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PARMIGIANINO (FRANCESCO MAZZOLA, 1503-40) 

Egli allievo del Correggio, mostra fin da subito interesse nel campo della grafica e per particolari effetti
percettivi, testimoniati da una delle sue opere Autoritratto entro uno specchio convesso . Nutre inoltre una
passione per l’alchimia, la quale si presenta come un’ulteriore riprova della ricerca di una “nuova natura”.

AUTORITRATTO ENTRO UNO SPECCHIO CONVESSO (1524, VIENNA KUNSTHISTORISCHES MUSEUM)


Il ragazzo raffigurato nel dipinto circolare del Parmigianino è l’artista
stesso adolescente. Davanti a lui è evidente la mano, ingigantita dalla
deformazione dello specchio convesso. Dietro al giovane artista,
invece, sullo sfondo è riconoscibile un interno, a sinistra una finestra e
in alto un soffitto ligneo. Il busto visibile del ragazzo è rivolto verso
destra con il volto rappresentato di tre quarti. Lo sguardo, invece, è
rivolto in centro, verso lo spettatore.
Lo sguardo ha un’espressione aperta e intelligente che rivela un
carattere sveglio e di grandi speranze. L’abbigliamento è molto
elegante e ricercato. Il giovane Parmigianino indossa una casacca
raffinata dalla quale sbuca una manica bianca plissettata. L’aspetto
dell’artista è androgino e i capelli ricadono oltre le orecchie separati da
una scriminatura centrale. Un anellino, quindi, cerchia il mignolo della
mano destra. Il braccio destro è appoggiato di fronte a sé, sul piano del
tavolo. Il ritratto è ambientato all’interno di una stanza sobria e priva
di arredi. il modellato del ragazzo dipinto, però, è quasi idealizzato
privo di descrizione muscolare. La mano ha dita allungate e poco
modellate. Il chiaroscuro è delicato le ombre creano volumi definiti
soprattutto nella parte destra del viso. L’interno della stanza è spoglio
descritto attraverso un chiaroscuro ambientale molto scarno ma
efficace. La mano lunga e affusolata anticipa il gusto di Parmigianino
per le figure allungate come nella Madonna dal lungo collo.
Lo spazio è condizionato dalla deformità dello specchio convesso. Non
si percepisce una chiara costruzione dello spazio geometrico e lineare
anche se si può ricostruire attraverso le linee curve e deformi della
finestra di destra e del soffitto in alto. La profondità viene costruita
grazie alla mano in primissimo piano sovrapposta e molto più grande
rispetto al corpo in secondo piano.
DIANA E ATTEONE (particolare) 1522- affresco della volta della “stufetta” nella Rocca Sanvitale a
Fontanellato

In quest’opera Parmigianino elabora gli effetti di dilatazione spaziale, combinandoli con tratti ornamentali
più sofisticati di quelli correggeschi, e incalzando il ritmo narrativo tramite lo slancio serpentino che allunga
le figure e ne accentua le sinuose morfologie. Egli dunque, dimostra di aver compreso a pieno le conquiste
tecniche e compositive del Rinascimento, ma anche di essere pronto a superarle per diventare uno dei
massimi esponenti del manierismo europeo.

Parete nord
Il racconto di Diana e Atteone, miseramente divorato dai
suoi stessi cani dopo avere assunto le sembianze di un
cervo, a seguito dello spruzzo d’acqua di Diana adirata, si
svolge a partire dalle lunette della parete nord. Qui due
cacciatori in abiti classici inseguono una ninfa che si dirige
verso un bosco. L’abbigliamento, il corno da caccia e il
levriero tenuto al guinzaglio la caratterizzano come
seguace di Diana cacciatrice. Questa figura è stata
interpretata come possibile identificazione femminile di
Atteone.

