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RIASSUNTO ANALISI DI BILANCIO

Capitolo I – Analisi fondamentale e valore intrinseco


dell’impresa
VALORE ECONOMICO E ANALISI FONDAMENTALE
Ogni impresa è in continua relazione con un ampio numero di soggetti interni ed
esterni (stakeholder). Le relazioni istituite con i soggetti richiamati sono basate, in
varia misura, su decisioni di ordine economico. La razionalità di tali decisioni
presuppone la valutazione delle condizioni di equilibrio reddituale e finanziario del
sistema aziendale. L’equilibrio reddituale è essenziale perché da esso dipende la
capacità dell’impresa di offrire un’adeguata remunerazione ai capitali investiti;
tuttavia, in mancanza di condizioni di equilibrio finanziario, sia nel breve che nel
medio e lungo termine, l’attività non potrebbe svolgersi, dal momento che la
disponibilità di mezzi finanziari condiziona lo svolgimento di tutte le operazioni di
scambio tra l’impresa e il contesto nel quale essa opera. Dall’equilibrio reddituale e
finanziario dipende la capacità dell’impresa di svolgere durevolmente nel tempo la
sua funzione di creazione e distribuzione di ricchezza. La valutazione di questa
capacità trova un momento di sintesi nella determinazione del valore fondamentale
(intrinseco o economico) dell’impresa.
Il valore fondamentale può essere quantificato seguendo diverse logiche. Una delle
logiche più diffuse è quella definita finanziaria o logica discounted cash flow (DCF),
per cui il valore fondamentale dell’impresa è dato dal valore dei flussi di cassa che
essa sarà in grado di generare in futuro, analizzati a un tasso di sconto che esprima
le condizioni di rischio della gestione.
Affinché le variabili in gioco siano stimate in modo efficiente, occorre seguire un
processo di raccolta, organizzazione, selezione, controllo, elaborazione e
interpretazione di dati e informazioni, definito analisi fondamentale.
IL PROCESSO DI ANALISI FONDAMENTALE
L’analisi fondamentale è un processo nel quale si raccolgono, organizzano,
selezionano, controllano, elaborano e interpretano informazioni per arrivare a
formulare previsioni efficienti sulle quali costruire bilancio pro-forma da usare nella
determinazione del valore aziendale.
LE FASI
Il processo di analisi fondamentale è articolato in quattro fasi essenziali:
 Analisi del contesto
 Analisi delle strategie
 Analisi del bilancio
 Analisi prospettica
L’approdo del processo è costituito dalla fase di analisi prospettica. Questa culmina
con la redazione di una serie di bilanci preventivi (o pro-forma) sulla base dei quali
determinare i flussi di cassa futuri e quantificare il valore fondamentale
dell’impresa. La redazione del bilancio pro-forma richiede la messa a punto di un
modello economico finanziario di rappresentazione della logica di funzionamento
dell’impresa e di come questa influenza la formazione dei risultati contabili. Tali
risultati nascono dalle relazioni tra grandezze economico-finanziarie le quali, a loro
volta, derivano dall’interazione di quantità contabili ed extracontabili elementari.
Per la costruzione del modello economico-finanziario si utilizzano le convenzioni
contabili del bilancio di esercizio. Il modello è un sistema di formule, ciascuna delle
quali combina determinati input, rappresentati da grandezze contabili ed
extracontabili, e li traduce in grandezze di bilancio. Per funzionare, il modello deve
essere alimentato da ipotesi (assumption) sulla futura consistenza delle grandezze
input.
Il bilancio preventivo è uno strumento che consente di ricostruire il funzionamento
dell’azienda sulla base delle ipotesi di futuro svolgimento della gestione. Attraverso
la formalizzazione delle relazioni tra variabili di input e risultati economici e
finanziari è possibile individuare le leve del valore, ossia i fattori dai quali dipendono
i risultati attesi. Dal momento che il modello economico–finanziario non è che altro
che un algoritmo di elaborazione degli input forniti dell’analista, la quantità dei
risultati che derivano dalla applicazione del modello a una determinata realtà
aziendale è direttamente collegata alla qualità delle ipotesi con le quali il modello è
stato alimentato.
È essenziale individuare le determinanti, ossia i fattori causali ultimi, delle quantità
contabili ed extracontabili, che rappresentano gli input del modello. Le ipotesi,
infatti, non riguardano direttamente le grandezze elaborate nel modello, quanto
l’andamento futuro delle leve del valore, ossia dei fattori e delle circostanze che
concorrono a determinare l’ammontare di quelle grandezze. Tali fattori e
circostanze sono da ricercarsi nelle:
- Caratteristiche del contesto competitivo nel quale l’impresa si muove
- Strategie adottate dal management
Per quanto riguarda il contesto competitivo, l’attenzione è rivolta, da un lato, al più
generale sistema ambientale nel quale l’impresa è inserita, dall’altro, alla specifica
arena competitiva in cui essa si misura con i concorrenti. Al contesto competitivo
l’impresa reagisce formulando scelte strategiche con l’intento di raggiungere
posizioni di vantaggio rispetto ai concorrenti. Altrettanto essenziale è ricondurre le
circostanze e condizioni esterne di ambiente e interne di impresa alle grandezze
patrimoniali, reddituali e finanziarie, ossia ai valori di bilancio.
BASE INFORMATIVA
L’analisi fondamentale necessita un’adeguata base informativa. Sono informazioni di
natura:
 Contabile o financial, che possono essere espresse in termini quantitativi
 Extracontabile o non–financial, che si presentano largamente in forma
narrativa
La raccolta delle informazioni e lo svolgimento del processo di analisi fondamentale
sono tanto più difficili quanto più l’analisi è fatta secondo valutazione. L’analisi
fondamentale si avvantaggia notevolmente della disponibilità di un piano
formalizzato redatto dal management che esprima l’intento strategico; l’assenza di
questo porta necessariamente ad adottare modelli di previsione di carattere
estrapolativo, fondati sulla proiezione dei trend storici corretti alla luce della
prevedibile evoluzione del contesto competitivo e della guidance espressa dal
management. L’estrapolazione è ispirata a una logica sales driven: l’ipotesi sul
futuro andamento delle vendite, alla luce dell’andamento storico e di settore, è il
fulcro del processo di costruzione del pro-forma, in quanto le altre quantità
economico–finanziarie sono stimate in base ai rapporti di supposta proporzionalità
con le vendite; sono previsioni approssimative.
IL CONTRIBUTO DELL’ANALISI DEL BILANCIO ALL’ANALISI FONDAMENTALE
L’analisi del bilancio rappresenta un passaggio ineliminabile dell’analisi
fondamentale. Ha lo scopo di evidenziare gli andamenti passati delle principali
variabili economiche e le relazioni che esistono fra di essi. Dagli andamenti passati si
ricercano le cause al fine di proiettare nel futuro il passato, opportunamente
corretto alla luce della prevista evoluzione del contesto competitivo e delle scelte
strategiche dell’impresa. L’analisi del bilancio, quindi, è intimamente integrata con
gli altri momenti dell’analisi fondamentale.
L’analisi del bilancio è un processo articolato in fasi:
 Raccolta dei dati e verifica della qualità di quelli di natura contabile
 Riclassificazione del bilancio
 Costruzione del rendiconto finanziario
 Costruzione di un sistema di indicatori
RACCOLTA DEI DATI E VERIFICA DELLA QUALITA’ CONTABILE
Il processo inizia con la raccolta dei bilanci dell’impresa oggetto di analisi. La natura
del contenuto dei documenti che formano il bilancio dipende dall’ambiente
contabile. Oltre ai documenti di derivazione contabile, come lo stato patrimoniale, il
conto economico e rendiconto finanziario, essenziale è il ruolo svolto dalle note al
bilancio (nota integrativa); di pari importanza si rivela anche l’informazione non-
financial contenuta nel front–end del bilancio. I bilanci, una volta raccolti, devono
essere validati. L’utilità del bilancio come fonte di informazioni dipende dalla qualità
del sistema contabile che quel bilancio ha prodotto: minore è la qualità contabile,
maggiore è il rischio informativo che corre l’analista.
La verifica della qualità contabile impone di considerare:
 Le caratteristiche dell’ambiente contabile
 Le politiche contabili adottate
 La presenza di azioni di earnings management, sino a riscontare l’eventuale
presenza di operazioni di earnings manipulation
La verifica della qualità può condurre a operare interventi correttivi dei risultati di
bilancio in termini di normalizzazione dei risultati e di allenamento dei principi
contabili.
RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO
I dati di bilancio, una volta validati ed eventualmente corretti e integrati, devono
essere organizzati in modo da consentire, attraverso ulteriori specifiche lavorazioni,
di individuare:
 Le determinanti dei flussi di cassa
 Le condizioni di rischio della gestione
I prospetti del bilancio ufficiale solo in parte rispondono a questa esigenza. Essi,
infatti, rappresentano uno strumento di informazione a carattere generale, rivolto a
tutti i diversi stakeholder e non perseguono, quindi, le specifiche finalità proprie di
un’analisi finalizzata alla determinazione del valore intrinseco dell’impresa. La
riclassificazione consente una più immediata e chiara lettura delle dinamiche
reddituali, patrimoniali e finanziarie della gestione e degli effetti esercitati su queste
dalle condizioni esterne di ambiente e interne d’azienda.
COSTRUZIONE DEL RENDICONTO FINANZIARIO
La riclassificazione si completa nella redazione del rendiconto finanziario che
consente una lettura cash flow based della operazioni di gestione.
COSTRUZIONE DI UN SISTEMA DI INDICATORI
I prospetti di analisi, anche se riclassificati, contengono solo valori assoluti. Dopo la
riclassificazione, l’analisi deve essere approfondita mediante l’impiego di indici che
esprimono l’andamento delle quantità patrimoniali, reddituali e finanziarie che
determinano il valore fondamentale. I quozienti, infatti, a differenza dei valori
assoluti, offrono una misura relativa e, quindi, confrontabile nel tempo e nello
spazio, dei risultati della gestione.
Le indicazioni emerse dalla comparazione vanno interpretate alla luce dell’analisi del
contesto e delle strategie adottate.

Capitolo II – La base informativa per l’analisi fondamentale


ANALISI FONDAMENTALE E INFORMAZIONI
Le informazioni necessarie per l’analisi riguardano:
- Il macroambiente e il contesto competitivo
- Gli orientamenti strategici dell’impresa e dei concorrenti
- I bilanci e le altre informazioni utili per una approfondita comprensione dei
dati contabili in essi contenuti
- I dati relativi alle quantità extracontabili
La base informativa è costituita da dati e informazioni di duplice natura:
 Contabile o financial
 Extra contabile o non–financial
Le due categorie di informazioni possono essere espresse in termini quantitativi, ma
anche in forma narrativa.
In base al soggetto che la fornisce, si distingue:
- Informazione primaria, prodotta direttamente dall’azienda
- Informazione derivata, elaborata e pubblicata da soggetti terzi, esterni
all’azienda
L’INFORMAZIONE PRIMARIA
È prodotta e comunicata al mercato finanziario direttamente dall’impresa. Si
configurano tre ordini di informazioni:
 Obbligatorie, esplicitamente previste da norme di legge o emanate da
organismi di controllo del mercato
 Opportune, previste dalla prassi e dalla dottrina prevalente, ma, soprattutto,
fortemente richieste dagli stakeholder, i quali, in assenza di tali informazioni,
penalizzerebbero l’impresa
 Volontarie, liberamente fornite dall’impresa al fine di illustrare più
compiutamente la sua gestione e comunicare i valori ai traguardi versi i quali
questa è protesa
L’informazione obbligatoria comprende tutte quelle notizie che le società sono
tenute, da norme o regolamenti, a trasmettere alla comunità finanziaria per
eliminare le asimmetrie informative e per mettere tutti gli operatori del mercato
nella stessa posizione. A parità di operazioni compiute, la regolamentazione tende a
rendere omogenea l’informazione comunicata dalle aziende. Si traduce in due ordini
di documenti:
- Il bilancio
- Altri documenti previsti dalla legge o dai regolamenti definiti dai soggetti
preposti alla vigilanza o alla gestione del mercato finanziario
La natura e il contenuto dei documenti che formano il bilancio di esercizio e quello
consolidato dipendono dall’ambiente contabile nel quale opera l’impresa oggetto di
analisi. In Italia, esistono due ambienti contabili:
 Quello definito dalle norme dei principi contabili nazionali
 Quello dettato da norme sovranazionali e dai principi contabili internazionali
Guardando alle norme e ai principi nazionali, il bilancio di esercizio è composto da
quattro documenti:
- Lo stato patrimoniale
- Il conto economico
- Il rendiconto finanziario
- La nota integrativa
A questi documenti si aggiunge la relazione sulla gestione. Stato patrimoniale, conto
economico e rendiconto finanziario sono documenti di sintesi. Il legislatore civile
prevede il ricorso di due documenti liberi dalle catene del metodo contabile in
quanto esposti in forma narrativa: la nota integrativa e la relazione sulla gestione. Al
primo documento spetta il ruolo d’illustrare i valori contabili, integrandosi
strettamente con essi; al secondo, quello di tracciare la cornice entro la quale
interpretare i valori contabili, descrivendo l’andamento della gestione nel suo
complesso e nei vari settori nei quali l’azienda opera. Per i principi contabili
internazionali il fascicolo di bilancio è più articolato, poiché sono obbligatori anche il
prospetto delle variazioni del patrimonio netto e le note al bilancio.
L’informazione volontaria nasce dall’intento del management di far conoscere
meglio l’azienda a vari stakeholder. Va oltre la parte narrativa già imposta dalla
norma, muovendosi nelle stesse direzioni dell’informazione obbligatoria non–
financial. Infatti, l’informazione volontaria cerca di mettere in luce aspetti ritenuti
rilevanti per orientare l’azione degli stakeholder, ma non adeguatamente coperti
dalle informazioni obbligatorie. L’informazione volontaria svolge una funzione di
indirizzo di una o più categorie di interlocutori aziendali.
Inoltre:
 Concorre a ridurre ulteriormente il rischio informativo percepito
dall’investitore
 Accresce la credibilità del management
 È in grado di attivare un circuito virtuoso fra informazione primaria e
secondaria, accrescendo l’attenzione verso l’impresa, sollecitando la
produzione di rapporti condotti da analisti professionisti e migliorando la
qualità delle stime da questi compiute
L’informazione derivata è il risultato di elaborazioni e giudizi forniti da soggetti
esterni all’impresa. Tale informazione è prodotta da soggetti diversi che possono
essere ricompresi sotto l’ampia etichetta di analisti e si traduce in documenti definiti
“rapporti”. Particolare rilievo assumono le informazioni prodotte dagli analisti
finanziari, di due ordini:
 Analisi equity, focalizzati sulla determinazione del valore fondamentale del
capitale e dei titoli di singole imprese
 Analisi credit, che guardano prevalentemente al merito creditizio, valutando
le condizioni attuali e prospettiche di solvibilità dell’impresa
Capitolo V – La verifica della qualità contabile e delle
informazioni raccolte
I PROFILI DI ANALISI DELLE INFORMAZIONI RACCOLTE
Le fasi dell’analisi del bilancio sono:
 Raccolta di dati contabili e verifica della loro qualità
 Riclassificazione dei prospetti di bilancio
 Redazione del rendiconto finanziario
 Calcolo e interpretazione degli indicatori
La qualità dei risultati del processo di analisi fondamentale dipende dalla base
informativa impiegata.
La base informativa deve essere giudicata in termini di:
- Completezza
- Qualità
Completezza = capacità delle informazioni raccolte di catturare tutte le leve del
valore fondamentale. È funzione del grado di:
 Profondità delle informazioni, cioè delle possibilità che queste offrono di
abbracciare tutti i livelli rispetto ai quali l’analisi deve essere condotta
 Ampiezza delle informazioni, ossia della possibilità che queste offrono di
ricostruire tutte le dimensioni della gestione delle loro determinanti
La verifica della qualità contabile impone di considerare aspetti: le caratteristiche
dell’ambiente contabile, le politiche contabili adottate, la presenza di azione di
earnings management (sino a riscontrare l’eventuale presenza di operazioni di
earnings manipulation). La valutazione della qualità interessa sia l’informazione
financial, sia quella non financial, quest’ultima distinta fra primaria e derivata.
LA VALUTAZIONE DELL’INFORMAZIONE FINANCIAL E LA QUALITA’ DEL SISTEMA
CONTABILE
La financial del fascicolo di bilancio è il frutto del sistema contabile adottato dalle
imprese. L’analista deve valutare il sistema contabile, che è di elevata qualità se
fornisce:
 Una rappresentazione fedele e completa delle operazioni di gestione
 Informazioni utili per prevedere il reddito, i flussi di cassa futuri e i rischi a essi
associati
AMBIENTE CONTABILE
La natura e il contenuto dei documenti che formano il bilancio di esercizio
dipendono dall’ambiente contabile nel quale opera l’impresa oggetto di analisi.
POLITICHE CONTABILI
A parità di ambiente contabile di riferimento, la comparabilità nel tempo e nello
spazio dei bilanci è influenzata dall’adozione di determinate politiche contabili.
Esse si esprimono nella scelta e nella costante applicazione di specifici criteri di
valutazione delle poste di bilancio. Possono essere:
- Conservative, se vengono adottati criteri valutativi ispirati al contenimento
delle attività e all’aumento delle passività (esempio: valutazione dei cespiti al
costo storico, attribuzione degli oneri pluriennali interamente a conto
economico, impiego del criterio lifo1 per la valorizzazione delle scorte di
magazzino)
- Liberali, se vengono adottati criteri valutativi ispirati all’aumento delle attività
e al contenimento delle passività (esempio: valutazione dei cespiti al Fair
value, capitalizzazione dei costi di sviluppo e degli oneri pluriennali, impiego
del criterio fifo2 per la valorizzazione delle scorte in magazzino)
- Neutrali (concetto teorico), se sono politiche non improntate alle logiche
prima descritte
Effetti immediati:
 Politiche conservative  diminuzione di reddito di periodo; si attribuiscono
maggiori costi a conto economico, comprimendo gli utili e le attività
patrimoniali
 Politiche liberali  aumento del reddito di periodo
Guardando agli esercizi futuri, però gli effetti sono di segno opposto. Si considerino,
ad esempio, i costi relativi ad attività immateriali. Scelte conservative si traducono
nell’attribuzione integrale a conto economico di tali costi; di conseguenza il reddito
dell’esercizio nel quale ciò avviene si contrae e il valore contabile del capitale
investito si riduce, mentre i redditi futuri, non gravati delle quote di ammortamento
di tali oneri, crescono. Ciò determina, almeno per un certo periodo, incrementi di
reddito e di redditività, intesa, quest’ultima, come rapporto fra un flusso di reddito e
1
LIFO definisce il valore delle scorte partendo dalla supposizione che vengano venduti prima i beni acquistati più
recentemente. ... LIFO o Last-In-First-Out è un metodo per registrare il valore delle rimanenze considerando che i beni
acquistati dopo (last in) sono quelli venduti prima (first out).
2
Il FIFO è un metodo per calcolare il valore delle rimanenze e suppone che i beni comprati prima (first in) siano quelli
che vengono venduti prima (first out) e gli ultimi rimangono nelle scorte di magazzino.
lo stock di capitale impiegato per ottenerlo. Di segno opposto sono le considerazioni
concernenti le politiche liberali. Qui, i costi relativi alle attività immateriali non sono
attribuiti immediatamente a conto economico, ma capitalizzati: nell’esercizio nel
quale avviene la capitalizzazione, il reddito aumenta per poi diminuire nei periodi
successivi sui quali verranno caricate le quote di ammortamento; lo stesso accade
alle attività. Gli effetti denunciati sul reddito e sul capitale investito sono amplificati
dal tasso di crescita degli investimenti.
AZIONI DI EARNINGS MANIPULATION
La manipolazione contabile si può manifestare in diverse forme. In relazione
all’intensità delle alterazioni provocate, si distingue tra:
 Earnings management in senso stretto, per cui le regole contabili sono
applicate in modo da utilizzare l’ineliminabile discrezionalità insita in ogni
valutazione di bilancio per offrire una predeterminata rappresentazione dei
risultati aziendali, volta a indurre alcune categorie di stakeholder ad assumere
comportamenti che favoriscano, di volta in volta, il raggiungimento di
determinati obiettivi
 Frodi contabili, che si manifestano nell’intenzionale mancata o scorretta
applicazione delle regole contabili al fine di falsificare l’informazione
economico–finanziaria o nascondere appropriazioni illecite di beni o attività
dell’impresa
L’earnings management si muove tendenzialmente entro le regole dei GAAP3; le
frodi le violano.
Indipendentemente dalle finalità perseguite, la manipolazione dei risultati di
bilancio può andare in due direzioni:
 Anticipare ricavi e/o posticipare i costi: si prendono in prestito utili degli
esercizi futuri (aggressive accounting). Ad esempio: riduzione di
accantonamenti, taglio di spese strategiche, riconoscimento di ricavi non
ancora guadagnati, capitalizzazione di costi di dubbia utilità futura
 Posticipare ricavi e/o anticipare i costi: si danno in prestito utili agli esercizi
futuri (big bath). Ad esempio: stime accantonamenti molto cospicui, robuste
svalutazioni di immobilizzazioni, aumento degli stanziamenti per le spese

3
Negli Stati Uniti la contabilità delle imprese è retta dai Generally accepted accounting principles (Gaap). L'enfasi è sul
general, nel senso che questi "principi contabili generalmente accettati" stabiliscono solo linee-guida generali, e
possono essere applicati in maniere diverse, tutte formalmente corrette.
strategiche, posticipazione del riconoscimento di ricavi già guadagnati,
attribuzione a conto economico di costi aventi utilità futura
Per valutare gli effetti e le finalità delle manovre richiamate, occorre ricordare le due
caratteristiche che determinano la qualità dell’informazione contabile:
- La rappresentazione attendibile delle condizioni reddituali, patrimoniale e
finanziarie dell’impresa
- L’utilità ai fini di formulare previsioni sui risultati futuri
A causa di azioni di earnings management, entrambi questi requisiti qualitativi
vengono violati perché ogni risultato creato attraverso manovre contabili interessa
necessariamente con segno opposto anche i periodi successivi.
Si consideri il caso di un’azione di aggressive accounting che si traduce in una
riduzione degli accantonamenti a fondi rischi e spese: l’effetto immediato è
l’incremento del reddito di periodo; l’effetto futuro, invece, allorquando gli oneri
relativi ai mancati accantonamenti si manifesteranno, sarà una riduzione del
reddito. Lo stesso vale per le manovre di big bath. Nel caso di svalutazione di un
impianto che va al di là di una ragionevole stima della sua perdita di utilità
funzionale, l’effetto immediato è la compressione del reddito di periodo; l’effetto
futuro, se e in quanto l’impianto continua a mantenere la sua efficienza produttiva,
sarà una riduzione delle quote di ammortamento che, a fronte di un flusso non
diminuito di ricavi generato dallo sfruttamento dell’impianto, indurrà a un aumento
del reddito.
Nella stessa prospettiva si colloca una generosa stima delle quote di
accantonamento a fondi rischi e spese future, ben oltre quanto attribuibile per
competenza all’esercizio: l’effetto immediato è una riduzione del reddito di periodo;
l’effetto sarà un incremento del reddito, mediante l’attribuzione a conto economico
della quota dei fondi che si rivelerà in eccesso oppure il mantenimento dei redditi di
esercizio, grazie all’utilizzo dei fondi generosamente stimati che consentiranno al
management di non far apparire il manifestarsi di oneri.
Oltre che agendo sulle politiche contabili, l’earnings management si realizza
attraverso una rilettura creativa delle transazioni che caratterizzano le attività di
gestione. Tale rilettura porta a riconfigurare i tempi e/o la struttura stessa delle
transazioni:
- Quanto ai tempi delle transazioni, l’obiettivo è di anticipare o differire il
verificarsi delle condizioni che consentono il riconoscimento, cioè la
contabilizzazione, di componenti di reddito o elementi del capitale (i ricavi
possono essere attribuiti a un determinato periodo solo se in tale periodo
sono stati guadagnati, ma il management potrebbe giudicare esistenti tali
condizioni prima che esse siano effettivamente verificate)
- Quanto alla struttura delle transazioni, l’azione del management mira a dare
alle transazioni una forma giuridica che mascheri la loro sostanza economica,
così da giustificare una determinata contabilizzazione (si possono manovrare
alcune clausole di un’operazione di leasing per qualificarlo come leasing
operativo invece che finanziario)
La manipolazione contabile determina una graduale perdita di qualità dei dati
contabili e una conseguente riduzione del segnale di rischio percepibile attraverso
l’analisi di bilancio. Comporta, quindi, l’insorgere di uno specifico fattore di rischio
che si associa a quello finanziario e operativo: si tratta del rischio informativo, cioè
del rischio di compiere valutazioni e assumere decisioni di investimento errate a
causa di informazioni che distorcono la rappresentazione della reale situazione
aziendale e non consentono di formulare previsioni attendibili sui futuri andamenti
della gestione. Tale rischio si riflette sul costo del capitale.
I DIAGNOSTICI PER VALUTARE LA QUALITA’ CONTABILE
Il rischio informativo merita di essere valutato attentamente in quanto le sue
manifestazioni possono avere conseguenze molto gravi. L’analista deve mettere a
fuoco:
1) La politica contabile alla quale la redazione del bilancio si ispira
2) Le caratteristiche dell’attività economica svolta dall’impresa
3) Le poste di bilancio dove, tenuto conto delle caratteristiche dell’attività
economica, eventuali interventi manipolatori sono più probabili (poste
sensibili)
4) La presenza di situazioni che possono spingere il management ad aggiustare il
bilancio
1 La politica contabile si presenta di difficile individuazione, ritrovandosi in ogni
bilancio una scelta orientata in senso conservativo per alcune poste, in chiave più
liberale per altre. Vale a quantificare la politica adottata l’orientamento prevalente
che si percepisce. Ai fini della percezione di condizioni di rischio informativo occorre
guardare a cambiamenti intervenuti nelle politiche. Appare cruciale il ruolo svolto
dalle note di bilancio, il solo documento che chiarisce il percorso valutativo.
2 L’informazione extracontabile di tipo non–financial fornisce gli elementi necessari
per mettere a fuoco le caratteristiche dell’attività economica svolta per le imprese.
Conoscere tali caratteristiche è essenziale per:
 Comprendere la sostanza economica dei fatti di gestione
 Individuare l’esistenza di principi contabili specifici per settore di attività
 Esaminare il comportamento contabile tenuto dalle altre imprese operanti nel
medesimo settore
 Identificare alcuni valori medi di riferimento
3 Le poste sensibili sono valori di bilancio che possono essere facilmente oggetto di
azioni manipolatorie. Si tratta tipicamente di poste contabili capaci di generare
maggiori effetti sul risultato di periodo. Ad esempio: in una società di leasing,
occorre fare attenzione alla stima del valore residuo dei beni ceduti alla fine del
contratto; per un’impresa farmaceutica si rivela sensibile il trattamento riservato ai
costi di R&S; per la grande distribuzione è critica la valutazione delle scorte di
magazzino.
4 Occorre guardare ad alcune condizioni che caratterizzano la gestione dell’impresa
e il suo management. Si distinguono condizioni istituzionali ed economico–
finanziarie.
Esempi di condizioni istituzionali: cambiamenti del vertice aziendale, contatti con
finanziatori che prevedono il rispetto di covenant4, transazioni con parti correlate,
tentativi di acquisizione da parte di altre imprese, ecc…
Esempi di condizioni economico–finanziarie foriere di manovre contabili: stime degli
analisti che prevedono un rialzo degli utili o dichiarazioni in tal senso da parte del
management, profilarsi di risultati economici negativi e di tensioni finanziarie,
ricorso al mercato finanziario mediante significative emissioni di azioni o prestiti
obbligazionari.
L’analisi dei sistemi di controllo si deve accompagnare all’impiego di specifici
diagnostici che aiutino a mettere in evidenza alcune criticità dei valori di bilancio. I
diagnostici non individuano con sicurezza la presenza di manovra di bilancio, ma
richiamano l’attenzione dell’analista su alcuni aspetti potenzialmente sospetti e
rischiosi.
LE PROCEDURE ANALITICHE (RED FLAG)
Esiste un filone di ricerca che si concentra sugli accrual, cioè sui valori che segnano
la distinzione tra competenza economica e competenza monetaria. La
determinazione deli accrual si presta ad attuare manipolazioni contabili. La manovra
degli accrual è favorita dalla circostanza che la determinazione di questi valori

4
In finanza con il termine covenant si indica un accordo che intercorre tra un'impresa e i suoi finanziatori, che mira a
tutelare questi ultimi dai possibili danni derivanti da una gestione eccessivamente rischiosa dei finanziamenti concessi.
contabili gli chiede di compiere stime e congetture che danno al management ampia
libertà di manovra, senza lasciare chiari segnali agli utilizzatori del bilancio,
diversamente dai cambiamenti delle politiche contabili, immediatamente
riconoscibili.
Gli accrual si possono distinguere in non discrezionali (ad esempio quote di
ammortamento che il management è necessariamente tenuto a stanziare in base
alle immobilizzazioni materiali presenti nell’attivo) e discrezionali (ad esempio
svalutazioni sui crediti inesigibili, dove la discrezionalità valutativa è ampia).
Gli accrual discrezionali appaiono un formidabile strumento per manovrare gli
earnings. L’approccio più semplice e immediato per cogliere la presenza di fenomeni
di manipolazione è rappresentato dalle simple analytical procedures, basate sul
calcolo di singoli indicatori contabili ritenuti capaci di segnalare situazioni anomale
(red flag). Gli indici sono comparati nel tempo e nello spazio con quelli di altre
imprese per evidenziare la presenza di anomalie. Nell’impiego di questi strumenti
occorre considerare che gli aggiustamenti contabili possono essere numerosi e
riguardare la gran parte delle poste di bilancio. L’aspetto più importante della
gestione, però, è quello operativo. È, quindi, sulla gestione operativa che l’analista
deve concentrare l’indagine. È conveniente ripartire i diagnostici in due categorie:
 Diagnostici per scoprire manipolazioni nei ricavi di vendita
 Diagnostici per scoprire manipolazioni nei costi
I MODELLI STATISTICI
La numerosità degli indicatori a disposizione rischia di complicare notevolmente il
lavoro dell’analista. Per questo la ricerca si è impegnata nella messa a punto di
diagnostici di sintesi che, attraverso modelli statistici, elaborano e combinano
alcune quantità contabili per cogliere la presenza di manipolazioni contabili prima
che gli effetti di queste divengano conclamati. L’attenzione di molti modelli è
concentrata sugli accrual discrezionali. Si configurano due categorie di modelli:
- Modelli che considerano l’insieme degli accrual
- Modelli focalizzati sui singoli accrual
CORREZIONE DEI RISULTATI DI BILANCIO
La verifica della qualità contabile può condurre a operare interventi correttivi dei
risultati di bilancio, in termini di normalizzazione dei risultati e di allineamento dei
principi contabili. Questi interventi correttivi e integrativi possono giungere fino a
una vera e propria riformulazione del bilancio (restatement). Si tratta di
un’operazione complessa, caratterizzata da ampi margini di soggettività.
Restatement attendibili sono solo quelli imposti dalle autorità di controllo e operati
da soggetti terzi allo scopo incaricati, con la diretta collaborazione della stessa
impresa.

