momentaneamente), ma il transitorio
aumento di volume viene bilanciato quando l'urea entra
nella cellula grazie al suo trasportatore UT e porta con sé
acqua.
Una distinzione importante è quella tra osmolarità e tonicità. L'osmolarità è il numero totale di
particelle contenute in una soluzione (anche soluti permeanti, come l'urea), mentre la tonicità è
l'osmolarità efficace, quella dovuta a sostanze che sono realmente in grado di determinare
spostamento di acqua tra i due lati di una membrana semipermeabile (soluti non permeanti).
Il liquido di riferimento è il liquido intracellulare: una soluzione isotonica ha la sua stessa tonicità, un
liquido ipotonico ha una tonicità minore, un liquido ipertonico ha tonicità maggiore.
I termini iper-natriemina, iper-glicemia (o ipo-) sono
cambiamenti riferiti alla tonicità del plasma e del
liquido extracellulare.
L'osmolarità plasmatica dipende da sostanze che
sono elettroliti e non. Infatti, anche glucosio e azoto
hanno valenza osmotica per determinare il totale.
La pressione osmotica è data dal doppio della
concentrazione del sodio, cui si aggiungono la
glicemia e l'azotemia (azoto non proteico,
principalmente urea):
Posm = 2[Na+] + [G]/18 + [A]/2.8 = 290 mOsm/L
La concentrazione di sodio viene espressa in mEq/L,
quella di glucosio e BUN (blood urea nitrogen) in mg/dl.
Glucosio e azoto ureico sono divisi per 1/10 del loro peso molecolare per far concordare la loro unità
di misura con quella del sodio (mEq/L): il PM del glucosio è 180, quello dell'azoto ureico 28.
Visto che l'urea non prende parte all'osmolarità efficace, in quanto permeabile, sono sodio e glucosio a
produrre tonicità. Il sodio, così come il cloro, determina la tonicità perché è funzionalmente
impermeante grazie alla pompa sodio potassio e il glucosio perché non si accumula stabilmente nelle
cellule). Quindi:
Tonicità: 2[Na+](mEq/L) + [glucosio]mg/dl/18
Per calcolare l'osmolarità, si considera il doppio del sodio perché è responsabile della metà della
pressione osmotica (circa 140 mmol/L dovuti al sodio, altri 135 dovuti agli altri elettroliti): per questo
motivo, circa il doppio dell'osmolarità del sodio dà un'idea dell'osmolarità totale (di cui una buona
parte è dovuta al Cloro, circa 105 mmol/L).
Se si aggiunge sale, NaCl puro, cioè una quantità di sale pari a quella che ci sarebbe in 1.5L di
fisiologica, senza acqua (con NaCl al 0.9%, in 1.5L di fisiologica ci sono 1.5x290 = 435 mOsm):
l'osmolarità aumenta fino a 316 mOsm:
290 (osmolarità iniziale) x 17 (litri di LEC) = 4930 + 435 = 5365
5365/17 = 316 mOsm
L'acqua, dalle cellule, si porta nel LEC, richiamata dall'aumento di osmolarità. Si arriverà a
un'osmolarità di equilibrio, calcolabile come:
litri totali x osmolarità normale = 42L x 290mOsm = 12180 (quantità di moli in condizioni normali)
12180 + 435 (mosmoli aggiunte) = 12615 mosmoli/42 (liquidi corporei) = 300 mOsm
Quindi, anche se nessun acqua è stata aggiunta, il volume cellulare diminuisce e il LEC aumenta: è il
sodio il fattore che influenza maggiormente il volume del LEC.
Riassumendo: aggiungendo soluzione isotonica, si interferisce solamente con il volume del LEC,
aggiungendo acqua pura di interferisce prevalentemente con l'osmolarità del LEC, aggiungendo sodio
si interferisce con il volume del LEC.
Il volume del LEC, determinato dalla quantità di sodio, è importante in quanto un suo aumento è
proporzionale all'aumento del volume plasmatico e la pressione arteriosa.
La quantità di sodio totale è fondamentalmente quella del liquido extracellulare, perché nelle cellule è
scarsamente presente. Essa è uguale al prodotto tra concentrazione e volume:
Quantità di sodio totale (quella del LEC) = concentrazione di sodio x volume del LEC
La concentrazione di sodio può essere anche espressa come osmolarità/2.
Perché il volume del LEC possa aumentare, è necessario che ci sia ritenzione di NaCl e non solo di acqua,
altrimenti l'osmolarità diminuirebbe. Visto che la diminuzione di osmolarità sarebbe letale per i tessuti
(le cellule si gonfierebbero d'acqua fino a scoppiare), esistono meccanismo omeostatici che
controllano l'osmolarità eliminando immediatamente l'eccesso di acqua dall'organismo.
Allo stesso modo, affinché il volume di LEC possa diminuire, è necessario eliminare NaCl per evitare che
aumenti l'osmolarità del liquido extracellulare. In questo caso, i meccanismi omeostatici stimolano la
ritenzione di acqua (se ne riduce l'escrezione).
Infatti, il nostro organismo prova a mantenere più costante possibile l'osmolarità (concentrazione,
data da quantità/volume), parametro cruciale per i movimenti di acqua attraverso le cellule, per cui
all'aumento di quantità di sodio varia il volume.
Quindi, se la concentrazione resta costante, all'aumento di quantità di sodio varia anche il volume:
l'organismo prova a mantenere l'osmolarità (cioè la concentrazione).
La quantità di sodio totale, collegata al volume del LEC, collegato al volume circolatorio effettivo, ha
bisogno di una regolazione continua. Il parametro da valutare per le variazioni di volume non è la
concentrazione del sodio, che tende ad essere costante, ma la quantità di sodio totale.
Possono esserci alterazioni del bilancio dei liquidi corporei che possono produrre idratazione
(aumento di volume) o disidratazione (diminuzione di volume) di tre tipi.
Queste variazioni possono essere associate o no a variazioni dell'osmolarità (può aumentare il volume
e diminuire l'osmolarità, idratazione con diminuzione dell'osmolarità).
Si può effettuare una distinzione:
– disidratazione isotonica: in caso di emorragia (in cui si
perde una parte intera dei liquidi dell'organismo), non
si ha variazione di osmolarità, ma si perde volume
(disidratazione senza modifiche dell'osmolarità);
– disidratazione ipotonica: poco comune, si verifica
quando si perdono acqua e sali e viene ripristinata più
acqua che sali (le quantità perse non vengono
ripristinate totalmente, la percentuale di acqua
reintrodotta è superiore a quella dei sali);
– disidratazione ipertonica: si verifica in seguito a perdita
di liquidi ipotonici, come sudorazione (se non si beve). Il
sudore è un liquido ipotonico rispetto al plasma (ovvero
con la sudorazione si perdono meno soluti di quelli che
restano nell'organismo), per cui si avrà disidratazione
ipertonica con conseguente aumento dell'osmolarità (in
quanto si perde liquido che ha concentrazione di soluti minore).
L'equilibrio tra LEC e liquido intracellulare è rapido. Anche se il movimento osmotico di acqua è
rapidissimo (dopo aver bevuto), l'equilibrio osmotico dei compartimenti può richiedere anche 30
minuti. Infatti, è necessario un certo tempo per il riassorbimento a livello del tratto gastro-intestinale.
Nel caso di idratazione isotonica (infusione di soluzione salina), si produce espansione del LEC, mentre
il LIC non varia.
Per quanto riguarda l'idratazione, si distingue:
– idratazione isotonica: come in caso di assunzione di soluzione salina. Si produce un aumento
del volume extracellulare senza modificazioni di volume o osmolarità del LIC;
– idratazione ipotonica: come in caso assunzione di elevata quantità di acqua. Diminuisce
l'osmolarità del LEC, l'acqua diffonde nelle cellule secondo la proporzione 40%-60% e
l'osmolarità del LEC diminuisce;
– idratazione ipertonica: se si aggiunge acqua salata
(come se si beve acqua di mare). Aumenta l'osmolarità
del LEC, dopodiché l'acqua passa dalle cellule al LEC,
facendone aumentare il volume. Aumenta l'osmolarità
e diminuisce il volume del LIC.
Le tabelle mostrano gli effetti dell'aggiunta di acqua di
mare (2L) che si verificano immediatamente e dopo il
raggiungimento dell'equilibrio osmotico.
Se si aggiungono 2L di soluzione di salina (NaCL 2.9%,
acqua di mare), il volume del liquido extracellulare
aumenta da 14 a 16, e aumenta l'osmolarità del LEC. Al
raggiungimento dell'equilibrio, il liquido intracellulare
passa da 28 a 25.1, ma soprattutto aumenta la sua
concentrazione osmotica. A questo punto, la
concentrazione osmotica del LEC diminuisce (rispetto
alla condizione immediatamente successiva
all'aggiunta dell'acqua salata), ma resta comunque
superiore a quella normale.
I bambini sono più sensibili degli adulti allo squilibrio idrico: il
volume del bilancio idrico è la metà del volume del loro LEC, mentre nell'adulto è solo il 20%.
L'edema è un eccesso di liquido che si può verificare a livello intracellulare oppure nell'interstizio.
A livello cellulare, l'edema può essere prodotto dal blocco del metabolismo, che arresta l'azione della
pompa sodio/potassio, oppure da processi patologici come l'infiammazione, la quale aumenta la
permeabilità delle membrane cellulari.
Nell'interstizio, invece, è prodotto da una raccolta anomala di liquido nello spazio interstiziale.
L'equilibrio delle forze che determinano gli scambi a livello del capillare sono le forze di Starling,
ovvero le pressioni idrostatiche di capillare e interstizio e la pressione oncotica dei due
compartimenti. Solo se varia il coefficiente di filtrazione (parametro fisso per tessuto, che dipende
dalle caratteristiche della membrana filtrante, ovvero la superficie e la permeabilità) e quindi le
proteine possono passare nell'interstizio, la pressione oncotica dell'interstizio diventa rilevante (ad un
suo aumento, compare edema). L'edema interstiziale si verifica se aumenta la pressione capillare,
oppure se diminuiscono la pressione oncotica del capillare (come in caso di malnutrizione) e la
pressione interstiziale.
Inoltre, l'edema si verifica in caso di blocco del sistema linfatico (che normalmente drena il 10% del
liquido interstiziale).
SISTEMA URINARIO
I reni ricevono il 20-25% della gittata cardiaca e consumano l'8% al minuto dell'ossigeno contenuto
nel sangue, sebbene costituiscano lo 0.5% del peso corporeo (300 grammi): le dimensioni non
giustificano un così elevato apporto sanguigno.
La vascolarizzazione renale è doppia: la prima vascolarizzazione (detta rete mirabile) è formata da
un'arteriola afferente che entra all'interno della capsula di Bowman e forma un gomitolo di capillari
glomerulari, esce come arteriola efferente e si divide in capillari peritubulari; la seconda
vascolarizzazione è quella che riguarda i capillari peritubulari (che circondano i tubuli).
I meccanismi renali sono tre:
– processo di filtrazione: filtro non selettivo, relativamente regolato (avviene a livello del
glomerulo). Filtrazione è un termine che indica sempre un passaggio dal sangue al di fuori
(mentre il riassorbimento avviene dal tubulo al plasma);
Il liquido si avvia all'interno del tubulo, dove avvengono due processi fondamentali:
– riassorbimento: processo inverso della filtrazione. Avviene tra il tubulo e i capillari
peritubulari;
– secrezione: ha la stessa direzione della filtrazione, ovvero il passaggio avviene dal sangue al
tubulo. Si distingue dalla filtrazione per il fatto che è un processo specializzato, fine, dovuto a
meccanismi specifici.
Questi processi avvengono a livello di tutto il tubulo, anche a livello dell'ansa di Henle.
Il risultato dei tre processi (filtrazione, secrezione e riassorbimento) è l'escrezione.
Il riassorbimento è un processo massiccio rispetto a quello della secrezione (il 99% del volume filtrato
viene riassorbito).
Il tutto viene trasformato in urina: l'eliminazione può variare da 800 a 2500 ml di urina al giorno. In
media, il volume basale di urina è 1.5-1.8 L/giorno). Il flusso di urina dipende dall'attività fisica, dallo
stato di idratazioni, da dieta, clima e dimensioni corporee.
L'urina è necessaria per l'eliminazione delle scorie metaboliche.
Se si scende sotto un certo valore si parla di oliguria (sotto i 300mL/giorno), che non è
necessariamente patologica, può essere compensatoria (come nell'ipotensione o nell'ipovolemia). Si
parla di poliuria se è maggiore di 3000 ml/giorno (diabete, lesioni ipotalamiche, ecc).
Due parametri da valutare nell'urina sono:
– osmolarità: per determinare se esiste uno squilibrio ionico;
– pH: per valutare un eventuale stato di acidosi o alcalosi.
In un esame delle urine (che è un esame semplice, non utile per valutare la funzionalità renale),
proteine, glucosio, bilirubina devono essere assenti, così come l'emoglobina. Prevalentemente, le urine
sono costituite da acqua.
I sedimenti dovrebbero essere assenti (tranne rari emazie, leucociti, batteri, cristalli). Anche i nitriti
devono essere assenti, a meno che non ci sia presente un significativo numero di batteri, come E.coli,
Proteus (che trasforma l'urea in ammoniaca grazie ad enzimi detti ureasi, per cui a volte si può sentire
un forte odore di ammoniaca nelle urine: l'ammoniaca non deriva dalla funzione renale).
Il pH delle urine varia proprio perché una delle funzioni del rene è quella di modificare il pH delle
urine per mantenere costante quello del sangue. Il valore normale è 5.5-6.5, mentre il range di
variazione è 4.5-8.
Un elevato pH delle urine (alcalinità) può essere dovuto a:
– vomito prolungato: si eliminano acidi (il contenuto dello stomaco è molto acido);
– infezioni del tratto urinario con produzione di ammoniaca;
– malattie respiratorie caratterizzate da iperventilazione (eccessiva eliminazione di anidride
carbonica);
– insufficienza renale;
– alcalosi respiratoria o metabolica;
– lavande gastriche.
Un ridotto pH (acidità) può essere dovuto a:
– chetoacidosi diabetica;
– diarrea profusa (che elimina un fluido alcalino), il pH dell'urina diventa acido;
– enfisema;
– malattie respiratorie con insufficiente eliminazione di anidride carbonica;
– forte malnutrizione (digiuno prolungato, produce acidi).
Anche la dieta determina variazioni del pH delle urine: le diete ricche di carne acidificano l'urina,
mentre le diete vegetariane tendono ad alcalinizzarle.
Un'altra variazione è dovuta al ritmo circadiano: la mattina è più basso perché risente della riduzione
della ventilazione polmonare (lieve acidosi respiratoria).
Inoltre, i valori di pH urinario sono più bassi nel digiuno rispetto ai periodi post-pradiali.
Le proteine animali, ricche di amminoacidi solforati, determinano produzione netta di acido solforico.
Inoltre, viene prodotto acido cloridrico da amminoacidi cationici (lisina, arginina) e anche il fosfato,
presente direttamente negli alimenti, tende a cedere protoni a pH fisiologico.
Invece, le verdure ricche di potassio, citrato, magnesio, aspartato e glutammato danno luogo a
formazione di ione bicarbonato.
L'acidità e la basicità di un alimento si misurano sulle
ceneri dell'alimento (quello che resta dalla
combustione). Ad esempio, il limone, che fresco ha un
pH molto basso per la presenza di acido citrico, produce
residui inorganici alcalini, per cui è un elemento
alcalinizzante.
La tabella mostra il carico potenzialmente acido renale.
Si trova un indice sottraendo agli elementi che
producono acidità quelli che producono basicità: un
valore positivo indica un potenziale acido, un valore
negativo indica alcalinità. I latticini, comunemente considerati alcalinizzanti, tendono all'acidità.
⦁ Pressione arteriosa
Il rene regola la pressione arteriosa risentendo in prima persona delle variazioni della pressione
stessa: se la pressione diminuisce, i metodi per contrapporsi alla diminuzione sono due, uno a breve
termine e uno a lungo termine (il meccanismo principale per la regolazione della pressione è il riflesso
barocettivo).
Il sistema a breve termine è la secrezione di renina, che determina produzione di angiotensina II, un
potente vasocostrizione (aumenta la pressione).
Il sistema a lungo termine è il sistema renina-angiotensina-aldosterone, che agisce sia sul meccanismo
della sete (ipotalamo) che a livello della corticale del surrene, determinando una maggior produzione
di aldosterone (il quale determina riassorbimento di sodio e acqua, modificando non la concentrazione
del sodio, ma la sua quantità). La produzione di ADH, invece, determina una regolazione della
concentrazione di sodio.
Quindi, il sodio è l'elemento fondamentale per il controllo dell'osmolarità e il mantenimento del
volume del LEC (quindi il mantenimento della pressione
arteriosa).
La diuresi, da parte del rene, aumenta all'aumento della
pressione arteriosa (diuresi da pressione). Si tratta di
un'importante regolazione. Per una produzione al di sotto
dei 50mmHg non si ha produzione di urina, ma man mano
che aumenta la pressione la diuresi aumenta: a 100mmHg
il volume urinario è circa 1.5L. Questa è una regolazione a
lungo termine: un aumento pressorio non bilanciato dai
riflessi barocettivi o da altri meccanismi di controllo
induce un aumento dell'escrezione urinaria, con
conseguente diminuzione del volume di sangue e della
pressione.
⦁ Equilibrio acido-base
Il rene regola l'equilibrio acido-base dei liquidi corporei attraverso tre processi:
– riassorbimento delle basi;
– produzione di ioni ammonio (ammoniogenesi);
– eliminazione di valenze acide: è in grado di smaltire un carico acido che può arrivare fino a 10
mEq/Kg al giorno (circa 500 mEq al giorno). In un soggetto normale, in condizioni non
cataboliche a dieta mediterranea, vengono prodotti 1 mEq/Kg al giorno di ioni idrogeno (da 50
a 100 mEq al giorno). Il rene, quindi elimina circa 70mEq al giorno di acidi non volatili (ovvero
quelli che non possono essere eliminati con la respirazione).
⦁ Funzioni endocrine
Il rene ha funzioni endocrine:
– produce eritropoietina;
– la forma attiva della vitamina D3 (1,25-diidrossicolecalciferolo);
– renina
– adenosina
– urodilatina
– sostanze aspecifiche come prostaglandine ed endotelina.
⦁ Gluconeogenesi
La gluconeogenesi, particolarmente rappresentata nel fegato, avviene anche a livello renale. Si è
verificato, infatti, che quando la concentrazione plasmatica di glucosio diminuisce, la sua
concentrazione è maggiore nelle vene renali rispetto alle arterie renali: questo dimostra che il rene
produce glucosio, lo aggiunge al plasma. Il meccanismo di gluconeogenesi si verifica in condizioni di
digiuno associate ad acidosi, in quanto la via metabolica che porta alla formazione di glutammato (per
la gluconeogenesi) per deaminazione della glutammina determina anche sintesi di ioni ammonio,
essenziali per la regolazione acido-base.
FILTRAZIONE
La filtrazione è un processo che avviene a livello del glomerulo, mentre a livello del tubulo si verificano
riassorbimento e secrezione. L'operazione
algebrica tra i tre processi è l'escrezione, ovvero la
quantità di ogni sostanza che si ritrova nelle urine è
dovuta al bilancio di questi tre processi.
Anche se inizialmente si credeva che lungo l'ansa di
Henle avvenisse solamente il processo di
riassorbimento, si è scoperto che anche a questo
livello si verifica anche secrezione (quindi lungo
tutto il tubulo avvengono entrambi i processi).
La filtrazione produce il passaggio nella capsula di
Bowmann di plasma deproteinato (ultrafiltrato), il
quale fluisce lungo i tubuli renali.
Il riassorbimento è il richiamo di acqua e soluti
dall'ultrafiltrato ai capillari peritubulari (che circondano i tubuli).
La secrezione è l'immissione di soluti dai capillari peritubulari al liquido tubulare ed è solo un
aggiustamento fine per alcune sostanze, mentre i processi più massicci sono filtrazione e
riassorbimento (viene riassorbito il 99% del filtrato).
Il flusso ematico renale (FER) è il 20-25% della gittata cardiaca: 1250 ml/min. Il filtro lascia passare la
parte liquida e non la parte corpuscolata (globuli rossi), quindi quello che è di interesse ai fini della
filtrazione è il plasma. Rispetto al totale del sangue, il plasma è il 45-55%, che corrisponde a 625
ml/min: quindi, il flusso plasmatico renale (FPR) è 625 ml/min.
Esso arriva all'arteriola afferente e circa il 20% di esso subisce la filtrazione. Il sangue che passa nel
glomerulo si divide in una quota che scorre vicino alle pareti e in una che scorre al centro del capillare:
solo la quota che scorre vicino alle pareti filtra (20%). Il restante 80% si porta nell'arteriola efferente e
quindi nella vena renale (filtreranno in un ciclo successivo). Siccome il filtrato è 180 l/giorno, i 3 litri di
plasma della gittata che arrivano al rene filtrano circa 60 volte (per ottenere 180 litri).
Il 20% rappresenta i 180 l/giorno che filtrano (quindi al rene arrivano 900 litri). Di questi 180 L, ne
esce l'1% (circa 1.8 L) e il 99% viene riassorbito.
La velocità di filtrazione è il volume di filtrato ottenuto nell'unità di tempo: 125 ml/min, 20% del
flusso plasmatico renale.
Dividendo la quantità che filtra per la quantità che deve filtrare (ovvero il flusso plasmatico renale) si
ottiene la frazione di filtrazione (FF):
FF = VFG (filtrato) 125 / FPR (filtrando) 625 = 0.2 = 20%
Parlando di sostanze che filtrano liberamente, bisogna considerare che esse filtrano per il 20% (non
trovano barriere, passano completamente).
Del 100% di plasma entra nei glomeruli (900 L/giorno, 625 ml/min), il 20% si trasforma in filtrato,
detto anche pre-urina (180 L/giorno). Durante il primo passaggio nel tubulo contorto prossimale,
vengono riassorbiti 126 L/giorno, per cui il volume di urina che entra nell'ansa di Henle è 54L/giorno.
A questo livello viene attuato un ulteriore riassorbimento (di circa 36L/giorno), per cui dall'ansa
escono 18L/giorno. Nel tubulo distale, nel tubulo collettore e nel dotto collettore vengono riassorbiti
altri 16.2L/giorno di pre-urina, per arrivare all'uscita finale di 1.8 L/giorno (1%).
L'80% restante di plasma che si avvia attraverso l'arteriola afferente e i capillari peritubulari
corrisponde a 720 L/giorno, i quali si portano nelle vene renali.
900 (totale plasma) – 720 (80% del plasma che si porta nelle vene renali) – 126 – 36 – 16.2 = 1.8
Le diverse sostanze sono trattate in maniera diversa dal tubulo renale. Quando le sostanze si ritrovano
nella capsula di Bowman e passano nel tubulo, possono subire un processo di filtrazione o di
assorbimento (o entrambi):
– filtrazione senza riassorbimento né secrezione (sostanza A): esempi di sostanze che
subiscono questo trattamento sono inulina (zucchero esogeno) e creatinina, metabolita del
metabolismo muscolare prodotto costantemente, utile per comprendere il funzionamento
renale e che nel sangue (creatininemia) non è costante in tutte le persone, perché deriva dalla
massa muscolare. Infatti, per valutare la creatinina occorre utilizzare tabelle che normalizzano
il suo valore tenendo conto di età, muscolatura, corporatura (massa grassa e massa magra). Il
rene filtra queste sostanze completamente (completamente vuol dire sempre 20%), ma lungo
il tubulo non ci sono meccanismi né in grado di riassorbirle, né di secernerle, per cui si
ritrovano a livello delle urine nella stessa quantità che si trovava nella capsula di Bowman.
Potrebbero esistere meccanismi di riassorbimento e secrezione non noti di entità uguale
(ovvero vengono secrete 10 molecole di sostanza e ne vengono riassorbite 10, per cui l'effetto
netto è zero, come se non ci fossero meccanismi);
– filtrazione con totale riassorbimento (sostanza C): riguarda le sostanze considerate utili
all'organismo, per cui probabilmente l'evoluzione ha selezionato meccanismi di trasporto che
ne permettono il riassorbimento. Il filtro renale è un colino che fa passare tutto e queste
piccole molecole vengono filtrate, ma essendo importanti devono essere riassorbite. Glucosio,
piccole proteine (come l'insulina) e amminoacidi, ad esempio, vengono completamente
riassorbiti. In caso di diabete, i meccanismi di trasporto sono saturi ed è impedito il
riassorbimento di glucosio (che si ritrova nelle urine). La glicemia è 100mg/dL o 1mg/cc (se la
glicemia è 100, valore normale, il glucosio nelle urine è zero) e deve almeno triplicare per
raggiungere una quota tale da determinare presenza di glucosio nelle urine;
– filtrazione con secrezione completa (sostanza D): la sostanza viene filtrata completamente
(quindi tutta la sostanza che si ritrova nel 20% di plasma che viene filtrato si porta nella pre-
urina) e l'80% che si porta nella vena renale viene completamente secreto all'interno del
tubulo. Un esempio è
il PAI, acido para
aminoippurico;
sostanza utile per
valutare la
funzionalità renale.
In questo modo,
tutta la sostanza
viene escreta e non
se ne ritrova traccia
nella vena renale.
Queste tre sono situazioni “estreme”. La maggior parte delle sostanze, infatti, si comporta in maniera
intermedia:
– filtrazione con parziale riassorbimento (sostanza B): la sostanza viene filtrata, una quota
viene riassorbita. Esempi di sostanze che hanno questo destino sono urea e sodio. Il sodio è un
soluto importante per gli equilibri extracellulari, per cui il rene si occupa del suo equilibrio.
Essendo una molecola piccola e importante per l'organismo, viene filtrato e riassorbito per il
99.5%. L'urea è un soluto di scarto, per cui il comportamento più utile per l'organismo sarebbe
la sua completa eliminazione. Essendo una molecola piccola, però, viene riassorbita e si
comporta come il sodio. Come bilancio netto del tubulo (tra filtrata e riassorbita), si osserva
che se ne viene filtrata 100, 50 (metà) viene riassorbita e 50 viene escreta. L'unico processo,
però, non è quello di riassorbimento: l'urea viene anche secreta a livello dell'ansa di Henle. Per
questo motivo, il processo netto che si va a valutare andando a misurare l'urea filtrata e quella
secreta, risulta dal bilancio tra riassorbimento (maggiore) e secrezione. Alla fine, visto che il
riassorbimento è maggiore, il bilancio è a favore del riassorbimento.
– filtrazione con secrezione parziale: un esempio sono i farmaci (come antibiotici), una via di
mezzo. Si tratta di sostanze che filtrano e che sono comunque secrete nel tubulo (non
completamente come il PAI, ma parzialmente).
Il rene filtra molte volte al giorno il plasma e lungo il tubulo opera i processi di riassorbimento e
secrezione in modo da regolare (in funzione di meccanismi fisiologici, omeostasi, ecc) la quantità delle
sostanze. Acqua e cloro vengono filtrati molto, ma quasi tutto viene completamente riassorbito (così
come molte altre sostanze). Le sostanze considerate utili vengono filtrate e riassorbite completamente
(escrezione = 0).
Le sostanze che vengono escrete in quantità notevoli sono solo sostanze di scarto (acido urico,
creatinina, ammoniaca). L'urea, ad esempio, è escreta per il 35%.
I nefroni sono circa un milione per rene e sono l'unità anatomo-funzionale del rene. Sono composti
dalle diverse parti: glomerulo (formato da capsula di Bowman e corpuscolo di Malpighi), tubulo
prossimale, ansa di Henle (tratto discendente sottile, ansa, tratto ascendente). Il tratto ascendente
dell'ansa va distinto in parte sottile e parte stessa. L'ultima parte del tratto ascendente spesso e la
prima parte del tubulo contorto distale passano tra le prolungazioni dell'arteriola afferente ed
efferente, si avviano nel tubulo distale, cui segue il tubulo collettore e, infine, il dotto collettore.
La vascolarizzazione renale è doppia, completamente arteriosa a livello del glomerulo: arteriola
afferente ed arteriola efferente (parete muscolare tipica della arteriole, fondamentale per le
modificazioni in calibro). L'arteriola efferente si divide nei capillari peritubulari, avvicinandosi alla
porzione tubulare.
La pressione dei capillari renali, sia arteriosi che venosi, non è paragonabile a quella dei capillari
sistemici.
La pressione nei capillari arteriosi (quella detta rete mirabile arteriosa) è alta, 60mmHg (valore che, a
cose normali, nel circolo sistemico si ritrova solo nelle arteriole), per cui è un circolo ad alta pressione.
La pressione di 60mmHg (e il fatto che essa resti costante) è dovuta a diversi fattori:
– la percorrenza dell'arteria renale è corta;
– il diametro dell'arteriola efferente è leggermente minore dell'arteriola afferente (contribuisce
a tenere la pressione alta);
– la presenza di capillari in parallelo, a bassa resistenza.
Lungo i capillari glomerulari, la pressione si mantiene circa costante (58-60 mmHg). Dall'arteriola
efferente (ha parete muscolare, è ancora arteriola) si passa ai capillari peritubulari, dove si verifica la
caduta pressoria: si raggiunge una pressione di 13mmHg. L'alta pressione idrostatica (a livello dei
capillari glomerulari) è
una delle forze che
promuove la filtrazione,
mentre la bassa
pressione idrostatica dei
capillari e dei vasa recta,
più bassa dell'unica
pressione di richiamo
dell'acqua nei capillari (la
pressione oncotica,
sempre maggiore di 13),
favorisce il
riassorbimento.
Quindi, a livello dei
capillari peritubulari
prevale la pressione di
riassorbimento.
La secrezione non fa parte di questi processi dovuti alle forze di Starling, ma avviene per meccanismi
selettivi.
Quindi, il tratto che nel rene genera la maggiore caduta pressoria è il tratto dell'arteriola efferente, in
quanto essa, con la sua parete muscolare, offre una resistenza al flusso che giustifica la caduta
pressoria (la caduta pressoria è direttamente proporzionale all'entità della resistenza: maggiore è la
resistenza, maggiore è la caduta di pressione in quel tratto). Il tratto responsabile della maggior
differenza che si verifica nella pressioni dei vasi che fanno parte della vascolarizzazione renale si trova
proprio a livello dell'arteriola efferente.
Si può effettuare un paragone tra circolo sistemico e renale: la parte arteriosa del circolo sistemico è
paragonabile a quella glomerulare (in relazione alla pressione), dove prevale la filtrazione, mentre la
bassa pressione che si ritrova a livello del polo venoso sistemico si può paragonare a quella dei
capillari peritubulari. Il grosso di quello che avviene a livello dei tubuli renali (il riassorbimento del
99% di filtrato) è dovuto proprio alla caduta pressoria.
Il flusso ematico di 1250 ml/min (20-25% della gittata) si distribuisce in maniera sproporzionata: il
90% si distribuisce alla parte corticale, 10% alla midollare (funzionalmente importante).
I nefroni sono molto diversi e la proporzione di questi nefroni è diversa. I casi limite (esistono varie
situazioni intermedie) sono:
– nefroni corticali: la maggior parte dei nefroni. Sono nefroni abbastanza strettamente regolati,
in quanto hanno meccanismi di autoregolazione che minimizzano le variazioni di pressione
arteriosa che arriva al rene (fondamentale per il processo di filtrazione), in modo da
mantenere la filtrazione costante;
– nefroni iuxtamidollari (20-30%, ma secondo alcuni testi anche 13%): non sono regolati e
risentono dell'aumento della pressione sistemica. Sono responsabili del meccanismo di
moltiplicazione contro-corrente (concentrazione delle urine), che determina un gradiente
osmotico cortico-midollare. Ovvero, nella corticale l'osmolarità è circa 300 (simile al plasma),
ma man mano che si arriva alla midollare si può arrivare all'osmolarità massima di 1400-1500
mOsm per via della presenza di questi nefroni.
Gli animali che vivono nel deserto hanno reni composti quasi
completamente da nefroni iuxtamidollari. Infatti, questi animali
devono eliminare minor urina possibile (deve essere poca in
volume, in quanto devono risparmiare acqua, ma deve essere
molto concentrata, in quanto l'urina serve ad eliminare le scorie).
I segmenti dei nefroni si dividono in frammenti molto sottili:
– corpuscolo renale (1)
– tubulo prossimale
– tubulo contorto prossimale S1 (2)
– tratto retto prossimale S2 e S3 (3)
– ansa di Henle (tratto discendente sottile 4, tratto
ascendente sottile 5, tratto ascendente spesso 6);
– macula densa (7)
– tubulo distale
– tubulo contorto distale (8)
– dotto collettore
– tubulo collettore corticale (9)
– dotto collettore corticale (10)
– dotto collettore midollare esterno (11)
– dotto collettore midollare interno e dotto papillare (12).
STRUTTURA
Già a partire da Aristotele, numerosi ricercatori (tra cui Bowman, Henle, Morgagni, Malpighi) si sono
occupati dello studio del rene. Già a metà dell'800 si era capito che esisteva una filtrazione glomerulare
e una modificazione dovuta al riassorbimento.
La capsula di Bowman è un contenitore entro il quale
si inserisce un pugno di capillari, che forma uno spazio
determinato dal foglietto viscerale e da quello
parietale della capsula, quello dove avviene la
filtrazione. Esiste un polo vascolare e un polo urinifero.
Il foglietto viscerale è formato dai podociti, mentre il
foglietto parietale serve solo da contenimento.
Dall'immagine è visibile anche il tubulo contorto
distale che si avvicina alle arteriole per regolare la
filtrazione.
In questa sede, si forma un complesso di cellule detto
apparato iuxtaglomerulare, che è in grado di
rilevare cosa è contenuto nel tubulo contorto distale
(abbastanza avanti nella formazione dell'urina),
variazioni di osmolarità o concentrazione di sostanze
(ioni sodio, cloro), e comunica al
glomerulo questa informazione.
Esiste una parte del tubulo (l'ultima
parte del tratto ascendente spesso
dell'ansa di Henle e la prima parte
del tubulo contorto distale) che si
differenzia in modo da essere in
grado di percepire queste differenze
(sensibile alle variazioni di
contenuto ionico dell'ultrafiltrato): la
macula densa, formata quindi da
cellule differenziate dell'ultima parte
del tratto spesso dell'ansa di Henle e
della prima parte del tubulo distale.
La macula densa è a contatto con
cellule che si ritrovano nello spessore
dell'arteriola afferente (e in piccola
parte nell'arteriola efferente): le cellule
iuxtaglomerulari (che producono
renina, componente endocrina del
rene). Le cellule iuxtaglomerulari
dell'arteriola afferente ed efferente
risentono dei segnali provenienti dalla
macula densa e, in risposta, producono
renina.
Le cellule del mesangio extra-
glomerulare sono cellule di
connessione che si trovano tra capillari
glomerulari e tubulo contorto distali e
producono sostanze vasoattive, mentre
quelle del mesangio intra-
glomerulare si trovano all'interno del
glomerulo.
Lo schema, sebbene dia un'idea delle dimensioni dei pori (non sono veri e propri pori) che si creano
(la selettività dei strati è
diversa, maggiore a livello
della membrana basale),
dà una visione relativa
della realtà. Sembra, infatti,
che la membrana basale
(setaccio molecolare più
selettivo) non selezioni
tanto in funzione delle
dimensioni, ma piuttosto
delle cariche. Infatti, le
dimensioni minime di
passaggio (raggio inferiore
a 36 Å) permetterebbero il
passaggio di una certa
quantità di albumine, che
non passano essendo
cariche negativamente a
pH fisiologico (come la
maggior parte delle
proteine).
L'endotelio fenestrato del
capillare [pori di 500-1000
Å (50- 100 nm) di diametro] garantisce una elevata velocità di filtrazione.
La membrana basale glomerulare (formata da una rete di fibrille collagene e di proteoglicani carichi
negativamente) è il principale filtro delle proteine [pori di 80 Å (8 nm) di diametro].
I pori a fessura [100-300 Å (10-30 nm) di diametro] dei pedicelli possono generare difficoltà
aggiuntiva al passaggio delle sostanze di maggior peso molecolare.
Il capillare glomerulare fenestrato garantisce la fuoriuscita di molte sostanze rispetto ai capillari
sistemici. A questo livello, la filtrazione non serve per nutrire l'organo (come per i capillari sistemici),
ma è necessaria alla funzione renale.
Tra le tre membrane che partecipano alla selettività molecolare della barriera (in base a dimensioni e
cariche), e la membrana dei podociti è quella che garantisce l'integrità meccanica della barriera, che è
sottoposta ad una notevole pressione transparietale (60mmHg nell'arteriola, 18mmHg nella capsula di
Bowman). I podociti sono cellule che avvolgono i capillari e sono in grado di muovere i propri
prolungamenti.
Le cellule del mesangio intra-glomerulare (MIG) sono cellule di connessione con proteine
contrattili, per cui hanno un ruolo nella dosatura dei pori che si formano (allungano i loro processi
citoplasmatici tra endotelio capillare e capsula di Bowman e possono modificare in piccola misura la
filtrazione), possono produrre sostanze vasoattive o di comunicazione (prostaglandine, citochine) e
hanno capacità fagocitarie per intervenire in eventuali processi di difesa.
Le interdigitazioni dei processi pedicillari dei podociti formano fessure di circa 40nm (26-60 nm),
attraversate a ponte da slit-diaphragms, o diaframmi di filtrazione. Il diaframma di filtrazione è un
complesso multi-proteico dinamico implicato nella trasduzione dei segnali ai podociti.
Ha proprietà di tipo strutturale, mantiene l'integrità del filtro ed è
implicato in processi di proteinuria (il maggior implicato). Inoltre,
le proteine del diaframma partecipano ai processi di trasduzione
dei segnali. Ha ruolo anche nelle modificazioni del citoscheletro, nel
trasporto cellulare e nella proliferazione cellulare ed è una delle
sedi più soggette a modificazioni (e alterazioni).