PARETE EST
La storia prosegue in senso orario nella
parete est, dove è raffigurato il momento in
cui Atteone scopre involontariamente Diana
che, in compagnia delle sue ninfe, si sta
purificando in una fontana dopo la caccia.
L’abbigliamento del cacciatore è identico a
quello della ninfa della parete precedente,
così come femminile è la struttura fisica
delle braccia e delle mani. Sulla testa della
dea, invece, è presente il suo attributo, la
falce lunare; una delle sue compagne tiene
in mano due libri. Diana è colta nel
momento in cui, per punirlo, spruzza
dell’acqua sul volto di Atteone che inizia a
trasformarsi in cervo: la metamorfosi è a
uno stadio ancora iniziale, il cacciatore
infatti è raffigurato con la testa cervina e il
corpo umano. Lo spruzzo d’acqua di Diana
assume il valore simbolico di un gesto
battesimale, che preannuncia la morte di
Atteone.
PARETE SUD

Nella parete sud la favola arriva al suo culmine. Un


giovane cacciatore, posto di spalle rispetto allo
spettatore, dà l’avvio alla caccia suonando un lungo
corno: la preda è Atteone, ormai tramutato
completamente in cervo, che viene sbranato dai suoi
cani, mentre sulla destra un giovane e un vecchio
assistono indifferenti alla scena. Il cervo ha uno sguardo
mite e quasi rassegnato: questa mancanza di “pathos” è
una variante rispetto al testo delle Metamorfosi
ovidiane, in cui è descritta la fuga concitata di Atteone e
ai suoi tentativi di urlare per farsi riconoscere. Il levriero
in primo piano porta sul collare una conchiglia bivalve
aperta, emblema dei Sanvitale.

Sopra il peduccio che separa le due lunette con la morte di Atteone


sono raffigurati due bambini, di cui uno guarda verso lo spettatore
e sembra sorreggere l’altro, neonato, che indossa una collana di
corallo e tiene in mano un rametto di ciliegie. Secondo la critica si
tratterebbe dei figli di Paola Gonzaga e Galeazzo Sanvitale, dei
quali il più piccolo pare morì molto presto. Questa morte
prematura giustificherebbe la presenza degli stessi attributi propri
di Cristo bambino, come allusione alla sua futura passione

PARETE OVEST

Al centro della parete ovest, su uno sfondo dorato,


primeggia una figura femminile con un elegante abito
cinquecentesco che tiene in mano gli attributi di Cerere,
due spighe di grano. È la divinità materna che presiede alla
fertilità, ma in quanto madre di Proserpina è legata anche
al tema della morte e della rigenerazione. La critica
identifica questa donna con Paola Gonzaga; è volta verso
l’inizio della narrazione, come a invitare alla lettura della
favola. La funzione introduttiva di questa parete viene
confermata dall’iscrizione, che parte con l’invocazione alla
dea proprio subito dopo la lunetta in questione. Questa
figura, dunque, costituisce al tempo stesso sia un incipit
che una simbolica conclusione dell’intero ciclo. Se la parte
superiore è riccamente decorata, la parte inferiore delle
pareti è invece spoglia, forse un tempo coperta da arazzi
SACRA CONVERSAZIONE\MADONNA DI SANTA MARGHERITA (c.1529, Bologna, Pinacoteca Nazionale)
Opera del periodo bolognese dell'artista (1527-1530), venne dipinta
per le monache del convento di Santa Margherita. l'opera mostra
"Nostra Donna, santa Margherita d'Antiochia, san Petronio, san
Girolamo e san Michele".
il centro del dipinto è occupato dalla Madonna col Bambino che,
volgendosi verso sinistra al vescovo Petronio, protettore di Bologna,
porge verso l'altro lato il Bambino che fissa con intensità la
protagonista, Margherita, la quale ricambia lo sguardo intenso
avvicinandogli il volto e solleticandogli il mento, mentre con l'altra
mano si appoggia con familiarità al ginocchio di Maria. Essa, che
indossa un mantello con ricami dorati e fodera di pelliccia, è
riconoscibile inequivocabilmente dal mostro che le sta vicino, in
basso a destra. La figura mostruosa, in penombra, spalanca le fauci
mostrando la lingua arricciata e la poderosa dentatura, ma nessuno
lo considera, confinato a un ruolo semplicemente iconografico, per
identificare la santa. L'iconografia ricalca quella del matrimonio
mistico di santa Caterina d'Alessandria, e non è improbabile che sia
una risposta a distanza alla Madonna di San Girolamo del Correggio,
allontanandosi il più possibile dalla sua eleganza levigata e soffice:
estremamente simili sono le due sante protagoniste, nella posa e
nell'attitudine di familiare intimità col Bambino.
Per quanto riguarda Petronio un'altra interpretazione vede nel
vescovo san Benedetto: si tratterebbe di un'iconografia più rara (il
santo è rappresentato di solito con l'abito benedettino), anche se è
suffragata dalla citazione esplicita nel contratto di vendita della pala
dell'8 aprile 1530 e nei resoconti dell'Affò. Lo sfondo è un cielo
pumbleo e un vecchio albero fronzuto.
Il dipinto è espressione di "rarefatta eleganza formale, dove anche i
sentimenti appaiono, si può dire, distillati e sospesi in un'atmosfera
fredda e irreale di notturno incipiente rischiarato dalla luce lunare:
dall'assorta assenza della Vergine e dei due santi, all'estenuata
dolcezza di quell'attrazione di sguardi fra il Bambino e la santa
Margherita, sino al lieve sorriso ambiguo dell'angelo" (Rossi).