Capitolo VI – Il modello di analisi della gestione


L’ANALISI DEL BILANCIO E LE VARIABILI DEL VALORE
Ogni analisi di impresa ha come obiettivo quello di valutare le condizioni di
equilibrio reddituale, patrimoniale e finanziario della gestione. L’equilibrio
reddituale è essenziale perché da esso dipende la capacità dell’impresa di offrire
un’adeguata remunerazione ai capitali in essa investiti; tuttavia, in mancanza di
condizioni di equilibrio patrimoniale e finanziario, sia nel breve che nel medio-lungo
termine, la gestione non potrebbe svolgersi, dal momento che la disponibilità di
mezzi finanziari condiziona lo svolgimento di tutte le operazioni di scambio con i
mercati.
La valutazione delle due richiamate condizioni trova la sua espressione di sintesi
nella determinazione del valore fondamentale dell’impresa. Il valore fondamentale
(valore economico del capitale) rappresenta il valore intrinseco dell’impresa in
ragione delle capacità che questa ha di funzionare creando ricchezza per i suoi
investitori. Vari sono i metodi per determinare il valore fondamentale. Il discounted
cash flow è il più diffuso: il valore del complesso aziendale è pari al valore attuale
dei flussi di cassa che l’impresa genererà in futuro nel corso della sua vita. Le
variabili in gioco sono:
- Flussi di cassa (al numeratore)
- Tasso di interesse (al denominatore)
IL MODELLO DI RAPPRESENTAZIONE E DI ANALISI DELLA GESTIONE
Affinché le diverse fasi dell’analisi di bilancio si svolgano efficacemente,
contribuendo a fornire informazioni utili per stimare i futuri flussi di cassa e il costo
di capitale, è necessario che esse vengano condotte sulla base di un modello di
analisi che permette di ricondurre valori contabili alle principali operazioni di
gestione.
MODELLO 1
La complessiva gestione è la risultante di tre gruppi di operazioni:
 Gestione corrente
 Gestione degli investimenti
 Gestione dei finanziamenti
La gestione corrente si traduce nelle quotidiane operazioni di acquisto di fattori
prodotti di consumo, trasformazione in prodotti e vendita di essi. Il costante
succedersi di tali operazioni configura il ciclo operativo. Per far funzionare il ciclo
operativo occorre una struttura produttiva. La gestione degli investimenti si traduce
in operazioni di acquisizione di fattori produttivi durevoli, materiali e immateriali,
che partecipano ripetutamente al ciclo produttivo. Alla gestione degli investimenti
operativi sono riconducibili anche le attività di produzione diretta (o di produzione
interna) da parte dell’impresa, di attività materiali e immateriali, nonché le
operazioni di vendita di tali attività, in conseguenza di piani di rinnovo periodici,
scelte di riposizionamento strategico o di ristrutturazione. Gli investimenti, tuttavia,
possono anche non essere volti alla produzione, ma a generare guadagni finanziari,
costituendo pertanto un impiego di qualità a fini speculativi piuttosto che
precipuamente produttivi. All’ambito finanziario appartengono anche operazioni di
acquisto di partecipazioni e concessioni di crediti di finanziamento, operazioni di
realizzo delle attività finanziarie acquistate e di riscossione dei crediti concessi, i
proventi conseguiti sotto forma di interessi, cedole e dividendi. La gestione dei
finanziamenti è correlata alla realizzazione di investimenti, sia produttivi che
finanziari, per cui occorrono capitali provenienti dal mercato finanziario. Questo è
rappresentato dai portatori di capitale di rischio e di credito. Da qui, la gestione dei
finanziamenti, la quale presuppone, da un lato, operazioni di raccolta, dall’altro, il
servizio di quanto in precedenza raccolto, sia in termini di remunerazione periodica,
che di rimborso della linea capitale, nel caso del capitale di credito.
MODELLO 2
L’attività di gestione si può ricondurre a due grandi aree:
 Operativa
 Finanziaria
La gestione operativa raccoglie le operazioni che determinano scambi con la aree di
affari nelle quali l’impresa opera. Lo svolgimento delle attività operative è diretto
alla produzione di ricavi attraverso un processo di produzione e vendita di beni e
servizi che presuppone l’utilizzo combinato di diverse risorse. La gestione operativa
presenta due dimensioni:
- La gestione operativa corrente, espressa dal ciclo operativo
- La gestione operativa strutturale, che si traduce nell’attività di
predisposizione e di continuo adattamento dell’apparato produttivo stabile
Ciclo e struttura sono permanentemente avvinti: l’attività corrente non può
svolgersi senza il supporto della struttura; la struttura rimane inerte senza lo
svolgimento del ciclo operativo.
La gestione finanziaria raccoglie tutte le operazioni di scambio con i mercati
finanziari ai quali l’impresa si rivolge. Ha due profili:
 Gestione finanziaria passiva o dei finanziamenti
 Gestione finanziaria attiva o degli investimenti
La gestione finanziaria passiva comprende operazioni di raccolta dei capitali dal
mercato finanziario a cui segue il servizio, ossia la remunerazione e rimborso. La
gestione finanziaria attiva comprende, invece, tipici investimenti come titoli,
partecipazioni, crediti di finanziamento, valute. Ha due finalità:
- Assicurare economica mobilità finanziaria. Quindi, contribuire a formare
momentanee eccedenze di liquidità, destinate a essere successivamente
impiegate per lo sviluppo dell’attività operativa. Il mantenimento di capitali
prontamente disponibili, inoltre, rende più flessibile la gestione
- Integrare la redditività, in quanto l’investimento finanziario è realizzato con
l’intento di generare proventi che integrino i margini derivanti dalla gestione
operativa
La riconciliazione tra i due modelli proposti è rappresentata dalla distinzione degli
investimenti fra operativi e finanziari: gli investimenti operativi sono ricondotti
nell’ambito della gestione operativa, quelli finanziari rientrano nell’ambito della
gestione finanziaria.
Guardare alla dimensione operativa e finanziaria della gestione consente di
prospettare l’impresa quale trasformatore economico che opera come cerniera tra
due mondi:
 Le aree di affari nelle quali viene realizzata e venduta la produzione,
caratterizzando l’impresa come manifatturiera o di servizi o commerciale
 Il mercato finanziario dal quale sono attinte le risorse di capitale necessarie
per la produzione e che possono essere reinvestite nello stesso mercato
finanziario mediante l’acquisto di valori mobiliari
LE COMPONENTI DEI FLUSSI DI CASSA E DEL RISCHIO DI IMPRESA
Si configurano componenti operative e finanziarie sia dei flussi di cassa che del
rischio di impresa.
Guardando ai flussi di cassa, una prima corrente di flussi nasce dal mercato
finanziario nel quale l’impresa raccoglie i capitali. Questi flussi (flussi di
finanziamento) sono espressione della gestione finanziaria nella sua configurazione
passiva, ossia di raccolta dei capitali, e vengono riversati nell’ambito operativo sotto
forma di flussi di investimento rivolti a costituire la struttura produttiva e ad
alimentare il ciclo operativo. I flussi di investimento possono assumere anche natura
finanziaria, se i capitali raccolti sono impiegati in attività finanziarie. Le operazioni di
acquisto, produzione e vendita svolte in senso al ciclo operativo generano flussi di
rendimento degli investimenti operativi. Ai flussi di remunerazione di natura
operativa si aggiungono quelli provenienti dagli investimenti finanziari. I flussi
operativi, così integrati, sono impiegati per servire le fonti di finanziamento raccolte,
dando vita a flussi di remunerazione. Questi sono riconducibili alla gestione
finanziaria (passiva) e si manifestano sotto forma di interessi passivi
sull’indebitamento e rimborso di quote di capitale di quest’ultimo e di
corresponsione di dividendi.
Il circuito dei flussi prevede, dunque: flussi di finanziamento che sostengono il
processo di investimento; flussi di investimento che attivano la produzione di flussi
correnti; flussi correnti di prodotti che esprimono il rendimento degli investimenti e
che sono poi successivamente distribuiti, secondo determinati rapporti e criteri,
dando luogo a flussi di remunerazione che realizzano il servizio dei capitali raccolti
dai finanziatori. Questo complesso interrelato di flussi può essere distinto in ragione
della natura dei singoli flussi:
 Flussi operativi, di investimento e correnti di rendimento
 Flussi finanziari, di raccolta dei capitali e di loro remunerazione
Guardando al rischio di impresa, una prima dimensione di rischio riconducibile alla
variabilità dei flussi generati dagli investimenti operativi è dovuta a condizioni
esterne, espresse dalla risposta della aree di affari in cui l’impresa compete e dagli
andamenti congiunturali del sistema economico generale; vi sono anche condizioni
interne, espresse dagli assetti produttivi adottati che determinano la rigidità della
struttura dei costi.
Una seconda dimensione di rischio interessa i flussi della gestione finanziaria
passiva. I fattori esterni sono rappresentati dalle condizioni del mercato finanziario,
mentre i fattori interni sono riconducibili alle scelte di finanziamento adottate dalle
imprese, in termini di rapporto fra capitale di rischio e capitale di credito.
Per i rischi che gravano sulla gestione si prospettano due componenti:
 Rischio operativo dovuto a dove l’impresa sceglie di operare e a come intende
farlo
 Rischio finanziario suscitato dalle scelte riguardanti dove e come l’impresa si
finanzia
MODELLO DI ANALISI DELLA GESTIONE E LA LOGICA DI DETERMINAZIONE DEL
VALORE FONDAMENTALE
Il discounted cash flow5 ha due modalità di applicazione:
 Asset side (indiretto)
 Equity side (diretto)
La logica asset side perviene indirettamente alla misura del valore fondamentale del
capitale di rischio. Quantifica il valore fondamentale del complesso degli
investimenti operativi attraverso l’attualizzazione, a un tasso che rappresenti una
remunerazione dei capitali investiti congrua rispetto al rischio sopportato, del flusso
di cassa prodotto da tali investimenti. Per ottenere il valore fondamentale del
capitale di rischio occorre sottrarre dal valore economico degli investimenti
operativi il valore dei debiti finanziari.
Le determinazioni equity side misurano direttamente il valore fondamentale del
capitale di rischio, procedendo alla attualizzazione dei flussi operativi al netto dei
flussi di gestione del debito. Si attualizzano i flussi che restano a disposizione degli
azionisti, dopo che è stato servito il debito, ma anche dopo che sono stati acquisiti
nuovi capitali di terzi.
La scelta dei flussi da attualizzare si riflette sul tasso di interesse: se l’attualizzazione
riguarda i soli flussi monetari disponibili per gli azionisti, il costo del capitale
impiegato per l’attualizzazione è relativo al solo equity, ossia deve incorporare tutti i
rischi gravanti sugli azionisti; nella logica asset side, invece, il costo del capitale da
impiegare per attualizzare i flussi operativi è espresso dal WACC, ossia dal costo
medio ponderato delle due fonti di capitale impiegate. Il WACC comprende anche il
costo dell’equity e incorpora, oltre alle condizioni di rischio gravanti sugli azionisti,
anche quelle sopportate dai creditori.
DAL MODELLO DI ANALISI DELLA GESTIONE ALL’ANALISI DEL BILANCIO
Il bilancio offre le informazioni necessarie per mettere a fuoco le determinanti delle
variabili chiave del valore: flussi di cassa e costo del capitale. Il modello di

5
Il flusso monetario scontato o flusso di cassa attualizzato (in lingua inglese: discounted cash flow, abbreviato DCF) è
un metodo di valutazione di un investimento, basato sull'attualizzazione, secondo un tasso corretto per il rischio, dei
flussi futuri attesi dall'attività in questione.
rappresentazione della gestione delineato presenta una stretta aderenza alle logiche
di formazione e determinazione del valore fondamentale, delle quali esprime le
componenti chiave. Pertanto, si prospetta una logica di analisi dei dati di bilancio
basata sulla distinzione fra operativi e finanziari dei flussi di cassa e dei fattori di
rischio.
Questa logica deve ispirare la riclassificazione dei prospetti contabili, la redazione
del rendiconto finanziario, la costruzione e l’interpretazione degli indicatori.
LA RICLASSIFICAZIONE DEI PROSPETTI CONTABILI
Con la riclassificazione, i valori contenuti nei prospetti ufficiali di bilancio sono
organizzati in modo da consentire di acquisire i dati necessari per valutare le
condizioni che determinano i flussi di cassa e i livelli di rischio della gestione che
sono alla base del valore fondamentale dell’impresa. Il modello di analisi della
gestione proposto costituisce il criterio guida per compiere la riclassificazione dei
valori contenuti nei prospetti di bilancio. Essi devono essere aggregati considerando
le aree di gestione che ne hanno determinato la formazione: si tratta di distinguere
fra valori che si sono formati in conseguenza degli scambi con le aree di affari e
valori sorti in seguito agli scambi con il mercato finanziario.
La riclassificazione riguarda i valori dello stato patrimoniale e del conto economico.
Per lo stato patrimoniale, le attività e le passività sono suddivise in ragione della loro
appartenenza ai diversi ambiti della gestione; nel conto economico, invece, la
suddivisione riguarda i costi e i ricavi di esercizio. Lo stesso criterio di
riclassificazione interessa anche il rendiconto finanziario in cui i flussi monetari in
entrata e in uscita sono ripartiti per aree di gestione; se il rendiconto non fa parte
del fascicolo di bilancio, il modello per aree di gestione è il naturale riferimento per
la costruzione del documento.
LA SCELTA DEGLI INDICATORI
Raccolta la documentazione e riclassificati i prospetti, si approfondisce l’analisi
attraverso l’utilizzo di indici. L’obiettivo è esprimere l’andamento nel tempo e
rispetto alle imprese comparabili delle quantità patrimoniali, reddituali e finanziarie
che determinano il valore fondamentale. I quozienti, a differenza dei valori assoluti,
offrono una misura relativa e confrontabile dei risultati della gestione. Si
evidenziano due essenziali profili della gestione che costituiscono il necessario
riferimento dell’analisi condotta attraverso indici. I due profili sono:
 Redditività, intesa come capacità di generare reddito attraverso gli
investimenti. Essa deve essere apprezzata con riferimento all’ambito
strettamente operativo
 Solvibilità, intesa come capacità di far fronte agli impegni di pagamento e che
può essere esaminata:
- nel lungo termine (capacità di far fronte complessivamente e definitivamente
agli impegni di pagamento  solidità patrimoniale)
- nel breve termine (disponibilità delle risorse monetarie necessarie per far
fronte tempo per tempo agli impegni di pagamento  liquidità)
L’analisi condotta mediante l’impiego dei dati di bilancio si deve fondare sul calcolo
e l’interpretazione di quattro sottosistemi di indici:
- sottosistema per l’analisi dei livelli di crescita
- sottosistema per l’analisi della redditività operativa
- sottosistema per l’analisi della solidità patrimoniale
- sottosistema per l’analisi della liquidità
Si può aggiungere un sottosistema relativo all’analisi della redditività netta,
momento di sintesi di tutte le prospettive di analisi.

Capitolo VII – Le comparazioni di bilancio


Gli indicatori che emergono dall’analisi del bilancio devono essere adeguatamente
interpretati. A tal fine è necessario che l’analista possieda opportuni termini di
confronto rispetto ai quali comparare tali indicatori. La comparazione deve
riguardare sia la dimensione temporale che quella spaziale della gestione. La
comparazione nel tempo si basa sull’osservazione dell’andamento di una serie
storica di dati del bilancio. La comparazione nello spazio prevede di analizzare le
prestazioni di un’azienda attraverso il confronto con quelle di altre imprese. Un
criterio di comparazione è quello con valori teorici di riferimento.
Deviazioni e cambiamenti che emergono dal confronto costituiscono anomalie:
 Transitorie, se dovute a fattori congiunturali destinati a regredire verso
l’andamento di fondo
 Permanenti, se dovute a fattori strutturali
La distinzione è importante al fine di costruire le assumption sul futuro andamento
dell’impresa. Le anomalie permanenti, infatti, portano alla costruzione di bilanci
prospettici caratterizzati da significative discontinuità rispetto ai risultati passati.
Qualsiasi confronto richiede preliminarmente la verifica della comparabilità dei dati,
considerando la loro attendibilità, omogeneità e completezza:
- L’attendibilità del bilancio oggetto di analisi impone di valutare la qualità del
sistema contabile
- L’omogeneità investe gli aspetti formali e sostanziali del bilancio
- La completezza richiede di concentrare l’attenzione su alcune operazioni (ad
esempio leasing finanziario) che potrebbero non essere adeguatamente
rappresentate in bilancio

Capitolo VIII – La riclassificazione dello Stato Patrimoniale


Criteri di classificazione:
 Finanziario
 Di pertinenza gestionale o funzionale
CRITERIO DI PERTINENZA GESTIONALE
Riaggregare i valori patrimoniali considerando le aree di gestione, ossia gli ambiti di
attività dell’impresa che ne hanno determinato la formazione. SI distingue fra:
 Attività e passività operative, generate dagli scambi con le aree di affari
 Attività e passività finanziarie, sorte in seguito a scambi con il mercato
finanziario
La gestione operativa si articola su due livelli. Pertanto, i valori patrimoniali si
suddividono in:
- Strutturali
- Correnti
Attività operative strutturali: la dimensione strutturale è rappresentata dai valori
che nascono dal complesso delle operazioni attraverso le quali viene predisposto,
conservato e sviluppato l’apparato produttivo stabile dell’impresa. Ad esempio:
immobili industriali, impianti e attrezzature, marchi e brevetti.
Attività operative correnti: elementi patrimoniali conseguenti allo svolgimento del
ciclo operativo, ossia delle quotidiane operazioni di acquisto di fattori produttivi di
consumo, delle loro trasformazioni in prodotti e di vendita. Tali attività sono
espresse da:
- Scorte di magazzino (materie prime, semilavorati, prodotti finiti)
- Crediti di natura commerciale (per i quali non ha importanza la durata)
Scorte e crediti sono attività che riflettono il ciclo produttivo colto in diversi stadi del
suo svolgimento: nella fase di acquisto (materie prime), in vari momenti della
trasformazione (semilavorati e prodotti finiti), nella fase di vendita (crediti
commerciali). La compresenza di tali elementi del bilancio dell’impresa riflette la
presenza, nel momento nel quale il bilancio viene redatto, di più cicli colti in fasi
diverse del loro svolgimento. Se l’impresa svolgesse un solo ciclo per volta, nel suo
bilancio troveremmo solamente uno dei valori menzionati.
Passività operative (o spontanee): nascono come diretta conseguenza di dilazioni di
pagamento ottenute/accordate al momento dell’acquisto dei fattori produttivi
impiegati nella gestione operativa.
Passività operative correnti: debiti conseguenti a dilazioni di pagamento di fattori
impiegati nel ciclo operativo. Ad esempio: debiti verso fornitori ordinari, fondi rischi
e oneri concernenti attività del ciclo (fondi per garanzie su prodotti venduti),
passività fiscali (debiti IVA e IRES).
Passività operative strutturali: ogni passività operativa non direttamente legata al
ciclo produttivo. Ad esempio: debiti verso fornitori per impianti, fondi rischi e oneri
(specie di natura pluriennale, come fondo per smantellamento impianti al termine
della loro vita utile), debiti verso dipendenti per TFR.
La gestione finanziaria e, in particolare, le passività finanziarie riguardano
l’approvvigionamento dei capitali monetari necessari al funzionamento aziendale.
L’attività di raccolta di denaro trova espressione nel capitale di rischio dell’impresa e
nell’indebitamento finanziario. A differenza dei debiti operativi, i debiti finanziari
nascono come conseguenza di una negoziazione che ha per oggetto il denaro e non
fattori produttivi dei quali viene dilazionato il pagamento. Tali passività, dette anche
passività negoziate, esprimono finanziamenti sui quali è possibile esercitare una
deliberata manovra di politica finanziaria, poiché sono fonti la cui consistenza e
composizione sono il risultato di precise e deliberate scelte di gestione. Esempi di
passività finanziarie sono: debiti relativi a prestiti obbligazionari emessi, debiti verso
banche di diverse forme e durate (mutui passivi e scoperti di conto corrente).
La gestione finanziaria alimenta il processo di investimento nelle aree di affari nelle
quali l’impresa compete. Una parte dei capitali raccolti, tuttavia, può essere
impiegata in attività finanziarie (gestione finanziaria attiva), portando alla
formazione di valori patrimoniali attivi. Ne sono esempi: titoli a reddito fisso (es.
titoli di Stato), titoli a reddito variabile (es. azioni), crediti concessi ad altre imprese,
valute, depositi bancari, disponibilità liquide.
Si noti che sono presenti valori sotto forma monetaria (ad esempio depositi bancari
e disponibilità liquide) o che possono essere convertiti in moneta in tempi rapidi e
senza perdite di valori (ad esempio titoli di Stato): non si tratta di investimenti
monetari in senso stretto, ma di disponibilità liquide o cash equivalents.
In determinate imprese, accanto alla gestione operativa e finanziaria, si potrebbe
individuare anche:
- Una gestione separata delle partecipazioni
- Una gestione accessoria, la quale raccolga le operazioni di natura
complementare rispetto alle altre attività (es. gestione di un patrimonio
immobiliare)
LE FINALITA’ CONOSCITIVE DEL MODELLO DI PARTENZA
Finalità conoscitive:
 Determinare i principali fabbisogni finanziari riconducibili ai vari ambiti di
gestione dell’impresa e cogliere le principali variabili che influiscono su tali
fabbisogni
 Operare misurazioni reddituali
I FABBISOGNI FINANZIARI OPERATIVI
Il fabbisogno finanziario riconducibile alla gestione operativa si configura in termini
lordi e netti.
Il fabbisogno finanziario lordo è il totale delle attività operative legate al ciclo e alla
struttura. La costituzione di tale attività comporta un fabbisogno di capitali da
raccogliere sul mercato finanziario, sotto forma di capitale di rischio o di capitale di
credito. È però un fabbisogno potenziale, ossia quale sarebbe se l’impresa non
avesse potuto contare su dilazioni di pagamento al momento di acquisire delle
attività; nella misura in cui tali direzioni si sono rese disponibili, però, l’effettiva
entità del fabbisogno che l’impresa è chiamata a fronteggiare, raccogliendo capitali
del mercato finanziario, si riduce, portando alla configurazione netta del bisogno,
data dalla differenza tra il totale della attività operative e il totale delle passività
spontanee a queste correlate. Il fabbisogno finanziario netto indica di quanti soldi
ha effettivamente bisogno l’impresa per operare nei mercati prescelti e realizzare gli
eventuali investimenti finanziari.
L’evoluzione del prospetto di stato patrimoniale riclassificato presuppone che si
proceda, quindi, al calcolo di specifici margini, sommando algebricamente ai valori di
determinate attività operative (espressione del fabbisogno lordo) quelli delle
correlate passività spontanee (espressione della copertura spontanea del
fabbisogno lordo). Tali margini esprimono i fabbisogni finanziari netti della gestione
operativa.

Capitale operativo investito netto (COIN) = differenza tra tutte le attività operative e
tutte le passività operative  esso misura l’ammontare del fabbisogno finanziario
netto della complessiva gestione operativa, considerata nelle sue componenti corrente
e strutturale.

Capitale circolante netto commerciale (CCNc): si costruisce aggregando solo i valori


correnti dell’area operativa  indica quanta parte del fabbisogno operativo dipende dal
quotidiano svolgersi del ciclo produttivo (acquisto, trasformazione e vendita).

Fabbisogno operativo strutturale netto = differenza tra le attività operative e strutturali


e le correlate passività spontanee.

LA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA


Posizione finanziaria netta (PFN) = differenza tra il totale delle passività finanziarie e il totale
delle attività finanziarie (alcune di queste rappresentano, infatti, impieghi di capitale a rischio
più contenuto rispetto alle attività di natura operativa e corrispondono a impieghi fungibili
costituiti da moneta o che in moneta possono essere trasformati; in virtù di tali caratteristiche,
alcune attività finanziarie possono fornire la liquidità necessaria per ridurre l’indebitamento
finanziario, quindi, possono essere intese come parte integrante della gestione dei
finanziamenti e considerate direttamente nell’analisi dell’indebitamente finanziario piuttosto
che in quella degli investimenti).