Il diaframma è la sede considerata importante durante i processi
di proteinuria (processo patologico).
La membrana basale è acellulare, spessa 300-350 nm, fornisce supporto strutturale alla parete dei
capillari ed è costituita da collagene di tipo IV insieme a proteoglicani e altre sostanze (laminina e
nidogeno). La fitta rete di collagene fornisce forza elastica, ma probabilmente non contribuisce alla
selezione delle molecole. Sono stati identificati
siti negativi anionici fondamentali per la
determinazione di passaggio delle proteine (che,
se sono piccole ma hanno cariche negative
passano con difficoltà). I siti anionici sono
probabilmente localizzati sulle catene laterali di
eparan solfato e condroitin solfato, perlacano e
agrina. È una delle componenti la cui
modificazione si accompagna a proteinuria
(passaggio di proteine che, in situazione normali,
non passerebbero e se non vengono riassorbite si
ritrovano nelle urine).
PROCESSO DI FILTRAZIONE
Lo studio del rene è estremamente complesso, ma di recente si è riusciti a incanulare la capsula di
Bowman, il capillare, i vari segmenti del tubulo e addirittura si possono modificare il flusso e le
sostanze che passano attraverso il tubulo.
Il discorso sulle quantità di plasma filtrato non deve essere confuso con la distribuzione del flusso di
sangue (10% alla midollare, 90% alla corticale). La distribuzione del sangue è dovuta anche alla
distribuzione dei nefroni, che sono per la maggior parte corticali. La quantità di plasma filtrato (20%
del plasma che arriva) è valutata considerando il rene come un unico nefrone.
L'acqua filtra per il 20% del flusso plasmatico renale (FPR) grazie a una pressione netta di filtrazione,
PNF, così come tutte le molecole che non hanno impedimento nella barriera di filtrazione (più piccole
di 20 Å ).
Le molecole di dimensione intermedia non filtrano liberamente (come la mioglobina, proteina di
derivazione muscolare che aumenta nelle urine solo in caso di danno muscolare o elevato lavoro
muscolare).
Le sostanze con dimensioni maggiori di 30-40 Å non filtrano liberamente: fondamentalmente sono
proteine plasmatiche e le sostanze legate ad esse (ferro, calcio, bilirubina).
Il coefficiente di ultrafiltrazione glomerulare (KU) di una sostanza è il rapporto tra la sua
concentrazione nella capsula di Bowman e quella nel plasma. Varia tra 0 e 1 e dipende dalle
dimensioni (PM e raggio molecolare) e dalla carica della sostanza.
KU = [sostanza] nel filtrato / [sostanza] nel plasma
Il rapporto tra
filtrato/filtrando
(coefficiente di
filtrazione) nelle
sostanze che filtrano
liberamente è 1 (la
quantità di sostanza che
si trova nel filtrato è la
stessa che si trova nel
capillare glomerulare).
Se il rapporto tra
filtrato/filtrando è
minore di 1, vuol dire
che le sostanze non
filtrano liberamente, fino ad arrivare a 0 (sostanze che non filtrano).
Quindi, le dimensioni molecolari determinano la filtrazione:
– molecole con raggio molecolare r < 1.5-1.8 nm sono liberamente filtrabili (il coefficiente di
filtrazione corrisponde a 1);
– in molecole di dimensioni maggiori il coefficiente di filtrazione tende progressivamente a 0,
fino a raggiungere lo zero a r > 4.4 nm;
– molecole con raggio 1.8 < r < 4.4 nm hanno
coefficiente di filtrazione che dipende dalla
carica.
La forza filtrante che produce la filtrazione è la pressione idrostatica del capillare glomerulare ed
esistono meccanismi che tengono costante il processo. Tra le forze di Starling che agiscono
nell'ambiente capillare-capsula di Bowman bisogna individuare quelle che determinano la filtrazione e
occorre individuare un coefficiente di filtrazione che dia informazioni sul tipo di filtro e dipenda da
superficie della membrana filtrante e dalla permeabilità.
Per individuare le forze di Starling necessarie a descrivere il glomerulo bisogna valutare la pressione
oncotica e la pressione idrostatica di capillare e capsula di Bowman:
– la pressione oncotica della capsula di Bowman è zero, quindi può essere eliminata.
Restano:
– la pressione idrostatica del capillare glomerulare (che facilita la filtrazione);
– la pressione oncotica del capillare (si oppone alla filtrazione, richiama liquido nel capillare);
– la pressione idrostatica della capsula di Bowman, che si oppone alla filtrazione (pressione di
18mmHg, abbastanza alta perché la capsula di Bowman è delimitata dal tubulo, ha un
involucro). Questa pressione di 18mmHg si mantiene costante perché i reni formano urina con
un flusso continuo, la quale si deposita in vescica. Esistono sfinteri che si aprono se la
pressione aumenta, ma il flusso è continuo quindi non ci sono variazioni di pressione: tutto
quello che si produce viene immesso in vescica (anche se è piena), a meno di ostruzione
patologica da parte di calcoli.
La pressione oncotica dei capillari sistemici è circa 25, mentre
a livello dei capillari glomerulari la pressione oncotica media è
circa 32mmHg. Nel tratto del capillare glomerulare, l'unico
processo che si verifica è la filtrazione, per cui per tutto il
tratto il liquido esce dai vasi e si riversa nella capsula, per cui
le proteine si concentrano: all'inizio del capillare la pressione
oncotica è 25-28mmHg, alla sua fine diventa 36mmHg.
Nel grafico B, è visibile che la pressione oncotica della capsula
di Bowman è zero e resta zero; la pressione idrostatica della
capsula è 15-18 e rimane costante; la pressione idrostatica del
capillare glomerulare è costante (50-60mmHg). L'unico
parametro che cambia è la pressione oncotica, che aumenta
fino a 36mmHg.
Di conseguenza, la pressione di filtrazione è massima all'inizio,
quando la pressione oncotica è minima, e diventa sempre
minore all'aumentare della pressione oncotica.
Il processo non è sempre uguale lungo il capillare, ma varia da
un massimo all'inizio fino a diminuire man mano che la
pressione oncotica aumenta.
Per definire che cos'è o a quanto ammonta la velocità di
filtrazione glomerulare (VFG) si ha bisogno della pressione
netta di filtrazione (PNF) e del coefficiente di filtrazione (K f),
che tiene conto di superficie, spesso e permeabilità della membrana.
VFG = Kf x PNF
Nel capillare glomerulare l'unico
processo che avviene è la
filtrazione.
La VFG varia in relazione alla
velocità del flusso dei vasi.
Siccome la VFG dipende dalla
pressione netta di filtrazione,
tutti i fattori che la fanno variare
determinano variazioni anche
nella velocità di filtrazione, ma
anche l'entità del flusso che
passa nei capillari glomerulari
ha interferenza con la velocità di
filtrazione.
Quando il flusso diventa più
lento, il tempo per la filtrazione
aumenta, quindi la PNF cala
subito perché aumenta
immediatamente la pressione
oncotica: la prima parte del tubulo filtra, la pressione oncotica aumenta subito, e la seconda parte del
tubulo assume un ruolo di pura conduzione.
Quando il flusso plasmatico aumenta, l'entità della velocità di filtrazione diventa maggiore. La
pressione netta di filtrazione diminuisce subito all'aumentare della pressione oncotica del capillare.
Il grafico che mette in relazione il flusso di plasma renale
(625ml) e la VGF mostra che, per un flusso di circa 600ml, la
velocità è di circa 125, ma se il flusso diminuisce, la velocità
di filtrazione diminuisce.
Valutando la
pressione di
filtrazione, che
diminuisce
abbastanza presto
nel decorso del
capillare
glomerulare per
lasciare una serie di capillari “di riserva” in modo che, in caso
di aumento di flusso, se ci fosse bisogno di un aumento di
flusso, il capillare filtra.
In tutti i casi in cui si ha ostruzione delle vie urinarie (come
calcoli), si ha aumento della pressione nella capsula di
Bowman che può impedire la filtrazione e danneggiare il
glomerulo.
Il grafico mostra che la pressione di 45-50 mmHg è una
pressione che nei capillari sistemici appartiene alle arteriole.
Nel capillare sistemico, la pressione del sangue passa da
32mmHg a 18mmHg perché subisce la caduta pressoria del
circolo (la pressione oncotica resta costante), mentre nel
capillare renale la pressione idrostatica rimane costante, ma
per via del processo di filtrazione la pressione oncotica
aumenta fino a pareggiare il valore della pressione idrostatica:
a questo punto, la filtrazione cessa.
Il punto di equilibrio in cui le pressioni si equivalgono (che nel
capillare sistemico si verifica al passaggio tra filtrazione e
riassorbimento, inversione del flusso) nel capillare
glomerulare (dove non c'è riassorbimento, non c'è inversione
di flusso) cessa la filtrazione, per cui si passa da filtrazione a
conduzione.
Per calcolare la VGF (volume che filtra per l'unità di tempo, espresso in l/giorno o ml/min), si tiene
conto della pressione netta di filtrazione e del coefficiente di filtrazione:
VFG = Kf · PNF
125 ml/min (oppure 180 L/giorno) = Kf · 10mmHg
Il coefficiente di ultrafiltrazione tiene conto di com'è fatta la membrana filtrante e dell'entità del
processo di filtrazione. Essendo un coefficiente, è un'entità piuttosto costante, ma è regolabile da parte
delle cellule del mesangio intra-cellulare. Queste cellule hanno proprietà contrattili, per cui possono
modificare le aperture della membrana di filtrazione, modificando l'entità del filtro.
Il coefficiente può essere ricavato attraverso la formula inversa della precedente:
Kf = VFG/PNF = 125/10 = 12.5 ml/min/mmHg
Questo valore è quello valido per i due reni.
Volendo paragonare il coefficiente di filtrazione renale a quello di filtrazione dei capillari sistemici,
bisogna normalizzare questo valore a 100 grammi di tessuto.
I due reni pesano 300 g, quindi si divide 12.5 per 3 e il K f diventa:
Kf (relativo a 100g di tessuto) = 4.2 ml/min/mmHg
Il Kf dei capillari sistemici è 400 volte più basso: 0.01 ml/min/mmHg per 100 g di tessuto.
Il Kf può essere modificato:
– se si altera la membrana di filtrazione per processi patologici (come infiammazione);
– per azione delle cellule del mesangio che risentono di input paracrini (modificazione
fisiologica);
– riduzione del numero di glomeruli funzionanti, ovvero della superficie filtrante. Ad esempio, in
caso di asportazione di un rene, il Kf dimezza, visto che viene dimezzata la superficie filtrante.
Visto che la VFG è il prodotto tra Kf e PNF, occorre considerare tutti i fattori che modificano la
pressione netta di filtrazione:
– in caso di ipotensione, ovvero diminuzione della pressione arteriosa, diminuisce la pressione
idrostatica del capillare, per cui diminuisce la pressione netta di filtrazione;
– visto che il capillare glomerulare sta tra due arteriole, se varia la resistenza di una delle due
arteriole, la pressione si modifica. In particolare, se diminuisce la resistenza dell'arteriola
afferente (il calibro è maggiore, il flusso è maggiore), allora la pressione aumenta. Allo stesso
modo, se aumenta la resistenza dell'arteriola efferente (l'uscita viene impedita), la pressione
che c'è a monte diventa maggiore, quindi aumenta la pressione del capillare e aumenta la
filtrazione. Il calibro dell'arteriola afferente ed efferente, quindi, è fondamentale e risente di
varie influenze;
– occlusione delle vie urinarie: aumenta la pressione nella capsula di Bowman, che si oppone alla
filtrazione;
– epatopatie (con conseguente diminuzione della pressione oncotica): se diminuiscono le
proteine, diminuisce la forza di riassorbimento e aumenta la pressione di filtrazione (quindi
aumenta la VFG);
– alterazione del flusso.
Mentre i fattori che modificano il Kf sono:
– ispessimento (in generale alterazione) della membrana filtrante;
– cellule del mesangio;
– riduzione del numero di nefroni.
Questi fattori entrano in gioco per mantenere il più possibile costante la pressione netta di filtrazione.
I nefroni corticali sono quelli che risentono di più del meccanismo di regolazione che mantiene
costante la filtrazione: il flusso renale viene mantenuto costante.
La quota di nefroni (20-30% o 13%) che si trova nella midollare non è troppo regolata, per cui risente
dell'aumento di pressione. Questo fenomeno è alla base della diuresi pressoria.
PROCESSI TUBULARI
Il risultato di tutti i processi renali dipende dall'entità della filtrazione, del riassorbimento e della
secrezione ed è l'escrezione.
Si parla di velocità di escrezione VE considerando la quantità di
sostanza escreta nell'unità di tempo:
VE = VF – VR + VS
L'epitelio comunica con i capillari peri-tubulari da una parte, mentre dall'altra circonda il lume
tubulare (parte apicale): sono cellule polarizzate.
Le cellule permettono passaggio paracellulare nella parte prossimale del nefrone, mentre nella parte
distale viene impedito il passaggio tra cellula e cellula (per la forte adesione delle cellule).
La concentrazione è la quantità diviso il volume, quindi per trovare la quantità filtrata si moltiplica la
concentrazione della sostanza nel plasma per il volume filtrato:
C = massa Q/ volume V
Quest'operazione può essere fatta solo per le sostanze che filtrano liberamente (che quindi hanno la
stessa concentrazione nel plasma e nel filtrato).
Per valutare la quantità escreta, si moltiplica il volume urinario V U per la concentrazione della sostanza
nelle urine US.
La maggior parte delle sostanze subisce la filtrazione e il riassorbimento (quest'ultimo è il processo
più importante per la maggior parte delle sostanze). I processi che risentono di una certa secrezione
tubulare sono per lo più ioni H+ e ioni potassio.
La tabella riporta i
grammi al giorno o i
mEq in funzione della
sostanza e la
percentuale di
riassorbimento del
carico filtrato.
Per la maggio parte
delle sostanze, la VE è
determinata
principalmente dal riassorbimento, solo per alcune la V S è più importante.
Il glucosio filtra e viene completamente riassorbito: quantità riassorbita 100%, escreta 0%.
Lo stesso vale per il bicarbonato (riassorbito per più del 99.9%).
Il sodio viene riassorbito per il 99.4-99.5% circa. Per esprimere la quantità in grammi, basta
moltiplicare la quantità espressa in mEq/al giorno per il peso molecolare del sodio (22.9) e dividere
per 1000:
150 · 22.9 /1000 = 3.4 g
Il potassio è una sostanza che risente della secrezione, ma la quantità riassorbita è l'80%, quindi
fondamentalmente viene riassorbito (a meno che le sue concentrazioni non salgano per modifiche
della dieta).
L'urea viene liberamente filtrata, viene escreta per il 40% e viene riassorbita per il 60%. Inoltre, l'urea
viene secreta, per cui il 60% di riassorbimento è un bilancio tra i due processi di riassorbimento e
secrezione.
La creatinina viene filtrata, ma né riassorbita né secreta, per cui l'escrezione corrisponde alla
filtrazione.
Ogni sostanza viene trattata dal tubulo in maniera specifica, quindi i processi di riassorbimento e
secrezione sono selettivi.
La seconda tabella mostra che il totale del carico filtrato è molto maggiore della quantità presente
nell'organismo, in quanto il plasma
passa tante volte e la sostanza viene
filtrata più volte nella stessa
giornata.
Il riassorbimento dell'acqua filtrata
lungo i tubuli è del 99% (178.6 l/gg).
VFG = 125 ml/min (180 L/gg)
Il riassorbimento espresso in ml/min è 124ml/min (178.6 L/giorno), per cui l'escrezione (espressa
come un flusso) corrisponde a 1ml/min (1.44 L/giorno), ovvero 0.8-1% della quantità filtrata.
Nel tubulo contorto prossimale avviene un riassorbimento massiccio, del 65% del carico filtrato di
acqua e soluti (sodio e cloro).
Il bilancio glomerulo-tubulare (da non confondere con il feedback tubulo-glomerulare) è la capacità
intrinseca del tubulo prossimale di regolare la velocità di riassorbimento in funzione del carico
tubulare, in modo da mantenere costante la percentuale di riassorbimento (e impedire variazioni
significative dell'escrezione urinaria): se la sostanza filtra di più, viene riassorbita di più. Questo
bilancio serve a impedire che ad un'aumentata filtrazione corrisponda un fluido eccessivo che si porta
nei segmenti successivi del nefrone.
Fondamentalmente, il meccanismo è dovuto a variazioni delle forze di Starling ed è un meccanismo di
difesa che adegua il processo di riassorbimento all'entità del volume filtrato.
Il riassorbimento a questo livello è quindi di grossa entità e volume (65-70%) di acqua e soluti
extracellulari (magnesio, sodio, cloro, poco potassio) ed è obbligatorio. Nella seconda parte del nefrone
(tralasciando l'ansa di Henle), si opera un riassorbimento regolato.
Se il 65% è stato assorbito nel tubulo prossimale, un altro 25% dall'ansa di Henle, al tubulo distale
arriva circa un 10%, che viene riassorbito in funzione di una regolazione ormonale che adegua il
processo alle necessità dell'organismo.
Per il sodio, c'è una piccola parte relativamente impermeabile (parte gialla, parte discendente
dell'ansa di Henle).
– Il 66% di sodio viene riassorbito a livello del tubulo contorto prossimale;
– una bella quota (25%) a livello dell'ansa di Henle;
– un 5% nel tubulo distale;
– 2-4% a livello delle porzioni distali (dotto collettore).
L'escrezione di sodio, quindi, varia dallo 0% (tutto il sodio viene riassorbito) al 2% se della quota ne
viene riassorbita solo la metà (equivalente a 30 g/giorno di NaCl, massima natriuresi).
Il 2% corrisponde alla massima quantità escreta di sodio a livello del nefrone. L'ormone che regola il
riassorbimento di sodio è l'aldosterone.
Quando il riassorbimento di
sodio è promosso
dall'aldosterone, viene
riassorbita anche l'acqua.
Quindi, l'azione dell'ormone non
si ripercuote sulla
concentrazione di sodio
plasmatica (si modifica la
quantità di sodio, non la
concentrazione, perché viene
riassorbita anche acqua). L'ADH,
invece, che promuove il
riassorbimento di acqua,
modifica la concentrazione
plasmatica di sodio (aggiunge
acqua), mentre l'aldosterone
modifica la quantità di sodio,
non la concentrazione.
Il tratto impermeabile all'acqua, che corrisponde al tratto ascendente dell'ansa di Henle e prima parte
del tubulo distale, è caratterizzato da un intenso trasporto di soluti: arriva l'acqua, che resta (non esce
né entra), ma escono i soluti in modo attivo, per cui la concentrazione alla fine di questo tratto è
minore. Questo segmento, infatti, è detto tratto diluente: il liquido in uscita dal tratto è iposmotico (la
concentrazione intra-tubulare dei soluti diventa minore rispetto al plasma, anche di 100mOsm contro i
300mOsm del plasma).
Il riassorbimento di sodio risente molto della presenza della pompa sodio-potassio, che si trova
prevalentemente sulla membrana baso-laterale. Consumando ATP, la pompa svuota la cellula di sodio
(lo immette nel liquido interstiziale), la concentrazione intra-cellulare di sodio è bassa e, nel versante
apicale, questa bassa concentrazione diventa il motore di trasporti attivi secondari (perché dipendono
dal consumo di ATP, dovuto alla pompa sodio/potassio, ma non sono i trasportatori a consumare
energia).
Il grande riassorbimento di sodio avviene per due caratteristiche dell'ambiente:
– grande superficie assorbente a livello della membrana luminale (per la presenza dei villi);
– grande numero di trasportatori che utilizzano il gradiente del sodio per trasportare altri soluti.
Occorre considerare altre due caratteristiche. Quando il sodio viene riassorbito, viene creata maggiore
elettronegatività all'interno del tubulo (in quanto escono cariche positivi), fattore utile per far sì che gli
ioni negativi siano forzati ad uscire. Ad esempio, il cloro, ione molto presente nel LEC e quindi nel
filtrato, è uno degli ioni che risente dell'elettronegatività.
Inoltre, il sodio crea un gradiente osmotico che viene sfruttato dall'acqua: l'acqua viene riassorbita
grazie al fatto che il sodio (riassorbito per meccanismi di trasporto attivi secondari) carica le cellule
tubulari di soluti (sodio e altri soluti trasportati grazie ad esso).
Nel tubulo prossimale, le vie di riassorbimento che si possono utilizzare sono fondamentalmente due:
la via paracellulare, tra cellula e cellula, e la via transcellulare (che diventerà la via esclusiva
proseguendo lungo il tubulo in quanto le giunzioni tra le cellule diventano serrate). Una volta
fuoriuscite dal versante baso-laterale della cellula, le sostanze che si ritrovano a livello interstiziale
verranno riassorbite all'interno del capillare grazie alle forze di Starling.
Anche la secrezione può utilizzare una via paracellulare (procedendo verso i dotti collettori l'epitelio
diventa più sigillato e questa via è sempre meno rappresentata) o una via transcellulare.
Il cloro è uno ione che viene riassorbito soprattutto nel tubulo prossimale e che ha un trasporto
prevalentemente passivo di tipo paracellulare, ma ha una quota anche transcellulare.
• Nella seconda parte del tubulo prossimale, il cloro si concentra. Questo ione, infatti, filtra e
globalmente viene riassorbito nel tubulo prossimale, come il sodio.
Sebbene il cloro sia una sostanza che segue l'acqua diffondendo per via paracellulare, ha velocità di
riassorbimento molto minore di essa, per cui si concentra. La sua aumentata concentrazione è la forza
trainante che ne determina il riassorbimento tramite, prevalentemente, la via paracellulare.
Nella seconda parte del tubulo prossimale, il cloro viene riassorbito per vari meccanismi:
– elettronegatività conseguente al riassorbimento di sodio: il lume diventa negativo, spingendo
la fuoriuscita di cloro. Infatti, il grafico mostra il cambiamento del potenziale trans-epiteliale
tra la prima parte e la seconda parte del tubulo;
– gradiente osmotico: l'acqua viene riassorbita molto più di quanto è riassorbito il cloro, che
tende a concentrarsi;
– per via del fatto che il cloro viene riassorbito per via paracellulare (grazie ai primi due
meccanismi analizzati),
l'elettronegatività
diventa elettro-
positività: nell'ultima
parte del tubulo,
l'elettro-positività viene
sfruttata per il
riassorbimento di ioni
positivi (calcio,
magnesio, potassio) per
via paracellulare. Questi
ioni risentono
dell'elettro-positività
che si verifica nel
tubulo per il
riassorbimento di cloro
e a loro volta vengono
riassorbiti.
Quindi, il meccanismo di
riassorbimento del cloro è
complesso in quanto si passa
attraverso delle fasi. In un primo momento,
l'elettronegatività tende a spingere il cloro fuori dal
liquido tubulare; in seguito, quando il cloro viene
riassorbito più lentamente dell'acqua, esso si concentra e
si ha nuovamente elettro-positività (che permette il
riassorbimento di cationi).
Accanto al
riassorbimento
del cloro
passivo per via
paracellulare,
esiste anche una modalità di riassorbimento transcellulare
(due meccanismi diversi di trasporto).
Il pH resta costante finché è presente ione bicarbonato, ma
quando quest'ultimo viene riassorbito, lo ione H+ che esce dal
trasportatore NHE3 si lega a ioni negativi presenti nel lume.
Un esempio è lo ione formiato, che diventa acido formico e
penetra nella cellula (per diffusione non ionica, la membrana
cellulare ha buona permeabilità per questa sostanza). A
questo livello, si dissocia in ione H + e ione formiato: lo ione
formiato esce e determina l'ingresso di cloro tramite uno
scambiatore anionico detto pendrina (scambiatore anionico,
di cui uno dei due anioni è il cloro, che si trova a livello della
membrana apicale).
Il lume, infatti, deve avere un pH più acido della cellula (situazione che si verifica nella seconda parte
del tubulo prossimale), in modo che lo ione formiato secreto nel lume possa essere titolato a formare
HCOOH (acido formico).
Quindi, anche se la via paracellulare resta sempre la via quantitativamente più rappresentata, esiste
anche una via transcellulare che sfrutta l'acidità maggiore del lume che fa trovare libere valenze acide
che possono legarsi allo ione formiato e formare l'acido formico.
Il cloro entrato nella cellula può uscire dal versante baso-laterale della cellula tramite due meccanismi:
– canale per il cloro;
– co-trasporto con il potassio (che sfrutta il suo gradiente e trascina con sé il cloro).
Il potassio è uno ione importante che subisce differenti destini in funzione dei tratti del tubulo. È uno
ione poco concentrato nel LEC, ma fondamentale per molti processi. Come gli ioni H +, va incontro a
secrezione (il suo bilancio netto dipende anche
dal processo di secrezione).
In particolare, il riassorbimento è massiccio a
livello del tubulo prossimale, un riassorbimento
di entità minore si verifica a livello del tratto
ascendente spesso dell'ansa di Henle e una certa
quota di secrezione avviene nel tubulo distale.
Come l'urea, bisogna tener conto dell'entità di
riassorbimento e secrezione. Il potassio viene
riassorbito per l'80%, a meno che non ci sia
fabbisogno dell'organismo legato alla dieta. In
caso di dieta ipo-potassica la quota di
secrezione si trasforma in riassorbimento (la
secrezione diventa minima). Il tubulo si modifica, nei suoi meccanismi, a seconda delle necessità
dell'organismo.
Il riassorbimento del sodio, nella prima parte del tubulo, avviene per co-trasporto con glucosio,
amminoacidi e altre sostanze, mentre nella seconda metà viene riassorbito prevalentemente con il
cloro.
Il riassorbimento dello ione, che fa riassorbire l'acqua e genera un potenziale negativo, fa aumentare la
concentrazione di cloro e contribuisce al riassorbimento del cloro.
Il riassorbimento di sodio che fa riassorbire l'acqua fa aumentare la concentrazione anche dell'urea,
prodotto di scarto. Essendo una molecola piccola, l'urea filtra liberamente. Nel primo tratto del tubulo
prossimale viene riassorbita per il 50%, e il restante 50% si avvia verso l'ansa di Henle. A questo
livello, viene secreta dall'esterno verso il tubulo. Di conseguenza, alla fine dell'ansa di Henle, l'urea è
maggiore (o uguale) alla quantità che è stata filtrata. Infine, nel dotto collettore (nella sua ultima parte)
viene riassorbita per circa 70%. L'urea contribuisce al gradiente osmotico della midollare, quindi è
importante, ma contemporaneamente è un
soluto di scarto, per cui deve essere
eliminata.
L'urea viene riassorbita con l'acqua, ma
molto più lentamente: se avesse la stessa
velocità di riassorbimento dell'acqua,
verrebbe riassorbita per il 100% e non
verrebbe eliminata.
La frazione di escrezione dell'urea è diuresi-
dipendente.
Se il flusso aumenta all'interno del tubulo, l'urea
che viene riassorbita diminuisce. Se il flusso è
normale, c'è il tempo necessario per il
riassorbimento del 75% di urea, mentre se il
flusso aumenta, il tempo per il riassorbimento
diminuisce.
Il grafico che presenta in ascisse il flusso
urinario e in ordinate l'urina secreta mostra che a
un flusso urinario di circa 1 ml/min (che
corrisponde al flusso normale di 1.5 L/giorno),
l'urea escreta è circa il 50%.
Aumentando il flusso dell'urina, l'urea escreta è molto di più.
Subisce il meccanismo subito da tutte le sostanze che vengono riassorbite lentamente, sostanze
diuresi-dipendenti, che risentono in modo passivo della velocità di flusso dell'urina.
Nel tubulo prossimale, l'urea viene riassorbita prevalentemente per via paracellulare. L'ultimo tratto,
midollare, del dotto collettore utilizza, per il riassorbimento dell'urea, il trasportatore UT-A1,
influenzato dall'ormone ADH. L'ormone antidiuretico, collegato al volume di acqua riassorbito, ha un
ruolo anche nel riassorbimento di urea: l'ormone si lega al
recettore V2 e, tramite secondi messaggeri, agisce
influenzano il trasportatore.
I meccanismi di secrezione non sono ben conosciuti. L'unico
trasportatore identificato è UT-A2.
L'acqua risente del gradiente che si forma per la pompa
sodio-potassio. Il gradiente, che si forma in spazi molto
ridotti, non si diluisce ed è sufficiente per far passare acqua
per osmosi [teoria del gradiente stazionario].
Il primo caso, ovvero la cinetica del T max, riguarda molte sostanze, tra cui il glucosio. Per il glucosio
(che utilizza il trasportatore sinporto con il sodio) il valore
di concentrazione massimo è 320-375 mg/min.
Il glucosio una glicemia di 1mg/ml, o di 100mg/dl.
A questo livello di glicemia, tutto il glucosio filtrato viene
riassorbito, per cui non si ritrova nelle urine.
Questo vuol dire che, se la glicemia è normale, i
trasportatori sono più di quelli che servirebbero per
riassorbire tutto il glucosio che viene filtrato (alcuni
trasportatori, infatti, sono liberi).
Se aumenta la glicemia fino a un certo livello, tutti i siti di
legame si occupano e tutto il glucosio viene riassorbito e
rimesso nel sangue.
Se la glicemia aumenta ulteriormente, i trasportatori sono
saturi, ma il glucosio che si ritrova nel tubulo è maggiore
di quello che potrebbe venire riassorbito e si ritrova nelle urine.
Essendo un soluto in più che si viene a trovare nelle urine, l'urina si arricchisce di acqua (aumenta il
volume). In questo caso, si parla di diuresi (aumento del flusso urinario) osmotica: a determinare
l'aumento della diuresi è un aumento dell'osmolarità dell'urina dovuta alla presenza di soluti in più
che richiamano acqua.
Questa è la condizione che si osserva nel diabete mellito (dolce): aumenta la glicemia, il glucosio si
ritrova nelle urine, le quali sono dolci.
La cinetica del T max non è esclusiva del glucosio e può esistere competizione per il trasportatore nel
riassorbimento delle sostanze: un aumento di concentrazione plasmatica di anche una sola sostanza,
può ripercuotersi sul riassorbimento di altre sostanze che utilizzano lo stesso trasportatore.
Glucosio
⦁ Filtrazione
Il grafico mostra sulle ascisse la concentrazione
di glucosio plasmatica, sulle ordinale si ritrova il
carico relativo ai processi renali.
La prima curva da curva da considerare è quella
della filtrazione, quindi sulle ordinate si pone il
carico di glucosio filtrato: il carico filtrato è la
quantità filtrata, che deriva dal prodotto tra
concentrazione della sostanza e volume in cui si
trova.
(carico filtrato = [Glu]plasma · VFG)
La concentrazione plasmatica è 1, il volume
filtrato è 125 per cui il carico filtrato è 180
g/giorno (125mg/min). Il glucosio filtra
liberamente e l'aumento di glicemia plasmatica
corrisponde ad un aumento della quantità
filtrata. Per questo motivo, la relazione tra
aumento di glucosio plasmatico e aumento di
glucosio filtrato è una retta (come per tutte le
sostanze che filtrano liberamente).
⦁ Riassorbimento
Considerando invece la curva del
riassorbimento, si osserva che finché la glicemia
resta entro certi valori la relazione tra carico di
glucosio riassorbito e glucosio plasmatico è rappresentata da una retta.
Quando la glicemia arriva a 3 (punto soglia), i trasportatori si saturano e il riassorbimento continua,
ma resta costante. Non può aumentare come fa la filtrazione, ma raggiunge un plateau.
Quando i trasportatori sono tutti saturi, il riassorbimento NON si arresta, semplicemente smette di
aumentare, rimane costante. Il carico riassorbito sarà uguale al carico filtrato fino al raggiungimento di
T max, dopodiché il riassorbimento è costante.
Il carico riassorbito massimo viene calcolato moltiplicando la concentrazione plasmatica (3 mg/ml)
per il volume filtrato (125 ml/min) ed è pari a 375 mg/min.
Questa è una situazione limite, una soglia teorica: se tutti i nefroni si comportassero allo stesso modo e
tutti fossero saturi ad una glicemia di 3, la relazione sarebbe quella mostrata dal grafico.
⦁ Escrezione
Per quanto riguarda l'escrezione, il carico escreto nelle
urine è 0 fino al punto in cui il carico filtrato raggiunge il
T max. Quindi, il rene inizia a eliminare glucosio nel
momento in cui i trasportatori sono saturi, il
riassorbimento diventa costante e il glucosio nelle urine
continua a salire: la dose di glucosio in eccesso viene
escreta.
Si nota che la curva del carico escreto inizia a salire
quando i trasportatori sono saturi e il glucosio comincia
ad aumentare (non inizia a livello del valore soglia, ma
per valori di glicemia più alti).
Quindi, il proseguimento della curva di escrezione è
parallelo a quello della filtrazione: tutto quello che filtra e
che non viene riassorbito viene escreto.
Questa soglia è teorica perché non tutti i due milioni nefroni si comportano allo stesso modo, per cui la
situazione veritiera è mostrata da un grafico
che mostri il procedere graduale dei processi.
Si tratta del fenomeno della splay,
allungamento della curva, a causa di due
fattori:
– non tutti i nefroni saturano nello
stesso momento (ce ne sono di
piccoli, di grandi, alcuni hanno meno
trasportatori, altri ne hanno di più);
– i trasportatori hanno maggiore
affinità per il glucosio quando esso è
poco e diminuiscono la loro affinità
all'aumentare della quantità di
glucosio.
Per questo motivo, la curva ha andamento
attenuato e non “a scalino” come mostrato dai
grafici teorici, sia per quanto riguarda il riassorbimento che l'escrezione.
Quindi, il valore di trasporto massimo, che in linea teorica è 375, può essere 220, 250, anche 180. La
soglia reale è 230, in cui i trasportatori cominciano ad essere saturati gradualmente e si inizia a
trovare una glucosio nelle urine.
Quando il glucosio aumenta, si raggiunge la soglia renale, si raggiunge il trasporto massimo, si verifica
escrezione di glucosio e si può avere il diabete mellito, dovuto alla presenza di un soluto all'interno
delle urine che richiama acqua.
Il diabete insipido (insipido perché non c'è zucchero nelle urine) si verifica, invece, in caso di
disfunzione di ormone antidiuretico: in sua presenza determina anti-diuresi, in sua assenza la diuresi
aumenta.
Una sua assenza può essere dovuta ad una mancata produzione da parte dell'ipotalamo (per tumori o
lesioni) e in questo caso di parla di diabete insipido neurogeno o centrale; oppure per l'incapacità del
rene a rispondere all'ADH circolante (diabete insipido periferico).
Il trasporto gradiente-tempo dipendente dipende dal gradiente elettrochimico che si forma tra lume e
interstizio e dalla durata della permanenza nel tubulo del filtrato (quindi dalla VFG e dal flusso
tubulare). Se il flusso è rapido, il tempo per riassorbire è minore, il riassorbimento diminuisce e il
gradiente massimo non viene mai raggiunto.
Se, invece, il flusso è lento, il riassorbimento è maggiore e si potrebbe arrestare al raggiungimento del
gradiente limite. In realtà, per il meccanismo della retro-diffusione, il gradiente limite non si raggiunge
mai.
In ogni caso, se il flusso nel tubulo è più veloce, o più lento, può modificare l'entità del riassorbimento.
Ricapitolando:
– il sistema di T max: satura (saturano i trasportatori), ha una soglia oltre la quale inizia
l'escrezione, mentre per quantità inferiori del valore soglia il riassorbimento è completo (il
fattore limitante è la saturazione dei trasportatori);
– il sistema gradiente-tempo: non satura, non c'è una soglia e il fattore che fa sì che si continui ad
avere riassorbimento è il sistema pompa/retro-diffusione. I fattori limitanti, invece, sono il
gradiente elettrochimico e il tempo.
Nella parte finale del tubulo, la geometria del tubulo è diversa: le giunzioni diventano serrate (non c'è
margine per la retro-diffusione né per il trasporto paracellulare). A questo punto, anche il trasporto
del sodio viene limitato dai trasportatori saturabili (diventa un trasporto con una cinetica di trasporto
massimo).
Proteine e amminoacidi
Le proteine che filtrano sono poche,
principalmente quelle di piccole dimensioni:
albumine (filtrano per lo 0.2% rispetto alla
concentrazione plasmatica), ormone della crescita
(il 60% filtra liberamente), l'insulina filtra
liberamente al 100%. Un volta presenti nel
filtrato, vengono captate per
endocitosi/pinocitosi, fatta eccezione per le
immunoglobuline (e altre proteine) che vengono
degradate a singoli amminoacidi o peptidi di dimensioni minori.
Sulla superficie della cellula del tubulo sono presenti trasportatori per gli amminoacidi, in parte sodio-
dipendenti. Un'altra modalità di riassorbimento molto espressa è un trasportatore che si chiama
PEPT1/2, il quale trasporta insieme all'idrogeno di- e tri-peptidi. Non esistono molti trasportatori di
questo tipo, ma in generale i
trasportatori per gli
amminoacidi sono
numerosissimi (l'elevato
numero si spiega con le
differenze che esistono tra i
tanti amminoacidi, che possono
essere basici, acidi, alifatici,
aromatici).
Esistono enzimi, proteasi,
presenti sull'orletto a spazzola
per ridurre le proteine a
molecole più piccole, anche
singoli amminoacidi, in modo
che possano entrare tramite
trasportatori. Anche di-peptidi e
tri-peptidi, che entrano tramite il trasportatore PEPT, vengono scissi da peptidasi citoplasmatiche.
Non è certo che tutte le proteine vengano degradate dalle cellule renali. Nel tratto gastro-intestinale,
alcune proteine vengono riassorbite intere con valenze di tipo immunitario, per far costruire anticorpi
sul retro degli enterociti (importante nel bambino): potrebbe avvenire lo stesso processo anche a
livello renale.
Esistono numerosissimi trasportatori per amminoacidi, che devono riassorbire tutti gli amminoacidi
per trasporto attivo secondario, diffusione facilitata o altre modalità. Le proteine e gli amminoacidi
vengono completamente riassorbiti (per quanto riguarda le proteine, resta meno dell'1% nel filtrato).
