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Leggere il bilancio

Capitolo 1
IL BILANCIO COME MODELLO DI RAPPRESENTAZIONE
DELL’AZIENDA

L’elemento caratterizzante gli studi economico-aziendali non è tanto l’oggetto di


studio (l’azienda e le sue manifestazioni di vita), quanto piuttosto la sua “tradu-
zione” in termini quantitativo-monetari.
In ragioneria, infatti, l’azienda e la sua vita vengono “misurati” con un “metro” del
tutto particolare, ma quanto mai efficace: la moneta.
Questo sforzo di “traduzione” è posto in essere “filtrando” la realtà aziendale
grazie a delle semplificazioni, che ci consentono di rappresentare in forma sinte-
tica quanto in concreto accade in impresa.
Il Bilancio non è altro che uno dei risultati, forse il principale, di questo processo di
“filtro” e di “traduzione”. Il Bilancio, in sostanza, è uno strumento di interpretazione
sintetica dei comportamenti aziendali, un modello delle vicende di gestione rac-
chiuse in chiave simbolica. Esso, infatti, è la sintesi di quelli che sono i fatti di
gestione, i quali vengono “racchiusi” in dei valori.

1.1. Lo Stato patrimoniale: uno schema fonti/impieghi


Iniziamo con lo Stato patrimoniale e vediamo cosa vuole “raccontare”. Che cosa fa
un imprenditore di solito? Un imprenditore prende del denaro, in parte suo e in
parte di altri, per effettuare degli investimenti.
Pertanto, il momento fondamentale di questo primo passo dell’attività di impresa
è rappresentato proprio dall’accumulo di capitale, che noi osserviamo sotto due
punti di vista: quello della sua “raccolta” e quello del suo “utilizzo”.
Lo Stato patrimoniale, appunto, fa vedere, da una parte, da dove viene questo
denaro, dall’altra come è stato investito.
Infatti, il “lato di destra”, la sezione del Passivo risponde alla seguente domanda:
da dove viene il denaro che l’imprenditore ha a sua disposizione? È ovvio che vi
troveremo in parte debiti e in parte denaro dell’imprenditore, ovvero mezzi propri.
Viene spontaneo, poi, chiedersi come il nostro imprenditore abbia investito il
denaro raccolto. A questa seconda domanda - come è investito il denaro? -
risponde quindi la sezione dell’Attivo dello Stato patrimoniale.

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Lo Stato patrimoniale
Come Attività Passività Da
viene dove
... ...
investito viene
Impianti Banche
il denaro? il denaro?
Immobili Fornitori
... ...
Merci Debiti verso i
Clienti Dipendenti
Cassa Capitale netto

Lo Stato patrimoniale può dunque essere letto come un prospetto fonti/impieghi.


Esso ci dice, lo ripetiamo, quali siano le fonti finanziarie a disposizione e quelli che
sono gli impieghi di capitale che il nostro imprenditore effettua.
È, in altre parole, una “fotografia istantanea” di quelle che sono, in un determinato
momento, le risorse a disposizione dell’impresa per la gestione futura.
Lo Stato patrimoniale, in questo senso, può e deve essere visto come qualcosa di
prospettico.
Nello Stato patrimoniale figura ciò che abbiamo a disposizione per svolgere la
nostra attività di impresa futura: è “il punto di partenza dell’attività dell’anno
prossimo”.

1.2. Il Conto economico come misura del comportamento degli


“attori della gestione”
Al 1° gennaio, dunque, lo Stato patrimoniale ci fa vedere quali sono le risorse e i
vincoli che ci troviamo di fronte.
Il nostro imprenditore, poi, inizierà la sua attività, perché non ha posto in essere
questi investimenti tanto per fare ma con l’intenzione di utilizzarli, e quindi di
“consumarli”, per ottenere determinati risultati attraverso quella che sarà la sua
attività di “gestione”.
Cosa in concreto farà, ovvero quelle che sono le vicende di gestione, che acca-
dono durante l’anno, ce le vuole raccontare il Conto economico, che è appunto il
secondo, importantissimo, prospetto di Bilancio.

