Sei sulla pagina 1di 2

Canzoniere, 272 – Analisi

Nel sonetto la vita fugge, et non s’arresta


un’hora il poeta riflette sulla fugacità della
vita, dovuta ad un inesorabile scorrere del
tempo che consuma il presente, rievoca la
“memoria dei passati affanni” e genera
“timore per i venturi” (Petrarca, Secretum, II)
Fin dalla prima quartina, infatti, viene
espresso che le cose presenti et le passate gli
danno guerra, et le future ancora; nessun
ricordo, ovvero, lo conforta e nessuna attesa
gli infonde speranza. Anzi, per fino la morte,
che dovrebbe annullare i tormenti della vita
(turbati i venti, v. 11), appare, attraverso una
complessa metafora, un’ulteriore fonte di
dolore come un porto in balia della tempesta
(veggio fortuna in porto, v.12) dopo
un’assidua navigazione. Pertanto, non riesce
neanch’essa a dare conforto ad un nocchiere,
personificazione della ragione, ormai stanco.
Non meno tormentato appare il cuore, nonché
l’animo del poeta, che egli osserva con occhi
pietosi dal momento che sa di essere
impotente dinanzi alle sofferenze affrontate e,
soprattutto, ai momenti di gioia mai vissuti. È,
dunque, evidente come l’intero sonetto poggi
sull’alternarsi dei piani temporali già citati.
Tuttavia, va notato come non si rileva
un’effettiva contrapposizione tra gli stessi
(come accade in altre composizioni del
Canzoniere), ma, al contrario, lo sguardo del
poeta si rivolge nel presente con la medesima
indifferente sofferenza verso la propria intera
esistenza, sia che “rimembri (il passato) sia
che aspetti (il futuro)” (v. 5). Con solenne
malinconia, egli arriva ad affermare, come a
conclusione della propria costante analisi
interiore, che se non avesse pietà di sé stesso
– e se non vedesse la morte come una fine
puramente dolorosa – già avrebbe posto fine
alla propria vita dal momento che “i bei lumi
che era solito ammirare sono ora spenti”.
(v.14). È proprio la morte di Laura, a cui fa
riferimento quest’ultimo verso, a dare
completezza all’intero componimento, ma
soprattutto al processo di acuta autoanalisi che
l’io lirico
svolge. Infatti, sebbene questo tragico evento
non possa esser definito la causa della
profonda crisi interiore dell’autore, ne è senza
ombra di dubbio partecipe. Rappresenta, di
fatti, la goccia che ha fatto traboccare il vaso,
scatenando una “guerra” tra il desiderio di
pace e di stabilità interiore e una vita lacerata
dallo scorrere inarrestabile del tempo
accuratamente rispecchiato da un ritmo
martellante dato dall’uso sistematico del
polisindeto (congiunzione e/et) in tutte le
strofe.
Salvatore Rolando Savarese IIIE

Potrebbero piacerti anche