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CONCETTI GENERALI

Finanza aziendale: scienza che analizza le modalità di gestione della liquidità, degli investimenti, del rischio
finanziario, soffermandosi sulla dimensione aziendale.

La finanzia aziendale può essere divisa in due ottiche:

• Statica: analisi di bilancio e riclassificazione (indici di bilancio ecc.)


• Dinamica: rendiconto finanziario (flussi di cassa)

Ovviamente la prospettiva è ex post, cioè si vede la performance dell’azienda al 31/12, cioè alla fine
dell’esercizio. La pianificazione finanziaria, invece, segue una prospettiva ex ante, cioè analizza cosa
potrebbe succedere nel futuro.

ANALISI DI BILANCIO: UN RIEPILOGO


L’analisi di bilancio, per l’interesse della finanza aziendale, consta di:

1) Riclassificazione Stato Patrimoniale e Conto Economico


2) Indici/quozienti di bilancio
3) Rendiconto finanziario

Per esempio vedere: riclassificazione

La riclassificazione dello SP può essere:

1. Secondo liquidità – esigibilità: divisione in base alla natura di breve (<12 mesi) o lungo periodo (>12
mesi). Il criterio della temporalità si basa sulla destinazione potenziale e non sull’effettivo periodo
in cui il bene rimane in azienda. Tramite questa riclassificazione è possibile controllare la
compatibilità tra le scadenza temporali dell’attivo e del passivo.
2. Pertinenza gestionale: divisione delle voci di bilancio in base alla loro appartenenza o meno alla
gestione caratteristica dell’azienda (attività/passività correnti operative, non correnti operative,
correnti non operative e non correnti non operative)

Dalla riclassificazione possiamo ricavare già tre importanti indicatori:

𝐶𝐶𝑁𝐶 = 𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 − 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑜 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 Rappresenta l’investimento o il finanziamento


determinato dalla gestione caratteristica. Il suo
significato:
• > 0; scarsa capacità di riscuotere i ricavi oggi
e scarsa capacità di ottenere dilazionamenti
dai fornitori (crediti commerciali alti e debiti
commerciali bassi)
• <0; buona capacità di riscuotere i ricavi oggi
ed ottenere dilazionamenti nei pagamenti
(crediti commerciali bassi e debiti
commerciali alti)
𝐶𝐼𝑁 = 𝐶𝐶𝑁𝐶 + 𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑓𝑖𝑠𝑠𝑜 Rappresenta l’investimento complessivo in capitale
circolante e immobilizzazioni. E’ opportuno che
presenti attivo fisso alto e positivo e CCNC negativo.
𝑃𝐹𝑁 = 𝐷𝑒𝑏𝑖𝑡𝑖 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖 − 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑒 𝑠𝑖𝑚𝑖𝑙𝑖 Indica il rapporto tra debiti e liquidità immediata
DIFFERENZE TRA EBIT ED EBITDA

L'EBIT è la misura del reddito operativo dell'azienda, considerando i soli costi monetari. Esso permette di
farsi un'idea sulla performance contabile della gestione caratteristica. L'EBITDA è la misura del reddito
complessivo, considerando tutti i costi (monetari e non monetari) e fornisce una misura della performance
finanziaria dell'azienda, cioè della capacità di creare liquidità.
INDICI DI BILANCIO
INDICI DI ROTAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE
𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖
𝑇𝑀𝑅 =
𝑟𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑎
360
TMR (DSO) è il Tempo Medio di Riscossione che indica il periodo medio entro cui l’azienda riesce ad
incassare ricavi. Deve essere il più basso possibile, altrimenti l’azienda è scarsamente capace di incassare
oggi.
𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑖 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑓𝑜𝑟𝑛𝑖𝑡𝑜𝑟𝑖
𝑇𝑀𝑃 =
𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑖
360
TMP (o DPO) è il Tempo Medio di Pagamento che indica il periodo medio entro cui l’azienda paga i fornitori.
Deve essere il più alto possibile, altrimenti l’azienda è costretta a pagare subito i propri costi.
𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑛𝑧𝑒
𝑇𝑀𝐺𝑆 =
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑢𝑡𝑜
360
TMGS (o DI) è il Tempo Medio di Giacenza delle Scorte che indica il periodo in cui le scorte rimangono
immobilizzate nel magazzino. Deve essere il più basso possibile altrimenti l’azienda avrebbe troppe
rimanenze di prodotti invenduti o materie non utilizzate. Questo indice può essere sostituito da indici più
analitici:
𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑒
• 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑖
360
𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑛𝑧𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑖
• 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑢𝑡𝑜
360
𝑠𝑒𝑚𝑖𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑎𝑡𝑖
• % 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑢𝑡𝑜
360

INDICI DI LIQUIDITA’
𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑏𝑟𝑒𝑣𝑒
𝐼𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑎 =
𝑃𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑜 𝑏𝑟𝑒𝑣𝑒
Indica il rapporto tra attività e passività a breve e deve essere maggiore di 1, altrimenti l’azienda non
potrebbe coprire le passività a breve con le attività a breve, ed essere costretta a disinvestire attivo fisso
per ripagare i debiti in scadenza.
𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜 𝑏𝑟𝑒𝑣𝑒 − 𝑟𝑖𝑚𝑎𝑛𝑒𝑛𝑧𝑒
𝐼𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑙𝑖𝑞𝑢𝑖𝑑𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎 =
𝑃𝑎𝑠𝑠𝑖𝑣𝑜 𝑏𝑟𝑒𝑣𝑒
Indica la capacità delle attività a breve, al netto delle rimanenze, di coprire le passività a breve. Se è
maggiore di 1 allora l’azienda è in buone condizioni di liquidità.
𝐸𝐵𝐼𝑇
𝐼𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑛𝑒𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖 =
𝑂𝑛𝑒𝑟𝑖 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑛𝑧𝑖𝑎𝑟𝑖
Indica la capacità dell’EBIT (reddito operativo) di coprire gli oneri finanziari connessi alle passività
finanziarie. Un intervallo opportuno è 3 – 4.
𝑃𝐹𝑁
𝐸𝐵𝐼𝑇𝐷𝐴
Indica la capacità e i tempi di rimborso delle passività finanziarie nel caso in cui tutto il flusso potenziale
della gestione caratteristica (cioè l’EBITDA) fosse utilizzato per tale finalità. Viene utilizzato l’EBITDA perché
l’EBIT, essendo nettato degli ammortamenti (costi non monetari), sottostima i flussi finanziari dell’azienda.

INDICI DI STRUTTURA FINANZIARIA


𝑃𝐹𝑁
𝐺𝑒𝑎𝑟𝑖𝑛𝑔 =
𝐶𝑁
Indica il rapporto tra indebitamento netto ed equity. In particolare, si legge come una proporzione: per X di
indebitamento netto, ci sono Y di equity. Un intervallo accettabile è 0 – 1,5. Ovviamente si devono utilizzare
i valori di mercato e non quelli contabili di PFN e CN.
𝑃𝐹𝑁
𝑃𝐹𝑁 + 𝐶𝑁
Indica il rapporto tra indebitamento netto e l’intera struttura finanziaria. In particolare, si legge come
percentuale: X% della struttura finanziaria è indebitamento netto, mentre (1 – X)% è equity.

INDICI DI REDDITIVITA’
𝐸𝐵𝐼𝑇
𝑅𝑂𝐼 = = 𝑅𝑂𝑆 ∗ 𝑇𝑈𝑅𝑁𝑂𝑉𝐸𝑅
𝐶𝐼𝑁
Rappresenta la percentuale annua di rendimento sul capitale investito (ROI = 14%, per 100 investiti nel core
business ho 14 di EBIT), cioè è una misura generale della redditività della gestione operativa.

Il ROI può essere ottenuto come prodotto tra due indicatori:


𝐸𝐵𝐼𝑇
• 𝑅𝑂𝑆 = 𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑎, che esprime la redditività unitaria delle vendite. Se componente principale
del ROI, indica un’azienda che punta sui prezzi dei prodotti
𝑅𝑖𝑐𝑎𝑣𝑖 𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑎
• 𝑇𝑢𝑟𝑛𝑜𝑣𝑒𝑟 = 𝐶𝐼𝑁
, che esprime il numero di volte in cui il CIN viene fatto girare per
trasformarsi in ricavi. Se componente principale del ROI, indica un’azienda che punta sui volumi di
vendita
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒
𝑅𝑂𝐴 =
𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜
Rappresenta la redditività della gestione operativa e non operativa dell’azienda. Tra tutti gli indici di
redditività è quello più generale.
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜
𝑅𝑂𝐸 =
𝐶𝑁
Rappresenta la remunerazione percentuale spettante agli azionisti, cioè la redditività dell’equity (ROE =
14%; per 100 investiti in equity ho 14 di utile netto). Ovviamente il ROE è un rendimento atteso, perché
l’azienda può decidere anche di mettere a riserva gli utili. Un buon livello di ROE è 17 – 18.

Gli indici di redditività vanno confrontati:

• Temporalmente (performance precedenti)


• Spazialmente (performance del settore e dei competitori)
INDICI DI BORSA
𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑃𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖
=
𝐸𝑎𝑟𝑛𝑖𝑛𝑔𝑠 𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖
Indica se il mercato sopravvaluta o sottovaluta il valore delle azioni dell’azienda, se essa fosse messa in
vendita.
𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝐶𝑁
𝑀𝐵𝑉 =
𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝐶𝑁
Indica se il mercato sopravvaluta o sottovaluta il valore dell’equity dell’azienda.

IL RENDICONTO FINANZIARIO
Il rendiconto finanziario offre una descrizione dinamica dei flussi di cassa dell’azienda generati dalle diverse
aree gestionali. Esso si costruisce per metodo indiretto, tramite rettifiche degli schemi di bilancio, e a
partire dagli ultimi due SP e dall’ultimo CE.

