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Economia Aziendale

Oggetto di studio dell’economia aziendale


L’economia aziendale è la scienza che studia il sistema aziendale, quindi il soggetto di studio è l’azienda.
Lo scopo dell'economia aziendale è quello di indicare metodi e logiche che ci permettano di comprendere la
complessità del sistema aziendale e di enunciare delle leggi che consentano di amministrarla.
È composta da dei sottoinsiemi:
- Sistema organizzativo
- Sistema gestionale
- Sistema informativo
Essa si è caratterizzata quale scienza generale, empirica e sociale.
Generale: perché le teorie elaborate sono rappresentate da leggi generali, per comprendere al meglio tutte
le aziende.
Empirica: perché indaga il funzionamento delle aziende e falsifica le proprie generalizzazioni sulla base di
analisi effettuate sul campo (empiriche). In virtù dell’impiego del metodo induttivo, ricerca le relazioni tra
fatti concreti per elaborare le proprie generalizzazioni.
Sociale: Il fatto che l’azienda sia un istituto sociale la rende influenzabile costantemente dai cambiamenti
economici e sociali che si manifestano nel tempo e nello spazio e che determina il superamento delle teorie.

Configurazioni di capitale
La nozione di capitale è estremamente variegata nei suoi possibili contenuti, tuttavia, quella prevalente nelle
scienze economico-aziendali assume alcune peculiarità che derivano dall’oggetto e dal fine di queste.
L’accezione prediletta è pertanto quella che ne esalta il legame con le condizioni di equilibrio, in particolare
quello economico. Il capitale assume significato quale potenzialità in essere, in un determinato istante, di
futuri contributi ai processi di creazione di valore. Si può pertanto affermare che il capitale è una grandezza
istantanea che focalizza, in un determinato momento, tutte le condizioni di (futura) creazione di valore
distintamente riconoscibili. Si puntualizza che l’analisi del capitale, nell’accezione proposta, ha senso pieno
nelle sole imprese; per tutte le altre classi di aziende, ogni determinazione di capitale sarà inficiata da profili
di soggettività e imperfezione che ne destituiscono, almeno in parte, il significato. Nelle imprese, dunque, il
capitale è il flusso quantitativo monetario le cui determinanti si prestano a essere qualitativamente
analizzate.
La diversa enfasi che è possibile porre sulle dimensioni quantitativo-sintetiche o qualitativo-analitiche,
consente di individuare alcune configurazioni di capitale tipiche.

IL CAPITALE ECONOMICO
La configurazione di capitale che massimamente esalta il profilo quantitativo-sintetico e volutamente
trascura quello qualitativo-analitico è quella del capitale economico o valore economico del capitale.
Il capitale economico esprime il valore attuale di tutto il flusso di redditi che l’impresa presume di realizzare
in futuro. Se l’impresa è considerata uno strumento per la produzione di un flusso futuro di redditi, si tende
a vederla come un investimento che, al pari di qualsiasi altro, deve prospettare una remunerazione adeguata
perché risulti conveniente effettuarlo. L’adeguatezza si giudica in relazione a due fondamentali parametri:
•l’entità dei frutti reddituali attesi;
•il rischio connesso agli investimenti.

L’investitore impiegherà le proprie risorse nel capitale di rischio dell’impresa se:


•offre rendimenti almeno pari a quelli offerti da investimenti alternativi di pari rischiosità;
•a parità di rendimento atteso, il grado di rischio corso è inferiore a quello che impieghi alternativi delle
medesime risorse comporterebbero.
Per quantificare il flusso reddituale annuo atteso normalmente si considerano i redditi prodotti negli ultimi
3-5 anni, si depurano degli effetti di eventi straordinari e si integrano di componenti di reddito mancanti nei
flussi storici. I valori dei redditi considerati vengono così normalizzati per poi calcolarne una media.
Il tasso di attualizzazione è quel tasso che esprime il rendimento normale di mercato di investimenti
caratterizzati da rischiosità simile a quella dell’investimento nel capitale di proprietà dell’azienda oggetto di
valutazione. Due puntualizzazioni si ritengono necessarie:
-la prima riguarda l’esigenza di rispettare una relazione di coerenza tra i redditi attesi e il tasso di
attualizzazione;
-la seconda si riferisce al fatto che è talvolta opportuno considerare l’intero flusso reddituale atteso, al fine
di calcolarne il valore attuale, ma è piuttosto preferibile escludere da esso gli oneri finanziari che deriveranno
dai debiti di finanziamento.
Quanto alle finalità assegnabili alla determinazione del valore economico del capitale, esse possono essere
di due fondamentali tipi. Un primo ordine di finalità è relativo all’esigenza di conoscere il valore assegnabile
al complesso aziendale in occasione di transazioni che lo abbiano ad oggetto, sia per valutare la convenienza
dell’operazione sia per individuare un riferimento cui ancorare la fissazione del relativo prezzo. Un secondo
ordine di finalità riguarda la funzione di “collaudo” della correttezza del valore assegnato al capitale di
funzionamento.

IL CAPITALE DI FUNZIONAMENTO
È il complesso di beni, materiali e immateriali, e di diritti disponibili per lo svolgimento dell’attività
dell’azienda. Viene determinato per individuare il reddito di competenza di un periodo della vita aziendale.
Mentre il capitale economico guarda a tutti i flussi reddituali attesi, il capitale di funzionamento restringe
volutamente l’attenzione ai soli processi in corso al momento della sua stima. Manca, pertanto, nel capitale
di funzionamento, ogni riflesso dei contributi reddituali che saranno espressi dai processi produttivi successivi
a quelli in essere al momento della sua stima, che viceversa sono appieno considerati ai fini del calcolo del
valore economico del capitale. Si può, dunque, affermare che il capitale di funzionamento rappresenta una
misura convenzionalmente ridotta rispetto a quella del capitale economico, per esigenze di prudenza legate
sia al rischio di distribuire utili non definitivamente acquisiti, sia all’esigenza di non dare informazioni su
consistenze patrimoniali evanescenti. Affinché il capitale di funzionamento possa dirsi correttamente
determinato, occorre che esso sia congruamente inferiore, rispetto al capitale economico, dove la
valutazione di congruità risiede nella correttezza con la quale è stato applicato il principio della prudenza. La
distanza tra il capitale economico e quello di funzionamento esprime il valore attuale di redditi attesi. Questa
tipologia di capitale prende il nome di capitale lordo di funzionamento. La parte delle attività che residua
all’impresa dopo aver soddisfatto gli impegni assunti è invece nota come capitale netto di funzionamento. Si
giunge alla determinazione del capitale netto di funzionamento attraverso la differenza tra i componenti
positivi o attività e i componenti negativi o passività.

IL CAPITALE DI BILANCIO
Il capitale di bilancio è la rappresentazione del capitale che viene espressa nel bilancio d’esercizio. Non può
dirsi che esso costituisca una configurazione di capitale in senso proprio, tuttavia, esso condivide con il
capitale di funzionamento finalità e logiche di base. A stretto rigore, non esiste tuttavia una perfetta
sovrapposizione tra capitale di funzionamento e capitale di bilancio, in quanto:
•Il bilancio è disciplinato dalla legge e questa, dovendo contemperare interessi molto disparati, a volte opta
per delle prescrizioni non perfettamente in linea con quelle che la dottrina economico-aziendale ha elaborato
in tema di capitale di funzionamento;
•Anche prescindendo da possibili effetti distorsivi delle prescrizioni normativo-legali, diverse circostanze di
ordine pratico hanno come effetto una sostanziale difformità tra il contenuto effettivamente dato al capitale
rappresentato dal bilancio e la misura che gli si sarebbe dovuta conferire in coerenza con le indicazioni
elaborate in tema di capitale di funzionamento.
IL CAPITALE DI LIQUIDAZIONE
È il valore che può essere assegnato al capitale di un’impresa nella fase di cessazione dell’attività per
liquidazione dell’attivo e del passivo, vendendo separatamente i componenti attivi del capitale ed
estinguendo i debiti residui. Rispetto al capitale di funzionamento, il capitale netto di liquidazione si
dimostrerà quantitativamente inferiore.
Il capitale di funzionamento supera quello di liquidazione poiché quest’ultimo suppone prospettive di ricavo
per le componenti economiche all’attivo che si fondano su un’ipotesi di realizzo necessariamente diretto e
in tempi rapidi.
Si può affermare che è possibile collocare le diverse configurazioni di capitale lungo un continuum logico che
va da un estremo di interpretazione pienamente integrata e unitaria (il capitale economico), a una intermedia
(il capitale di funzionamento) a una, all’estremo opposto, del tutto disgregata (il capitale di liquidazione).

