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L’eredità della materia carolingia e bretone

Nella seconda metà del Trecento gran parte della produzione del ciclo bretone e carolingio venne
rielaborata nella forma dei cantari, ovvero narrazioni in versi incentrate sull’ottava (strofa di
otto versi endecasillabi), accompagnate da musiche e danze compiute nelle piazze, recitate dai
cosiddetti canterini, difatti la letteratura che si svilupperà grazie loro è anche chiamata
letteratura canterina.
Il pubblico era semplice (contadini, mercanti e artigiani) e propose un superamento della
motivazione etica che si trovava alla base del ciclo carolingio delle origini, dedicato
maggiormente alla nobiltà guerriera. Viene abbandonato lo spirito religioso fortemente radicato
tra i paladini, infatti ora i personaggi sono molto più umani e toccati dalle passioni, prima fra
tutte l’amore.
Le trame sono più semplici e ripetitive, incentrate su schemi fissi e propongono un intrecciarsi
di diversi temi. Presto anche le corti signorili verranno a contatto con una nuova generazione di
poeti colti più vicini ai gusti e alle attese di un pubblico sofisticato. Tuttavia la diffusione della
nuova letteratura non avviene senza ostacoli perché c’è da considerare che vi erano umanisti più
esigenti e radicati ad altre forme di intrattenimento, queste erano giudicate come troppo sciatte e
senza pretese dal punto di vista letterario.

I protagonisti

I racconti cavallereschi, malgrado fossero considerati da alcuni inferiori, si diffusero largamente


soprattutto nella corte medicea, dove ebbero un particolare intento encomiastico, ossia
celebrativo. Nella Firenze medicea, per esempio, si diffuse la tradizione delle “giostre”, nonché
spettacoli che inscenano imprese cavalleresche, che riprendono i temi del combattimento dei
paladini del ciclo bretone. Altro riferimento relativo all’importanza di questo genere è il fatto che
la madre di Lorenzo il Magnifico, Lucrezia Tornabuoni, aveva dato impulso al poema di Luigi
Pulci, il Morgante, in quanto ritrae una rielaborazione delle imprese di Carlo Magno. Il tema da
lui esaltato si tramuta in una spregiudicata parodia del mondo cavalleresco. Inoltre si tratta di
un’opera peculiare perché non presenta gli schemi fissi dei cantari e ciò è frutto delle diverse
contaminazione di componenti colte e popolaresche, grazie a cui il poeta mette in risalto, con
un senso di burla, la serietà della civiltà umanistica.
A Ferrara, presso la corte degli Estensi, invece, viene apprezzato particolarmente il ciclo
bretone, per via del suo garbo e magnanimità, espressi soprattutto dall’Orlando Innamorato di
Matteo Maria Boiardo. Egli rende possibile la fusione dei temi cavallereschi e dei paladini di
Carlo Magno all’interno della sofisticata società signorile e mette in risalto come il sentimento
amoroso sia il motore d’azione dei personaggi, a partire dallo stesso Orlando, sopraffatto dalla
bellezza di Angelica.
Quest’opera riscosse un grande successo e difatti fu fonte di ispirazione di molti scrittori, tra cui
il ferrarese Ludovico Ariosto, il quale scrive l’Orlando furioso, in volgare , capace di reggere il
confronto con i racconti di Omero e Virgilio.

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