Posizione finanziaria netta a breve termine = differenza tra indebitamento finanziario a breve
termine e le disponibilità liquide  considera come valori che assicurano una copertura
all’indebitamento solo quelli monetari e non quelli che esprimono vere e proprie forme di
investimento alternativo o complementare agli investimenti operativi.
PFTbt + debiti a medio e lungo termine = indebitamento finanziario netto  se la cassa e le
attività finanziarie equivalenti sono superiori ai debiti finanziari a breve si mantiene la posizione
finanziaria netta, con segno positivo, tra le passività, o la si colloca tra le attività finanziarie.
La costruzione dei margini operativi è accompagnata da quella di margini che
riguardano i valori finanziari.
IL PROSPETTO CAPITALE INVESTITO–CAPITALE RACCOLTO
La riclassificazione mette in evidenza:
 Il capitale investito nelle diverse aree di gestione, al netto di finanziamenti
spontanei
 Il capitale raccolto direttamente da terzi, sia con vincolo di debito che con
vincolo di rischio; si tratta di finanziamenti non spontaneamente generati dai
processi di gestione operativa, ma specificamente negoziati sul mercato
finanziario
INVESTIMENTI (CAPITALE INVESTITO) FINANZIAMENTI (CAPITALE RACCOLTO)
CCNc Capitale netto
Investimenti strutturali netti Debiti finanziari a medio-lungo
Investimenti finanziari Posizione finanziaria netta a breve

CCNc + investimenti strutturali netti = Capitale operativo investito netto (COIN)

Capitale investito netto (CIN) = COIN + investimenti finanziari in senso stretto 


rappresenta i capitali globalmente investiti nell’impresa al netto delle fonti di
finanziamento indirette (sia capitali impiegati nella gestione operativa, sia capitali
impiegati nella gestione finanziaria attiva e nella eventuale gestione accessoria).
Corrisponde al fabbisogno finanziario netto complessivo (FFNC)

In dettaglio:
 Il CCNc indica il fabbisogno finanziario netto del ciclo operativo
 Gli investimenti operativi strutturali, al netto delle passività legate alla
gestione operativa, esprimono la consistenza del fabbisogno finanziario
imputabile alla creazione dell’apparato produttivo dell’impresa
 Entrambi i margini segnalano il fabbisogno finanziario netto dovuto alla
gestione operativa (COIN)
 Aggiungendo a questo fabbisogno la consistenza degli investimenti finanziari
(e accessori, al netto delle eventuali passività spontanee), si ottiene il
complessivo fabbisogno finanziario netto della gestione vista nelle sue aree
fondamentali (CIN). Tale fabbisogno trova copertura nel ricorso a:
- Capitale di rischio
- Mezzi di terzi negoziate nelle forme tecniche del credito a breve e a medio e
lungo termine

Attività legate al ciclo operativo


(-) passività operative legate al ciclo operativo
= CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE (CCNc)
+ attività legate alla struttura operativa
(-) passività legate alla struttura operativa
= CAPITALE OPERATIVO INVESTITO NETTO (COIN)
+ investimenti finanziari (esclusa la liquidità)
= CAPITALE INVESTITO NETTO (CIN)
Coperto da…
Patrimonio netto + debiti finanziari a medio-lungo termine + posizione finanziaria netta a breve
termine = CAPITALE RACCOLTO

IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE, IL FABBISOGNO FINANZIARIO DEL


CICLO OPERATIVO
Il CCNc indica di quanti soldi ha costantemente bisogno l’impresa per svolgere
quotidianamente le proprie operazioni di acquisto, trasformazione e vendita.
Si considerino le principali attività correnti, cioè scorte di magazzino e crediti verso
clienti. In un’impresa manifatturiera, le scorte sono formate da materie prime,
semilavorati e prodotti finiti: si tratta di componenti patrimoniali ai quali
corrispondono costi sostenuti il cui importo non è stato ancora recuperato
attraverso la vendita e l’incasso della produzione. Considerazioni analoghe valgono
per i crediti commerciali, dietro a cui occorre vedere i prodotti realizzati e non
ancora recuperati. In entrambi i casi il sostenimento anticipato dei costi genera
un’esigenza finanziaria, un fabbisogno di capitali. L’ammontare effettivo di tale
fabbisogno dipende dalla capacità/possibilità di dilazionare il pagamento monetario
dei costi, rispetto al momento del loro sostenimento. Da qui il ruolo delle passività
correnti, tipicamente debiti verso i fornitori: nella misura in cui l’impresa può fare
ricorso a dilazioni di pagamento, in pari misura la consistenza del fabbisogno da
fronteggiare si riduce.
Pertanto, la differenza tra attività e passività operative legate al ciclo esprime il
fabbisogno finanziario netto della gestione operativa corrente, ossia l’ammontare
di capitali che l’impresa deve autoprodurre, generando utili (autofinanziamento),
o raccogliere direttamente sul mercato, da banche, azionisti, se vuole alimentare
finanziariamente il proprio processo di produzione.
L’attitudine di un saldo patrimoniale, quale il CCNc, a esprimere l’effettivo
fabbisogno generato dallo svolgimento del ciclo operativo, dipende dall’intensità
con la quale le operazioni del ciclo si distribuiscono lungo il periodo amministrativo
coperto dal bilancio: se l’intensità delle operazioni è costante nel tempo,
l’ammontare del CCNc alla data del bilancio è mediamente lo stesso che si potrebbe
avere in ogni altro possibile momento; se, invece, l’intensità della produzione varia
nel corso del periodo coperto dal bilancio (fenomeni di stagionalità), la fotografia di
fine periodo non riflette le punte che il fabbisogno può manifestare.
Il CCNc può assumere anche segno negativo. Quando il CCNc è negativo, il ciclo
operativo non solo determina fabbisogno finanziario, ma anzi produce
disponibilità monetarie. Ad esempio: in un supermercato la consistenza dei crediti
commerciali è molto esigua, così come la consistenza delle scorte; di contro, data la
notevole forza contrattuale, si possono ottenere ampie dilazioni sui fornitori,
ottenendo passività legate al ciclo operativo di importo superiore a quello delle
attività legate a tale ciclo (non fabbisogno finanziario, ma surplus di mezzi
monetari).
LE DETERMINANTI DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
Il ciclo operativo può essere descritto sulla base di due fondamentali ordini di fattori
che determinano l’ammontare dei valori in bilancio di crediti, scorte e fornitori:
- Il volume di attività attraverso il ciclo
- Le politiche commerciali e produttive adottate dall’impresa (durata dilazioni ai
clienti, ammontare delle scorte, durata dilazioni concessi dai fornitori)
Andiamo a vedere delle formule che consentono di determinare le componenti del
CCNc:

 Crediti verso clienti = (fatturato/360) x giorni dilazione concessi ai clienti


 Scorte di prodotti finiti = (costo del venduto/360) x giorni giacenza scorte prodotti
finiti
 Scorte di materie prime = (consumi/360) x giorni giacenza scorte materie prime
 Scorte di merci = (consumi/360) x giorni giacenza scorte merci
 Debiti verso fornitori = (acquisti/360) x giorni dilazione pagamento fornitori
CAPITALE CIRCOLANTE NETTO E VOLUME DI ATTIVITA’
L’effetto esercitato dalle politiche commerciali sul circolante si apprezza
chiaramente considerando la durata del ciclo monetario dell’impresa, ossia del
periodo medio che intercorre fra i pagamenti dei materiali e servizi utilizzati nella
produzione e gli incassi dei crediti dovuti alle vendite dei prodotti. Il CCNc ha
componenti attive (scorte e crediti) e componenti passive (debiti verso fornitori): i
tempi di dilazione dei crediti e di giacenza delle scorte concorrono a determinare la
durata del ciclo attivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento
dell’acquisto dei fattori produttivi sino al momento dell’incasso monetario delle
vendite dei prodotti ottenuti; i tempi di dilazione dei fornitori definiscono il ciclo
passivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento dell’acquisto dei fattori
produttivi impiegati nel ciclo sino al momento del pagamento monetario di tali
fattori. Le durate del ciclo attivo e passivo definiscono la durata del ciclo monetario.
Quanto più il tempo medio di monetizzazione della produzione è superiore al tempo
medio di pagamento dei fattori acquistati per realizzarla, tanto più si viene a creare
un fabbisogno finanziario; più lungo è il ciclo monetario, maggiore è la consistenza
del CCNc.
Gli indici di durata cercano di determinare il tempo medio di ritorno in forma
monetaria delle poste di bilancio:
 Gli indici di durata delle giacenze di magazzino segnalano il tempo che
intercorre fra il momento dell’acquisto di materie e servizi da immettere nella
produzione e il momento in cui la produzione ottenuta è venduta ai clienti
Durata della giacenza di materie prime e merci = 360/(consumi/scorte di merci o di materie
prime)
Durata della giacenza di prodotti finiti = 360/(costo del venduto/scorte di prodotti finiti)

 L’indice di durata dei crediti verso clienti indica il tempo che intercorre fra il
momento in cui la produzione ottenuta è venduta ai clienti e il momento in
cui i clienti pagano il loro acquisto

Durata della dilazione sui crediti commerciali = 360/(fatturato/crediti commerciali)


 L’indice di durata dei debiti verso fornitori esprime quanto tempo intercorre
tra il momento dell’acquisto delle materie prime e dei servizi impiegati nel
processo produttivo e il momento del loro effettivo pagamento
Durata della dilazione sui debiti commerciali = 360/(acquisti/debiti commerciali)

Le durate del ciclo attivo e passivo sommate algebricamente determinano la durata


del ciclo monetario, cioè quanto tempo impiega l’investimento corrente netto a
ritornare in forma monetaria.
Giorni dilazione ai clienti + giorni giacenze scorte – giorni dilazioni fornitori = giorni ciclo CCNc

La durata in giorni del capitale circolante netto commerciale esprime il periodo di


tempo mediamente intercorrente fra le uscite monetarie derivanti dall’acquisto dei
fattori produttivi di esercizio e l’entrata monetaria derivante dalla vendita di beni e
servizi prodotti.
Nella misura in cui la durata fornitori non riesce a coprire la durata di magazzino e
crediti, il buco temporale che si manifesta deve essere coperto negoziando
opportuni finanziamenti. Tuttavia, solo una parte degli impegni di pagamento si
ricollega alla dilazione concessa dai fornitori, quindi, l’analista deve ponderare la
dilazione6 ottenuta dai fornitori in base al peso che i costi relativi ai fattori di
consumi acquisiti dai fornitori hanno rispetto al volume di attività del ciclo
produttivo.

Coefficiente di ponderazione (per i fornitori) = acquisti/fatturato

A considerazioni analoghe si prestano i giorni di giacenza7 delle scorte di magazzino


che sono determinati in rapporto ai consumi o al costo del venduto. In termini di
fabbisogno finanziario espresso dal CCNc, i giorni di scorte pesano di più o di meno a
seconda che l’incidenza dei consumi sul fatturato sia più o meno alta, pertanto,
anche la durata della giacenza delle scorte deve essere ponderata rispetto al volume
di attività del ciclo operativo. La ponderazione si ottiene moltiplicando i giorni scorta
per il quoziente:

6
Che cosa significa "Dilazione di pagamento"? Significa distribuzione nel tempo del pagamento, che può consistere in
una posticipazione del termine o in una rateizzazione dell'importo dovuto
7
Giacenza, intesa come l'intervallo di tempo in cui una data somma di denaro resta depositata in un conto corrente o
utilizzata a debito dal cliente.
Consumi/fatturato (nel caso di scorte di materie prime o merci)
Costo del venuto/fatturato (nel caso di scorte di prodotti finiti)

Considerando il rapporto CCNc/fatturato:


 Più alto è il livello dell’indice, più severo è il giudizio sulle condizioni
dell’impresa, in quanto maggiore è il fabbisogno finanziario per unità di
fatturato che essa deve soddisfare per sostenere quest’ultimo
 Riguardo alle variazioni subite dall’indice, a parità di tutti gli altri fattori, il
CCNc dovrebbe rimanere proporzionato alle vendite, mantenendo invariato il
rapporto; aumenti o diminuzioni dell’indice segnalano variazioni delle
politiche commerciali
LE COMPONENTI DUREVOLI E FLUTTUANTI DEL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
All’interno del CCN sono presenti due componenti:
- Una componente durevole, riconducibile a determinati livelli minimi di
condizioni economico-tecniche di svolgimento del ciclo operativo; tali livelli
minimi sono legati alla necessità di adottare politiche commerciali coerenti
con i vincoli economici posti dalle condizioni competitive dell’area di affari in
cui l’impresa opera e con i vincoli tecnici del processo attuato
- Una componente fluttuante, dovuta a:
 Espansioni temporanee del fatturato, legate a condizioni di mercato
favorevoli o a fenomeni di stagionalità
 Politiche commerciali e/o produttive di massima convenienza economico-
tecnica
Alla componente durevole del CCNc si associa un fabbisogno finanziario costante
che non può essere ulteriormente ridotto senza danneggiare il cuore dell’operatività
dell’impresa.
La componente fluttuante genera un fabbisogno finanziario variabile che può
essere contenuto, almeno temporaneamente, senza minare le condizioni minime di
funzionamento ed equilibrio economico.
Un equilibrato finanziamento del CCNc poggia su correlazioni orizzontali:
 Capitali permanenti utilizzati per fronteggiare il fabbisogno durevole
 Finanziamenti a breve ciclo di utilizzo per coprire il fabbisogno fluttuante
Con riferimento a questi utili, un ruolo può essere svolto dall’indebitamento
bancario a breve, nella forma dell’apertura del credito in c/c.
L’indice idoneo a segnalare il livello di finanziamento bancario del CCNc è dato dal
rapporto:
Banche c/c passivo/CCNc

Valori superiori a 1 devono richiamare l’attenzione dell’analista: finché


l’indebitamento bancario a breve si limita a coprire il CCNc, esso svolge la sua
funzione tecnica precipua e in corrispondenza della rotazione del CCNc,
l’indebitamento si estinguerà e si riformerà ciclicamente, assumendo un carattere
tendenzialmente autoliquidante; laddove l’indebitamento bancario superi
l’ammontare del circolante, il collegamento con l’andamento ciclico del fabbisogno
corrente in parte si viene a perdere, determinando un potenziale irrigidimento
dell’indebitamento a breve e una conseguente riduzione del grado effettivo di
liquidità. Il livello di finanziamento bancario a breve del CCNc è strettamente
correlato al tasso di intensità del CCNc. Vale la relazione:

(CCNc/Fatturato) x (Banche c/c passivo/CCNc) = Banche c/c passivo/Fatturato

Maggiore è il fabbisogno corrente per unità di fatturato (ossia più lenta alla
rotazione del CCNc) e quanto più tale fabbisogno viene coperto mediante
indebitamento bancario a breve, tanto più alta sarà l’incidenza del finanziamento
bancario a breve sul fatturato; questa circostanza è destinata a generare una
crescita del peso degli oneri finanziari sul fatturato e, quindi, una riduzione del
reddito di esercizio.

Capitolo IX – La riclassificazione del conto economico


LA RICLASSIFICAZIONE DEL CONTO ECONOMICO E I RISULTATI REDDITUALI
PARZIALI
A livello reddituale è possibile raggruppare i vari costi e ricavi di esercizio in
relazione alla natura delle operazioni di gestione da cui essi derivano, attribuendo
alle varie aree di gestione i componenti di reddito di loro pertinenza.
Il conto economico è rappresentato in forma scalare, in un'unica sezione, dove è
possibile raccogliere e confrontare direttamente i costi e ricavi riconducibili a ogni
singola area di gestione individuata, determinando il reddito parziale a essa
attribuibile. Viene così messo in evidenza come si viene formando il complessivo
risultato di esercizio dell’impresa: questo, infatti, risulta dalla somma algebrica dei
redditi parziali, ordinatamente raccolti in un’unica colonna, attribuiti a ogni ambito
di gestione. Lo stato patrimoniale è intimamente connesso al conto economico,
perché offre i dati relativi agli stock di capitale raccolto e investito da confrontare
con i flussi reddituali riconducibili a quelli stock, onde determinare, da un lato, il
rendimento degli investimenti e, dall’altro, la remunerazione assicurata ai
finanziatori dell’impresa.
LA NORMALIZZAZIONE DEL REDDITO
La suddivisione del reddito complessivo e redditi parziali consente di evidenziare il
contributo offerto da ciascuna area della gestione all’economia dell’impresa. Ciò è
essenziale per valutare le condizioni di equilibrio economico, che non dipendono
solamente dall’ammontare del reddito conseguito, ma anche dalla sua qualità. I
risultati economici dell’impresa saranno di qualità tanto più elevata, quanto più
saranno originati dalle attività che rappresentano il cuore della gestione e che si
svolgono con regolarità, ripetendosi nel corso del tempo. La qualità del reddito è
speculare al grado di rischio che grava sulla gestione, inteso come capacità che il
reddito ha, in sé, di riprodursi per un tempo soddisfacente, senza subire significative
oscillazioni; utili anche cospicui, ma di bassa qualità, sono gravati da un elevato
livello di rischiosità che si esprime attraverso una loro non ripetibilità nel tempo.
Il primo intervento da compiere, al momento di riclassificare il conto economico, è
volto a normalizzare il reddito di esercizio. L’obiettivo è sottrarre alla casualità
alcuni costi e ricavi, riportandoli a una relazione di causalità, sia con l’attività
abitualmente svolta dall’impresa, sia con il periodo amministrativo di riferimento: si
tratta, quindi, di individuare costi e ricavi che esprimano la stabilizzata attitudine
dell’impresa a produrre reddito; si parla anche di earnings power, cioè l’effettiva
capacità dell’impresa di generare ricchezza indipendentemente dal verificarsi di
circostanze occasionali.
Occorre evidenziare i componenti reddituali che nascono da operazioni non ripetibili
nel tempo e isolarli da quelli che correntemente si ripetono. Si giunge, in tal modo, a
configurare, preliminarmente ogni successiva riaggregazione di valori per aree di
gestione, due risultati reddituali:
Reddito normalizzato (adjusted) = risultato di periodo depurato da quei componenti
giudicati anomali rispetto all’attività economica svolta dall’impresa e, pertanto, non
ripetibile in futuro
Reddito ante imposte = grandezza di sintesi legata anche a condizioni di gestione non
ripetibili nel tempo; il suo ammontare si ottiene sommando al reddito normalizzato i
costi e ricavi a tali condizioni attribuibili. Aggiungendo al reddito ante imposte la
componente reddituale riferibile alla imposte, si giunge al valore del reddito netto
complessivo dell’esercizio
Ricavi correnti
(-) costi correnti
= REDDITO CORRENTE (NORMALIZZATO)
+ ricavi anomali
(-) costi anomali
= REDDITO ANTE IMPOSTE
(-) imposte dell’esercizio
= REDDITO NETTO

Si prospetta un problema di normalizzazione anche della componente reddituale


riferibile alle imposte, in quanto queste dovrebbero essere divise in due
componenti: le imposte attribuibili al reddito normalizzato e le imposte dovute ai
valori anomali. Una volta normalizzate le imposte, il nuovo schema riposta un
reddito corrente al lordo e al netto delle imposte, oltre al saldo dei componenti
anomali di reddito al netto della componente fiscale loro attribuita.

Ricavi correnti
(-) costi correnti
= REDDITO CORRENTE LORDO
(-) imposte sul redito corrente
= REDDITO CORRENTE NETTO
+/- proventi e oneri anomali (al netto delle imposte)
= REDDITO NETTO

Tre gruppi di valori possono essere ricondotti alla categoria dei componenti anomali:
 Costi e ricavi straordinari
 Costi e ricavi derivanti da attività operative cessate
 Costi e ricavi extra-gestione
I COSTI E RICAVI STRAORDINARI
Sono componenti di reddito che derivano da fenomeni:
- Eccezionali, ossia infrequenti o a manifestazione occasionale
- Che presentano importi anomali rispetto al consueto
Si possono considerare componenti di reddito straordinari:
 Sopravvenienze e insussistenze derivanti da fatti accidentali o casuali (es.
incendi, alluvioni, gravosa perdita su crediti verso clienti)
 Svalutazioni, specie di attività immobilizzate
 Oneri, plusvalenze e minusvalenze derivanti da alienazioni di immobilizzazioni,
tecniche, ma anche finanziarie
 Spese per ristrutturazioni
 Imposte relative a esercizi precedenti
Non sempre i valori legati ai fenomeni richiamati devono essere esclusi dal reddito
ripetibile; in alcuni casi, si tratta di ridistribuire nel tempo gli effetti che da tali valori
reddituali derivano (ad esempio svalutazione attività immobilizzata, qualora sia la
conseguenza del mancato adeguamento, negli anni passati, della vita utile
dell’attività immobilizzata alla quale si riferisce; in questo caso, gli effetti dalla
svalutazione devono essere riattribuiti agli esercizi precedenti, integrando il valore
degli ammortamenti, che risultano così proporzionati all’effettiva vita utile
dell’attività).
I COSTI E RICAVI DA ATTIVITA’ OPERATIVE CESSATE
Tra i componenti anomali del reddito di esercizio rientrano i costi e i ricavi da attività
operative cessate.
La vendita o l’abbandono di un importante ramo o ambito geografico di attività crea
una discontinuità significativa fra i periodi amministrativi nei quali l’attività ha dato
un contributo reddituale e quelli che di tale contributo non si potranno avvalere. Ai
fini della normalizzazione del reddito occorre che i costi e i ricavi derivanti dalle
attività cedute, in via di cessione o destinate all’abbandono, siano tenuti separati da
quelli riferiti ad attività destinate a continuare.
Vanno normalizzati anche i valori contenuti nello Stato Patrimoniale, per non
ottenere valori distorti: in particolare, vanno esclusi dal patrimonio le attività e
passività relative a discontinued operations non ancora cedute; quelle già cedute,
invece, già non compaiono più in bilancio.
OLTRE IL REDDITO NORMALIZZATO: IL REDDITO NETTO RETTIFICATO
I valori anomali, anche se non ripetibili, hanno un loro effetto economico.
Totalmente privi di significato economico sono, invece, alcuni valori che alterano
ogni misura reddituale e dovrebbero, quindi, essere enucleati al momento della
riclassificazione. Si individua così un’area di valori extra-gestione, che porta
all’evidenziazione del reddito netto rettificato.
I valori attribuiti all’extra-gestione sono prevalentemente delle poste frutto di
espedienti di contabilità creativa, miranti a lisciare e/o gonfiare i risultati di bilancio:
a) Plusvalenze da rivalutazione di attività (rivalutazioni monetarie: collegate a
fenomeni inflazionistici; rivalutazioni economiche: collegate a fenomeni che
determinano un rilevante aumento del valore intrinseco di alcuni elementi
patrimoniali)
b) Versamenti e remissioni di debiti verso soci a copertura delle perdite (il socio
versa una somma di titolo di capitale di credito e poi rinuncia al proprio
credito, facendo rilevare un’insussistenza del passivo che genera reddito
accreditato a Conto Economico e che occorre a mascherare la perdita di
esercizio)
c) Utilizzi di riserve direttamente a Conto Economico (per coprire perdite) o per
la costituzione di fondi del passivo
IL REDDITO CORRENTE
Il reddito corrente raccoglie tutti i valori di costo e di ricavo derivanti dalle
operazioni di gestione che l’impresa svolge in modo abituale. All’interno della
gestione corrente si individuano due (sotto) aree:
 Gestione operativa (caratteristica o tipica): raccoglie le operazioni e i
conseguenti valori reddituali di ricavo e di costo concernenti la produzione e
la vendita dei beni e servizi che rappresentano la ragion d’essere dell’impresa
 Gestione finanziaria: riguarda la ricerca e la gestione delle fonti di
finanziamento, ma anche l’impiego dei capitali raccolti in investimenti
finanziari, non direttamente legati alla gestione operativa
I componenti reddituali riconducibili all’ambito finanziario sono:
- Proventi e oneri derivanti dalla gestione degli investimenti finanziari
- Oneri netti della gestione dei debiti finanziari
I proventi e oneri da investimenti finanziari nascono dalle operazioni riconducibili
alla gestione finanziaria attiva. Se ben condotta, dovrebbe generare componenti
positivi in termini di interessi attivi su titoli a reddito fisso e crediti di finanziamento,
utili di cambio su crediti e valori similari, dividendi su titoli azionari, plusvalenze
relative alla negoziazione di titoli. Anche la gestione finanziaria attiva, però, può
determinare il sostenimento di oneri, come svalutazioni e perdite su titoli e crediti
finanziari, perdite di cambio, costi per l’acquisto di diritto d’opzione, minusvalenze
relative alla negoziazione di titoli.
Riguardo al contributo reddituale dei titoli azionari, laddove essi esprimano
partecipazioni in altre imprese, attraverso le quali si realizzano strategie di
diversificazione o di integrazione della gestione operativa, potrebbe essere
opportuno non far partecipare i componenti di reddito all’ambito finanziario. Si
potrebbe:
 Classificare i valori reddituali riconducibili alle partecipazioni fra quelli
operativi
 Creare una categoria di valori a sé stante, intitolata alla gestione delle
partecipazioni
Gli oneri finanziari netti sono componenti di reddito che nascono dalla gestione
finanziaria passiva, ossia valori derivanti dalle operazioni di raccolta dei capitali
monetari necessari a soddisfare il fabbisogno finanziario suscitato dalle diverse
operazioni di gestione; sono componenti negativi di reddito rappresentati da
interessi passivi e altri oneri finanziari. Sono “netti” perché espressi al netto di
eventuali correttive.
Gli oneri finanziari vanno espressi al netto anche dei proventi derivanti dalla
gestione della liquidità, configurandosi come il flusso reddituale generato dallo stock
patrimoniale rappresentato dai debiti finanziari a medio-lungo termine e della
posizione finanziaria netta a breve termine.
Talvolta si configura una gestione accessoria: è un complesso di operazioni che, pur
svolte con continuità, non riguardano direttamente il caratteristico e prevalente
oggetto di attività aziendale; è un’area dove si raccolgono i risultati di gestione
aventi una natura complementare o collaterale rispetto alla gestione operativa (ad
esempio gestione di un patrimonio immobiliare, gestione dei cambi).
Anche i componenti di reddito derivanti della gestione delle partecipazioni possono
rientrare nell’area accessoria, a condizione che la partecipazione abbia natura
economica, ossia sia finalizzata a istituire vincoli di correlazione produttiva con altre
imprese o a realizzare politiche di diversificazione.
L’area accessoria è un’area residuale in cui possono confluire, oltre ai proventi e gli
oneri di autonome gestioni accessorie, anche gli eventuali valori di costo e ricavo di
natura sostanzialmente operativa, ma che si ritiene possano in qualche misura
distorcere la corretta determinazione del reddito (ad esempio compensi corrisposti
agli amministratori; capitalizzazioni e ammortamenti relativi alle immobilizzazioni
immateriali).
I FLUSSI REDDITUALI SULLA GESTIONE CORRENTE
L’individuazione delle aree della gestione corrente consente di calcolare alcuni
risultati reddituali intermedi che spiegano il concorso di tali aree alla formazione del
reddito corrente.
Ricavi operativi
(-) costi operativi
= REDDITO OPERATIVO (MON o EBIT)
+ proventi da gestione investimenti finanziari
(-) oneri da gestione investimenti finanziari
= REDDITO ANTE ONERI FINANZIARI (RAOF)
(-) oneri finanziari netti
= REDDITO CORRENTE LORDO
(-) imposte sul reddito corrente
= REDDITO CORRENTE NETTO

Il reddito operativo (MON8 o EBIT9) nasce dalla contrapposizione tra ricavi e costi
operativi. Aggiungendo al risultato operativo i proventi e gli oneri derivanti dalla
gestione degli investimenti finanziari, si ottiene il reddito ante oneri finanziari
(RAOF): esprime il flusso reddituale generato dall’intera massa degli investimenti
aziendali, operativi e finanziari; è un risultato unlevered, che prescinde dagli effetti
reddituali delle scelte di finanziamento. Tali effetti sono contenuti nel valore degli
oneri finanziari netti che, sommati al RAOF, danno il reddito corrente, espresso al
lordo o al netto delle relative imposte.
Il reddito corrente ante gestione finanziaria si ottiene sommando al reddito
operativo il contributo netto della eventuale gestione accessoria.