Secrezione
La secrezione può essere attiva o passiva.
Per quanto riguarda la secrezione attiva, si può distinguere in:
– meccanismo con T max: un esempio è il PAI, un acido di origine esogena la cui secrezione è
limitata da un trasportato tubulare. Basta una piccola concentrazione di PAI per saturare tutti i
trasportatori;
– meccanismo gradiente-tempo dipendente: ad esempio, gli ioni H+ sono secreti nel tubulo
prossimale in questo modo (meccanismo di scambio con il sodio, trasporto attivo secondario
tramite NHE3) e nel tubulo distale attraverso meccanismi attivi (H + ATPasi e H+/K+ ATPasi). Si
può raggiungere un pH minimo dell'urina, che è 4, oltre il quale non si può scendere per la
presenza della retro-diffusione.
Per la secrezione passiva, un esempio è il potassio. Questo ione, nel tubulo prossimale filtra e viene
riassorbito con una modalità gradiente-tempo dipendente attiva e passiva, mentre nel tubulo distale il
potassio viene secreto con meccanismo passivo (per gradiente di concentrazione legato al
riassorbimento di sodio, quindi legato al funzionamento della pompa sodio-potassio).
Per il potassio, come le sostanze che non hanno un meccanismo di secrezione attivo, l'eliminazione
avviene secondo il principio che regola il riassorbimento dell'urea: risente della velocità del flusso
della pre-urina attraverso il tubulo. Infatti, la loro concentrazione aumenta perché viene riassorbita
l'acqua e si crea un gradiente di concentrazione che li farebbe riassorbire, ma visto che vengono
riassorbite molto lentamente, se il flusso della pre-urina è veloce esse vengono eliminate.
Quindi, anche per il potassio la velocità del flusso influisce sui processi.
Le sostanze che possono essere secrete (endogene o esogene) sono:
– farmaci;
– cationi come la creatinina (catione endogeno);
– anioni.
La secrezione di cationi e anioni è un processo attivo prevalentemente secondario (in quanto contro
gradiente) e utilizza trasportatori proteici che possono essere saturati.
Per queste sostanze, è importante il fenomeno della competizione: si può limitare la secrezione di una
sostanza competendo con il suo trasportatore.
Ad esempio, per ridurre la secrezione di penicillina (per far perdurare l'effetto dell'antibiotico che
altrimenti verrebbe eliminato) si può somministrare un soluto che competa per il trasportatore di
acidi organici, come il probenecid.
PAI
Il PAI è un anione utile per valutare parametri della funzionalità renale.
Per la sua secrezione, sfrutta la pompa sodio-potassio che,
creando il gradiente, fa entrare α-chetoglutarato che, sulla
membrana baso-laterale si scambia con il PAI. In pratica, il
gradiente del sodio crea un gradiente della sostanza
mediatrice, l'α-chetoglutarato, che viene sfruttato dal PAI.
A questo punto, il PAI può utilizzare pendrine a livello apicale
(scambio con il cloro) o può riversarsi nel tubulo per
diffusione facilitata.
La penicillina viene secreta con gli stessi meccanismi del PAI.
Durante la guerra, il PAI veniva associato nei trattamenti, per
prolungare l'emivita dell'antibiotico.
Gli ioni positivi, come a creatinina, si scambiano con lo ione idrogeno.
– A: meccanismo dipendente dalla secrezione di ione idrogeno (tramite NHE3, che riassorbe
sodio e secerne ione H+). Lo ione H+ secreto si lega allo ione bicarbonato che viene filtrato. Nel
liquido tubulare, si trova un'anidrasi carbonica di tipo IV che trasforma l'acido carbonico in
acqua e CO2. La CO2 entra nella cellula e, a questo punto, una seconda anidrasi carbonica
(questa volta di tipo II) scinde la CO2 in ione bicarbonato e ione H+. Lo ione bicarbonato viene
prelevato da un co-trasportatore sodio-bicarbonato di tipo 1 (NBCe1, sfrutta il gradiente del
bicarbonato), che immette sodio e bicarbonato nel liquido interstiziale, quindi nel plasma. La
secrezione degli ioni H+ ha la funzione di formare la CO2 che viene riassorbita e produce nuovo
bicarbonato (ovviamente il bicarbonato che si lega allo ione H + secreto non è per forza lo stesso
che viene riassorbito);
– B: meccanismo dipendente dalla produzione di ioni ammonio. La glutammina, in una reazione
di deaminazione, genera due prodotti: ione ammonio (secreto attraverso lo scambiatore NHE3,
scambiandosi con il sodio) e α-chetoglutarato. Quest'ultimo permette la produzione di HCO3-,
che viene immesso nel plasma tramite lo stesso trasportatore del meccanismo precedente
(NBCe1). La glutammina permette la produzione di due ioni ammonio e una molecola di α-KG
(da cui vengono prodotti due ioni bicarbonato). Questa reazione, che avviene nel rene grazie
all'azione della glutaminasi, è importante perché produce ione ammonio, che deve essere
eliminato (rappresenta il 60% del carico acido escreto).
Nel cervello, l'accumulo di ione ammonio è tossico, per cui la reazione avviene in senso opposto e lo
ione viene trasformato in glutammina.
L'ammoniaca è in equilibrio tra le sue due forme (NH 4+ e NH3). La sua produzione cambia in condizioni
di acidosi in determinati tratti del nefrone: nei primi due segmenti, S1 ed S2, del tubulo contorto
prossimale.
A livello del tubulo prossimale, si ha produzione
di ammoniaca, tanto che dal 5-10% rispetto
all'ammoniaca che viene filtrata, diventa 100%.
Nell'ansa di Henle la situazione è una specie di ri-
circolo: nel tratto discendente viene secreta, in
quello ascendente spesso viene riassorbita
(come indicato dalle frecce). Questo produce un
accumulo di ammoniaca nello spazio interstiziale
intorno all'ansa (midollare).
Ricapitolando, viene introdotta primariamente
nel tubulo prossimale, riassorbita parzialmente
nel tratto spesso ascendente, secreta nel tratto
discendente.
Alla fine dell'ansa di Henle, l'ammoniaca che si
viene a ritrovare nel tubulo distale è poca per via
del riassorbimento che è avvenuto nel tratto ascendente.
Per via dell'accumulo che c'è stato a livello dell'ansa e quindi della midollare, l'ammoniaca viene
secreta nel tubulo in funzione alla necessità di eliminare ioni H +. La quota fissa di acidi non volatili
corrisponde a 80mEq al giorno circa (1mEq/Kg al giorno), e va eliminata con il rene.
Il trasporto dell'ammoniaca prevede proteine carrier, trasportatori come NHE3 (per lo ione ammonio),
esiste anche uno scambiatore di ammonio e, sul versante
baso-laterale della cellula, si trova il trasportatore con il
sodio NBCe1 (vengono secreti due ioni ammonio e
riassorbiti due ioni bicarbonato, in quanto il bicarbonato è
prodotto in quantità equimolare rispetto allo ione
ammonio).
La catena biosintetica a partire dalla glutammina porta
alla formazione di α-chetoglutarato e ione ammonio.
Questo è il meccanismo che viene utilizzato dal rene in
caso di digiuno: gluconeogenesi e produzione di ione
ammonio per tamponare l'acidità che si accompagna al
digiuno.
Ansa di Henle
L'ansa di Henle si divide in un braccio discendente, un braccio
ascendente sottile e un tratto ascendente spesso:
– la branca discendente sottile è molto permeabile all'acqua e
moderatamente permeabile alla maggior parte dei soluti (i
soluti diffondono passivamente e viene riassorbito il 20%
circa dell'acqua filtrata);
– nel tratto ascendente, la permeabilità all'acqua diminuisce
(fino ad arrivare a zero) mentre si verifica un massiccio
riassorbimento di soluti. Viene riassorbito circa il 25% del
carico filtrato di sodio, cloro e potassio.
Quindi, a livello dell'ansa di Henle vengono riassorbiti il 20%
dell'acqua e il 25% del NaCl filtrato.
Una cellula intercalata di tipo A secerne ammoniaca (tramite Rhesus glycoproteine), che si lega agli
ioni H+ e forma ione ammonio. A questo livello, nel dotto collettore, la membrana è impermeabile allo
ione ammonio, che quindi viene intrappolato nel tubulo
e deve essere eliminato.
La quota di ammoniaca che si trova nell'interstizio per
via del ricircolo che è avvenuto a livello dell'ansa di
Henle spinge l'ammoniaca a essere secreta nel tubulo.
L'effetto netto di questo processo è il trasporto di
ammoniaca dallo spazio peritubulare al tubulo. Il fatto
che si formi immediatamente ione ammonio e che la
concentrazione di ammoniaca resti bassa (si lega
immediatamente all'idrogeno per formare ione
ammonio) spinge il richiamo di ammoniaca dal versante
baso-laterale (dall'interstizio della midollare, dove
l'ammoniaca si è accumulata).
A questo processo, si accompagna riassorbimento di ioni
bicarbonato: vengono eliminate valenze acide e vengono
riassorbite basi.
Un'anidrasi carbonica di tipo II molto potente accelera la produzione di H + (che si riversa nel lume) e
HCO3-, il quale esce tramite uno scambiatore anionico con il cloro.
L'H+-ATPasi apicale è in grado di creare il massimo gradiente di concentrazione di ioni idrogeno tra
citoplasma e lume (di circa 700 volte), a differenza dell'anti-porto NHE3 che produce un gradiente di
4-5 volte al massimo.
Il pH dell'urina non può essere inferiore a 4.5 (che corrisponde a un gradiente tra citoplasma e lume di
circa 700 volte). A livello del tubulo prossimale, l'NHE3 immette ioni H + a livello del tubulo, i quali sono
neutralizzati dal bicarbonato. Quando il bicarbonato finisce, il pH diminuisce leggermente, ma si crea
un gradiente di 4-5 volte. A livello della parte finale del tubulo collettore, invece, per azione dell'H +-
ATPasi si può creare un gradiente di 700 volte maggiore (che corrisponde a un pH = 4.5).
Oltre all'alta concentrazione di ioni H + (10-4.5) si ha retro-diffusione. In questo caso, quindi, il limite è la
retro-diffusione. Questi ioni, per essere escreti in un volume sufficientemente basso che è il volume
urinario (di 1.5-1.8L), hanno bisogno della presenza di tamponi urinari.
Il numero di equivalenti da eliminare, circa 80, avrebbero bisogno di un volume molto maggiore di
urina per essere eliminati al minimo della concentrazione di 4.5.
I tamponi sono il tampone fosfato e il tampone ammoniaca.
A un pH minimo di 4.5, oltre il quale c'è retro-diffusione, è necessario sfruttare i tamponi per
l'eliminazione di ione H+ perché, a una concentrazione di H+ che corrisponde un pH di 4.5
corrispondono 0.03 mEq (ovvero, con un litro di urina verrebbero eliminati 0.03 mEq).
Per eliminare 80 mEq, sarebbero necessari 2776 litri di urini.
10-4.5 mEq/L = 80mEq/vol L
Si pone la concentrazione (10-4.5 mEq/L) uguale alla quantità (80mEq) sul volume.
Per ottenere il volume di urina necessario ad eliminare quella quantità di ioni H + a quella
concentrazione minima, si utilizza la formula inversa (volume = quantità/concentrazione):
80/0.03 = 2667 litri di urina
Quindi, non sarebbe possibile eliminare gli ioni H+ con l'urina.
Tutti gli ioni da eliminare, quindi, devono essere tamponati. Si può arrivare ad eliminare fino a
500mEq al giorno.
Il tampone fosfato elimina H+ e aggiunge nuovo ione bicarbonato al sangue. Per ogni ione H+ secreto nel
lume che si combina con un tampone diverso dal bicarbonato, un nuovo bicarbonato viene immesso
nel sangue.
Il tampone ammoniaca prevede la formazione di ammoniaca da parte della glutaminasi (che produce
anche due ioni bicarbonato che vengono aggiunti al plasma), la quale lega lo ione H + e forma ione
ammonio. A livello dei dotti collettori, avviene la secrezione di una sola molecola di ammoniaca, quindi
l'aggiunta di uno ione bicarbonato al plasma, in quanto lo ione ammonio viene riassorbito nel
segmento spesso dell'ansa di Henle, dove si mette in equilibrio con l'ammoniaca.
Ricapitolando, tubulo contorto distale e il dotto collettore corticale hanno le seguenti caratteristiche:
– membrana impermeabile all'urea;
– il riassorbimento di sodio è sotto il controllo ormonale dell'aldosterone;
– esistono le cellule intercalate (quelle di tipo A secernono grandi quantità di ioni H +);
– la permeabilità dell'acqua è controllata dall'ADH.
Aldosterone
L'aldosterone è un ormone steroideo che penetra facilmente nella membrana e trova un recettore
intracellulare. Stimola la trascrizione nucleare per aumentare la sintesi proteica di canali ionici per il
sodio, ma anche per il potassio, e di pompe sodio-potassio. Inoltre, l'aldosterone può controllare i
canali NCC (sodio-cloro co-trasportatore).
Quindi, aumenta il riassorbimento del sodio e la secrezione di potassio.
ADH
L'ormone antidiuretico è prodotto dall'ipotalamo e rilasciato dalla neuroipofisi. Agendo sui recettori
V2 (VP di tipo 2), aumenta la quantità di canali per l'acqua sul versante apicale (sul versante baso-
laterale sono già presenti aquaporine costitutive) per aumentare la permeabilità delle cellule all'acqua.
Nel dotto collettore, esistono aquaporine di tipo 3 e 4 che si
trovano sulla membrana baso-laterale e sono sempre pervie
per l'acqua. Le aquaporine di tipo 2 si ritrovavano in
vescicole intra-cellulari. Quando arriva l'ormone
antidiuretico, le vescicole si fondono con la membrana
apicale ed espongono i canali per l'acqua.
A questo punto, l'acqua passa secondo osmosi: maggiore è il
gradiente osmotico tra lume e interstizio, più acqua passa.
Questo tratto corrisponde alla midollare del rene:
nell'ambiente extracellulare deve esserci osmolarità alta per
fare in modo che l'acqua passi per osmosi.
L'osmolarità alta è data dal gradiente cortico-midollare
permanente: la corticale ha osmolarità pari a quella
plasmatica, ovvero 300 mOsm, mentre quella della midollare
arriva a 1200 mOsm.
CLEARANCE RENALE
Il bilancio dei tre processi renali può essere diverso. Alcune sostanze filtrano e si ritrovano
completamente nell'urina, altre filtrano e vengono interamente riassorbite, altre filtrano e vengono
secrete (aggiunte alla pre-urina), molte seguono vie di mezzo (parziale riassorbimento, parziale
secrezione).
Per individuare un parametro numerico che indichi l'efficienza escretiva dei reni, si potrebbe utilizzare
la quantità di sostanza escreta nelle urine per unità di tempo, ma considerando due sostanze a diversa
concentrazione plasmatica che si ritrovino in uguale quantità nelle urine si potrebbe pensare che la
clearance renale (nei confronti delle due sostanze) sia uguale.
In realtà, se una sostanza ha una concentrazione plasmatica molto maggiore dell'altra, ma le due
sostanze si ritrovano in uguale quantità nelle urine, vuol dire che il rene si comporta in modo diverso
nei confronti di esse: in quella che è poca è stato particolarmente efficiente rispetto a quella ad elevata
quantità. I reni sono più efficienti nell'eliminazione della sostanza che è meno concentrata nel plasma.
Per questo motivo, per avere una corretta misura bisogna tener conto della quantità di sostanza nel
plasma:
Quantità di X rimossa dal plasma/min = quantità di X nelle urine/min
si normalizza dividendo tutto per la concentrazione plasmatica:
Visto che la quantità è uguale al prodotto della concentrazione per il volume, allora si può esprimere la
quantità di sostanza rimossa dal plasma moltiplicando la concentrazione nel plasma per il volume di
plasma liberato. Al secondo membro si moltiplica, invece, la concentrazione della sostanza delle urine
per il flusso urinario (per esprimere la quantità di X nelle urine), sempre dividendo per la
concentrazione nel plasma. Semplificando, si ottiene:
Quindi, il volume di plasma liberato da una sostanza è uguale alla concentrazione delle urine per il
flusso urinario diviso la concentrazione plasmatica della sostanza.
La concentrazione della sostanza nelle urine per il volume urinario diviso la concentrazione della
sostanza nel plasma corrisponde alla clearance renale. La quantità di sostanza che viene rimossa dal
plasma è, infatti, la capacità del rene di liberare il plasma.
La clearance renale di una sostanza indica il volume di plasma completamente liberato dalla sostanza
(che si trova nelle urine) nell'unità di tempo. L'unità di tempo dipende dal fatto che nella formula si
considera il flusso, che è il volume per unità di tempo.
Il volume di plasma liberato da una sostanza, però, non è un volume reale: la clearance è un volume
virtuale, perché la sostanza che filtra è solo il 20%.
Il caso del PAI, invece, è un volume reale perché il sangue viene completamente depurato dalla
sostanza (questo avviene per le sostanze filtrate e completamente secrete).
La clearance di alcune sostanze permette di stimare la VFG e il FPR.
Il calcolo della clearance (volume di plasma depurato da una certa sostanza X) è un'applicazione del
principio di conservazione della massa secondo il quale la quantità di sostanza rimossa dal plasma
(QX) deve essere uguale alla quantità di sostanza allontanata con le urine (Q U) nell'unità di tempo:
QX = Q U
Q si calcola sapendo che, per il principio di diluizione, la quantità di una sostanza è data dal prodotto
tra concentrazione e volume in cui essa è disciolta (Q X = [X] · V). Quindi si può sostituire:
[X]plasma · V plasma/t = [X]urine · Vurine/t
Applicando la formula inversa, si può calcolare il volume di plasma depurato nell'unità di tempo, o
clearance della sostanza X:
Se si moltiplica la concentrazione della sostanza nel plasma per la sua clearance, si ottiene la quantità
di sostanza che viene eliminata dal plasma nell'unità di tempo (visto che la quantità è la
concentrazione per il volume):
QX = ClX [X]plasma = [X]urine · Vurine
ClX = ([X]urine · Vurine)/[X]plasma
La clearance, misura che valuta la capacità del rene di eliminare una determinata sostanza, permette di
misurare parametri renali come la VFG e il flusso plasmatico renale, ma non permette di analizzare al
meglio i processi di secrezione e riassorbimento, in quanto la clearance è il bilancio netto dei due.
Per il glucosio, il carico escreto è zero, per cui la clearance è zero. La clearance delle sostanze filtrate
che vengono completamente riassorbite è zero: la sostanza è filtrata, ma ritorna nel plasma, non si
ritrova nelle urine.
C=0
Per l'inulina, il carico escreto è uguale a quello filtrato, per cui il volume di sangue che viene depurato
da questa sostanza è il volume di filtrazione glomerulare (il sangue che filtra). La clearance delle
sostanze che filtrano ma non vengono riassorbite (come l'inulina) è uguale alla VFG.
C = VFG
Per l'urea, il carico escreto è minore di quello filtrato. Per le sostanze che vengono parzialmente
riassorbite, come l'urea, la clearance è minore di quella dell'inulina.
C < C inulina
Per il PAI, invece, il carico escreto è maggiore di quello filtrato. In questo caso, per le sostanze che
vengono filtrate e secrete la clearance è uguale a tutto il flusso plasmatico renale (perché il PAI viene
filtrato e secreto).
C = FPR
Per le sostanze che vengono parzialmente secrete, la clearance è maggiore di quella dell'inulina.
C > C inulina
Inulina e creatinina
L'inulina, sostanza esogena, è liberamente
filtrabile, non viene né riassorbita né secreta.
Per questo, può essere infusa endovena
mantenendo costante la sua concentrazione
plasmatica nel corso delle 24 ore (sebbene sia
una procedura poco pratica).
Si raccolgono le urine per le 24 ore per
effettuare la misura sul flusso urinario.
La creatinina si comporta similmente all'inulina: viene filtrata e si ritrova totalmente nell'urina. Questa
sostanza è utilizzata in clinica per stimare la VFG in quanto molto più pratica (sebbene meno
accurata).
È un prodotto endogeno (non c'è bisogno che venga infuso), deriva dal metabolismo della
fosfocreatina muscolare. La sua produzione giornaliera è abbastanza costante nell'individuo e dipende
dalla massa muscolare complessiva del soggetto (occorre utilizzare tabelle per normalizzare i valori di
creatinina, che tengano conto di sesso, età ed etnia). Visto che la creatinina è debolmente secreta, la
sua clearance sovrastima la VFG del 10-20%. Questa quota
compensa la variabilità degli esami di laboratorio, per cui i dati
sono attendibili (a meno che la VFG non si riduca di molto: in
questo caso la quota secreta incide di più sulla quota finale).
Quindi, si misura il flusso urinario durante le 24 ore (raccolta
delle urine) e si seguono le concentrazioni plasmatica
(creatininemia) ed urinaria per misurare la VFG.
La creatinina è una molecola prodotta in quantità costanti dai
muscoli del corpo ed interamente eliminata attraverso i reni.
Valutando la clearance, si può estrapolare la velocità con cui la
sostanza viene emessa o la quantità che tende ad accumularsi
nel sangue, per avere una stima affidabile del funzionamento
del rene.
Clearance = ([creatinina]urina · Vurina)/ [creatinina]sangue
Essendo una sostanza endogena, si può misurare facilmente la
sua concentrazione nel sangue (creatininemia). In ogni soggetto,
la produzione è costante e si equilibra tra quantità escreta e prodotta, per cui si può mettere in
relazione la VFG con la concentrazione della creatinina nel sangue (come mostra il grafico). Si tratta di
una curva che mostra l'inversa proporzionalità dei due parametri: all'aumento di concentrazione di
creatinina nel plasma, la VFG diminuisce.
PAI
Per una sostanza che filtra liberamente e viene totalmente secreta nella pre-urina, la quantità che
viene escreta è uguale alla quantità filtrata più quella che viene
secreta, che è uguale al volume di plasma che arriva al rene
(flusso plasmatico renale). Questa volta, il volume nel quale si
ritrova la sostanza è esattamente uguale al FPR (come il PAI).
Anche il PAI è esogeno, per cui deve essere infuso endovena
mantenendo costante la sua concentrazione plasmatica. È
liberamente filtrabile e, a basse concentrazioni è completamente
secreto nel tubulo prossimale (nella vena renale se ne ritrova
circa zero).
Facendo la formula della clearance del PAI, visto che la quantità
escreta è uguale a quella che arriva ai reni, la quale è a sua volta
uguale alla concentrazione plasmatica per il flusso che arriva ai
reni, semplificando si ottiene che la clearance del PAI è uguale
alla FPR:
Clearance PAI = (Q escreta/min)/[PAI]plasma =
(Q ai reni/min)/[PAI]plasma = ([PAI]plasma · FPR)/ [PAI]plasma = FPR
Il suo valore fisiologico è di 615-625 ml/min.
Quindi, il volume di plasma depurato dal PAI corrisponde a tutto
il plasma che entra nel rene nell'unità di tempo.
La sostanza escreta è uguale alla differenza tra quella che arriva al rene, meno quella che esce dal rene.
Per quanto riguarda il PAI:
[PAI]urina · V urinario = FPR [PAI]arteria – FPR [PAI]vena
Visto che la concentrazione del PAI nella vena è zero,
allora:
[PAI]urina · V urinario = FRP [PAI]arteria
FPR = [PAI]urina · V urinario / [PAI]arteria = Clearance PAI
In realtà, il PAI non è eliminato completamente, ma
un 10% si ritrova nella vena renale. Quindi,
modificando l'espressione tenendo conto del 10%
che si ritrova nella vena renale, si ottiene:
Quindi, la frazione di estrazione del PAI non è del 100%, ma del 90%. Per questo, nel calcolo della
clearance bisogna moltiplicare il flusso plasmatico renale per la frazione di estrazione (0.9)
Cl PAI = FPR 0.9 = 650 x 0.9 = 585 ml/min
Quindi, la clearance del PAI non indica perfettamente il flusso plasmatico renale, ma è leggermente
minore.
La clearance di una sostanza, tranne quelle che si comportano come l'inulina (che filtra liberamente),
dipende dalla concentrazione nel sangue. Infatti, se la glicemia è 1, allora la clearance del glucosio è
zero, ma se la glicemia aumenta fino a 4, allora il glucosio si ritrova nelle urine: la clearance cambia.
Anche nel caso del PAI, la clearance è uguale al FPR quando il PAI viene tutto secreto, mentre
diminuisce se la concentrazione plasmatica del PAI aumenta (i trasportatori si saturano, non può
essere secreto e si ritrova nella vena renale).
La clearance è data dalla quantità escreta diviso la quantità nel plasma.
La quantità escreta può essere scomposta in quantità filtrata meno quantità riassorbita più quantità
secreta.
La quantità filtrata può essere a
sua volta scomposta nel
prodotto tra VFG e
concentrazione plasmatica della
sostanza. A questo punto, si
possono effettuare
semplificazioni e si ottiene che
la clearance è uguale alla VFG
meno l'espressione data dalla
quantità riassorbita meno la
quantità secreta divisa la
concentrazione del plasma.
Se aumenta la concentrazione
plasmatica, il valore di clearance
tende a zero. Per concentrazioni
plasmatiche elevate della
sostanza, la clearance tende ad
essere uguale alla VFG (quindi
tende asintoticamente alla
clearance dell'inulina).
REGOLAZIONI
I sistemi di controllo possono essere:
– reno-renali: bilancio glomerulo-tubulare, auto-regolazione del FPR, autoregolazione di VFG,
feedback tubulo-glomerulare, metabolismo glicidico, diuresi da pressione;
– reno-extrarenali: partono dal rene e vanno al di fuori del rene. Ad esempio, il controllo della
pressione arteriosa sistemica da parte della renina, il controllo della massa eritrocitaria
circolante da parte dell'eritropoietina o il controllo della mineralizzazione dell'apparato
scheletrico tramite attivazione della vitamina D;
– extrareno-renali: partono dall'esterno e influiscono sul funzionamento renale, come
concentrazione di potassio, calcio, magnesio, mineralizzazione dell'apparato scheletrico
(effetto del paratormone e della calcitonina), controllo della concentrazione e del volume del
LEC, controllo dell'equilibrio acido-base
Le sostanze che possono interferire con il riassorbimento (non necessariamente a livello del tubulo
prossimale) sono:
– aldosterone: aumenta il riassorbimento del sodio e aumenta la secrezione di potassio nelle
parti più distali del nefrone. Se manca l'aldosterone, l'organismo perde molto sodio e accumula
potassio. Un suo eccesso produce ritenzione di sodio e deplezione di potassio;
– angiotensina II: è una sostanza che aumenta il riassorbimento di acqua e sali. L'angiotensina
stimola l'aldosterone, attiva il meccanismo di trasporto NHE3 (contro trasporto che riassorbe
sodio per secernere ioni H+), aumenta la secrezione di ADH e, infine, aumenta la frazione di
filtrazione globalmente, quindi aumenta il riassorbimento. L'effetto dell'angiotensina, sul rene,
è duplice (intra-renale e azione sistemica). Essendo un vasocostrittore, bisogna distinguere
quando vasocostringe entrambe le arteriole (azione sistemica prevalente) oppure quando
costringe prevalentemente l'arteriola efferente (azione intra-renale prevalente);
– ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina: aumenta il riassorbimento di acqua
aumentando la permeabilità all'acqua dell'epitelio di tubulo distale, tubulo e dotto collettore;
– peptide natriuretico atriale (ANP): viene prodotto dalla distensione dell'atrio destro (quindi
aumento del volume circolante), per cui inibisce il riassorbimento di acqua e sali. In
particolare, diminuisce il riassorbimento di sodio nell'ultima porzione midollare del dotto
collettore, diminuisce il riassorbimento dell'acqua mediato dall'ADH, diminuisce la secrezione
di ADH, diminuisce le resistenze sistemiche e la pressione arteriosa. A livello renale, le sue
azioni sono mediate dall'urodilatina, peptide prodotto dal rene in seguito a stimolazione da
parte di ANP;
– ormone paratiroideo (PTH): promuove il riassorbimento di calcio e magnesio nel tubulo
distale, mentre inibisce il riassorbimento di fosfati nel tubulo prossimale.
Il sistema simpatico promuove la ritenzione di sodio attraverso almeno tre meccanismi renali. La
noradrenalina rilasciata incontra numerosi recettori a questo livello (α1, α2 e β):
– vasocostringe l'arteriola afferente ed efferente, riducendo la VFG (α1);
– aumenta il riassorbimento di sodio nel tubulo prossimale e nella branca ascendente spessa
(recettori α1 o α2);
– induce il rilascio di renina e formazione di angiotensina II (recettori β1).
Le terminazioni nervose dopaminergiche hanno effetto opposto e inibiscono il riassorbimento di
acqua e sali nel tubulo contorto prossimale (la produzione di dopamina aumenta se c'è bisogno di
scaricare molto liquido, quindi quando aumenta il volume del LEC). I recettori dopaminergici sono
recettori legati a proteine G che si trovano prevalentemente a livello del SNC (la dopamina è implicata
nella motivazione, nel piacere, in memoria e apprendimento, ecc). Nel sistema renale, i recettori
dopaminergici si trovano nel tubulo prossimale e nell'apparato iuxtaglomerulare (D1-like), ma anche
sulle ghiandole surrenali e sulle terminazioni simpatiche in modo da modularle e influenzare diuresi e
natriuresi (D2-like)
Gli stimoli che determinano la produzione di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari non sono
solo i segnali della macula densa, che indicano il variato carico tubulare.
Infatti, le cellule iuxtaglomerulari sono stimolate a produrre renina in due situazioni:
– diminuzione della pressione arteriosa: diminuisce la tensione del sangue sulle pareti delle
cellule iuxtaglomerulari;
– attivazione del sistema
simpatico.
Ormoni e altre sostanze paracrine
possono avere effetto analogo.
Tra i fattori che determinano
diminuzione della produzione di
renina deve essere considerata
l'angiotensina II (meccanismo a
feedback negativo che mira a
inibire la produzione della
sostanza quando essa è in
quantità notevoli).
Il flusso ematico renale, rispetto ai flussi ematici degli altri organi, è molto grande (superato solo dai
glomi): 360-400 (normalizzato a 100 grammi di tessuto, che corrisponde a 1200 ml/min).
Il flusso ematico renale subisce alterazioni per quanto riguarda la pressione arteriosa: è determinato,
infatti, dalla pressione arteriosa e dalla
resistenza vascolare renale.
In particolare, l'arteriola afferente ha una piccola
caduta pressoria (da 85 a 60), nei capillari
glomerulari non c'è caduta (praticamente non c'è
resistenza al flusso, sono capillari in parallelo),
mentre quando si passa dall'arteriola efferente ai
capillari peritubulari si verifica la caduta
pressoria da 59mmHg a 18mmHg (l'arteriola
efferente è il tratto che offre maggior resistenza,
circa il 43% della resistenza vascolare renale).
La VFG e il flusso plasmatico renale sono regolati
da diversi fattori:
– la VFG dipende dalla pressione netta di
filtrazione, che a sua volta dipende dalla pressione idrostatica del capillare, da variazioni
dell'area di filtrazione e dal coefficiente di filtrazione [ricordando che VFG = (K f · A) · PNF];
– il flusso plasmatico renale, essendo un flusso tra due arteriole, risente della resistenza delle
arteriole e della differenza di pressione che si può verificare tra le due (FPR = ΔP/R).
Bisogna considerare anche la resistenza offerta dalle vie urinifere, che generalmente è costante:
RU = 1/Kf
Inoltre, le cellule del mesangio, specialmente quelle intra-glomerulari, sono in grado di modificare la
barriera di filtrazione.
I fattori che prevalentemente
influenzano FPR e VFG,
fondamentalmente, sono le
resistenze delle due arteriole. Il
circuito glomerulare ha una via
d'entrata, l'arteriola afferente, un
circuito capillare (dove la pressione
tende a rimanere costante) e una via
d'uscita, l'arteriola efferente. Le vie
d'entrata e d'uscita possono
modificare il loro calibro. Ad
esempio, nel caso del feedback
tubulo-glomerulare, se si chiude
l'uscita la pressione a monte
aumenta.
Quando si valutano le differenze
relative tra i calibri delle due
arteriole rispetto alle variazioni di
VFG, FPR e FF, bisogna essere più
precisi.
La frazione di filtrazione è il rapporto tra VFG e flusso plasmatico renale. Per questo, se aumentano
della stessa entità, allora la frazione di filtrazione non cambia, mentre se uno dei due aumenta di più,
allora la frazione di filtrazione si modifica.
Quando si modificano le resistenze delle due arteriole, si verificano variazioni importanti cui il circuito
risponde con un'autoregolazione che mira a mantenere il filtro costante quanto più possibile.
1. aumento della resistenza dell'arteriola
afferente: il grafico mostra sulle ascisse la
resistenza (verso destra si ha un aumento, verso
sinistra una diminuzione). Il tracciato blu è la
pressione del capillare glomerulare, quello rosso è
il FPR, quello verde mostra la VFG. Se aumenta la
resistenza, tutti e tre i tracciati calano. Se si
prende un punto in cui la resistenza è aumentata
di molto, rispetto all'andamento che ha la
diminuzione del flusso ematico renale (il normale
è intorno a 1200ml/min), la velocità di filtrazione
glomerulare diminuisce in modo più o meno
analogo. Se aumenta la resistenza dell'arteriola
afferente, quindi, la frazione di filtrazione non
varia molto, resta circa la stessa (perché VFG e FPR diminuiscono della stessa entità);
L'angiotensina (che viene prodotta in caso di diminuzione del volume plasmatico), pur se non è
permeabile alla barriera emato-encefalica, ha azione a livello centrale (sull'ipotalamo e su altri organi
che sono al confine tra plasma ed encefalo):
– aumenta l'effetto del simpatico;
– attiva la secrezione di ADH (in quanto c'è bisogno di recuperare liquidi);
– attiva la sete (a livello dell'organo sotto-fornicale e dell'organo vascolare della lamina
terminale);
– determina vasodilatazione sul circolo cerebrale;
– interviene sul rilascio di altri ormoni (come l'ACTH).
A livello sistemico determina vasocostrizione sul circolo coronarico e aumenta la pressione sistolica e
diastolica.
Le angiotensine sono anche prodotte da tessuti come vasi sanguigni, utero, placenta, occhi, cuore e
altri (il cui significato può essere legato a crescita tissutale).
I recettori dell'angiotensina più importanti sono l'AT2 (meno studiato, ha effetto nello sviluppo ed è
situato sul cromosoma X) e l'AT1, che media gli effetti sul rene, sulla muscolatura liscia e sul sistema
nervoso centrale, situato sul cromosoma 3. Esso agisce tramite una proteina G q che determina
aumento della concentrazione di calcio per azione della fosfolipasi C.
In particolare, gli effetti mediati dal recettore AT1 sono:
– vasocostrizione (preferenzialmente a livello coronarico, centrale e renale);
– attivazione del sistema nervoso simpatico;
– ritenzione di sodio (produzione di aldosterone);
– aumento della secrezione di endotelina;
– diminuzione della secrezione di renina (feedback negativo);
– altri effetti sono: ipertrofia delle cellule muscolari, induzione di fibrosi vascolare e cardiaca, effetto
inotropo e cronotropo positivo sui miocardiociti, stimolazione dell'inibitore dell'attivatore del
plasminogeno e stimolazione della formazione di ione superossido;
Il recettore AT2, invece, ha effetto anti-proliferativo, ma può anche indurre il differenziamento o la riparazione
tessutale, l'apoptosi, la vasodilatazione, lo sviluppo del rene e del tratto urinario e protegge nei confronti
dell'ischemia.
I punti in cui si può intervenire per bloccare la produzione di angiotensina II sono: bloccare la
produzione di renina (β-bloccanti, inibitori di renina) e l'azione dell'ACE tramite ACE-inibitori (la
bradichinina degrada l'ace in frammenti inattivi) oppure utilizzare antagonisti dell'aldosterone o
antagonisti per i recettori AT1.
Le azioni dell'angiotensina possono essere divise in funzione della velocità delle risposte:
– risposte rapide, aumento delle resistenze vascolari: vasocostrizione diretta, aumento
dell'attività noradrenergica periferica (aumentata liberazione e ridotto reuptake), aumento
dell'attività del simpatico e liberazione di catecolamine da parte del surrene;
– risposte lente, alterazioni della funzione renale: aumentato riassorbimento di sodio,
liberazione di aldosterone (per aumentare ulteriormente il riassorbimento di Na) e alterazioni
emo-dinamiche renali (vasocostrizione diretta, aumento del tono simpatico);
– ipertrofia e rimodellamento cardiaco e vascolare.
Il rene svolge anche la funzione di gluconeogenesi: con meccanismi intra-renali produce glucosio e
ammonio (per contrastare l'acidità che si accompagna al digiuno).
Diuresi da pressione
La diuresi da pressione, nonostante
l'autoregolazione (che ad un aumento di
pressione tende a mantenere costante la VFG),
avviene perché essa riguarda meccanismi di
riassorbimento del fluido nei tubuli. Questo
meccanismo (la diuresi pressoria) riguarda i
nefroni iuxta-midollari, utili anche per il
meccanismo a controcorrente (che determina la
concentrazione dell'urina) e per la creazione del
gradiente osmotico cortico-midollare. Quindi,
anche se la VFG viene mantenuta relativamente
costante e indipendente dalla pressione
arteriosa, non è detto che il volume urinario resti
costante: il flusso urinario può
aumentare da 1 fino a 10ml/min
nell'intervallo di pressione arteriosa 80-
100mmHg. Quindi, le variazioni di
pressione arteriosa, grazie
all'autoregolazione del flusso
glomerulare, non influenzano la VFG ma
si fanno sentire a livello di volume
urinario e natriuresi.