Si elencano le definizioni dei principali flussi del rendiconto:

• Autofinanziamento potenziale (Flusso del circolante corrente): flusso che potenzialmente


l’impresa potrebbe avere se incassasse tutti i ricavi e pagasse tutti i costi correnti dell’anno
• Autofinanziamento reale (Flusso di cassa corrente): flusso che esprime la liquidità generata o
assorbita dalla gestione caratteristica
• FCFO: flusso di cassa disponibile per il pagamento dei creditori finanziari terzi
• FCFE: flusso di cassa residuo utile a remunerare gli azionisti
• Flusso di cassa totale: flusso finale pari alla variazione della cassa tra i due periodi di riferimento
• Investimenti: 𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 = 𝑖𝑚𝑚. 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑓𝑖𝑛. −𝑖𝑚𝑚. 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑖𝑛. + 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑎𝑚𝑚𝑜𝑟𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
GESTIONE DELLA TESORERIA E PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
Gli strumenti di gestione della tesoreria e pianificazione finanziaria sono previsionali, cioè si effettuano ex
ante sulla base di dati storici dell’impresa (gestione tesoreria = anno successivo; pianificazione finanziaria =
lungo periodo). Si redigono:

• Stato patrimoniale
• Conto economico
• Quozienti di bilancio
• Rendiconto finanziario

I bilanci previsionali sono meno dettagliati e più sintetici dei consuntivi, che hanno valori certi relativi
all’esercizio corrente.

PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
L’orizzonte temporale della pianificazione finanziaria è di solito 3/5/10 anni. I due principali prospetti della
pianificazione sono:

• Budget finanziario
• Piano finanziario

Il piano finanziario è un prospetto a fonti impieghi con specifica individuazione della provenienza e
destinazione dei flussi, stabilendone la compatibilità con i piani strategici con aspettative di impiego –
copertura. Il Budget finanziario è il primo anno del piano finanziario, con cui condivide la struttura fonti –
impieghi. Il budget accerta la compatibilità tra piani operativi e utilizzo dei flussi. Il grado di dettaglio del
budget può essere trimestrale, semestrale o annuale (raro).

GESTIONE DELLA TESORERIA


Il principale strumento è il budget di cassa, a struttura entrate – uscite, utile a stimare:

• Esposizione bancaria
• Termini di scoperto c/c
• Interessi passivi

Ha un elevato grado di dettaglio, tipicamente mensile. Esso è composto da 2 parti:

1) Saldo monetario, espresso come differenza tra entrate e uscite previste per l’anno successivo su
base mensile. Si considerano tutti i flussi tranne conto corrente passivo e relativi interessi.
2) Scoperto di c/c bancario, che permette di tener conto degli interessi passivi che si generano. In
un’azienda il saldo monetario è in detrazione (negativo) allo scoperto. NOTA BENE, gli interessi si
pagano ogni tre mesi.
OBBLIGAZIONI
DEFINIZIONI
Obbligazione = certificato che sancisce esistenza di un credito da parte di terzi verso l’azienda. I terzi non
assumono controllo nell’azienda. L’obbligazionista ha la certezza di ricevere alla scadenza la quota capitale
e gli interessi. Si collocano in SP in passività finanziarie (non operativo), se proprie. Se sono di terzi, saranno
ad attività come obbligazioni operative e non (prestiti).

Azione = certificato in cui il terzo diventa co – proprietario dell’azienda, cioè ha poteri di controllo e di voto.
L’azionista può tanto ricevere rendimenti (dividendi), quanto non ricevere nulla (fallimento azienda o
riservizzazione utili). Si collocano in SP in equity (capitale netto), se proprie. Se sono di terzi, saranno ad
attività, ad esempio come partecipazioni operative e non.

La scelta tra obbligazioni e azioni dipende dal profilo di rischio dell’operatore. Ovviamente la scelta ha
senso se il rendimento dell’azione è maggiore di quella dell’obbligazione (trade off rischio – rendimento),
altrimenti si preferisce sempre l’obbligazione.

Supponiamo che un’azienda emetta 100000 obbligazioni da 10 euro ciascuna, con tasso 5% e a scadenza a
2 anni, per l’azienda:

• 𝐹𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑎 = 100000 ∗ 10 = 1000000


• 𝑃𝑎𝑔. 1° 𝑎𝑛𝑛𝑜 = −50000
• 𝑃𝑎𝑔. 2° 𝑎𝑛𝑛𝑜 = −50000 − 1000000
Per l’obbligazionista:

• 𝐹𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 = 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑡𝑖𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡. = −1000000


• 𝐹𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑎 1° = 50000
• 𝐹𝑙𝑢𝑠𝑠𝑜 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑎 2° = 50000 + 1000000
Esistono 3 tipologie di obbligazione:

• Obbligazione senza cedola (c.d. zero coupon bond): solo quota capitale
• Obbligazione con cedola (c.d. plain vanilla): quota capitale + interessi
• Rendite perpetue: cedole in ogni periodo, senza rimborso finale

Valutazione obbligazione a cedola fissa: l’obbligazione garantisce rimborso finale del valore finale e gli
interessi a cadenza annuale o infra – annuale
𝐶 𝐶 𝐶 + 𝑉𝑁
𝑉𝐴 = + 2
+ ⋯+
1 + 𝑅 (1 + 𝑅) (1 + 𝑅)𝑇
Le cedole vengono determinate dal tasso cedolare: 𝑪 = 𝑽𝑵 ∗ 𝒕𝒂𝒔𝒔𝒐 𝒄𝒆𝒅𝒐𝒍𝒂𝒓𝒆, mentre l’attualizzazione
delle stesse avviene al tasso d’interesse di mercato 𝑅. In particolare:

• Alla pari: 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 = 𝑅 => 𝑞𝑢𝑜𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑒𝑠𝑎𝑡𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 100 => 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑐𝑢𝑟𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖
• Sotto la pari: 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 < 𝑅 => 𝑞𝑢𝑜𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑚𝑖𝑛𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑖 100 => 𝑚𝑒𝑛𝑜 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑒
• Sopra la pari: 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 > 𝑅 => 𝑞𝑢𝑜𝑧𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 100 => 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑒

Valutazione obbligazione senza cedola: l’obbligazione garantisce una remunerazione pari alla differenza
tra prezzo di rimborso (valore di nominale) e prezzo di emissione
𝐹
𝑉𝐴 = , 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝐹: 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑛𝑜𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
(1 + 𝑅)𝑇
La condizione fondamentale è: 𝒑𝒓𝒆𝒛𝒛𝒐 𝒓𝒊𝒎𝒃𝒐𝒓𝒔𝒐 > 𝒑𝒓𝒆𝒛𝒛𝒐 𝒅𝒊 𝒆𝒎𝒊𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏𝒆 => 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐 𝒍𝒂 𝒑𝒂𝒓𝒊
Valutazione rendite perpetue: l’obbligazione comporta un prestito infinito, che garantisce il pagamento di
un interesse fisso per sempre. Un esempio tipico sono i prestiti di soci
𝐶
𝑉𝐴 =
𝑅
𝑉𝐴
Ovviamente i maggiori importi sono quelli dei primi anni. Inoltre, 𝐵𝑟𝑒𝑎𝑘𝑒𝑣𝑒𝑛 = 𝐶

RENDIMENTO ALLA SCADENZA


Lo YTM (Yield to Maturity) è il tasso d’interesse per cui:

𝑃𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑡𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑎𝑙 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑐𝑒𝑑𝑜𝑙𝑒 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑛𝑜𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
𝐶 𝐶 𝐶 + 𝑉𝑁
𝑉𝐴𝐴𝐶 = + +⋯+
1 + 𝑌𝑇𝑀 (1 + 𝑌𝑇𝑀)2 (1 + 𝑌𝑇𝑀)𝑇
Nell’ambito della valutazione degli investimenti lo YTM coincide con il TIR.

AZIONI ORDINARIE
Le azioni ordinarie forniscono 2 tipologie di liquidità:

• Dividendi
• Capital gain

Il loro valore può essere visto come:

1) 𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑝𝑒𝑟. 𝑠𝑢𝑐𝑐. +𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑒𝑟. 𝑠𝑢𝑐𝑐.


2) 𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑖

𝐷𝑖𝑣1 𝑃1 𝐷𝑖𝑣𝑡
𝑃0 = + =∑
1+𝑅 1+𝑅 (1 + 𝑅)𝑡
𝑡=1

Differenze tra dividendo e interesse:

DIVIDENDI INTERESSI
Riguarda le azioni Riguarda le obbligazioni
Flusso incerto tra 0 e ∾ Flusso certo determinato da tassi e scadenze
La distribuzione dipende dall’andamento Il pagamento è obbligatorio, pena responsabilità
dell’azienda verso obbligazionisti
I dividendi sono nel rendiconto finanziario e non Gli interessi sono a CE come costi, prima del RAI.
passano per CE. Ciò significa che non sono Ciò significa che sono deducibili.
deducibili.

Le azioni ordinarie hanno priorità sul profilo amministrativo (diritto di voto), ma meno sul versante
patrimoniale – economico (maggiore incertezza).
La valutazione dell’azione richiede di utilizzare ipotesi sull’andamento dei dividendi attesi:

Crescita zero: l’azienda si può ritenere matura e non cresce più (𝑔 = 0)


𝐷𝑖𝑣1
𝑃0 =
𝑅
Di fatto, si tratta di una rendita perpetua. La formula può essere letta così: un’azione a crescita zero che
garantisce un dividendo costante 𝐷𝑖𝑣 a un tasso di mercato 𝑅 vale 𝑃0 . Ovviamente è i dividendi sono attesi,
poiché i rendimenti delle azioni non sono certi come quelli delle obbligazioni.

Crescita costante: l’azienda cresce, registrando dividendi che crescono al medesimo tasso ogni anno, che
non varia nel tempo (𝑔 = 𝑐𝑜𝑠𝑡. > 0)
𝐷𝑖𝑣1
𝑃0 =
𝑅−𝑔
𝑅 è il tasso di mercato, mentre 𝑔 è il tasso di crescita dei dividendi. Rispetto al caso di crescita zero, il valore
dell’azione è maggiore a parità di dividendi e tasso di mercato.

