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Capitolo 1
IL BILANCIO COME MODELLO DI RAPPRESENTAZIONE
DELL’AZIENDA
Lo Stato patrimoniale
Come Attività Passività Da
viene dove
... ...
investito viene
Impianti Banche
il denaro? il denaro?
Immobili Fornitori
... ...
Merci Debiti verso i
Clienti Dipendenti
Cassa Capitale netto
Gli attori dell’attività di gestione, dal nostro punto di vista, sono due:
✓ le risorse che vengono consumate, che noi esprimiamo naturalmente in valore (da un lato,
infatti, il Conto economico evidenza quale sia il valore delle risorse che abbiamo consumato
nel corso dell’esercizio; quali sono, appunto, i costi);
✓ i risultati che, combinando insieme le risorse consumate, si riescono ad ottenere, e che noi
valorizziamo con logica quantitativo-monetaria (e mettiamo in avere del Conto economico: il
valore dei risultati ottenuti è rappresentato, appunto, dai ricavi di esercizio).
Il Conto economico
Se i risultati ottenuti sono, in termine di valore (ricavi), maggiori dei costi avremo
un utile di esercizio, altrimenti una perdita. Se poi ci spostiamo sull’asse dei tempi
dal 1° gennaio al 31 dicembre, vediamo che:
• si parte con un certo Stato del Patrimonio (che sarà composto da Attivo,
Passivo e Netto);
• poi nel corso dell’anno effettuiamo una attività di gestione che viene “rac-
contata” in termini di consumi di risorse e di risultati ottenuti dal nostro
Conto economico;
• e, infine, si arriva ad un nuovo Stato del Capitale che sarà diverso in termini
di ricchezza netta (e di qualità e quantità dell’Attivo e Passivo) in quanto la
gestione ha prodotto un certo risultato, modificando per fare ciò la com-
posizione dell’intero capitale di funzionamento.
In sostanza, il Bilancio al 31/12 ci dice come abbiamo lavorato nei 12 mesi pre-
cedenti, e quello che abbiamo a disposizione per gli anni futuri.
Fra i due prospetti di Bilancio quello che è più orientato al futuro è senza dubbio
lo Stato patrimoniale, visto che ci illustra quello che abbiamo per porre in atto la
gestione dell’anno prossimo.
Il Conto economico al 31/12, invece, contiene risorse consumate e ricavi conse-
guiti, cioè costi e ricavi “morti”.
Ci racconta quello che è successo e non quello che succederà. Anche lui ci dà
informazioni utili per il futuro, perché possiamo estrapolare i dati dal Conto eco-
nomico per avere delle indicazioni sul futuro (altrimenti non lo leggeremmo), ma
di per sé questo prospetto, in quanto tale, ci racconta solo quello che abbiamo
fatto.
✓ Anzitutto, il Bilancio come ci è stato presentato dalla tradizione contabile - ed ora ormai
superato dalla normativa civilistica - risponde appieno alla logica oppure vi sono dei valori che
non la rispettano?
✓ Oltre a ciò, ammesso che la logica del Bilancio di tradizione contabile sia questa, essa ci va
bene per intero? O c’è qualcosa che allo stato attuale non è condivisibile?
SITUAZIONE PATRIMONIALE
Attivo Passivo
E) Ratei e risconti
CONTO ECONOMICO
Capitolo 2
CONTO ECONOMICO E AREE DI GESTIONE
Diviene chiaro, quindi che è indispensabile distinguere la gestione in almeno due “aree”:
• una di gestione di carattere ordinario;
• una di tipo straordinario.
Si sottolinea questo per non creare equivoci con un’altra area di gestione che in
genere si individua, quella finanziaria. La gestione finanziaria, infatti, è qui vista
come attività finalizzata alla raccolta di finanziamenti, ed è quindi di tipo esclusi-
vamente oneroso.
La gestione finanziaria, in questo senso, raccoglie solo il costo dei finanziamenti
che servono per il resto delle attività.
Ovviamente, è interessante tenere questo tipo di gestione separata delle altre.