Gli attori dell’attività di gestione

Gli attori dell’attività di gestione, dal nostro punto di vista, sono due:
✓ le risorse che vengono consumate, che noi esprimiamo naturalmente in valore (da un lato,
infatti, il Conto economico evidenza quale sia il valore delle risorse che abbiamo consumato
nel corso dell’esercizio; quali sono, appunto, i costi);
✓ i risultati che, combinando insieme le risorse consumate, si riescono ad ottenere, e che noi
valorizziamo con logica quantitativo-monetaria (e mettiamo in avere del Conto economico: il
valore dei risultati ottenuti è rappresentato, appunto, dai ricavi di esercizio).

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Il Conto economico

Cosa è stato Costi Ricavi Quali risultati


consumato sono stati
Valore delle risorse Valore dei risultati ottenuti
consumate conseguiti

Se i risultati ottenuti sono, in termine di valore (ricavi), maggiori dei costi avremo
un utile di esercizio, altrimenti una perdita. Se poi ci spostiamo sull’asse dei tempi
dal 1° gennaio al 31 dicembre, vediamo che:
• si parte con un certo Stato del Patrimonio (che sarà composto da Attivo,
Passivo e Netto);
• poi nel corso dell’anno effettuiamo una attività di gestione che viene “rac-
contata” in termini di consumi di risorse e di risultati ottenuti dal nostro
Conto economico;
• e, infine, si arriva ad un nuovo Stato del Capitale che sarà diverso in termini
di ricchezza netta (e di qualità e quantità dell’Attivo e Passivo) in quanto la
gestione ha prodotto un certo risultato, modificando per fare ciò la com-
posizione dell’intero capitale di funzionamento.
In sostanza, il Bilancio al 31/12 ci dice come abbiamo lavorato nei 12 mesi pre-
cedenti, e quello che abbiamo a disposizione per gli anni futuri.
Fra i due prospetti di Bilancio quello che è più orientato al futuro è senza dubbio
lo Stato patrimoniale, visto che ci illustra quello che abbiamo per porre in atto la
gestione dell’anno prossimo.
Il Conto economico al 31/12, invece, contiene risorse consumate e ricavi conse-
guiti, cioè costi e ricavi “morti”.
Ci racconta quello che è successo e non quello che succederà. Anche lui ci dà
informazioni utili per il futuro, perché possiamo estrapolare i dati dal Conto eco-
nomico per avere delle indicazioni sul futuro (altrimenti non lo leggeremmo), ma
di per sé questo prospetto, in quanto tale, ci racconta solo quello che abbiamo
fatto.

1.3. Il Bilancio a struttura logica è sufficiente?


Domande utili da porsi

✓ Anzitutto, il Bilancio come ci è stato presentato dalla tradizione contabile - ed ora ormai
superato dalla normativa civilistica - risponde appieno alla logica oppure vi sono dei valori che
non la rispettano?
✓ Oltre a ciò, ammesso che la logica del Bilancio di tradizione contabile sia questa, essa ci va
bene per intero? O c’è qualcosa che allo stato attuale non è condivisibile?

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Chiaramente i problemi sono di tipo diverso e vanno, pertanto, affrontati sepa-


ratamente. Nel prossimo capitolo si affronterà la rielaborazione del Conto eco-
nomico ed in quello successivo dello Stato patrimoniale.
Tutto questo solo per esigenze illustrative, perché, in realtà, la rielaborazione dei
documenti di bilancio e la loro lettura - Stato patrimoniale, Conto economico,
Indici di Bilancio - è unitaria, ed ha bisogno di una sua coerenza interna, di
insieme.
Nel paragrafo che segue, invece, facciamo cenno al Bilancio legale secondo lo
schema civilistico, che è quello che ci ritroviamo a disposizione nella maggior
parte dei casi (non sempre, però, perché alcune aziende redigono, come è possi-
bile fare e per certe categorie di società è addirittura obbligatorio, il Bilancio
secondo i principi internazionali IAS/IFRS).