Questo meccanismo si instaura con una
latenza maggiore per regolare la
pressione arteriosa e contribuisce anche a regolare il volume del LEC. Il volume del LEC e la pressione
arteriosa sono associati nelle loro variazioni: l'aumento di volume del LEC è collegato all'aumento
della pressione. L'aumento di pressione innesca un meccanismo che scarica l'organismo di liquidi e
sali in eccesso: diuresi pressoria.
A livello renale, aumenta l'escrezione di sodio e acqua in risposta all'aumento di pressione. Svuotando
l'organismo di liquidi e sali, si contribuisce a risolvere l'aumento di volume del LEC.
Se, ad esempio, la pressione arteriosa media passa
da 100 a 200mmHg, la quantità di sodio eliminata
dal rene aumenta più di 10 volte: si tratta di un
meccanismo potente anche per variazioni modeste
di pressione arteriosa.
In caso di aumento di pressione, angiotensina e
aldosterone diminuiscono e, in questo modo,
contribuiscono alla diuresi pressoria.
⦁ L'altro meccanismo dipende dal fatto che, visto che l'angiotensina aumenta il riassorbimento di sodio
e acqua (aumenta l'espressione di canali NHE3), una sua diminuzione impedisce riassorbimento di
sodio e acqua, contribuendo alla diuresi pressoria.
Questo si può mettere in evidenza valutando la diuresi pressoria in condizioni di aumento di pressione
lasciando l'angiotensina costante (artificialmente): la diuresi pressoria è assente. La quota dovuta alla
diminuzione di angiotensina, quindi, è un fattore importante
per la diuresi pressoria.
L'angiotensina è un vasocostrittore, quindi se essa
diminuisce e i vasi si allargano, il flusso nella midollare
aumenta: aumenta il flusso nei vasa recta, aumenta
l'asportazione di soluti, diminuisce la concentrazione di urea
e NaCl nell'interstizio midollare, quindi l'urina è poco
concentrata.
OSMOLARITÀ
Il rene è responsabile del bilancio idrico, nel senso che, contrariamente alle altre modalità di perdita di
acqua, la perdita di acqua può essere regolata. Questa regolazione viene effettuata grazie alle
modificazioni di volume e di osmolarità delle urine: il volume può variare da 0.5 a 18 litri, l'osmolarità
da 50mOsm/L a 1200-1400mOsm/L.
In questo modo, emettendo urine di diverso volume e diversa osmolarità, il rene è in grado di regolare
l'osmolarità dei liquidi corporei:
– in caso di ipo-osmolarità del LEC (eccesso di acqua): il rene elimina l'acqua in eccesso con
un'urina diluita (il riassorbimento di soluti è maggiore del riassorbimento di acqua);
– in caso di iperosmolarità del LEC (carenza di acqua): il rene elimina meno acqua tramite
un'urina concentrata (il riassorbimento di acqua è maggiore di quello dei soluti).
Il tempo di equilibrio all'ingestione di liquidi è 30 minuti.
Il principale soluto dei liquidi corporei è il sodio, insieme al cloro, per cui quando si parla di osmolarità
si va a interferire con la concentrazione del sodio (da non confondere con la quantità).
Na+extracellulare (mmoli)/volume LEC (litri) = [NA+]extracellulare (mmoli/L)
La concentrazione del sodio extracellulare è la metà dell'osmolarità totale (osmolarità/2).
In molti casi, il riassorbimento del sodio va di pari passo con quello del cloro (come NKCC nell'ansa di
Henle, NCC nel tubulo distale).
La concentrazione del sodio è mantenuta costante perché, quando le cellule stanno a contatto con un
liquido iper- o iposmotico, risentono di queste variazioni e modificano il loro volume, quindi le
alterazioni del bilancio del sodio riguardano la sua quantità.
La quantità di sodio totale è praticamente corrispondente a quella extracellulare (nelle cellule se ne
ritrova pochissimo) ed è uguale alla concentrazione per il volume del LEC (collegato con il volume
circolatorio effettivo, collegato a sua volta con la pressione arteriosa):
Q=C·V
Tenendo presente questa relazione, se la concentrazione è mantenuta costante, la quantità di sodio
varia al variare del volume del LEC e viceversa.
Si possono verificare variazioni di volume o di osmolarità del LEC (idratazioni e disidratazioni
isosmotiche, iposmotiche o iperosmotiche):
– se si aggiunge o rimuove il sodio con una soluzione isotonica, si interferisce solo con il volume
del LEC;
– se si aggiunge acqua pura, si interferisce con l'osmolarità del LEC (si diluisce il LEC);
– se si aggiunge solo sodio, allora le cellule si svuotano di acqua e si interferisce con il volume del
LEC (che aumenta): il contenuto totale di sodio è
il fattore che maggiormente influenza il volume
del LEC.
In casi di forti variazione del LEC, i sistemi di regolazione di volume e osmolarità si attivano in
coordinazione. Infatti, non solo occorre conservare sodio, ma anche conservare acqua (aumentando la
sete e diminuendone l'escrezione).
I reni partecipano al controllo omeostatico dell'osmolarità facendo variare il volume del solvente,
l'acqua, in parallelo con lo stimolo della sete. La variazione dell'escrezione di acqua può avvenire
indipendentemente da quella dei soluti, cosicché:
– se il LEC è ipo-osmotico si avrà aumentata escrezione di acqua senza aumentare quella dei
soluti (massima diuresi);
– in caso di liquido iperosmotico si ha diminuzione di escrezione di acqua senza diminuzione
dell'escrezione di soluti.
Il meccanismo che permette di produrre urina concentrata è importante perché fa ridurre al minimo il
volume di liquido necessario per eliminare scorie e soluti in eccesso (volume obbligatorio).
Rispetto alla dieta, occorre eliminare al giorno una quota fissa di scorie (circa 600mOsm al giorno). Se
la dieta è più proteica, si arriva a dover eliminare anche 1000mOsm al giorno.
Il massimo potere di concentrazione delle urine dell'uomo è 1200-1400 mOsm/L, per cui per
eliminare almeno 600mOsm al giorno occorre eliminare almeno 0.5 litri al giorno:
V = Q/C = (600mOsm/giorno) / (1200 mOsm/L) = 0.5 L/gg
Bere acqua di mare è molto dannoso (porta ad un eccesso di disidratazione), in quanto essa ha
un'altissima concentrazione di sali (1000-1300 mOsm/L).
Nel potere di concentrazione del rene occorre considerare la parte dovuta all'urea: su 1200-1400
mOsm/L, solo circa 700 mOsm sono dovute ai sali (il resto è dovuto all'urea). Questo vuol dire che, con
un litro di urina, si possono eliminare solo 700 mOsm di sali (concentrazione salina del 2%).
Quindi, ingerendo 1L di acqua di mare, sono necessari 1.4-1.9 litri di urina per eliminare i sali ingeriti,
con conseguente disidratazione.
1 L acqua di mare = 1300 mOsm di sali
Q=CxV
V = Q/C
massima concentrazione urinaria = 1200 mOsm/L (700 sali + 500 urea)
1300 / 700 = 1.9 L di urina per eliminare i soluti contenuti in 1L di acqua di mare (disidratazione).
I gabbiani riescono a bere acqua di mare in quanto sono in grado di eliminare soluti tramite i fluidi
nasali.
NEFRONI JUXTAMIDOLLARI
Le caratteristiche indispensabili alla realizzazione della concentrazione dell'urina sono:
– iperosmolarità dell'interstizio (all'interno della midollare) fino a un massimo di 1200 mOsm;
– i dotti collettori che passano dalla midollare (ultima parte del dotto collettore) devono essere
permeabili all'acqua (permeabilità data dall'ADH).
La porzione anatomica responsabile di questo meccanismo è costituita dai nefroni iuxtamidollari
(15-25% del totale) e i relativi vasa recta, i quali trasportano ossigeno e nutrienti e contribuiscono a
garantire il mantenimento del gradiente cortico-midollare.
In particolare, occorre considerare le caratteristiche anatomo-funzionali di questi nefroni:
– la disposizione anatomica delle anse (a forcina, ovvero la branca ascendente e discendente
sono vicinissime tra loro);
– flusso controcorrente;
– lo stretto impacchettamento dell'ambiente: sono molti vicini, in modo che lo scambio di soluti e
di acqua avvenga lungo una minima distanza;
– Il trasporto attivo (e passivo) è differenziato nei diversi tratti;
– i diversi tratti hanno permeabilità variabile.
1. Il trasporto attivo di NaCl è differenziato nei diversi tratti: nei tratti sottili, sia discendente che
ascendente, i sali subiscono trasporti passivi, non attivi (le cellule sono piatte, non hanno mitocondri);
la branca spessa ascendente è caratterizzata da molti trasportatori attivi (pompa sodio-potassio ed
NKCC, motore di tutto il meccanismo); nella parte
distale c'è una certa quota di trasporto attivo.
2. La seconda parte della tabella mostra la variabile
permeabilità ad acqua e soluti.
Per l'acqua, la branca ascendente sottile e quella
ascendente spessa sono impermeabili, mentre
quella discendente è molto permeabile; i tratti
distali, invece, diventano permeabili in funzione
dell'ADH.
Il trasporto passivo per NaCl è poco per i tratti sottili dell'ansa, mentre negli altri tratti la permeabilità
è zero, ci sono sempre trasporti attivi.
L'urea è permeabile nella branca sottile ascendente e discendente (viene secreta dall'esterno
all'interno tramite trasporto passivo). Dalla branca spessa ascendente fino ai dotti collettori corticali la
permeabilità dell'urea è zero. L'ultima parte del dotto
collettore midollare diventa nuovamente permeabile
all'urea e viene riassorbita.
Il gradiente osmotico avviene grazie all'azione dell'ansa che genera il meccanismo di moltiplicazione
controcorrente. Alla fine della situazione di massima anti-diuresi (massima concentrazione delle
urine), il gradiente tra midollare e corticale è 300 (corticale)-1200 (midollare) mOsm (si moltiplica di
6-7 volte).
L'urea contribuisce al gradiente grazie a un ricircolo (esce dalla midollare, entra nell'ansa, si ritrova
nella midollare a livello del dotto collettore e riesce), che le permette di depositarsi all'interno della
midollare per contribuire al gradiente.
Inoltre, i vasa recta, i vasi che accompagnano le forcine delle anse di Henle dei nefroni iuxtamidollari,
operano in modo da mantenere il gradiente (lo “proteggono”), in quanto non hanno trasporti attivi
(per via del fatto che sono vasi), ma passivi: sono scambiatori di acqua e soluti. Il loro compito al netto
del processo è quello di portar via un piccolo eccesso di soluti che si forma a livello della midollare (a
flusso normale). Infatti, l'osmolarità del plasma che entra con i vasa recta è 300 mOsm, mentre
all'uscita la sua osmolarità è 325 mOsm (per l'esportazione dell'eccesso di soluti e acqua).
Occorre tenere presente che, nel tratto spesso i soluti escono e si portano nella midollare. Il tratto
ascendente è impermeabile all'acqua e questa impermeabilità determina l'uscita di acqua a livello del
tratto discendente. Nell'ultimo tratto, invece, la permeabilità all'acqua è regolata dall'ADH.
Il risultato finale della concentrazione dell'urina dipende dall'aumento o dalla diminuzione dell'ADH
(che ha un suo valore basale che può essere modulato).
Quindi, due fluidi devono andare controcorrente ed essere vicini per mantenere il gradiente.
Il gradiente viene formato dall'ansa di Henle. Grazie allo scambio controcorrente, a un generatore di
disequilibro osmotico (meccanismi attivi delle pompe sodio-potassio ed NKCC) e ai vasa recta (grazie al
cortocircuito di solventi e soluti che operano lungo il loro decorso) viene rispettivamente creato e
mantenuto il gradiente.
La diuresi pressoria coinvolge i vasa recta: a maggiore pressione corrisponde maggior diuresi. Maggior
diuresi si verifica quando si elimina più liquido meno concentrato, ovvero quando il gradiente cortico-
midollare diminuisce.
Nell'ansa di Henle tratto spesso si ritrova una pompa sodio-potassio che crea un gradiente per il sodio
e un trasporto attivo secondario, NKCC, che sfrutta il gradiente del sodio per trasportare cloro e
potassio. Questo tratto (ascendente spesso) è impermeabile all'acqua.
La situazione iniziale mostra la parte discendente sottile a sinistra e a destra
la parte ascendente spessa (impermeabile all'acqua). L'osmolarità è pari, la
differenza di gradiente deve essere ancora creata.
Mettendo in moto NKCC, che estrude ioni dal liquido che si avvia verso il
tubulo distale, si carica di soluti l'interstizio mentre l'acqua resta dentro, in
quanto non c'è permeabilità e il fluido tubulare viene diluito.
Visto che gli ioni caricano l'interstizio, l'acqua esce dalla parte discendente sottile (permeabile). Il
tratto discendente non è permeabile agli ioni, quindi questi non possono rientrare, e restano
nell'interstizio. Inoltre, per l'uscita di acqua il fluido nella branca discendente diventa ipertonico (si
concentra perché l'acqua esce): ulteriore motivo che impedisce l'ingresso dei soluti.
Il limite di questo gradiente è il limite della pompa sodio-potassio, che più di 200 mOsm non riesce a
trasportare: tra lume e interstizio si può creare un gradiente massimo
orizzontale di 200mOsm (la pompa sodio potassio si blocca e di
conseguenza l'NKCC).
Si definisce effetto singolo la differenza di pressione osmotica e di
concentrazione di NaCl che si stabilisce tra il fluido tubulare del tratto
ascendente (i) e il fluido interstiziale adiacente e il fluido tubulare del
tratto discendente (ii).
Bisogna considerare, però, anche un gradiente verticale tra corticale e
midollare: grazie al flusso controcorrente, la differenza di osmolarità tra
giunzione cortico-midollare e papilla può venire aumentata di 6-7 volte (da
un gradiente di 200 mOsm, si arriva a 1200 mOsm).
L'effetto singolo è orientato trasversalmente all'asse maggiore dell'ansa; il gradiente di concentrazione
moltiplicato è orientato longitudinalmente e quindi si stabilisce tra l'estremità corticale più esterna e
quella midollare più interna.
In questo modo, si forma un gradiente cortico-midollare: sia per il lavoro della pompa a livello della
parte ascendente, sia per il fluire del fluido (ogni volta che c'è un passaggio, la pompa svuota di soluti il
fluido). Con questo meccanismo, per l'azione delle pompe, per il fluido controcorrente nelle due
direzioni e le diverse permeabilità, si ottiene un gradiente cortico-midollare.
Il gradiente orizzontale è il risultato del lavoro della pompa e il ri-equilibrio da parte del tratto
discendente. Quindi, il gradiente di 200mOsm viene formato su un flusso che ha osmolarità sempre
crescente.
Il filtrato diventa ipertonico percorrendo la branca discendente poiché, essendo questo tratto
permeabile all'acqua ed essendo l'interstizio ipertonico, l'acqua tende a uscire.
La branca ascendente, quindi, si ritrova con un'osmolarità uguale all'interstizio, che è ipertonico, e i
trasportatori possono portare fuori ulteriori ioni verso l'interstizio, con conseguente diminuzione
dell'osmolarità del liquido tubulare e aumento di quella dell'interstizio (gradiente orizzontale).
Gli ioni che vengono immessi nell'interstizio dalla branca ascendente restano lì perché non possono
entrare nella branca discendente (che è poco permeabile agli ioni e inoltre contiene un fluido
ipertonico per l'uscita di acqua).
Il valore assoluto del gradiente osmotico che si forma nell'interstizio dipende dall'entità del lavoro
della pompa sodio-potassio e dell'NKCC (lavorando su questo punto si carica di meno o di più) e
dipende anche dalla lunghezza delle anse. Infatti, se il meccanismo di gradiente verticale dura di più
(ansa lunga) il gradiente prodotto è maggiore.
Questo ciclo non procede all'infinito per due motivi:
– parte del riassorbimento di ioni dalla branca ascendente è bilanciato dal riassorbimento di
acqua dalla branca discendente;
– la midollare, che si trova al di sotto della corticale, è a contatto con un compartimento a
300mOsm: l'acqua della corticale tende ad andare verso la midollare e i soluti della midollare
tendono a spostarsi verso la corticale (dissipazione passiva per diffusione). Quindi il
mantenimento del gradiente dipende dal lavoro della pompa che lo crea e il tentativo passivo
di dissiparlo.
Si ha un equilibrio quando la capacità dell'ansa di generare un gradiente è controbilanciata dalla
dispersione passiva del gradiente, ovvero quando il meccanismo di moltiplicazione controcorrente e la
dissipazione passiva si controbilanciano.
Il modello di Wirz utilizza un'ansa con un braccio discendente e uno ascendente con la pompa situata
sull'ansa ascendente (tutta). Di fatto, alcuni tratti dell'ansa ascendente sono privi della pompa.
I nefroni, in primis, non sono tutti uguali (alcuni più lunghi, altri più corti), in modo da creare un
gradiente lungo tutta la midollare.
Inoltre, anche nelle anse più lunghe, il primo tratto ascendente sottile è privo di pompe.
Per spiegare questa situazione (ovvero la creazione di gradiente anche da parte di questo tratto) si
utilizza il modello di Kokko-Rector, che spiega quello che avviene nel segmento sottile della branca
ascendente. In questo tratto contribuiscono altri due meccanismi:
– riassorbimento passivo di cloro e sodio: soluti che escono dal tubulo e si portano nella
midollare. Questo passaggio è reso possibile dal fatto che la concentrazione di NaCl è maggiore
nel tubulo rispetto all'interstizio;
– secrezione di urea: l'urea rientra nella branca sottile, è di passaggio, ma la sua secrezione nel
tubulo è minore dell'estrusione di NaCl,
per cui tende a stazionare nella
midollare e contribuisce ad arricchire
l'ultima parte della midollare di soluti.
Quindi, il gradiente si crea in senso verticale e
nell'ultima parte della midollare il gradiente
avviene anche grazie a NaCl e urea.
L'urea viene assorbita a livello del dotto
collettore midollare, viene ripresa e secreta a
livello dei segmenti sottili dell'ansa e, una volta
che viene ripresa dall'ansa, ritorna nella
midollare dal dotto collettore midollare. Essendo
un soluto di scarto, deve essere eliminato, ma
subisce passaggi passivi che ne determinano il
ricircolo.
In condizioni normali, il gradiente va da 300 a
600-1200 mOsm a seconda del potere di
concentrazione dell'urina, che dipende dall'ADH.
Se il tubulo e il dotto collettore permettono il riassorbimento di acqua mediato da ADH, l'urina
diventerà ipertonica.
Se, invece, l'acqua che è presente nella parte distale del tubulo (segmento diluente, osmolarità bassa)
non viene riassorbita, allora si ha fuoriuscita di molto volume ipotonico.
Ovviamente serve un gradiente, ma per concentrare le urine è necessario l'ADH, che permeabilizza il
dotto collettore e fa uscire l'acqua.
⦁ Urea
L'urea è una molecola piccola, che viene filtrata liberamente, per cui la sua concentrazione nella prima
parte del nefrone è uguale a quella plasmatica (4-5 mM). In seguito si concentra per il riassorbimento
di acqua e urea (che viene riassorbita molto meno dell'acqua). Man mano che si avvia nel tubulo, viene
secreta (ansa di Henle), prelevata dalla midollare. Dopo l'ansa, l'epitelio tubulare diventa impermeabile
all'urea, che quindi resta intrappolata all'interno (la sua concentrazione all'inizio del tubulo collettore è
150-200mM). Quindi, tende a concentrarsi per il riassorbimento di acqua. Una quota viene anche
prelevata dai vasa recta perché passa per diffusione.
L'urea, durante il percorso nel tubulo, è trasportata in diversi modi. Il riassorbimento nel tubulo
prossimale è passivo per via paracellulare. Il riassorbimento a livello della midollare avviene grazie al
trasportatore UT-A1, il quale è controllato dall'ADH. Nell'ansa di Henle, l'urea viene secreta grazie al
trasportatore UT-A2.
Quindi, l'urea ricircola più volte prima di essere eliminata (esce dalla midollare, viene secreta nei
tubulo a livello dell'ansa di Henle per uscire nuovamente nella midollare) e contribuisce per una quota
importante all'accumulo di soluti a livello della midollare (mantenimento del gradiente osmotico).
L'urea esce dalla midollare, entra dall'ansa di Henle, risale nel tubulo, viene reimmessa dalla parte
finale e ricomincia il circolo. L'urea, però, viene prelevata anche dai vasa recta, che tenderebbero ad
asportare i soluti dalla midollare. Quando si arriva alla midollare esterna, però, sempre per processi
diffusivi, l'urea diffonde e si infila a livello dell'ansa di Henle dei nefroni più corti. Questo tende a
minimizzare l'effetto di asportazione dei soluti da parte dei vasa recta.
Facendo questo circolo, visto che la secrezione di urea nell'ansa di Henle è minore della fuoriuscita di
soluti, viene intrappolata nella midollare.
La concentrazione dell'urea, lungo il nefrone, aumenta (per il maggior riassorbimento di acqua
rispetto ad essa) e quando viene secreta (a livello dell'ansa di Henle) aumenta anche di più. Si arriva
poi nel tratto in cui le cellule sono impermeabili all'urea: qui si concentra e a livello della midollare
risulta molto concentrata. Qui, viene immessa nell'interstizio e viene fatta ri-circolare.
L'urea è molto concentrata quando passa nel tratto impermeabile ad essa (tubulo distale fino alla
midollare esterna). Questo farebbe entrare acqua, ma a questo livello l'NKCC crea un'alta
concentrazione di NaCl nell'interstizio: la concentrazione di NaCl nell'interstizio è maggiore di quella
del tubulo, per cui l'acqua tende a restare nell'interstizio. Vince la forza di riassorbimento, per cui
l'acqua esce (prevale l'effetto dell'elevato gradiente di NaCl).
Si passa quindi nel tratto in cui l'urea è permeabile (ultima parte del dotto collettore midollare), quindi
inizia ad uscire.
Alla massima concentrazione delle urine di 1200 mOsm, si eliminano circa 600mOsm di sali e
600mOsm di urea (metà e metà).
La presenza di ADH potenzia questo meccanismo, in quanto determina riassorbimento di acqua: è il
principale produttore del gradiente cortico-midollare.
L'urea è un soluto che diffonde, non produrrebbe osmolarità efficace, ma per il fatto che si bilancia con
se stessa (tra la sua concentrazione nel tubulo e quella nell'interstizio) contribuisce al gradiente
cortico-midollare (restando nell'interstizio) e rimane concentrata nell'urina (restando nel tubulo, in
modo da poter essere eliminata).
⦁ ADH
L'ADH è un dei fattori che aumentano il potere di concentrare l'urina attraverso fondamentalmente
due meccanismi:
– vasocostrizione: i vasa recta, che tendono ad asportare soluti dalla midollare, diminuirebbero
il gradiente. In situazione basale, senza aumento o diminuzione del flusso, asportano un
eccesso di soluti. Se il flusso aumenta, i soluti asportati diventano di più (diuresi pressoria,
poco ADH). Se il flusso è lento, i soluti restano nella midollare. Quindi, l'ADH (quando è ad alte
concentrazioni, può essere detto vasopressina) vasocostringe questi vasi, determina una
diminuzione dell'asportazione dei soluti e contribuisce a impedire la dissipazione del
gradiente.
– aumento della quantità di soluti trasportati nell'interstizio: l'ADH ha potere sull'NKCC, il
quale lavora di più e riassorbe più soluti. Inoltre, determina maggior riassorbimento di urea sia
per riassorbimento di acqua (l'urea si concentra, la concentrazione alimenta la diffusione) sia
per il suo potere a livello dei trasportatori (in particolare UT-A1). Quindi, al netto aggiunge
sodio, cloro e urea: aggiunge soluti all'interstizio (aumenta il potere di concentrazione
dell'urina).
I vasa recta, forgiati a forcina, sono disposti parallelamente all'ansa di Henle. Quelli che derivano
dall'arteriola efferente hanno pressione oncotica maggiore.
I vasa recta si dispongono con un'ansa in discesa e una in salita, come l'ansa di Henle.
Il sangue dei vasa recta (che si portano nella papilla, verso un ambiente più concentrato) rilascia acqua
e preleva soluti nel tratto in discesa. Al ritorno, ovvero quando risale, fa l'opposto: essendo il plasma
più concentrato, preleva acqua e rilascia soluti. Torna a livello apicale con un'osmolarità leggermente
maggiore. L'irrorazione da parte dei vasa recta non compromette il gradiente in quanto l'acqua
liberata, inoltrandosi nella midollare, viene ripresa dalla branca venosa del vaso che risale verso la
corticale (così come i soluti che vengono assorbiti in discesa vengono restituiti in salita).
Questo flusso fa sì che i soluti non vengano tolti dall'ambiente interstiziale. I vasi fanno passare in
modo passivo sia acqua che soluti, e la proporzione di questi due elementi è apparentemente uguale
(sebbene non lo sia).
Non compromettono, quindi, il gradiente, in quanto funzionano in modo da mantenerlo. L'accumulo di
soluti è generato comunque dall'ansa, i vasa recta semplicemente non alterano il gradiente, lo
garantiscono: impediscono che l'acqua che esce dal tratto discendente dell'ansa di Henle diluisca i
soluti. Gli scambi sono passivi e dipendono dai gradienti che si formano per il lavoro dell'ansa.
La massima possibilità di concentrare urina non sarebbe raggiunta se il flusso dei capillari fosse
normale (come nei distretti sistemici). Infatti, le caratteristiche che lo rendono peculiare sono il fatto
che è un flusso limitato (2% del FER) e che i vasa recta minimizzano l'asportazione di soluti
dall'interstizio. Il bilancio netto che operano è di rimuovere acqua e sali in eccesso che si produce con
il meccanismo a controcorrente. Il liquido che esce dai vasa recta, per questo motivo, è leggermente
iperosmotico rispetto a quello che entra.
Il loro compito è quello di mantenere il gradiente portando via l'eccesso di soluti.
Se il flusso ematico nei vasa recta aumenta molto, i soluti vengono “lavati” (diuresi pressoria): il
gradiente si disperde e le urine non si possono concentrare. Maggiore è la velocità del flusso, maggiore
è la quota di soluti che il plasma asporta dal liquido interstiziale.
Se diminuisce molto (ipossia), però, manca l'apporto di nutrienti, manca ossigeno e i meccanismi di
trasporto attivo che creano gradiente non funzionano.
I vasa recta, quindi, sono capaci di mantenere il gradiente, allontanare un eccesso di soluti (evitandone
uno sproporzionato accumulo a livello della midollare) e allontanare un eccesso di solvente (acqua che
viene riassorbita lungo il tratto discendente dell'ansa di Henle e lungo i dotti collettori, evitando che
diluisca l'interstizio).
Molti schemi farebbero pensare che tutto quello che entra esce. In realtà, nella parte discendente
entrano tanti soluti che arricchiscono la concentrazione interna del vaso (già ricca di soluti soprattutto
se deriva dall'arteriola efferente), mentre l'acqua esce. Questa elevata concentrazione di soluti all'apice
dell'ansa (dovuta all'entrata di NaCl durante la parte discendente e alla presenza di proteine) giustifica
l'assorbimento di acqua che avviene nella branca
ascendente.
Quindi, tutto entra e tutto esce, ma in diversa proporzione:
la forte entrata di acqua nella branca ascendente determina
un aumento di velocità, per questo, non tutti i soluti
riescono ad uscire (c'è meno tempo per attuare il
meccanismo di diffusione passiva) e l'osmolarità in uscita è
leggermente maggiore. La quantità di NaCl che esce dal
ramo ascendente è minore di quella che entra perché la
velocità del flusso è circa il doppio.
Quindi, il processo netto porta via un eccesso di soluti
(dovuto all'aumento del flusso, che impedisce il rilascio di
soluti) e un eccesso di acqua.
Per questo il flusso rapido dissipa il gradiente, in
quanto la velocità impedisce la diffusione dei
soluti verso l'interstizio (essi vengono assorbiti e
portati via). Quindi, se il flusso è rapido il
gradiente diminuisce e l'urina è meno concentrata.
Il flusso dei vasa recta nei nefroni iuxtamidollari è
poco regolato (mentre) e genera la liberazione di
fattori natriuretici. Quando aumenta il flusso nei
vasa recta, aumenta l'asportazione di soluti
dall'interstizio finché diminuisce l'osmolarità
dell'interstizio.
La pressione nei vasa recta aumenta e quindi
aumenta la pressione nell'interstizio: la maggiore pressione nell'interstizio impedisce il
funzionamento di NKCC (impedisce lo svuotamento di soluti dall'ansa). Il gradiente non si forma e la
diuresi aumenta: diuresi da pressione.
Il rene in massima diuresi, in una situazione in cui c'è poco ADH, presenta la parete del dotto
collettore poco permeabile all'acqua, per cui diminuisce il riassorbimento di acqua mentre continua il
riassorbimento di soluti. La pre-urina è iposmotica, l'urea non si concentra e quindi non esce dal dotto
collettore midollare. Ne consegue che il gradiente midollare si forma di meno, formato
prevalentemente dal cloruro di sodio. Infatti, l'osmolarità della midollare in queste condizioni può
essere di 600mOsm.
In condizioni di anti-diuresi (in cui la concentrazione di ADH è elevata), l'urea viene riassorbita
passivamente nei dotti midollari e contribuisce per il 40% all'osmolarità dell'interstizio. La parete del
dotto collettore, per azione dell'ADH, è molto permeabile all'acqua, e avviene riassorbimento di acqua
fino ad equilibrare osmoticamente liquido tubulare e interstizio della midollare. Le urine sono
iperosmotiche e il flusso è ridotto. Ne consegue che l'urea si concentra, esce dal dotto collettore e il
gradiente midollare è maggiore, fino a 1200mOsm, in quanto viene formato sia da NaCl che da urea.
Meccanismi di controllo
dell'osmolarità
Il meccanismo che permette di produrre urina
concentrata è importante perché permette di ridurre al minimo il volume di liquido necessario per
eliminare scorie e soluti in eccesso (detto volume obbligatorio).
Per una concentrazione massima di 1200-1400 mOsm, dovendo eliminare 600 mOsm di scorie
prodotte ogni giorno, si può utilizzare un volume minimo di circa 0.5 L.
Concentrazione C = massa Q/volume V
Q=C·V
600 mOsm/ giorno
V = Q/C = = 0.5 L/giorno
1200mOsm / L
Secondo altri testi, per la dieta mediterranea occorre eliminare 1000 mOsm (facendo un calcolo che
valuta che 1 grammo di proteine porta alla produzione di 5mOsm di urea, per cui l'assunzione di
100g/giorno di proteine implica l'eliminazione di 500mOsm/giorno di urea).
Rispetto a queste moli, il rene con una dieta mediterranea emette all'esterno un'urina che ha volume di
circa 1.5L contenente 1000 mOsm da eliminare: la concentrazione è 666 mOsm/L:
1000 mOsm/ giorno
C = Q/V = = 666 mOsm/L
1.5L / giorno
La situazione quotidiana è un'anti-diuresi, in quanto viene prodotta un'urina più concentrata del
plasma.
Quando la concentrazione osmotica dell'urina è maggiore di quella del sangue, il rene ha attuato un
lavoro di concentrazione. U osm > Posm , il rene elimina il carico di soluti in un ridotto volume di urina
(risparmio di solvente).
Al contrario, se la concentrazione dell'urina è minore di quella del plasma, allora il rene ha effettuato un
lavoro di diluizione: U osm < Posm , il rene elimina il carico di soluti in un elevato volume di urina (si ha
eliminazione di un eccesso di solvente).
Se l'urina avesse la stessa concentrazione del plasma, il rene non avrebbe fatto nessun lavoro, lavoro
osmotico nullo: U osm = Posm , il rene elimina il carico di soluti in un volume di solvente pari a quello in
cui era contenuto nel plasma.
Ad esempio, se l'urina è concentrata a 1200mOsm/L, le 1000 mOsm di scorie vengono rilasciate in un
volume di 0.83 L al giorno, mentre se l'urina è concentrata a 50mOsm/L, vengono rilasciate in
20L/giorno.
Si può valutare la clearance osmolare (utile per la misura quantitativa del lavoro osmotico del rene)
considerando il totale di soluti che si ritrova nelle urine.
La clearance è il volume di plasma liberato dai soluti che si ritrova nelle urine nell'unità di tempo. La
clearance osmolare è la capacità depurativa del rene nei confronti di soluti osmoticamente attivi.
Applicando la formula della clearance, si pone al numeratore il carico di soluti escreti (concentrazione
dei soluti urinari per flusso urinario) e al numeratore la concentrazione dei soluti nel plasma:
C osm = ([Osm]U · VU)/[Osm]plasma = (600 mOsm/L · 1ml/min)/300 mOsm/L = 2 ml/min
Questo vuol dire che, ogni minuto, 2ml di plasma (il range di variazioni va da 1.5ml a 3.5 ml) vengono
depurati dai soluti osmoticamente attivi.
Se il lavoro del rene è nullo (concentrazioni urinarie e plasmatiche uguale), allora la clearance
osmolare è uguale al volume urinario: C osm = 1 · VU
Se c'è lavoro di concentrazione, la clearance osmolare è maggiore di 1, se il lavoro è di diluizione allora
è minore di 1.
Il rene, però, è in grado di mantenere la stessa capacità depurativa (stessa clearance osmolare) nei
confronti dei soluti utilizzando volumi maggiori di urine ipotoniche rispetto al plasma (lavoro di
diluizione) o volumi minori di urine ipertoniche (lavoro di concentrazione) in base alle esigenze del
bilancio idrico.
Per questo, se si ritrovano due clearance osmolari uguali possono derivare sia da un processo di
diluizione che da un processo di concentrazione:
1. nel primo caso, il volume urinario è di 0.5 ml/min, calcolando si ottiene 1.5 ml/min:
C osm = (0.5 · 0.9)/0.3 = 1.5 mL/min
2. in questo caso il volume urinario è 7.5 mL/min, e la clearance osmolare è la stessa:
C osm = (7.5 · 0.06)/0.3 = 1.5 mL/min
Quindi, il rene può ottenere la stessa clearance osmolare in volumi di urina minori o maggiori (quindi,
l'urina può essere ipotonica o ipertonica). Per questo occorre valutare un altro parametro, ovvero la
clearance dell'acqua libera: il volume di plasma depurato di acqua che si ritrova nell'urina nell'unità
di tempo (questo fa associare il fatto che nell'urina c'è molta acqua). Rappresenta, quindi, la velocità a
cui i reni eliminano l'acqua libera da soluti.
Quando la clearance acqua libera è maggiore di 0, l'urina è più diluita: è stato eliminato un eccesso di
acqua (si è aggiunta acqua nell'urina).
Se la clearance è minore di zero (volume negativo, cosa che non poteva avvenire considerando la
clearance del glucosio, in cui il minimo era zero), non c'è un volume di plasma liberato dall'acqua che si
trova nell'urina nell'unità di tempo. Infatti, il volume negativo deriva dal fatto che l'acqua è stata
riassorbita dall'urina, per cui l'urina si è concentrata. Questo indica che i reni hanno eliminato soluti in
eccesso e hanno riassorbito acqua.
La clearance dell'acqua libera si calcola sottraendo la clearance osmolare al volume urinario:
C osm = ([Osm]U · VU)/[Osm]plasma = (600mOsm/L · 1ml/min)/300mOsm/L = 2ml/min (tra 1.5 e 3.5)
Cl acqua libera = VU – Cl osm = 1 ml/min – 2ml/min = - 1 ml/min
Questa è la situazione fisiologica, in cui i reni invece che eliminare più acqua che soluti fanno rientrare
l'acqua e concentrano le urine.
Quindi, ogni volta che la concentrazione osmotica delle urine è maggiore di quella del plasma, la
clearance dell'acqua libera è minore di zero e l'acqua viene trattenuta nell'organismo (lavoro di
concentrazione).
Se il valore è invece positivo, allora il rene ha aggiunto acqua (il volume di acqua eliminato è maggiore
di quello che dovrebbe accompagnare i soluti escreti, lavoro di diluizione).
L'osmolarità del plasma, per la metà, è dovuta al sodio (l'altra metà circa è il cloro).
Osm plasma = 300 ± 9 mOsm/L
[Na]plasma = 140 ± 5 mEq/L
Osm plasma = 2.1 · [Na]plasma
Na + anioni associati = 94% dell'osmolarità del plasma
Per questo, il sodio è il protagonista, anche per quanto riguarda la
concentrazione.
Alla fine, il bilancio del sodio è regolato dall'aldosterone, mentre
l'ADH si occupa del riassorbimento di acqua.
Il soluto preso maggiormente in considerazione dai sistemi di
regolazione per quanto riguarda la sua concentrazione è il sodio.
I recettori sensibili a variazioni dell'osmolarità sono fondamentalmente contenuti nell'ipotalamo, nel
punto in cui si regola la produzione di ADH.
La regolazione dell'osmolarità del LEC si fonda su quattro processi. I primi due sono principali, gli altri
due meno importanti a questo livello:
– sistema dell'ormone antidiuretico: l'ADH regola la diuresi. È un ormone prodotto dai
neuroni magno-cellulari dei nuclei sopra-ottico e para-ventricolare dell'ipotalamo;
– sistema della sete: deriva dall'ipotalamo, stimola la corteccia cingolata anteriore
(comportamento volontario, deve passare per la corteccia). L'inibizione della corteccia
determina sazietà della sete;
– appetito di sodio: sistema poco conosciuto, che risente di iper- o ipotonicità;
– natriuresi: sono coinvolti l'aldosterone, l'angiotensina II e il peptide natriuretico atriale
(sistema di natura periferica) e il sistema simpatico. Inoltre, anche l'ossitocina interviene
risentendo dell'ipertonicità.
Le cellule definite osmometri (che risentono delle differenze di concentrazione plasmatica) hanno
proprietà osmocettive intrinseche e trasformano le perturbazioni osmotiche in codice neuronale
(frequenza di potenziale d'azione e pattern di modulazione dei potenziali d'azione).