8
In economia, il margine operativo netto è un indicatore di redditività utilizzato nella riclassificazione del conto
economico a valore aggiunto. Si ottiene come risultato della sottrazione al MOL degli accantonamenti ed
ammortamenti.
9
L'EBIT rappresenta una misura di utile operativo prima degli oneri finanziari e delle imposte. L'EBIT si ottiene
rielaborando le voci di conto economico nel seguente modo: Fatturato - Costo del venduto = Margine Operativo Lordo
- Costi operativi = EBIT (Earnings before interest and taxes)
I COLLEGAMENTI TRA FLUSSI DI REDDITO E STOCK PATRIMONIALI: REDDITO
PRODOTTO E REDDITO DISTRIBUITO
Oneri finanziari e reddito corrente costituiscono elementi reddituali riconducibili ai
capitali raccolti, ossia ai debiti finanziari e al capitale netto: gli oneri finanziari
costituiscono la remunerazione spettante ai debiti finanziari, mentre il reddito
corrente esprime la remunerazione che residua per i conferenti il capitale di rischio.
Il RAOF è, quindi, una cerniera fra le due zone del Conto Economico:
- Zona di produzione del reddito (sopra il RAOF)
- Zona di distribuzione del reddito (sotto il RAOF)
Il reddito è prodotto grazie ai risultati degli investimenti operativi e finanziari, poi è
distribuito ai finanziatori terzi, sotto forma di oneri finanziari e, alla compagine
sociale, sotto forma di redditi netti.
Si possono individuare collegamenti tra Conto Economico e Stato Patrimoniale.
I valori patrimoniali costituiscono le grandezze di fondo (o stock) dalle quali
promanano le grandezze di flusso di natura reddituale. Mettendo, quindi, a
confronto i flussi reddituali di una data area di gestione con gli stock patrimoniali
relativi a tale area, è possibile misurare, da un lato, la redditività degli investimenti,
dall’altro, la remunerazione dei finanziamenti.
In dettaglio, guardando agli investimenti:
 Il reddito operativo (MON o EBIT) trova la sua naturale contropartita nel
margine che misura gli investimenti operativi, ossia nel COIN; tale confronto
segnala la redditività dell’area operativa della gestione
 Il saldo proventi e oneri da gestione investimenti finanziari si pone in diretta
correlazione con la zona degli investimenti finanziari, mettendo in luce la
redditività conseguita dalla gestione finanziaria attiva
 Il reddito ante oneri finanziari, in quanto frutto della complessiva gestione
degli investimenti, si sposa con il totale degli investimenti (CIN)10; dal
confronto si ottiene una misura della redditività di tutti i capitali investiti, al
lordo dei costi relativi alle operazioni di provvista di tali capitali

10
Il capitale investito netto operativo, viene indicato con la sigla CINO o CION o anche CIN. Esso è dato dalla somma
tra capitale circolante commerciale (brevemente CCC) e immobilizzazioni caratteristiche nette. ... Questa grandezza
esprime il capitale investito dall'impresa nella sua attività tipica.
Se vi è una gestione accessoria, il saldo proventi e oneri accessori si correla alla zona
degli investimenti accessori, da cui una misurazione della redditività dell’area
accessoria della gestione. Passando a osservare la sezione dei finanziamenti:
- Gli oneri finanziari netti si collegano ai volumi di indebitamento a interesse
esplicito, ossia ai debiti che li hanno generati, al netto della liquidità. Ne
risulta una misura dell’onerosità dei capitali negoziati a prestito, espressione
del contributo reddituale della gestione finanziaria passiva
- Il rapporto fra reddito corrente e capitale netto misura la remunerazione
offerta al capitale di rischio (lorda o netta)
IL REDDITO OPERATIVO
La riclassificazione dei componenti del reddito operativo assume particolare
significato per quanto riguarda i costi operativi, perché è su di essi che occorre agire
per accrescere e stabilizzare il MON (Reddito operativo), ossia il reddito della
gestione operativa.
I suddetti costi possono essere riclassificati secondo tre logiche:
 Per natura: i costi sono divisi e raggruppati guardando alla natura del fattore
produttivo (costi per il personale, per le materie prime, ecc…)
 Per destinazione: si guarda agli ambiti funzionali ai quali viene destinato il
fattore produttivo (costi di produzione, commerciali, amministrativi, ecc…)
 Per grado di variabilità: si considera il comportamento dei fattori produttivi e
del loro costo al variare del volume di produzione e vendita (costi fissi e
variabili)
Alle tre logiche corrispondono altrettanti schemi di riclassificazione:
 A valore della produzione e valore aggiunto (per natura)
 A costo del venduto (per destinazione)
 A margine di contribuzione (variabilità)
LA RICLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA NATURA DEI COSTI: VALORE DELLA
PRODUZIONE E VALORE AGGIUNTO
Le chiavi di lettura dei costi è quella per natura.
Tre sono i fondamentali fattori impiegati nella produzione:
- Materie prime e servizi
- Lavoro (capitolo umano)
- Impianti e attrezzature (capitale fisico)
Materie prime e servizi sono fattori produttivi esterni; personale e impianti sono
fattori produttivi interni, preesistenti rispetto alla produzione. La suddivisione si
riflette sui valori di costo:
 Costi esterni: costi di materie prime e servizi
 Costi interni: costo del lavoro, ammortamenti, accantonamenti a fondi spese
e rischi

Ricavi delle vendite e delle prestazioni


+ variazione rimanenze prodotti finiti e semilavorati
+ variazione lavori in corso su ordinazione
+ incrementi immobilizzazioni materiali/immateriali per lavori interni
= VALORE DELLA PRODUZIONE
(-) acquisti materie prime e merci
+ variazione rimanenze materie prime e merci
(-) spese per servizi
= VALORE AGGIUNTO
(-) costi del personale
(-) ammortamenti e svalutazioni
(-) accantonamenti per rischi e oneri
= REDDITO OPERATIVO (MON o EBIT)

Adottando una rappresentazione dinamica del ciclo produttivo, i valori di costo e


ricavo consentono di individuare due risultati intermedi, rispetto al margine
operativo netto:
 Valore della produzione
 Valore aggiunto
VALORE DELLA PRODUZIONE
Risultato complessivo dello sforzo produttivo compiuto nel periodo
amministrativo. Tale valore può essere sostanzialmente diverso dal fatturato, il
quale esprime, invece, il valore della sola produzione venduta nell’esercizio. La
differenza tra produzione ottenuta e produzione venduta dipende dal fatto che lo
sforzo produttivo realizzato (e il conseguente consumo di fattori interni ed esterni)
si è indirizzato in parte verso la costituzione di scorte di prodotti finiti e semilavorati
e/o costruzioni in economia, o verso lavori in corso su ordinazione (imprese che
producono su commessa).

Ricavi delle vendite netti


+ variazione delle scorte di prodotti finiti e semilavorati
+ variazioni dei lavori in corso su ordinazione
+ incrementi di immobilizzazione per lavori interni
= VALORE DELLA PRODUZIONE (PRODOTTO DELL’ESERCIZIO)

La variazione delle scorte di materie prime e merci non fa parte del valore della
produzione ottenuta, perché si tratta di fattori produttivi che non hanno subito un
processo di trasformazione; sono risorse, non risultati del processo produttivo.
In assenza di incrementi di immobilizzazioni per lavori interni, il valore della
produzione ottenuta può risultare maggiore o minore di quello della produzione
venduta (i ricavi delle vendite) in ragione della variazione delle scorte di prodotti
finiti e semilavorati e dei lavori in corso su ordinazione. Tale variazione si calcola
come differenza tra il valore assegnato alle scorte o ai lavori in corso su ordinazione
alla fine dell’esercizio e quello all’inizio dell’esercizio. Il segno più attribuito alla
variazione è da intendersi in senso algebrico.
Fatturato e prodotto dell’esercizio sono grandezze ben diverse ai fini delle analisi
sulla gestione: l’esame del fatturato presuppone una valutazione dell’efficacia delle
scelte aziendali nei confronti del mercato, ossia delle capacità dell’impresa di
realizzare e vendere prodotti che soddisfano determinati bisogni; l’attenzione sul
prodotto dell’esercizio richiama invece una valutazione delle condizioni di efficienza
e di produttività della gestione. La misura della produttività presuppone la
costruzione di rapporti del tipo input/output, ossia delle risorse impiegate/risultati
ottenuti, ma misure di questo genere non possono assumere il fatturato come
valore di output.
IL VALORE AGGIUNTO
È determinato dalla differenza tra valore della produzione e costi esterni
Valore della produzione
(-) costi esterni
= VALORE AGGIUNTO

I costi esterni sono tipicamente rappresentati da costi per materie prime,


semilavorati acquistati da terzi, merci, materiale di consumo. I costi delle materie
prime e di fattori produttivi similari devono essere assunti nel calcolo al netto della
variazione del valore assegnato alle rispettive scorte; occorre determinare l’importo
di quelli che comunemente sono definiti i consumi:

Costi di acquisto di materie prime e fattori similari


(-) variazione delle scorte di materie prime e similari
= costo dei consumi di materie prime e fattori similari

La variazione delle scorte si calcola come differenza fra il valore assegnato alle
scorte alla fine dell’esercizio e quella all’inizio dell’esercizio; in questo caso la
variazione positiva (incremento) della rimanenza finale esprime una rettifica di
costo. Per passare dal valore dei consumi a quello dei costi esterni, occorre
aggiungere i costi per servizi, ossia ogni prestazione resa sia da te sia dall’impresa
(servizi legati alla funzione di approvvigionamento, servizi legati alla funzione di
produzione, ecc…)
Il valore aggiunto esprime la capacità dell’impresa di creare grazie ai propri processi
trasformativi basati su una determinata idea imprenditoriale, nuova e maggiore
ricchezza rispetto a quella incorporata nei fattori produttivi acquistati da terzi e
consumati nella produzione; è un’importante misura di prestazione in quanto
rappresenta il punto di incontro tra condizioni di efficienza e livelli di efficacia della
gestione:
 Le condizioni di efficienza sono riconducibili alle modalità di
acquisizione/trasformazione dei fattori esterni, ossia al come produco
 I livelli di efficacia riguardano il cosa produco, ossia le caratteristiche dei
prodotti realizzati e venduti sul mercato e il differenziale di valore, rispetto ai
costi esterni, che il mercato riconosce a tali prodotti
Il valore aggiunto può essere anche visto come una massa di ricchezza lorda con cui
remunerare tutti diversi soggetti che hanno partecipato alla produzione: dipendenti,
strutture tecniche, conferenti capitale di rischio, fisco, conferenti capitale di credito,
l’impresa stessa come entità autonoma.
LA RICLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA DESTINAZIONE DEI COSTI: IL COSTO DEL
VENDUTO
Il conto economico a costo del venduto si basa su una riclassificazione dei costi
operativi per destinazione. Si considera che l’esercizio della gestione operativa
richiede lo svolgimento di una serie di funzioni:
 Produzione
 Ricerca e sviluppo
 Marketing
 Amministrazione
I ricavi sono il risultato dello svolgimento combinato di tutte le diverse funzioni. I
costi, invece, nascono da quante e quali risorse sono impiegate in ogni specifica area
funzionale; ogni funzione, cioè, in relazione alle operazioni che il suo svolgimento
richiede, concorre in misura maggiore o minore a generare i cosi. Per questo le varie
voci di costo corrispondenti alle risorse impiegate sono ripartite fra le diverse aree
funzionali. Adottando una riclassificazione per destinazione non si perde
l’informazione sulla natura dei costi attribuiti a ciascuna funzione.
Il conto economico diventa un valido strumento di analisi delle prestazioni dei vari
centri operativi e di responsabilità dell’azienda, dei quali è possibile valutare il
contributo al processo di generazione del valore aziendale.

Ricavi delle vendite


(-) costo industriale del venduto
= MARGINE INDUSTRIALE LORDO
(-) costi di vendita e distribuzione
= MARGINE COMMERCIALE
(-) spese generali amministrative
(-) altre spese operative
= REDDITO OPERATIVO (MON o EBIT)

Ai ricavi netti sono contrapposti i costi di competenza dell’area produttiva in senso


stretto, ossia l’area ove sono svolte le operazioni di trasformazione dei fattori
produttivi in prodotti finiti. La massa di questi costi esprime il costo industriale del
venduto:
 I costi di materiali e servizi strettamente attinenti al processo trasformativo
 Il personale impiegato in tale processo
 Gli ammortamenti degli impianti e delle attività immateriali dedicati alla
trasformazione
L’insieme di tali costi è espresso al netto della variazione di scorte di materie prime e
di prodotti finiti, oltre che delle eventuali capitalizzazioni per costruzioni interne.
Così determinato, il costo industriale del venduto esprime i costi sostenuti per
realizzare i soli prodotti che sono stati venduti nel periodo.
La differenza tra ricavi netti e costo industriale del venduto individua il margine
industriale lordo, ovvero quanta parte dei ricavi è assorbita dai costi del processo
trasformativo. Esso deriva dal confronto di due grandezze omogenee: il valore della
produzione venduta (ricavi) e il costo della produzione venduta (costo del venduto).
Si possono inoltre distinguere i costi relativi al consumo delle materie prime da
quelli legati alle fasi di lavorazione necessarie per ottenere i prodotti finiti. Si giunge
così a individuare il costo dei prodotti ottenuti separatamente dal costo dei prodotti
venduti laddove:
- Il costo industriale dei prodotti ottenuti esprime il complesso dei costi di
trasformazione sostenuti dall’impresa per produrre tutti i prodotti finiti,
anche quelli non venduti. Tale costo è al netto della variazione del valore delle
rimanenze di semilavorati e di eventuali costruzioni interne
- Il costo industriale dei prodotti venduti si ottiene correggendo il precedente
aggregato con la variazione del valore della giacenza di prodotti finiti
Acquisti di materie prime e similari
(-) variazione delle scorte di materie prime e fattori similari
= CONSUMI DI MATERIE
+ costi del personale impiegato nell’ambito trasformativo
+ ammortamenti di immobilizzazioni tecniche impiegate nella produzione
+ accantonamenti e altri costi della produzione
(-) variazione delle scorte di semilavorati
= COSTO INDUSTRIALE DEI PRODOTTI OTTENUTI
(-) variazione delle scorte di prodotti finiti
(-) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
= COSTO INDUSTRIALE DEI PRODOTTI VENDUTI

A differenza del modello a valore della produzione e valore aggiunto, le


capitalizzazioni per costruzioni interne non sono sommate ai ricavi delle vendite, ma
detratti dal costo industriale dei prodotti ottenuti: infatti, occorre depurare il costo
industriale del venduto di quei costi industriali legati alla produzione di beni non
oggetto di vendita.
Per quanto concerne la variazione delle rimanenze di semilavorati e prodotti finiti,
se nel calcolo del valore della produzione a un incremento del magazzino si
aggiungono i ricavi, essi vanno sottratti ai costi di produzione nel calcolo del costo
del venduto; al contrario, un decremento delle rimanenze di prodotti finiti si somma
ai costi di produzione, ad indicare che il costo dei beni venduti è superiore al costo
dei beni prodotti nel periodo.
Sottraendo dal risultato industriale lordo i costi attribuibili alle operazioni di
marketing, si perviene al margine commerciale. Si identifica, in questo modo, il peso
economico dell’attività commerciale dell’impresa intesa in senso ampio,
comprensiva non solo delle spese di vendita dei prodotti, ma anche di tutti i costi
sostenuti per interpretare le esigenze del mercato, promuovere l’immagine e il
marchio dell’azienda, pubblicizzare prodotti. Dal margine commerciale si giunge al
margine operativo netto sottraendo i restanti aggregati di costi: costi per le attività
di R&S, costi concernenti la complessiva gestione amministrativa dell’impresa.
Il conto economico a costo del venduto rappresenta uno strumento per valutare le
strategie competitive adottate dall’impresa, attraverso l’analisi dei riflessi reddituali
delle attività della catena del valore configurato da tali strategie. Le molteplici
attività della catena possono essere utilmente suddivise dall’analista in attività
primarie, che concorrono alla realizzazione materiale del prodotto e alla sua
vendita, e attività di supporto. Il costo del venduto e i costi di marketing possono
essere considerati come espressione della attività primarie, mentre i restanti costi di
R&S e amministrativi in senso ampio, come conseguenza dell’attività di supporto. Il
margine commerciale diviene così una misura del margine estratto dei ricavi di
vendita attraverso le attività primarie.
LA RICLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA VARIABILITA’ DEI COSTI. IL MARGINE DI
CONTRIBUZIONE
La classificazione dei costi secondo il grado di variabilità distingue i costi tra fissi e
variabili, portando alla determinazione del margine di contribuzione.
I costi variabili sono strettamente correlati ai volumi di attività operativa: essi
variano, secondo un dato rapporto di proporzionalità, alla produzione/vendita. I
costi fissi non risentono, entro i limiti di un normale sfruttamento della capacità
produttiva, della variazione dei volumi di produzione/vendita (ad esempio costi del
personale, costi per locazioni, per pubblicità, ecc…).
Il margine di contribuzione si determina come differenza tra ricavi di vendita e
costi variabili. I metodi per l’individuazione di costi fissi e costi variabili sono
statistici, intuitivi-analitici o logico-deduttivi.
UNA FONDAMENTALE MISURA DEL REDDITO OPERATIVO: L’EBITDA11
Quale che sia la logica di riclassificazione adottata, la misura di reddito operativo alla
quale si perviene è al netto degli ammortamenti. Questi dipendono dalle politiche di
investimento strutturale adottate dalle imprese le quali, a loro volta, sono
influenzate dal settore nel quale questa opera. Gli ammortamenti, inoltre, sono costi
vincolati, che dipendono da decisioni prese in sede di pianificazione strategica,
all’atto dell’investimento. Talvolta, i costi in parola si configurano come veri e propri
costi discrezionali, il cui ammontare dipende da valutazioni della direzione legate
non necessariamente a parametri tecnici. Le richiamate circostanze rendono, quindi,
difficile, comparare i margini di imprese che abbiano seguito diverse politiche di
investimento e di ammortamento. Per assicurare la comparabilità nel tempo e nello
spazio delle misure di reddito operativo, si ricorre, pertanto, al calcolo di un margine

11
Questo indicatore, detto anche EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization, ovvero
"utili prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti"), risulta indicato per comparare i
risultati di diverse aziende che operano in uno stesso settore attraverso i multipli comparati (utili in fase di decisione
del prezzo in un'offerta pubblica iniziale)
denominato EBITDA: si ottiene muovendo dal basso, ossia sommando al reddito
corrente una serie di componenti di reddito; si può ottenere anche sommando a
reddito operativo i costi per ammortamenti e svalutazioni. L’EBITDA è un migliore
indicatore dell’EBIT, perché è un valore più oggettivo, non influenzato da politiche
di bilancio e realizzate attraverso la manovra degli ammortamenti.
L’EBITDA è anche una misura del flusso di cassa della gestione operativa corrente.
Infatti, i costi per ammortamento stanziati a conto economico non si caratterizzano
soltanto per le congetture che stanno alla base della loro determinazione, ma essi
rappresentano anche costi privi di derivazione monetaria. Quindi l’EBITDA, visto
dall’alto, nasce dalla differenza tra i ricavi delle vendite e i costi operativi di materie,
servizi e lavoro. I due componenti di reddito (ricavi e costi) sono valori di derivazione
monetaria: i ricavi delle vendite si configurano come entrate monetarie potenziali,
mentre i costi (opex) rappresentano uscite monetarie potenziali.
È una misura potenziale, in quanto ricavi e costi sono attribuiti al conto economico
secondo competenza economica. Tuttavia, una parte dei ricavi di vendita e dei costi
di materie, servizi e lavoro possono, alla fine dell’esercizio, risultare ancora non
incassati o pagati; allo stesso modo, nel corso dell’esercizio possono essere stati
incassati ricavi e pagati costi attribuiti per competenza a esercizi precedenti.
Ulteriori sfasamenti tra cassa e competenza economica derivano dalle scorte di
magazzino. I costi di materie prime, ad esempio, concorrono a formare il reddito di
esercizio per un valore al netto della variazione delle relative scorte: ai fini della
competenza economica conta il valore dei consumi; ai fini del flusso di cassa, però,
rilevano i pagamenti degli acquisti, quindi, anche i pagamenti delle materie prime
acquistate e non impiegate nella produzione, che formano le scorte e sono sottratte
dal calcolo del reddito.
In riferimento alle dilazioni di pagamento di clienti e fornitori e alle scorte si chiama
in causa il capitale circolante netto commerciale (CCNc12). L’EBITDA deve essere
assunto al netto di tutte quelle valutazioni che incidono sul capitale circolante, in
particolare le svalutazioni per perdite su crediti commerciali, sia stimate, sia
effettive. Queste, infatti, esprimono riduzioni manifeste o potenziali degli incassi
delle vendite. Lo stesso vale per gli accantonamenti a fondi rischi e oneri, perché
anche in questo caso si tratta di costi di derivazione monetaria, ancorché differita
nel tempo e di importo presunto.

12
Il CCNC rappresentato dalle Attività correnti – le Passività correnti, esprime il fabbisogno finanziario netto derivante
dall'attività caratteristica dell'impresa
Sempre nella prospettiva delle relazioni tra EBITDA e flusso di cassa assume rilievo la
richiamata distinzione, tra gli ammortamenti e le svalutazioni, della componente
materiale e immateriale della struttura operativa, con la conseguente evidenza
dell’EBITA. Tale margine, infatti, è espresso al netto degli ammortamenti degli
investimenti strutturali materiali; ammortamenti il cui valore può essere considerato
un’accettabile approssimazione delle spese di rimpiazzo necessarie per mantenere
integra la capacità produttiva fisica dell’impresa. L’EBITA nasce come misura di
redditività operativa non espressamente prevista dai principi contabili, depurata
da quegli elementi che ne inficiano la comparabilità nel tempo e nello spazio.
Risulta che la liquidità dell’impresa e il valore fondamentale di questa dipendono in
buona parte dalla consistenza dell’EBITDA, il quale esprime il flusso di risorse
monetarie che l’impresa è potenzialmente in grado di auto generare attraverso la
gestione operativa corrente.

Capitolo X – La redazione del rendiconto finanziario


LE CONDIZIONI DI LIQUIDITA’ E IL RENDICONTO FINANZIARIO
L’equilibrio finanziario deve essere costantemente verificato, valutando il grado di
solvibilità dell’impresa, ossia la capacità di questa di far fronte agli impegni di
pagamento. La solvibilità ha due livelli:
 Solvibilità nel medio-lungo termine: solidità patrimoniale
 Solvibilità nel breve termine: liquidità
Il concetto di liquidità si ricollega alla capacità dell’impresa di far fronte agli
impegni di pagamento tempo per tempo.
L’ANALISI DELLA LIQUDITA’: DALLE QUANTITA’-LIVELLO AI FLUSSI FINANZIARI
Le condizioni di liquidità di un’impresa sono valutate impiegando margini e indici, i
quali si concentrano su determinate risorse finanziare che l’impresa è chiamata a
governare. Si individuano nello stato patrimoniale le quantità-livello (mere
grandezze fondo che risultano dall’interazione nel tempo di una serie di flussi e
deflussi finanziari, ossia di variazioni aumentative e diminutive conseguenti alle
molteplici operazioni di gestione poste in essere nell’azienda), che però nulla dicono
sulla natura e sulla consistenza dei flussi e deflussi che le hanno originate e
modificate. Da qui la necessità di ricostruire i movimenti che hanno determinato
variazioni delle quantità-livello; si tratta di individuare a causa di tali operazioni di
gestione la consistenza di una determinata massa di risorse finanziarie a
disposizione dell’impresa e variata nel tempo.
Scelta la risorsa finanziaria di riferimento, l’analisi per flussi mostra quali operazioni
di gestione hanno comportato, in un certo intervallo di tempo:
- Riduzioni della risorsa finanziaria (impieghi all’origine dei fabbisogni finanziari)
- Incrementi della risorsa finanziaria (fonti come forme di copertura dei
fabbisogni)
Una volta individuati e quantificati, fonti e impieghi della risorsa finanziaria sono
riepilogati e messi in evidenza mediante la redazione di un rendiconto finanziario.
LA SCELTA DELLA RISORSA FINANZIARIA DI RIFERIMENTO: LA POSIZIONE
FINANZIARIA NETTA A BREVE TERMINE
Riguardo alla scelta della risorsa finanziaria di cui si vogliono individuare le
variazioni, gli aggregati che possono essere sottoposti a questo tipo di indagine
sono:
 Capitale circolante
 Posizione finanziaria netta
 Disponibilità liquide
La posizione finanziaria netta può essere osservata nella configurazioni di posizione
finanziaria netta globale e posizione finanziaria netta a breve termine.
Data una risorsa finanziaria di riferimento, si configurano due ordini di variazioni:
 Endogene, ossia variazioni degli elementi che formano la risorsa finanziaria
 Esogene, ossia variazioni degli elementi che non formano la risorsa finanziaria
di riferimento, ma alle quali corrispondono variazioni della risorsa medesima
Le variazioni endogene sono irrilevanti nella redazione del rendiconto e se
concorrono solamente a modificare la composizione qualitativa della risorsa
finanziaria di riferimento, ma non ne determinano variazioni nell’importo
complessivo.
Restringendo il perimetro della risorsa finanziaria di riferimento aumenta il
contenuto informativo del rendiconto: quanto più ristretta è la composizione della
risorsa finanziaria oggetto di attenzione, tanto più numerose sono le variazioni
individuate come esogene.
Cruciale per la solvibilità nel breve termine è l’analisi dei flussi della posizione
finanziaria netta a breve termine, dati investitori istituzionali, banche d’affari e
analisti finanziari che giudicano le imprese valutando soprattutto la loro capacità di
generare flussi di cassa positivi, in quanto è da questi che dipende il valore
fondamentale.

PFNbt (Posizione Finanziaria Netta a breve termine) =


Cassa e depositi a vista
+ disponibilità liquide equivalenti (investimenti finanziari prontamente monetizzabili)
(-) indebitamento finanziario a breve termine (scoperto di conto corrente bancario e altre
forme tecniche destinate al finanziamento del ciclo operativo aziendale, come le anticipazioni)

IL RENDICONTO DELLA POSIZIONE FINANZIARIA NETTA A BREVE TERMINE E LE


AREE DI GESTIONE
Un rendiconto dei flussi della PFNbt, se ben strutturato, permette di conoscere:
 La natura e la consistenza dei diversi esborsi monetari richiesti dallo
svolgimento della gestione
 Le specifiche fonti attraverso le quali l’impresa si è procurata i mezzi
monetari per far fronte ai fabbisogni finanziari originati da tali esborsi
Esso, quindi, contribuisce a descrivere in senso dinamico l’evoluzione della solvibilità
a breve termine dell’impresa.
La costruzione del rendiconto finanziario mette in evidenza in che misura le diverse
operazioni di gestione hanno prodotto o consumato moneta, cioè in che misura
hanno causato entrate e uscite di moneta dalle quali è derivata una variazione della
risorsa finanziaria di riferimento. Se:
- Entrate > uscite, si formano avanzi di liquidità
- Entrate < uscite, si crea fabbisogno di liquidità
Le causali della dinamica monetaria di impresa vanno ravvisati nella gestione
operativa e nella gestione finanziaria.
I flussi finanziari generati dalle gestione operativa possono essere suddivisi fra:
 Flussi della gestione operativa corrente
 Flussi della gestione operativa strutturale
I flussi finanziari generati dalla gestione finanziaria possono essere distinti in:
 Flussi della gestione finanziaria attiva
 Flussi della gestione finanziaria passiva
Le operazioni svolte nell’ambito di ognuna delle aree individuate determinano
entrate e uscite di moneta. Si giunge a costruire un prospetto di rendiconto
finanziario che mette dettagliatamente in evidenza in che misura le operazioni di
ogni specifico ambito di gestione hanno prodotto avanzi monetari o suscitato
fabbisogni monetari che si sono riflessi sulla PFNbt.