1.4. Il Bilancio legale


È chiaro che trattare le disposizioni civilistiche e contabili in materia di bilancio
non rientra nella economia di questo scritto, e facciamo per questo rinvio alle
tante ottime pubblicazioni in materia. Qui ci limitiamo a dei brevissimi cenni,
riservati a chi è a digiuno della materia.
Il Codice civile, infatti, dietro la spinta della normativa comunitaria, richiede un
bilancio articolato in quattro documenti, ed esattamente:
• Stato patrimoniale.
• Conto economico.
• Rendiconto finanziario.
• Nota integrativa.
Del ruolo informativo dei primi due abbiamo già discusso in precedenza. Il Ren-
diconto finanziario, invece, è un documento che è stato introdotto in tempi rela-
tivamente recenti nel Codice civile, ed ha il compito di illustrare l’ammontare e la
composizione delle disponibilità liquide all’inizio e alla fine dell’esercizio e i flussi
finanziari derivanti dall’attività operativa, di investimento e di finanziamento. Co-
me il Conto economico, in sostanza, è illustra le ragioni dell’incremento o della
diminuzione del Patrimonio Netto, il Rendiconto è un po' il “conto finanziario della
gestione”, e ci spiega la variazione delle disponibilità liquide.
La Nota integrativa rappresenta una sorta di note a piè di pagina, ed è destinata a
dare notizie ed approfondimenti che Stato patrimoniale e Conto economico,
essendo prospetti estremamente sintetici, non possono dare.
In particolare:
• lo Stato patrimoniale e il Conto economico sono prospetti a struttura ob-
bligatoria. Ciò significa che essi non sono modificabili, se non in misura
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molto modesta, dai redattori del bilancio, il ché evidentemente riduce al


massimo i rischi di fraintendimento sul significato delle sin- gole poste;
• il Bilancio deve presentare i valori delle singole voci in due esercizi succes-
sivi e permette pertanto di cogliere subito l’andamento tendenziale del-
l’impresa.
Tutto perfetto? Certo che no, ma, ciò nonostante, siamo di fronte ad uno straor-
dinario passo avanti nell’informativa di bilancio.

SITUAZIONE PATRIMONIALE

Attivo Passivo

A) Crediti verso soci per versamenti ancora A) Patrimonio netto


dovuti I - Capitale
II - Riserva da sovrapprezzo delle azioni
III - Riserva di rivalutazione
IV - Riserva legale
V - Riserve statutarie
VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio
VII - Riserve per operazioni di copertura dei
flussi finanziari attesi
VIII - Utile (perdite) portati a nuovo
IX - Utile (perdota) dell’esercizio
X - Riserva negativa per azioni proprie in porta-
foglio

B) Immobilizzazioni B) Fondi per rischi e oneri


I - Immobilizzazioni immateriali
II- Immobilizzazioni materiali
III - Immobilizzazioni finanziarie
Totale immobilizzazioni (B)

C) Attivo circolante C) TFR


I - Rimanenze
II - Crediti
III - Attività finanziarie che non costituisco-
no immobilizzazioni
IV - Disponibilità liquide
Totale attivo circolante (C)

D) Ratei e risconti D) Debiti

E) Ratei e risconti

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CONTO ECONOMICO

A) Valore della produzione


1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni
2) Variazione delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti
3)Variazione dei lavori in corso su ordinazione
4) Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
5) Altri ricavi e proventi

B) Costi della produzione


6) Per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci
7) Per servizi
8) Per godimento di beni di terzi
9) Per il personale
10) Ammortamenti e svalutazioni
11) Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
12) Accantonamenti per rischi
13) Altri accantonamenti
14) Oneri diversi di gestione

Differenza tra Valore di produzione e Costi della produzione (A - B)

C) Proventi e oneri finanziari


15) Proventi di partecipazioni
16) Altri proventi finanziari
17)Interessi e altri oneri finanziari
17-bis) Utili e perdite su cambi

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie


18) Rivalutazioni
19) Svalutazioni

Risultato prima delle imposte (A - B +/- C +/- D)

20) Imposte sul reddito dell’esercizio

21) Utile (Perdita) dell’esercizio

Si è detto che il legislatore non ha ritenuto di dover proporre un prospetto legale


di Rendiconto finanziario. Per questo, però, ci soccorrono i principi contabili del-
l’Organismo Italiano di Contabilità, ed in particolare, l’OIC 10, dedicato appunto al
Rendiconto finanziario.