L’AVVIAMENTO
L’idea di azienda avviata richiama alla mente, anche nel linguaggio comune, un’azienda che, per il fatto di
esistere e di operar da un certo tempo, può fare affidamento su un nome o una reputazione ampiamente
affermatasi, su una clientela alquanto fidelizzata e stabile, su un consolidato rapporto con i fornitori e
finanziatori, su un accumulo di esperienze, capacità organizzative, patrimoni di conoscenze tecniche,
competenze del proprio personale e, più in generale, su significative risorse immateriali o intangibili. Ma
come misurare il grado di avviamento di un’azienda? Per capire quanto un’azienda sia avviata, ovvero per
dare un valore qualitativo all’avviamento occorre individuare un parametro che possa sintetizzare, anche
quantitativamente, i diversi aspetti appena segnalati.
Tutte le caratteristiche sopraelencate si traducono in maggiori ricavi e/o minori costi derivanti dall’attività
aziendale. Appare pertanto corretto misurare il livello di avviamento di un’azienda mediante il riferimento ai
redditi che essa produrrà in prospettiva, ovvero alle sue potenzialità reddituali. Si può, quindi, affermare che
tanto è più elevato il capitale economico di un’azienda, tanto maggiore sarà il suo avviamento.
A ben vedere, le determinanti dell’avviamento sopra esemplificate costituiscono proprio quelle risorse che,
per il fatto di essere state generate in maniera spontanea (e spesso inconsapevole), senza aver formato
oggetto di specifici atti acquisitivi, sono volutamente ignorate all’interno del capitale di funzionamento e, di
riflesso, nel capitale di bilancio in cui il primo dovrebbe essere rappresentato. Ne consegue che l’avviamento
può essere letto come quel differenziale che intercorre tra il valore complessivo dell’azienda (il suo capitale
economico) e il capitale di funzionamento.
In buona sostanza, sul piano metodologico, per la determinazione del valore di avviamento, si parte dal
capitale di funzionamento, lo si integra con quelle componenti patrimoniali (immateriali) che risultano
suscettibili di autonomo apprezzamento, lo si rettifica per la eventuale presenza di maggiori/minori valori
correnti delle singole attività e passività che in esso risultano già rappresentate e, infine, lo si confronta con
il capitale economico. La differenza che scaturisce da tale confronto è il valore di avviamento, ovvero quella
parte del valore complessivo dell’azienda che non trova giustificazione in specifiche consistenze patrimoniali.

Configurazioni di costo e criteri di determinazione


Sono le varie tipologie di costo che un’azienda ha per realizzare un prodotto e sono:
- Costo Primo: Il costo primo corrisponde alla somma dei costi diretti necessari alla realizzazione di un
prodotto, come ad esempio: le materie prime, la manodopera diretta, le lavorazioni esterne dirette,
eccetera.
il costo primo è una definizione che può essere riferita al singolo prodotto, ma anche al totale
complessivo dei costi diretti di un reparto produttivo, ciò accade quando si vuole analizzare la
redditività di quest’ultimo.
- Costo industriale: Il costo industriale contiene il valore del costo primo, a cui vanno sommati i costi
indiretti di produzione, ovvero quei costi che non sono direttamente calcolabili sulla singola unità e
tipologia di prodotto, ma riguardano l’intera produzione. Come ad esempio i costi dell’energia
elettrica, l’ammortamento dei macchinari, la manutenzione, ecc.
- Costo complessivo: è una tipologia di costo non presente nel bilancio complessivo di un’azienda, e
comprende il costo industriale più i costi generali non industriali, costi amministrativi, costi
commerciali, costi finanziari, costi tributari, ecc.
- Costo economico-tecnico: Costo complessivo più costi figurativi non monetar, cioè gli effetti
figurativi, il compenso direzionale i costi di fitto e le quote di ammortamento. Solitamente non
dovrebbe mai essere superiore al costo di vendita, perché vorrebbe dire che l'impresa non guadagna
abbastanza da coprire i costi che sostiene.