Flusso gestione ciclo operativo


+/- flusso gestione struttura operativa
= FREE CASH FLOW OPERATIVO
+/- flusso gestione investimenti finanziari
= FREE CASH FLOW AL SERVIZIO DEL DEBITO
(-) flusso da servizio del debito
= FREE CASH FLOW AL SERVIZIO DELL’EQUITY
(-) flusso da servizio dell’equity
= FABBISOGNO FINANZIARIO COMPLESSIVO
+ flusso d’accensione debiti a medio-lungo termine
+ flusso da aumenti di capitale sociale
= VARIAZIONE SALDO POSIZIONE FINANZIARIA NETTA A bt

LA GESTIONE OPERATIVA E IL FREE CASH FLOW FROM OPERATIONS


La ricostruzione dei flussi monetari prende le mosse dalla gestione operativa
corrente. Per valutare le condizioni di equilibrio della gestione è indispensabile
misurare il flusso di cassa operativo corrente, ossia comprendere se le attività che
animano il ciclo operativo determinano un avanzo di moneta o un fabbisogno
monetario: è da questo ambito di gestione che devono provenire le disponibilità di
mezzi monetari da impiegare per far fronte ai diversi impegni di pagamento
suscitate dalle altre attività della gestione aziendale.
I movimenti di cassa, tuttavia, non sono riconducibili soltanto all’attività del ciclo
operativo. Occorre, quindi, andare avanti nell’analisi. Le strade possibili sono due:
1- Contrapporre il flusso corrente pagamenti vincolati della gestione. Rientrano
in questa categoria il pagamento di interessi passivi e il rimborso di quote
capitale dei debiti in scadenza, come pure la distribuzione di dividendi su
azioni privilegiate. L’obiettivo è quello di verificare il grado di solvibilità
dell’impresa, ossia la sua capacità di far fronte autonomamente, con le risorse
monetarie autoprodotte, agli impegni di pagamento indifferibili. Si tratta di un
modello di rendiconto adatto a soddisfare le finalità conoscitive di creditori
finanziari (banche e obbligazionisti). Dal confronto fra mezzi autoprodotti
dalla gestione operativa corrente ed esborsi monetari vincolati scaturisce il
flusso di cassa netto disponibile per usi strategici, ossia la massa di moneta
effettivamente e liberamente manovrabile, con un elevato grado di
flessibilità, per modificazioni strutturali delle caratteristiche dell’azienda
2- Mantenere l’attenzione concentrata sulla gestione operativa, considerando i
movimenti di moneta derivanti dalla gestione operativa strutturale
La gestione operativa strutturale è rappresentata dal complesso delle operazioni
attraverso le quali viene predisposto, conservato e sviluppato l’apparato produttivo
dell’impresa. I movimenti di cassa derivanti da tale ambito della gestione sono
riconducibili a:
 Acquisizione di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali causano
uscite di moneta
 Dismissione di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali generano
entrate di moneta
Dalla gestione operativa strutturale può derivare un disavanzo (fabbisogno) o un
avanzo netto di risorse monetarie. L’importo di tale saldo è comunemente indicato
con il termine capex13. Determinato il capex, si è in grado di calcolare il flusso di
cassa complessivo della gestione operativa: si ottiene sommando l’avanzo o il
disavanzo monetario prodotto dalla gestione operativa corrente con il disavanzo o
l’avanzo di cassa derivante dalle gestione operativa strutturale. Il risultato
monetario complessivo della gestione operativa viene comunemente indicato come
free cash flow from operations14. Il segno del free cash flow può essere:
 Positivo: ammontare di mezzi monetari a disposizione dell’impresa per far
fronte agli impegni di pagamento derivanti dalle operazioni di gestione
 Negativo: fabbisogno monetario operativo; ammontare dei mezzi monetari
necessari per realizzare gli investimenti collegati ai piani di consolidamento e

13
In economia aziendale Il Capex (da CAPital EXpenditure, cioè le spese in conto capitale) indica l'ammontare di flusso
di cassa che una società impiega per acquistare, mantenere o implementare le proprie immobilizzazioni operative,
come edifici, terreni, impianti o attrezzature.
14
Il free cash flow rappresenta il flusso di cassa disponibile per l'azienda ed è dato dalla differenza tra il flusso di cassa
dalle attività operative e il flusso di cassa per investimenti in capitale fisso.
sviluppo nelle arene competitive prescelte. Tali mezzi devono essere raccolti
attraverso operazioni riconducibili all’ambito della gestione finanziaria.
Il free cash flow ha rilevanza ai fini del giudizio sulle condizioni di equilibrio della
gestione in una duplice prospettiva:
 Competitiva
 Di solvibilità
In termini competitivi, l’impresa deve essere in grado di soddisfare i fabbisogni
finanziari relativi agli investimenti necessari per consolidare e sviluppare la struttura
con la quale competere nel business di riferimento: un’impresa che non sappia
sostenere adeguatamente lo sviluppo della propria struttura produttiva,
rappresentata dalle immobilizzazioni materiali e immateriali, eroderà la propria
posizione di vantaggio competitivo e inaridirà la propria capacità di auto-generare
risorse monetarie attraverso il ciclo operativo.
Sebbene per lo sviluppo della struttura sia possibile ricorrere all’indebitamento o
alla raccolta di capitale di rischio, queste scelte sono onerose e i tempi del mercato
finanziario (lunghi) non necessariamente coincidono con quelli della competizione
nelle aree di affari (brevi); pertanto, solo disponendo di risorse interne è
effettivamente possibile muoversi con tempestività e senza condizionamenti.
Sul piano della solvibilità, il free cash flow from operations condiziona la capacità di
generare le risorse monetarie necessarie per servire adeguatamente i finanziatori
dell’impresa; anzitutto, il capitale di credito. Dal free cash flow dipende la capacità
dell’impresa di far fronte ai debiti con le proprie risorse interne, dopo aver
soddisfatto le esigenze di investimento operativo. Questa capacità potrebbe essere
misurata anche impiegando il flusso di cassa operativo corrente; tuttavia,
un’impresa è veramente solvibile solo se è in grado di rimborsare i debiti, pagare gli
interessi e corrispondere i dividendi senza sacrificare lo sviluppo degli investimenti,
segnatamente quelli relativi alla struttura operativa. Per questo, il flusso operativo
corrente viene dapprima contrapposto ai fabbisogni monetari legati alla struttura
operativa (capex) e, solo successivamente, ai fabbisogni generati dal servizio dei
debiti.
Il free cash flow from operations individua le risorse a disposizione per
remunerare non solo i debiti finanziari, ma anche il capitale di rischio.
I FLUSSI DI CASSA DELL’ARENA FINANZIARIA DELLA GESTIONE: FLUSSO AL SERVIZIO
DEL DEBITO E FLUSSO AL SERVIZIO DEL CAPITALE DI RISCHIO
La gestione finanziaria attiva può produrre: entrate monetarie e uscite monetarie.
Le entrate sono tipicamente associate a operazioni di incasso di dividendi, cedole e
simili, oltre che di vendita di attività finanziarie. Le uscite sono associate a operazioni
di acquisto di attività finanziarie e di diritto d’opzione, oltre che al pagamento di
ratei, interessi e simili, sempre maturati su investimenti finanziari.
La gestione finanziaria passiva può produrre entrate e uscite di moneta. È utile
limitare inizialmente l’analisi dei movimenti monetari della gestione finanziaria
passiva alle sole operazioni che determinano uscite di moneta. Restano volutamente
escluse le operazioni di raccolta di mezzi finanziari che modificano la struttura
finanziaria, ossia le operazioni di contrazione di nuovi debiti o di aumento del
capitale di rischio. Muovendosi su questa strada, quindi, la gestione finanziaria
passiva determina anzitutto un fabbisogno monetario.
Le uscite tipiche sono rappresentate dal pagamento di interessi passivi e dal
rimborso di quote capitali di prestiti contratti. Ulteriori uscite monetarie si possono
manifestare in corrispondenza di riduzioni di capitale sociale, distribuzioni di utili,
distribuzioni di riserve.
I movimenti monetari dell’area finanziaria attiva e passiva devono essere organizzati
in modo da evidenziare la formazione di particolari saldi monetari. Sommando al
free cash flow from operations i movimenti monetari riconducibili alla gestione
finanziaria attiva è possibile determinare il flusso di cassa al servizio del debito15:
esso esprime la capacità dell’impresa di generare le risorse monetarie necessarie
per servire adeguatamente i prestiti in essere; si vuole mettere in luce il grado di
effettiva solubilità dell’impresa, intesa come capacità di questa di far fronte ai debiti
con le proprie risorse interne, dopo aver soddisfatto le esigenze di investimento
operativo e finanziario.
Si giunge poi a quantificare il flusso di cassa a servizio del capitale del rischio: per
ottenerlo basta sottrarre dal flusso di cassa al servizio del debito l’ammontare delle
uscite dovute al pagamento di interessi passivi e ai rimborsi di quote di capitale di
credito. Il flusso di cassa al servizio dell’equity permette di comprendere:
- In che misura la remunerazione corrisposta ai portatori di capitale di rischio
concorre a determinare il fabbisogno finanziario dell’esercizio
- Se le risorse prodotte internamente consentono di coprire tale fabbisogno,
oppure è necessario fare ricorso a fonti esterne

15
Per “flusso finanziario a servizio del debito” si intende il flusso finanziario per il pagamento degli interessi passivi
nonché della quota capitale dei finanziamenti nel periodo considerato.
IL FABBISOGNO FINANZIARIO COMPLESSIVO E LA SUA COPERTURA
Si passa a misurare la consistenza del saldo monetario della gestione vista nel suo
complesso. Si somma al flusso di cassa al servizio dell’equity l’ammontare delle
uscite dovute alla gestione del patrimonio netto, ossia distribuzioni di utili,
distribuzioni di riserve e riduzioni di capitale sociale. Il flusso di cassa complessivo
può essere:
 Positivo = flusso di cassa disponibile o discrezionale
La formazione di un flusso di cassa disponibile modifica l’ammontare della
PFNbt presente alla fine dell’esercizio precedente a quello di osservazione: se
questa era negativa, l’indebitamento netto si riduce; se era positiva, il saldo si
incrementa.
 Negativo = fabbisogno finanziario complessivo della gestione16
Il fabbisogno può essere coperto:
- Impiegando le disponibilità monetarie esistenti e/o facendo ricorso
all’indebitamento a breve termine
- Ricorrendo a nuove fonti di finanziamento raccolte sul mercato
In quest’ultimo caso, il rendiconto deve mostrare il contributo monetario derivante
dalle operazioni di raccolta di nuove risorse condotte nell’ambito della gestione
finanziaria passiva. Queste operazioni riguardano la contrazione di nuovi prestiti a
medio-lungo termine e gli aumenti del capitale di rischio. Sommando alla
consistenza del fabbisogno monetario complessivo gli afflussi di moneta derivante
dalle operazioni di raccolta, si misura la variazione della PFNbt intervenuta
nell’esercizio.
La sequenza dei margini prospettata consente di ricostruire l’ammontare e la
composizione qualitativa del fabbisogno finanziario, individuando in che misura le
diverse aree di gestione hanno contribuito alla sua formazione.
Questa analisi del fabbisogno finanziario è resa possibile dalla scelta di tenere
separati i flussi monetari derivanti dalla accensione di nuovi debiti e da aumenti del
capitale di rischio: si mette così in evidenza in che misura l’impresa è in grado di
produrre, senza rivolgersi all’esterno, surplus monetari, oppure se sono presenti
fabbisogni finanziari per coprire i quali è indispensabile il ricorso a fonti esterne.

16
Ammontare dei mezzi monetari corrispondente all'importo totale degli investimenti programmati da effettuare in
un definito arco temporale.
I TRE MOMENTI DELLA GESTIONE MONETARIA: PRODUZIONE, ASSORBIMENTO,
RACCOLTA
I tre momenti chiave che scandiscono la gestione monetaria di impresa sono:
 La produzione di risorse monetarie: volume di moneta che l’impresa è in
grado di generare autonomamente e ripetitivamente, grazie ai propri processi
di gestione corrente
 L’assorbimento di risorse monetarie: operazioni che determinano esborsi di
moneta, contribuendo a causare la formazione di fabbisogno finanziario
(investimento, servizio del debito, remunerazione del capitale di rischio)
 La raccolta di risorse monetarie: quando il volume di risorse monetarie
prodotte internamente non è sufficiente a coprire il fabbisogno suscitato dalle
operazioni che generano assorbimento (contrazione nuovi debiti e/o aumenti
di capitale sociale)
Questi tre momenti corrispondono a tre sezioni ideali del rendiconto finanziario:
 La produzione è rappresentata dal flusso di cassa operativo corrente17
 L’assorbimento è descritto dagli investimenti dell’area operativa strutturale
(capex), dagli investimenti finanziari, dal servizio e rimborso dei prestiti e
dalla remunerazione del capitale di rischio; si tratta di un assorbimento netto
in quanto la gestione finanziaria attiva e, talvolta, anche quella operativa
strutturale, possono generare risorse finanziarie invece di assorbirle
 La raccolta è descritta nella parte finale del rendiconto; mette in luce le
politiche finanziarie adottate nel corso del periodo di riferimento
Servizio e raccolta delle fonti di finanziamento possono essere distinte o dar luogo a
una commissione. In quest’ultimo caso, uscite ed entrate relative all’indebitamento
sono accorpate e concorrono insieme a formare il flusso di cassa a servizio
dell’equity.
IL FLUSSO DI CASSA OPERATIVO CORRENTE
IL FLUSSO DI CASSA POTENZIALE E IL FABBISOGNO FINANZIARIO DEL CICLO
OPERATIVO

17
Il flusso di cassa operativo, in inglese Cash Flow From Operations (FCFO) oppure Operating Cash Flow (OCF) o,
ancora, Cash Flow From Operating Activities (CFO), è una misura della liquidità di cassa generata o consumata per
effetto della gestione principale delle attività d'impresa
Il flusso di cassa operativo corrente si ottiene come differenza fra le entrate (ricavi)
e le uscite (costi di materie, servizi e lavoro) derivanti dallo svolgimento del ciclo
operativo.
Due procedimenti di calcolo del flusso monetario corrente:
 Diretto, basato sul confronto tra ricavi e costi operativi di derivazione
monetaria
 Indiretto, ancorato alla misura dell’EBITDA, talvolta espresso sotto forma di
EBIT + ammortamenti
Tuttavia, impiegando solamente valori tratti dal conto economico si ottiene non
tanto un flusso effettivo, quanto un flusso di cassa potenziale, cioè quale sarebbe il
flusso di cassa se tutte le negoziazioni avvenissero in contanti e non ci fossero scorte
di magazzino.
Gli investimenti in crediti e in scorte di magazzino, al netto del finanziamento
indiretto accordato dei fornitori, sono gli elementi che fanno la differenza tra il
flusso di cassa potenziale e il flusso di cassa reale. Questi elementi configurano il
capitale circolante netto commerciale (CCNc).
Un’espansione del CCNc (inteso come fabbisogno finanziario netto generato dallo
svolgimento del processo di acquisto-trasformazione-vendita) assorbe la liquidità
potenzialmente prodotta dall’impresa e, quindi, riduce il flusso di cassa
effettivamente disponibile. Una contrazione del CCNc libera liquidità e, quindi,
aumenta la moneta potenziale generata nell’esercizio dal ciclo produttivo.
Quel che conta, ai fini della determinazione del flusso di cassa, è la variazione del
CCNc. Il CCNc opera, in sostanza, come un filtro tra il flusso di cassa potenziale e
quello reale. Per ottenere il flusso di cassa realmente prodotto dalla gestione
operativa corrente è sufficiente correggere l’EBITDA, espressione del flusso
potenziale, con la variazione intervenuta nella consistenza del CCNc durante
l’esercizio, la quale esprime l’assorbimento o l’ulteriore generazione di liquidità
derivante dallo svolgimento del ciclo operativo.

EBITDA
(-) variazione del CCNc
= FLUSSO DI CASSA OPERATIVO CORRENTE
Se il CCNc aumenta, nel corso dell’esercizio, l’EBITDA viene decurtato di tale
incremento; viceversa se il CCNc diminuisce. La variazione di circolante è data dalla
differenza tra il valore del CCNc alla fine dell’esercizio Tn e quello alla fine
dell’esercizio Tn-1. Anteponendo il segno meno alla variazione di circolante,
otteniamo che: se nell’esercizio il CCNc cresce, la differenza positiva assume segno
meno in quanto espressione di un assorbimento di risorse che deve essere sottratto
dal flusso potenziale; se nell’esercizio il CCNc diminuisce, la differenza negativa
assume segno più in quanto espressione di un rilascio di risorse che deve essere
aggiunto al flusso potenziale.
Il flusso potenzialmente prodotto dalla gestione operativa non perde importanza,
perché esprime la capacità dell’impresa di autoprodurre risorse monetarie, ossia la
misura dell’autofinanziamento operativo.
LA MESSA A PUNTO DEL FLUSSO OPERATIVO CORRENTE
La combinazione “EBITDA-variazione CCNc” aiuta a spiegare gran parte del flusso di
cassa operativo corrente. Se si vuole determinare compiutamente tale flusso, sono
necessarie alcune puntualizzazioni. Occorre considerare:
 Le svalutazioni del capitale circolante
 Le imposte e i debiti tributari
 Il trattamento di fine rapporto e gli accantonamenti a fondi rischi e oneri
LE SVALUTAZIONI DEL CAPITALE CIRCOLANTE
Le svalutazioni non rappresentano costi di derivazione monetaria. Fra le
svalutazioni, però, non devono rientrare quelle relative a elementi ricompresi nelle
poste attive del CCNc, pena distorsioni nei risultati.
La svalutazione dei crediti commerciali operata nell’esercizio, con conseguente
accredito del fondo svalutazione, determina, a parità di tutti gli altri valori, una
riduzione del CCNc, ossia un aumento del flusso di cassa corrente effettivo. Se la
svalutazione iscritta nel conto economico viene conteggiata alla stregua di quelle
relative agli investimenti strutturali, come componente del flusso di cassa
potenziale, si ha una duplicazione di valori che altera il risultato finale.
Nell’utilizzo del metodo indiretto per il calcolo del flusso potenziale, per evitare
distorsioni, non si deve considerare, quindi, nel calcolo dell’autofinanziamento
l’importo della svalutazione crediti, mantenendo invece il CCNc al netto del fondo
svalutazione stesso.
Margine operativo netto
+ ammortamenti
+ svalutazioni (senza svalutazioni crediti)
(-) variazione del CCNc
= FLUSSO DI CASSA OPERATIVO CORRENTE

LE IMPOSTE E I DEBITI TRIBUTARI


Il flusso di cassa operativo corrente può essere calcolato:
 Al lordo delle imposte
 Al netto delle imposte
La determinazione del flusso di cassa al netto delle imposte mette in luce le
disponibilità monetarie prodotte dal ciclo operativo su cui l’impresa può
effettivamente contare per affrontare i fabbisogni finanziari suscitati dalle altre
operazioni di gestione. Indubbiamente, individuare le imposte relative ai soli risultati
del ciclo operativo è assai difficile, ma è plausibile attribuire tutte le imposte rilevate
in bilancio all’ambito corrente della gestione operativa, dato che la maggior parte
del reddito nasce proprio dal ciclo operativo.
Per rappresentare l’effetto delle imposte sui flussi di cassa ci si basa sull’idea di
autofinanziamento, individuato nell’EBITDA (differenza tra ricavi e costi a
manifestazione monetaria). È possibile configurare due misure di
autofinanziamento:

EBITDA
= AUTOFINANZIAMENTO LORDO
(-) imposte dell’esercizio
= AUTOFINANZIAMENTO NETTO

Il valore delle imposte inserito è quello di competenza, comprensivo anche della


fiscalità differita18, rilevato a conto economico; è un valore potenziale, che esprime

18
La fiscalità differita deriva dalla necessità di far gravare sull'esercizio di produzione dei redditi, il carico tributario ad
esso correlato, in termini di imposte dirette, eliminando gli effetti temporanei generati dalla traslazione parziale o
totale nel tempo, del carico tributario gravante sul reddito prodotto
quale sarebbe stato l’importo delle imposte pagate sul reddito dell’esercizio a
prescindere da anticipazioni o posticipazioni di pagamento.
Per passare da una misura di autofinanziamento a una di flusso di cassa occorre
considerare nel calcolo anche i debiti/crediti tributari, la fiscalità differita attiva e
passiva e i fondi per imposte contabilizzati nello stato patrimoniale. Questi valori
sono stati riclassificati come componenti del CCNc: pertanto, sommando
all’autofinanziamento netto la variazione del CCNc, la componente relativa alla
fiscalità contenuta in quest’ultimo trasforma i flussi di cassa potenziali in flussi di
cassa effettivi.
IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO E GLI ACCANTONAMENTI A FONDI RISCHI E
ONERI
Ai fini della determinazione del flusso di cassa effettivo, occorre tener conto che gli
accantonamenti possono non aver dato luogo, nel corso dell’esercizio nel quale
sono operati, a effettivi esborsi monetari; come pure possono esserci stati esborsi,
relativi al fenomeno al quale l’accantonamento si riferisce, anche di importo
superiore all’accantonamento operato nell’esercizio.
Concentrandosi sull’accantonamento per TFR, l’EBITDA è al netto del costo del
lavoro e, quindi, anche di tale accantonamento. Ai fini del calcolo
dell’autofinanziamento, il costo per TFR rilevato nel conto economico è considerato
come se fosse stato pagato. In termini di effettivi flussi di cassa correnti, tuttavia,
tale costo può risultare in parte o del tutto non pagato nell’esercizio, come pure può
accadere che, nell’esercizio, l’impresa abbia corrisposto ai suoi dipendenti una
somma superiore allo stesso accantonamento annuo. Il passaggio
dall’autofinanziamento al flusso di cassa effettivo si ottiene correggendo il primo
con la variazione del debito per TFR rilevato in stato patrimoniale, il quale esprime
l’ammontare cumulato degli accantonamenti operati nel corso dei vari esercizi e non
ancora pagati.
 Se la variazione del debito per TFR è positiva e pari al costo rilevato a conto
economico nell’esercizio, l’accantonamento non è stato pagato e il fondo non
è stato utilizzato; non ci sono stati, quindi, esborsi monetari
 Se la variazione del debito per TFR è positiva, ma inferiore al costo rilevato a
conto economico dell’esercizio, l’accantonamento operato nell’esercizio è
stato in parte pagato, per un importo pari alla differenza fra
l’accantonamento e l’incremento del fondo, con effetti sul flusso di cassa
 Se la variazione del debito per TFR è negativa, l’accantonamento annuo è
stato integralmente pagato e anche il fondo è stato utilizzato per un importo
pari alla sua diminuzione, con effetti sul flusso di cassa
In tutti e tre i casi la semplice aggiunta della variazione del debito per TFR
all’autofinanziamento netto consente di aggiustare il flusso di cassa effettivo. Il
segno anteposto alla variazione del TFR è positivo, trattandosi di una passività:
 In caso di variazione positiva del TFR, ossia incremento del debito,
aggiungendo tale variazione nel calcolo del flusso di cassa si corregge in pari
misura l’importo del costo rilevato a conto economico nell’esercizio e
conteggiato come uscita nell’autofinanziamento lordo
 In caso di variazione negativa, ossia riduzione del debito, tale variazione
partecipa con segno meno al calcolo del flusso di cassa, integrando l’importo
del costo rilevato a conto economico nell’esercizio e conteggiato come uscita
nell’autofinanziamento lordo. Nello specifico, una variazione negativa sta a
significare che è stato pagato non solo tutto il costo di esercizio, ma anche
una parte del debito formatosi negli esercizi precedenti
Stessa logica si applica relativamente ad accantonamenti operativi per rischi e oneri:
ai fini del calcolo del flusso di cassa corrente, la variazione del CCNc deve
comprendere anche quella di tali fondi.
FLUSSI LEVERED E FLUSSI UNLEVERED
Il criterio discounted cash flow, alla base della determinazione del valore
fondamentale dell’impresa, trova due logiche di applicazione: equity side e asset
side.
La determinazione asset side, rivolta a quantificare il valore economico dell’impresa
a prescindere dalla sua struttura finanziaria, dovrebbe impiegare i flussi di cassa
unlevered, ossia non influenzati dalle scelte di finanziamento; il flusso di cassa
utilizzato, infatti, è il free cash flow from operations, che deve comprendere
esclusivamente le entrate e le uscite della gestione operativa, senza considerare i
flussi di cassa della gestione finanziaria. La determinazione equity side, invece,
dovrebbe impiegare flussi di cassa levered, ossia influenzati dalle scelte di
finanziamento; per questo motivo il flusso di cassa utilizzato è il free cash flow to
equity, che include anche i flussi di cassa determinati dalla gestione
dell’indebitamento. Tuttavia, il free cash flow from operations non rappresenta
pienamente un flusso levered, in quanto nel calcolo si sono attribuite tutte le
imposte all’ambito corrente della gestione operativa. Il carico delle imposte rilevato
a conto economico, però, è influenzato dall’effetto di scudo fiscale esercitato dagli
oneri finanziari, che dipendono dall’indebitamento finanziario. Le imposte, dunque,
sono influenzate dalla deducibilità degli interessi passivi e riflettono anche le scelte
di struttura finanziaria. Pertanto, in una prospettiva unlevered, per calcolare
correttamente il flusso di cassa operativo al netto delle imposte, non si devono
sottrarre dall’autofinanziamento operativo le imposte sul reddito quali risultano dal
conto economico riclassificato; occorre anche aggiungere i risparmi d’imposta
dovuti alla deducibilità degli interessi passivi. In sostanza, l’autofinanziamento netto
deve essere al netto delle imposte quali essere sarebbero senza lo scudo fiscale19
esercitato dalla deducibilità degli oneri finanziari.

EBITDA
= AUTOFINANZIAMENTO LORDO
(-) imposte dell’esercizio
(-) risparmi di imposta da oneri finanziari
= AUTOFINANZIAMENTO NETTO
(-) Variazione del CCNc
= FLUSSO OPERATIVO CORRENTE UNLEVERED

METODO DIRETTO O METODO INDIRETTO?