Basti pensare a quante aziende vendono bene le loro scarpe ma, al tempo stesso,
“lavorano per le banche”: hanno cioè una sana gestione operativa ma presentano
una situazione di squilibrio finanziario che le porta ad avere una gestione finan-
ziaria fortemente passiva.
Ecco, dunque, che tenere distinti gli oneri finanziari dal resto, diventa utile ai fini di
certe analisi di redditività.
Per prima cosa si deve, pertanto, evidenziare il valore della produzione, che è dato non
soltanto da ciò che è stato prodotto e venduto (il fatturato netto), ma anche da quanto è
stato prodotto e che non è andato sul mercato o perché non lo abbiamo ancora venduto (le
rimanenze di prodotti finiti, prodotti in corso di lavorazione e semilavorati) o perché non è
destinato al mercato (le costruzioni in economia).
- resi su vendite
- abbuoni passivi
FATTURATO NETTO
Quindi il valore della produzione sarà diverso dal fatturato netto in ragione della
variazione che hanno subito le rimanenze - e non tutte le rimanenze ma solo
quelle che hanno subito almeno un qualche passaggio nel processo di produzio-
ne.
Il valore della produzione, in sostanza, sarà maggiore del fatturato netto se la
variazione del magazzino e positiva, e cioè se le rimanenze sono aumentate,
perché vuol dire che ho prodotto più di quanto ho venduto.
Ed il valore della produzione sarà maggiore rispetto al fatturato anche se sono
state effettuato delle lavorazioni di carattere interno (capitalizzazioni per produ-
zioni in economia).
IL VALORE AGGIUNTO
La differenza fra il valore della produzione e i costi esterni è quello che si chiama valore
aggiunto.
- costi “esterni”
VALORE AGGIUNTO
Approfondimento
Sotto un altro punto di vista, invece, il valore aggiunto può essere visto come indicatore di
elasticità o rigidità strutturale.
Infatti:
• un valore aggiunto elevato evidenzia una situazione in cui molta parte del ciclo economico
(acquisto - produzione - vendita) è svolta all’interno dell’impresa con risorse proprie.Questo,
evidentemente, dovrebbe consentire di ottenere alcuni vantaggi, tra cui quello, appunto, di
creare un valore aggiunto più elevato, al consentire un forte controllo sull’utilizzo delle risorse
stesse.
Per contro, però, si avrà una maggiore rigidità nella struttura aziendale e quindi una certa
lentezza nel modificarla in caso di mutamenti intervenuti nell’ambiente esterno.
Infatti, tanto più il processo complessivo di trasformazione è interno, quanto maggiori saranno
gli investimenti fissi, e quindi i macchinari, il numero dei dipendenti, ecc.
Tutti beni, importanti, certo, ma anche molto difficili da “convertire”, in tempi brevi, per nuove
e diverse attività produttive.
Al contrario:
• un valore aggiunto basso significa che l’azienda fa un ampio ricorso all’esterno, per esempio
delegando a terzi delle fasi del ciclo produttivo. Questo consente all’impresa di garantirsi una
elevata flessibilità produttiva ed una più alta capacità di risposta ai mutamenti del mercato. Gli
svantaggi, invece, sono legati alla dipendenza che si viene a creare verso chi ci cede i servizi e
cura le fasi della produzione delegate.
Diventa difficile, infatti, controllare la qualità complessiva del prodotto, che in larga parte non
dipenderà più da come lavoriamo noi ma dallo scrupolo dei nostri fornitori.
Inoltre, saremo meno resistenti alle richieste di prezzi più elevati da parte dei nostri fornitori,
con il rischio di vedere i nostri margini ridursi sempre di più.
Se poi ci spostiamo da un’ottica di mercato ad una più “interna” ben si capisce che il valore
aggiunto assume anche un altro significato. Esso rappresenta la ricchezza che possiamo di-
stribuire ai tre fattori “interni” di produzione:
• il lavoro;
• gli investimenti;
• le fonti di finanziamento.