1.5. I comandamenti di bilancio: postulati e principi contabili


Il Bilancio è redatto, in particolare, per tutti i “pubblici” interessati a sapere come
va l’azienda. Affinché l’informazione sia utile, occorre evitare, per quanto possibile,
che, chi lo redige, lo faccia seguendo un insieme di regole ben definite, che
riducano per quanto possibile la discrezionalità.
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Il Bilancio, in altre parole, è anzitutto un documento di informativa esterna. È


destinato ai “terzi”, cioè alle persone interessate all’andamento dell’azienda e,
se non viene redatto seguendo dei criteri convenzionali, noti ed accettati da tutti,
la sua attendibilità e la sua utilità sarebbero prossime allo zero.
Le regole redatte, in particolare, si riferiscono sia agli aspetti sostanziali sia a quelli
formali di bilancio. Parlando di “aspetti sostanziali”, si fa riferimento ai criteri di
valutazione, cioè alle logiche di determinazione e quantificazione dei valori di
bilancio. Gli “aspetti formali”, invece, riguardano le modalità di esposizione dei
valori stessi e, quindi, la definizione dei prospetti di bilancio.
Le regole dettate sono di due tipi:
• anzitutto, si hanno i postulati di bilancio, che sono dei veri e propri principi
generali a cui si deve ispirare la redazione del bilancio;
• inoltre, vi sono i criteri di valutazione, i quali hanno la natura di precise
indicazioni su come in concreto operare nella determinazione dei valori di
singoli beni.
Un esempio di postulato è rappresentato dal principio della prudenza che, nella
determinazione del reddito di esercizio, richiede di tenere conto delle perdite
presunte e di non contabilizzare i ricavi non realizzati.
Per attribuire un valore alle rimanenze di merci, invece, si deve seguire un criterio
di valutazione, che ci dice di adottare come valore di bilancio il minore tra il
“valore normale” di mercato ed il costo, calcolato seguendo delle precise modalità
di computo, quali quelle previste dal LIFO.

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Capitolo 2
CONTO ECONOMICO E AREE DI GESTIONE

Iniziamo a vedere il Conto economico, che tradizionalmente, e non sempre a


ragione, è considerato il cuore delle riflessioni di chi legge il Bilancio. In realtà,
vedremo in seguito, il Conto economico dà spesso i segnali più evidenti e precoci,
ma non sempre quelli più rilevanti per il futuro della azienda, per quanto, ovvia-
mente, la gestione non possa che avere un triplice angolo visuale: economico,
finanziario e patrimoniale.
Quale è la logica che sottostà al tipo di Conto economico come quello che ab-
biamo visto?
Come è noto il Conto economico tradizionale, quello a sezioni contrapposte,
presenta da una parte tutti i costi, dall’altra tutti i ricavi e, come risultato diffe-
renziale un utile o una perdita di esercizio.
Il fondamento logico, il presupposto su cui si basa è quello di carattere zappiano -
Gino Zappa è il padre della economia aziendale italiana - che nega la possibilità di
correlare singoli costi e singoli ricavi, e gruppi di costi e gruppi di ricavi.
Se si sostiene, come faceva Zappa, che sia corretto soltanto confrontare tutti i
costi con tutti i ricavi non si può che arrivare ad un Conto economico a sezioni
contrapposte, che evidenzia appunto un unico e complessivo risultato di eserci-
zio.
Infatti, dal momento che non si possono legare tra loro gruppi di costi e gruppi di
ricavi, l’unica possibilità è quella di metterli tutti insieme, da un lato gli uni, dal-
l’altro gli altri e, per somma algebrica, determinare il reddito.
Questo tipo di concezione, di cui non deve interessarci contestare l’approccio
teorico, comporta molti problemi a livello di analisi. Infatti, basta che fra quei
ricavi ci sia un’unica grande plusvalenza, un’unica grande sopravvenienza, ed ecco
che quel risultato di gestione non è più confrontabile con quello dell’anno pre-
cedente.
E, comunque, quale giudizio sulla redditività di questa impresa che ha fatto 100
euro di utile di cui 90 euro grazie ad eventi di carattere straordinario è possibile
formulare?