Modificazioni di osmolarità determinano una differenza di scarica dei potenziali di azione dei neuroni
(che potranno essere aumentati o diminuiti). Gli organi coinvolti sono:
– organo sub-fornicale;
– eminenza mediana;
– organo vascoloso della lamina terminale.
A parte questi organi situati relativamente al di fuori della barriera emato-encefalica (che impedirebbe
la diffusione degli ioni, quindi sono in grado di rilevare variazioni del plasma), anche i neuroni dei
nuclei sopra-ottico e para-ventricolare dell'ipotalamo possono sentire variazioni di osmolarità.
L'osmolarità da mantenere può variare a seconda delle specie. Nell'uomo, a un'osmolarità di 290-300
mOsm c'è una secrezione tonica di ADH.
Al di sotto di 280, viene diminuita la secrezione di ADH.
Nel ratto, invece, l'osmolarità che corrisponde a una secrezione tonica di ADH è 295 mOsm, 310 nel
topo.
È un sistema molto sensibile, che determina aggiustamenti per differenze anche dell'1%.
Entro il 3% di variazione, la secrezione viene mantenuta normale.
Accanto a questo meccanismo, esiste un'inibizione tonica della secrezione di ADH che proviene da
recettori di volume e barocettori (sebbene il loro potere sia minore).
Le strutture particolarmente coinvolte nel sentire l'aumento di angiotensina o l'osmolarità plasmatica
proiettano al nucleo para-ventricolare dell'ipotalamo, il quale riceve afferenze anche dalla periferia
(barocettori, ad esempio). Il risultato è variare il simpatico, modificare la sete o comunque l'ingestione
di acqua e sali e, infine, la secrezione di ADH e ossitocina.
L'aumento dell'osmolarità determina
l'induzione di maggior rilascio di ADH (che
viene rilasciato dalla neuroipofisi, non è
prodotto da essa).
Anche sperimentalmente, stimolando o facendo
una lesione a questo livello, si è dimostrato che
si producono variazioni di ADH, sete e
desiderio di sale.
La regione di controllo dell'osmolarità è la
regione antero-ventrale del terzo
ventricolo.
Il SNA ha set point, punti di riferimento
fisiologico ai quali le afferenze periferiche
fanno riferimento per produrre variazioni. I
neuroni dell'ipotalamo sono programmati con
un set point dell'osmolarità posto a 300mOsm
(osmolarità del plasma). Se l'osmolarità
aumenta, allora aumenta la sete, aumenta la
secrezione di vasopressina (anti-diuresi) e
diminuisce l'appetito di sale.
A questo livello, arrivano impulsi anche dal nucleo del tratto solitario, che riceve afferenze da parte
di barocettori atriali (stimolati da variazioni di volume). Esistono osmocettori anche a livello di
stomaco e duodeno, che producono uno stimolo come la sete (sete di tipo volumetrico). Questi
osmocettori sono prevalentemente osmocettori epatici (ovvero risentono di quello che arriva dal
sistema portale) e sono esattamente recettori per il sodio. Se si somministra una soluzione ipertonica
di sodio, si stimola la sete, mentre un carico gastrico di mannitolo non determina la sensazione della
sete.
Gli osmocettori stimolano l'ipotalamo a produrre ADH. Lo stesso aumento di ADH si ottiene con una
diminuzione del volume o della pressione (meccanismi che inducono a recuperare acqua).
Quindi, la diminuzione del funzionamento dei barocettori, che normalmente hanno inibizione tonica
sull'ADH, (quando ci sono variazioni di volume o pressione) possono intervenire sulla produzione di
ADH. Questo per quanto riguarda l'iperosmolarità.
Se invece aumenta la pressione o aumenta il volume, l'ormone antidiuretico deve diminuire, i recettori
ne inibiscono la produzione, diventa basso e l'acqua viene scaricata dal rene.
I neuroni che producono vasopressina, quando risentono di un ambiente iperosmotico (l'acqua tende
a uscire, diminuiscono il loro volume), si rimpiccioliscono e si aprono canali cationici: entrano cariche
positive, la cellula si depolarizza e aumenta il rilascio di ADH (per maggior scarica di potenziali
d'azione). Questo è il modo in cui variazioni di osmolarità agiscono sul rilascio di neurotrasmettitore.
In condizioni di ipotonicità, l'acqua entra nelle cellule, esse aumentano di volume, i canali cationici si
tappano e il rilascio di ADH diminuisce.
Questi neuroni rispondono anche ad angiotensina II, la quale agisce aumentando il livello di ADH in
condizioni di diminuzione di volume e pressione.
L'ADH prodotto dall'ipotalamo e rilasciato dalla neuroipofisi può interagire con due recettori: V1 e V2.
I recettori vascolari V1 determinano
vasocostrizione agendo tramite una
proteina Gq.
Ai fini della trattazione della regolazione
dell'osmolarità si considerano i recettori
V2 (che attivano una proteina Gs).
Tramite essi, l'ADH aumenta
l'espressione di aquaporine 2, aumenta il
riassorbimento di urea per fosforilazione
del trasportatore UT-A1, aumenta il
riassorbimento di soluti stimolando NKCC e riduce il flusso nei vasa recta per diminuire il
riassorbimento di soluti da parte di essi.
L'ADH sembra che abbia azione prevalente a livello citoscheletrico: movimenta le vescicole che
contengono l' aquaporina 2, che arrivano a
livello della membrana apicale. L'aldosterone,
invece, interagisce con il DNA e modifica
l'espressione genica.
Gli stimoli che diminuiscono o aumentano l'ADH
sono indicati dalla tabella.
L'osmolarità è il fattore principale, ma
intervengono anche la volemia, la pressione
sanguigna, l'angiotensina e altri fattori. La
febbre, ad esempio, diminuisce l'ADH. La
temperatura, che può interferire con l'ADH (il
freddo determina aumento della diuresi),
probabilmente deve la sua azione a effetti di
vasocostrizione (con conseguente aumento
apparente dei liquidi corporei, quindi
diminuzione di ADH e aumento di diuresi) e
vasodilatazione periferica.
Il controllo della sete deriva da meccanismi
analoghi sommati ad altri stimoli a-specifici.
Diuretici
I farmaci diuretici sono farmaci che aumentano la diuresi e possono dividersi in diverse categorie.
Inibitori dell'anidrasi carbonica (che agisce nel primo tratto del nefrone, tubulo contorto prossimale)
impediscono la produzione di ioni H+, rallentando il contro-trasporto Na/H+, in modo da aumentare la
diuresi. Hanno effetto diuretico molto meno efficace rispetto ai diuretici dell'ansa e ai tiazidici. Un
esempio è l'acetazolamide: farmaci come questo sono utilizzati per altre loro azioni farmacologiche
(ad esempio producono acidosi e urine alcaline).
Se viene inibito NKCC, viene inibito il riassorbimento di sodio e aumenta il flusso (farmaci detti
diuretici dell'ansa). L'inibizione del trasportatore elimina il 40% del sodio filtrato. Riducono la
concentrazione della midollare e aumentano il riassorbimento di sodio dal tubulo distale, con
conseguente ipokaliemia (aumenta l'escrezione di potassio).
Nel tubulo contorto distale può essere inibito NCC (simporto sodio-cloro) da parte di tiazidici:
determinano eliminazione idrosalina ed eliminano il 15% di sodio filtrato, comportando anche perdita
di potassio (ipokaliemia).
L'amiloride (che blocca il riassorbimento di sodio e la secrezione di potassio) o antagonisti
dell'aldosterone (come spironolattone, che compete con il recettore citoplasmatico per l'aldosterone)
sono diuretici risparmiatori di
potassio, in quanto diminuiscono
sia il riassorbimento di sodio che
l'uscita di potassio.
I diuretici osmotici, invece, sono
sostanze idrofile che si
aggiungono all'urina, la
arricchiscono (glucosio,
mannitolo), ne aumentano
l'osmolarità, richiamano acqua,
quindi aumentano il flusso
urinario. Provocano soprattutto
escrezione di acqua piuttosto
che di sodio.
La diuresi osmotica è dovuta all'aumento di soluti nell'urina, la diuresi pressoria è dovuta all'aumento
di pressione idrostatica, la diuresi da acqua è quella in cui si introduce un grosso volume di acqua
(diminuisce il riassorbimento di acqua).
Patologie
Il diabete insipido (neurogeno) centrale è dovuto a lesioni che compromettono la capacità dei neuroni
magno-cellulari di produrre ADH. La permeabilità all’acqua dei dotti collettori è costitutivamente
bassa, ne consegue elevata diuresi (fino a 24 L/giorno), urina ipo-osmotica.
Il diabete insipido periferico è dovuto all’incapacità del rene a rispondere all’ADH circolante.
Il diabete mellito è dovuto a disfunzioni nella secrezione pancreatica dell’ormone insulina (tipo 1) o
nella sensibilità dei tessuti (tipo 2). Aumenta molto la concentrazione plasmatica di glucosio, si supera
la soglia renale del glucosio e compare glucosio nelle urine (fino a 100g al giorno).
Quindi aumenta il carico di osmoli nei tubuli e nel dotto collettore (il glucosio stesso e l’urea), si riduce
la percentuale di acqua riassorbita e aumenta il flusso urinario (diuresi osmotica). Ne consegue
disidratazione.
Può esistere una condizione patologia in cui si va incontro a rigonfiamento cellulare e disturbi
importanti a livello nervoso (rigonfiamento delle cellule nervose): si parla di intossicazione da acqua
quando si assume in poco tempo una quantità elevata di acqua.
La quantità di sodio da eliminare viene eliminata prevalentemente dai reni. Le altre perdite, poco
considerevoli, non sono regolate (pelle, perdite gastrointestinali).
L'escrezione di sodio deve essere tale che si elimini la stessa quantità che viene assunta (eliminazione
operata dal rene per il 95%).
Il sodio viene filtrato (25000 mmoli/giorno), riassorbito per il 99% ed escreto per l'1%. I meccanismi
di controllo agiscono sia a livello della filtrazione che a livello del riassorbimento, ma le variazioni più
considerevoli sono quelle che riguardano il riassorbimento. Infatti, in condizioni normali la VFG varia
poco a causa dell'autoregolazione, mentre le modificazioni del riassorbimento sono molto variabili.
I tratti del tubulo si differenziano per quanto riguarda il riassorbimento di sodio.
In particolare, si ha assorbimento obbligatorio nel tubulo prossimale (66%), il tratto discendente
dell'ansa di Henle è impermeabile, mentre il tratto ascendente è permeabile (riassorbimento del 25%).
L'aldosterone regola, invece, il riassorbimento a livello dell'ultimo tratto del nefrone (2-4%).
La quantità di sodio escreto varia tra 0% e 2% del carico filtrato (30 g al giorno di NaCl, massima
natriuresi).
Ricapitolando il comportamento dei tratti del nefrone nei confronti del sodio:
– glomerulo: il sodio filtra liberamente (a meno che non venga ridotta la superficie filtrante);
– tubulo prossimale: avviene il riassorbimento del 60-70% del carico filtrato (il bilancio
glomerulo-tubulare adegua il riassorbimento alla filtrazione);
– ansa di Henle: riassorbimento del 25-30% del sodio tramite il trasportatore NKCC (il
riassorbimento può essere inibito dai diuretici dell'ansa);
– tubulo distale e dotto collettore: riassorbimento regolato da aldosterone.
I recettori che risentono della quantità di sodio misurano, piuttosto che la concentrazione, la quantità
complessiva di sodio. Infatti, in seguito a cambiamenti della quantità di sodio si verificano
cambiamenti del volume del LEC. In pratica, quello che viene percepito dai recettori è il volume del
LEC. Questo compito è deputato ai vasi sanguigni (componenti del LEC dilatabili e innervati): il loro
livello di dilatazione dà indicazioni sul volume del LEC.
Se varia il volume del LEC, plasma compreso, in seguito ad aumento di sodio, i recettori che ne
risentono per primi sono quelli che si trovano nelle vene cave, nella vena porta e negli atri, ovvero i
recettori a bassa pressione.
Quindi, la variazione di quantità si accompagna a variazioni di volume: viene sentita una variazione del
volume del plasma, che si modifica in modo da sollecitare le pareti dei vasi che risentono di
quest'aumento.
La concentrazione, infatti, viene
mantenuta costante, per cui non
potrebbe essere percepita una sua
variazione.
• Sistema renina-angiotensina-aldosterone
La formazione di renina viene stimolata da una diminuzione della pressione a livello dell'arteriola
afferente, da una scarica simpatica o da parte di segnali della macula densa (che segnalano un minor
carico tubulare di NaCl).
L'angiotensina II è un vasocostrittore. Nel meccanismo intra-renale, la costrizione dell'arteriola
efferente è maggiore di quella dell'arteriola afferente. Il risultato generale è l'aumento della FF
(frazione di filtrazione), per cui aumenta la pressione idrostatica e aumentano le proteine, due fattori
che aumentano il riassorbimento.
Inoltre:
– ha effetto diretto sui tubuli renali: aumentando la pompa sodio-potassio ed NHE3 aumenta il
riassorbimento di sodio e acqua;
– ha effetto sulla modificazione del Kf, effetto locale: contrazione delle cellule del mesangio, con
conseguente diminuzione del coefficiente di filtrazione della VFG;
– stimola la secrezione di aldosterone da parte del surrene;
– ha azione diretta sui neuroni post-gangliari del simpatico, stimolando il rilascio di
noradrenalina;
– aumenta l'attivazione del simpatico, aumenta la sete, la
secrezione di ADH e ACTH.
A seconda della concentrazione, si hanno variazioni su FPR e
VFG (il risultato è sempre l'aumento della FF): a basse dosi
l'angiotensina esercita un'azione vasocostrittoria maggiore
sull'arteriola efferente rispetto all'arteriola afferente, ad alte
dosi l'effetto è meno specifico. Di conseguenza, a basse dosi
diminuisce il FPR e la VFG aumenta o rimane costante; ad alte
dosi diminuiscono sia VFG che il FPR.
Ha, inoltre, un'azione a feedback negativo sulla macula densa e
quindi sulla produzione di renina.
Le azioni dell'ANP, che determina l'eliminazione di sodio, aumenta in caso dell'aumento di volume
sanguigno, cui consegue la dilatazione degli atri. La dilatazione degli atri ha effetto inibitorio tonico sul
rilascio di ADH: se aumenta il volume, aumenta l'inibizione. Infatti, la dilatazione indica che occorre
eliminare acqua: si blocca l'ADH a favore di sistemi che eliminano acqua e sodio.
Se gli atri si dilatano, aumenta la secrezione di ANP:
– viene stimolata l'urodilatina, la quale aumenta la perfusione della midollare;
– viene inibito il riassorbimento di sodio dal dotto collettore;
– si inibisce il rilascio di renina (che è inibita sia direttamente sia indirettamente attraverso la
macula densa);
– inibizione del rilascio di aldosterone;
– effetto sui vasi, probabilmente maggiore sull'arteriola afferente. Si verifica, probabilmente,
vasocostrizione sull'arteriola efferente per generare un'aumento della pressione glomerulare e
aumentare la VFG;
– viene prodotto anche nel SNC, influisce
sull'area pre-ottica e sull'ipotalamo
dove agisce diminuendo la pressione
sanguigna, rilascio di ADH, attività del
simpatico e diminuisce sete e appetito
del sale.
In caso di riduzione di volume, invece, si mettono in moto sistemi sodio-ritentivi che recuperano sodio
e acqua.
In particolare, renina e simpatico
aumentano, mentre diminuisce il
rilascio di ANP. Aumenta quindi il
riassorbimento a livello del tubulo
prossimale (per azione del
simpatico) e per azione dell'NHE3
(per azione dell'angiotensina).
Inoltre, la diminuzione della
pressione nel capillare peritubulare
contribuisce ad aumentare il
riassorbimento. Anche in questo
caso, il bilancio glomerulo-tubulare è
scardinato.
Aumenta l'aldosterone che fa
riassorbire sodio, aumenta anche
l'ADH, che fa riassorbire acqua. La
riduzione di volume, infatti,
determina una diminuzione dell'inibizione tonica sull'ipotalamo.
Quindi, il riassorbimento di sodio aumenta fino all'80% a livello del tubulo prossimale.
La macula densa risponde al minor carico diminuendo il riassorbimento, ma comunque il bilancio
totale è un'escrezione di sodio dello 0%.
I recettori fondamentali sono quelli a bassa
pressione, collegati sia all'ipotalamo
(inibizione della produzione di ADH) sia
alla produzione di ANP. Altri recettori
coinvolti si trovano a livello epatico
(recepiscono variazioni di sodio) ed
esistono recettori a livello del SNC.
I sensori ad alta pressione si trovano nel
seno carotideo, nell'arco aortico e a livello
dell'apparato iuxtaglomerulare, che
modulano la produzione di renina.
Se diminuisce il volume, diminuisce l'ANP,
aumenta la renina e aumenta il simpatico.
Anche se l'angiotensina è un ormone potente sulla ritenzione di sodio, se i suoi livelli aumentano o
diminuiscono (per tumori o per farmaci), i suoi effetti non sono considerevoli perché le variazioni di
pressione equilibrano la situazione (la pressione viene aumentata in seguito all'aumento del volume
del LEC).
Se il funzionamento del cuore non produce aumento della pressione, allora i meccanismi innescati
dall'aumento di pressione non entrano in funzione: si accumulano acqua e sodio (eccessiva
ritenzione).
Bilancio del potassio
Il potassio è poco concentrato al di fuori delle cellule, in quanto contenuto per il 95% nel fluido
intracellulare. Se aumenta il potassio extracellulare, il potenziale di membrana e quindi l'eccitabilità di
membrana si modifica. Un riscontro diretto avviene a livello cardiaco: si modifica l'eccitabilità dei
miocardiociti, con conseguenti aritmie, fibrillazione e arresto cardiaco.
Si definisce iperkaliemia l'aumento della concentrazione di potassio nel LEC.
L'assunzione di potassio è pari a circa 100 mEq/giorno e l'escrezione avviene prevalentemente con
l'urina (meno dell'1% con le feci).
La concentrazione extracellulare deve rimanere bassa e la suddivisione tra LIC e LEC è quella che
determina (anche per una piccola fuoriuscita, ma da parte di tutte le cellule) un'importante alterazione
della concentrazione nel LEC.
La suddivisione tra i compartimenti è regolata da ormoni come adrenalina e insulina (breve periodo),
mentre a lungo termine viene coinvolto il rene. Quest'ultimo gestisce la quantità totale di potassio
piuttosto che la sua compartimentazione tra LIC e LEC.
In condizioni acute, meccanismi cellulari si occupano di far rientrare il potassio delle cellule
(redistribuzione tra LIC e LEC) e vengono associati a meccanismi renali in casi cronici. La sostanza
abbinata ai meccanismi renali è l'aldosterone.
Piccoli spostamenti di fuoriuscita di potassio possono creare notevoli variazioni della concentrazione
di potassio extra-cellulare e problemi importanti.
Il potassio fuoriesce per:
– intensa attività muscolare (con aumento significativo di concentrazione nel LEC);
– lesioni di tessuti, che provocano notevole uscita di potassio.
Le sostanze che agiscono ripristinando la situazione operano una regolazione immediata ed efficace,
per tamponare a breve termine i danni che determina il potassio (“sistema tampone”).
Con una latenza maggiore, si utilizza anche il meccanismo renale (circa 6 ore).
Durante l'esercizio fisico o in seguito a traumi aumenta la fuoriuscita di potassio. In questi casi, però,
aumenta anche il simpatico per cui aumenta il rilascio di adrenalina. Quest'ultima agisce sui recettori
β2 e fa rientrare il potassio nelle cellule agendo sulla pompa sodio-potassio.
Un aumento di assunzione di potassio viene compensato
dall'insulina, la quale aumenta dopo i pasti e stimola lo
spostamento di potassio verso il LIC.
Questo sistema tampona i primi movimenti del potassio.
L'aldosterone, invece, agisce a livello dei dotti collettori e
promuove il riassorbimento del sodio associato alla secrezione di
potassio.
Tutti i meccanismi (quelli che bilanciano il potassio) agiscono
stimolando la pompa sodio-potassio. Sia l'insulina che
l'adrenalina (attraverso i recettori β2) agiscono a questo livello.
Queste sostanze, portando il potassio nelle cellule, diminuiscono
la kaliemia (potassio nel plasma).
Se aumenta la concentrazione di potassio nel plasma, si stimolano
insulina o adrenalina o aldosterone. Se questi fattori mancano
(per blocco dei recettori ad esempio), in caso di esercizio
muscolare o lisi cellulare, si ha uscita di potassio dalle cellule con
conseguente aumento della concentrazione di potassio nel LEC.
Il processo che determina l'entità dell'escrezione è la secrezione regolata a livello del tubulo distale e
delle cellule principali del dotto
collettore.
Nelle prime parti (tubulo prossimale e
tratto spesso ansa di Henle) si ha
riassorbimento costitutivo comune a
tutti gli ioni. Nel tubulo contorto distale
si ha una secrezione di potassio, che
continua nei dotti collettori. Le cellule
intercalate, invece, operano
riassorbimento, così come nei dotti
collettori midollari.
Le ultime due quote di riassorbimento
sono quelle più costanti, che variano
meno in funzione della dieta.
La secrezione di potassio avviene nella prima parte del tubulo distale (trasportatore KCC e canale per
il potassio). Nelle cellule principali, riassorbimento di sodio e secrezione di potassio sono associati. Il
canale che secerne potassio è ENaC.
Le cellule intercalate sono importanti nella regolazione dell'equilibrio acido-base (alterano il loro
comportamento in caso di acidosi o alcalosi). Ad esempio, sulle cellule intercalate di tipo A esiste una
pompa che riassorbe potassio per secernere H+.
I diuretici risparmiatori di potassio sono quelli che impediscono il riassorbimento del sodio e di
conseguenza la secrezione di potassio.
La secrezione a livello della prima parte
del tubulo distale e dalle cellule
principali contribuisce per 1/3
all'escrezione totale del potassio.
L'entità della secrezione è quella che
varia principalmente in funzione
dell'assunzione di potassio: aumento
dell'assunzione aumenta la secrezione,
diminuzione dell'assunzione diminuisce
la secrezione. In media, i reni devono
eliminare 92 mEq/giorno di potassio.
In diete ipo-potassiche, il
riassorbimento resta bene o male
invariato.
Nel tubulo distale, da secrezione si passa a riassorbimento, nelle cellule principali la secrezione diventa
minima e in situazioni estreme può aumentare il riassorbimento da parte delle cellule intercalate.
Se nelle cellule intercalate di tipo A funziona di più la pompa protonica che immette H + nel lume per
riassorbire potassio, il risultato è quello di aggiungere bicarbonato nel sangue (alcalosi). Quindi, più
potassio viene riassorbito, più aumenta il bicarbonato nel sangue.
Se la concentrazione di ioni H+ è elevata (acidosi, pH basso), la pompa funziona di più per eliminare più
ioni H+ e aggiungere ioni bicarbonato al plasma per tamponare la presenza di ioni H+.
Nel caso dell'alcalosi, invece, non è chiaro il meccanismo che la associa all'ipokaliemia. Comunque, se
la concentrazione di bicarbonato è alta, i meccanismi
lavorano al contrario (cellula di tipo B): viene spinto
bicarbonato nel tubulo e ioni H+ nel sangue. Il potassio,
questa volta, viene prelevato dal plasma e immesso
nell'urina.
In caso di alcalosi, il potassio viene reintrodotto nelle cellule e la sua concentrazione plasmatica si
abbassa: ipokaliemia.
Nel rene, aumenta la secrezione distale di potassio tramite la pompa H +/K+, che nelle cellule intercalate
di tipo B si trova a livello baso-laterale. Per immettere ioni H + nel plasma e combattere l'alcalosi, la
pompa preleva ioni potassio e li secerne nel lume. Inoltre, il bicarbonato non riassorbito aumenta il
flusso, che aumenta la secrezione di potassio. Come già accennato, il bicarbonato presente nel fluido
tubulare ne aumenta l'elettronegatività, richiamando potassio nel tubulo peggiorando l'ipokaliemia.
EQUILIBRIO ACIDO-BASE
La dieta, il metabolismo cellulare e la perdita quotidiana di sostanze acide o alcaline sono gli elementi
che influenzano l'equilibrio acido-base.
Gli acidi volatili vengono eliminati con la ventilazione polmonare: il metabolismo ossidativo produce
CO2, la quale reagisce con l'acqua a formare acido carbonico (grazie all'enzima anidrasi carbonica), che
si dissocia in ione H+ e ione bicarbonato.
Gli altri acidi, gli acidi non volatili, devono essere eliminati in altro modo. In particolare, acido fosforico
e solforico derivano dal catabolismo proteico (rispettivamente da metionina, cisteina, cistina e
fosfolipidi), mentre l'acido lattico dal metabolismo anaerobico. Il contributo di questi acidi varia con la
dieta.
Esistono anche patologie, come il diabete mellito, che concorrono ad aumentare la produzione di acidi
non volatili (nel diabete aumentano i corpi chetonici, ovvero acido acetico e acido β-idrossibutirrico).
Gli acidi volatili sono prodotti in una quantità di circa 15000 mmol/giorno.
Gli acidi fissi non volatili, prodotti fondamentalmente dalla dieta, si ritrovano in percentuale bene o
male costante: 0.2%, circa 210mmol/giorno sotto forma di acido solforico, fosforico, cloridrico
(conversione del cloruro di ammonio in urea), lattico e corpi chetonici.
Esiste anche un consumo di H+ di circa 140mmol/giorno, coinvolte in reazioni metaboliche come
l'ossidazione di anioni (citrato, lattato, acetato).
Il bilancio mostra che si produce 1mmole/Kg al giorno di ioni H+ (un individuo di 70Kg produce
70mmol/giorno). Questa produzione richiede un tamponamento immediato per eliminare le valenze
acide.
Il consumo di bicarbonato per Kg al giorno è quindi circa 1mEq/Kg, circa il 20% della riserva alcalina,
per tamponare 80mEq/giorno di acidi non volatili (il bilancio considera l'eccesso di acidi prodotti
dalla dieta e dal metabolismo cellulare e la perdita di bicarbonato che avviene con le feci).
Il rene deve innanzitutto essere in grado di riassorbire bicarbonato filtrato: per fare questo, il tubulo
deve secernere ioni H+. Gli ioni H+ secreti vengono tamponati dal bicarbonato filtrato, che viene
riassorbito. L'altro compito del rene è quello di produrre nuovi ioni bicarbonato: allo stesso modo
occorre secernere ioni H+ nel tubulo.
La produzione di anidride carbonica avviene grazie a un sistema tampone aperto, ovvero i prodotti
non si accumulano in quanto la CO2 viene eliminata dai polmoni. Il tampone fosfato, invece, è un
tampone chiuso perché non ha possibilità di eliminare l'acido debole prodotto.
La funzione svolta dal rene è quella di riassorbire tutti gli ioni bicarbonato filtrati secernendo H +.
Inoltre, è in grado di sintetizzare nuovo bicarbonato per ripristinare la riserva alcalina che viene
quotidianamente consumata.
Il pH deve restare costante sia per la funzione delle proteine che per l'omeostasi del potassio. Per
mantenerlo costante, l'organismo attua diversi meccanismi: diluizione del liquidi, tamponi
extracellulari e intracellulari e tamponi urinari.
Al pH minimo di 4.5 corrisponde una quantità di mEq di H+ che, per essere eliminati, necessiterebbero
di un volume urinario elevatissimo, per cui sono necessari sistemi tampone.
La variazione di 0.4 unità di pH è una variazione grandissima e corrisponde ad una variazione del
250% (considerando il logaritmo della concentrazione).
I meccanismi che minimizzano le variazioni di pH sono:
– diluizione nel volume di acqua totale: se una soluzione acida viene diluita di 10 volte, il pH
aumenta di una unità intera, quindi la diluizione minimizza le variazioni di H +;
– sistemi tampone: se si aggiungono 140mEq di H+ (quasi 3 volte il carico di acidi fissi prodotti)
ai 5L di sangue, il pH diminuisce da 7.4 a 7, ma le basi diminuiscono da 25mEq/L a 6 (è
necessario un recupero dei tamponi consumati);
– respirazione: gli acidi volatili vengono eliminati con la ventilazione;
– rene: elimina gli acidi fissi.
Le risposte alla variazione del pH sono principalmente 3 e agiscono in tempi diversi: i sistemi tampone
plasmatici attuano una risposta immediata, cui segue la ventilazione (risposta rapida) e infine il rene
(risposta lenta).
Il tamponamento plasmatico avviene in pochi
secondi. In seguito, la diminuzione di pH stimola i
chemiocettori che innescano la risposta respiratoria
(eliminazione di CO2) che agisce in 1-15 minuti.
La terza linea di difesa è rappresentata dal rene, il
quale recupera le basi tampone e secerne il carico
acido. I processi chiamati in causa prevedono il
riassorbimento di bicarbonato filtrato, l'eliminazione
di sali acidi e di sali di ammonio e la ricostituzione
delle basi tampone consumate.
Occorre quindi considerare
il passaggio di bicarbonato
sul versante baso-laterale e
la secrezione di idrogenioni
da parte dell'epitelio
tubulare.
L'equazione di Henderson-
Hasselbalch mostra che il
pH dipende dalla
concentrazione del
bicarbonato rispetto alla
pCO2. La concentrazione di
ione bicarbonato è di
24mEq/L, l'anidride
carbonica 1.2mM.
Se aumenta la
concentrazione di ioni H+ nel
LEC, questi vengono tamponati dalla base tampone ione bicarbonato. Per cui da 24mmoli/L la
concentrazione di bicarbonato cala a 19mmol/L, mentre la pCO2 aumenta da 40 a 43.3mmHg.
Per questo il pH diminuisce:
19
pH = 6.1 + log = 6.1 + 19/1.3 = 6.1 + log 14.6 = 6.1 + 1.16 = 7.26
0.03 x 43.3
La diminuzione del pH stimola i centri respiratori con conseguente iperventilazione, per cui il pH si
stabilizza a 7.37 (visto che la pCO2 cala fino a 34mmHg).
19
PH = 6.1 + log = 6.1 + log 19/1.02 = 6.1 + log 18.6 = 6.1 + 1.27 = 7.37
0.03 x 34
Il tampone, però, si è consumato, per cui il rene deve operare riassorbimento e produrre ione
bicarbonato.
In alcalosi, il bicarbonato non viene riassorbito. ma escreto. In acidosi, invece, l'aumento di secrezione
di ioni H+ corrisponde all'aggiunta di ione bicarbonato nel plasma.
I reni possono modificare il pH in due modi:
– direttamente attraverso l'escrezione di H+;
– indirettamente attraverso la velocità di riassorbimento o escrezione del tampone bicarbonato.
Lungo tutto il nefrone, questi due processi sono abbinati lungo tutto il nefrone (non avvengono solo
nella branca discendente e ascendente sottile dell'ansa di Henle). Per impedire la perdita di
bicarbonato occorre secernere
ioni H+, in modo che avvenga il
riassorbimento. La secrezione
di H+ serve anche a produrre
bicarbonato ex novo in
quantità pari a quello
consumato per tamponare gli
80mEq di acidi non volatili
(escrezione netta di H+).
Alcuni H+ vengono secreti per
riassorbire il bicarbonato
filtrato, altri vengono secreti
per produrre nuovo ione
bicarbonato al plasma.
Il bilancio dello ione bicarbonato prevede:
– filtrazione completa: il carico filtrato corrisponde a 4320 mEq al giorno (calcolato
moltiplicando 180L · 24mEq/L);
– secrezione di circa 4319 mEq di H+ per riassorbire il bicarbonato: riassorbimento di 4319 mEq
di bicarbonato;
– 1 mEq di bicarbonato viene escreto con le urine;
– l'eliminazione necessaria di 50-80mEq/ al giorno di H+ prevede una ulteriore secrezione di H + .
La secrezione totale di H+ corrisponde a circa 4400 mEq di H+ .
⦁ A livello del tubulo distale, le cellule intercalate di tipo A agiscono secernendo H + (5%) contro un
forte gradiente (nel tubulo la concentrazione è molto alta).
I meccanismi coinvolti sono un'ATPasi che riassorbe potassio
per secernere H+ e una pompa protonica. Inoltre, la
secrezione di H+ non è tanto dipendente dall'anidrasi
carbonica tubulare. Quello che promuove la secrezione è il
trasporto attivo primario attraverso lo scambio con il
potassio.
Quindi, il gradiente massimo che si può verificare corrisponde
a un pH minimo di 4.5 - 4.4, in quanto oltre questo valore si
verifica una retro-diffusione. Quindi, la concentrazione di H+
nel tubulo può superare di 700 volte quella del citoplasma. In
questo caso, la secrezione non dipende dall'anidrasi carbonica
sia perché la secrezione di H+ è minore, sia per la presenza di
ATPasi.
[H+]tubulo = 700[H+]citoplasma pH = 7.2 [H+]citoplasma = 10-7.2
+ -7.2
[H ]tubulo = 700 · 10
log [H+]tubulo = log 700 + log [H+]citoplasma = 2.8 + (-7.2) = - 4.4
pH = - log [H+]tubulo = - (4.4) = 4.4
Con questo pH, per eliminare gli 80mEq occorrerebbero 2667 L di urina:
Per questo, il rene ha bisogno di tamponi presenti nelle urine per eliminare occasionalmente fino a
500mEq/giorno.
Quindi, il pH scende da 7.4 a livello del glomerulo a 5.5 – 6.5, valore normale, o a un minimo di 4.5.
Nel tubulo distale, l'escrezione di ioni H + è controllata dalle cellule intercalate di tipo A e B.
Non si sa quale sia il meccanismo che determina il passaggio di ione bicarbonato dal plasma alla cellula
intercalata di tipo B in caso di alcalosi. La secrezione di bicarbonato nel lume tubulare da parte delle
cellule di tipo B avviene in scambio con il cloro, mentre lo ione H + viene riassorbito tramite un'ATPasi.
La cellula intercalata di tipo B, in alcalosi, è affiancata nel suo compito dal mancato riassorbimento di
ioni bicarbonato a livello del tubulo prossimale (meccanismo più importante).
Poiché lo ione bicarbonato è uno degli ioni extracellulari più importanti e viene filtrato oltre ad essere
consumato per tamponare gli ioni H+ , il rene deve attuare il processo di riassorbimento totale (4320
mEq/L circa) e di sintesi ex novo (per ripristinare la riserva alcalina consumata per tamponare i 50-
80mEq/giorno di acidi non volatili).
Il processo avviene grazie alla presenza nel tubulo di anidrasi carbonica (così come nella cellula), ma è
fondamentale la secrezione di ione H+ nel tubulo.
Nel tubulo prossimale e nell'ansa di Henle, la secrezione avviene tramite NHE3 (co-trasporto con il
sodio, 80-90% nel tubulo prossimale, 10% nel tratto spesso dell'ansa di Henle), mentre nel tubulo
distale la secrezione è attiva (5%) da parte delle cellule intercalate di tipo A.
Visto che NHE3 è un co-trasporto con il sodio, per cui questa secrezione risente della concentrazione
plasmatica di H+ : il riassorbimento di bicarbonato risente della condizione di acidosi (che favorisce
l'estrusione di H+, quindi il riassorbimento di bicarbonato) e del riassorbimento di sodio.
Sistemi tampone
Dovendo eliminare fino a 500mEq al giorno di H +, occorre che nelle urine sia garantita la presenza di
tamponi, visto che il bicarbonato è stato già tutto riassorbito.
Il tampone del bicarbonato è formato dalla coppia tampone HCO3- /H2CO3. Quando viene aggiunto un
acido forte, l'H+ liberato viene tamponato dallo ione bicarbonato con formazione di acido carbonico:
H+ + HCO3- ⇆ H2CO3 ⇆ H2O + CO2
Quando viene giunta una base forte, l'OH- liberato si combina con l'acido carbonico e forma ione
bicarbonato: la concentrazione di acido carbonico diminuisce e la reazione si sposta verso sinistra.
Secondo l'equazione di Henderson-Hasselbalch:
pH = pK + log [HCO3-]/[H2CO3]
Dove l'acido carbonico può essere sostituito con la CO2 (moltiplicando la pCO2, 40mmHg, per 0.03)
pH = pK + log [HCO3-]/1.2mmol/L = 6.1 + (log 24mmol/L)/(1.2mmol/L) = 6.1 + log 20 = 7.4
L'aumento della concentrazione di ione bicarbonato aumenta il pH, spostando l'equilibrio acido-base
verso l'alcalosi, mentre un aumento di CO2 abbassa il pH e sposta l'equilibrio acido-base verso l'acidosi.
Il pH intracellulare è leggermente inferiore a quello del LEC, ma segue lentamente le sue variazioni
perché l'anidride carbonica diffonde nelle cellule e gli ioni idrogeno entrano con anioni organici o in
scambio con il potassio. I tamponi intracellulari contribuiscono a impedire le variazioni del pH del
LEC, anche se agiscono lentamente. Sono rappresentati dalle proteine e dai fosfati inorganici (ATP,
ADP, ecc).
Per il principio isoidrico, quando varia la concentrazione di H + nel LEC, cambia, contemporaneamente,
l’equilibrio di tutto il sistema tampone. Ogni condizione che altera l’equilibrio di uno dei sistemi
tampone, cambia anche l’equilibrio di tutti gli altri
Le proteine sono i sistemi tampone più abbondanti dell’organismo. La loro capacità tampone è legata
all’esistenza di gruppi imidazolici dell’istidina (pK = 6.4 -7.0) e α-aminici (pK = 7.4-7.3).
Nell’emoglobina ridotta (senza ossigeno) i gruppi imidazolici hanno un pK più elevato e quindi
maggiore potere tampone: nei globuli rossi l'emoglobina ha importante funzione tampone.
Il sistema tampone del fosfato ha un pK=6.8, quindi non è molto efficace nel plasma, e inoltre è poco
concentrato. Si tratta di un tampone chiuso, in
quanto la forma acida non può essere eliminata con
la respirazione.