Crescita differenziale: l’azienda cresce a un tasso fino a un certo anno, e poi crescere in modo meno
intenso a un altro. Solitamente, 𝑔1 > 𝑔2
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑓𝑎𝑠𝑒 2
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑓𝑎𝑠𝑒 1
⏞𝑇 ⏞𝐷𝑖𝑣𝑇+1
𝐷𝑖𝑣1 (1 + 𝑔1 )𝑡−1 𝑅 − 𝑔2
𝑃0 = ∑ 𝑡
+
(1 + 𝑅) (1 + 𝑅)𝑡
𝑡=1
TASSO DI CRESCITA E IL TASSO DI MERCATO (CRESCITA COSTANTE)
Il tasso di crescita dei dividendi è:

𝑔 = 𝑇𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑟𝑖𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖 ∗ 𝑅𝑂𝐸


In sintesi, esso dipende da:

• Percentuale utili reinvestiti (plowback ratio)


• Remunerazione dell’equity, quindi il ROE (Utile su Equity)

Il tasso di mercato è il tasso rispetto a cui attualizzo i dividendi e posso ricavarlo per metodo inverso:
𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜
𝐷𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑 𝑦𝑖𝑒𝑙𝑑 𝑑𝑎
⏞1 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑔𝑎𝑖𝑛
𝐷𝑖𝑣
𝑅= + ⏞
𝑔
𝑃0

OPPORTUNITA’ DI CRESCITA (CRESCITA ZERO)


Si supponga che un’azienda generi in perpetuo lo stesso livello di utili (comportamento da cash cow), che
verranno corrisposti come dividendi agli azionisti:
𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑖
𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑒𝑟
𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
⏞ =
𝐸𝑃𝑆 ⏞
𝐷𝑖𝑣
Allora il prezzo delle azioni si può esprimere come:
𝐸𝑃𝑆
𝑃0 =
𝑅
Si supponga che l’azienda trattenga tutto l’utile, che reinveste, risulta:
𝐸𝑃𝑆
𝑃0 = + 𝑉𝐴𝑁𝑂𝐶, 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑉𝐴𝑁𝑂𝐶 > 0 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒
𝑅
Il VANOC rappresenta il differenziale (positivo si spera), dato dagli investimenti fatti con gli utili trattenuti,
tra le azioni dell’azienda che reinveste interamente l’utile e una che li distribuisce. Ovviamente se il VANOC
è negativo, allora converrà la distribuzione degli utili. Invece, dividendi o utili sono slegati dal valore del
VANOC. Il valore dell’impresa, al contrario, è funzione crescente del VANOC. In generale:

• 𝑅𝑂𝐸 < 𝑅 => 𝑅𝑒𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑟𝑒 𝑑𝑖𝑚𝑖𝑛𝑢𝑖𝑠𝑐𝑒 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 => 𝑚𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑑𝑖𝑠𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑖𝑟𝑒 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑖
• 𝑅𝑂𝐸 > 𝑅 => 𝑅𝑒𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 => 𝑚𝑒𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑟𝑒𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑟𝑒 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖
VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
La valutazione degli investimenti consiste nel capital budgeting, cioè il processo di valutazione dei processi
di acquisizione delle immobilizzazioni (materiali e immateriali).

VALORE ATTUALE NETTO


Il VAN è il valore attuale di tutti i flussi che l’investimento genera nel futuro, al netto del flusso in uscita
all’anno 0. Un investimento si accetta solo se ha VAN > 0.

I criteri per la costruzione del VAN sono:

1) Al numeratore si usano i flussi di cassa (rendiconto finanziario)


2) Si usano tutti i flussi di cassa
3) Considera l’orizzonte temporale dei flussi di cassa
4) Attualizza i flussi di cassa

Inoltre, il VAN gode dalla proprietà di additività del valore, cioè il valore dell’azienda non è altro che la
sommatoria dei VAN dei singoli progetti.

Nel calcolo del VAN fondamentale è il tasso di attualizzazione, che rappresenta il costo – opportunità per
gli azionisti rispetto a un’attività finanziaria con rischio comparabile.

TEMPO DI RECUPERO
Il tempo di recupero è il tempo che intercorre tra capitale investito e ripagamento. Quindi, si accetta un
investimento se tempo di recupero < data specifica di rientro decisa dal management.

I principali svantaggi sono:

1) Non tiene conto della tempistica dei flussi


2) Non tiene conto dei pagamenti successivi (dopo il recupero)
3) La data di rientro è fissata arbitrariamente

Allo stesso tempo, il PBP (tempo di recupero) continua ad essere utilizzato per varie ragioni:

1) Maggiore semplicità rispetto al VAN


2) Le imprese grandi lo usano per valutare investimenti di routine
3) Permette di valutare l’abilità decisionale del management
4) Privilegia logiche di breve periodo e di recupero rapido della liquidità, importanti per azienda in
situazioni di razionamento di capitale
5) Nella realtà, spesso il VAN e il PBP portano alle stesse conclusioni

Per risolvere posso attualizzare i flussi di cassa, ottenendo il tempo di recupero attualizzato, cioè quanto
tempo i flussi di cassa attualizzati riescono a recuperare gli investimenti. In questo caso, però, cadono i
vantaggi in termini di semplicità e di controllo manageriale.
TASSO INTERNO DI RENDIMENTO (TIR)
Il TIR è il tasso intrinseco del progetto, che dipende esclusivamente dai flussi di cassa. In altre parole, è il
tasso che rendo VAN = 0, ovvero rende l’azienda indifferente rispetto all’investimento. La regola è che si
accetta l’investimento se TIR > R. Il tasso di attualizzazione, infatti, rappresenta il costo delle fonti di
finanziamento e il grado di rischio associato all’investimento (ne è funzione crescente). Da solo il TIR non dà
nessuna informazione particolare, ma deve essere sempre confrontato con un tasso di attualizzazione.
L’utilità del TIR è per le aziende è, in sostanza, la possibilità di avere una regola che sintetizzi le
informazioni sul progetto in un singolo tasso.

I progetti possono essere classificati in:

• Indipendenti (accettazione o rifiuto indipendente agli altri progetti)


• Dipendenti (accettazione o rifiuto dipendente dagli altri progetti)
• Alternativi (i progetti sono mutualmente esclusivi)

Il TIR presenta degli svantaggi:

1) Problema comunicativo
2) Diverso metodo a seconda che l’operazione sia di investimento (prima flussi in uscita) o di
finanziamento (prima i flussi in entrata):
a. Investimento: accetto se TIR > R (VAN > 0), perché il TIR rappresenta il rendimento
dell’investimento e R il costo dell’investimento. VAN negativamente legato a R.
b. Finanziamento: accetto se TIR < R (VAN > 0), perché TIR rappresenta il costo del
finanziamento e R il rendimento del finanziamento. VAN positivamente legato a R.
3) Diversi TIR in caso di flussi di cassa di diverso segno, che ostacolano l’interpretazione. Il VAN ha
legame ora positivo ora negativo con R.

4) Il TIR non permette di comparare i progetti con dimensioni diverse


5) Il TIR non permette di comparare progetti con timing diverso
Per confrontare due investimenti alternativi posso ricorre a 3 metodi:

• Confronto i VAN, scegliendo l’investimento con VAN maggiore


• Calcolo il VAN incrementale, se VAN > 0 allora scelgo l’investimento rispetto a cui sto calcolando i
differenziali
• Calcolo il TIR incrementale per uno degli investimenti, se vale TIR > R allora scelgo l’investimento
rispetto a cui sto calcolando i differenziali

NON uso il confronto dei TIR.

INDICE DI REDDITIVITA’
𝑉𝐴 𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖 𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖
𝐼𝑅 = =
𝐼𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑛𝑒𝑔𝑎𝑡𝑖𝑣𝑖
La regola risulta:

• IR > 1 => VAN > 0


• IR < 1 => VAN < 0

Nel caso di investimenti alternativi, l’IR soffre degli stessi problemi del TIR (diversa dimensione e diverso
timing), quindi in tal caso è preferibile usare il VAN. Tuttavia, è preferibile considerare l’IR, invece del VAN,
in 2 casi:

• Razionamento del capitale


• Presenza di indivisibilità

NELLA REALTA’
La seguente tabella mostra il tasso di utilizzo delle varie metodologie di capital budgeting nel mondo:
FLUSSI DI CASSA DIFFERENZIALI
I flussi di cassa differenziali sono i flussi che scaturiscono come conseguenza del progetto, cioè sono la
differenza tra i flussi di cassa in presenza del progetto e quelli in assenza di esso. Possono essere
incrementali e decrementali.

I flussi di cassa che devo mettere nel VAN devono essere:

• Di natura monetaria (per definizione)


• Differenziali (incrementali o decrementali)
• Al netto delle imposte
• Al lordo degli interessi
• Devono considerare i costi – opportunità (ricavi persi per la scelta dell’investimento)
• Non devono considerare i costi sommersi (spese già sostenute indipendentemente dalla decisione)
• Devono considerare costi ripartiti (spesa a beneficio di più progetti) solo se flussi incrementali

In altre parole, il flusso di cassa che devo considerare è l’FCFO. In giallo le componenti del rendiconto
finanziario che devo considerare ai fini della determinazione dei flussi di cassa del VAN.