Suddivisione delle aree di gestione in due parti

Diviene chiaro, quindi che è indispensabile distinguere la gestione in almeno due “aree”:
• una di gestione di carattere ordinario;
• una di tipo straordinario.

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Il problema, allora, diviene quello di individuare un criterio sufficientemente “net-


to” per distinguere le operazioni inerenti all’una zona rispetto a quelle dell’altra.
Tendenzialmente, il criterio adottato è quello della ricorrenza: è ordinario tutto ciò
che normalmente si ripete a livello di gestione (quindi è ordinario: acquistare e
vendere merci e/o dare in affitto il magazzino per alcuni anni. Non è ordinario
vendere un magazzino o il fatto che mi bruci un impianto). Per converso è straor-
dinario quanto ha risentito di qualche elemento eccezionale e che accade rara-
mente. Quindi ciò che non è volontario (sopravvenienze e insussistenze) ed anche
quanto è volontario ma non ripetitivo (plusvalenze e minusvalenze patrimoniali).
Bisogna stare attenti e fermarci perché l’approccio civilistico e quello presente nei
principi contabili nazionali ed internazionali non coincide, come abbiamo già
detto, con questa visione.
Ad ogni modo, andiamo a vedere più in dettaglio quello che rientra all’interno
della gestione ordinaria, sapendo che, del caso, dovremo rinunciare ad individua-
re una componente straordinaria della gestione.
Si è detto che è ordinario acquistare e vendere merci, così come dare in affitto un
magazzino.
È chiaro, però, che vi sono delle differenze: è ben diverso se l’impresa, un calza-
turificio, raggiunge un certo livello di reddito producendo e vendendo scarpe,
oppure grazie a degli investimenti immobiliari.
Perché se l’utile viene realizzato producendo e vendendo scarpe vuol dire che
l’azienda svolge bene la sua “vera” attività di impresa; mentre se lo ottiene inve-
stendo in titoli di stato o affittando degli immobili, chiaramente il giudizio non
può essere altrettanto netto.
In sostanza, è interessante sapere se l’azienda produce utile attraverso quella che
è la sua attività caratteristica - e quindi attraverso la gestione caratteristica -
oppure attraverso attività che possiamo chiamare di tipo accessorio-patrimoniale.
In quest’ultima, dunque, si fanno rientrare tutte quelle attività che sono ripetitive,
ma non caratteristiche, bensì integrative della gestione caratteristica stessa.
Sono attività che, entro certi limiti, servono per creare flussi finanziari, reddito ed
investimenti necessari per la gestione caratteristica, però non sono attività che
caratterizzano un’impresa.
Quindi gestione ripetitiva e - ne consegue - ordinaria, però non principale bensì
ausiliaria e normalmente di carattere prevalentemente patrimoniale, dove per
“patrimoniale” non si deve pensare soltanto agli investimenti immobiliari, ma
anche, ad esempio, ad investimenti di carattere finanziario. Da un punto di vista
concettuale, il fatto che l’azienda, quando si trovi un eccesso durevole di liquidità,
lo investa in un immobile oppure in titoli di Stato a medio e lungo termine è la
stessa identica cosa.
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Si sottolinea questo per non creare equivoci con un’altra area di gestione che in
genere si individua, quella finanziaria. La gestione finanziaria, infatti, è qui vista
come attività finalizzata alla raccolta di finanziamenti, ed è quindi di tipo esclusi-
vamente oneroso.
La gestione finanziaria, in questo senso, raccoglie solo il costo dei finanziamenti
che servono per il resto delle attività.
Ovviamente, è interessante tenere questo tipo di gestione separata delle altre.
Basti pensare a quante aziende vendono bene le loro scarpe ma, al tempo stesso,
“lavorano per le banche”: hanno cioè una sana gestione operativa ma presentano
una situazione di squilibrio finanziario che le porta ad avere una gestione finan-
ziaria fortemente passiva.
Ecco, dunque, che tenere distinti gli oneri finanziari dal resto, diventa utile ai fini di
certe analisi di redditività.