H2PO4- ⇆ H+ + HPO42-
Nelle urine, invece, è fondamentale: è molto
concentrato e vicino al suo pK, per cui diventa un
tampone efficace.
L'uscita di H+ nel tubulo che si accompagna
all'aggiunta di bicarbonato nel plasma viene
tamponata dal fosfato. La quota di nuovo
bicarbonato che si aggiunge al plasma è 30-
40mEq/giorno.
Il tampone fosfato agisce nell'ultima parte del
tubulo.
Riassumendo, la secrezione di H+ richiede che siano tamponati da tamponi presenti nel lume in modo
che i meccanismi di trasporto non debbano lavorare contro un gradiente che superi le loro capacità.
Nel tubulo prossimale l'eliminazione di un carico elevato di H + avviene contro un gradiente modesto.
La secrezione è dovuta sia alla presenza delle anidrasi carboniche, sia alla capacità di metabolizzare la
glutammina con produzione di ione ammonio (secreto) e ione bicarbonato (immesso nel plasma).
A livello di tubulo distale e dotto collettore, avviene l'eliminazione di un carico modesto di ioni H +
contro un gradiente elevato. Nonostante questo, la presenza di ATPasi permette di secernere ioni H + e
raggiungere una concentrazione anche 700 volte superiore a quella del plasma.
Si ottiene eliminazione di 80mEq grazie all'eliminazione di sali acidi e sali di ammonio che recuperano
lo ione bicarbonato consumato e ripristinano la riserva alcalina. A livello finale del nefrone, questo
processo è facilitato per il fatto che i tamponi si concentrano (per il riassorbimento di acqua
prossimale) e che gli ioni H+ vengono secreti attivamente grazie a pompe.
L'escrezione di sali acidi è il meccanismo che riesce a far eliminare tanti ioni H+ e in particolare
l'escrezione dello ione ammonio è quella che riesce ad aumentare in modo significativo l'escrezione di
H+.
Il calcolo dei mEq che corrispondo a un pH di 4 o anche 7 sono molti meno di quelli necessari a
eliminare un carico acido: in 1.5L di urina con [H+] che varia da 30µmol/L (pH = 4.52) a 0.1µmol/L (pH
= 7) vengono eliminate 46mmol/L, 1000 volte meno di quelle attese (70mEq/1.5L = 46mmol/L)
perché l'elevato carico acido è tamponato dai tamponi urinari.
Lo ione fosfato è 1/3 dei sali escreti (detto acidità titolabile), contro i 2/3 costituiti dallo ione
ammonio.
L'acidità titolabile è la quantità in moli di OH- che deve essere aggiunta alle urine per portare il loro
pH a 7.4. Questo valore corrisponde alle moli di H+ che si sono legate al tampone fosfato e a quelle in
soluzione.
Lo ione ammonio, a quel pH, non è titolabile in quanto al 98.7% presente come ione ammonio.
Per questo, la secrezione tubulare di H+ corrisponde allo ione ammonio sommato all'acidità titolabile
(ione fosfato più una parte di ione H+ libero) sommato all'escrezione di H + che è stata necessaria per
riassorbire il bicarbonato:
secrezione tubulare di H+ = NH4+ + HCO3- riassorbito + acidità titolabile
Per calcolare la quantità escreta di H+, invece, occorre sommare ione ammonio e l'acidità titolabile e
sottrarre la quota di bicarbonato escreta (che tampona ione idrogeno nell'urina, tra 0 e 2mEq):
escrezione di H+ = NH4+ + acidità titolabile - HCO3- escreto
Lo ione bicarbonato riassorbito è uguale alla differenza tra il filtrato e l'escreto.
Una parte delle valenze acide è stata utilizzata per riassorbire bicarbonato, una quota minore è stata
utilizzata per aggiungere bicarbonato al plasma.
Riassumendo, il rene elimina radica acidi non volatili tra 40 e 100 mEq/giorno (circa 70mEq/giorno) e
riassorbe bicarbonato che filtra liberamente (4320mEq/giorno). Secrezione di H + e riassorbimento di
bicarbonato sono strettamente accoppiate. Gran parte degli ioni H + secreti sono utilizzati per il
riassorbimento di bicarbonato, la parte rimanente serve a ripristinare il bicarbonato che ha tamponato
gli acidi fissi prodotti e viene escreta con le urine, gran parte associata a tamponi urinari e solo in
piccola parte in forma libera. Gli ioni H+ secreti sono quindi la somma tra queste due quote:
4320 + 80 ≈ 4400 mmol/giorno
Alterazioni acido-base
In caso di acidosi, viene indotta la gluconeogenesi. Aumenta la kaliemia, vengono chiusi i canali del
potassio e, inoltre, si può avere ipercalcemia (per rilascio di calcio dalle proteine e per rilascio da parte
dei mitocondri in cambio di H+). L'acidosi inibisce la sintesi di DNA e la proliferazione cellulare. Si può
avere diminuzione della conduttanza dei canali del calcio. Diminuisce la forza di contrazione, si verifica
vasodilatazione e quindi caduta della pressione, diminuisce la permeabilità delle gap junctions e
aumenta la pressione intra-cranica per effetto della vasodilatazione.
In alcalosi, invece, viene inibita la gluconeogenesi, si permeabilizzano le cellule al potassio, aumenta il
legame del calcio alle proteine e viene prodotta ipokaliemia. Aumenta l'eccitabilità neuro-muscolare e
si verificano vasocostrizione cerebrale e convulsioni.
Nel fegato, in condizioni di acidosi, viene inibita la glutaminasi epatica, che forma urea nel ciclo
dell'urea. L'inibizione dell'enzima determina un aumento di glutammina nel sangue. Questa quota
viene prelevata dal rene per eliminare più ioni H+ tramite il tampone ammonio.
In alcalosi, per attivazione della glutaminasi epatica, si forma urea e il rene elimina urea, non ioni H +.
In caso di acidosi è il tampone dei sali di ammonio, per cui la glutaminasi è attivata.
A livello del tubulo contorto distale (nella sua parte finale) e del tubulo di
connessione, il calcio entra dal versante luminale attraverso il canale
TRPV5 (Transient receptor potential cation channel subfamily V member
5), mentre il sensore per il calcio è sul versante baso-laterale e risente della
concentrazione di calcio plasmatica. Se la calcemia aumenta, diminuisce il
lavoro della pompa PMCA (Plasma membrane Ca ATP-ase) e, inoltre, viene
inibita la produzione di cAMP promossa dal paratormone. Quest'ultimo
aumenta la pervietà e il numero dei canali per il calcio.
Una volta entrato, il calcio si lega alla proteina calbindina-D28K e si porta
sul versante baso-laterale della cellula, per uscire tramite la pompa di
membrana PMCA1b e uno scambiatore sodio-calcio (NCX1), che lavora in
associazione a una pompa sodio-potassio.
Queste cellule presentano recettori per il PTH sulla membrana baso-
laterale, in modo che quest'ultimo possa attivare il canale TVRP5 e
aumentare l'entrata di calcio.
Un altro sistema di controllo del canale per il calcio si ritrova sul versante apicale: il recettore per la
bradichinina (BK2). Quest'ultimo risente di bradichinine (che si ritrovano nelle urine) e, se attivato,
stimola l'ingresso di calcio.
La proteina Klotho è una proteina prodotta da queste cellule e secreta all'interno del lume. Stimola sia
l'entrata di calcio dal canale apicale che la sua uscita dal versante baso-laterale tramite NCX1 (in
particolare aumenta l'espressione della pompa sodio potassio in modo che l'efflusso mediato dallo
scambiatore sodio-calcio aumenti). Oltre a interferire con l'omeostasi del calcio, aumentandone il
riassorbimento, sembra che Klotho sia associata a processi di invecchiamento e in particolare ai
processi di invecchiamento attraverso la modulazione della vitamina D.
La concentrazione della proteina diminuisce con l'età e sembra essere in relazione con la proteina D
disponibile (in particolare Klotho bloccherebbe la formazione di eccessive quantità di vitamina D
agendo sull'1-α-idrossilasi renale). È stato dimostrato che una sua iper-espressione può prolungare la
vita tra il 19% e il 31% in topi con gene mutato.
La diminuzione di calcio attiva il paratormone, che attiva in riassorbimento renale di calcio, e inoltre
attiva la vitamina D3. Anche quest'ultima ha un potere sull'aumento di riassorbimento renale di calcio.
La vitamina D può essere assunta con la dieta, ma in alternativa il nostro organismo è in grado di
produrla. La pro-vitamina D diventa vitamina D3 (colecalciferolo) a livello della pelle. Passando per il
fegato, viene trasformata in calcidiolo (25-idrossicolecalciferolo) per poi arrivare al rene e diventare
vitamina D3 attiva, 1,25-diidrossicolecalciferolo o calcitriolo (grazie all'azione del PTH).
La vitamina D ha un recettore intracellulare (VDR, Vitamin D Receptor, recettore nucleare) e sembra
abbia anche un recettore di membrana (mVDR). Gli effetti possono biologici della vitamina possono
presentarsi a livello osseo (primariamente, mobilizzazione di calcio e fosfato), a livello intestinale
(aumento del riassorbimento duodenale di calcio) e renale, con aumento del riassorbimento di calcio
nel tubulo distale.
Nel tubulo distale, il calcitriolo stimola la trascrizione di TRVP5. La diffusione citosolica del calcio è
facilitata dalla calbindina D28K, mentre l'estrusione a livello baso-laterale avviene attraverso lo
scambiatore NCX1 e alla pompa PMCA1.
Altri fattori indiretti coinvolti nella modificazione del riassorbimento di calcio sono:
– Poiché la secrezione di PTH è stimolata anche da un'aumento della concentrazione di fosfato,
quest'ultimo fattore determina aumento del riassorbimento di calcio. Il paratormone è uno
stimolatore dell'escrezione di fosfato: nei confronti del calcio aumenta il riassorbimento, si
comporta nel modo opposto nei confronti del fosfato;
– riassorbimento di acqua e sale;: aumentano i
soluti nell'interstizio e possono favorire il
riassorbimento di calcio
– acidosi: il riassorbimento di calcio è stimolato
dall'acidosi, inibito dall'alcalosi.
MINZIONE
I calici renali, che raccolgono l'urina, si connettono con gli ureteri, i quali si immettono in vescica.
L'urina continuamente prodotta dai nefroni stimola i calici renali, i quali hanno attività pacemaker
che innesca onde peristaltiche, cioè onde che promuovono la propulsione dell'urina all'interno degli
ureteri. La pressione nella capsula di Bowman non si modifica proprio per il fatto che l'urina defluisce
nella vescica.
L'entrata dell'urina attraverso gli ureteri in vescica è tenuta chiusa dalla
distensione della parete vescicale (in quanto decorrono obliquamente nella
parete vescicale) e le onde peristaltiche aiutano l'orifizio a diventare pervio (per
l'aumento di pressione che generano al suo interno), permettendo l'ingresso di
urina. Le onde sono controllate sia dal plesso intramurale (che risiede
all'interno della parete), che da simpatico e parasimpatico, che rispettivamente
inibiscono e attivano le onde peristaltiche. Il simpatico è
il sistema che promuove il riempimento della vescica, il
parasimpatico ne stimola lo svuotamento.
Se si ha un'occlusione dell'uscita, la pressione nella capsula di Bowman
aumenta (ad esempio a causa di calcoli). Il dolore associato alla presenza di
calcoli è dovuto a un riflesso uretero-renale, riflesso mediato dal simpatico
che si ripercuote sulla funzionalità renale. L'eccessiva distensione degli ureteri
da parte dei calcoli viene percepita da fibre nocicettive, le quali attivano per via
riflessa il simpatico.
Il simpatico, in caso ci sia un'occlusione, diminuisce la filtrazione e la
funzionalità del rene, quindi del flusso urinario: un riflesso protettivo contro i
calcoli.
La vescica urinaria ha uno strato di muscolatura liscia involontaria molto sviluppato, il muscolo
detrusore della vescica. Quest'ultimo si continua in uno sfintere interno (muscolatura liscia) e uno
sfintere esterno (muscolatura striata, volontaria).
Il controllo avviene da entrambi i sistemi del SNA.
Il simpatico parte da L2 (gangli mesenterici inferiori e nervi ipogastrici) e in vescica trova recettori β
(tramite cui inibisce il muscolo detrusore in modo da favorire il riempimento della vescica) e tramite i
recettori α costringe lo sfintere interno (in modo che l'urina resti in vescica).
Il parasimpatico, nato da S1-S4, ha azione sul muscolo detrusore determinandone la contrazione
tramite l'acetilcolina, mentre fa rilasciare lo sfintere interno (probabilmente attraverso il rilascio di
NO, uno dei trasmettitori che il parasimpatico utilizza come inibitori).
Lo sfintere esterno è innervato dai nervi pudendi e risente del controllo volontario (motoneuroni che
rilasciano acetilcolina).
Il riflesso della minzione avviene tramite un controllo volontario dello sfintere esterno che riceve fibre
anche dalla corteccia (i motoneuroni ricevono fibre cortico-spinali). Le fibre possono essere modulate
da centri pontini (formazione reticolare pontina prevalentemente tramite fibre reticolo-spinali). I
centri superiori possono agire a livello pontino per inibire o facilitare il riflesso.
Durante il riempimento, dovuto all'azione del simpatico, si inibisce la contrazione del detrusore
mentre si contrae lo sfintere interno. In questa fase, il parasimpatico viene inibito. Lo sfintere esterno è
contratto a sua volta.
Il riflesso della minzione avviene quando si raggiunge un livello della distensione vescicale oltre un
certo limite, che stimola afferenze che vanno su un centro pontino al confine con il mesencefalo (vicino
al locus coeruleus), il nucleo di Barrington. Quest'ultimo, attraverso una via reticolo-spinale, inibisce
il simpatico e i motoneuroni dello sfintere esterno, ed eccita il parasimpatico.
Quindi, a livello pontino laterale c'è un centro collegato con il riempimento della vescica (contrazione
sfintere estero ed inibizione dello svuotamento della vescica), mentre a livello mediale si trova un
centro coinvolto nello svuotamento della vescica. I due centri si inibiscono a vicenda.
Esistono anche centri corticali che sono in grado di inibire la minzione anche in presenza del riflesso
della minzione (agendo sullo sfintere esterno tramite i motoneuroni sacrali). In caso di minzione
volontaria, facilitano i centri sacrali responsabili del riflesso,
contribuendo al suo inizio e contemporaneamente inibiscono lo
sfintere esterno.
Quando la parete della vescica (che contiene recettori da
stiramento) si stira oltre 200cc, si innescano onde di contrazione
dovute all'azione del parasimpatico, che stimola il detrusore e
rilascia lo sfintere interno. Nei primi anni di vita, il riflesso non è
governato dalla volontà, mentre nell'adulto la componente
cosciente è importante.
Se il riempimento della vescica genera lo stimolo alla minzione, ma
la minzione viene differita, lo stimolo viene meno fino a un nuovo
livello di stiramento, dove di nuovo si determina il riflesso. In
pratica, i recettori si adattano e lo stimolo viene attenuato.
FISIOLOGIA DELL'APPARATO
DIGERENTE
APPARATO DIGERENTE: GENERALITÀ
Nel vivente, la lunghezza dell'apparato digerente dalla bocca all'ano è di 4.5 m (di cui 4m di tenue e
colon) con diametro variabile da 3 a 9 cm.
Su materiale autopico, invece, la lunghezza è di circa 9 metri per rilasciamento dei muscoli
longitudinali.
Ai fini della trattazione dell'apparato digerente, occorre considerare:
– motilità;
– secrezione;
– digestione;
– assorbimento;
– circolazione sanguigna;
– controllo ormonale e
nervoso.
Le attività dell'apparato
gastrointestinale sono la motilità
(propulsione e frammentazione del
contenuto luminale, mescolamento
con i secreti) e la secrezione
(digestione enzimatica e diluizione
del contenuto luminale). Le funzioni,
invece, sono la riduzione del cibo alle
sue componenti elementari e
l'assorbimento.
In senso generale, il tempo di
permanenza è di pochi minuti tra
bocca ed esofago, qualche ora
all'interno dello stomaco (dove
avvengono processi importanti),
molte ore a livello del tenue e ancora
più ore a livello del colon (anche
nell'ordine di giorni).
In ogni tratto, gli alimenti e le sostanze
subiscono trattamenti diversi e, lungo il tubo
del tratto digerente (tubo di muscolatura), gli
ambienti vengono separati da sfinteri.
Attraverso il tratto gastrointestinale il pH
varia enormemente: è una delle ragioni per
cui è necessaria una compartimentazione.
A livello dello stomaco si ritrova il pH più
basso del nostro organismo (a stomaco
vuoto).
La secrezione di HCl gastrica è continua, per
cui se lo stomaco e vuoto e non ci sono
sostanze che tamponino l'acidità, il pH cala.
Il grafico mostra il pH dello stomaco in blu, la linea tratteggiata
indica la secrezione di acido, la linea nera rappresenta il volume
dello stomaco.
Il cibo ha potere tamponante elevato, per cui il pH aumenta: anche se
la secrezione di acido è massima all'arrivo del cibo, il pH non si
abbassa grazie al potere tamponante del cibo.
Il volume dello stomaco si modifica: lo stomaco si riempie e inizia a
svuotarsi nel duodeno entro un'ora, in cui riversa un contenuto a pH
piuttosto alto. È cruciale la velocità di svuotamento dello stomaco,
che avviene grazie a segnali che provengono dal duodeno (tratto
molto corto, che non potrebbe contenere tutto quello che arriva nello
stomaco).
Chiaramente il pH si abbassa al mescolamento tra cibo e secrezione acida e lo svuotamento avviene a
pH via via inferiori.
L'immagine mostra una sezione che permette di individuare i vari strati che si susseguono dal lume
alla muscolatura:
– epitelio: gli enterociti formano
l'epitelio (che può essere
assorbente o secernente), la cui
superficie è moltiplicata da villi e
microvilli. Le cellule hanno un
versante apicale e un versante
baso-laterale.
– tonaca mucosa: lamina propria,
muscolaris mucosae. La mucosa è
molto importante per il
funzionamento del tratto
gastrointestinale in quanto a questo
livello è contenuta una parte
importante delle cellule del sistema
immunitario, che costituiscono la
prima barriera di difesa contro le
sostanze ingerite. Questa parte della mucosa è quindi fondamentale per una prima selezione.
La mucosa, infatti, si addentra anche nello spessore dei villi (non dei microvilli);
– sottomucosa: può contenere ghiandole che producono enzimi riversati nel lume;
– due strati di muscolatura: circolare e longitudinale.
Gli strati elencati sono analoghi in tutti i segmenti del tratto gastrointestinale, quello che cambia è
l'epitelio: a livello dello stomaco è un epitelio secernente, a livello intestinale è assorbente.
Il tessuto linfoide associato all'apparato gastrointestinale è il GALT, che ospita l'80% dei linfociti.
Il parasimpatico, che origina dal nucleo ambiguo e dal nucleo motore dorsale del vago, innerva
tramite il nervo vago la maggior parte del tratto gastrointestinale: è il principale sistema di comando.
Le ultime parti sono controllate dal parasimpatico sacrale. Il neurone post-gangliare si trova nello
spessore dell'organo e con il suo assone si porta ai neuroni del SNE.
Il simpatico parte da T5 a L2 per innervare tutto il tratto gastrointestinale. Il neurone post-gangliare
(visto che il suo corpo cellulare si trova nel tronco del simpatico e non nello spessore dell'organo) può
distribuirsi più diffusamente, innervando i vasi, la muscolatura liscia degli sfinteri, le cripte intestinali
e il sistema nervoso enterico (ha possibilità di agire a livelli diversi).
Il sistema nervoso enterico, che consta di circa 500 milioni di neuroni nell'uomo (paragonabili a
quelle che si trovano nel midollo), è distribuito in un plesso sottomucoso di Meissner (a livello della
sottomucosa) e un plesso mienterico di Auerbach (tra i due strati di muscolatura), in comunicazione
tra loro.
Il plesso mienterico controlla prevalentemente la motilità gastrointestinale, mentre il plesso
sottomucoso controlla prevalentemente il trasporto di acqua e ioni e le secrezioni ghiandolari
(omeostasi dei liquidi corporei).
I plessi sono modulati dal sistema nervoso autonomo e a loro volta regolano a feedback il sistema
nervoso autonomo stesso raggiungendo i gangli simpatici.
Il sistema nervoso enterico contiene, in tutti e due i plessi, le cellule interstiziali di Cajal, cellule
pacemaker, in grado di generare un ritmo.
Il SNE è caratterizzato da diversi punti di vista:
– morfologico (ovvero dal punto di vista istologico);
– elettrofisiologico: potenziali d'azione, potenziali di membrana, tipi di sinapsi.
Studi di elettrofisiologia hanno descritto il potenziale di membrana dei neuroni enterici meno
negativo dei neuroni centrali (da -40 a -70mV). Sono stati individuati neuroni ad elevata
eccitabilità, detti neuroni S, seguiti da veloci EPSP (potenziali post sinaptici eccitatori). I
potenziali d'azione sono sensibili alla tetrodotossina e sono seguiti da una corrente
iperpolarizzante di breve durata (20-100ms) che ripristina velocemente il potenziale di
membrana. I neuroni AH, invece, mostrano ampi potenziali d'azione, questa volta non sensibili
alla TTX, seguiti da una fase di lenta iperpolarizzazione che dura dai 2 ai 30 secondi e che li
rende meno eccitabili;
– neurochimico: combinazione di neurotrasmettitori, neuro-modulatori e altri marcatori. Si è
capito che potevano essere costruiti anticorpi contro determinate sostanze in modo da
caratterizzare i neurotrasmettitori. Non necessariamente tutte le sostanze espresse nel
neurone sono secrete. I neuroni enterici sintetizzano e secernono in modo specifico un'ampia
varietà di messaggeri chimici che esprimono il “codice chimico” di ogni neurone;
– funzionale: azione che promuove la secrezione, stimola la muscolatura ecc.
Tra tutti i neuroni individuati nel sistema nervoso enterico, si distinguono quelli detti IPAN (intrinsic
primary afferent neurons).
Esistono neuroni sensoriali responsabili della percezione di quello che avviene a livello del tratto
gastrointestinale. Questi ultimi possono essere intrinseci, posti tra gli strati, oppure possono
comunicare con il SNC (afferenze nervose con simpatico e parasimpatico).
I neuroni possono essere divisi dal punto di vista funzionale:
– interneuroni ascendenti, discendenti che mediano i riflessi locali, che hanno bisogno di un
tragitto corto;
– motoneuroni eccitatori o inibitori della muscolatura liscia;
– neuroni secreto-motori o vaso-motori: prossimi alla mucosa, vicino al lume;
– neuroni intestinofughi che informano il SNC.
Per questo, è possibile parlare di neuro-gastro-enterologia e di sistema nervoso enterico, che è locale
ma si connette anche al sistema nervoso centrale, che lo aiuta nel controllo del tratto intestinale.
Prevalentemente, il SNE è prevalentemente funzionante a livello di ileo e colon (nel senso che a questo
livello esistono vie riflesse complete che controllano l'attività contrattile, il flusso sanguigno locale e i
movimenti dei fluidi attraverso la mucosa), mentre a livello di esofago, stomaco e colon retto il
controllo del SNC è predominante (queste zone sono separate da sfinteri di muscolatura striata). Per
quanto riguarda la secrezione di fluidi, i due sistemi si affiancano.
Inoltre, è collegano al sistema endocrino e al sistema immunitario e ha un ruolo nel modificare il
riassorbimento dei nutrienti e la barriera mucosa.
Le neuropatie enteriche sono patologie che possono essere coinvolte nell'alterazione dell'attività
contrattile (motilità gastro-intestinale) o nell'alterazione del controllo neuronale del movimento dei
fluidi. Esempi sono le malattie infiammatorie del colon e tutte le malattie che derivano dal
malfunzionamento delle cellule della sottomucosa.
Il tratto gastrointestinale è stato identificato come il più grande organo endocrino del nostro
organismo.
A questo livello, infatti, si ritrovano: neurotrasmettitori che derivano dal SNE, dal simpatico e dal
parasimpatico; sostanze paracrine come l'istamina dello stomaco (promuove la secrezione acida) e la
somatostatina (che può comportarsi anche da ormone) o mediatori dell'infiammazione; ormoni.
Tutte queste sostanze hanno funzione nella regolazione di contrazione e rilasciamento, nella
secrezione e hanno effetti trofici.
Gli ormoni più noti prodotti dal tratto gastrointestinale sono:
– stomaco: gastrina (ormone prodotto dalla mucosa dello stomaco, che però non fa parte del
succo gastrico e viene introdotta nel sangue) e somatostatina;
– duodeno/digiuno: secretina, colecistochinina, motilina, peptide gastro-inibitorio,
somatostatina;
– ileo e colon: enteroglucagone, peptide YY, neurotensina e somatostatina;
– pancreas endocrino: insulina, glucagone, peptide pancreatico e somatostatina
Gli ormoni sono divisi in famiglie. Ad esempio, colecistochinina e gastrina fanno parte della stessa
famiglia, per cui condividono lo stesso recettore (CCK1-CCK2 oppure CCKB e CCKA). La
colecistochinina ha maggior affinità per il recettore CCK1.
La secretina appartiene alla stessa famiglia del GIP (peptide gastro inibitorio, la sigla deriva da
Glucose-dependent Insulin releasing Peptide, in quanto aumenta la secrezione di insulina).
Il numero di ormoni scoperti è elevatissimo e la ricerca è
iniziata nei primi anni del Novecento.
Gli ultimi ormoni individuati sono i due ormoni
importanti nella regolazione dell'alimentazione: la leptina
e la grelina.
I mediatori del comportamento alimentare si dividono in
sostanze che stimolano l'appetito e sostanze che lo
inibiscono (molte di più rispetto a quelle che stimolano
l'appetito).
I riquadri blu individuano le sostanze prodotte
dall'ipotalamo che partecipano al controllo
dell'alimentazione.
La grelina è l'unico ormone oressigenico (della fame) e ha
lo stesso recettore dell'ormone della crescita. Le cellule
che lo producono sono localizzate prevalentemente nello
stomaco, ma sono sparse in tutto il tratto. Sono dette
cellule X/A-like, in quanto simili alle cellule A che
producono glucagone, attualmente dette ghrelin cells.
La secrezione diminuisce in condizioni di sazietà, mentre
aumenta in condizioni di digiuno (restrizione calorica,
ipoglicemia e perdita di peso).
Per la produzione di riflessi a carico del tratto gastrointestinale, è fondamentale la connessione con il
SNE. Quest'ultimo è connesso a parasimpatico e simpatico, connessi a loro volta con centri superiori.
L'innesco del riflesso (braccio afferente) può essere dovuto a stimolazione meccanica (riempimento)
oppure chimica (chemiocettori che risentono delle sostanze assorbite). Il braccio efferente, che
produce la risposta adeguata, è costituito dal sistema nervoso enterico, simpatico e parasimpatico.
Un esempio è il riflesso vago-vagale (il tipo più rappresentato), quello che porta informazioni tramite
il vago e che, tramite il vago stesso, determina la risposta adeguata. Le fibre afferenti del vago
raggiungono il nucleo del tratto solitario e, tramite interneuroni, influenzano la scarica dei neuroni
pregangliari parasimpatici, localizzati nel nucleo motore dorsale del vago.
Ad esempio, il cibo che si introduce dalla bocca stimola il riflesso del rilasciamento recettivo dello
stomaco: se la pressione dello stomaco aumentasse subito al riempimento, lo stomaco si svuoterebbe.
Il riflesso permette il rilasciamento dello stomaco all'ingresso del cibo.
Gli sfinteri sono punti cruciali del tratto gastrointestinale e ognuno caratterizzato da un controllo
specifico ormonale e nervoso:
– sfintere esofageo superiore: muscolatura striata, controllo volontario;
– sfintere esofageo inferiore;
– sfintere di Oddi;
– sfintere pilorico;
– valvola ileo-celale;
– sfintere anale interno;
– sfintere anale esterno: muscolatura striata, controllo volontario.
Su quasi tutti gli sfinteri l'innervazione è da parte di tutti e tre i sistemi.
Gli sfinteri hanno un tono per il quale sono sempre chiusi. Questa chiusura è importante in quanto, ad
esempio, lo sfintere esofageo inferiore separa la cavità addominale da quella toracica, che hanno
pressioni diverse (minore a livello toracico) e inoltre separa l'esofago dall'ambiente acido dello
stomaco.
Il parasimpatico rilascia VIP e NO (motoneuroni inibitori, parasimpatico non colinergico) e innesca il
rilasciamento degli sfinteri, scaricando più dei neuroni eccitatori.
Il tono costrittorio deriva dalla loro attività miogena (presenza di cellule pacemaker che innescano la
presenza di calcio nelle cellule muscolari, in modo che rimangano contratte) o una quota di tono
neurogeno, ovvero centri a livelli superiore scaricano tonicamente sugli sfinteri.
MOTILITÀ
I due movimenti principali che si osservano a livello del tratto gastrointestinale sono: movimento
propulsivo (peristalsi, movimento che serve a far progredire il cibo in senso oro-aborale) e movimento
di segmentazione o mescolamento. È interessante capire cosa determina il cambiamento della motilità
peristaltica in motilità di segmentazione.
I movimenti di mescolamento, che non sono stati ben definiti, sono movimenti che dipendono da
costrizione e rilasciamento della muscolatura circolare in punti alternati successivi, in modo da
mescolare il materiale che si trova nel mezzo (segmentazione, contrazioni peristaltiche che si
propagano per distanze brevi). Può avvenire anche contrazione della muscolatura longitudinale e
determinare i movimenti pendolari (anch'essi dovuti all'alternanza di contrazione e rilasciamento in
strati successivi).
La peristalsi, invece, è un movimento che implica una costrizione a
monte (contrazione della muscolatura circolare) e una dilatazione a
valle (rilasciamento della muscolatura circolare). La muscolatura
longitudinale lavora al contrario: si rilascia quando si costringe
quella circolare e il segmento si allunga; si contrae al rilasciamento
della muscolatura circolare e il segmento si accorcia.
Il riflesso peristaltico, riflesso corto (ha tutte le sue parti confinati
nello spessore del tratto gastro-intestinale), parte da recettori
meccanici o chimici che risentono rispettivamente della presenza del materiale che dilata la parete e
della sua composizione chimica (sentita dalla mucosa). I neuroni sono sensitivi intrinseci, che
monitorano quello che si trova nel lume e si
connettono con segmenti a monte e a valle. Il peptide
correlato al gene della calcitonina è uno dei
neurotrasmettitori rilasciati dagli interneuroni che
comunicano ai neuroni la necessità di contrazione
delle fibre circolari e rilasciamento delle fibre
longitudinali a monte, il contrario a valle:
– a monte, l'acetilcolina e la sostanza P,
trasmettitori eccitatori, vanno a promuovere la
contrazione delle fibre circolari;
– a valle vengono utilizzate la somatostatina e le
encefaline per promuovere rilasciamento della
muscolatura circolare.
In particolare, la mucosa viene stimolata al passaggio di cibo e
si attiva il rilascio di serotonina da parte delle cellule
enterocromaffini. La serotonina agisce tramite il recettore
5-TH4 sui neuroni IPAN, che rilasciano il peptide correlato al
gene della calcitonina. Quest'ultimo stimola il rilascio di
somatostatina, che a sua volta inibisce l'attività di neuroni
oppioidi, eliminando la continua inibizione che questi ultimi
esercitano sui neuroni inibitori (disinibizione). I neuroni
inibitori rilasciano VIP e ossido nitrico, determinando il rilasciamento a valle. A monte, il peptide correlato al
gene della calcitonina stimola neuroni a secernere
acetilcolina e tachichinine, provocando contrazione.
I riflessi medi, invece, hanno stazione nei gangli simpatici (i gangli parasimpatici sono inseriti
nell'organo) e tornano in periferia per generare il riflesso.
Esiste una motilità della parte distale della mucosa dovuta alla muscolaris mucosae, che può
modificare le piegature del tratto gastro-intestinale per un mescolamento locale. Inoltre, è presente
una certa motilità all'interno dei villi, sempre dovuta alla muscolaris mucosae. I villi contengono vasi
sanguigni e vasi linfatici, per cui è necessaria l'attività muscolare per drenare il flusso linfatico.
Durante e dopo i pasti, la motilità intestinale è costante. Al contrario, la motilità a digiuno è rara: tra un
pasto e l'altro si osservano periodi di intensa attività contrattile (intervallati da periodi di riposo) che
avvengono ogni ora/ora e mezzo (75-90 minuti) e durano 5-10 minuti.
Si forma un complesso mioelettrico
migrante, che parte da una zona dello
stomaco che corrisponde alla grande
curvatura (zona pacemaker) e arriva alla
valvola ileo-cecale in modo da svuotare
gradualmente il tratto gastro-intestinale.
Una volta che il complesso ha raggiunto
l'ileo terminale, si genera quello successivo
nello stomaco.
L'onda dura da 5 a 10 minuti e, oltre a
svuotare dai residui di cibo, impedisce la
risalita della flora batterica verso l'ileo
(confinandola all'intestino cieco). Questi movimenti peristaltici sono più intensi di quelli che si
generano durante l'ingestione di un pasto.
La motilità diventa omogenea e costante al momento dell'introduzione del cibo.
La prima fase del
complesso è detta ileo
fisiologico, cui segue una
fase di contrazioni
irregolari. La terza fase,
invece, è caratterizzata la
contrazioni regolari,
peristaltiche.
Questo processo viene
interrotto da un pasto e
risente anche
dell'iniezione di ormoni
che normalmente vengono
prodotti quando il pasto
prosegue lungo il tratto,
come la gastrina e la
colecistochinina.
Un ormone
particolarmente coinvolto,
sebbene non si sa se generi l'onda e sia prodotto durante l'onda stessa, è la motilina, che aumenta
anche la motilità gastrica in modo da accelerare lo svuotamento.
Onde lente
Le onde lente possono essere rappresentate da uno schema che mette in relazione il potenziale di
membrana e la forza contrattile prodotta dagli eventi elettrici:
– un'onda che sta al di sotto della prima soglia (soglia per la contrazione) non corrisponde a
nulla sulla linea della forza contrattile: non necessariamente innesca la contrazione;
– se l'onda è più ampia e supera soglia per la contrazione, sulla linea della forza contrattile si
trova un certo livello di contrazione;
– se l'onda è ancora più alta e supera la soglia elettrica, si innesca un potenziale d'azione e la
forza contrattile è maggiore.
La contrazione della muscolatura liscia dell'intestino tenue avviene quando la depolarizzazione
indotta dalle onde lente supera la soglia per la contrazione. Quando le onde lente superano la soglia
elettrica vengono generati potenziali d'azione, i quali determinano una contrazione di più forte. La
forza di contrazione aumenta all'aumentare del numero di potenziali d'azione.
Anche se le onde elettriche possono non produrre contrazione, sono in grado di ritmare la contrazione
muscolare.
Nel tratto gastro-intestinale le cellule possono diventare generatrici di onde, pacemaker, quindi le
onde nascono spontaneamente e si propagano fintanto che si ritrovano condizioni di eccitabilità che lo
permettono (per inibizione dei neuroni che normalmente inibiscono la contrazione).
Il tipo di risposta contrattile in corrispondenza di un'onda lenta di una regione dipende dal sistema
nervoso enterico. Infatti, motoneuroni inibitori controllano il momento in cui il ritmo elettrico basale,
sempre attivo, può dare inizio ad una contrazione, oltre a determinare la distanza e la direzione della
propagazione della contrazione. Questi motoneuroni inibitori sono sempre attivi, per cui la contrazione
muscolare avviene quando vengono inibiti da interneuroni.
A livello degli sfinteri, dove i motoneuroni inibitori sono inattivi per garantire la costrizione,
l'attivazione dei motoneuroni inibitori si traduce in un rilasciamento, quindi nell'apertura dello sfintere.
Si è cercata una spiegazione per la generazione di onde lente, la quale non può dipendere
esclusivamente dall'azione della pompa sodio/potassio.
La glicolisi (sebbene avvenga nel citosol) comporta una serie di conduttanze nel mitocondrio, ma per
depolarizzare la membrana occorre o l'entrata di cariche positive o l'uscita di cariche negative. La
formazione di onde lente dipende:
– dal Reticolo Endoplasmatico: liberazione di calcio intracellulare;
– dai mitocondri: hanno un ruolo, ma
non ben noto, probabilmente è
coinvolto il metabolismo ossidativo;
– dalla membrana: canali voltaggio-
indipendenti che fanno entrare
sodio e calcio.
Le variazioni della conduttanza porta le
cellule di Cajal, cellule interstiziali, a
generare depolarizzazioni.
L'aumento della concentrazione di calcio
mitocondriale oscilla con l'attività
pacemaker, precedendola di poco. L'entrata
nei mitocondri di calcio dipende dal rilascio
di calcio dal reticolo endoplasmatico per
azione di canali IP3-dipendenti. Se questi
ultimi vengono bloccati, non si ha più oscillazione di calcio nei mitocondri né onde lente.
È importante notare che non è il calcio a iniziare la corrente pacemaker, in quanto quest'ultimo viene
sequestrato dai mitocondri, che regolano la concentrazione di calcio in vicinanza della conduttanza
pacemaker. La diminuzione di calcio intracellulare attiva
un canale cationico non selettivo che permette l'ingresso
di sodio e calcio.
Bloccando ognuno dei cinque meccanismi coinvolti
(canali IP3-dipendenti, pompa mitocondriale che estrude
ioni H+, pompa mitocondriale che immette ioni K+ nel
mitocondrio, canale mitocondriale che preleva ioni calcio
dal citosol e scambiatore sodio-calcio del RE che estrude
sodio per far entrare calcio al suo interno) non si hanno
più onde lente.
Il fatto che il calcio rilasciato dal RE venga preso dal
mitocondrio fa aprire le conduttanze di membrana. Il
rientro del calcio nel mitocondrio, quindi, innesca
l'apertura di canali che fanno entrare sodio e calcio.