L’INFLAZIONE
Distinguiamo tra:

• Flussi di cassa nominale = somma effettiva in contanti (al lordo dell’inflazione)


• Flussi di cassa reali = potere di acquisto della somma nominale (al netto dell’inflazione)

Inoltre:


1 + 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑′ 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑚𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒
1 + 𝑇𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑒𝑠𝑠𝑒 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑒 =
1 + 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑′𝑖𝑛𝑓𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
Ovviamente i flussi di cassa nominali (reali) devono essere scontati con il tasso d’interesse nominale (reale).
Il VAN con i due metodi rimane lo stesso.
IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE
Il tasso di attualizzazione si calcola come il WACC (costo medio ponderato del capitale):
𝐷 𝐸
𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝐾𝑑(1 − 𝑡𝑐) ( ) + 𝐾𝑒 ( )
𝐷+𝐸 𝐷+𝐸
Dove:

• Kd e Ke sono il costo di debito ed equity


• Tc è l’aliquota fiscale (minori tasse collegate al pagamento degli interessi)
• D/(D+E) e E/(D+E) peso del debito e dell’equity sulla struttura finanziaria

Il tasso di attualizzazione riflette gli interessi legati a finanziamento tramite debito, ragion per cui le
imprese non considerano il pagamento degli interessi nella determinazione dei flussi di cassa (ipotesi di
finanziamento solo tramite equity).

CAE: METODO DEL COSTO ANNUO EQUIVALENTE


Il metodo CAE è utilizzato per confrontare investimenti con vita utile diversa. Il VAN è efficiente quando
gli investimenti hanno stessa vita utile. Il processo si divide in 3 fasi:

1) Calcolare i VAN riferiti a costi. Operare la scelta sulla base del VAN dei costi più basso è un
approccio superficiale, poiché bisogna tener conto della diversa durata delle vite utile, quindi della
possibilità che una sostituzione tra i beni sia opportuna
2) Si calcola il fattore annuo di rendita, cioè una rendita (pagata per la vita utile) equivalente al VAN
calcolato al punto 1:
1 − (1 + 𝑖)−𝑛
𝐹𝐴𝑅 =
𝑖
3) Il CAE è dato il rapporto tra VAN (considerando i soli costi) e il FAR ed esprime la rata annua (voce
costo) per cui i flussi di pagamenti attualizzati sono pari al VAN calcolato al punto 1:
𝑉𝐴𝑁
𝐶𝐴𝐸 =
𝐹𝐴𝑅
Regola di scelta: si sceglie l’investimento con CAE più basso

In pratica: la macchina vecchia si sostituisce con quella nuova quando 𝐶𝐴𝐸𝑛𝑢𝑜𝑣𝑎 < 𝐶𝐴𝐸𝑣𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑎

Utilizzando questo metodo, però, bisogna prestare attenzione a 2 elementi:

• Esprimere i flussi di cassa sempre in termini reali


• Deve essere possibile sostituire i beni, altrimenti bisogna usare il VAN a ricavi e costi

ALTRI ELEMENTI UTILI NELLA VALUTAZIONE DELL’INVESTIMENTO


Al momento della valutazione di un investimento bisogna tener conto di altri elementi quali:

• Regole fiscali sul calcolo dell’ammortamento


• Ipotesi dell’azienda sui pagamenti degli interessi
• Metodi di previsione sulle variazioni del CCNC
VAN E INCERTEZZA
ANALISI DI SENSIBILITA’ E ANALISI DI SCENARIO
Analisi di sensibilità = metodo in grado di esaminare il livello di reattività di un determinato progetto verso
cambiamenti concernenti le ipotesi sottostanti. Si considerano una previsione pessimistica e una ottimistica
(oltre a quella attesa, cioè la situazione standard) e si calcolano i VAN per tutte le possibilità (pessimistica,
attesa, ottimistica) riferite alle singole variabili (es. dimensione mercato, quota mercato, prezzo, costi
variabili e fissi, investimento iniziale), mantenendo costante le altre (alla previsione attesa). Essa è utile per:

1) Verificare la fondatezza del VAN


2) Individuare dove occorrono maggiori informazioni (VAN varia da negativo a positivo)

Allo stesso tempo, tale metodo ha degli svantaggi:

• Può creare falso senso di sicurezza, soprattutto laddove la previsione pessimistica dà VAN positivi
• Non si considerano le interazioni tra diverse variabili

Analisi di scenario = metodo che è simile all’analisi di sensibilità nella procedura di calcolo, ma permette
interazioni tra variabili. Tuttavia, essa è possibile solo se si conosce esattamente la dinamica di variazione e
interazione tra i fattori, ragion per cui spesso l’analisi di scenario è meno pratica dell’analisi di sensibilità.

IL PUNTO DI PAREGGIO
Metodo indirizzato a stabilire la quantità di output prodotti (unità fisiche) tali da pareggiare costi – ricavi
(breakeven point). Può essere condotta in 2 modi:

1) Breakeven contabile, output tale da ricavi = costi


2) Breakeven finanziario, output tale da flussi in entrata = flussi in uscita

Secondo logica contabile, il breakeven è il punto che azzera l’utile (livello di output minimo per
conseguire profitti), cioè l’intersezione tra la retta dei costi totali annui e la retta dei ricavi annui:

Matematicamente:
𝐶𝐹 + 𝐴𝑀𝑀
𝐵𝑟𝑒𝑎𝑘𝑒𝑣𝑒𝑛𝐶𝑂𝑁𝑇 =
𝑃 − 𝐶𝑉
Dove P: prezzo unitario; CF: costi fissi; CV: costi variabili; AMM: ammortamenti.

Secondo logica finanziaria:


𝐶𝐴𝐸 + 𝐶𝐹(1 − 𝑡𝑐) − 𝐴𝑀𝑀(𝑡𝑐)
𝐵𝑟𝑒𝑎𝑘𝑒𝑣𝑒𝑛𝐹𝐼𝑁 =
(𝑃 − 𝐶𝑉)(1 − 𝑡𝑐)
In tal caso il breakeven rappresenta la soglia di output minima per conseguire un saldo positivo tra entrate
e uscite. Solitamente si verifica a un punto di vendite più alto del breakeven contabile. Ciò si verifica perché
il breakeven contabile non considera il costo opportunità dell’investimento iniziale.

OPZIONI REALI E ALBERI DECISIONALI


Le opzioni reali considerano, a differenza del VAN, gli aggiustamenti messi in atto dall’impresa dopo
l’adozione dell’investimento. L’opzione reale praticamente consiste nella costruzione di alberi decisionali
che tengano conto di tali aggiustamenti:

Possiamo distinguere tra:

• Opzione di espansione
• Opzione di abbandono
• Opzione di differimento
Procediamo con un esempio:

Costruiamo l’albero decisionale:

Calcolo i valori attuali delle opzioni al tempo 1:


550000 ∗ 0,4 + 730000 ∗ 0,6
𝑉𝑎𝑙. 𝑜𝑝. 𝑒𝑠𝑝. 𝑇1 = −250000 + = 342793
1,11
300000
𝑉𝑎𝑙. 𝑜𝑝. 𝑎𝑏𝑏. 𝑇1 = 0 + = 270270
1,11
Ne calcolo il differenziale al tempo 1:

𝐷𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 𝑉𝑎𝑙. 𝑜𝑝. 𝑒𝑠𝑝. 𝑇1 − 𝑉𝑎𝑙. 𝑜𝑝. 𝑎𝑏𝑏. 𝑇1 = 342793 − 270270 = 72522,5
Calcolo il differenziale al tempo 0, cioè il VAN differenziale:
72522,5
𝐷𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑎 𝑇0 = 𝑉𝐴𝑁 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑡𝑟𝑎 𝑒𝑠𝑝. 𝑒 𝑎𝑏𝑏. = = 65335,6 > 0
1,11
In questo caso il VAN è positivo, cioè scelgo l’opzione di espansione
RISCHIO, RENDIMENTO E MERCATI
RENDIMENTI MONETARI, PERCENTUALI E PERIODALI
Rendimento monetario = somma del rendimento in termini monetari da dividendi e in conto capitale
(legato all’aumento o alla riduzione del prezzo dell’azione):
= 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑔𝑎𝑖𝑛 > 0
= 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑙𝑜𝑠𝑠 < 0

𝑅𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 = 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 + ⏞


(𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑇1 − 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑇0) ∗ 𝑛. 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖

[ ]
Dal rendimento monetario possiamo ricavare la liquidità totale al momento della vendita delle azioni:

𝐿𝑖𝑞𝑢. 𝑡𝑜𝑡. 𝑣𝑒𝑛𝑑. = 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 + 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒


Dove 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑇0 ∗ 𝑛. 𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖

Rendimento percentuale = esprime il guadagno (da dividendi e in conto capitale) che si ottiene per ogni
unità monetaria investita:
𝑟𝑒𝑛𝑑. 𝑟𝑒𝑛𝑑.
𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙 𝑔𝑎𝑖𝑛
𝑝𝑒𝑟𝑐𝑒𝑛𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒

𝐷𝑡+1

𝑃𝑡+1 − 𝑃𝑡

𝑅𝑡+1 = +
𝑃𝑡 𝑃𝑡
Rendimento periodale = rendimento totale se la somma investita all’inizio fosse lasciata sul mercato
azionario, e se ogni anno i dividendi dell’anno precedente fossero stati reinvestiti nell’acquisto di altre
azioni:

1 + 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑎𝑙𝑒 = (1 + 𝑅1 ) ∗ … ∗ (1 + 𝑅𝑇 )

MISURAZIONE DEL RENDIMENTO


Il rendimento medio misura la remunerazione media annua del mercato azionario negli anni pregressi. La
misurazione avviene tramite la media dei rendimenti osservati:
𝑅1 + ⋯ + 𝑅𝑇
𝑅̅ =
𝑇
Ovviamente si considera la media aritmetica.