La determinazione del flusso di cassa operativo corrente può essere condotta
adottando due metodi:
- Metodo diretto o dall’alto
- Metodo indiretto o dal basso
Il metodo diretto contrappone ricavi e costi generati dal ciclo operativo,
debitamente corretti. Le correzioni riguardano:
 I ricavi delle vendite, rettificati in relazione alla variazione intervenuta fra
l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare dei crediti verso clienti
 I costi operativi di derivazione monetaria, rettificati in relazione alla variazione
intervenuta, fra l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare dei debiti verso
fornitori, delle scorte di magazzino, del debito verso dipendenti per TFR e dei

19
Definizione: Lo scudo fiscale è un tipo specifico di regolarizzazione di alcuni illeciti, che riguarda l'ambito tributario e
fiscale ed ha effetti anche in ambito penale.
fondi rischi e oneri. Ammortamenti e svalutazioni (a esclusione di quelle dei
crediti commerciali e altre attività del capitale circolante) sono scartati.
Il metodo indiretto prevede che al MON vengano sommati i valori di ammortamenti
e svalutazioni (a esclusione di quelle dei crediti commerciali e altre attività del
capitale circolante). Il valore così ottenuto, corrispondente all’EBITDA, è corretto con
la variazione intervenuta, fra l’inizio e la fine dell’esercizio, nell’ammontare del
CCNc.
IL FLUSSO DI CASSA DELLA GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI
Misurata la produzione di moneta derivante dal ciclo operativo, la redazione del
rendiconto può seguire due strade:
 Contrapporre il flusso corrente ai pagamenti vincolati della gestione per
ottenere il flusso di cassa netto disponibile per usi strategici
 Continuare il percorso di analisi dei flussi di cassa per aree di gestione,
passando alla gestione operativa strutturale e determinando il free cash flow
from operations
IL FLUSSO DELLA GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI OPERATIVI STRUTTURALI
La gestione operativa strutturale è rappresentata dal complesso delle operazioni
attraverso le quali si predispone, conserva e sviluppa l’apparato produttivo
dell’impresa. Si tratta, dunque, di operazioni di acquisto e dismissione di fabbricati,
impianti, macchinari, ma anche brevetti, know how, ecc. I movimenti monetari
derivanti da tale ambito della gestione sono riconducibili a:
 Acquisizione di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali causano
uscite di moneta
 Dismissione di immobilizzazioni materiali e immateriali, le quali generano
entrate di moneta
La rappresentazione separata dei flussi in entrata e in uscita dovuti alla gestione
degli investimenti operativi strutturali è coerente con quanto richiesto dai principi
contabili internazionali. Lavorando su dati di un bilancio redatto secondo le norme
del Codice civile, invece, in mancanza di informazioni specifiche che consentono di
distinguere le acquisizioni dalle dismissioni, il rendiconto indicherà una variazione
netta: un disavanzo, o più raramente un avanzo netto di risorse finanziarie.
L’importo di tale saldo viene comunemente definito capex.
Determinato il capex, si è in grado di calcolare il flusso di cassa complessivo della
gestione operativa o free cash flow from operations, ossia:
Flusso di cassa operativo corrente + capex = Free cash flow from operations

La determinazione del capex prende le mosse dal calcolo della variazione del valore
delle immobilizzazioni operative nette, materiali e immateriali, rilevato nello stato
patrimoniale riclassificato di due esercizi successivi:
Capex = variazione immobilizzazioni nette

Regola generale:
 Incrementi dei conti accesi alle immobilizzazioni operative suggeriscono
acquisizioni nette di cespiti; devono essere accompagnati dal segno meno,
perché rappresentano uscite nette
 Decrementi dei conti accesi alle immobilizzazioni operative segnalano
dismissione di cespiti; devono essere accompagnati dal segno +, in quanto
corrispondono a entrate nette
Nel calcolo del free cash flow, il segno meno anteposto alla variazione delle
immobilizzazioni nette (capex) assicura un risultato coerente ai fini del calcolo del
flusso di cassa. Infatti, se le immobilizzazioni sono aumentate nel corso
dell’esercizio, l’indicazione è quella di acquisti netti che determinano uscite e il
segno meno anteposto alla variazione rende negativo il segno di questa; se, invece,
le immobilizzazioni sono diminuite nel corso dell’esercizio, l’indicazione è quella di
dismissioni nette che determinano entrate e il segno meno anteposto alla variazione
rende positivo il segno di questa.
La variazione ottenuta è grezza, poiché possono essersi verificate variazioni nella
consistenza del valore contabile delle immobilizzazioni dovute a operazioni che non
producono movimenti monetari e che, dunque, devono essere escluse dal calcolo
del capex. La variazione grezza deve essere opportunamente rettificata. Il segno
della rettifica deve tener conto del segno attribuito alla variazione grezza che
intende correggere:
 Per aumenti fittizi delle uscite (variazione grezza con segno meno) o riduzioni
fittizie delle entrate (variazione grezza con segno più), rettificata di segno
positivo
 Per aumenti fittizi delle entrate (variazione grezza con segno più) e riduzioni
fittizie delle uscite (variazione grezza con segno meno), rettifica di segno
negativo
 Per operazioni che determinano effetti monetari che non sono
completamente espressi dalla variazione grezza delle immobilizzazioni, il
segno della rettifica sarà positivo, se l’effetto dell’operazione è entrata
monetaria, negativo se l’effetto è un’uscita di moneta o una minore entrata
Le principali rettifiche da operare riguardano:
1) Le quote di ammortamento stanziate nell’esercizio: esse riducono il valore
delle immobilizzazioni alla fine dell’esercizio, senza produrre effetti monetari.
Per misurare correttamente il flusso monetario, l’importo della variazione
grezza deve essere rettificato di un importo pari alla quota di ammortamento
iscritta nel conto economico
2) Le eventuali svalutazioni per perdite durevoli di valore: determinano
variazioni del saldo netto delle immobilizzazioni senza che a ciò si
accompagnino movimenti monetari
3) Le rivalutazioni operate nell’esercizio: riguardo agli effetti delle rivalutazioni
economiche e monetarie, gli incrementi di immobilizzazioni riconducibili ad
esse devono essere eliminati dal calcolo del flusso di cassa operativo
strutturale, aggiungendo il valore della rivalutazione alla variazione grezza; le
rivalutazioni, infatti, determinano aumenti fittizi delle uscite (variazione
grezza con segno meno) o riduzioni fittizie delle entrate (variazione grezza con
segno più)
4) I conferimenti di immobilizzazioni operative avvenute nell’esercizio a fronte di
aumento del capitale sociale: incrementi di immobilizzazioni tecniche20 legati
ad apporti dei soci non corrispondono ad alcun esborso di moneta; occorre
correggere la variazione grezza delle immobilizzazioni aggiungendovi il valore
degli apporti di immobilizzazioni effettuati dai soci
5) Le plusvalenze e le minusvalenze realizzate in seguito alla dismissione di
immobilizzazioni operative: rendono necessarie integrazioni della variazione
del valore delle immobilizzazioni, perché il prezzo di vendita delle
immobilizzazioni non necessariamente corrisponde al loro valore contabile. Il
segno della rettifica sarà positivo se l’effetto dell’operazione è un’entrata
monetaria, negativo se l’effetto è un’uscita monetaria. Con riferimento alle
alienazioni di cespiti, le plusvalenze devono essere aggiunte all’importo del
decremento delle immobilizzazioni, mentre le minusvalenze vanno sottratte
6) Le operazioni di leasing finanziario: al momento in cui sono realizzate non
hanno impatto monetario; gli esborsi si avranno successivamente
20
Le immobilizzazioni tecniche sono formate da tutti i beni materiali che sono impiegati durevolmente nella gestione
caratteristica dell'azienda, cioè quei beni impiegati nell'attività tecnico produttiva, distributiva e amministrativa (come
fabbricati, immobili, impianti, macchinari ecc..).
all’acquisizione, con il pagamento dei canoni (non-cash transaction). Ai fini del
calcolo del capex, nell’esercizio nel quale l’operazione è stata realizzata,
occorre apportare una rettifica alla variazione grezza. La rettifica deve
riguardare solo i valori relativi a operazioni compiute nell’anno. Dal momento
che la rilevazione del valore del bene acquisito in leasing determina una
variazione netta negativa, la rettifica dovrà avere segno più. Negli esercizi
successivi al primo, non è necessario apportare correzioni perché il valore
delle immobilizzazioni si ridurrà, anno per anno, in base alle quote di
ammortamento; la rettifica relativa a queste ultime annullerà ogni effetto
monetario.
Variazione grezza
(-) variazione immobilizzazioni nette
RETTIFICHE CONTABILI:
(-) ammortamenti e svalutazioni dell’esercizio
+/- plusvalenze/minusvalenze da realizzo
+ acquisizioni in leasing (se patrimonializzate)
+ rivalutazioni
+ conferimenti/apporti di immobilizzazioni

Altre rettifiche:
 Eventuali variazioni dei debiti verso i fornitori degli impianti: l’incremento dei
debiti verso fornitori di impianti segnala che l’investimento effettuato
nell’esercizio non è stato pagato, in tutto o in parte; per calcolare
correttamente il flusso di cassa, alla variazione delle immobilizzazioni occorre
aggiungere (segno +) la variazione dei debiti verso fornitori di impianti.
Laddove al momento della riclassificazione il valore dei fornitori sia stato
sottratto a quello delle immobilizzazioni, così come prevede la logica di
riclassificazione funzionale, la rettifica in parola non è necessaria. Il valore
delle immobilizzazioni è infatti già decurtato della parte del costo non ancora
pagato
 Considerazioni analoghe, con segno opposto, valgono per eventuali crediti
che l’impresa avanza nei confronti dei clienti che abbiano acquisito le
immobilizzazioni dismesse
 Gli incrementi di immobilizzazioni dovuti alla capitalizzazione di costi per
costruzioni interne sono uscite sostenute per assicurare all’impresa una
particolare dotazione di fattori strutturali: invece di spendere moneta per
comprare un impianto disponibile sul mercato, l’impresa spende moneta per
acquistare i materiali, i servizi e il lavoro grazie ai quali realizzare al suo
interno quell’impianto. Che si compri l’impianto o si comprano i materiali di
cui l’impianto è fatto, sotto il profilo monetario non cambia nulla. Ai fini del
calcolo del capex, le capitalizzazioni di costo per costruzioni interne di
immobilizzazioni devono essere opportunamente recuperate per determinare
gli esborsi monetari legati alla gestione operativa strutturale. Nessuna
rettifica, invece, deve essere apportata all’importo dell’autofinanziamento
lordo misurato dall’EBITDA che, pur in presenza di costi capitalizzati per
costruzioni interne di immobilizzazioni, esprime correttamente il flusso di
cassa potenziale della gestione operativa corrente
IL FLUSSO DELLA GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI FINANZIARI
La gestione finanziaria attiva può produrre:
 Entrate monetarie per
- Incasso di dividendi, cedole, interessi attivi e simili
- Vendita di attività finanziarie
 Uscite monetarie per:
- Acquisto diritti di opzione, pagamento interessi e simili
- Acquisto di attività finanziarie
In mancanza di informazioni specifiche consentono di distinguere le voci di entrata
da quelle di uscita, il rendiconto indicherà una variazione netta, la quale esprimerà:
un fabbisogno dovuto alle operazioni di investimento finanziario, in caso di flusso
negativo; un avanzo netto di risorse finanziarie, che si aggiunge a quello
auspicabilmente prodotto dalla gestione operativa, in caso di flusso positivo.

Variazione attività finanziarie = attività finanziarie Tn – attività finanziarie Tn-1

Regola generale:
 Incrementi dei conti accesi alle attività finanziarie esprimono uscite nette;
devono essere accompagnati dal segno meno
 Decrementi dei conti accesi alle attività finanziarie indicano entrate nette;
devono essere accompagnati dal segno più
Il punto di partenza dei calcoli è la differenza intervenuta nell’ammontare delle
attività finanziarie nel corso dell’esercizio. Ma si tratta di una variazione grezza,
perché possono essersi verificate variazioni nella consistenza del valore contabile
delle attività finanziarie dovute a operazioni che non producono movimenti
monetari.
La variazione grezza deve essere rettificata. Le principali rettifiche riguardano:
 Svalutazioni per perdite durevoli di valore: l’importo va sottratto a quello
della variazione grezza
 Perdite su crediti finanziari: l’importo va sottratto a quello della variazione
grezza; la rilevazione della perdita genera una riduzione del valore delle
attività finanziarie al quale si associa il segno più di un’entrata
 Debiti per versamenti relativi a partecipazioni detenute: nel caso di debiti
verso le società partecipate corrispondenti a versamenti ancora da effettuare,
l’incremento di questi debiti indica che una parte del valore delle
partecipazioni è stato sottoscritto, ma non versato; viceversa, nel caso di
riduzione di tali debiti. La variazione grezza deve essere corretta con il valore
del debito che si è formato, al quale si attribuisce segno più, in quanto
l’incremento delle partecipazioni incide sui flussi monetari come una, ossia
con segno meno
 Rivalutazioni operate nell’esercizio
 Conferimenti di attività finanziarie avvenuti nell’esercizio a fronte di
operazioni di aumento del capitale sociale
 Utili e perdite su cambi in relazione ad attività finanziarie nominate in valuta
estera: gli utili devono essere sottratti alla variazione grezza, le perdite
devono essere sommate
 Plusvalenze e minusvalenze realizzate in seguito alla vendita di attività
finanziarie
FLUSSO DI CASSA DELLA GESTIONE DEI FINANZIAMENTI
Ricostruiti i flussi di cassa derivanti dalla gestione degli investimenti, l’attenzione si
concentra sulla gestione dei finanziamenti, ossia sulla gestione finanziaria passiva
intesa in senso ampio.
Variazione grezza
(-) variazione investimenti finanziari
RETTIFICHE CONTABILI
(-) svalutazioni dell’esercizio
+/- plusvalenze/minusvalenze da realizzo
+ utili/perdite su cambi
+ rivalutazioni
+ conferimenti/apporti di attività finanziarie
FLUSSI DELLA GESTIONE CORRENTE DEGLI INVESTIMENTI FINANZIARI
+ interessi attivi e altri proventi finanziari netti

IL FLUSSO DELLA GESTIONE DEI DEBITI FINANZIARI


La gestione dei debiti finanziari si articola in due momenti distinti: la raccolta e il
servizio del capitale di credito. Il primo momento determina entrate monetarie, il
secondo uscite. La gestione del debito genera in bilancio due effetti:
 Un effetto patrimoniale, evidenziato dalla variazione dell’indebitamento
finanziario rilevato nello stato patrimoniale
 Un effetto reddituale che emerge in conto economico con la presenza di
oneri finanziari e altri costi legati ai rapporti con i terzi finanziatori
La gestione del debito riguarda la variazione dei debiti esclusi dalla risorsa finanziaria
di riferimento (PFNbt); quindi, debiti a medio e lungo termine. In mancanza di
informazioni di dettaglio, non è possibile distinguere i flussi del servizio del debito da
quelli della raccolta di nuovi finanziamenti. Il flusso netto dell’indebitamento
finanziario si ottiene come differenza fra la consistenza del valore contabile dei
debiti finanziari rappresentati nello stato patrimoniale di due esercizi successivi:

Variazione debiti finanziari = debiti finanziari Tn – Debiti finanziari Tn-1

Una variazione positiva segnala accensioni nette di nuovi debiti; una differenza
negativa rimborsi netti.
Riguardo al segno da attribuire alle variazioni:
 Gli incrementi di indebitamento devono essere accompagnati dal segno +,
poiché corrispondono a entrate nette
 I decrementi, dal segno meno, in quanto rappresentano uscite nette
La variazione è però grezza perché nell’esercizio possono essersi verificate variazioni
nella consistenza del valore contabile dei debiti finanziari dovute a operazioni che
non producono movimenti monetari. La variazione grezza deve essere rettificata per
giungere a una misura corretta del flusso netto dell’indebitamento finanziario.
Le rettifiche riguardano:
 Obbligazioni convertibili in azioni e remissione di debiti finanziari verso soci:
non determinano movimenti finanziari, ma comportano la trasformazione
contabile di una posta di debito in una posta di capitale netto. Ai fini del
calcolo del flusso di cassa, alla variazione dei debiti finanziari occorre
sommare l’importo dei debiti per i quali è stata esercitata l’opzione di
conversione in azioni
 Debiti finanziari acquisiti a seguito di conferimenti dei soci: il conferimento di
un complesso produttivo determina incrementi sia nelle attività, che nelle
passività, con l’accollo dei debiti finanziari presenti nel complesso produttivo
conferito. Tuttavia, sul piano monetario, non si registra alcun movimento di
moneta: le nuove immobilizzazioni non sono state pagate e non si registrano
incassi monetari derivanti dalla accensione di nuovi debiti. Quindi, il valore dei
debiti finanziari acquisiti a seguito di conferimenti di complessi produttivi
deve essere sottratto alla variazione grezza dell’indebitamento finanziario
 Utili e perdite su cambi derivanti da operazioni di finanziamento in valuta: si
deve rettificare la variazione grezza per determinare l’importo effettivo
dell’entrata o dell’uscita monetaria
 Operazioni di leasing finanziario: dal momento che la rilevazione del valore
del debito verso la società di leasing determina una variazione grezza netta
positiva (più risorse finanziarie) fittizia, la rettifica deve avere segno meno ed
essere pari al valore del debito al momento del suo insorgere. Il valore della
rettifica permette di misurare gli esborsi per i canoni realmente sostenuti e
che hanno determinato una riduzione dell’importo originario del debito.
La variazione delle consistenze patrimoniali delle passività finanziarie, anche se
debitamente rettificate, non esaurisce l’ammontare dei flussi monetari derivanti
dalla gestione dell’indebitamento. Accanto alle variazioni patrimoniali, bisogna tener
conto degli effetti monetari derivanti dai valori reddituali contenuti nel conto
economico. Si tratta di valori relativi a oneri finanziari ed altri costi derivanti dai
rapporti con i terzi finanziatori. I valori reddituali richiamati devono essere assunti al
netto dei proventi generati dalle disponibilità liquide.

Variazione grezza
+ variazione debiti finanziari a m-l termine
RETTIFICHE CONTABILI
+ conversione debiti in equity
+/- utili/perdite sui cambi
(-) debiti per operazioni di leasing (se patrimonializzati)
(-) debiti derivanti da conferimenti
FLUSSI DELLA GESTIONE CORRENTE DELLE PASSIVITA’ FINANZIARIE
(-) interessi passivi e altri oneri finanziari netti

FLUSSO DELLA GESTIONE DEL CAPITALE DI RISCHIO


Le entrate sono riconducibili a:
 Aumenti di capitale sociale
 Versamento di contributi in conto capitale operati dai soci
Le uscite possono derivare da:
 Distribuzioni di utili
 Distribuzioni di riserve
 Riduzioni di capitale sociale
È opportuno tenere distinti i flussi monetari in uscita, relativi al servizio del capitale
di rischio, dai flussi monetari in entrata, derivanti dalla raccolta di nuove risorse dai
soci. L’esame del prospetto dei movimenti del patrimonio netto consente
solitamente di evidenziare separatamente i flussi in entrata da quelli in uscita. In
mancanza di tale informazione, il flusso della gestione del capitale netto può essere
rappresentato complessivamente, individuando un flusso finanziario netto
dell’equity21. Il flusso netto del capitale di rischio si ottiene come differenza fra la
consistenza del valore di capitale netto espresso nello stato patrimoniale in due
esercizi successivi.

21
Equity è un termine inglese che indica il capitale netto, cioè il valore al quale sarebbe rimborsata ciascuna azione se
l'impresa venisse chiusa e le attività vendute.
Variazione capitale netto = capitale netto Tn – capitale netto Tn-1

Una variazione positiva segnala aumenti netti di capitale di rischio; una variazione
negativa, riduzioni nette:
 Gli aumenti di equity devono essere accompagnati dal segno +, poiché
corrispondono a entrate nette
 Le diminuzioni, dal segno meno, in quanto rappresentano uscite nette
La variazione determinata è grezza perché possono essersi verificate variazioni nella
consistenza del valore contabile del capitale netto dovute a operazioni che non
producono movimenti monetari. La variazione grezza deve essere rettificata per
giungere a una misura corretta del flusso netto dell’equity. Le rettifiche riguardano:
 Il risultato netto dell’esercizio: l’utile o la perdita comporta una variazione del
capitale netto, ma tale variazione non ha rilievo monetario perché non
corrisponde ad apporti di denaro provenienti dai soci. La variazione grezza
deve essere ridotta di un ammontare pari all’utile netto dell’esercizio e
incrementata di un importo pari alla perdita netta dell’esercizio
 I conferimenti dei soci: considerando un aumento di capitale sociale realizzato
attraverso l’apporto di attività diverse dalla moneta, l’operazione causa un
incremento del netto senza che sul piano monetario si registra alcun
movimento di moneta. Il valore netto dei conferimenti deve essere sottratto
dalla variazione grezza registrata nell’equity
 Le rivalutazioni: devono essere operate costituendo un’apposita riserva nel
patrimonio netto. Ma è una mera variazione contabile che si traduce in un
aumento del patrimonio netto senza che vi sia stato alcun movimento di
moneta. L’incremento registrato nelle riserve di rivalutazione va sottratto alla
variazione grezza dell’equity
 Le conversioni dei debiti in equity: il capitale netto aumenta senza che a ciò
corrispondano entrate monetarie. Ma è un mero effetto contabile, per cui
l’importo del debito convertito deve essere sottratto dalla variazione grezza di
equity
I crediti verso soci per versamenti ancora dovuti: per determinare l’effettivo
afflusso di moneta originato dall’aumento di capitale sociale, si deve sottrarre
dalla variazione del capitale netto la variazione intervenuta nei crediti verso soci.
Se i crediti sono aumentati, in quella misura l’eventuale incremento di capitale
sociale non si è tradotto in afflusso di moneta; viceversa, se i crediti sono
diminuiti.
variazione grezza
+ variazione capitale netto
RETTIFICHE CONTABILI
+/- perdita/utile di esercizio
(-) rivalutazioni
(-) conversione debito in equity
(-) conferimenti non monetari
RETTIFICHE FINANZIARIE
(-) variazione crediti verso soci per versamenti ancora dovuti

I COMPONENTI ANOMALI NON ALTRIMENTI COLLOCABILI ED I FLUSSI DERIVANTI


DA TRASFERIMENTI DI RAMI D’AZIENDA
Molti componenti anomali aventi contenuto monetario sono recuperati nel calcolo
della variazione della PFNbt, impiegandoli come valori di rettifica delle variazioni
grezze degli investimenti o delle fonti di finanziamento. Talvolta, però, si possono
presentare alcuni valori anomali con un evidente contenuto monetario che hanno
una natura residuale, nel senso che non sono stati attribuiti alle due fondamentali
aree di gestione in sede di rettifica delle variazioni grezze. In alcune circostanze è
possibile individuare l’area di gestione di pertinenza operativa o finanziaria dei
componenti anomali. In altri casi, la natura del componente anomalo residuo
impedisce una corretta attribuzione a una delle aree di gestione individuate.
Coerentemente con il perimetro assegnato ai componenti anomali, anche i flussi di
cassa derivanti dalle operazioni discontinue possono essere evidenziati
separatamente nel rendiconto finanziario. Possono essere collocati:
 Dopo la determinazione dei flussi di cassa della gestione finanziaria attiva
 Prima del saldo finale, isolando completamente gli effetti prodotti sui flussi di
cassa eventi e fenomeni non ripetibili
Capitolo XI – La crescita aziendale
L’intensità dei processi di crescita in atto condiziona le variabili reddituali,
patrimoniali e finanziarie e, dunque, incide sulle condizioni di redditività e
solvibilità. In sostanza, incide sul valore fondamentale dell’impresa.

Capitolo XII – La redditività operativa


LA REDDITIVITA’ OPERATIVI E I FLUSSI DI CASSA
Il reddito operativo costituisce la principale determinante del valore
fondamentale dell’impresa. Nel lungo termine, infatti, reddito operativo e free
cash flow from operations tendono a coincidere. Tale prospettiva presuppone
una condizione di Steady state della gestione, per cui è plausibile ipotizzare che:
 Il capitale circolante si stabilizzi, così che l’effetto delle sue variazioni sui flussi
di cassa sia nullo
 I nuovi investimenti siano di mantenimento e di ammontare pari agli
ammortamenti stanziati
Il sottosistema di indicatori dedicato all’analisi della redditività operativa si propone
di valutare:
 La capacità dell’impresa di generare reddito operativo attraverso gli
investimenti e in relazione ai processi di crescita in atto
 I fattori dai quali questa capacità dipende
 Le condizioni della gestione che influenzano i livelli di rischio operativo e il
relativo costo del capitale
IL TASSO DI RENDIMENTO DEGLI INVESTIMENTI OPERATIVI
L’indagine sulla redditività della gestione operativa parte dal rendimento del
capitale investito in tale gestione:
ROI = MON (o EBIT) / COIN (Capitale Operativo Investito Netto)

Il rapporto tra reddito operativo e capitale operativo investito netto esprime, in


termini percentuali, il rendimento di ogni euro investito nella gestione operativa,
sia nella componente strutturale che in quella corrente.
La misura del ROI22 risente del processo di ammortamento: esso causa ogni anno
una riduzione delle immobilizzazioni tecniche che formano il denominatore;
ipotizzando che il margine operativo netto si mantenga costante si assisterebbe a
una crescita del ROI, dovuta a circostanze meramente contabili e non reali. Per
avviare si calcola un tasso lordo di redditività:

EBITDA/(COIN + fondi ammortamento)

Poiché lo stock di capitale varia nel corso dell’esercizio, un corretto calcolo di


questo e del precedente indicatore suggerisce di impiegare al denominatore non

22
Il return on investment (o ROI, tradotto come indice di redditività del capitale investito o ritorno sugli investimenti)
è un indice di bilancio che indica la redditività e l'efficienza economica della gestione caratteristica a prescindere dalle
fonti utilizzate: esprime, cioè, quanto rende il capitale investito in quell'azienda
il valore del COIN di fine esercizio, bensì un valore medio (semisomma fra il
valore di inizio e di fine esercizio) (ROACE23).
I TERMINI DI CONFRONTO PER LA VALUTAZIONE DEI TASSI DI RENDIMENTO
DEGLI INVESTIMENTI OPERATIVI
In generale, il giudizio è migliore quanto più alto è il tasso di rendimento degli
investimenti operativi, perché maggiore è la capacità potenziale dell’impresa di
generare flussi di cassa operativi.
Il giudizio è, inoltre, corroborato dal confronto con il tasso di rendimento medio
del settore in cui l’impresa opera: pertanto, l’andamento nel corso del tempo del
ROI dell’impresa viene confrontato con quello del settore di riferimento.
L’interpretazione dei livelli di rendimento degli investimenti operativi deve
prendere in considerazione anche il costo medio dei capitali raccolti (WACC24):
infatti, il ROI operativo misura quanto hanno fruttato quei capitali, una volta
impiegati nella gestione operativa. Solo quando ROI operativo > WACC
(rendimento dei capitali superiore alla loro remunerazione media attesa), le
scelte di gestione generano un extra-profitto che accresce il valore fondamentale
del capitale investito e determina un incremento del valore economico del
capitale degli azionisti. Il confronto tra ROI operativo e WACC è alla base delle
economic value added (EVA), un metodo di misurazione della capacità
dell’impresa di accrescere il proprio valore fondamentale:

(ROI operativo – WACC) x COIN

RENDIMENTO DEGLI INVESTIMENTI OPERATIVI, TASSI DI CRESCITA E FREE CASH


FLOW

Leva di cassa: FCF (Free Cash Flow) = MON – variaz. COIN

La relazione chiarisce i rapporti tra redditività e crescita aziendale ai fini della


generazione del valore fondamentale. La crescita della dimensione operativa
dell’impresa, espressa dagli aumenti dei ricavi di vendita, influenza i flussi di

23
ROACE (Return on Average Capital Employed) è un indice di redditività utilizzata dalle imprese per valutare i ritorni
sul capitale impiegato. ... Il ROACE guarda alla capacità dell'impresa di produrre utili indipendentemente dalla sua
struttura finanziaria.
24
Il WACC è il costo medio ponderato delle risorse attraverso le quali l'azienda si finanzia, ossia la media ponderata
dei “costi” del capitale di rischio e del capitale di debito, tenuto conto di operazioni come ad es. immissioni o aumenti
di capitale sociale, debiti bancari, obbligazioni, finanziamento soci ecc
autofinanziamento espressi dal MON (Margine Operativo Netto) e si accompagna
alla variazione del Capitale Investito Operativo Netto(COIN), ossia alla variazione
del circolante commerciale degli investimenti strutturali, in quanto:

Variaz. COIN = variaz. CCNc + variaz. investimenti strutturali netti

Entrambi i valori di investimento sono strettamente legati ai processi di crescita


dell’impresa, espressi dai livelli di fatturato: il CCNc, secondo la nota relazione
CCNc/ricavi; gli investimenti strutturali netti, in quanto espressione della
capacità produttiva dell’impresa.
La relazione fra redditività e processi di investimento aiuta a valutare gli effetti
sul futuro andamento del free cash flow delle scelte strategiche aziendali,
perché le scelte strategiche si riflettono sui tassi di crescita e sulla redditività
degli investimenti.
LE DETERMINANTI DEL ROI E IL MODELLO DI ANALISI DU PONT: PRODUTTIVITA’
DEL CAPITALE INVESTITO E REDDIVITA’ DELLE VENDITE
La redditività degli investimenti dipende dal combinarsi di due circostanze:
 Capacità di generare vendite attraverso gli investimenti (produttività del
capitale)
 Capacità di estrarre immagini dalle vendite realizzate (redditività delle
vendite)

LA PRODUTTIVITA’ DEL CAPITALE INVESTITO

Ricavi di vendita/COIN medio

Il numeratore rappresenta il livello di attività operativa che l’impresa è stata in


grado di ottenere dalle risorse investite (dato di output).
Il denominatore rappresenta le risorse mediamente investite nella gestione
operativa, sia titolo di capitale fisso, che circolante (dato di input).
La produttività aumenta quando cresce l’output a parità di input o diminuisce
l’input a parità di output. Il reciproco dell’indice di produttività del capitale
esprime un tasso di intensità dell’investimento, ossia quanto capitale
mediamente viene impiegato per ogni unità di fatturato.
L’indice di produttività viene interpretato anche in termini di ciclo di ritorno del
capitale. Al numeratore si trova l’ammontare dei ricavi operativi
complessivamente conseguiti nell’esercizio, cioè una misura del disinvestimento
del capitale impiegato, attraverso la vendita delle produzioni realizzate; al
denominatore il COIN, che esprime quanto capitale è stato complessivamente
impiegato nei cicli di produzione in corso di svolgimento. Il quoziente tra ricavi e
COIN indica, quindi, i cicli capitalistici compiuti nell’esercizio, ossia quante volte
nel corso dell’anno il capitale investito nella gestione operativa è ritornato in
forma monetaria grazie alle vendite. Il quoziente può essere trasformato in
giorni di rotazione: posto che i valori si riferiscono all’anno, basta dividere per
360 per l’indice di rotazione. Il risultato esprime il tempo medio di rotazione del
capitale, ossia quanti giorni occorrono mediamente per compiere un ciclo
capitalistico e trasformare il capitale in forma monetaria.
LA REDDITIVITA’ DELLE VENDITE (ROS25)

MON/Ricavi di vendita

Esprime, in percentuale, il divario prezzi-costo e prezzi-ricavo con cui l’impresa


opera, dato che il numeratore non è altro che la differenza tra ricavi operativi
netti e costi operativi. Si presenta l’esigenza di eliminare l’effetto esercitato dai
costi discrezionali, per cui la redditività delle vendite può essere espressa come
rapporto fra redditività operativa lorda e vendite:

EBITDA/Ricavi di vendita

IL TRIANGOLO DU PONT

ROI = ROS x PC

La redditività degli investimenti operativi dipende da:


 Lo scarto prezzi-costo e prezzi ricavo ottenuto sulla produzione venduta (cioè
MON/ricavi di vendita = ROS)
 Il volume di vendita generato grazie al capitale complessivamente investito
nella gestione operativa

25
ROS (Return On Sales) Ritorno sulle vendite. È uno degli indici più significativi dell'efficienza di un'azienda. Si ottiene
mettendo in rapporto il risultato operativo e il fatturato, cioè il volume dei ricavi di vendita.
I tre indici costituiscono i vertici di un triangolo ideale.
INTERPRETARE LE DETERMINANTI DELLA REDDITIVITA’ DEGLI INVESTIMENTI
OPERATIVI: SETTORE DI ATTIVITA’, STRATEGIE COMPETITIVE, CICLO DI VITA
Redditività delle vendite e produttività del capitale vanno valutati calandoli nel
contesto nel quale maturano. I due indici assumono peso e importanza diversa in
relazione a:
 Caratteristiche del settore di attività economica nel quale opera l’impresa
 Strategie competitive adottate dall’impresa
 Fasi del ciclo di vita che l’impresa sta attraversando
SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA
Se la produttività del capitale è vista come intensità di capitale, si comprende che
essa varia profondamente in ragione dell’ambito di attività economica. Si
distinguono:
 Settori leggeri (grande distribuzione, abbigliamento, alimentare)
 Settori pesanti (telecomunicazioni, chimica, estrattivo)
La redditività dei settori pesanti dipende largamente dai margini, da cui la centralità
del ROS quale determinante chiave. I vincoli di capacità produttiva, infatti, porgono
limiti forti alla produttività del capitale. Per i settori più leggeri è cruciale mantenere
alta la produttività del capitale, perché i vincoli di prezzo limitano la crescita della
redditività delle vendite.
L’indicatore del reddito economico fornisce, invece, una misura della redditività che
tenga conto anche della dimensione dell’impresa:

MON (1-T) – (WACC x COIN)

Si ottiene come differenza tra il margine operativo al netto delle imposte e la


remunerazione attesa sul capitale investito.
STRATEGIE COMPETITIVE
Sono perseguibili strategie di:
- Leadership di costo: si punta prevalentemente sull’efficienza, con l’intento di
ridurre il livello dei costi e offrire il prodotto a un prezzo più basso rispetto alla
concorrenza
Imprese che perseguono strategie di contenimento dei costi e prezzi bassi
puntano sulla realizzazione di un elevato volume di affari a parità di capitale
investito, ossia su un’elevata produttività del capitale che spinga in alto la
redditività operativa
- Differenziazione: l’impresa mira a essere unica nel proprio settore in rapporto
ad alcune variabili ritenute critiche dalla domanda; essa comporta una
crescita dei costi, ma permette di spuntare prezzi di vendita anche elevati
Le imprese che tendono alla differenziazione vedono nell’ampliamento dello
scarto prezzi di vendita-costi di produzione (ROS) la via per accrescere la loro
redditività operativa.
FASI DEL CICLO DI VITA
Durante le diverse fasi del ciclo, le fondamentali determinanti della redditività
operativa subiscono un’evoluzione:
 Introduzione:
- ROS basso
I costi di produzione sono alti e la produttività bassa, tenuto conto della scarsa
esperienza nei processi produttivi; spesso le imprese praticano prezzi di
vendita bassi per stimolare il mercato
- PC basso
Il modesto volume di vendite e la necessità di investire per creare capacità
produttiva comprimono la produttività del capitale
 Sviluppo
- ROS in deciso miglioramento
Si verifica una significativa riduzione dei costi dovuta all’effetto esperienza
legato alla crescita dei volumi di produzione; i prezzi di vendita possono
cominciare a salire
- PC ancora basso
Le vendite in forte crescita spingerebbero verso l’alto la produttività del
capitale; però, per sostenere il processo di crescita del fatturato, è necessario
investire pesantemente nella struttura e nel ciclo. La crescita del numeratore
del rapporto è, quindi, spesso più che controbilanciata dalla crescita del
denominatore
 Maturità
- ROS sostenuto
Si consolida il processo di riduzione dei costi e si massimizza l’effetto
esperienza; i prezzi, tuttavia, possono cominciare a flettere
- PC elevato
Le vendite non tirano più come prima, ma non sono necessari massicci
investimenti. Le immobilizzazioni sono largamente ammortizzate e
alleggeriscono il peso del capitale investito. Pertanto, alla sia pur modesta
crescita del numeratore del rapporto si accompagna una sostanziale riduzione
della consistenza del denominatore, a meno che non si decida di rilanciare gli
investimenti
 Declino
- ROS in costante diminuzione
Le vendite diminuiscono costantemente
- PC in graduale discesa
La costante diminuzione delle vendite spinge in basso la produttività del
capitale, stimolando l’avvio di processi di disinvestimento.
L’analisi del ROI non può avvenire prescindendo dalla conoscenza della fase del ciclo
che l’impresta sta attraversando.
Appare fisiologico che, in alcuni momenti, il ROI sia basso, se non addirittura
negativo. Nessun allarme se questo avviene in corrispondenza delle fasi difficili del
ciclo (introduzione e declino); preoccupante è se il ROI stenta in corrispondenza di
fasi favorevoli (maturità). Segnali di allarme vengono lanciati anche quando i livelli di
redditività sono molto alti nelle fasi iniziali del ciclo, sintomo di politiche gestionali
miopi (ad esempio contenimento degli investimenti).
L’ANALISI DELLA REDDITIVITA’ OPERATIVA PER AREE DI AFFARI
Quando le imprese operano su più arene competitive, si rende indispensabile
rileggere le determinanti della redditività aziendale, tenendo conto del contributo
delle singole aree strategiche di affari (ASA26). Il contributo reddituale fornito da
ciascuna area di affari dovrà essere considerato singolarmente, riconducendo i
singolo risultati parziali entro il quadro generale della complessiva gestione
aziendale.
LA VALUTAZIONE DEL PORTAFOGLIO ASA
Quando la valutazione si sposta dalle ASA al portafoglio del quale queste sono parte,
è necessario affiancare ai dati contabili altri strumenti tipici dell’analisi strategica.
Uno strumento largamente impiegato sono le matrici di portafoglio. Una matrice

26
Per area strategica d'affari (ASA), si intende un sottoinsieme dell'impresa coincidente con un business specifico in
grado, se scorporato dall'azienda, di sopravvivere autonomamente. Il concetto di area strategica di affari è stato
sviluppato dagli studiosi di organizzazione d'impresa e di marketing.
molto nota è quella proposta dal Boston Consulting Group: essa combina il tasso di
sviluppo del mercato con la forza competitiva dell’impresa (quota di mercato).

 ASA nel quadrante question mark: valori contenuti se non negativi di ROS;
modesta produttività del capitale
 ASA nel quadrante start: ROS in deciso miglioramento; PC basso per l’intenso
processo di investimento
 ASA nel quadrante cash cow: consistenti margini sulle vendite; alta
produttività del capitale
 ASA nel quadrante dog: redditività esigua, in contrazione o negativa
LA PRODUTTIVITA’ DEL CAPITALE INVESTITO
L’indice generale di produttività del capitale è espresso dal rapporto tra ricavi di
vendita (output) e capitale operativo netto mediamente investito nei processi di
gestione (COIN). Le direttrici per l’analisi della produttività riguardano due diverse
chiavi di lettura della composizione del denominatore:
 COIN come differenza tra attività e passività operative
 COIN come somma di investimenti fissi netti e capitale circolante netto
IL CONTENIMENTO DEL CAPITALE INVESTITO E L’EFFETTO DI LEVA COMMERCIALE
Dato un certo livello di ricavi di vendita e un correlato ammontare dei mezzi di
produzione, espresso dalle attività, la produttività del capitale cresce al diminuire
del capitale finanziario raccolto e investito nella gestione operativa (COIN).
Se il COIN è visto come differenza tra attività operative e passività operative, i debiti
commerciali rappresentano la componente di maggior rilievo delle seconde.
L’indebitamento commerciale si propone come una leva manovrando la quale è
possibile ridurre il COIN, ossia l’ammontare delle risorse finanziarie raccolte, con ciò
accrescendo, a parità di fatturato, la produttività del capitale finanziario investito.

Leva commerciale = ATTop medie/COIN medio

In assenza di ricorso al debito commerciale, il rapporto è uguale a 1; aumenta al


crescere dei debiti commerciali, ossia via via che la leva27 viene utilizzata. Ciò
consente di comprendere il contributo alla crescita della produttività del capitale
offerto dalle dilazioni di pagamento negoziate con i fornitori.
La leva commerciale agisce sulla produttività, vista come velocità di rotazione dei
capitali finanziari raccolti, più che sull’effettiva capacità delle risorse impiegate nella
gestione di alimentare il fatturato. Per cogliere questo aspetto occorre misurare la
capacità delle attività di produrre fatturato:
Ricavi di vendita/ATTop medie

L’indice misura il rapporto fra le vendite e l’importo lordo delle risorse impiegate
nella gestione per ottenere tali vendite. L’ammontare lordo delle risorse al servizio
della gestione prescinde dall’effettivo impegno finanziario che esse hanno generato.

Produttività del capitale investito = Leva commerciale x Produttività delle attività


operative
Ricavi di vendita/COIN = (ATTop medie/COIN medio) x (ricavi di vendita/ATTop
medie)

L’uso della leva commerciale ha però un costo perché i fornitori aumentano il costo
dei beni e servizi forniti di un importo pari al costo del capitale per la dilazione di

27
Nella ragioneria e nella finanza aziendale, il termine leva finanziaria è utilizzato con riferimento a un dato
investimento o attività, e denota il rapporto tra indebitamento finanziario netto e patrimonio netto di un'impresa.
pagamento accordata. Tale costo è implicito nei costi operativi e determina una
riduzione della redditività delle vendite, a parità di fatturato; questo effetto deve
essere opportunamente considerato in fase di analisi della redditività operativa. In
presenza di oneri finanziari impliciti, misure che impiegano valori di attività
patrimoniali (ROA28) producono tassi di redditività distorti; ciò non accade
utilizzando misure del tipo ROI, che impiegano valori di investimento netto.
LO SFRUTTAMENTO DELLA CAPACITA’ PRODUTTIVA E LA ROTAZIONE DEL CAPITALE
CIRCOLANTE
Il COIN può essere visto anche come somma di investimenti fissi netti e capitale
circolante netto commerciale.
Il contributo degli investimenti operativi fissi netti alla produttività complessiva del
capitale può essere misurato dal rapporto:

Ricavi di vendita/investimenti fissi operativi netti medi

Per una più chiara interpretazione degli andamenti di tale indice, la produttività del
capitale fisso può essere distinta considerando le due componenti principali
dell’investimento durevole:
 Immobilizzazioni materiali (PP&E29)
 Immobilizzazioni immateriali
Le prime rappresentano le attività che concorrono a determinare la capacità
produttiva utilizzabile dell’impresa. A tal proposito l’effettivo grado di sfruttamento
della struttura produttiva si calcola attraverso il rapporto SGFA30:

Ricavi di vendita/PP&E

L’indicatore può essere calcolato anche impiegando il valore aggiunto al posto dei
ricavi, per facilitare la comparazione nello spazio.

28
Il return on assets (ROA) è un indice di bilancio che misura la redditività relativa al capitale investito o all'attività
svolta (analogo al ROI ma per gestione caratteristica e patrimoniale). Si calcola come rapporto tra utile corrente ante
oneri finanziari (conosciuto anche come EBIT) e totale dell'attivo.
29
Property, plant and equipment
30
La superficie lorda statistica si riferisce all'aggregato delle superfici lorde di tutti i piani dell'edificio incluso il piano
seminterrato o l'aggregato delle superfici lorde statistiche di tutti gli edifici in uno sviluppo. ... In questo caso, per area
si intende l'area totale della vista in pianta della struttura.
L’Analisi della produttività del capitale fisso chiama in causa quella dell’intensità dei
processi di investimento. A questo fine, appaiono significative due misure:

 Tasso di sviluppo degli investimenti operativi strutturali (tasso di


accumulazione) = nuovi investimenti in PP&E/PP&E lordi a inizio
esercizio  il numeratore dell’indice corrisponde al capex dell’esercizio
relativo alle immobilizzazioni materiali; l’indice sintetizza il tasso di
crescita e rinnovamento degli impianti.
 Tasso di investimento = nuovi investimenti in PP&E/Ricavi di vendita 
l’indice consente di apprezzare l’intensità di nuovi investimenti per unità
di fatturato; può essere calcolato impiegando il valore aggiunto al posto
dei ricavi

Una valutazione dei processi di investimento strutturale richiede, in ogni caso, di


comprendere se i nuovi investimenti amplino effettivamente la capacità produttiva
o siano semplicemente investimenti di sostituzione. Se l’informazione non può
essere ricavata dalle note al rendiconto finanziario, si può fare ricorso al calcolo
dell’indice:

Nuovi investimenti in PP&E/Ammortamenti

Quando esso presenta valori uguali a 1, significa che i nuovi investimenti pareggiano
il consumo delle immobilizzazioni preesistenti, dunque, sono investimenti di
mantenimento; quando l’indice assume valori superiori all’unità, si configura un
processo di sviluppo negli investimenti. Valori di capex superiori agli ammortamenti
si possono comunque avere anche in caso di investimenti di sostituzione, a causa del
progresso tecnologico e della graduale perdita di potere di acquisto della moneta.
Poiché gli ammortamenti tendono sostanzialmente a essere costi discrezionali, è
utile integrare l’analisi ricorrendo al calcolo di indicatori focalizzati proprio sul
processo di ammortamento. I fondamentali indici di ammortamento sono:
 Tasso di ammortamento = ammortamenti/PP&E lordi  segnala
quanta parte del valore delle immobilizzazioni è recuperato ogni anno,
trasformandolo in costi di esercizio. Il tasso di ammortamento rivela
implicitamente le stime sulla durata della vita utile attribuita dal
management ai PP&E
 Grado di ammortamento = fondo ammortamento/PP&E lordi 
segnala a che punto l’impresa è giunta nel processo di recupero del
capitale investito in PP&E. Offre informazioni complementari a quelle
espresse dal tasso di ammortamento, segnalando il grado di anzianità
delle immobilizzazioni, ossia la vita utile e già trascorsa.
Quando il grado di ammortamento resta sostanzialmente costante nel tempo, i
rinnovi degli impianti tendono a pareggiare gli ammortamenti e le dismissioni;
quando il grado di ammortamento tende a diminuire, il rinnovo degli impianti
tendono a superare gli ammortamenti e le dismissioni.

Vita utile media attesa degli investimenti operativi = PP&E


lordi/Ammortamenti
Vita utile media residua dei PP&E = (1-grado di ammortamento) x vita
utile media attesa

Per evitare distorsioni meramente contabili, le misura di produttività degli


investimenti fissi sono costruite impiegando il valore lordo di tali investimenti. Gli
incrementi di produttività del capitale sono tanto più significativi quanto più:
- Il tasso di ammortamento è alto e costante nel tempo, perché più breve sarà il
tempo di recupero dell’investimento in immobilizzazione e più contenuto è il
rischio di obsolescenza dell’investimento
- Il grado di ammortamento è anch’esso costante nel tempo, perché in questo
caso la struttura produttiva viene costantemente rinnovata e sviluppata, non
riducendo il suo valore contabile netto in seguito agli ammortamenti
LA ROTAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE
In una prospettiva di breve termine, ossia ferma la dimensione strutturale, appare
evidente come la produttività del capitale dipende dalla capacità dell’impresa di
contenere l’investimento in capitale circolante netto commerciale. Questa capacità
può essere misurata attraverso l’intensità di investimento corrente per unità di
vendite:
CCNc/Ricavi di vendita
Il reciproco di questo rapporto si può determinare come indice di rotazione del
capitale circolante commerciale.
Le cause che influiscono sulla velocità di rotazione del circolante31 sono:

 Rotazione delle scorte di magazzino = ricavi di vendita/scorte di


magazzino  esprime quante volte la giacenza di magazzino si è
rinnovata nel corso dell’anno in conseguenza delle vendite. Può essere
utile sostituire il valore dei ricavi con il valore del costo del venduto, per
rendere più omogenei i termini del confronto (valori di costo con valori di
costo). Inoltre, la rotazione del magazzino potrebbe essere scomposta
tenendo conto della diversa natura delle scorte (materie prime e merci,
prodotti finiti)
 Rotazione dei crediti verso clienti = ricavi di vendita/crediti verso clienti
 esprime quante volte, nel corso dell’anno, si sono rinnovati i crediti
commerciali. Il denominatore deve comprendere il valore dei crediti verso
clienti e delle cambiali attive
 Rotazione dei debiti verso fornitori = acquisti di materie e servizi/debiti
verso fornitori

Le informazioni derivanti dagli indici di rotazione risultano più immediate e


significative trasformando gli indici di rotazione in indici di durata, che permettono
di tradurre in giorni il tempo impiegato dai principali investimenti correnti per
ritornare in forma liquida. Gli indici di durata si ottengono dividendo 360 per il
valore dell’indice di rotazione.
Grazie agli indici di durata è possibile misurare la durata complessiva del ciclo attivo
del capitale circolante, pari alla somma della durata della giacenza e delle scorte e
del tempo di riscossione dei crediti; al ciclo attivo si contrappone il ciclo passivo,
espresso dal tempo medio di pagamento dei fornitori. La somma algebrica della
durata del ciclo attivo e di quello passivo indica il tempo medio di rotazione del
capitale circolante, ossia quanto tempo in media impiega l’investimento corrente
per ritornare in forma monetaria. Le riduzioni della velocità di rotazione sono da
considerare un segnale negativo.

31
Il calcolo degli indici di rotazione del capitale circolante netto (CCN) mira ad indagare le velocità di trasformazione in
forma liquida delle singole classi di valori dell'attivo circolante e la velocità di estinzione delle passività correnti.
Si consideri, però, che una sensibile riduzione dell’indice di rotazione delle scorte
potrebbe derivare dalle seguenti cause:
 Difficoltà a vendere la produzione che si accumula in magazzino
 Creazione volontaria di magazzino, in previsione di futuri aumenti dei prezzi
delle materie o per fronteggiare una prevista forte espansione delle vendite
Solo nel primo caso un rallentamento dell’indice di rotazione rappresenta un
segnale negativo. L’impatto della rotazione del capitale circolante sulla redditività
operativa evidenzia un importante trade-off nella gestione di questa variabile
chiave: incrementi del capitale circolante creano tensioni di liquidità e crescita degli
oneri finanziari, ma possono favorire lo sviluppo delle vendite e dei margini
operativi, con effetti positivi sulla redditività.
LA REDDITIVITA’ DELLE VENDITE
La capacità dell’impresa di estrarre margini reddituali dai ricavi è misurata
dall’indicatore ROS, che indica il margine di guadagno operativo ottenuto su ogni
unità di fatturato. La redditività delle vendita è una macro-determinante della
redditività operativa. Considerando la composizione del numeratore:

MON = ricavi di vendita – costi operativi

Da cui:

ROS = (ricavi di vendita – costi operativi)/ricavi di vendita

Quindi:
ROS = 1- (costi operativi/ricavi di vendita)

Nei costi, dunque, va ricercata la principale determinante contabile della redditività


delle vendite.
LA NAUTRA E LA STRUTTURA DEI COSTI OPERATIVI
L’analisi del ROS passa per l’analisi dei costi operativi, che possono essere esaminati
secondo tre logiche diverse:
 Natura
 Destinazione
 Grado di variabilità
L’analisi dei costi per natura si basa su un conto economico configurato a valore
della produzione e valore aggiunto: muovendo, le varie voci di costo devono essere
espresse in percentuale sui ricavi delle vendite o sul valore della produzione (conto
economico in common size).
La riesposizione del conto economico in percentuale consente, in particolare, di
mettere in evidenza la consistenza e le variazioni percentuali subite dal valore
aggiunto. Efficace risulta l’indicatore:
Valore aggiunto/ricavi di vendita

Il valore aggiunto rappresenta il punto di incontro della condizioni di:


 Efficienza, relative alle risorse impiegate per realizzare la produzione
 Efficacia, intesa come capacità di ottenere, dal mercato, il riconoscimento
effettivo del valore aggiunto ai fattori produttivi esterni attraverso i processi
produttivi svolti all’interno dell’impresa
Il valore aggiunto può anche essere visto come una massa di ricchezza lorda con cui
remunerare i diversi soggetti/fattori che hanno partecipato alla produzione. Se il
valore aggiunto è scarso, le attese di remunerazione dei soggetti/fattori che
partecipano alla produzione non sono soddisfatte; poco valore aggiunto significa
poca ricchezza lorda a disposizione per remunerare congruamente i fattori della
produzione.
L’analisi dei costi trova il suo complemento nell’esame del grado di variabilità, per
cui le varie voci devono essere espresse in percentuale sui ricavi delle vendite: si
afferma così il margine di contribuzione in percentuale, che esprime la ricchezza
lorda a disposizione per la copertura di quei costi fissi che devono comunque essere
sostenuti dall’impresa.
LA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO
Il livello dei costi aziendali dipende da due fondamentali fattori:
 I prezzi-costo dei fattori produttivi negoziati sui mercati di acquisto
 La capacità dell’impresa di ottimizzare l’impiego di tali fattori nella produzione
I prezzi-costo chiamano in causa le condizioni di efficienza esterna, date dalle
condizioni generali dei mercati di approvvigionamento ai quali l’impresa si rivolge.
La capacità dell’impresa di ottimizzare l’impiego dei fattori produttivi riguarda
l’efficienza interna o produttività. Quest’ultima indica la capacità dell’impresa di
combinare economicamente, ossia senza sprechi evitabili, le risorse della
produzione.
Un primo passaggio dell’analisi della produttività è nuovamente rappresentato dalla
redazione di un conto economico a valori percentuali. È però opportuno che i valori
reddituali relativi alla gestione operativa non siano centralizzati rispetto ai ricavi di
vendita, ma rispetto al valore della produzione (per motivazioni di coerenza tra i
valori presi in considerazione).
Una volta apprezzata l’incidenza dei costi rispetto al valore della produzione, l’analisi
si può ulteriormente sviluppare lungo le due coordinate corrispondenti ai due
fondamentali fattori: lavoro e capitale.
Per misurare la produttività del lavoro gli indicatori più utilizzati sono:

 Ricavi di vendita/numero di dipendenti


 Valore aggiunto/numero di dipendenti  il
valore aggiunto pro-capite nasce dalla
differenza tra valore della produzione ottenuta
e costi esterni, quindi, tiene conto di tutto lo
sforzo produttivo realizzato nel periodo
amministrativo impiegando il fattore lavoro
 Costo del lavoro/numero di dipendenti: costo
del lavoro pro-capite

La lettura congiunta di tali indicatori è in grado di segnalare se l’evoluzione del costo


del lavoro si muove in sintonia con quella del valore aggiunto: se il costo del lavoro
pro-capite cresce a fronte di una riduzione del valore aggiunto pro-capite, è logico
aspettarsi una riduzione della redditività operativa aziendale o una minor capacità
della ricchezza. Il confronto è sintetizzato nell’indice costo del lavoro per unità di
prodotto (CLUP):

CLUP = costo del lavoro/valore aggiunto

Se un lavoratore costa più di un altro, ma produce proporzionalmente prodotti di


maggior valore, il suo costo pro-capite sarà più alto, ma il suo costo rispetto al valore
di ogni unità di prodotto sarà più basso. La produttività del lavoro è inoltre
condizionata dai mezzi di produzione dei quali ogni addetto è dotato, quindi,
dipende dalla produttività del capitale e dal capitale di cui ogni lavoratore dispone.
La produttività del capitale si riconnette alla produttività del lavoro attraverso
l’indice che misura l’intensità di capitale per addetto:
Immobilizzazioni lorde/n° dipendenti

I livelli di produttività segnalati dai vari indici devono essere interpretati alla luce
delle fasi del ciclo di vita dell’impresa. Nella fase introduttiva, di solito i costi di
produzione sono alti e la produttività bassa, tenendo conto della scarsa esperienza
di produzione possedute dall’impresa; nella fase di sviluppo si ha una significativa
riduzione dei costi dovuta all’effetto esperienza legato alla crescita dei volumi di
produzione; nella fase di maturità si consolida il processo di riduzione dei costi e si
massimizza l’effetto esperienza con benefici riflessi sulla produttività aziendale,
anche se tali benefici sono destinati a esaurirsi man mano che l’impresa si inoltra
nella fase di declino.
Si consideri, infine, il rapporto che esprime il reddito per addetto:

Reddito corrente/n° di dipendenti

La metrica del reddito per addetto presenta il vantaggio di aggirare i problemi che si
pongono quando l’ammontare del capitale investito è molto contenuto; circostanza,
questa, che rende scarsamente significativa ogni misura dell’intensità del capitale
finanziario investito. Infatti, se l’impresa mantiene costante l’intensità del capitale
finanziario investito, incrementi del reddito corrente per addetto spingono verso
l’alto la redditività. Inoltre, il reddito per addetto non risente dei vari fattori contabili
che possono distorcere il significato del ROI, come la dinamica degli ammortamenti,
permettendo più agevoli ed efficaci comparazioni nello spazio.
LA STRUTTURA DEI COSTI E IL RISCHIO OPERATIVO
La struttura dei costi determina il grado di variabilità del risultato operativo al
variare delle vendite: più rigida è la struttura dei costi, maggiore è la variabilità del
risultato operativo alle variazioni dei ricavi.
IL GRADO DI LEVA OPERATIVA
La leva operativa esprime il grado di variabilità del risultato operativo al variare
delle vendite, nonché una misura del grado di variabilità del margine operativo. È
una misura del rischio operativo, ossia il rischio derivante dalle scelte della gestione
operativa. Più alto è il grado di leva operativa, più alta è la variabilità del reddito
operativo rispetto a quello atteso; più elevato, quindi, è il rischio che grava sulla
gestione.