Le figure allungate ed estremamente eleganti hanno una varietà di


pose, gesti e sguardi che generano un moto circolare per l'occhio
dello spettatore, incitato da linee di forza a spostarsi da un capo
all'altro della pala, secondo una tecnica già usata da Correggio. Il
segno è veloce, con tocchi rapidi.
L'opera era stata dipinta per Pietro Aretino, ma con l'occasione
dell'arrivo di Clemente VII a Bologna, per incoronare Carlo V, venne
MADONNA DELLA ROSA (c.a. 1529-30; Dresda) donata al papa.

Su uno sfondo scuro, in cui vi è una tenda rossastra arricciata, la


Madonna è ritratta seduta a mezza figura col Bambino nudo e
sdraiato davanti a lei. Essa, dal volto classicamente perfetto,
distende il braccio sinistro sul figlio e piega il destro a prendere la
rosa che Gesù, passando da sotto, le porge. Egli, che guarda
direttamente lo spettatore, sta appoggiato a uno scintillante globo
terrestre e indossa al polso una braccialetto di coralli rossi,
antichissimo simbolo apotropaico.

Gli abiti setosi della Madonna aderiscono al petto plissettando e


aderendo con mondana eleganza, avvolgendo il corpo ed
evidenziando i seni.

Già Vasari aveva colto la raffinatezza e l'eleganza di questa


Madonna, dal sapore quasi pagano: «la Madonna bellissima aria, et
il putto è similmente molto naturale, perciò che egli usò di far
sempre nel volto de' putti una vivacità propriamente puerile, che fa
conoscere certi spiriti acuti e maliziosi che hanno bene spesso i
fanciulli; abbigliò ancora la Nostra Donna con modi straordinarii,
vestendola d'un abito che avea le maniche di veli gialletti e quasi
vergati d'oro, che nel vero avea bellissima grazia, facendo parere le
carni vere e delicatissime, oltra che non si possono vedere capegli
dipinti meglio lavorati».

Anche l'Affò si accorse delle impressioni di Benigno Bossi, secondo


cui il pittore aveva avuto come "primo pensier" quello di
rappresentare "Venere e Cupido; [...] si raffigurano ancora le ali
alle spalle del Putto, e si comprendono certi smanigli alle braccia e
certi ornamenti al capo della Vergine, che fanno pienissima fede
del pentimento del dipintore, che di una Venere fece Nostra
Donna, e di Cupido formò un Gesù Bambino". L'ipotesi viene
smentita da tutti i disegni preparatori, ma in realtà i temi, religiosi
o profani che siano, soggiacevano all'indirizzo stilistico scelto dal
Parmigianino: eleganza decorativa, preziosità formale e ricercato
virtuosismo compositivo.