MISURAZIONE DEL RISCHIO


Il premio al rischio è la differenza di rendimento tra un asset rischioso (asset di mercato) e un asseto
privo di rischio. I buoni del tesoro sono il paradigma dell’asset a rischio zero, poiché è difficile che un paese
sovrano fallisca ed esso per saldare i suoi debiti può sempre aumentare le imposte. La sua misurazione
dipende da:

• Dispersione della distribuzione dei rendimenti


• Volatilità dei rendimenti
• Varianza della distribuzione dei rendimenti

Infatti, il grado di dispersione dei rendimenti rispetto al rendimento medio è misurato dalla varianza (e
ancor meglio dalla deviazione standard).
1
𝑉𝐴𝑅 = [(𝑅1 − 𝑅̅ )2 + ⋯ + (𝑅𝑇 − 𝑅̅ )2 ]; 𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑇 − 1 𝑠𝑒 𝑐𝑎𝑚𝑝𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑝𝑒𝑟 𝑇 𝑠𝑒 𝑝𝑜𝑝𝑜𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
𝑇−1
𝐷𝐸𝑉𝑆𝑇 = √𝑉𝐴𝑅
Un campione sufficientemente numeroso ci permette di dire che la distribuzione dei rendimenti ha
andamento normale (Central Limit Theorem), le cui principali caratteristiche sono:

• Simmetricità rispetto alla media


• Uguaglianza tra media e mediana
• Code non significative
• La distanza dalla media è misurata esattamente dalla deviazione standard

Nei casi reali difficilmente la distribuzione dei rendimenti è una normale, quindi è necessario utilizzare
metodi alternativi per far a meno dell’ipotesi di distribuzione normale.

INDICE DI ASIMMETRIA
L’indice di asimmetria misura se la distribuzione dei rendimenti presenti una asimmetria a destra
(negativa) o a sinistra (positiva):

Possiamo dire che:

• Asimmetria a sinistra => indice di asimmetria > 1 => prevalenza rendimenti positivi
• Asimmetria a destra => indice di asimmetria < 1 => prevalenza rendimenti negativi

L’indice si scrive grossolanamente come:

∆ 𝑐𝑎𝑢𝑠𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑉𝐴𝑅 > 𝑅̅


𝐴𝑠𝑖𝑚𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑎 = 𝑖𝑛 𝐸𝑥𝑐𝑒𝑙 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑆𝐾𝐸𝑊
∆ 𝑐𝑎𝑢𝑠𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑉𝐴𝑅 < 𝑅̅
INDICE DI CURTOSI
L’indice di curtosi misura la numerosità dei rendimenti che si collocano nelle code. Calcolabile con metodi
elettronici (Excel funzione KURT)
IL CAPM: CAPITAL ASSET PRICING MODEL
CONCETTI GENERALI
Rendimento atteso = rendimento che un investitore si attende da un titolo nel prossimo periodo. Dato che
si tratta di un’aspettativa, esso può essere superiore o inferiore al rendimento effettivo.

Varianza = misura la dispersione dei rendimenti effettivi rispetto al rendimento medio, quindi valuta la
volatilità dei rendimenti di un titolo. In particolare, da essa si ricava la deviazione standard.
1
𝑉𝐴𝑅 = [(𝑅1 − 𝑅̅ )2 + ⋯ + (𝑅𝑇 − 𝑅̅ )2 ]
𝑇 − 1 (𝑜 𝑇)
Covariaza e correlazione = misurano come sono legati statisticamente i titoli fra di loro. La covarianza può
assumere qualsiasi valore positivo o negativo, mentre la correlazione è compresa in un intervallo tra 0 e 1.

(𝑅𝐴1 − ̅𝑅̅̅𝐴̅) ∗ (𝑅𝐵1 − ̅̅̅̅


𝑅𝐵 ) + ⋯ + (𝑅𝐴𝑇 − ̅𝑅̅̅𝐴̅) ∗ (𝑅𝐵𝑇 − ̅̅̅̅
𝑅𝐵 )
𝐶𝑂𝑉(𝑅𝐴 , 𝑅𝐵 ) =
𝑇 − 1 (𝑜 𝑇)
𝐶𝑂𝑉(𝑅𝐴 , 𝑅𝐵 )
𝑐𝑜𝑟𝑟 =
𝐷𝐸𝑉(𝑅𝐴 ) ∗ 𝐷𝐸𝑉(𝑅𝐵 )
Ovviamente:

• 𝐶𝑜𝑟𝑟 > 0 => titoli positivamente correlati


• 𝐶𝑜𝑟𝑟 < 0 => titoli negativamente correlati
• 𝐶𝑜𝑟𝑟 = 0 => titoli indipendenti
• 𝐶𝑜𝑟𝑟 = 1 => titoli perfettamente correlati positivamente (𝑅𝐴 > ̅𝑅̅̅𝐴̅ <=> 𝑅𝐵 > ̅̅̅̅
𝑅𝐵 )
• 𝐶𝑜𝑟𝑟 = −1 => titoli perfettamente correlati negativamente (𝑅𝐴 > ̅𝑅̅̅𝐴̅ <=> 𝑅𝐵 < ̅̅̅̅
𝑅𝐵 )

Diversificare il rischio significa:

• Minimizzare la deviazione standard (minima volatilità)


• Considerare titoli perfettamente correlati negativamente (meccanismi di compensazione)

RENDIMENTI DEI PORTAFOGLI


Il rendimento dei portafogli è dato dalla media ponderato utilizzando come pesi i rendimenti dei singoli
titoli:

𝑅𝑃𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜 = 𝑋𝐴 𝑅𝐴 + 𝑋𝐵 𝑅𝐵 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑋𝐴 𝑒 𝑋𝐵 𝑝𝑒𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝐴 𝑒 𝐵 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜

Il rischio del portafoglio non è una media ponderata dei rischi, perché si deve tener conto delle
covarianze tra i titoli all’interno del portafoglio:

𝑉𝑎𝑟 (𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = 𝑋𝐴2 𝑉𝑎𝑟𝐴 + 𝑋𝐵2 𝑉𝑎𝑟𝐵 + 2𝐶𝑜𝑣(𝐴, 𝐵)𝑋𝐴 𝑋𝐵


Possiamo ricavare la deviazione standard del portafoglio:

𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = √𝑉𝑎𝑟 (𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜)

Per controllare la diversificazione del rischio devo confrontare la deviazione standard del portafoglio con
la madia ponderata delle deviazioni standard dei singoli titoli, rispetto a cui deve essere minore:

𝐷𝐸𝑉𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜𝑙𝑙𝑜 = 𝑋𝐴 𝐷𝐸𝑉𝐴 + 𝑋𝐵 𝐷𝐸𝑉𝐵


Esiste una relazione tra confronto tra deviazioni standard e correlazione tra titoli:

1) Se la correlazione tra i due titoli è minore di 1 allora c’è sempre diversificazione del rischio:

𝑐𝑜𝑟𝑟(𝐴, 𝐵) < 1 => 𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) < 𝐷𝐸𝑉𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜𝑙𝑙𝑜


Questo si verifica perché i due titoli sono correlati negativamente e possono dar luogo a
compensazioni all’interno del portafoglio (c.d. hedge)

2) Se, invece, la correlazione tra i titoli è esattamente 1 allora non si ha effetto diversificazione:

𝑐𝑜𝑟𝑟(𝐴, 𝐵) = 1 => 𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = 𝐷𝐸𝑉𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜𝑙𝑙𝑜


3) Se il coefficiente di correlazione aumenta, a parità delle altre caratteristiche dei titoli (deviazione
standard, rendimento, composizione portafoglio) allora posso dire certamente che la deviazione
standard del portafoglio aumenta, ma rimane sempre minore della media ponderata delle singole
deviazioni standard:

𝐶𝑒𝑡𝑒𝑟𝑖𝑠 𝑝𝑎𝑟𝑖𝑏𝑢𝑠, 𝑐𝑜𝑟𝑟(𝐴, 𝐵) ↑=> 𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡) ↑, 𝑚𝑎 𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡) < 𝐷𝐸𝑉𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑜𝑙𝑙𝑜


4) L’effetto di diversificazione è massimo quando la correlazione tra i titoli è perfettamente negativa:

𝑐𝑜𝑟𝑟(𝐴, 𝐵) = −1 => 𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) è 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑜


5) Il portafoglio senza rischio non è possibile. Si può solo minimizzare il rischio. Un’eccezione è
costituita da un portafoglio con obbligazioni risk free:

𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) ≠ 0 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒

FRONTIERA EFFICIENTE PER PORTAFOGLIO (2 TITOLI)


La frontiera efficiente si costruisce a partire da un diagramma con:

• Ascisse = deviazione standard


• Ordinata = rendimento atteso
• Unità di misura = percentuale

Le possibili combinazioni di titoli (coppie di pesi) del portafoglio costruiscono la frontiera dei portafogli
possibili:

MV individua il portafoglio con minima deviazione standard (comunque non nulla). Il portafoglio migliore
è individuato dalla propensione al rischio dell’operatore. In caso di assenza di effetto diversificazione
(correlazione esattamente 1) la curva diventa una retta. Noto che i portafogli che vanno dal titolo a minore
deviazione (Slow) e MV sono portafogli possibili, ma non razionali, dato che a parità di rischio (deviazione
standard) ci sono portafoglio più remunerativi. La frontiera efficiente va, quindi, da MV al titolo con
maggiore deviazione standard (Super).
Graficamente in base alla correlazione la curva cambia:

Noto che per 𝑐𝑜𝑟𝑟 = −1:

• La deviazione standard del portafoglio è minima (teoricamente nullo)


• La frontiera efficiente è molto estesa

In presenza di più titoli nei portafogli allora la curva di trasforma:

La frontiera efficiente rimane il ramo di curva che va da MV al titolo X, mentre l’insieme dei portafogli
possibili è l’area al di sotto della curva. I portafogli appartenenti all’area sono non efficienti, dato che a
parità di rischio esistono:

• A parità di rischio, esiste un portafoglio sulla frontiera efficiente con maggiore remunerazione
(verticale)
• A parità di remunerazione, esiste un portafoglio sulla frontiera efficiente con minore rischio
(orizzontale)
In questo caso per il calcolo della varianza e della deviazione standard del portafoglio utilizzo un metodo a
matrici, in cui sommo tutti gli elementi all’interno della matrice:

Posso notare che quando i portafogli ho N titoli, allora nella determinazione di 𝑉𝐴𝑅/𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜)
ha maggiore peso le covarianze tra i titoli rispetto alle varianze. Infatti, il portafoglio sarà descritto da:

• 𝑁 varianze
• 𝑁(𝑁 – 1) covarianze/deviazioni standard

Infatti, un portafoglio ben diversificato deve essere costituito almeno da 20 titoli, cioè da 20 varianze e 380
covarianze.