Autofinanziamento
Capacità da parte dell’impresa di coprire il fabbisogno finanziario (è l’intervallo temporale che vi è tra il
momento in cui l’azienda ha sostenuto i costi e quello in cui ottieni i conseguenti realizzi) generato dalla
dilatazione degli investimenti richiesti dalla gestione, senza ricorrere o ricorrendo in misura minore
all’incremento dell’indebitamento o del capitale proprio. Questa espressione, viene di solito usata per
indicare le risorse finanziarie che provengono non dall'apporto di terzi, nelle forme di capitale proprio o di
credito, ma dalla gestione stessa dell'azienda in virtù degli utili netti conseguiti nell'esercizio e del loro
mancato prelevamento. È quindi considerato come una politica interna, una forma di finanziamento interno,
di risparmio, che consente di coprire il fabbisogno originato dalla attuazione dei progetti di investimento
programmati e richiesti dalla gestione per sostenere lo sviluppo dell'impresa.

Diagramma di redditività
È uno strumento molto efficace per programmare investimenti futuri, è una rappresentazione grafica in cui
sull’asse delle x c’è il livello della produzione, e sull’asse delle y i costi totali e i ricavi totali
I ricavi sono rappresentati da una retta che passa per
l’origine degli assi: infatti, se la produzione è nulla, i
ricavi sono nulli, successivamente i ricavi crescono in
maniera proporzionale al crescere della quantità
prodotta e venduta. Nella costruzione del grafico si
ipotizza che tutta la quantità prodotta sia anche
venduta.

La retta in rosso rappresenta i costi totali e la retta in azzurro rappresenta i ricavi totali, si incontrano in un
punto denominato Bep (BREAK EVENT POINT) cioè il punto di rottura. In questo punto, la quantità
prodotta, Q, permette di ottenere una situazione di equilibrio, ovvero i ricavi conseguiti sono esattamente
uguali ai costi totali sostenuti.
Se la produzione è inferiore rispetto a Q, l'impresa opera in perdita, cioè sostiene più costi rispetto ai ricavi
che consegue.
Se la produzione è maggiore rispetto a Q, l'impresa consegue un profitto, cioè consegue dei ricavi superiori
rispetto ai costi che sostiene.
Per questa ragione, l'area situata a sinistra del punto Bep è detta area delle perdite, mentre l'area alla sua
destra è detta area dei profitti.

Limiti:
Primo limite: Ipotizza che tutta la produzione realizzata sia anche venduta. Non considera, quindi, la
presenza del magazzino. Infatti, l’ipotesi di partenza è che le rimanenze finali siano uguali a quelle iniziali.
Nel determinare il punto di pareggio si pone la seguente relazione:
pQ = CF + cvQ.
dove:
• p è il prezzo di vendita unitario;
• Q la quantità venduta
• CF il costo fisso;
• cvQ il prodotto tra costi variabili unitari e quantità prodotta.

È evidente, quindi, che la relazione presuppone che Q sia al tempo stesso sia la quantità prodotta che quella
venduta.

Un secondo limite: è dato dall’ipotesi che il prezzo unitario di vendita sia costante. Però, come è noto, accade
spesso che tale prezzo vari in funzione della quantità venduta poiché il produttore applica prezzi di vendita
più bassi ai clienti che acquistano maggiori quantitativi.

Altra ipotesi di partenza che non sempre si riscontra nella realtà è quella che relativa ai costi variabili che a
volte non risultano essere proporzionali.

I costi variabili sono, per definizione, costi che variano al variare della quantità prodotta. Non è detto però
che il costo vari in modo proporzionale al variare del volume della produzione.

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