Sei sulla pagina 1di 6

Gauguin

Egli fu amico di Van Gogh per molto tempo, lavorarono insieme in Provenza ad Arlen.
Gauguin però viaggiò molto e fu anche condizionato dal giapponismo.

Nell’800 c’era stata anche una corrente di pittori detti orientalisti, che sulla scia
dell’esperienza di Delacroix, dipingevano scene in paesaggi esotici.
In Gaugin il viaggiare lontano, trovare culture remote è un’esigenza esistenziale.
Inizialmente se ne va in Britannia dove dipinge la Belle Angèle .

Belle Angéle
La ragazza porta un costume tradizionale
bretone ed è inserita in un semicerchio
sulla destra del piano pittorico che
riprende una stampa di Hiroshige.
L’inserimento del cerchio isola la figura
umana dallo sfondo, creando così
un’immagine bidimensionale: gli artisti
non cercano più di riprodurre la
profondità, accettano che la tela sia una
superficie bidimensionale e la trattano
come tale. Questo dà più libertà
all’artista, non lo limita.
La donna è posta frontalmente, con lo sguardo leggermente rivolto a sinistra. Sul viso non si
coglie una particolare espressione e le labbra sono serrate. La postura della donna infine è
piuttosto rigida e acquista un connotato di solennità. Al di fuori del semicerchio, sullo
sfondo, Gauguin pone un vaso di ceramica. Il manufatto ha un aspetto antropomorfo e si
ispira alla tradizione etnica peruviana. L’idolo è posato su di un mobile colorato di giallo e
arancio mentre il cielo è puramente simbolico e decorato con foglie e fiori.
Il motivo floreale e l’idoletto (una figura femminile in posizione yoga) sono semplici
decorazioni. Anche il piano su cui poggia la statuetta sono semplici campiture di colore.

Il linguaggio figurativo utilizzato da Paul Gauguin per dipingere La belle Angèle deriva dalla
tecnica definita Cloisonnisme. Durante il 1888 l’artista si avvicinò ad un modo di dipingere
ispirato alle immagini delle vetrate medievali. Una linea di contorno marcata, sinuosa ed
essenziale circonda le forme e ne chiarisce i dettagli. I colori sono stesi inoltre con pennellate
sovrapposte a tratteggio.

Paul Gauguin fece a meno di chiaroscuro, illuminazione ambientale e prospettiva lineare. Le


figure infatti si rivelano grazie a contrasti di toni, di luminosità e delle linee di contorno.
Questo linguaggio semplice ed immediato secondo Gauguin era adeguato a descrivere la
forza primitiva della natura e le manifestazioni della religiosità tradizionale dei
contadini bretoni. Inoltre nel dipinto si ritrova il gusto di Gauguin per assemblare figure di
diversa provenienza culturale ed etnica.
- La scritta richiama la Morte di Marat = Gaugin è un pittore colto.
- Il linguaggio di Gaugin è volutamente arcaico, rigido e grossolano.
La visione dopo il sermone
Il dipinto mostra la lotta di Giacobbe con l’angelo, scena
ispirata ai Lottatori di Hokusai.
Le donne sono uscite dalla chiesa e hanno ancora in testa il
racconto biblico ascoltato poco prima: il pittore ci fa vedere
realtà e immaginazione nello stesso quadro, separate solo
da un albero. La piazza diventa lo spazio mistico teatrale nel
quale viene rappresentato il racconto religioso. Alcune sono
raccolte in preghiera, altre osservano la scena in religioso
silenzio. Altre ancora in alto a sinistra sembrano spettatori a
teatro. Alcune donne sono viste frontalmente alcune dall’alto
(combina anche punti di vista diversi = non c’è più l’esigenza di rendere realmente lo
spazio). Il pittore utilizza logiche interne al quadro e non inerenti alla realtà.
Davanti alle donne loro un bovino percorre tranquillamente la piazza. Oltre il tronco che
attraversa obliquamente lo spazio rosso l’angelo lotta con Giacobbe.

● Con questo soggetto Gauguin riprende il simbolismo, facendo vedere degli elementi
dell’immaginario e del sogno. Uno degli esponenti più importanti del simbolismo è
Gustave Moreau = tutto nella realtà è permeato da ciò che si pensa: simboli immaginari
e dell’inconscio, del mito, della religiosità, del tempo che passa. Il simbolismo tenta di
rendere visibile ciò che è invisibile → è incentrato sull’interiorità.

Il talismano, Serusier
Durante il suo soggiorno in Bretagna Gauguin influenzò un gruppo di
giovani pittori che si facevano chiamare Nabis (“profeti” in ebraico). Un
esempio dei quadri da loro dipinti è il talismano di Paul Sérusier. A prima
vista l’opera pare un superficie quasi astratta di tipo informale. Prestando
maggiore attenzione e cercando una corrispondenza con il reale, si scorge
quindi un paesaggio. In alto a sinistra compare un bosco. Quindi si intravede
una stradina che si sviluppa trasversalmente. Si coglie anche un fiume
costeggiato da una fila di alberi e un mulino blu sulla destra in lontananza.