Dalle cellule di Cajal, la depolarizzazione si propaga alle
cellule muscolari gastro-intestinali, che poi risentiranno
sia dell'innesco sia della conduttanza dell'apparato
stesso: la forma dell'onda dipende dalle conduttanze.
Più precisamente, le onde lente sono generate dalle
cellule interstiziali, si propagano attivamente
(movimento del calcio intracellulare voltaggio-
indipendente) attraverso la rete di cellule interstiziali e
sono condotte passivamente alle cellule muscolari lisce
elettricamente accoppiate (gap junctions) alle cellule
interstiziali di Cajal (influsso di calcio voltaggio-
dipendente). Queste ultime si possono trovare sia nella
regione mienterica (tra i due strati di muscolatura) che
nella zona sottomucosa, o raramente si trovano
all'interno della zona muscolare (specie nel tenue, a
formare il deep muscolar plexus).
L'entrata di calcio che depolarizza la membrana è
importante per il livello di contrazione muscolare. In
realtà, si è scoperto che non si modifica una conduttanza
alle cariche positive, ma si apre un canale per il cloro
dipendente dal calcio che fa uscire cloro: in conclusione, la
depolarizzazione è generata dall'uscita di cariche negative.
In esperimenti con topi transgenici per le cellule
interstiziali di Cajal si è dimostrato che le onde lente non si
generano.
Lo schema mostra un'onda lenta che si forma per entrata di calcio e sodio (depolarizzazione).
Il punto 0 è il punto di riposo, in cui avviene fuoriuscita
di potassio.
Il punto 1 mostra la depolarizzazione, essenzialmente
dovuta all'entrata di calcio, ma anche sodio.
Il punto 2 è la ripolarizzazione rapida iniziale per
diminuzione dell'entrata di calcio e aumento dell'uscita
di potassio.
Il punto 3 mostra il raggiungimento di un equilibrio tra
entrata di calcio e uscita di potassio per cui si raggiunge
un plateau.
In punto 4, infine, mostra la ripolarizzazione rapida finale per la chiusura dei canali del calcio e
l'apertura di quelli per il potassio.
Quando l'onda si propaga (nella depolarizzazione entra calcio), così come nel plateau, l'entrata di
calcio contribuisce all'innesco della contrazione muscolare, che avviene se variano i livelli di calcio
intracellulare (che generano attacco-stacco di actina e miosina).
Il tono degli sfinteri, quindi, può essere anche dovuto alla muscolatura che
risente delle onde lente (oltre ad essere un tono miogeno e neurogeno).
Se tra un'onda e l'altra la tensione resta alta, il tono permane in maniera
duratura. Quindi, una contrazione tonica/tetanica si può avere in seguito a
onde lente e spikes, ma se queste non sono presenti nell'elettromiogramma, il
tono è miogeno.
Contrazione muscolare
La contrazione del muscolo liscio dipende da variazioni
di calcio intracellulare dovute a vari fattori, come
trasmettitori, canali per il calcio voltaggio o ligando-
dipendenti, fuoriuscita di calcio da depositi
intracellulari.
Quando aumenta il calcio in cellule con proteine
contrattili, il calcio lega la calmodulina. Il complesso
Ca-CaM che ne risulta attiva la chinasi delle catene
leggere della miosina: la miosina viene fosforilata con
consumo di ATP.
Parallelamente, il complesso stacca l'actina dalla
tropomiosina (che la tiene bloccata) e la rende
disponibile: l'actina unita alla miosina fosforilata
innesca la contrazione muscolare.
Un terzo meccanismo, inoltre, inibisce una fosfatasi che
inibisce la fosforilazione della miosina.
Questo dimostra che esiste quindi una via intracellulare
indipendente dalla concentrazione di calcio in grado di modulare la fosforilazione della miosina quindi
il livello di contrazione.
A parità di calcio, l'attività contrattile sarà maggior o minore in funzione della fosforilazione della
miosina (è come se la cellula fosse più o meno sensibile al calcio).
All'arrivo del calcio, quest'ultimo interferisce con la miosina e, se questa è fosforilata si ha contrazione,
altrimenti si ha rilasciamento. La proteina Rho, ad esempio, collegata a proteina G, risente di
trasmettitori e innesca reazioni intracellulari che aumentano il livello di contrazione.
Il NO, invece, va a diminuire la contrazione.
Quindi, attraverso complicate vie di secondi messaggeri che risentono di trasmettitori si può modulare
il livello di contrazione della muscolatura non necessariamente modulando i livelli di calcio, ma
modulando la sensibilità della cellula al calcio. In conclusione, il calcio è indispensabile per la
contrazione, ma la contrazione risente di altre interferenze.
La cellula muscolare liscia mostra filamenti spessi e sottili di proteine contrattili e cambia forma alla
contrazione. Nel citoplasma e sulla membrana si ritrovano i corpi densi, i quali contengono α-actinina
e costituiscono punti di ancoraggio per i filamenti sottili. I filamenti intermedi, invece, sono formati da
desmina e vimentina e formano un reticolo che collega i corpi e le bande dense: quando la cellula si
contrae, essa tende ad assumere una forma sferica.
A riposo, le cellule sono fusiformi e hanno dimensioni minori di quelle del muscolo scheletrico, circa
500µm · 5µm.
MOTILITÀ SPECIFICA
Masticazione
La masticazione è un processo che inizia volontariamente e prosegue per attività riflessa. Lo scopo è
frantumare il cibo e mescolarlo con la saliva in modo da renderne facile la deglutizione, ovvero il
passaggio attraverso la faringe per giungere in esofago.
I muscoli masticatori e i muscoli delle guance e della lingua producono movimenti coordinati.
La forza della masticazione è massima a livello dei molari (dove la massima forza occlusiva
sviluppabile corrisponde a 50Kg, fino a 140 negli eschimesi), minima a livello della porzione anteriore.
Un altro fattore che determina l'efficacia masticatoria è la superficie di contatto tra molari e premolari.
La masticazione facilita il processo digestivo, sebbene non sia indispensabile. È particolarmente utile
per la digestione di sostanze come le fibre (complessi ramificati di glucosio che necessitano tanti stadi
enzimatici per la riduzione a molecole elementari).
I centri responsabili della masticazione erano inizialmente attribuiti alla corteccia motoria (teoria
motoria), poi la teoria riflessa ha collegato la masticazione a riflessi, finché non è stata accettata una
proposto di Bremer che la attribuiva a centri ritmici.
Il centro della masticazione, Central Pattern Generator (CPG), si trova a livello bulbo-pontino, porzione
del nucleo reticolare gigantocellulare. Questo determina frequenza, ampiezza e durata della
masticazione. Il centro riceve segnali dai centri superiori, che lo mettono in moto, e dalla periferia.
Nei mammiferi, garantisce un'attivazione alternata dei muscoli masticatori (abbassatori ed elevatori
della mandibola).
Man mano che il cibo cambia di forma e consistenza, i movimenti si adattano alla nuova consistenza.
Deglutizione
La deglutizione segue la
masticazione ed è un atto
motorio complicato e
coordinato dal punto di vista
spaziale e temporale. La
deglutizione ha lo scopo di far
progredire il bolo verso lo
stomaco, modificando le parti
coinvolte dalla faringe allo
sfintere esofageo inferiore,
anche lo stomaco stesso, in
modo da renderle disponibili
all'accoglimento del cibo.
La deglutizione consta di
diverse fasi, il cui nome è
dovuto alla porzione del tratto
in cui il cibo si ritrova):
– fase orale o volontaria: il materiale si ritrova nella bocca. La lingua e il movimento delle
guance spingono il bolo nella parte posteriore della cavità orale. Il palato molle chiude la
comunicazione con le cavità nasali. La spinta del bolo innesca un primo stadio del riflesso della
deglutizione;
– fase faringea: occorre aprire lo sfintere esofageo superiore per far entrare il bolo in esofago e
chiudere l'epiglottide per isolare le vie aeree;
– fase esofagea: quando il bolo arriva nell'esofago, si innesca una vera e propria onda
peristaltica in modo da far progredire il cibo verso lo sfintere esofageo inferiore (il movimento
è agevolato dalla forza di gravità). Si tratta di un'onda di peristalsi primaria dovuta sia ai centri
della deglutizione sia a recettori esofagei. Se non è sufficiente un'onda primaria, i recettori
esofagei innescano un'onda secondaria. Lo svuotamento dell'esofago è necessario perché la
sua mucosa è molto fragile e non sopporta una permanenza prolungata del cibo. Le
conseguenze possono essere lesioni della mucosa o riflesso del vomito.
Il riflesso della deglutizione è innescato da recettori che comunicano con il nucleo del tratto
solitario. Una parte di questo coordina il riflesso della deglutizione e controlla i muscoli coinvolti.
Visto che ha una fase volontaria, deve risentire di comandi da centri superiori. La coordinazione
dipende da una rete umorale a livello della formazione reticolare detta centro della deglutizione, che
riceve afferenze da faringe ed esofago. Questo centro controlla la muscolatura volontaria dell'esofago,
della faringe e della laringe. I recettori esofagei sono in grado di adeguare l'entità della deglutizione
alla quantità e alla qualità del materiale che si ritrova nell'esofago in modo da ottimizzare
l'avanzamento del bolo. La corteccia, l'amigdala e il collicolo superiore sono coinvolti nel controllo del
centro. La rete neuronale controlla la muscolatura striata di faringe, laringe e del terzo superiore
dell'esofago e la muscolatura liscia della parte inferiore dell'esofago.
Si ha il maggior numero di deglutizioni in corrispondenza di presenza di materiale nella bocca
(durante il pasto, 200 volte), ma avvengono movimenti deglutitori durante la veglia (350 volte) e una
piccola quota durante il sonno (50 volte).
Lo sfintere esofageo superiore, costituito dal muscolo cricofaringeo, previene l'entrata di aria
nell'esofago.
Lo sfintere esofageo inferiore separa due cavità a pressioni diverse: cavità toracica a pressione bassa,
cavità addominale a pressione maggiore, per cui si ha tendenza del contenuto a risalire verso l'alto. La
contrazione tonica dello sfintere esofageo inferiore (pressione endoluminale di circa 30mmHg)
impedisce il reflusso acido nell'esofago.
Se lo sfintere non è funzionante perfettamente, si verifica il reflusso gastro-esofageo (contenuto dello
stomaco a pH acido nell'esofago).
Nell'acalasia esofagea, invece, lo sfintere non si apre correttamente, quindi il contenuto non si svuota
completamente, ristagna in esofago e si innesca il vomito con successive ulcere e lacerazioni.
Il tono dello sfintere è regolato dal SNA: il simpatico lo costringe rilasciano noradrenalina, mentre il
parasimpatico ha doppia azione. Ha prevalente azione costrizione per via dei neuroni che rilasciano
acetilcolina, mentre può determinare
rilasciamento tramite interneuroni inibitori che
rilasciano VIP e NO.
A seconda del tipo di neurone post-gangliare
controllato, le fibre vagali pregangliari
responsabili della regolazione dello sfintere
possono aumentare o diminuire la loro attività
durante l'apertura dello sfintere. Il tono di base e
la regolazione dello sfintere resistono anche dopo sezione dell'innervazione estrinseca.
Quando il parasimpatico non colinergico si attiva (effetto dilatatorio), il parasimpatico colinergico non
scarica.
Il centro della deglutizione, quindi, risente dei recettori sensoriali e dai centri superiori, attua riflessi
lunghi e si porta alla muscolatura scheletrica dell'esofago (prima parte) e alla muscolatura lisca
(seconda e terza parte dell'esofago) e innesca l'onda peristaltica. Si verificano anche riflessi corti per
azione dei recettori esofagei che innescano l'eventuale onda peristaltica secondaria.
Motilità gastrica
Lo stomaco è diviso in porzioni in cui si nota una zona di cellule
pacemaker, a livello del corpo.
Lo scopo della motilità gastrica è di consentire il deposito,
accogliere il cibo che arriva e far sì che la pressione intra-
gastrica non aumenti subito.
La pressione intra-gastrica che aumenta, infatti, innesca
meccanismi di svuotamento, per cui per garantire il deposito di
cibo per il tempo necessario ad una sorta di digestione (oltre
alla difesa contro batteri) occorre impedire l'aumento della
pressione.
Inoltre, la motilità mescola il contenuto al fine di mescolare il
materiale con la secrezione acida e frammentarlo.
A questo livello, inizia anche il processo di emulsione dei lipidi,
che non sono idrosolubili, si stratificano per cui tendono a non mescolarsi. La forza meccanica dello
stomaco attua un processo di emulsione alterando il volume (non l'entità) della molecola.
Il terzo compito dello stomaco è il suo svuotamento regolato: il materiale che entra nel duodeno deve
entrare con velocità adeguata. Infatti, il duodeno è un tratto piccolo che deve avere tempo necessario
per digerire e iniziare un certo assorbimento.
La regolazione dipende da recettori gastrici di tipo meccanico (stiramento della parete), chimico
(sostanze chimiche contenute nello stomaco), cellule che percepiscono le variazioni di pH e fibre
nocicettive, che monitorano livelli di eccessiva distensione. Si attuano quindi riflessi corti (SNE, fibre
efferenti intrinseche) o lunghi (parasimpatico e simpatico, fibre efferenti estrinseche).
La parte prossimale dello stomaco, dal punto di vista muscolare, ha fibre meno rappresentate che
sviluppano tensione minore (porzione di deposito), mentre la parte distale ha fibre muscolari oblique
aggiuntive per produrre forza maggiore.
Esistono tre tipi di rilasciamento dello stomaco:
– rilasciamento recettivo: inizia durante la deglutizione, lo stomaco si rilascia per accogliere il
cibo;
– rilasciamento adattativo: la pressione intra-gastrica si adatta e non aumenta subito nel
momento in cui il cibo è nello stomaco, dovuto a recettori che risentono della pressione intra-
gastrica. È sostenuto da riflessi vago-vagali e permette un aumento di volume anche di 1.5L
senza aumento della pressione intragastrica;
– rilasciamento a feedback: si osserva quando il materiale si svuota nel duodeno, in modo da
rallentare il processo diminuendo la pressione intra-gastrica. Infatti, visto che la pressione
intra-gastrica innesca lo svuotamento se aumenta, se diminuisce può inibirlo.
Le pareti dell'antro attuano forti contrazioni volte a propulsione e mescolamento del materiale, infatti
si parla di pompa antrale. A questo livello inizia una certa degradazione delle proteine, per cui il
mescolamento è necessario a mescolare il cibo con le secrezioni dello stomaco (oltre a secrezioni
acide, vengono secreti anche enzimi).
Si osserva, inoltre, una retropulsione che serve a mescolare ulteriormente il materiale: la chiusura del
piloro rimanda indietro il materiale, che si mescola nuovamente. La retropulsione si verifica quando
un'onda di contrazione trova lo sfintere pilorico chiuso.
Il volume del materiale ingerito deve raggiungere una dimensione tale da poter attraversare il piloro
(1-7mm circa di diametro) per cui lo svuotamento inizia dopo un tempo di latenza necessario alla
riduzione del cibo in particelle di dimensioni idonee al passaggio.
Il cibo che passa per primo è quello liquido, che passa per gravità. I lipidi, invece, si depositano e
sedimentano negli strati più prossimali (dove si verifica il rilasciamento recettivo). Infatti, le sostanze
nella parte prossimale rimangono non mescolate anche un'ora e sedimentano secondo la loro densità.
La retropulsione contribuisce alla “macinatura” delle
particelle.
La pressione intra-gastrica varia rispetto al volume del
pasto introdotto, come mostra il grafico . Anche in
corrispondenza della metà del volume di riempimento
dello stomaco, la pressione non aumenta per via del
rilasciamento recettivo.
Se si taglia il vago, si annulla il riflesso vago-vagale e il
volume introdotto fa aumentare la pressione intra-
gastrica. Quindi, in caso di denervazione vagale, la
sensazione di pienezza si sente tra 100 e 200 ml, il
dolore intorno ai 200ml.
La motilità dell'antro è coordinata alla motilità del duodeno. La motilità gastrica, quindi, coinvolge sia
la contrazione del piloro che la motilità dell'antro, ma è anche collegata alla motilità del duodeno.
In particolare, la contrazione antrale dà luogo al rilasciamento duodenale. Inoltre, lo svuotamento
gastrico deve avvenire a una velocità compatibile con i processi duodenali di riassorbimento e
neutralizzazione del chimo acido. La regolazione della velocità di svuotamento dello stomaco avviene
tramite il controllo della forza e della frequenza delle contrazioni antrali e dal livello di contrazione
tonica dello sfintere pilorico.
Il piloro separa ambienti diversi per composizione e volume. Il duodeno accetta pH non troppo acidi,
mentre all'interno dello stomaco il pH è molto acido. La bile che si riversa nel duodeno è
estremamente lesiva a livello gastrico (può produrre ulcere gastriche), così come il passaggio di cibo
troppo acido può generare ulcere duodenali.
Il piloro è regolato in modo molto attivo sia da simpatico e parasimpatico sia dal passaggio del cibo. Al
passaggio, infatti, si modifica la produzione di sostanze che risentono di cosa succede nel duodeno. A
seconda di cosa arriva nel duodeno, si liberano fattori ormonali che modificano ciò che succede a
monte (ad esempio il rilasciamento a feedback, che rallenta lo svuotamento gastrico).
Lo svuotamento si attua quando lo stomaco inizia a distendersi (aumenta la pressione intra-gastrica).
Iniziano le contrazioni dovute a plessi nervosi, simpatico e parasimpatico e alla produzione di gastrina.
Quando arriva materiale al duodeno (più soluti che aumentano l'osmolarità, prodotti di degradazione
delle proteine, lipidi, pH di circa 5-4), recettori della parete duodenale innescano meccanismi nervosi:
riflessi locali, riflessi intramurali che attraverso i plessi murali modulano lo svuotamento dello
stomaco (lo rallentano). Le afferenze giungono anche al SNC. Il sistema nervoso centrale diminuisce il
tono parasimpatico e aumenta il tono simpatico, in modo da diminuire lo svuotamento.
I chemiocettori percepiscono l'ipertonicità del chimo. A livello duodenale arrivano la bile e la
secrezione pancreatica, che fanno aumentare la quantità di soluti. I recettori innescano la produzione
di enterogastrone.
I lipidi, invece, vengono sentiti da recettori che innescano la produzione di colecistochinina (forse
indotta anche da altre sostanze). I
prodotti di degradazione delle proteine
(la degradazione inizia nello stomaco)
intervengono sulla produzione di
gastrina duodenale (infatti la gastrina
non è un ormone esclusivamente
prodotto dallo stomaco, ma può essere
prodotta anche a livello duodenale).
La produzione di secretina, invece, è
innescata dal basso pH (minore di 3.5).
Le secrezioni sia biliare che pancreatica
sono secrezioni basiche (contenuto di
bicarbonato alto), per cui viene promosso
l'arrivo dei succhi che mirano a
tamponare l'acidità.
Questi ormoni stimolano anche la
diminuzione dello svuotamento gastrico.
La gastrina attua una diminuzione dello
svuotamento, ma non vuol dire che inibisca la motilità gastrica. Infatti, la gastrina aumenta la motilità
gastrica e, agendo sullo sfintere pilorico, riesce a diminuire lo svuotamento.
Con infusione di acido nel duodeno
(acidificando il lume duodenale), si osserva
che la motilità dell'antro si ferma e la
motilità duodenale aumenta per azione della
secretina, che risente del basso pH e
aumenta la motilità duodenale (in modo da
scaricare l'acidità) mentre diminuisce la
motilità dell'antro.
Al fine di valutare la diminuzione dello svuotamento gastrico, occorre valutare le azioni delle varie
sostanze:
– simpatico noradrenergico,
parasimpatico colinergico, CCK,
gastrina, secretina, PGI: contraggono il
piloro. La gastrina, così come la
colecistochinina, fa rilasciare lo stomaco e
facilità l'insorgenza del PdA nell'antro. Il
PGI diminuisce la motilità gastrica e la
secretina diminuisce la motilità antrale e
aumenta le contrazioni duodenali;
– parasimpatico non colinergico:
rilasciamento del piloro.
La valvola ileo-cecale mette in comunicazione ileo e colon. Questa risente di riflessi sia locali che non,
e risente della presenza di materiale nella parte finale del tenue, cui risponde aprendosi. Quando il
materiale nel cieco è troppo, invece, si chiude (riflesso cieco-ileale, esempio di riflesso corto regolato
dai plessi intramurali).
Il riflesso gastro-ileale, invece, è regolato da innervazione estrinseca ed è un riflesso medio.
SECREZIONE
Nel tratto gastro-intestinale, il totale di entrate nel lume è di 9 L al
giorno. In particolare, vengono introdotti 2L di cibi e bevante, 1.5L
di saliva, 0.5L di bile, cui si sommano 2L di secrezioni gastriche,
1.5L di secrezioni pancreatiche e 1.5L di secrezioni intestinali.
L'assorbimento è di 8.5L dall'intestino tenue e 0.35L dal crasso,
con espulsione di 0.15L con le feci.
La secrezione non riguarda esclusivamente le sostanze immesse
nel lume, occorre considerare anche la secrezione endocrina nel
sangue.
Fondamentalmente, tutte le secrezione sono composte da una componente proteica specifica e una
componente acquosa (acqua, bicarbonato, sodio, potassio, cloro). In comune a tutto l'epitelio è la
secrezione di muco, che crea una barriera tra contenuto ed enterociti.
Oltre la saliva, oltre a stomaco e pancreas, molti enzimi sono prodotti dall'epitelio intestinale
(eptoenzimi sull'orletto a spazzola).
Saliva
La prima secrezione si osserva a livello delle ghiandole salivari:
– Parotidi, secrezione sierosa: secrezione acquosa priva di mucina, con amilasi. Contribuiscono
alla secrezione salivare per il 20%;
– sottomandibolari, secrezione mista: saliva viscosa contenente mucina. 70%;
– sottolinguali, secrezione mista prevalentemente mucosa: saliva viscosa, 5%;
– ghiandole di piccole dimensioni: contribuiscono alla saliva per il 5% e si trova su palato,
guance, lingua e labbra. Un esempio sono le ghiandole di Von Ebner, sierose, annesse alle
papille gustative.
La saliva svolge diverse funzioni:
– lubrificare il materiale ingerito;
– solubilizzare le molecole introdotte per farle percepire in modo efficiente alle papille gustative;
– umidificare e tenere pulito il cavo orale (fondamentale per una corretta articolazione delle
parole);
– azione difensiva sia per il risciacquo di bocca e denti sia per gli enzimi contenuti (lisozima,
perossidasi, immunoglobuline A);
– azione enzimatica digestiva: lipasi (importante nel neonato) e α-amilasi (tramite la quale
avviene la prima digestione). Quest'ultima scinde il legame α-1,4-glicosidico e ha la stessa
azione dell'amilasi pancreatica. Lavora in un pH da 4 a 11, per cui continua a lavorare anche
nello stomaco finché il pH non cala sotto al 4. Quindi, in teoria nello stomaco non avviene
digestione di carboidrati se non per l'azione di quest'enzima. Il suo pH ottimale è 6.9-7.0;
– potere tamponante: il pH di riposo della bocca tende ad essere acido, ma non scende sotto il 6
per impedire il rilascio di calcio da parte della dentina, che li indebolirebbe: a pH7, normale per
la saliva, quest'ultima è satura di calcio e impedisce la liberazione di calcio dai denti. Il pH
arriva anche a 8 per la presenza di ione bicarbonato;
– presenza di fattori di crescita come l'EGF (fattore di crescita dell'epidermide) o NGF (nerve
growth factor), motivo per cui le ferite all'interno della bocca guariscono più in fretta.
La secrezione salivare viene stimolata durante i pasti.
Tra le sostanze contenute nella saliva, si ritrova la proteina R o Transcobalamina-1 o aptocorrina,
la quale ha alta affinità per la vitamina B12 (ingerita con la dieta legata a proteine, da cui si stacca) e
serve a proteggere la vitamina dall'acidità gastrica.
La secrezione salivare si divide in:
– secrezione isotonica con il plasma: la componente di elettroliti del fluido salivare è isotonica al
plasma;
– saliva ipotonica: nel decorso del primo secreto isotonico che si avvia attraverso i dotti la
componente acquosa si modifica. Il sodio e il cloro vengono riassorbiti, potassio e bicarbonato
vengono secreti, per cui la saliva finale è ipotonica (ha pochi soluti). I processi di
riassorbimento sono maggiori dei processi di secrezione e, inoltre, la membrana dei dotti è
relativamente poco permeabile all'acqua
(ne viene riassorbita poca). Una saliva
ipotonica ha maggior potere diluente
(potere di solvente maggiore, importante
per far arrivare le sostanze nel modo più
diluito possibile alle papille gustative).
La secrezione salivare varia da 1200 a 650
ml/giorno grazie all'alto flusso di sangue.
Il flusso salivare varia in funzione della
modulazione parasimpatica: il flusso aumenta
anche dieci volte più del muscolo in attività.
Il flusso salivare aumenta durante l'ingestione di
un pasto e aumenta anche la sua osmolarità
durante l'aumento del flusso perché le sostanze
che vengono riassorbite vengono riassorbite
meno per il meno tempo disponibile.
La quantità di potassio e bicarbonato nel secreto
salivare è sempre maggiore delle relative concentrazioni plasmatiche.
Un grafico che mette in relazione minima e massima velocità di flusso mostra che ad un flusso che
avviene durante l'ingestione del pasto, la saliva è comunque ipotonica rispetto a una situazione di
lento flusso (molto riassorbimento e molta secrezione) o in una situazione di alto flusso in cui non c'è
il tempo necessario per il riassorbimento (tutto quello che si presenta nella saliva primaria resta).
L'apparente diminuzione di bicarbonato nel grafico è
dovuta a una situazione sperimentale in scale
grossolane. La tendenza, però, è all'aumento.
Quindi, la composizione della saliva definitiva
dipende dai tempi di contatto tra saliva ed epitelio
dei dotti escretori.
I meccanismi
di secrezione
salivare
coinvolgono le
cellule degli acini e quelle dei dotti.
La secrezione salivare che avviene negli acini si compone di una
quota acquosa e una quota enzimatica. Infatti, si osserva la
secrezione di enzimi digestivi (lipasi e amilasi), mentre la quota
acquosa è dovuta alla negativizzazione del lume a sua volta
dipendente dalla secrezione di cloro, che richiama acqua per
osmosi.
La secretina e la colecistochinina (sostanze modulatori della
secrezione) agiscono soprattutto sulla secrezione pancreatica,
hanno poca valenza sulla secrezione salivare.
La secrezione pancreatica e quella salivare hanno molte
caratteristiche in comune.
L'attivazione della secrezione dipende per via riflessa da stimoli olfattivi, meccanici, tattili, gustativi.
Gli stimoli che provengono dalla bocca vanno a finire sui centri salivatori, mentre gli stimoli olfattivi
passano per l'ipotalamo. La composizione salivare viene quindi adeguata al contenuto presente nel
cavo orale.
Le cellule mioepiteliali sono cellule dotate di attività contrattile che si ritrovano a livello delle
ghiandole salivari (acini e dotti). Hanno la funzione di limitare il riempimento degli acini e di accorciare
e allargare i dotti quando la saliva è più densa, aiutandone il flusso. Sono controllate soprattutto dal
simpatico.
Secrezione gastrica
Fondamentalmente,
esistono sostanze
prodotte in modo tonico
in senso basale. Anche
altre sostanze hanno
minima produzione
basale (come HCl), ma
muco e istamina sono
quelle prodotte in modo
tonico, basale in
maggiori quantità.
Si distinguono diverse
regioni dal punto di vista
della secrezione.
La zona del cardias è detta regione ghiandolare cardiale, nel corpo si individua la regione ghiandolare
ossintica e una regione ghiandolare pilorica a livello dell'antro.
Le cellule del fondo producono prevalentemente muco, quelle del corpo sono ricche di cellule
parietali o ossintiche che producono HCl e cellule principali o peptiche che producono
pepsinogeno. Inoltre, si osservano cellule enterocromaffino-simili (ECS) che producono istamina.
Le cellule G del piloro producono soprattutto gastrina (riversato nella circolazione).
La produzione di muco è comune a tutte.
Il muco viene prodotto insieme al bicarbonato e costituisce una barriera che fodera tutto il tratto
gastrointestinale.
Le cellule principali producono fattore intrinseco, pepsinogeno e lipasi gastrica: il pepsinogeno diventa
pepsina e scinde le proteine; la lipasi gastrica scinde le proteine.
La gastrina è un ormone, viene riversato nel sangue e stimola la secrezione di HCl.
L'istamina, prodotta dalle cellule enterocromaffino-simili, è il più forte stimolatore della secrezione
acida.
La somatostatina è l'unico ormone che si comporta sia come sostanza paracrina che ormone, inibendo
tutti i processi.
La secrezione gastrica, quindi, è sia esocrina che paracrina che endocrina:
La leptina è un ormone prodotto dal tessuto adiposo che però viene anche secreto dallo stomaco. La
grelina è l'unico ormone “della fame”, prodotto prevalentemente dallo stomaco.
Parlando di secrezione gastrica occorre considerare tutti e tre i tipi di secrezione, se invece si
considera il succo gastrico, allora si fa riferimento alla secrezione esocrina.
Gli elettroliti che si ritrovano nel succo gastrico variano in funzione della
velocità di secrezione.
Se la secrezione arriva ai 30mEq/ora, si va incontro ad arricchimento del
succo di cloro e idrogeno (HCl). La secrezione gastrica è, inoltre, ricca di
potassio. Quindi, a velocità di secrezione bassa, il secreto è ipotonico
rispetto al plasma (poco idrogeno, molto sodio); a velocità di secrezione
elevata, il secreto è isotonico rispetto al plasma. Il potassio nel succo
gastrico è sempre maggiore della kaliemia (per questo in caso di vomito
si genera ipokaliemia).
La velocità basale di secrezione
di idrogenioni è 1-5mEq/h,
mentre sotto stimolazione è di 6-
40mEq/h.
Gli stimolatori della secrezione acida agiscono sul canale del potassio (istamina, gastrina e
acetilcolina), in modo che aumenti anche il lavoro della pompa H +/K+, e a livello dei canali per il cloro.
L'uscita di potassio, inoltre, iperpolarizza la cellula, aumentando la forza che spinge il cloro nel lume.
Un trasportatore NHE mantiene il pH cellulare scambiando H + con sodio.
Le vie interne comuni di trasduzione del segnale modulano l'AMP ciclico o la concentrazione
intracellulare di calcio.
Gastrina e acetilcolina, aumentatori, utilizzano la stessa proteina G che interferisce con il calcio.
L'istamina, invece, utilizza una proteina stimolatrice dell'adenilato ciclasi.
Le vie che sfruttano diversi secondi messaggeri possono potenziarsi a vicenda.
Gastrina e colecistochinina, invece, utilizzano la stessa via per cui la loro azione è additiva (effetto
quantitativo), ma possono arrivare anche a saturare i meccanismi.
La somatostatina e le prostaglandine utilizza una proteina G inibitoria, che inducono riduzione della
secrezione gastrica.
I fattori che aumentano l'acidità sono fumo e alcol, mentre l'acidità è diminuita da somatostatina e
prostaglandine.
Allo stesso modo, sostanze prodotte dalla sottomucosa regolano l'acidità.
Le sostanze che aumentano la barriera di muco e bicarbonato sono la stimolazione vagale e le
prostaglandine. Mentre diminuiscono la barriera i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei,
inibitori delle prostaglandine). Anche l'Helicobacter pylori inibisce la sintesi di prostaglandine, per cui
diminuisce la barriera difensiva.
Il sistema simpatico (stress) diminuisce la barriera, diminuisce il flusso (che porta fattori trofici e
ossigeno) e può determinare alterazioni della mucosa gastrica (ischemia e ulcere da stress).
La lipasi gastrica, invece, scinde i lipidi più rappresentati nella dieta, i trigliceridi, per questo è detta
anche triacilglicerolo estere-idrolasi. È la stessa lipasi (sebbene agisca in modo diverso) della lipasi
pancreatica.
La lipasi gastrica, che non richiede co-lipasi (mentre la lipasi pancreatica ha bisogno di altri enzimi per
agire), viene inibita attraverso un meccanismo ormonale che si attiva quando si ritrovano lipidi nel
duodeno: se i lipidi sono nel duodeno, vuol dire che il processo della digestione è progredito per cui
occorre rallentare i processi a livello gastrico.
La vitamina B12 è una vitamina essenziale, importante per la maturazione dei globuli rossi.
La sua carenza determina anemia perniciosa.
Quando viene ingerita, entra legata a proteine della dieta. Nello stomaco, il legame con queste proteine
viene rotto e la vitamina B12 viene legata all'aptocorrina, che la protegge dall'ambiente gastrico (non
deve essere degradata). L'acidità stimola il legame tra vitamina e aptocorrina.
Nel duodeno, il pH aumenta per la secrezione di bicarbonato per cui la vitamina tende ad essere
sganciata dall'aptocorrina. Anche le proteasi del duodeno scindono il legame aprocorrina-
vitaminaB12, per cui la vitamina B12 viene legata al fattore intrinseco. Sebbene sia prodotto nello
stomaco, agisce solo a livello duodenale perché a livello gastrico la vitamina è legata all'aptocorrina). Il
legame con il fattore intrinseco permette l'assorbimento per endocitosi mediata da recettore. Nella
cellula, la vitamina lega una Transcobalamina 2 (l'aptocorrina salivare è detta anche Transcobalamina
1) che la trasporta al fegato (deposito).
Fase cefalica
La fase cefalica, visto che nello stomaco non arriva niente (non dipende dal contenuto dello stomaco),
avviene tramite la via nervosa: il vago. Il nervo vago è quello che informa lo stomaco di quello che
succede a livello cefalico (vista del cibo, masticazione, ormoni) in modo da aumentare la secrezione
acida.
Un aumento rapido del 30-35% è dovuto alla stimolazione di cellule parietali e cellule G.
Se alla fase cefalica non segue l'ingestione del pasto, l'acidità dello stomaco aumenta e il pH scende
perché si ha una quota di secrezione acida non tamponata dal cibo. In questo caso, le cellule D
risentono dell'aumentata acidità non tamponata dal cibo e bloccano la secrezione acida.
Se invece alla fase cefalica segue l'ingestione di cibo, si procede nella fase
gastrica.
La dimostrazione della fase cefalica è stata prodotta da Pavlov attraverso
l'esperimento del falso pasto: esiste una fase di secrezione anche quando il
cibo non arriva nello stomaco. In un animale da esperimento fu creata una
fistole per cui il cibo immesso nel cavo orale non progrediva lungo il tratto
gastrointestinale e, nonostante l'assenza di cibo nello stomaco, si assisteva
a secrezione gastrica.
Fase gastrica
La fase gastrica è promossa dai prodotti di degradazione delle proteine e
dalla distensione dello stomaco (recettori da stiramento). L'aumento
prodotto è del 40-50%.
Sia a livello del corpo e del fondo che a livello dell'antro, il meccanismo
della secrezione va avanti.
Esisterebbe una quota di assorbimento di prodotti di degradazione delle
proteine da parte dello stomaco, che potrebbe essere una quota che
aumenta la produzione da parte delle cellule parietali.
I riflessi intramurali o vago-vagali (attraverso acetilcolina o altri
trasmettitori) aumentano la secrezione acida e la secrezione di istamina.
Una volta saturata la capacità tampone del
contenuto gastrico, il pH diminuisce e viene
inibita la produzione di HCl o attraverso riflessi
locali o attraverso le cellule D.
Fase intestinale
La fase intestinale segue la fase gastrica. Inizialmente, è una fase stimolatoria.
Il primo contenuto che arriva nel duodeno ha pH alto, perché il cibo ha
tamponato l'acidità gastrica.
Quindi, la distensione del duodeno, il chimo con pH maggiore di 3 e prodotti
delle digestione delle proteine inducono la produzione di entero-oxintina
(cellule intestinali endocrine) o gastrina (cellule G), in modo da stimolare le cellule parietali alla
secrezione di acido.
La fase intestinale inibitoria, invece, inizia quando nel duodeno si ritrova una soluzione
iperosmotica (tanti soluti dovuti sia alla secrezione di pancreas e fegato che al contenuto del lume)
che, associata alla presenza di carboidrati, grassi e
proteine e al pH acido, promuove la secrezione di
ormoni da parte di cellule della mucosa duodenale.
In particolare, il peptide gastro-inibitore, il GLP-1,
la colecistochinina e la secretina.
La colecistochinina è l'ormone principale della
stimolazione degli acini pancreatici. Quindi, la
colecistochinina aumenta il tono dello sfintere
pilorico, aumenta la secrezione degli acini
pancreatici e agisce a livello della motilità e della
secrezione gastrica (inibendole).
La secretina, invece, arricchisce il lume di
bicarbonato stimolandone la secrezione
pancreatica. Aumenta inoltre il tono dello sfintere
pilorico e diminuisce la motilità dell'antro mentre
aumenta la motilità del duodeno.
Protezioni gastro-duodenali
La mucosa è difesa dal muco, dalla secrezione di
bicarbonato da parte di pancreas, fegato e ghiandole duodenali. L'acidità del contenuto duodenale
innesca tramite vie nervose e umorali un processo che mira a rallentare lo svuotamento di sostanze
acide nel duodeno e promuovere la secrezione alcalina da fegato e pancreas e dalle ghiandole di
Brunner.
L'eccessiva presenza di acido per ipersecrezione, per la diminuzione della protezione della mucosa
(come in caso di aumento di stimolazione simpatica) o se l'Helicobacter prolifera eccessivamente,
determina l'insorgenza di ulcera gastrica e duodenale.
L'Helicobacter, presente prevalentemente a livello dell'antro, può colonizzare la mucosa gastrica e
secernere proteine che inducono risposta immunitaria. Ne consegue l'invasione di macrofagi (con
rilascio di citochine e altre sostanze) che provocano gastrite cronica superficiale. Visto che la
localizzazione principale del batterio è l'antro, se predomina l'infezione antrale, le cellule D
diminuiscono in conseguenza alla gastrite, per cui aumenta la secrezione di HCl.