Se la rosa e il globo tenuti dal Bambino dovrebbero rappresentare


rispettivamente la prefigurazione della Passione e la salvezza del
mondo operata da Cristo, secondo l'interpretazione in chiave
alchemica del Fagiolo dell'Arco la rosa, simbolo della rotondità,
sarebbe la "metafora della riuscita dell'opus" e l'intera opera
rappresenterebbe l'Immacolata Concezione.
VERGINI SAVIE TRA MOSè E ARONNE – particolare della volta del presbitero di Santa Maria della Staccata
a Parma (1535-40)

Nel 1531, dopo il soggiorno bolognese, egli fa ritorno nella


nativa Parma, dove riceve l’incarico di affrescare la zona
presbiteriale della chiesa della Madonna della Steccata. Egli
inizia l’opera dalla volta del presbiterio sospinto da un
anelito di perfezione e dal desiderio di giungere a
un’ineguagliabile rappresentazione di grazia e bellezza, ma
rimanendo comunque insoddisfatto. La volta dell’arco viene
ricoperta con un’ornamentazione a cassettoni, sulla quale vi
sono colori antichi (oro, rosso pompeiano, azzurro intenso)
mentre ogni riquadro, con rosoni di rame sbalzato, viene
separato da quelli circostanti per mezzo di ricchissimi fregi.
Lungo le due linee di imposta della volta sono dipinte in
affresco le Vergini savie e le Vergini folli , immagini
irrealmente slanciate e avvolte in vesti preziose, mentre
nelle quattro nicchie a monocromo delle estremità sono
raffigurati : Adamo, Eva, Mosè e Aronne. La decorazione
appare elegante e raffinata, ma chiusa come entro uno
scrigno, risultando quanto più lontano dalle cupole
correggesche si potesse immaginare.

ANTEA (1535-37; Napoli, Galleria nazionale di Capodimonte)

Antea è dipinta al centro dell’opera, in piedi e contro un fondo spoglio di particolari e


privo di arredi. Il suo corpo è rivolto leggermente a destra mentre il volto è quasi del
tutto frontale. Lo sguardo di Antea è fisso davanti a sé e guarda in modo molto
deciso e, quasi sfrontato, chi osserva il dipinto. L’espressione del volto rivela un
carattere fermo e determinato. Antea è abbigliata in modo estremamente elegante e
ricco. Sulla sua spalla destra tende una pelle di visone che si àncora al guanto della
mano destra con un prezioso fermaglio. L’abito è ampio ed elegante, Le maniche
sono molto ampie sulle spalle e si restringono verso il polso dal quale fuoriesce un
polsino molto decorato.

La scollatura è libera e lascia intravedere il décolleté giovane e prosperoso della


ragazza. I tessuti sobri ma molto preziosi. Sul davanti Antea, ha una fascia di un
tessuto più leggero che ricade fino a terra. La capigliatura è castigata è molto sobria
con i capelli annodati in una treccia che incornicia verso l’alto il capo. I gioielli non
sono particolarmente vistosi. Indossa due pendenti molto eleganti, una collana che
tiene in basso con l’indice della mano sinistra, priva di guanto. Un piccolo anello
incorona il mignolo della stessa mano. Il braccio sinistro è abbassato mentre il
braccio destro si appoggia alla vita e alla collana che pende dall’alto.