Il maggior peso delle covarianze permette di comprendere come gestire il rischio nel portafoglio in base al
numero di titoli da esso contenuto. Ricorrendo a 3 ipotesi semplificatrici:

1) Varianze tra titoli sono le stesse


2) Covarianze tra titoli sono le stesse
3) Tutti i titoli hanno stessa ponderazione nel portafoglio

posso, infatti, scomporre il rischio di portafoglio, espresso dalla sua varianza in rischio specifico (legato alle
varianze dei titoli) e rischio sistematico (legato alle covarianze dei titoli):
𝑅𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑅𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜
𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑓𝑖𝑐𝑜 𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐𝑜

1 ⏞ 1
𝑉𝐴𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = ̅̅̅̅̅̅
𝑉𝐴𝑅 + (1 − ) ̅̅̅̅̅̅
𝐶𝑂𝑉
𝑁 𝑁
All’aumentare del numero di titoli nel portafoglio il rischio specifico diminuisce fino ad essere trascurabile,
perché le varianze dei titoli diventano sempre più trascurabili nella determinazione della varianza
complessiva del portafoglio. Allo stesso tempo, il rischio totale non si annulla, perché rimane una
componente sistemica (di mercato), che è rappresentata dalle covarianze tra i titoli. Quindi, all’aumentare
del numero di titoli, possiamo dire, il rischio totale diminuisce nel senso che il rischio specifico diminuisce
sensibilmente, fino a che non rimane solo il rischio sistematico.
PORTAFOGLIO CON UN TITOLO PRIVO DI RISCHIO
Un titolo privo di rischio è, per esempio, un titolo di Stato. Il titolo non rischioso ha deviazione standard
nulla:

𝑇𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜𝑠𝑜: 𝐷𝐸𝑉 = 0 => 𝐶𝑂𝑉(𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜, 𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜) = 0


In generale, il rendimento di un titolo privo di rischio non va oltre l’1%. Un portafoglio costituito da un titolo
rischioso e da un altro non rischioso vede le proprie varianza e deviazione standard determinate solo dalla
sua componente rischiosa:
2
𝑉𝐴𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = 𝑋𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑉𝐴𝑅𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜

𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = √𝑉𝐴𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜)

L’investitore può decidere di indebitarsi al tasso privo di rischio e investire la somma totale nel titolo a tasso
rischioso:
𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚. 𝑖𝑛𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡.
𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = ⏞
(1 + 𝑋) 𝑅𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 + ⏞
(−𝑋) 𝑅𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜

𝑉𝐴𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = (1 + 𝑋)2 𝑉𝐴𝑅𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜

𝐷𝐸𝑉(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = √𝑉𝐴𝑅(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜)

Graficamente la situazione teorica sarebbe:

In pratica, è difficile che il tasso di indebitamento sia minore al tasso di rendimento.


PORTAFOGLIO OTTIMALE
La scelta del portafoglio ottimale deve tener conto di 3 elementi:

• Frontiera efficiente
• Insieme dei portafogli ammissibili
• Retta del portafoglio privo di rischio

In altre parole, il portafoglio ottimale è individuato dall’intersezione tra la retta tangente (linea del mercato
dei capitali, CML) e frontiera efficiente:

Il portafoglio ottimale è il portafoglio che include N azioni presenti sul mercato e un 1 asset non rischioso
e rappresenta il trade off rischio – rendimento migliore tra tutti i possibili portafogli, ed è unico.
L’individuazione del portafoglio ottimale avviene in 2 fasi (principio di separazione):

1) Fase oggettiva: determinare l’intersezione (unica)


2) Fase soggettiva: decidere se (e quanto) investire nel portafoglio ottimale, in base alla propensione
al rischio dell’operatore

In presenza di aspettative omogenee (mercati efficienti) tutti gli investitori scelgono il portafoglio
ottimale. Allo stesso tempo:

• Propensione al rischio bassa, allora ci si colloca su portafogli al di sotto di A sulla market line
• Propensione al rischio alta, allora ci si colloca su portafogli al di sopra di A sulla market line

Sotto tale ipotesi il portafoglio ottimale rappresenta il c.d. portafoglio di mercato.


IL BETA
Il beta del portafoglio rappresenta la sensibilità di un’azione alle variazioni che intervengono nel portafoglio
di mercato. Il portafoglio di mercato è costituito da tutti i titoli presenti sul mercato e, in pratica, viene
misurato da indici che misurano le variazioni dei titoli più importanti sul mercato.
𝐶𝑂𝑉(𝑅𝑖 , 𝑅𝑀 ) 𝐶𝑜𝑟𝑟(𝑅𝑖 , 𝑅𝑀 )𝐷𝐸𝑉(𝑅𝑖 )
𝛽= =
𝑉𝐴𝑅(𝑅𝑀 ) 𝐷𝐸𝑉(𝑅𝑀 )
Il beta del portafoglio di mercato è per definizione 1:
𝑁

∑ 𝑋𝑖 𝛽𝑖 = 1
𝑖=1

Le aziende con profili di rischio molto elevati registreranno 𝛽 molto alto. Il settore high tech è un settore
che tipicamente presenta 𝛽 molto alti. In generale, per portafogli ampi e diversificati, il beta è la migliore
misura del rischio sistematico. Il beta rappresenta anche il contributo (opportunamente standardizzato)
che ciascun titolo dà alla varianza del portafoglio (quindi al rischio).

Si definisce premio di rischio la differenza tra il rendimento tra il titolo rischioso e quello del titolo privo di
rischio. Il rendimento di mercato, quindi, è dato dalla somma tra rendimento del titolo privo di rischio e il
premio rischio:

𝑅𝑀 = 𝑅𝑖 + 𝑝𝑟𝑒𝑚𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 (𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜)


Empiricamente il premio per il rischio oggi cade tra 5% e 5,5%.

CAPM: CAPITAL ASSET PRICING MODEL


𝑃𝑟𝑒𝑚𝑖𝑜
𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜
𝑅𝑖 = 𝑅𝐹 + 𝛽 ⏞
(𝑅𝑀 − 𝑅𝐹 )
Dove:

• 𝑅𝑖 è il rendimento atteso di un’azione


• 𝑅𝐹 è il rendimento del titolo privo di rischio
• 𝑅𝑀 è il rendimento atteso del mercato
• 𝛽 è il beta
• 𝑅𝑀 − 𝑅𝐹 è il premio di mercato

La formula del CAPM definisce la c.d. security market line (SML):


Nel caso della SML il rischio è misurato dal beta, mentre nella CML (Capital Market Line) è misurato dalla
varianza. Posso notare 2 casi estremi:

1) 𝛽 = 1 => 𝑅𝑖 = 𝑅𝑀 , cioè il titolo ha lo stesso rendimento del portafoglio di mercato


2) 𝛽 = 0 => 𝑅𝑖 = 𝑅𝐹 , cioè il titolo ha lo stesso rendimento del titolo privo di rischio

Ovviamente la SML appare così finché 𝑅𝑀 > 𝑅𝐹 . Ciò è molto ragionevole dato che il portafoglio di mercato
è costituito da solo attività rischiose e, quindi, per definizione deve avere un rendimento maggiore.
Empiricamente si è visto che negli ultimi 80 anni 𝑅𝑀 è stato più alto di 𝑅𝐹 di almeno l’8,5%.

Per quanto riguarda le dinamiche di aggiustamento (c.d. linearità del CAPM):

1) Individuiamo il punto M che è l’azione con lo stesso rendimento del mercato e che costituisce una
soglia.
2) S e T (punti al di sotto di SML) non esistono dato che posso scegliere titoli con maggiore
rendimento a parità di rischio. In particolare, i prezzi di S e T scenderanno (S e T sono
sopravvalutati), facendo aumentare i loro rendimenti
3) Punti al di sopra di SML non esistono dato che ha un rendimento è eccessivo. Il prezzo di V
aumenterà (V è sottovalutato), facendo diminuire il suo rendimento

Esiste, però, una critica fondamentale al CAPM (critica di Roll): impossibilità di costruire il vero portafoglio
di mercato, quindi impossibilità di testare empiricamente il CAPM.

Il beta di un portafoglio di titoli non è altro che la media ponderata dei beta dei singoli titoli:

𝛽(𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑓𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜) = 𝑋𝐴 𝛽𝐴 + 𝑋𝐵 𝛽𝐵
Esistono, infine, delle varianti interessanti del CAPM, anche se poco pratica (difficile reperibilità dei dati):

• CCAPM che calcola il beta a partire dal lato consumo


• HCAPM, che cerca di considerare il rendimento del capitale umano
MODELLI FATTORIALI ALIAS ARBITRAGE PRICING THEORY (APT)
MODELLI FATTORIALI IN GENERALE
Il modello CAPM include la totalità del rischio nel rischio del mercato (rischio sistematico). Ci si può
chiedere se non ci siano altre determinanti il rischio. In primis, si consideri che il rendimento atteso di
un’azione è costituita da una componente prevista e una componente imprevista:

𝑅 = 𝑅𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 + 𝑅𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜


Di conseguenza, un annuncio o un processo che incide sul rendimento azionario può essere scomposto in
una parte attesa (che finisce in 𝑅𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 ) e un effetto sorpresa (𝑅𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 ).