L'Helicobacter prolifera in ambienti acidi perché ha elevati livelli di ureasi (trasforma l'urea in CO 2 e
NH3, tamponando l'acidità gastrica)
PANCREAS
Il 2% della secrezione pancreatica è endocrina.
La secrezione esocrina avviene da parte di acini e dotti
intralobulari ed extralobulari.
La secrezione prodotta ha due componenti: enzimatica
(enzimi proteolitici, molti più di quelli che si ritrovano a livello
della saliva) e acquosa (acqua ed elettroliti).
La componente acquosa resta isotonica nella prima parte (fino
ai dotti intralobulari), mentre progredendo (se stimolata in
modo specifico dalla secretina) viene modificato il contenuto:
viene arricchito il secreto di bicarbonato (in scambio con il
cloro).
Quando la secrezione pancreatica è fortemente stimolata dalla
secretina, la quantità di bicarbonato immessa nel secreto è più
elevata. Quando è stimolata, invece, dalla colecistochinina, il
secreto sarà ricco di enzimi.
L'acetilcolina, la colecistochinina e la secretina modulano la secrezione degli acini. Il canale per il cloro
arricchisce il cloro di cariche negative, richiamando sodio (cariche positive) e acqua (per osmosi).
Le vie intracellulari agiscono su calcio o AMP ciclico. Acetilcolina e colecistochinina, in particolare,
utilizzano le variazioni di calcio.
FEGATO
Il fegato può essere considerato come composto di lobuli divisi più o meno anatomicamente e
funzionalmente. I lobuli hanno una vascolarizzazione in arrivo doppia (arteria epatica e vena porta) e
una in uscita (vena epatica centro-lobulare). Inoltre, a livello lobulare si formano i canalicoli biliari
responsabili del secreto esocrino del fegato: la bile. Questo avviene grazie alle caratteristiche delle
cellule epatiche (ad esempio il trasporto di glucosio) e dei sinusoidi epatici (che presentano
fenestrature non chiuse da diaframmi).
Quindi il fegato può essere paragonato a una ghiandola esocrina.
Le vie biliari veicolano il secreto epatico che si raccoglie nella colecisti e viene fatto defluire nel
coledoco. Quest'ultimo si unisce al dotto pancreatico per l'immissione nel duodeno (sfintere di Oddi).
I lobuli possono essere considerati “classicamente” con la vena epatica al centro, oppure in una
conformazione portale con la vena porta al centro.
In realtà, si preferisce separare le zone in funzione della distribuzione dell'ossigeno.
La zona 1, zona più ossigenata, porta avanti le reazioni che necessitano di ossigeno (come il
metabolismo ossidativo); la zona 2 è una zona di transizione e infine la zona 3 è quella meno
ossigenata e attuare reazioni che hanno meno necessità di ossigeno (bio-trasformazioni e
detossificazioni).
Quindi, si preferisce attuare una zonazione in funzione della necessità di ossigeno.
Bile
La bile, prodotta in 0.6L/giorno, non contiene enzimi, ma prevalentemente:
– acidi/sali biliari,
– fosfolipidi (lipidi polari, quindi aiutano la gestione degli altri lipidi),
– colesterolo (in poca quantità, 4%, una delle vie di eliminazione del colesterolo),
– bilirubina e pigmenti biliari (poca quantità, da eliminare),
– bicarbonato (anche la secrezione epatica si arricchisce di bicarbonato durante l'intenso flusso,
uno dei motivi che aumentano il pH duodenale).
Il flusso biliare è un flusso continuo, ma visto che la bile è necessaria solo in determinati momenti, la
bile prodotta viene convogliata nella colecisti che ha un volume molto minore di quello che servirebbe
per contenere tutto il flusso. Per questo, nella colecisti la bile si concentra (di 5-20 volte).
Al momento della stimolazione della colecisti, dopo un pasto, la bile si getta nel duodeno
fondamentalmente in funzione della quantità di lipidi che si ritrovano: al fine digestivo, la bile si
occupa della digestione dei lipidi per cui viene secreta in funzione di essi.
Affinché la bile sia rilasciata nel duodeno è necessaria la contrazione della colecisti e l'apertura dello
sfintere di Oddi: entrambe le funzioni dipendono dalla colecistochinina (queste due funzioni si
sommano alle funzioni della colecistochinina trattate precedentemente).
Acidi e sali biliari sono molecole anfipatiche (una parte idrofilica e una lipofililica e idrofobica). In
questo modo, possono legarsi ai lipidi e permettere che si interfaccino con l'acqua. Quindi, si pongono
tra acqua e lipidi diminuendo la tensione superficiale delle gocce lipidiche.
In questo modo, se c'è uno stimolo meccanico che smuove i lipidi, questi ultimi si dividono in gocce più
piccole (già la motilità del tratto gastrointestinale attua una sorta di divisione dei lipidi): attuano così
la loro prima funzione, quella di emulsione dei lipidi.
Se il contenuto di lipidi alimentari è prevalentemente di trigliceridi (come di fatto è), le gocce lipidiche
sono fatte di trigliceridi.
L'altra funzione dei sali/acidi biliari è la formazione di micelle, formare da 20 a 50 molecole lipidiche
(non sono mai trigliceridi): le micelle hanno bisogno
dei sali biliari per essere assemblate, ma sono il frutto
della degradazione enzimatica dei lipidi. I trigliceridi si
trasformano in altri composti e questi ultimi fanno
parte delle micelle, non i trigliceridi.
Quindi occorre una concentrazione sufficiente di sali
biliari per formare le micelle.
Bilirubina
La bilirubina è un prodotto di degradazione dell'eme ed è una componente della bile che viene
eliminata per l'80-85%.
Prodotta dalla degradazione dell'eme, si lega all'albumina, circola nel plasma e arriva al fegato, dove
viene captata con vari meccanismi e viene coniugata all'acido glucuronico per essere eliminata.
Anche la bilirubina all'interno del passaggio nel tratto gastrointestinale può subire trasformazioni
chimiche o da parte di batteri intestinali: si forma l'urobilinogeno, che può essere trasformato in
stercobilinogeno (quindi stercobilina) o in urobilina.
Sono responsabili del colore delle feci.
Un 2% di questi coloranti vengono riassorbiti e si portano nel rene, dove colorano l'urina.
Se la bilirubina aumenta nel plasma, sia come bilirubina libera che coniugata, provoca ittero (compare
a 2-2.5mg/100cc). A seconda di quale delle due forme risulta aumentata rispetto all'altra si possono
effettuare le diagnosi.
Ad esempio, la bilirubina libera o indiretta aumenta in caso di emolisi, distruzione degli eritrociti in
sede extra-vasale o per difetti di captazione o coniugazione della bilirubina a livello epatico.
La bilirubina secondaria o diretta, invece, aumenta per distruzione degli epatociti o ostruzione delle
vie biliari extra-epatiche.
Calcoli biliari
I calcoli biliari sono dovuti fondamentalmente alla deposizione di colesterolo (calcoli di colesterolo) o
di bilirubina non coniugata che forma calcoli di sali di calcio di bilirubina non coniugata. Le cause
possono essere un eccessivo assorbimento di acqua dalla bile o di sostanze emulsionanti (acidi biliari e
lecitine), flogosi della mucosa (altera il riassorbimento delle sostanze che mantengono la bile in
soluzione) o un eccesso di colesterolo.
Fegato e metabolismo
Il fegato ha funzione di deposito (vitamina B12, vitamina A, vitamina D, ferro), di detossificazione (di
sostanze tossiche endogene come lo ione ammonio o somministrate per via esogena), produzione di
glutatione, sintesi di urea, eliminazione di eventuali batteri entrati nel circolo portale, catabolismo di
molti ormoni (regolazione della funzione degli ormoni limitandone la durata).
Inoltre, è deputato al deposito di glicogeno, al controllo dell'assorbimento del glucosio e alla sintesi e al
metabolismo di acidi grassi.
Una piccola quota di EPO viene prodotta dal fegato, trasforma T4 in T3 e inoltre viene prodotta
epcidina, ormone regolatore del ferro.
Quindi gli epatociti si occupano dei principali nutrienti:
– carboidrati: deposito di glicogeno, mantenimento della concentrazione plasmatica di glucosio
costante, glicogenolisi e gluconeogenesi;
– lipidi: captazione e degradazione dei chilomicroni, sintesi delle VLDL, produzione della bile, β-
ossidazione degli acidi grassi;
– proteine: catabolismo proteico e produzione di ammoniaca e urea, sintesi degli amminoacidi
non essenziali e delle proteine plasmatiche;
– altro: accumulo di ferro e vitamine A, D e B12;
– farmaci, ormoni e tossine: coniugazione delle sostanze per renderle idrosolubili e facilmente
eliminabili dal rene.
Le funzioni metaboliche del fegato non verranno trattate e non saranno oggetto di domande d'esame.
DIGESTIONE E ASSORBIMENTO
La più grande superficie di contatto con l'esterno, 240m 2, è quella del sistema gastrointestinale. Si
instaura però un conflitto tra necessità di assorbire acqua e nutrienti e necessità di impedire l'entrata
di sostanze dannose.
Esistono quindi meccanismi di difesa e meccanismi di aumento della superficie (villi, microvilli).
I meccanismi di difesa sono:
– muco;
– enzimi digestivi che degradano anche proteine virali e batteriche;
– maggiore quantità di tessuto linfoide (GALT, 80% di tutte le cellule produttrici di IgG).
I meccanismi per aumentare la superficie assorbente, invece, sono la formazione delle pieghe
intestinali, dei villi e dei microvilli.
L'assorbimento avviene all'apice dei villi, perché lungo i villi si opera una maturazione progressiva
delle cellule che arrivano dalla base all'apice e poi si sfaldano (continuo ricambio dell'epitelio).
A livello delle cripte, invece, si ha secrezione.
Esistono cellule che producono serotonina, sostanze antibatteriche e a livello del duodeno si trovano le
ghiandole di Brunner, in
grado di secernere elettroliti
isosmotici con il plasma ed
enzimi (amilasi, proteasi
enterochinasi).
I principali enzimi digestivi
sintetizzati dalla mucosa
intestinale sono mostrati dalla
tabella (che indica l'enzima, il
substrato su cui agisce, la
funzione o i prodotti e il pH ottimale).
Carboidrati
I carboidrati della dieta sono soprattutto polisaccaridi (amido di origine vegetale) fondamentalmente
in due forme: amilopectina (legami lineari α-1,4 e legami ramificati α-1,6 glicosidici) e amilosio
(struttura lineare con legami α-1,4 glicosidici).
La cellulosa invece ha legami di tipo β, contro i quali il nostro organismo non produce enzimi.
Inoltre, si ingeriscono disaccaridi come lattosio e saccarosio oppure monosaccaridi (come il fruttosio).
La dieta introduce anche glicogeno di origine animale (muscolo).
L'amilopectina è suscettibile all'α amilasi, ma quest'ultima non scinde il legami α-1,6.
Quindi, l'α-amilasi salivare e pancreatica riesce a rompere molti legami lineari di tipo α-1,4 ma, oltre a
non rompere gli α-1,6, non riesce a scindere le estremità terminali né i legami α-1,4 prossimi a legami
α-1,6. I prodotti di degradazione di amilosio e amilopectina, quindi, sono maltosio, maltotrioso e
destrine.
Per terminare la digestione dei carboidrati, servono altri quattro enzimi:
– maltasi o glucoamilasi per il maltosio e il maltotriosio;
– α-destrinasi per i legami α-1,6;
– enzimi degradativi
dei disaccaridi (non
suscettibili alla
degradazione dell'α-
amilasi): lattasi e
saccarasi.
La lattasi (enzima di
membrana) scinde il lattosio
in glucosio e galattosio.
La maltasi scinde maltosio e
maltotriosio in singole
molecole di glucosio.
Il saccarosio viene scisso in glucosio e fruttosio dalla saccarasi.
Con questi enzimi, tutti i carboidrati vengono scissi in glucosio, galattosio e fruttosio.
L'assorbimento di questi tre composti, che possono arrivare in varia
proporzione e presentarsi all'orletto a spazzola come destrine o
oligosaccaridi, dipende da diversi meccanismi:
– SGLT1: sodio-glucosio trasportatore, trasporto attivo
secondario. Il sodio entra per far entrare glucosio e galattosio;
– GLUT5: maggiore specificità per il fruttosio;
– GLUT2: per tutti e tre, posto sul versante baso-laterale.
A livello della membrana baso-laterale la diffusione è facilitata, non
serve un trasporto attivo.
Tutto l'assorbimento dei carboidrati si esaurisce in genere nei primi
tratti dell'intestino.
I tre trasportatori sono espressi solo nelle cellule intestinali matura
(apice del villo), non in quelle immature delle cripte.
Se arriva una piccola parte a livello della flora batterica (in genere 6-
10% di amido, monosaccaridi e disaccaridi vengono totalmente
riassorbiti nel tenue), gli atomi di carbonio vengono utilizzati per produrre gas.
Proteine
La digestione delle proteine inizia nello stomaco grazie alla pepsina e prosegue nel duodeno.
Qui, il tripsinogeno viene attivato dall'enterochinasi dell'orletto a spazzola e si trasforma in tripsina,
che a sua volta attiva gli altri proenzimi. Tripsina, chimotripsina e elastasi sono endopeptidasi, mentre
le carbossipeptidasi A e B sono esopeptidasi (effettuano tagli a livello dell'estremità C-terminale).
I residui della degradazione delle proteine vengono assorbiti dall'enterocita.
Aminopeptidasi (esopeptidasi situate sull'orletto a spazzola) degradano gli oligopeptidi che arrivano
sull'orletto a spazzola e, una volta entrati nella cellula, gli oligopeptidi (di- o tripeptidi) possono
trovare proteasi citoplasmatiche.
Quindi, la digestione non si esaurisce con le proteasi gastriche e pancreatiche, ma si avvale di eptoenzimi
sull'orletto a spazzola e nel citoplasma.
Le proteine derivano anche da tutte le secrezioni del tratto gastrointestinale, non solo dalla dieta, e dai
processi di sfaldamento della mucosa.
In genere le proteine sono tutte assorbite, può esserci una quota nelle feci di derivazione batterica o
dallo sfaldamento della membrana.
L'assorbimento per i singoli amminoacidi utilizza numerosissimi trasportatori (dovuti alla natura
diversa degli amminoacidi), mentre per far entrare i 400 dipeptidi e gli 8000 tripeptidi c'è solo un
trasportatore: HPepT1 (co-trasporto con l'idrogeno). L'idrogeno esce dalla cellula tramite NHE
(contro-trasporto con il sodio che sfrutta il gradiente di quest'ultimo) ed entra tramite HPepT1 con gli
oligopeptidi.
Sul versante baso-laterale sono riversati nel sangue tramite gli stessi meccanismi che ne determinano
l'ingresso.
Non sono stati trovati trasportatori per amminoacidi acidi (glutammato, aspartato e glutammina) a
livello baso-laterale, che prendono parte attiva nel metabolismo delle cellule e vengono probabilmente
trattenuti.
Lipidi
I lipidi si presentano sotto varie forme: acidi grassi, glicerolo, trigliceridi, digliceridi, colesterolo, acido
colico, esteri del colesterolo, ecc.
Possono essere polari come fosfolipidi e colesterolo e formare strutture che si interfacciano con la fase
acquosa, oppure apolari come i trigliceridi.
I lipidi sono scarsamente solubili in acqua e si stratificano nello stomaco a formare una fase oleoasa.
Innescando la produzione di ormoni a livello duodenale, possono contribuire a limitare lo
svuotamento gastrico. Vengono emulsionati da sali e acidi biliari e dopo la degradazione si formano le
micelle.
Esiste una lipasi linguale che idrolizza uno dei legami esterei primari del triacilglicerolo per produrre
diacilglicerolo e acido grasso, ma è poco rappresentata e più importante nel neonato.
La lipasi gastrica viene prodotta dalle cellule principali insieme al pepsinogeno. Scinde un solo acido
grasso e forma un digliceride (come la lipasi linguale). Quando la lipasi pancreatica è inattiva, questa
lipasi è fondamentale.
La lipasi pancreatica riduce i trigliceridi e ha bisogno di una co-lipasi. Opera una digestione più
completa e forma un monogliceride e due acidi grassi. Agisce a un pH diverso della lipasi gastrica. Se
presente, la lipasi pancreatica degrada la maggioranza dei lipidi.
Nell'ambiente duodenale, ha bisogno della co-lipasi in quanto a questo livello i lipidi si interfacciano
con acidi e sali biliari, che impediscono alla lipasi di lavorare. La co-lipasi stacca i sali biliari dalla
goccia lipidica per permettere il funzionamento della lipasi.
Inoltre, gli acidi biliari contribuiscono alla digestione emulsionando i lipidi.
La più piccola goccia lipidica (alla fine, la prima formazione di gocce è dovuta alla motilità gastrica) è di
circa 1µm di diametro. Una volta attaccata da lipasi o enzimi, si formano prodotti di degradazione che
si uniscono in micelle, di 500-2000nm (molto più piccole e diverse dalle gocce lipidiche sia per
contenuto che dimensioni).
La micella serve per convogliare i lipidi al prospetto degli enterociti, ma occorre superare uno strato di
liquido che si forma tra i villi detto strato
fermo o immobile, strato acquoso
stazionario acidificato dallo scambiatore
H+/Na+.
Durante il passaggio in questo strato, spesso
circa 200-500µm, la micella subisce un
gradiente di pH: le micelle si arricchiscono di
H+ e vengono riassorbite più facilmente in
quanto entrano per contatto/collisione con la
membrana. Questo avviene a meno che non ci
siano acidi grassi a catena particolarmente
lunga o altri lipidi come il colesterolo che
necessitano di trasportatori sulla membrana
dei microvilli. In particolare, il trasportatore
per il colesterolo è NPC1L1 (Nieman Pick C1-
Like1), mentre per gli acidi grassi sono ABC
G5 e G8 (ATP-Binding Cassette G5 e G8).
L'assorbimento dei lipidi è completato in duodeno e digiuno.
Il colesterolo è quello che viene assorbito meno, più lentamente: man mano che le micelle procedono
lungo il tratto gastrointestinale si impoveriscono di lipidi, ma restano cariche di colesterolo. Il
colesterolo biliare è assorbito meglio del colesterolo alimentare.
I lipidi nelle feci possono derivare sia dalla desquamazione che dai batteri.
Gli enterociti sono in grado di sintetizzare lipoproteine senza utilizzare i lipidi prelevati
dall'assorbimento.
Quando i lipidi entrano nella cellula in forma elementare, si legano a proteine che li veicolano nel
citoplasma per evitare la formazione di agglomerati, e vengono immessi nel REL, nel RER,
nell'apparato del Golgi. Durante questo tragitto si organizzano in strutture diverse, si arricchiscono di
apolipoproteine secrete nei vari organuli e formano grosse lipoproteine: i chilomicroni (diametro di
750-5000 Å). Essendo troppo grandi per entrare nei capillari ematici, per cui vengono drenati dai
capillari linfatici.
Le apolipoproteine B48 e ApoCII permettono ai chilomicroni di essere riconosciuti dai tessuti che li
ricevono. ApoE ne permette la captazione dal fegato, mentre ApoCII stimola la lipasi lipoproteica e
permette la cessione di acidi grassi dai chilomicroni ai tessuti muscolare e adiposo.
I chilomicroni sono composti perlopiù da trigliceridi, mentre in HDL e LDL prevalgono altri
componenti (colesterolo, ad esempio). Anche le VLDL sono ricche di trigliceridi.
Vitamine liposolubili
Le vitamine liposolubili (A, D, E e K) vengono riassorbite per diffusione semplice o facilitata: la
vitamina A o il carotene (suo precursore) è assorbita con diffusione semplice, la vitamina D per
diffusione semplice pH sensibile (minore è il pH, maggiore è l'assorbimento), la vitamina E e i
tocoferoli vengono assorbiti per diffusione semplice. Infine, la vitamina K viene trasportata da un
trasportatore o per diffusione semplice.
Per le vitamine idrosolubili, invece, esistono trasporti attivi con il sodio, trasportatori specifici o
endocitosi mediata da recettore per la vitamina B12.
ASSORBIMENTO LIQUIDI
L'assorbimento di sostanze attraverso la mucosa intestinale è prevalentemente circoscritto alla prima
parte (duodeno e digiuno). Per quanto riguarda
gli elettroliti, invece, vengono riassorbiti anche a
livello del colon e una quota di bicarbonato (ione
del succo intestinale) e potassio viene addirittura
secreta.
A livello duodenale, si ha passaggio di acqua nel lume per via della maggior osmolarità del contenuto e
la secrezione dello ione bicarbonato. Sodio, cloro, potassio, calcio e ferro vengono riassorbiti. In
particolare, il calcio viene riassorbito con la forma attiva della vitamina D.
⦁ Digiuno
Nel duodeno, la via paracellulare è maggiore di quella
transcellulare. A livello del digiuno, invece, la via
paracellulare diminuisce progressivamente e inoltre
diminuisce anche la superficie assorbente (per la
diminuzione della superficie con orletto a spazzola,
responsabile proprio dell'amplificazione della superficie
assorbente).
– Il sodio viene assorbito con meccanismi attivi
incrementati da zuccheri e amminoacidi neutri;
– il cloro viene riassorbito;
– il bicarbonato subisce un notevole assorbimento
(che segue l'enorme secrezione avvenuta nel
duodeno);
– il potassio subisce processi di assorbimento passivo quando aumenta la concentrazione per
effetto dell'assorbimento di acqua. In caso di diarrea, si riscontrano notevoli perdite di
potassio.
⦁ Ileo
A livello dell'ileo, è importante il trasporto accoppiato di sodio e cloro: viene riassorbito NaCl
(riassorbimento elettroneutro) grazie alla secrezione di ioni H + (in contro-trasporto con il sodio) e ioni
bicarbonato (pendrina con il cloro), accoppiati dal pH.
Per gli altri ioni:
– il potassio subisce processi di assorbimento passivo, ma la
sua concentrazione aumenta per il riassorbimento di
acqua;
– il cloro viene assorbito sia passivamente, sia in contro-
trasporto con il bicarbonato;
– il bicarbonato viene secreto tramite la pendrina, e
assorbito se la concentrazione è maggiore di 45mM.
⦁ Colon
A livello del colon, si assiste a una diminuzione della superficie assorbente e le tight junctions
diventano più serrate: il flusso paracellulare diminuisce.
I processi di assorbimento e secrezione sono regolabili
di sostanze e ormoni (come canali per il sodio regolati
da aldosterone).
– Il sodio subisce assorbimento attivo contro
gradiente elettrochimico da parte del canale
ENaC, canale elettrogenico del sodio;
– il potassio subisce una secrezione netta quando
la sua concentrazione nel lume è minore di
25mM. Nel momento in cui supera questa soglia
(colon distale) subisce assorbimento;
– il cloro viene assorbito in parte per scambio con
il bicarbonato;
– il bicarbonato viene secreto.
Visto che le giunzioni sono molto serrate, il trasporto elettrogenico del sodio crea una differenza di
potenziale di -30mV (lume negativo), responsabile della secrezione di potassio.
⦁ Cripte di Lieberkun
A livello delle cripte di Lieberkun, avviene la secrezione di cloro, sodio e acqua.
Le cellule epiteliali secernono cloro dal canale della fibrosi cistica, il quale negativizza il lume per cui
richiama sodio e acqua per osmosi.
Per attuare questo trasporto, sono necessari
trasportatori sulla membrana baso-laterale, in
particolare NKCC (che permette l'ingresso di sodio,
potassio e due ioni cloro).
Sostanze come il VIP (tramite una proteina GS), le
prostaglandine e l'acetilcolina promuovono la
secrezione.
Allo stesso modo, la tossina del batterio del colera,
tramite l'aumento di cAMP, determina un'iperattività del
canale della fibrosi cistica: aumenta la secrezione di
cloro, sodio e acqua (diarrea profusa con perdita di
anche 20L di feci).
I soggetti affetti da fibrosi cistica (malattia autosomica
recessiva che consiste in una mutazione del canale
CFRT) hanno minor probabilità di sviluppare i sintomi del colera e sono in generale meno suscettibili
alle sostanze che inducono la secrezione di acqua.
Anche altre tossine prodotte da batteri intestinali possono agire sui canali e modulare la secrezione.
In particolare:
– Tossina del colera: attraverso variazioni di cAMP;
– tossine del E. coli: attraverso variazioni di cAMP o cGMP;
– tossine batteriche del Clostridium e di Yersinia: attraverso variazioni di calcio intracellulare;
– sostanze circolanti come VIP, serotonina, bradichinina, acetilcolina e guanilina;
– istamina e prostaglandine prodotte dalle cellule della lamina propria, in particolare cellule
immunitarie: aumentano la secrezione e inibiscono il riassorbimento direttamente sulle cellule
epiteliali mentre agendo sui neuroni del SNE stimolano i neuroni secretomotori;
FLORA BATTERICA
La funzione assorbente e la sua selettività dipende dal processo digestivo stesso e quindi subisce
adattamenti.
In particolare, la funzione assorbente può adattarsi in maniera specifica:
– aumento della velocità del ciclo funzionale dei trasportatori;
– aumento del numero di trasportatori;
Oppure in maniera non specifica:
– aumento della superficie cellulare;
– aumento del numero di cellule.
Anche la funzione digestiva può adattarsi in funzione della dieta. Ad esempio, una dieta ricca di
carboidrati stimola la secrezione di α-amilasi.
Anche la flora batterica gioca un ruolo nelle variazioni dell'assorbimento.
La flora intestinale è una risorsa positiva che influenza in modo cruciale lo sviluppo strutturale e
funzionale normale del sistema immunitario della mucosa del tratto gastrointestinale. Le risposte
immunologiche della mucosa alla microflora intestinale residente richiedono un preciso controllo e
una capacità immunosensibile per distinguere batteri commensali da patogeni.
In individui geneticamente suscettibili, alcune componenti della flora possono diventare uno
svantaggio e contribuire alla patogenesi di vari disordini intestinali (anche malattie infiammatorie).
La flora batterica intestinale (microbioma) è composta da 1014-1018 microrganismi (l'organismo
umano è composto da circa 1013 cellule eucariotiche), indispensabili per:
– sintetizzare amminoacidi e vitamine essenziali;
– processare sostanze indigeribili, come polisaccaridi vegetali.
Tra le oltre 1000 specie differenti (70 divisioni di batteri, 13 di archea), più del 99% è rappresentato
due famiglie: Firmicutes e Bacteriodates (altre sono proctobacteria e lactobacillus).
Il microbioma contiene un numero di geni oltre 100 volte maggiore del genoma umano (circa 20'000
geni). Una visione generale del patrimonio genetico umano deve includere anche i geni del
microbioma (microbiota).
Sono state individuate differenze significative nelle diverse popolazioni di microrganismi anche tra
persone sane che possono contribuire alle normali variazioni fisiologiche tra individui e predisporre a
patologie.
Le mutue relazioni con il microbioma intestinale possono influenzare:
- la maturazione del sistema immunitario;
- le risposte a lesioni cellulari;
- il bilancio energetico, quindi la quantità di sostanze che possono essere assimilate;
- processazione di composti estranei all'organismo (xenobiotici);
- la metanogenesi;
- il metabolismo di carboidrati e amminoacidi.
I benefici derivanti dalla presenza dei batteri sono:
– metabolismo aggiuntivo di nutrienti e sostanze organiche;
– contribuito allo sviluppo dell'epitelio intestinale, della vascolarizzazione e del tessuto linfoide;
– contributo ai fenomeni di resistenza alla colonizzazione di agenti patogeni;
– sistemi di riconoscimento per organismi residenti o possibili patogeni.
In alcuni casi, però, possono contribuire alla patogenesi di IBD, Inflammatory Bowel Disease (come
colite ulcerosa, morbo di Crohn), obesità e colon irritabile.
Infatti, è necessario un
equilibrio tra flora batterica e
sistema immunitario intestinale.
Buona Cattiva
Actinobacteria Bifidobacterium: aiuta a regolare i livelli
di altri batteri nell'intestino, a modulare le
risposte immunitarie, a prevenire la
formazione di tumori e produce vitamine
Proteobacteria E. Coli: diversi ceppi sono coinvolti nella Campylobacter: C. coli e C.
produzione di vitamina K2 e aiutano a jejuni sono i più coinvolti nelle
mantenere sotto controllo i batteri cattivi malattie. L'infezione avviene
(sebbene alcuni ceppi possano causare tramite ingestione di alimenti
malattie) contaminati.
Firmicutes Lactobacilli: producono vitamine e Enterococcus faecalis: causa
sostanze nutritive, aumentano le difese comune di infezioni post-
immunitarie e proteggono contro agenti chirurgiche;
cancerogeni Clostridium difficile: diviene più
nocivo dopo un ciclo di
antibiotici, quando è in grado di
proliferare.
Gli antibiotici in alcuni casi uccidono ceppi della flora batterica, in altri casi sono in grado di rendere
più attivi altri ceppi.
Molti ceppi batterici hanno un certo livello di ereditabilità (alcuni, come i Firmicutes, sono associati a
condizioni di obesità).
Ricapitolando, le funzioni sono:
– protettive: contro i patogeni in quanto competono per i nutrienti e i recettori e, inoltre,
producono fattori anti-microbici (come acido lattico);
– strutturali: fortificazione della barriera, induzione di IgA, sviluppo del sistema immunitario,
chiusura delle tight junctions;
– funzioni metaboliche: controllo di proliferazione e maturazione delle cellule epiteliali
intestinali, sintesi di vitamine (biotina, folati), digestione di sostanze non digeribili,
assorbimento di ioni.
La quantità di batteri si misura in cfu/ml (dove cfu sta per colony forming unit).
La bocca è un ambiente molto popolato di batteri, da 10'000 a un miliardo per millilitro (secondo i
dentisti dicono è l’ambiente più infetto del nostro organismo). Lo stomaco è relativamente libero da
batteri, che sono circa 1000/ml.
A livello del tenue possono arrivare a 10 miliardi/ml (soprattutto Lactobacilli), nel colon anche a 1000
miliardi/ml (Bifidobacteria).
Sostanze prodotte dai batteri (come lipopolisaccaridi) interferiscono con il sistema nervoso enterico e
con i macrofagi al fine di promuovere la stabilità della popolazione batterica. Hanno anche la
possibilità di interferire con la motilità intestinale o altre funzioni fisiologiche.
Breath Test
Il Breath Test o test del respiro è un esame clinico che si basa sulla possibilità di analizzare, nell'aria
espirata, i gas generati dal metabolismo intestinale di substrati esogeni da parte della flora batterica
intestinale. I batteri producono principalmente anidride carbonica, idrogeno e metano: mentre
l'anidride carbonica è prodotta da tutte le cellule del nostro organismo, H 2 e CH4 sono prodotti
esclusivamente dai batteri del colon, principalmente anaerobici, in seguito al metabolismo dei
carboidrati.
Si somministrano substrati marcati, che vengono processati dai batteri e trasformati in gas. I gas
vengono riassorbiti ed elimina dalla respirazione. Se si riscontra produzione di gas, allora le cause
possono essere due:
– il substrato è stato esposto in quantità abnorme alla fermentazione batterica (ad esempio non
assorbito);
– i batteri sono localizzati in zone diverse da quelle in cui sono normalmente presenti (i batteri si
portano verso porzioni più prossimali).
In questo modo si può studiare il transito intestinale e diagnosticare malassorbimento di nutrienti o
contaminazione batterica di stomaco o intestino tenue.
13
C UBT, test all'urea marcata
Il test dell’urea marcata mira a diagnosticare la presenza dell’Helicobacter Pylori e si basa sulla
capacità del batterio di metabolizzare rapidamente l'urea in ammoniaca e anidride carbonica grazie
all’ureasi.
L’urea viene marcata con un isotopo radioattivo o non radioattivo del carbonio (rispettivamente 14C o
13
C) si misura la quantità di 13CO2 espirata (che è stata assorbita a livello ematico ed emessa attraverso
i polmoni). Il soggetto quindi deve soffiare a intervalli prefissati in provette che permettono la
misurazione dei livelli di anidride carbonica marcata. Se il batterio non è presente, l'urea marcata
passa attraverso lo stomaco e non si ritroverà anidride carbonica marcata nell'aria espirata.
Batteri e patologie
Lavori recenti mostrano un'associazione tra flora batterica e patologie.
Ad esempio, il microbiota intestinale sarebbe associato alla IBS (Irritable Bowel Syndrome) e alla IBD
(Inflammatory Bowel Disease).
La flora batterica è stata associata, inoltre, a disfunzioni del SNC, all'asse cervello-intestino, a
meccanismi fisiologici nello sviluppo, al diabete, a variazioni stagionali, all'esercizio fisico, alle diete e a
malattie di entità minore.
La flora inoltre, varia a seconda sia della razza che della dieta. Uno studio tra le differenze in cacciatori-
raccoglitori e controllo italiani mostra differenze di ceppi clamorose, come un aumento di Prevoltella e
del Treponema (che aumentano l'abilità di digerire ed estrarre principi nutrizionali utili da cibi
vegetali fibrosi) e un'assenza di Bifidobacteria nella popolazione Hadza.
Ricapitolando, la flora batterica varia nella crescita e nello sviluppo, in funzione della dieta,
dell'assunzione di fermenti lattici o antibiotici e in situazioni patologiche.
La distruzione giornaliera di eritrociti corrisponde a 20ml (circa l'1%) e il nostro organismo necessita
di 20mg di ferro per produrre nuove eritrociti.
Questa quota viene raggiunta in diversi modi:
– 1-2 mg dalla dieta e assorbimento duodenale (la quota assorbita è bassa rispetto all'assunzione
con la dieta);
– riciclaggio di ferro da eritrociti vecchi e macrofagi;
– depositi (fegato e sistema reticolo-endoteliale, RE);
– utilizzazione di ferro dal midollo osseo.
L'eliminazione di ferro avviene tramite lo sfaldamento cellulare cutaneo ed epiteliale (e le
mestruazioni nelle donne), ma è una via di poca entità: per questo si osserva un sovraccarico di ferro
anche semplicemente in pazienti con trasfusioni frequenti.
Data la limitata capacità di eliminazione, il bilancio totale è quasi interamente mantenuto attraverso la
regolazione dell'assorbimento intestinale.
Il fabbisogno varia da 4-5mg/giorno nel bambino a 10mg/giorno nell'uomo adulto. Nella donna il
fabbisogno aumenta da 18 mg/giorno, fino a 40mg/giorno in gravidanza e allattamento.
L'assorbimento avviene nel duodeno e nella prima parte del digiuno, per cui dei 15-20 mg/giorno
introdotti con la dieta, l'assorbimento varia dal 10% al 40%.
L’assorbimento del ferro è limitato dalla formazione di complessi: sali insolubili con idrossidi, fosfati
e bicarbonati, e legami con tannini, fitati e fibre presenti nei cibi.
È facilitato, invece da: bile, acido ascorbico (vitamina C), carne, pesce, acido citrico, acido lattico,
zuccheri e alcuni amminoacidi, per due motivi:
– formazione di complessi idrosolubili (vitamina C);
– riduzione del ferro ferrico a ferro ferroso Fe 2+: con conseguente minor tendenza a formare
complessi insolubili.
Inoltre, l'acidità gastrica contribuisce all'assorbimento in quanto a pH bassa i sali insolubili diventano
più solubili e il ferro ferrico è ridotto a ferroso.
Il mito di Braccio di Ferro deriva da un errore di battitura che attribuiva agli spinaci una dose di 30mg di ferro
invece che 3g.
Il sistema di uscita cellulare, invece, è uno solo: la ferroportina (FPN1 o IREG1 o MTP1), che
trasportato Fe2+.
L’unica proteina che permette l'uscita di ferro è la ferroportina, che trasporta il ferro ferroso.
Questi sistemi sono comuni a tutti i tipi di cellule. Inoltre, a livello dei macrofagi si ritrovano sensori
del ferro.
Epcidina
Il sistema umorale di regolazione di ferro è necessario per coordinare le regolazioni dei vari tessuti.
Il rilascio di ferro dal fegato, dal sistema reticolo endoteliale e dagli enterociti dell’intestino sembra
essere regolato dell’epcidina, ormone prodotto prevalentemente dal fegato. Si tratta di un ormone
antibatterico (hepatic bactericidal protein, hepcidin), senza il quale si va incontro a un aumento del
ferro patologico (emocromatosi). Visto che ha azione antibatterica a 10-30µm ma nell'urina si ritrova
nel range di 2-30nM, probabilmente ha anche altre attività. È codificata dal gene HAMP sul cromosoma
19.
Le sue funzioni sono:
– inibizione del riassorbimento a livello intestinale;
– blocca il trasporto di ferro attraverso la placenta;
– induce sequestro nei depositi.
Quando si trova poco ferro nei depositi, o c’è un’intensa eritropoiesi, l’epcidina diminuisce.
Quando il ferro aumenta o in caso di infiammazione/infezione, i livelli di epcidina aumenta.
L'interazione dell'epcidina con la ferroportina controlla la maggior parte dei flussi di ferro nel LEC e
nel plasma. Legandosi alla ferroportina (unica proteina che esporta ferro dalle cellule), infatti, la
internalizza e all'occorrenza la degrada. In questo modo, il ferro assorbito dagli enterociti non ha
modo di uscire: diminuisce il ferro extracellulare, mentre aumenta quello
intracellulare.
In caso di anemia/ipossia/difetto dell’epcidina, l'elevata espressione di
ferroportina fa in modo che aumenti la concentrazione di ferro
plasmatica e diminuisca quella intracellulare.
Lavori recenti si sono occupati della misurazione di livelli di pro-epcidina in malattie reumatologiche,
della misurazione dell’epcidina nell’urina e hanno proposto l'epcidina come nuovo marker per
cambiamenti di ferro. Inoltre, apre le porte a nuovi approcci biologici e clinici per i disordini causati
dal ferro.