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Il Parmigianino

Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, nasce a Parma l’11 gennaio 1503, in una famiglia di
artisti. Inizia dipingere fin da bambino presso la bottega degli zii. Le sue primissime opere risalgono
a quando aveva soli 16 anni.

Il Parmigianino si forma nell’ambiente di Parma a contatto con l’esempio di Correggio ed a Parma


realizza gli affreschi per la chiesa di San Giovanni Evangelista (1521-1524), la sua prima
commissione di una certa importanza.
Parmigianino nelle sue prime opere è fortemente inspirato dall’arte di Correggio ma l’evoluzione
della sua produzione artistica rivela  che la sintonia con questo grande pittore è solo parziale. A
differenza di Correggio, la cui arte mira a superare il manierismo per aprire la via al
barocco, Parmigianino si radica in un’interpretazione in senso nettamente manieristico.
Parmigianino non è un pittore d’istinto, non ha un temperamento sentimentale ma è sofistico, è
un esteta, un raffinato. Già dalle sue prime opere dai colori vivaci e compatti, tanto da sembrare
smaltati, Parmigianino si distingue dallo stile di Correggio.

Le opere di Parmigianino si attengono a precise regole di stile basate su:


-Eleganza decorativa
-Preziosità formale
-Ricercato virtuosismo compositivo.
Il Parmigianino si rivela un artista elegante ma anche decisamente eccentrico. Le sue opere sono
ricche di simbolismi e invenzioni originali e stravaganti. Egli elabora uno stile personale che rifiuta
le convenzioni, ad esempio arriva a rifiutare le proporzioni naturali delle figure ed anche la
spazialità non rispetta i canoni tradizionali.

Nel 1523 lavora agli affreschi della Rocca Sanvitale. Il soggetto, reso con innovativa
interpretazione, è la storia di Diana e Atteone. Atteone dopo aver visto diana che si bagna nuda
con le ancelle, viene tramutato in cervo e sbranato dei suoi stessi cani. Diana metafora della
committente è un simbolo di fedeltà e di castità. Nell’affresco si possono trovare simbologie, come
l’unione tra il maschile o il femminile, o come l’uomo che per appropriarsi del principio divino, è
disposto a farsi mutare in preda e a morire.
La saletta è coperta a volta, e si chiude con 14 lunette sotto cui una cornice in legno laccato e
bordato d’oro contiene una scritta in latino delle Metamorfosi di Ovidio. Gli affreschi si stendono al
di sopra di questa fascia nelle lunette e nella volta. Parmigianino immagina la volta come una sorta
di cripta gazebo con un pergolato sostenuto da canne tra cui spiccano dodici putti che offrono
ghirlande, fiori e frutta.

La prima scena che il visitatore scopre, entrando, è quella che raffigura due cacciatori, che
inseguono una ninfa, anch’essa con il corno da caccia ed un elegante levriero legato con una corda
attorcigliata al polso sinistro. Il racconto continua nella parete destra dove si vede il giovane
cacciatore Atteone, che ha sorpreso la dea Diana al bagno, insieme alle ninfe che l’accompagnano.
La dea irritata lo spruzza con l’acqua e il giovane, ancora con l’arco in mano, inizia a trasformarsi in
cervo. Nella parete successiva, tra due cani da caccia, un giovane è concentrato a suonare il corno,
mentre Atteone, la cui trasformazione in cervo è completata, viene sbranato dai suoi stessi cani
che non lo riconoscono. Sull’ultima parete è una figura femminile, circondata da cani, che si staglia
su un paesaggio arrossato dal tramonto e tiene nella destra sollevata alcune spighe e nella sinistra
una coppa su di un vassoio: si tratta di Paola Gonzaga, committente dell’opera.
Autoritratto entro uno specchio complesso 1524

In quest’opera evidenzia il suo aspetto minuto e gentile,


segue perfettamente i dettami dell’innovazione
manierista.

La resa spaziale all’interno dell’Autoritratto entro uno


specchio convesso è condizionata dalla deformità dello
specchio convesso. Non si percepisce una chiara
costruzione dello spazio geometrico e lineare anche se si
può ricostruire attraverso le linee curve e deformi della
finestra di destra e del soffitto in alto. La profondità viene
costruita grazie alla mano in primissimo piano
sovrapposta e molto più grande rispetto al corpo in
secondo piano. Gli elementi architettonici della stanza
permettono di valutare la distanza tra l’adolescente e il
muro di fondo.
Il formato del dipinto è circolare e la composizione si adegua alla circolarità della cornice. In primo
piano si trova la mano dell’artista ragazzo deformata dalla estrema vicinanza allo specchio dal
quale è stato tratto l’autoritratto. L’autoritratto del Parmigianino occupa quasi la totalità della
superficie dipinta e si trova in assoluto primo piano. In primissimo, quasi un dettaglio la mano la
sua mano destra. Fanno da sfondo le pareti della stanza deformate dallo specchio curvo. Il peso
dell’immagine è maggiore in basso, ancorato alla mano che occupa una vasta porzione della
circonferenza.