Ripassiamo le definizioni di rischio:

• Rischio sistematico/non diversificabile/di mercato = rischio che influenza un gran numero di asset
(es. andamenti del PIL, tassi d’interesse, condizioni economiche generali, mercato borsistico…)
• Rischio non sistematico/diversificabile/specifico/unico = rischio che incide precisamente su un
singolo (o solo alcuni) asset (es. sciopero dei lavoratori in un’azienda…)

Definiamo i due rischi come m e ε:

𝑅 = 𝑅𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 + 𝑚 + 𝜀
Noto che ε è il rischio specifico di un titolo, quindi non legato con i rischi specifici di altri titoli:

𝐶𝑜𝑟𝑟(𝜀𝐴 , 𝜀𝐵 ) = 0
Allo stesso tempo, possono esistere più tipologie di rischio sistematico, arrivando a modelli multifattoriali a
più beta:
𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜
𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜 𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑓𝑖𝑐𝑜
𝑅 = 𝑅𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑜 + ⏞
𝛽1 𝐷𝑖𝑓𝑓1 + ⋯ + 𝛽𝐾 𝐷𝑖𝑓𝑓𝐾 + ⏞
𝜀
Il coefficiente β indica l’influenza di un particolare rischio sistematico sul rendimento del titolo. Da
notare, che il fattore nella formula entra come differenziale (𝐷𝑖𝑓𝑓𝐾 ), cioè la distanza del valore effettivo da
quello atteso (es., PIL effettivo rispetto a PIL previsto dal governo), che può anche essere interpretata come
un premio (o una penalità).

Proprietà: in un mercato efficiente, modello multifattoriale e CAPM danno lo stesso risultato.

I principali limiti dei modelli multifattoriali sono:

1) Difficile individuazione di tutti i fattori


2) Difficile stima attendibile dei beta
3) Gli indici di mercato alla base del CAPM misurano piuttosto fedelmente i movimenti del mercato
azionario

Ragion per cui si utilizzano modelli quali il CAPM. Infatti, il rendimento del mercato azionario, in generale,
è in grado di includere tutte le variazioni che avvengono in tutte le altre variabili macroeconomiche
rilevanti (il contrario non vale).
MODELLO UNIFATTORIALE PER I PORTAFOGLI
I titoli nel portafoglio sono pesati con 𝑋𝑖 𝑐𝑜𝑛 𝑖 = 1, … , 𝑁. Il rendimento del portafoglio può essere
calcolato:

1) Come media ponderata dei rendimenti individuali:

𝑅𝐹 = 𝑋1 𝑅1 + ⋯ + 𝑋𝑁 𝑅𝑁
2) In termini di rischio sistematico e rischio non sistematico:
̅̅̅1 + 𝛽1 𝐹 + 𝜀1 ) + ⋯ + 𝑋𝑁 (𝑅
𝑅𝐹 = 𝑋1 (𝑅 ̅̅̅̅
𝑁 + 𝛽𝑁 𝐹 + 𝜀𝑁 )
𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑒𝑡𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎
𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖 𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐𝑖
=⏞
𝑋1 ̅̅̅ 𝑅𝑁 + ⏞
𝑅1 + ⋯ 𝑋𝑁 ̅̅̅̅ 𝑋1 𝛽1 𝐹 + ⋯ + 𝑋𝑁 𝛽𝑁 𝐹 + ⏞
𝑋1 𝜀1 + ⋯ + 𝑋𝑁 𝜀𝑁
Diversificando il portafoglio posso annullare l’ultima media ponderata, cioè 𝑋1 𝜀1 + ⋯ + 𝑋𝑁 𝜀𝑁 = 0. Nel
caso di tale portafoglio (ben diversificato), il rendimento è influenzato solo dalla componente di rischio
sistematico e la relazione è lineare, ben rappresentata dalla SML, su cui giacciono i portafogli possibili e
razionali (al di sopra o al di sotto si hanno portafogli non efficienti). Il rischio sistematico è catturato da un
unico fattore F che influenza tutti i titoli.
CAPITAL BUDGETING E RISCHIO D’AZIENDA
COSTO DEL CAPITALE (CON INDEBITAMENTO)
Il costo del capitale è espresso nel tasso di attualizzazione che descrive il trade off rischio – rendimento,
cioè:

1) Per gli azionisti, il rendimento atteso di un’attività finanziaria con analogo rischio. Tale costo è il
WACC:
2) Per i manager, il costo del capitale per finanziare gli investimenti
𝐷 𝐸
𝑊𝐴𝐶𝐶 = 𝐾𝑑(1 − 𝑡𝑐) ( ) + 𝐾𝑒 ( )
𝐷+𝐸 𝐷+𝐸
𝑑𝑜𝑣𝑒 𝐾𝑒 = 𝑅𝐹 + 𝛽(𝑅𝑀 − 𝑅𝐹 )
I pesi nelle formule sono a valore di mercato o a valori target.

Se l’azienda si finanzia solo tramite debito (irrealistico) o solo tramite equity allora uso solo 𝐾𝑑(1 − 𝑡𝑐) o
𝐾𝑒 come tasso di attualizzazione.

PROBLEMATICITA’ DEL BETA


L’individuazione del beta per aziende non quotate può essere laboriosa, poiché va calcolato manualmente:

PROBLEMI SOLUZIONI
Beta variano nel tempo Statistiche e serie storiche più attendibili
Campione troppo piccolo
Influenza di leva di finanziaria e rischio Adeguamento al rischio finanziario ed economico
DETERMINANTI DEL BETA
Le determinanti del beta sono:

1) Ciclicità dei ricavi = ricavi sono ciclici quando essi sono elevati in fasi espansive e minori in fasi di
contrazione dell’economia. Le utilities o il cinema sono settori tipicamente poco ciclici (anche se
possono presentare ricavi variabili a causa delle performance dell’azienda o delle dinamiche
stagionali), mentre l’automotive è un settore tipicamente ciclico. Una maggiore ciclicità dei ricavi
significa maggiore rischio e beta.
2) Leva operativa = la leva operativa si riferisce alla composizione dei costi dell’azienda, in particolare
al rapporto tra costi fissi e costi variabili. Settori con leva operativa alta sono il siderurgico,
l’automotive e il cantieristico, poiché hanno elevati costi fissi e scarsi costi variabili. Settori con
bassa leva operativa sono, ad esempio, il consulenziale e i servizi. Alti costi fissi rispetto a costi
variabili ridotti, quindi, significano alta leva operativa, quindi un rischio e un beta più elevati.

3) Leva finanziaria = la leva finanziaria descrive il grado di indebitamento dell’azienda, quindi come si
articola la struttura finanziaria tra debito ed equity. Maggiore debito significa maggiore beta
complessivo.

Inoltre, di solito una valutazione della ciclicità dei ricavi e della leva operativa rappresenta una buona
stima qualitativa dei beta dei progetti, in mancanza di informazioni sufficienti per calcolarli
quantitativamente.

BETA EQUITY, BETA DEBT E BETA ASSET


In un’azienda indebitata, si possono identificare tre beta, legati da una formula similare a quella del WACC:

1) Beta asset o unlevered, cioè il beta che l’azienda avrebbe se fosse finanziata solamente da equity
2) Beta levered o dell’equity
3) Beta del debito

Semplifico, ipotizzando imposte nulle (tc = 0):


𝐷 𝐸
𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡/𝑢𝑛𝑙𝑒𝑣𝑒𝑟𝑒𝑑 = 𝛽𝑑𝑒𝑏𝑡 ( ) + 𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦/𝑙𝑒𝑣𝑒𝑟𝑒𝑑 ( )
𝐷+𝐸 𝐷+𝐸
Un’azienda con debito ha sempre un beta asset maggiore di un’azienda finanziata interamente con equity.

Inoltre, posso dire che:

• Se l’azienda è indebitata allora 𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 > 𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡


• Se l’azienda è 100% equity allora 𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 = 𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦
Se il debito è pari a zero, 𝛽𝑑𝑒𝑏𝑡 = 0, allora:
𝐸 𝐷
𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 = 𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 ( ) => 𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 = 𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 (1 + )
𝐷+𝐸 𝐸
L’ipotesi di assenza di imposte è eccessivamente restrittiva, poiché nel mondo esistono imposte. L’ipotesi
di assenza di debito è, invece, realistica. Infatti, 𝜷𝒅𝒆𝒃𝒕 è la sensibilità delle obbligazioni (delle passività
finanziarie) alle variazioni dei rendimenti del mercato azionario. È realistico pensare che obbligazioni,
mutui, ecc. non siano influenzati dagli andamenti del mercato azionari, quindi 𝜷𝒅𝒆𝒃𝒕 = 𝟎.

Noto, inoltre, che 𝜷𝒂𝒔𝒔𝒆𝒕 è una costante.

Facendo a meno dell’ipotesi di imposte nulla allora la formula diventa:


𝐷
𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 = 𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 [1 + (1 − 𝑡𝑐) ]
𝐸
I pesi nelle formule sono a valore di mercato o a valori target.

Ricorda che:
𝐸
=
𝐷+𝐸
𝐷 ⏞1
=1−
𝐷+𝐸 𝐷
1+𝐸

Non è detto, però, che i progetti debbano essere presentino lo stesso beta dell’azienda. In questo caso, la
prassi comune consiste nel dare ai progetti beta leggermente più elevati di quelli aziendali proprio per
segnalare questa differenza. Il processo segue aggiustamenti ad hoc non formalizzabili in maniera univoca.