Non c’è la volontà di far vedere la realtà: è un gioco di colori che sono
sufficienti a giustificare il quadro (es. tronchi blu). Gli elementi del
paesaggio dipinto da Paul Sérusier sono essenzialmente macchie di colore. Questo
meccanismo è alla base di molta pittura contemporanea e segna il limite tra figurativo e
astratto. Infatti il dipinto di Sérusier si colloca nella zona di ambiguità tra interpretazione
mimetica del reale e superficie astratta che rappresenta macchie di colore.
Sérusier giunse a questo risultato seguendo il consiglio di Gauguin di riprodurre i colori
direttamente osservati nel paesaggio, senza trasformazione pittorica.

Gli storici dell’arte la considerano un’opera fondamentale che anticipa la pittura astratta. La
tela in questo caso non è più solo supporto di un'immagine che riproduce la realtà. L’opera
astratta diventa oggetto artistico nella sua interezza e rappresenta solo sé stessa.

I colori del dipinto, per la maggior parte sono brillanti, saturi e applicati sulla tela
direttamente, quindi non mescolati con altri sulla tavolozza.
Il paesaggio con il fiume è descritto da campiture di colore caldo, ocra e arancione, alternate
a verdi e blu delle ombre. Gli stessi colori poi si riflettono al centro e in basso sullo specchio
dell’acqua. Sulla destra compaiono due masse più scure che mettono in risalto il resto del
dipinto.

Dalla Provenza alla Polinesia


Gauguin decide poi di trasferirsi nella Polinesia Francese (colonia → l’imperialismo rende
possibile l’apertura verso mondi lontani e primitivi). Egli si fa spedire i colori, le tele e altri
materiali da Parigi, impara la lingua e sposa due donne del posto. Questo lo porta a rendere
protagoniste delle sue opere le donne tahitiane, a prendere spunto dalla natura.
La ricerca di uno stile e di forme espressive più arcaiche è sia influenzato
dall’industrializzazione, sia dalla pubblicazione dell’opera Origine delle specie di Darwin.
Come Darwin pensava di potere risalire all’origine della vita studiandone i fossili, anche gli
artisti iniziano ad interessarsi all’andare indietro nelle forme artistiche, opposte
all’accademia europea.

La orana Maria
L’opera è una rivisitazione dell’iconografia religiosa tradizionale
cattolica in chiave polinesiana. Una giovane donna tahitiana che
impersona la Vergine Maria è in piedi sulla destra e porta sulle spalle il
bambino Gesù. Intorno al capo di entrambe è posta una sottile aureola
dorata. La donna sorride e guarda verso l’osservatore dell’opera. Indossa
un ampio pareo decorato mentre il bambino è nudo e si abbandona
poggiando il capo su quello della madre.
In secondo piano due giovani sono rivolte verso la donna e pregano con le
mani giunte. A sinistra un angelo dalle ali azzurre e gialle sembra
guidarle. Esse hanno presumibilmente portato delle offerte ai piedi di
Maria → in primo piano su di un tavolo posto oltre il bordo inferiore
dell’opera è infatti posata molta frutta esotica.
Oltre le figure, verso lo sfondo si sviluppa un paesaggio tahitiano lussureggiante. Si
vedono alberi fioriti e cespugli e pare un paradiso tropicale. A destra infine si intravedono
alcune capanne tra le palme alte mentre in alto le montagne nascondono la vista del cielo.