2.1. La riclassificazione del Conto economico


Alla luce di quanto detto, andiamo a guardare il nostro Conto economico.
È chiaro che, se scegliamo di vedere - quanto meno ai fini pratici della nostra
analisi - la gestione come un qualcosa di articolato, un Conto economico a sezioni
contrapposte risulta inadeguato. Non possiamo mettere tutti i costi da una parte
e tutti i ricavi dall’altra ma dobbiamo, al contrario, rielaborare il Conto economico,
in maniera da evidenziare il risultato delle varie aree di gestione che abbiamo
ritenuto significative.
Quindi dovremo cercare di evidenziare un risultato di gestione caratteristica, un
risultato di gestione accessorio patrimoniale, e così via.
Da questo segue, appunto, un prospetto di Conto economico completamente
diverso: si passerà, infatti, da un conto a sezioni contrapposte di tipo classico
ad uno scalare.
Le proposte, sia nella dottrina che nella pratica, su come in concreto rielaborare il
Conto economico sono molteplici: tutte però partono da un punto fermo, quello
di identificare un “risultato operativo”, che viene visto come differenza fra ricavi
operativi e costi operativi.
In sostanza, il fondamento di tutte le rielaborazioni di Conto economico verte su
un concetto: anzitutto vediamo cosa fa la gestione caratteristica, poi il resto.
Delle tante riclassificazioni si sceglie quella che più si riavvicina al prospetto del
Conto economico del D.Lgs. n. 127/1989, quella a valore della produzione e a
valore aggiunto.

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IL VALORE DELLA PRODUZIONE

Per prima cosa si deve, pertanto, evidenziare il valore della produzione, che è dato non
soltanto da ciò che è stato prodotto e venduto (il fatturato netto), ma anche da quanto è
stato prodotto e che non è andato sul mercato o perché non lo abbiamo ancora venduto (le
rimanenze di prodotti finiti, prodotti in corso di lavorazione e semilavorati) o perché non è
destinato al mercato (le costruzioni in economia).

Conto economico: valore della produzione

RICAVI DI VENDITA (FATTURATO LORDO)

- resi su vendite

- abbuoni passivi

FATTURATO NETTO

+ rimanenze finali di prodotti finiti e semilavorati

VALORE DELLA PRODUZIONE

Quindi il valore della produzione sarà diverso dal fatturato netto in ragione della
variazione che hanno subito le rimanenze - e non tutte le rimanenze ma solo
quelle che hanno subito almeno un qualche passaggio nel processo di produzio-
ne.
Il valore della produzione, in sostanza, sarà maggiore del fatturato netto se la
variazione del magazzino e positiva, e cioè se le rimanenze sono aumentate,
perché vuol dire che ho prodotto più di quanto ho venduto.
Ed il valore della produzione sarà maggiore rispetto al fatturato anche se sono
state effettuato delle lavorazioni di carattere interno (capitalizzazioni per produ-
zioni in economia).

2.2. Il valore aggiunto


Dal valore della produzione si vanno poi a detrarre i costi esterni, cioè tutti quei
costi sostenuti per acquistare risorse prese dall’esterno (materie prime, variazione
delle rimanenze delle materie prime, spese telefoniche ecc.).

IL VALORE AGGIUNTO

La differenza fra il valore della produzione e i costi esterni è quello che si chiama valore
aggiunto.