BETA NELLE AZIENDE NON QUOTATE


Nelle aziende non quotate il beta viene calcolato mediante il metodo dei comparables. Esso consiste in:

1) Identificazione dei comparables sotto i tre profili di ciclicità dei ricavi, leva operativa e leva
finanziaria. I primi due profili tra aziende dello stesso settore di solito sono simili, mentre per leva
finanziaria è possibile avere differenze (anche nei beta).
2) Unlevering del beta equity dei comparables, cioè un processo in cui neutralizzo la differenza di
leva finanziaria, così da rendere completamente comparabili le aziende. In altre parole, calcolo il
beta asset:

𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦
𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 =
𝐷
(1 + (1 − 𝑡𝑐) 𝐸 )
Ragionevole è che i beta asset di aziende dello stesso settore siano simili.
3) Media aritmetica dei beta asset dei comparables, che rappresenta il beta asset di settore, il quale
cattura il rischio del business al netto della componente finanziaria.
4) Relevering del beta asset di settore, che permette di catturare il rischio complessivo, aggiungendo
la componente finanziaria:
𝐷
𝛽𝑒𝑞𝑢𝑖𝑡𝑦 = 𝛽𝑎𝑠𝑠𝑒𝑡 (1 + (1 − 𝑡𝑐) )
𝐸
Anche qui è ragionevole che il beta equity sia in linea con quelli dei comparables.
Un metodo alternativo è utilizzare una regressione standard su indici di mercato.

Il beta aziendale (o del titolo) in questo caso rappresenta la pendenza della retta di regressione.

Si possono ottenere, inoltre, beta effettivi d’azienda e beta di settore che si usano in base alla regola:

• Se l’azienda persegue delle attività diverse da quelle del settore allora uso il beta effettivo
• Se l’azienda persegue delle attività simili a quelle del settore allora uso il beta di settore

Un problema pratico , però, dell’utilizzo del beta di settore è la difficoltà ad individuare esattamente il
settore di appartenenza, dato che le aziende odierne presentano anche un certa intersettorialità.
L’EFFICIENZA DEI MERCATI
L’efficienza dei mercati significa quanto i prezzi delle azioni riescono a veicolare le informazioni (pubbliche e
private). L’efficienza riguarda anche il tempo in cui il prezzo cambia a seguito della divulgazione di
un’informazione o all’accadere di un evento. L’efficienza, infine, significa la limitazione (o annullamento)
delle possibilità di arbitraggio nel sistema.

Le condizioni alla base dell’efficienza del mercato sono:

IPOTESI DEBOLEZZE
Razionalità = gli investitori adeguano le proprie Gli investitori sono irrazionali nella realtà per
stime dei prezzi azionari in base al trade off rischio motivi psicologici/affettivi. Per esempio, non
– rendimento (es. unicità del portafoglio ottimale, diversificano abbastanza o non valutano
scelta dei portafogli solo sulla frontiera efficiente correttamente commissioni e imposte
ecc.)

Deviazioni indipendenti dalla razionalità = in In generale, gli individui sono troppo ottimisti,
presenza di informazioni non chiare, atteggiamenti quindi i prezzi sono costantemente sopravvalutati.
ottimistici (sopravvalutazione) e atteggiamenti Il mercato è caratterizzato, quindi, da bolle. Allo
pessimistici (sottovalutazione) si bilanciano, stesso tempo, ci si può aspettare inerzia degli
stabilizzando il prezzo individui, quindi prezzi sottovalutati e fasi di
depressione nei mercati finanziari.
Arbitraggio = nel mercato gli arbitraggi degli L’arbitraggi rischia di creare fenomeni di
investitori professionisti predominano sulle mispricing, dove i professionisti acquistano a prezzi
speculazioni dei dilettanti. La predominanza è sia troppo bassi e vendono a prezzi troppo alti su
quantitativa (maggiori investimenti dei dilettanti) operazioni eccessivamente rischiose, che non
sia qualitativo (maggiore conoscenza dei dilettanti) permettono compensazioni.

IPOTESI DI EFFICIENZA DEL MERCATO


In particolare, l’ipotesi di efficienza del mercato implica che l’adeguamento dei prezzi è immediato,
quindi:
a. Gli investitori non hanno tempo per ottenere extra – rendimenti
b. Le imprese non hanno opportunità vantaggiose di finanziamento (azioni al valore equo)
Mercato efficiente in forma debole: il mercato incorpora le informazioni dei prezzi passati:

𝑃𝑜𝑔𝑔𝑖 = 𝑃𝑖𝑒𝑟𝑖 + 𝑅𝑎 (𝐷𝐸𝑉) + 𝜀

Il prezzo di oggi è costituito dal prezzo osservato, dal rendimento atteso (funzione del rischio) e
componente casuale. In tal caso il prezzo ha un andamento casuale (random walk). In particolare, se un
titolo ha un andamento ciclico, poiché gli investitori tenderanno a vendere nei punti di massimo ed
acquistare nei punti di minimo, esso assumerà un andamento casuale alla fine (riduzione della ciclicità).

Mercato efficiente in forma semi – forte: il mercato incorpora tutte le informazioni disponibili al pubblico,
inclusi bilanci e andamento storico dei prezzi (elemento aggiuntivo rispetto alla forma debole). .

Mercato efficiente in forma forte: il mercato incorpora tutte le informazioni (pubbliche e private),
eliminando l’insider trading (situazione in cui pochi investitori hanno informazioni specifiche, che gli
permettono di acquistare e vendere a condizioni più vantaggiose rispetto al resto degli investitori). Rispetto
alla forma debole, quindi, nella forma forte tutti gli investitori sanno leggere bilanci e serie storiche e non
c’è insider trading.

Le 3 forme di efficienza hanno una struttura concentrica:

Tuttavia, nel mondo reale si ha efficienza in forma debole dato che:

1) Non tutti gli investitori ha conoscenza di contabilità, finanza, statistica ecc.


2) Le informazioni importanti sono spesso dominio di pochi (es. CFO, governi, ecc.)
STRUTTURA FINANZIARIA E VALORE
LE TIPOLOGIE DI AZIONI (EQUITY)
L’equity è costituito da due tipologie di azioni:

1) Azioni privilegiate (più vicine al debito), che godono di priorità nei dividendi e nella liquidazione.
Hanno vantaggi nei diritti patrimoniali, ma meno vantaggi nei diritti amministrativi (meno potere in
azienda). Esse possono presentare:
a. Dividendi cumulativi
b. Dividendi non cumulativi
2) Azioni ordinarie, che non godono di diritti particolari nella distribuzione dei dividendi o nel
rimborso del capitale in fallimento. Hanno vantaggi nei diritti amministrativi (governo dell’azienda),
ma nessun particolare vantaggio nei diritti patrimoniali (ottenimento di remunerazioni). Ad esse è
collegata la riserva sovrapprezzo azioni, che rappresenta la differenza tra valore in esubero e
valore nominale. La riserva non è vincolata, a differenza del capitale sociale. Allo stesso tempo, è
possibile che esistano classi di azioni diverse, ciascuna con diritti di voto differenti (causa:
nazionalismo o controllo dei proprietari/management).

Di default, sui mercati si comprano azioni ordinarie.

IL DEBITO
Il debito non conferisce al creditore diritti di amministrazione, che è la fondamentale differenza tra debito
ed equity. Il debito, principalmente, è costituito da obbligazioni. Si distingue tra:

• Debito a breve (note e bill, entrambe non garantiti)


• Debito a lungo (debenture e bond, primo è non garantito e secondo è garantito)

Il debito si può rimborsare prima (call provision) o alla scadenza e per avere un guadagno il prezzo di
rimborso deve essere maggiore al prezzo di emissione. Inoltre, la seniority (data di rimborso) stabilisce una
gerarchia tra i debiti senior (priorità nel rimborso) e junior (comunque prima degli azionisti). Il debito si
basa su un contratto che presenta vincoli per l’impresa (covenants), il cui contenuto è:

• Natura indebitamento
• Clausole restrittive
• Limiti indebitamento ulteriore
• Tetto massimo dividendi
• Livello minimo di capitale circolante
DEBITO VS EQUITY
CARATTERISTICA EQUITY DEBITO PREFERENZA D vs E
Reddito Dividendi Interessi Equity
Regime fiscale azienda I dividendi non sono un Gli interessi sono un Debito
costo (solo a rendiconto costo e sono deducibili
finanziario) e non sono
deducibili
Regime fiscale investitore Irpef (td). Il flusso di cassa Irpef (te). Il flusso di Debito
è: cassa è:
𝐸𝐵𝐼𝑇(1 − 𝑡𝑐)(1 − 𝑡𝑒) 𝐸𝐵𝐼𝑇(1 − 𝑡𝑐)
Controllo Diritti di voto Solo tramite clausole Equity
restrittive
Insolvenza L’azienda ha Mancato pagamento Equity
discrezionalità completa degli interessi porta al
sul pagamento dei fallimento
dividendi

Le imprese si finanziano in 3 modi:

1) Utili generali (finanziamento interno)


2) Mutui (finanziamento esterno)
3) Emissioni di obbligazioni o azioni (finanziamento esterno)

In generale, i valori utilizzati dagli economisti finanziari sono quelli di mercato, anche se essi risultano più
volatili rispetto ai valori contabili (prospettiva dei tesorieri).

Gli strumenti di finanziamento presentano una gerarchia (priorità decrescente, quindi rendimento/rischio
crescente):

NATURA GERARCHIA DI RIMBORSO DESCRIZIONE


Debito senior garantito Debito assistito da diritto reale su beni (collateral). Può essere
senza regresso o con regresso. Di solito fornito da banche o
obbligazioni garantite
Prestiti di seconda linea Debito assistiti da collateral meno forti

Debito senior non Debito senior che non presenta collateral


DEBITO garantito

Debito subordinato/junior Debito particolarmente rischioso, dato che è rimborsato solo


dopo i debiti senior. In caso di insolvenza, gli obbligazionisti
subordinati non ottengono nulla in genere.
Prestiti degli azionisti Mutui a lunghissimo termine e tasso bassissimo (rendite
perpetue) da parte degli azionisti di maggioranza
Azioni privilegiate Più diritti patrimoniali
EQUITY
Azioni ordinarie Più diritti amministrativi

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