un’hora il poeta riflette sulla fugacità della vita, dovuta ad un inesorabile scorrere del tempo che consuma il presente, rievoca la “memoria dei passati affanni” e genera “timore per i venturi” (Petrarca, Secretum, II) Fin dalla prima quartina, infatti, viene espresso che le cose presenti et le passate gli danno guerra, et le future ancora; nessun ricordo, ovvero, lo conforta e nessuna attesa gli infonde speranza. Anzi, per fino la morte, che dovrebbe annullare i tormenti della vita (turbati i venti, v. 11), appare, attraverso una complessa metafora, un’ulteriore fonte di dolore come un porto in balia della tempesta (veggio fortuna in porto, v.12) dopo un’assidua navigazione. Pertanto, non riesce neanch’essa a dare conforto ad un nocchiere, personificazione della ragione, ormai stanco. Non meno tormentato appare il cuore, nonché l’animo del poeta, che egli osserva con occhi pietosi dal momento che sa di essere impotente dinanzi alle sofferenze affrontate e, soprattutto, ai momenti di gioia mai vissuti. È, dunque, evidente come l’intero sonetto poggi sull’alternarsi dei piani temporali già citati. Tuttavia, va notato come non si rileva un’effettiva contrapposizione tra gli stessi (come accade in altre composizioni del Canzoniere), ma, al contrario, lo sguardo del poeta si rivolge nel presente con la medesima indifferente sofferenza verso la propria intera esistenza, sia che “rimembri (il passato) sia che aspetti (il futuro)” (v. 5). Con solenne malinconia, egli arriva ad affermare, come a conclusione della propria costante analisi interiore, che se non avesse pietà di sé stesso – e se non vedesse la morte come una fine puramente dolorosa – già avrebbe posto fine alla propria vita dal momento che “i bei lumi che era solito ammirare sono ora spenti”. (v.14). È proprio la morte di Laura, a cui fa riferimento quest’ultimo verso, a dare completezza all’intero componimento, ma soprattutto al processo di acuta autoanalisi che l’io lirico svolge. Infatti, sebbene questo tragico evento non possa esser definito la causa della profonda crisi interiore dell’autore, ne è senza ombra di dubbio partecipe. Rappresenta, di fatti, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, scatenando una “guerra” tra il desiderio di pace e di stabilità interiore e una vita lacerata dallo scorrere inarrestabile del tempo accuratamente rispecchiato da un ritmo martellante dato dall’uso sistematico del polisindeto (congiunzione e/et) in tutte le strofe. Salvatore Rolando Savarese IIIE