La Orana Maria è un dipinto di Gauguin nel quale si coglie una sintesi tra lo stile semplice e
primitivo delle opere bretoni e la ricerca della spiritualità incontaminata nella cultura
polinesiana. Nonostante tra i personaggi vi siano la Madonna e Gesù, essi indossano vesti
locali come i parei dai colori brillanti delle donne tahitiane. Gauguin non era interessato ad
un’opera di conversione.
L’opera ha un impianto cromatico che alterna fasce di colore caldo con altre di colore freddo.
In primissimo piano la natura morta di sinistra è colorata con colori caldi e brillanti, giallo,
arancione e marrone. Lo sfondo è rappresentato dal verde del prato. Segue poi un lembo di
suolo color indaco quindi il terreno color ocra. Le montagne infine sono grigio-azzurre.
Anche i contrasti permettono un'efficace evidenza delle forme → la frutta è molto chiara
contro il prato più scuro. Il pareo blu è ben visibile contro il suolo giallo come anche il pareo
bianco. Gauguin non utilizzò contrasti fra complementari se non l’incontro tra il rosso del
pareo e il verde della vegetazione. I colori anche se non usati in modo realistico tendono a
suggerire in modo fedele le tonalità del paesaggio. Le scelte cromatiche furono determinate
dalla volontà di usare un colore espressivo e non descrittivo.
Nave nave moe, Gauguin 1894 VS La gioia di vivere, Matisse 1905-06
Nave Nave Moe (Sacra Primavera)
Due donne tahitiane sono sedute su un lembo di terreno verde in
primo piano. Le due giovani indossano un abito di tessuto chiaro
trasparente con spalline e un pareo rosso decorato con fiori. Una di
loro, a sinistra, porta una aureola e si pensa essere Maria. La
ragazza ha il viso appoggiato alla mano destra e sembra riposare.
L’altra ragazza, Eva, invece, tiene in mano un frutto (mela).
Dietro di loro scorre un corso d’acqua oltre il quale una donna siede
nuda in una tipica posa dei dipinti tahitiani di Gauguin. Alla sua
destra un’altra ragazza con un pareo bianco è in piedi di spalle. Il
prato sale verso sinistra seguendo un delicato pendio e in lontananza si vedono boschi e
montagne. A destra invece dietro alcune grandi rocce quattro donne ballano di fronte ad un
idolo totemico protetto da alti alberi.
Una linea spessa di contorno aiuta a riconoscere le figure e a separarle dallo sfondo → le
donne tahitiane, dal primo piano al bosco sacro, presentano infatti marcati contorni scuri.
Anche la natura e il paesaggio sono costruiti per campiture bidimensionali e prive di
chiaroscuro. In primo piano, sulla destra si colgono alcuni fiori decorativi dallo stile molto
grafico. In Gauguin il colore è utilizzato in maniera antinaturalistica, il pittore infatti si
allontana dall’osservazione analitica della realtà. I colori caldi, rossi, gialli e arancioni sono
presenti nel primo piano. A partire dal corso d’acqua i toni diventano verdi e grigi per
arrivare al pallido giallo del cielo. In prossimità dell’orizzonte al centro, tornano gli
arancioni e i gialli nelle palme e nella chioma del grande albero centrale. In assenza dell’uso
della prospettiva geometrica i contrasti di luminosità sono determinanti per costruire lo
spazio e la profondità.

La gioia di vivere
Matisse è il più rappresentativo del gruppo degli
espressionisti francesi.
I colori accostati sono colori caldi. Le linee di contorno
sono tutte diverse: cambiano di spessore, di colore, emanano
addirittura colore; in alcuni casi le linee non sono chiuse. Ad
esempio i tronchi degli alberi sono dati solo dalla linea
oppure le chiome degli alberi non hanno un contorno, sono
solo macchie di colore.

Il quadro ritrae un paesaggio quasi paradisiaco con alberi, personaggi nudi che danzano
o riposano, dove aleggia un generale senso di benessere e relax.
L’opera si sviluppa in una sorta di movimenti concentrici che partono dai danzatori
centrali in girotondo e coinvolgono le altre figure, in uno stato generale di abbandono
sulla spiaggia. Troviamo anche un riferimento mitologico al dio Pan nel personaggio
che suona il flauto, proprio per rievocare un’epoca primitiva e idilliaca.
Il quadro ha diversi rimandi ad altre famose opere: il richiamo più immediato è quello con
“Le bagnanti” di Cézanne → mentre quest’ultime sono figure rigide, collocate in un
paesaggio reale, Matisse le disegna deformandone le linee del corpo e facendone emergere la
sensualità. I corpi ritratti riempiono tutti gli spazi in una rappresentazione che non si cura
della prospettiva e sembra non voglia far riposare lo sguardo.
“La gioia di vivere” di Matisse risente anche dell’influsso di Gauguin e dell’arte
orientale. Proprio il modello orientale porta il pittore a privare del volto i suoi soggetti. Le
figure sono dipinte a macchie, senza dettagli né volto, e senza minimamente
rispettare i colori naturali.

Anche il paesaggio presenta colori innaturali. La vegetazione e il cielo non


rappresentano più ciò che sono, ma diventano quasi astratti, come l’albero rosa che
ha lo stesso colore utilizzato per la pelle delle persone. Sembra che alcune figure umane
stiano subendo una specie di metamorfosi con gli elementi naturali → l’effetto è voluto
per sottolineare l’unione tra uomo e natura. I critici ipotizzano che con l’utilizzo di
colori “strani” Matisse intendesse invitare lo spettatore ad osservare le cose, senza
lasciarsi influenzare da dinamiche predefinite e dalla quotidianità.
Matisse, accanto all’uso violento del colore, inserisce il contorno delle forme. Una linea
decorativa che racchiude le macchie dei corpi.
Mentre per Gauguin il colore aveva sottintesi mistici e simbolici, per lui era semplicemente la
sostanza con cui si compongono i quadri. Da Gauguin riprende l’impatto e la forza
emotiva dell’arte primitiva e anche l’uso del colore piatto invece che modellato.