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Conto economico: valore aggiunto

VALORE DELLA PRODUZIONE

- costi “esterni”

VALORE AGGIUNTO

Il valore aggiunto rappresenta, in sostanza, la ricchezza prodotta dall’impresa,


cioè quanto, in termini di “valore”, l’azienda ha “aggiunto” al costo dei fattori
produttivi esterni attraverso la sua opera.
Esso è un margine reddituale molto interessante, perché ci permette di fare nu-
merose considerazioni.
Intanto ci consente di formulare un primo giudizio, anche se approssimativo, sul
grado di forza contrattuale e di competitività dell’impresa.
Infatti, all’interno dello stesso settore, ed a parità di tecnologie utilizzate, è chiaro
che se un’azienda può vantare un valore aggiunto superiore alla media:
• o ha dei prodotti particolarmente apprezzati dalla clientela, che quindi
paga per loro un prezzo più alto di quanto non sia disposta ad accordare
alla concorrenza;
• o dispone di una maggiore forza contrattuale o dei privilegi dal lato degli
acquisti, e riesce, pertanto, a spiccare dai fornitori delle condizioni e dei
prezzi più convenienti rispetto alle altre aziende operanti nel settore;
• o, ancora, è più efficiente nell’utilizzare i fattori produttivi acquistati, ed è in
grado, quindi di costruire i propri prodotti e di approntare i servizi che offre
ad un costo di realizzazione molto competitivo.

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Approfondimento

Sotto un altro punto di vista, invece, il valore aggiunto può essere visto come indicatore di
elasticità o rigidità strutturale.
Infatti:
• un valore aggiunto elevato evidenzia una situazione in cui molta parte del ciclo economico
(acquisto - produzione - vendita) è svolta all’interno dell’impresa con risorse proprie.Questo,
evidentemente, dovrebbe consentire di ottenere alcuni vantaggi, tra cui quello, appunto, di
creare un valore aggiunto più elevato, al consentire un forte controllo sull’utilizzo delle risorse
stesse.
Per contro, però, si avrà una maggiore rigidità nella struttura aziendale e quindi una certa
lentezza nel modificarla in caso di mutamenti intervenuti nell’ambiente esterno.
Infatti, tanto più il processo complessivo di trasformazione è interno, quanto maggiori saranno
gli investimenti fissi, e quindi i macchinari, il numero dei dipendenti, ecc.
Tutti beni, importanti, certo, ma anche molto difficili da “convertire”, in tempi brevi, per nuove
e diverse attività produttive.
Al contrario:
• un valore aggiunto basso significa che l’azienda fa un ampio ricorso all’esterno, per esempio
delegando a terzi delle fasi del ciclo produttivo. Questo consente all’impresa di garantirsi una
elevata flessibilità produttiva ed una più alta capacità di risposta ai mutamenti del mercato. Gli
svantaggi, invece, sono legati alla dipendenza che si viene a creare verso chi ci cede i servizi e
cura le fasi della produzione delegate.
Diventa difficile, infatti, controllare la qualità complessiva del prodotto, che in larga parte non
dipenderà più da come lavoriamo noi ma dallo scrupolo dei nostri fornitori.
Inoltre, saremo meno resistenti alle richieste di prezzi più elevati da parte dei nostri fornitori,
con il rischio di vedere i nostri margini ridursi sempre di più.
Se poi ci spostiamo da un’ottica di mercato ad una più “interna” ben si capisce che il valore
aggiunto assume anche un altro significato. Esso rappresenta la ricchezza che possiamo di-
stribuire ai tre fattori “interni” di produzione:
• il lavoro;
• gli investimenti;
• le fonti di finanziamento.

2.3. Il margine operativo lordo o EBITDA


Pertanto, individuato il valore aggiunto, andiamo a remunerare i nostri fattori
interni, iniziando dalla forza lavoro. Ovviamente, nella remunerazione della forza
lavoro devono rientrare tutti gli oneri che la compongono. Quindi, non soltanto le
retribuzioni lorde, ma anche gli accantonamenti per indennità di fine rapporto, gli
oneri sociali ed assistenziali a carico dell’impresa, gli eventuali contributi per la
mensa, per i dopolavoro, ecc.
La differenza tra valore aggiunto e costo del lavoro rappresenta il Margine Ope-
rativo Lordo (che oggi i più anglofili, con qualche approssimazione, chiamano
anche EBITDA, ovvero Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortiza-
tion. Difatti, possono esistere differenze significative: il MOL è calcolato utilizzan-
do l’utile prima di ammortamenti, accantonamenti, oneri e proventi finanziari,
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