La giovane donna è ritratta in modo realistico. La superficie pittorica è molto levigata e descrive in modo particolareggiato la
decorazione degli abiti. Il modellato della donna è delicato e si accentua leggermente nell’incavo superiore dei seni e modella
in modo molto elegante le mani raffinate. L’abbigliamento è costruito con un panneggio molto elaborato nelle maniche a
sbuffo. La gonna, ricade con pieghe parallele che si infittiscono nella parte più leggera centrale e costituiscono una trama
sottile e regolare.
Il colore dominante per intensità è quello dell’abito di un marrone che vira verso l’arancio. L’incarnato è delicato e
presenta delle sfumature di rosa sulle guance. Il chiaroscuro è sufficiente per far risaltare le pieghe e il panneggio
dell’abito ma non profondo. Lo sfondo è quasi monocromatico e tendente al verde profondo con bagliore luminoso
intorno alla figura di Antea. L’illuminazione è interna e proviene da sinistra in alto. La luce diretta ma diffusa del primo
piano e schiarisce le ombre a destra, soprattutto sul volto. Si crea un’atmosfera sospesa e intima che contrae lo spazio
intorno alla figura. Per quanto riguarda lo spazio invece, Non vi sono elementi architettonici o arredi con i quali costruire
uno spazio geometrico. La profondità non è suggerita da alcuna prospettiva di sovrapposizione o di grandezza. Tutto lo
spazio e quindi idealmente compresso intorno alla figura separata e statuaria di Antea Si forma, piuttosto, una
spazialità psicologica contratta intorno alla figura femminile è concentrata sul volto

MADONNA DAL COLLO LUNGO (1534-40; Firenze, Uffizi)


Essa è sicuramente una delle opere paradigmatiche dell'arte
italiana nel momento di passaggio tra la misurata razionalità del
primo Rinascimento e lo sperimentalismo formale, virtuosistico,
che contraddistingue la successiva fase manieristica. A prima
osservazione colpiscono l'eleganza e la sinuosità delle figure, le cui
proporzioni appaiono decisivamente allungate: la gamba del
ragazzo che regge il vaso, il corpo del bambino sdraiato e il collo
della vergine sono alcuni particolari che rivelano questo studiato
stravolgimento dei canoni rinascimentali di rappresentazione dei
corpi. l'andamento verticale della composizione è accentuato anche
dalla presenza del colonnato sulla destra, dove i slanciati fusti
provvisti di capitelli non appartengono ad alcun ordine classico,
costituendo un'ulteriore deviazione dalle regole tradizionali. Anche
nella composizione la pala di parmigianino adotta soluzioni
inconsuete: invece di disporre Le 5 figure ai lati del gruppo centrale,
il pittore le costringe entro un ristretto spazio sulla sinistra,
lasciando aperto un grande vuoto dalla parte opposta. la
definizione dello spazio è volutamente ambigua, tanto che risulta
difficile capire se la sacra conversazione sia raffigurata in un
interno, come il tendone potrebbe far pensare o in un esterno.
inoltre lo spazio non è progettato secondo le consuete regole
prospetticheil profeta sulla destra appare decisivamente troppo
piccolo in rapporto alla posizione che occupa. Da un punto di vista
grafico, tutta la composizione appare imperniata sul fluire delle
linee curve, la cui importanza formale è ribadita dal perfetto ovale
dell'anfora.

lo scambio di sguardi tra i personaggi ravviva la scenaLa Vergine


è un putto che si affaccia in mezzo al gruppo contemplano il corpo
disteso di Gesù mentre un personaggio femminile guarda lo
spettatore, mentre un altro viso fa capolino da dietro la tenda e
guarda verso l’esterno.