Il cammino artistico degli artisti dell'epoca portava sempre a Roma, il Parmigianino vi giunse nel
1524 e, in quell'ambiente affollato da grandi artisti, rimase abbagliato dall'arte
di Michelangelo e Raffaello, ma si inserì rapidamente nel tessuto artistico fino a giungere a risultati
d'espressione personalissimi, basato su forme ovali, allungate, legata ad una certa enigmaticità 
risultanti dai toni freddi e cangianti del colore.
Mentre Parmigianino si affermava nella capitale, nel 1527 avvenne il celebre Sacco di Roma, in cui
la città  eterna fu conquistata e duramente saccheggiata da lanzichenecchi e spagnoli, i quali
crearono anche notevoli danni al patrimonio artistico e misero in pericolo la vita degli artisti stessi.
Fuggito dall'Urbe saccheggiata e trasferitosi a Bologna, l'artista si dedica ad una intensa
produzione di pale d'altare e quadri di destinazione privata in cui l'interpretazione sottilmente
sensuale dei moduli stilistici rinascimentali conduce a esiti ormai pienamente manieristici.
Nel 1531, Parmigianino riceve il prestigioso incarico di affrescare la chiesa francescana della
Steccata ma, dopo un inizio pieno di entusiasmo il pittore comincia a trascurare la pittura per
dedicarsi con crescente passione agli studi di alchimia, inseguendo il sogno di trasformare il
mercurio in oro.
In quegli anni realizza un autoritratto dipingendosi con il volto segnato e l'aria stanca ma con gli
occhi ancora ispirati, così come Vasari lo descrive di "uomo quasi salvatico". Il risultato di questa
mancanza di concentrazione artistica è che il Parmigianino non riesce più a trovare ispirazione per
gli affreschi di cui è incaricato da otto anni e viene incarcerato per inadempienza.
Fuggito dal carcere Parmigianino e si trasferisce a Casal Maggiore dove, ritornata la voglia di
dipingere, l'artista crea opere di suprema ed aristocratica perfezione come la Madonna dal collo
lungo, conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Da alcuni critici è considerato una delle
massime espressioni del manierismo
italiano. Infatti, l’opera presenta una
complessa lettura iconografica. Inoltre, le
posizioni delle figure dipinte sono
estremamente eleganti. Gli abbigliamenti
sono curati e raffinati. Anche le acconciature
e le movenze sono state studiate
attentamente dall’artista. Il maestro di
Parmigianino fu il Correggio la cui influenza,
però, non si ritrova chiaramente in questo
dipinto. Gli storici segnalano la somiglianza
con i personaggi dipinti da Correggio nella
forma a mandorla degli occhi personaggi, nei
nasi appuntiti e nei sorrisi appena accennati.
In primo piano, si trova la figura della
Vergine con in braccio il bambino. La sua
immagine occupa, quasi interamente,
l’altezza del dipinto. A destra e in basso, si
vede la figura lontana, di San Gerolamo
seminudo. Accanto a lui, a destra, si
s’innalza una colonna classica. Si appoggia su
di una base costruita dietro alla figura di San
Gerolamo. In lontananza, limitato ad una
piccola porzione del dipinto si intravede un
paesaggio nuvoloso. Il San Gerolamo è stato
raffigurato da Parmigianino in una posizione
molto elaborata, quasi teatrale. Il Santo
svolge un rotolo verso sinistra, in direzione
opposta al volto. Gesù è abbandonato, disteso sulle gambe di Maria. La sua posizione, infatti,
specularmente, ricorda quella della pietà di Michelangelo con il braccio abbandonato verso terra.
La Madonna dal lungo collo, come le altre figure presenti nel dipinto, ha un’anatomia molto
singolare. Ha il corpo molto allungato. Si apprezza questa forzatura nel collo, nella sua mano e
nelle gambe che terminano con i piedi molto sottili. La veste non è rossa come di tradizione, ma
bianca e indossa un mantello blu. Alla sua sinistra si affollano fanciulli e fanciulle anche loro con
capigliature molto elaborate ed eleganti. Sulla sinistra, in alto, si aprono due cortine di tendaggi
che creano una dimensione teatrale.
Lo spazio geometrico non è realizzato attraverso importanti architetture. Solo la struttura classica,
in basso a destra, rimanda ad un punto di fuga esterno al dipinto. La profondità è guidata, sulla
destra, dalla prospettiva di grandezza, fino all’orizzonte.

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