La ricerca della felicità è stato l’obiettivo fondamentale della vita di Matisse. Egli voleva
liberarsi da quell’angoscia che costringe l’uomo allo sconforto, al rassegnarsi ed
accontentarsi, rinunciando così a vivere serenamente la vita.

La “gioia di vivere” per Matisse si esprime rappresentando non la vita reale, ma il


mondo desiderato. Non a caso disegna luoghi quasi fantastici, dove uomo e natura
convivono in un rapporto di assoluta armonia. L’uomo non deve più subire l’esistenza,
ma deve viverla nella sua totale bellezza, fondendosi con la natura in una specie di
ritorno al primitivo.

Munch
L’urlo
A destra del dipinto si sviluppa il mare con la sua isola centrale. A circa
tre quarti dell’altezza si trova poi la linea dell’orizzonte, ondulata e mossa.
Da qui sale il cielo modellato da linee sinuose orizzontali e sovrapposte.
Al centro dell’immagine, in basso, si trova invece la figura umana
serpeggiante che porta le mani al viso e urla con disperazione.

Il suo volto è privo di connotati di età e sesso. Anche gli abiti che indossa
sono semplificati e ridotti ad una veste scura che copre interamente il
corpo. Infine, al limite posteriore del sentiero si intravedono due sagome
di uomini che procedono affiancati.

Per Edvard Munch non era importante descrivere le forme in modo preciso. Finalità
principale, invece era quella di trasmettere un senso di angoscia e di solitudine.
L’ansia è così suscitata nello spettatore grazie al soggetto particolarmente inquietante.
L’opera appartiene ad una serie di dipinti che Munch realizzò in diverse versioni. Raffigura
emozioni che lo stesso Munch ha provato, cose che ha visto.
Secondo la sua testimonianza scritta l’artista ebbe la sensazione di sentire “l’urlo della
natura” durante una passeggiata serale.
Munch infatti si trovava su di un sentiero che divideva la città e il fiordo in basso. L’artista
inoltre, osservando il cielo oltre il fiordo immaginò le nuvole tinte di rosso sangue.
Le tinte sono irreali e non rispettano, se non parzialmente, i colori reali del paesaggio
naturale. Il colore dell’acqua è l’unico ad essere rispettato, se pur nel suo blu forte e
profondo. Il cielo e le nuvole poi sono rappresentati con linee curve e disorientanti di colore
arancio e ocra. Nel dipinto si coglie l’accostamento di colori puri che diventa contrasto di
complementari.

La diminuzione progressiva di grandezza tra l’uomo in primo piano e i due passanti molto
piccoli in alto a sinistra contribuisce a rendere la profondità.
Il punto di vista dello spettatore è molto alto → la sagoma umana che urla e si dispera si
trova quindi più in basso e quasi schiacciata.
La costruzione ondulata del paesaggio crea un senso di instabilità visiva che genera
smarrimento e insicurezza.

Il vampiro
Le donne ai primi del ‘900 cominciano a essere viste come una
minaccia e questo coincide storicamente con l’avvento del
femminismo e la lotta per il diritto di voto.

Il dipinto mostra una dolce ragazza dai capelli rossi che abbraccia
un uomo nella sua completa totalità. Questo gesto colpisce lo
spettatore perché è in grado di trasmettere un grande senso di
amorevolezza e consolazione. L’uomo tra le sue braccia, coperto dalla
sua rossa chioma fluente, sembra sentirsi al riparo da qualsiasi
amarezza che possa colpire l'intera umanità.
In realtà lo sfondo buio e cupo del dipinto, forse ambientato in una stanza, sottolinea la
trappola mortale in cui l’uomo sta per essere trascinato. La donna, a primo impatto,
manifesta dolcezza e beatitudine, ma osservando con più attenzione si scorge una figura
enigmatica. La donna, ritratta in un’immagine vampiresca, viene colta in un gesto fatale
e non amorevole, un morso anziché un bacio. L’uomo, stretto nell’abbraccio pericoloso
si lascia travolgere dal potere della donna vampiro, sapientemente evocato da Munch
mediante la cascata di capelli rossi che avvolge l’intera composizione e cola sul capo di lui
come gocce di vivido sangue.

Della figura maschile non si riesce a delineare perfettamente il volto, in questo modo l’artista
vuole sottolineare lo stato di sottomissione dell’uomo rispetto alla donna.
Lo sfondo cupo suggerisce un’idea di soffocamento e oppressione. I colori, scuri e
tetri, si alternano a linee circolari dal colore più chiaro sottolineando il dramma
dell’umanità per precipitare nel rosso intenso e profondo.

Potrebbero piacerti anche