L’artista vuole rappresentare l’elegante sublimazione del rapporto


tra la Vergine, il Bambino e un gruppo di offerenti in un’immagine
di eleganza allo stesso tempo ricca di un forte accento sacrale.
La Vergine regge il corpo del figlio rappresentato nello stesso modo
in cui gli artisti del Rinascimento raffiguravano il corpo deposto di
Cristo mortoil bambino quindi è deposto sulle ginocchia della
madre e tiene gli occhi chiusi in un sonno che anticipa la morte. il
gruppo si connota quindi con un doppio significato immediato e
prefigurativo.
RITRATTO ALLEGORICO DI CARLO V (1530 ca; New York, Rosenberg Stiebel Inc)
Vasari descrisse la vicenda per cui il Parmigianino, in occasione dell'incoronazion
di Carlo V a Bologna, era solito andare a vedere l'imperatore mangiare e, per
tentare un salto di qualità nella sua committenza, cercò di ingraziarselo
eseguendo un ritratto. L'imperatore è
ritratto seduto, a mezza figura, di tra quarti verso sinistra, indossante l'armatura
La Fama, che può meglio interpretarsi come la Gloria o la Vittoria alata, sospend
un ramoscello di palma - simbolo delle conquiste spirituali - sopra il capo
dell'Imperatore e uno di alloro - simbolo delle conquiste materiali - sul globo
terracqueo retto dal putto. Il mappamondo è enorme e forse poteva essere letto
come metafora di un potere in grado di schiacciare qualsiasi uomo, compreso
l'imperatore. La Vittoria
allegorica ricorreva dopotutto anche negli apparati messi in opera per l'entrata
trionfale del sovrano in città, nel 1529. Anche il globo è legato a un preciso
messaggio politico, ovvero la bolla papale del 1º marzo 1530 con la quale si
consentiva ufficialmente di identificare il globo imperiale con quello terracqueo.
Una mano è appoggiata sulla spada e l'altra tiene saldamente la lancia. Lo sfondo
è una tenda pieghettata.
CUPIDO CHE FABBRICA L’ARCO(1533-1535; Kunsthistorisches Museum di Vienna.)

L'opera si trova inventariata a Parma tra le pitture del cavalier Francesco Baiardo,
amico e patrono del Parmigianino.

Il formato stretto e alto della tavola incornicia alla perfezione il corpo statuario di
Cupido, che dimostra forse dieci o undici anni, dalla pelle perfettamente liscia. Il
fanciullo, tutto nudo, è voltato di spalle ruotando la testa verso lo spettatore,
mentre con un grosso coltello sta intagliando un arco da un ramo poggiato su
alcuni libri, declassati a bancone da lavoro, su cui il giovinetto appoggia anche la
punta del piede sinistro, col ginocchio piegato in avanti (forse allusione alla
prevalenza dell'eros sulla scienza). Il capelli ricci e biondi sono raccolti da una
catenella dorata, ricordando un'acconciatura femminile. Vi sono poi risvolti erotici,
dati dalle natiche dalla rotondità e morbidezza tipicamente infantili ben in vista,
nonché dalla pittura "a punti di luna", cioè dall'accento lunare posto sulla carne
nuda che si staglia statuaria sullo sfondo scuro.

L'attenzione nella metà inferiore del dipinto è attirata dai due putti che
si intravedono tra le gambe di Cupido, stretti in un abbraccio
sporgendo a mezza figura oltre il piano d'appoggio principale. Il
maschietto, che è alato, indirizza allo spettatore uno sguardo di
maliziosa complicità, stringendo con forza la femminuccia, che cerca di
ribellarsi in una smorfia di rabbia molto ben rappresentata, che
sicuramente richiese un accurato studio dal vero. Egli le blocca un
polso e le afferra l'altro braccio, avvinghiandola a sé, in un gesto che
Vasari lesse, forse un po' forzatamente, come «uno piglia l'altro per un
braccio e ridendo vuol che tocchi Cupido con un dito, e quegli, che non
vuol toccarlo, piange mostrando aver paura di non cuocersi al fuoco
d'amore». I due fanciulli rappresentano forse le insidie dell'amore non
corrisposto a cui Cupido, fabbricando la sua arma, metterà presto
rimedio.

L'opera mostra affinità con le opere degli anni trenta, quali lo scintillare dorato dei capelli, gli occhi vivi, la luce fredda e
artificiale. Vasari la definì «vaga per colorito, ingegnosa per invenzione e graziosa». Innocentemente malizioso, il dipinto ha
una grande freschezza espressiva che riesce a mettere in secondo piano l'artificio antinaturalistico di quel corpo di marmo e di
quelle ali che paiono di metallo. Dietro l'ispirazione letteraria, petrarchesca dell'opera, si cela un'esaltazione pagana e carnale
dell'amore, non esente da una certa ambiguità sessuale, a cui sembra alludere la complice malizia dell'espressione del
protagonista

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