GLO (Grado di Leva Operativa) = costi fissi/costi variabili

Più alto è il valore dell’indicatore, più alto è il grado di leva operativa e maggiore il
livello di rischio. Il GLO dipende dall’organizzazione dei processi produttivi e dalla
tecnologia che tali processi impiegano.
Le relazioni tra struttura dei costi, GLO e livelli di rischio emergono con chiarezza
rifacendosi ai concetti della break even analysis32, ossia al modello di analisi del
cosiddetto punto di pareggio. Una grandezza di particolare interesse è il margine di
sicurezza: esso è pari alla differenza tra il fatturato effettivo e il fatturato critico
(BEP); quindi, il margine di sicurezza misura la distanza che separa l’impresa da una
condizione di perdita operativa. Più ampio è il margine di sicurezza, minore è il
rischio di subire perdite a causa di contrazione del fatturato, ossia minore è il rischio
operativo.
Man mano che l’impresa si spinge verso i livelli di pieno sfruttamento della capacità
produttiva massima, ossia man mano che il margine di sicurezza aumenta, il GLO
tende a 0: infatti, i costi variabili crescono, mentre i costi fissi restano costanti.
Allontanandosi dal punto di pareggio, il margine di sicurezza si amplia e il GLO
diminuisce.
Ma la struttura dei costi non è l’unica determinante dei livello di rischio operativo, il
quale dipende anche dall’andamento dei ricavi di vendita, come a dire dalle scelte
relative ai settori/mercati nelle quali l’impresa compete e dalla ciclicità di tali
settori/mercati. Sono le condizioni congiunturali, infatti, che influenzano
l’andamento delle vendite nei vari settori economici. Il rischio operativo deriva,
quindi, anzitutto dalle circostanze esterne che determinano le variazioni del
fatturato. La struttura dei costi si limita ad amplificare gli effetti delle variazioni di
fatturato conseguenti agli andamenti congiunturali del sistema competitivo. Il
rischio operativo, in conclusione, è collegato al rischio di mercato, inteso come
variabilità dei ricavi in relazione all’andamento generale del sistema economico.
Assumendo questa prospettiva esterna, che guarda alle determinanti dei livelli di
fatturato, anche le fasi del ciclo di vita attraversate dall’impresa divengono rilevanti

32
La Break-even Analysis (analisi del punto di pareggio) è il punto in cui il costo totale e le entrate totali sono uguali,
vale a dire “pari”. Non vi è alcuna perdita o utile netto e pertanto ci si trova in pareggio.
ai fini dell’interpretazione del grado di leva operativa. Il passaggio attraverso le
diverse fasi del ciclo di vita, infatti, causa variazioni di fatturato. Le fasi dello sviluppo
e della maturità si caratterizzano per una crescita intensa del fatturato; affrontarle
con una struttura dei costi più rigida può consentire all’impresa di beneficiare
maggiormente, in termini reddituali, di tale crescita.
Letto in questa prospettiva, il GLO si propone come una misura della scalabilità del
modello di business adottato dall’impresa: un modello di business è tanto più
scalabile quanto più i costi e gli investimenti operativi che lo connotano sono
sufficienti a sostenere più elevati volumi di affari, senza modificarsi. In questo senso,
la leva operativa esprime la potenzialità di trasformare la crescita dell’impresa in
un aumento più che proporzionale dei risultati reddituali.
RISCHIO OPERATIVO E COSTO DEL CAPITALE
Il rischio operativo influenza il costo del capitale, secondo il quale attualizzare i flussi
di cassa derivanti dalle condizioni di redditività.
La formula per determinare il costo medio ponderato del capitale (WACC) è:

WACC = Kd * (1-T) * DB/(DB + E) + Ke * E/(DB + E)

Dove: “Kd” è il costo del capitale proprio; “E” sta per Equity e “DB” sta per debiti. Le
condizioni di rischio operativo si riflettono nel costo del capitale di rischio (Ke),
traducendosi in un congruo ammontare del premio per il rischio, ovvero del
differenziale di rendimento richiesto dai finanziatori rispetto al rendimento dei titoli
privi di rischio. Il premio per il rischio può essere determinato seguendo due
impostazioni:
 Costruzione per fattori
 Deduzione dai mercati
La determinazione meno soggettiva ricorre a stime basate sui prezzi di mercato. Il
Capital Asset Pricing Modello (CAPM) prevede di determinare il premio per il rischio
usando il premio per il rischio di mercato e il grado di rischiosità dell’impresa
espresso dal coefficiente Beta. Il costo del capitale di rischio è:

Ke = Rf + Beta [E(Rm) – Rf)]

Dove:
- Rf: rendimento di titoli privi di rischio
- Beta: coefficiente di rischio sistematico dell’attività d’impresa
- E(Rm): rendimento generale medio atteso del mercato azionario
- E(Rm) – Rf: premio atteso per il rischio di mercato
Il tasso Risk free è il rendimento offerto dai titoli di Stato con scadenza di medio-
lungo termine a rischio nullo; il confronto tra tasso Risk free e rendimento di
mercato dell’investimento azionario configura il rendimento eccedente, ossia il
premio medio accordato dal mercato per il rischio imprenditoriale.
Ogni azienda e ogni settore sono però caratterizzati da proprie condizioni operative
che possono accentuare o ridurre la rischiosità rispetto alla media del mercato. Il
rendimento eccedente viene, quindi, corretto moltiplicandolo per il coefficiente
Beta: Beta dice se l’azienda, o il settore in cui essa opera, presenta un grado di
rischio superiore o inferiore rispetto alla media di mercato azionario. Beta riflette
tre principali fattori:
- Rischio di mercato
- Rischio operativo
- Rischio finanziario
Se la stima del rischio basata esclusivamente su dati di mercato presenta alcune
debolezze, si può calcolare il beta unlevered33 di settore, ottenuto eliminando
l’effetto esercitato sul Beta dalle scelte di struttura finanziaria. Dalle beta levered di
mercato si passa, quindi, al Beta unlevered di settore, per poi passare al calcolo del
beta unlevered dell’impresa.

Capitolo XIII – La solvibilità


LA GESTIONE FINANZIARIA E LE CONDIZIONI DI SOLVIBILITA’
La solvibilità è la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni di pagamento.
Può essere apprezzata su due piani:
 Liquidità: capacità dell’impresa di far fronte istante per istante ai propri
impegni di pagamento (solvibilità di breve termine)
 Solidità patrimoniale: attitudine dell’impresa a far fronte agli impegni di
pagamento complessivamente e definitivamente, in un futuro non a breve; è
il presupposto economico per affrontare eventuali tensioni di liquidità

33
Il Beta che deriva dalla regressione, però, è definito Beta Levered, in quanto è un coefficiente che esprime la
rischiosità dell'impresa complessiva, dunque per determinare la sola rischiosità operativa bisogna determinare il Beta
Unlevered.
L’analisi della solvibilità mira a determinare il grado di rischio finanziario, che
esprime la probabilità che l’impresa non riesca a far fronte ai propri impegni di
pagamento nei tempi e/o negli importi stabiliti, con ciò esponendosi a una possibile
bancarotta (rischio di fallimento). Le condizioni di rischio finanziario interessano
entrambi i finanziatori dell’impresa: azioni (o conferenti capitale di rischio) e
creditori (banche obbligazioniste); con riferimento a questi ultimi il rischio
finanziario è inteso nell’accezione specifica di rischio di credito. Guardando al rischio
finanziario, esso si manifesta su due piani:
 I argine di rischio: probabilità di non adempiere puntualmente, cioè alla
scadenza, agli impegni di pagamento; è un rischio relativo ai tempi e
riconducibile al profilo della liquidità
 II argine di rischio: probabilità che l’impresa non riesca a rimborsare i capitali
complessivamente ricevuti, indipendentemente dalla puntualità del rimborso;
è un rischio relativo agli importi e legato al profilo della solidità
Il secondo argine assorbe il primo, in quanto configura la condizione di rischio
estrema, nella quale i capitali, segnatamente quelli con vincolo di debito, almeno in
parte, non possono comunque essere rimborsati causando, per il finanziatore, una
perdita secca del denaro.
Il problema della solvibilità investe in primo luogo il finanziatore esterno che
conferisce capitali. La questione tocca, però, direttamente e pesantemente anche gli
amministratori dell’impresa e i conferenti capitale di credito: condizioni di eccesso di
indebitamento, infatti, esponendo l’impresa al fallimento, esprimono una potenziale
perdita del capitale di rischio. Inoltre, il carico degli oneri finanziari conseguenti
all’indebitamento accentua la volatilità del reddito di esercizio che costituisce la
remunerazione degli azionisti; volatilità, in primis, dovuta alle condizioni operative
della gestione. Infine, ogni impresa, per vivere, ha bisogno di capitale di terzi.
Qualunque situazione di incaglio finanziario è destinata ad allontanare i finanziatori,
pregiudicando così lo svolgimento della gestione. La solvibilità, in sostanza, non è un
problema solo di chi presta soldi, ma anche di chi quei soldi li chiede ai terzi.
LA SOLIDITA’ PATRIMONIALE
L’esame delle condizioni di solidità patrimoniale si fonda sull’analisi della:
 Struttura patrimoniale: composizione quali-quantitativa del complesso degli
investimenti in essere in un determinato momento
 Struttura finanziaria: composizione quali-quantitativa del complesso dei
finanziamenti
Struttura patrimoniale e struttura finanziaria sono riflesse dallo stato patrimoniale
del bilancio di esercizio. L’analisi delle condizioni di solidità patrimoniale si sostanzia
nella verifica dell’esistenza di adeguati rapporti qualitativi e quantitativi fra:
 Le varie categorie di investimenti
 Le varie categorie di finanziamenti
 Specifiche tipologie di investimenti poste in relazione a specifiche tipologie di
finanziamenti
L’analisi viene condotta mediante il calcolo e l’interpretazione di due categorie di
indici:
 Indici di composizione
 Indici di copertura o correlazione
I dati impiegati per la costruzione degli indici di solidità patrimoniale sono tratti dallo
stato patrimoniale riclassificato.
LA COMPOSIZIONE DEL PATRIMONIO AZIENDALE
Gli indici di composizione vogliono evidenziare i rapporti qualitativi e quantitativi
esistenti all’interno degli impieghi di capitale, da un lato, e delle fonti di capitale,
dall’altro. Si articolano in due gruppi:
 Indici di composizione degli investimenti (o degli impieghi)
 Indici di composizione dei finanziamenti (o delle fonti)
LA COMPOSIZIONE DEGLI INVESTIMENTI
Gli indici di composizione degli investimenti si costruiscono rapportando al capitale
investito netto (CIN34) le diverse categorie di investimenti:

Capitale circolante netto/CIN


Capitale fisso operativo/CIN
Investimenti finanziari/CIN

Attraverso questi indici si può comprendere la morfologia degli impieghi di capitale,


giudicandone il grado di elasticità (o rigidità): questo è tanto maggiore, quanto più
elevata è l’incidenza degli investimenti correnti sul totale degli investimenti. Una

34
Capitale investito - Si definisce capitale investito la somma delle attività dello stato patrimoniale.
struttura patrimonialmente elastica è una struttura che può essere più agevolmente
riconvertita, adottandola al mutare delle condizioni di mercato.
La composizione degli impieghi può essere approfondita esaminando in dettaglio il
peso delle singole categorie di investimento:
Scorte di magazzino/CIN
Crediti commerciali/CIN
PP&E/CIN
Attività immateriali/CIN

Ulteriori indicazioni si ottengono valutando i singoli investimenti in relazione agli


aggregati dei quali fanno parte:
Scorte di magazzino/CCNc
Crediti commerciali/CCNc
PP&E/capitale fisso operativo

Quello che emerge attraverso questi ultimi quozienti è uno spaccato degli
investimenti correnti e durevoli presenti nell’impresa.
LA COMPOSIZIONE DEI FINANZIAMENTI
Gli indici di composizione dei finanziamenti si costruiscono rapportando al totale
dei finanziamenti, ossia al capitale raccolto (corrispondente al CIN), le diverse fonti
di provenienza del capitale:

Posizione finanziaria netta corrente/CIN


Debiti finanziari a medio-lungo termine/CIN
Equity/CIN

È possibile costruire altri indici confrontando le singole voci che formano gli
aggregati della struttura finanziaria al totale del capitale raccolto. L’esame degli
indici di composizione dei finanziamenti aiuta a comprendere i canali ai quali
l’impresa ha fatto ricorso per soddisfare il proprio bisogno finanziario, mettendo in
evidenza il grado di rigidità (o di elasticità) delle fonti di provenienza dei capitali;
questo è tanto maggiore quanto più elevato risulta il peso delle fonti durevoli sul
totale dei mezzi finanziari utilizzati.
Analizzare il mix delle fonti offre preziose informazioni per interpretare l’andamento
del costo dell’indebitamento: quest’ultimo concorre a determinare l’effettiva
sostenibilità del capitale di credito raccolto. Il costo medio dei capitali di debito
dipende largamente dalle fonti di indebitamento alle quali si attinge e che
presentano livelli di onerosità diversi. Nella prospettiva dell’onerosità, la forma
tecnica di negoziazione risulta importante in relazione al periodo di tempo per il
quale i capitali restano vincolati all’impresa; questo perché il costo dei capitali
cambia a seconda che questi derivino da finanziamenti negoziati a breve o a medio-
lungo termine. Nel corso del tempo, e nei diversi paesi, i tassi a breve possono
essere più alti o più bassi di quelli a medio-lungo termine. Pertanto, a parità di
indebitamento totale, la presenza nel mix dei finanziamenti utilizzati di una
determinata categoria di fonti piuttosto che un’altra ha immediate e pesanti
ripercussioni sul costo del debito.
Gli indici di composizione, letti alla luce della struttura dei tassi (onerosità dei tassi a
breve rispetto a quelli a medio-lungo) e della loro dinamica attuale e prospettica,
forniscono importanti indicazioni per giudicare il rischio di tasso sotteso alle scelte
finanziarie operate. Laddove i tassi a breve siano in continuo a ribasso, può risultare
conveniente puntare su una struttura finanziaria aggressiva. Una struttura
finanziaria è tanto più aggressiva quanto più presenta uno sbilanciamento verso
debiti di breve termine. Un tale sbilanciamento, pur potendo creare tensioni di
liquidità, consente di cogliere le migliori opportunità di tasso di volta in volta offerte
dal mercato. Infatti, in periodi di tassi calanti, una composizione dei finanziamenti
marcatamente orientata al medio-lungo termine, se tali finanziamenti non sono
indicizzati, è destinata ad accrescere il peso degli oneri finanziari sul conto
economico, penalizzando la redditività prospettica.
Ovviamente, quando si parla di finanziamenti a breve e a medio-lungo termine, si
guarda non alla durata residua delle partite di debito, ma alla loro durata originaria.
Per questo l’analisi dei riflessi della struttura finanziaria sul costo del denaro deve
essere fondata sulla riclassificazione dello stato patrimoniale ispirata alla logica per
aree di gestione, in cui il capitale raccolto viene ripartito fra indebitamento a breve
termine e indebitamento a medio-lungo termine.
L’esame degli indici di composizione, sia degli investimenti, che dei finanziamenti,
porta alla redazione di uno stato patrimoniale percentuale o in common size, che
non porta valori assoluti, ma valori espressi in percentuale rispetto al totale del
patrimonio aziendale.
IL GRADO DI INDEBITAMENTO
Fra gli indici di composizione dei finanziamenti rientra l’indice di autonomia
patrimoniale:

Capitale Netto/CIN

Esprime il peso percentuale del capitale di rischio nella struttura finanziaria e


segnala il grado di indipendenza dell’impresa da terzi finanziatori.
Non esiste un rapporto di indebitamento ottimale, definibile a priori. Questo
rapporto dipende in larga parte dalle relazioni che intercorrono fra tassi di
rendimenti degli investimenti e tasso di onerosità dell’indebitamento. Quali che
siano queste relazioni, deve esistere un livello oltre il quale l’indebitamento non
dovrebbe andare, pena l’accentuarsi del rischio di fallimento. Sono proposti alcuni
valori parametrici alla luce dei quali giudicare la congruità dell’indebitamento
aziendale e il conseguente grado di rischio insito nella struttura finanziaria:
- 0 – 0.33 zona di rischio
- 0.34 – 0.50 zona di sorveglianza
- 0.51 – 0.66 zona di normalità
- 0.67 – 1 zona di crescita
Un’impresa in cui il capitale netto sia inferiore a un terzo del complesso degli
investimenti presenterebbe elevate condizioni di rischio finanziario, cioè di non
riuscire a rimborsare i debiti contratti.
Occorre idealmente proiettare l’impresa indebitata in una situazione di liquidazione,
momento in cui tutti i debiti vengono a scadenza e devono essere rimborsati
mediante la conversione in moneta degli investimenti. In ipotesi di liquidazione, è
ragionevole supporre che una parte del valore delle attività non sia effettivamente
realizzato, manifestando perdite di liquidazione: infatti, il valore di bilancio di molti
elementi dell’attivo patrimoniale è legato a una logica di funzionamento e i beni
valgono in quanto parte di un complesso organizzato e funzionante; venduti
singolarmente, quei beni possono avere valori inferiori a quelli contabili.
Indicando con VLC/CI il rapporto che esprime la percentuale del capitale investito
recuperabile per mezzo della liquidazione dell’attivo, si configurano due ambiti di
operatività: quello del creditore e quello dell’azionista
 Il creditore impone il vincolo che il valore di liquidazione del capitale investito
sia superiore o al massimo pari a quello dell’indebitamento; diversamente
parteciperebbe pienamente, senza trarne adeguata remunerazione, al rischio
di impresa
Con un indebitamento superiore a VLC/CI, ha luogo una sorta di sostituzione
funzionale del capitale di credito rispetto a quello propriamente di rischio
 L’azionista sopporta un rischio che varia tra due valori:
- Un valore minimo, in assenza di indebitamento, pari alla differenza tra il
valore contabile del CI e quello di liquidazione degli investimenti, in quanto le
perdite di una eventuale liquidazione dell’impresa faciliterebbero il capitale
degli azionisti
- Un valore massimo, per livelli di indebitamento superiori al rapporto VLC/CI.
Al crescere di tale rapporto, comunque, il rischio dell’azionista potrebbe
paradossalmente diminuire rispetto all’ammontare del debito contratto, in
quanto la perdita del capitale resterebbe sempre dello stesso ammontare.
Tale effetto di perdita del capitale resterebbe sempre dello stesso
ammontare. Tale effetto di deresponsabilizzazione rispetto ai creditori è
accentuato dalla circostanza che, negli esercizi precedenti, l’azionista abbia
congruamente recuperato il proprio investimento attraverso il prelievo degli
utili
Si configurano due habitat: quello del creditore, definito da valori di debito che
vanno da zero al valore di liquidazione delle attività; quello esclusivo dell’azionista,
chiamato a coprire le perdite di liquidazione così da evitare che queste ricadano sui
creditori. È prudenziale ritenere che circa una terzo del valore dell’attivo di bilancio
vada perduto al momento della liquidazione: pertanto, se il capitale netto non è in
grado di assorbire questa perdita, saranno i creditori a restare a bocca asciutta.
Il grado di indebitamento può essere misurato anche come reciproco dell’indice
appena esaminato:
CIN/capitale netto = Financial leverage

Quanto più il valore del limite è elevato, tanto più l’impresa è indebitata nei
confronti dei terzi. Mentre l’indice di autonomia patrimoniale focalizza l’attenzione
sul capitale netto, il financial leverage35 pone attenzione sul livello di indebitamento.
I due indicatori sono inversamente correlati: a un aumento dell’autonomia

35
Il termine leva finanziaria o rapporto d’indebitamento (talvolta sostituito dal termine inglese leverage) è un
indicatore utilizzato per misurare l'indebitamento di un'azienda - in economia aziendale significa l'uso di capitali di
terzi a fine di finanziamento, in finanza aziendale la scommessa di poter ottenere attraverso reinvestimento di capitali
prestati un rendimento maggiore delle condizioni del prestito.
patrimoniale corrisponde una diminuzione del leverage e dell’indebitamento
aziendale.
L’indice è collegato al rapporto debiti finanziari netti/capitale netto (D/E).
Assumendo il valore soglia di 0.33 per l’indice di autonomia patrimoniale, il valore
soglia del D/E diventa necessariamente due: i debiti non devono essere più del
doppio del capitale netto. Infatti, quando il capitale netto copre 1/3 degli
investimenti, i restanti 2/3 sono coperti dai debiti; quindi, il rapporto debiti/capitale
netto è uguale a 2 (2/3 : 1/3).
Seguendo la logica prospettata, che vede il capitale di rischio quale cuscinetto
destinato ad assorbire le potenziali perdite di liquidazione del patrimonio aziendale,
è opportuno procedere a rettificare il valore contabile del capitale netto da utilizzare
nell’analisi. Esso deve essere decurtato degli eventuali importi relativi a:
 Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
 Azioni proprie
I due valori corrispondono a poste meramente contabili che gonfiano la consistenza
del capitale di rischio e l’effettiva garanzia patrimoniale offerta a terzi.
Le revisioni alle quali sottoporre i valori contabili riguardano anche l’indebitamento
netto, in quanto si dovrebbero scovare eventuali passività potenziali gravanti sulle
imprese, ma non contabilizzate nello stato patrimoniale: si tratta di situazioni,
condizioni o fattispecie esistenti alla data del bilancio, caratterizzate da uno stato di
incertezza, che al verificarsi o meno di uno o più eventi futuri, potranno
concretizzarsi per l’impresa in una perdita, confermando il sorgere di una passività o
la perdita parziale o totale di una attività.
LA CORRELAZIONE INVESTIMENTI-FINANZIAMENTI
L’analisi di correlazione vi è allo scopo di evidenziare l’esistenza di rapporti di
equilibrio fra determinate categorie di investimenti e determinate tipologie di
finanziamenti. Si tratta di passare da un’analisi di tipo verticale, tipica degli indici di
composizione, a una di tipo orizzontale, che mette a confronto investimenti e
finanziamenti.
Gli indici di correlazione o copertura si basano sul rapporto tra valori relativi a
specifiche categorie di investimenti e valori relativi a determinate categorie di
finanziamenti. Il quoziente più significativo è la copertura delle immobilizzazioni per
la verifica della capacità del capitale netto di coprire gli investimenti durevoli, sia
operativi che finanziari. L’impresa è tanto più solida patrimonialmente quanto più gli
investimenti durevoli sono finanziati con capitale di rischio, per i quali non si
pongono problemi di rimborso a scadenza:

Capitale netto/investimenti durevoli

L’indice esprime una condizione che può essere apprezzata anche mediante il
calcolo del margine di struttura (capitale netto–investimenti durevoli).
IL CAPITALE DI RISCHIO NETTO36

Capitale di rischio netto = capitale netto - partecipazioni

Le partecipazioni considerate sono tipicamente quelle aventi carattere economico e


non dotate di largo mercato; non, dunque, le partecipazioni puramente speculative
e di agevole smobilizzo, le quali presentano caratteri non dissimili dagli altri asset
finanziari.
Il capitale di rischio netto esprime l’idea di capitale di rischio che rimane
nell’impresa. L’impresa riceve dai suoi azionisti un certo ammontare di capitale, ma
tramite l’acquisto di partecipazioni riversa parte di questo capitale in altre imprese.
Ai fini del contenimento del rischio patrimoniale, dunque, è necessario che la
dotazione del capitale netto sia tanto maggiore quanto più elevata è la
partecipazione in altre imprese; il rischio per i finanziatori terzi è tanto maggiore
quanto più l’investimento in partecipazioni è finanziato con indebitamento. La
correlazione fra equity e partecipazioni rappresenta un espediente per valutare i
possibili rischi per i finanziatori conseguenti alla compartecipazione di fatto alla
gestione operativa di un’altra impresa, con una struttura finanziaria e patrimoniale
sua propria e diversa da quella direttamente finanziata. Si tratta di una grandezza
utile per compiere una sorta di analisi di vulnerabilità della solidità patrimoniale.
IL CAPITALE NETTO TANGIBILE

Capitale netto tangibile = capitale netto – attività immateriali

Le attività immateriali possono risultare di difficile trasformabilità in moneta. Le


difficoltà dipendono dalla natura delle attività immateriali: sono massime nel caso di

36
Il capitale di rischio è così definito perché è la parte di capitale conferita da soggetti che partecipano direttamente al
rischio d'impresa e non consiste solo in apporto di fondi, ma anche di esperienza, strategia e know how, da parte di
operatori specializzati che scelgono di investire in imprese a loro giudizio
attività rappresentate dalla capitalizzazione dei cosiddetti oneri pluriennali, come le
spese di impianto e ampliamento, ossia attività prive di autonoma rilevanza tecnica,
economica e giuridica. Anche l’avviamento non si sottrae a questa logica, trattandosi
di un valore autonomo rispetto all’impresa alla quale è riferibile e privo di
consistenza patrimoniale.
L’idea dell’inconsistenza patrimoniale appare considerando altre categorie di
intangibili come brevetti, progetti di R&S e marchi, trattandosi di investimenti che
possono avere anche un valore molto rilevante e, se alienati, produrre notevoli
plusvalenze.
Nella pratica dell’analisi finanziaria si ritiene prudente che le attività in parola siano
integralmente coperte dal capitale di rischio.
Ragionando in termini di margini si calcola il cosiddetto capitale netto tangibile. Le
motivazioni alla base sono:
 Molti beni e diritti immateriali attengono al patrimonio tecnologico
dell’impresa, ma l’ambiente tecnologico odierno è caratterizzato da un
elevato grado di turbolenza, con elevati rischi di obsolescenza
 I beni e i diritti immateriali presentano caratteri di marcata specificità: al di
fuori del loro contesto competitivo originario, tali beni hanno ridotta o nulla
capacità di produrre flussi reddituali positivi
 La specificità dell’investimento è talvolta così spinta che sovente l’analista
esterno non è in grado di valutare in modo approfondito la congruità
economica dei beni e diritti immateriali posseduti dall’impresa a causa della
loro natura
 Le specificità richiamate determinano condizioni di asimmetria informativa:
molti degli investimenti appartenenti a quest’area sono investimenti in
conoscenza il cui sfruttamento economico è sempre più difficile e limitato da
parte di chi quelle conoscenze non le ha prodotte direttamente, ma le ha
acquistate da terzi
Le condizioni di asimmetria informativa e di marcata specificità risultano meno
penalizzanti nel caso in cui i beni immateriali possono essere ceduti a imprese che
già operano nello stesso ambito competitivo.
LA COPERTURA DELLE IMMOBILIZZAZIONI TECNICHE
La verifica della copertura offerta del capitale netto rispetto alle immobilizzazioni si
può estendere all’intero ammontare degli investimenti strutturali operativi,
comprendendo anche le immobilizzazioni tecniche materiali.
Indice di copertura delle immobilizzazioni tecniche = capitale netto/PP&E

Quando il rapporto presenta valori maggiori dell’unità (o il margine capitale netto–


PP&E presenta valori maggiori di zero), l’impresa esprime moderati livelli di rischio
finanziario (II argine di rischio). Se le immobilizzazioni tecniche non fossero
finanziate con capitale netto, dovrebbero esserlo con finanziamenti di terzi. I
finanziamenti di terzi ai quali fare ricorso sono di due ordini:
1) I finanziamenti a breve termine; nel caso di ricorso a debiti a breve termine, il
rimborso a scadenza del debito è subordinato a due possibilità:
 Sostituzione dell’attivo: conversione in moneta delle immobilizzazioni
 Sostituzione del passivo: contrazione di un nuovo debito di importo almeno
pari a quello in scadenza
2) Finanziamenti a medio-lungo termine
La prima soluzione non è praticabile perché gli effetti sulla produzione sarebbero
deleteri. Anche la seconda soluzione è rischiosa, perché è subordinata alla possibilità
di trovare, nel rispetto dei tempi, un ulteriore finanziamento di pari importo.
Passando alla seconda ipotesi di finanziamento, l’opportunità di correlare
immobilizzazioni tecniche a debiti a medio-lungo termine (es. mutui) nascerebbe dal
fatto che il ciclo finanziario delle prime aree appare in sintonia con quello dei
secondi. Le immobilizzazioni ritornano in forma monetaria gradualmente, mediante
il processo di ammortamento; anche il mutuo è gradualmente rimborsato attraverso
il pagamento di rate periodiche. Esisterebbe, allora, la possibilità di correlare
opportunamente la rata di rimborso del mutuo con la quota di ammortamento delle
immobilizzazioni.
La condizione di equilibrio prospettata, tuttavia, è precaria e, di conseguenza,
rischiosa per il mutuante.
È necessario, infatti, che la durata del prestito sia sostanzialmente pari a quella di
sfruttamento delle immobilizzazioni: quando si manifesta l’obsolescenza però, le
immobilizzazioni non sono più in grado di produrre flussi di ricavi che coprono i costi
della produzione e, quindi, gli ammortamenti. Qualora l’impresa debitrice incontri
difficoltà economiche e abbia una conseguente riduzione del flusso dei ricavi, i primi
costi a non trovare copertura sono gli ammortamenti, proprio perché non monetari.
Inoltre, il flusso di cassa legato agli ammortamenti è pur sempre un flusso di cassa
potenziale e non reale: molto dipende dalla dinamica del capitale circolante netto
commerciale, ossia del fabbisogno finanziario suscitato dal ciclo operativo, il quale
incide direttamente sulla liquidità potenziale prodotta dalla gestione corrente,
giungendo anche ad assorbirla completamente.
Oltre a ciò, in un’impresa sana, il valore netto delle immobilizzazioni tecniche tende
a restare costante o preferibilmente a crescere, in quanto i rinnovi pareggiano o
superano gli ammortamenti e le dismissioni. Di contro, a causa dei rimborsi,
l’importo del mutuo tende gradualmente a ridursi. Pertanto, se si intendono
finanziare le immobilizzazioni ricorrendo prevalentemente a mutui, è necessario che
anche l’importo dell’indebitamento a lungo termine si mantenga costante o cresca
parallelamente alle immobilizzazioni. Questo è possibile però solo se si riescono,
tempo per tempo, a contrarre nuovi prestiti per cifra uguale, o in proporzione
costante, al costo delle immobilizzazioni e per durata coincidente con la loro
utilizzazione.
In conclusione, accettando di pareggiare tutti i costi di rinnovo e di ampliamento
delle immobilizzazioni e subordinando il rimborso dei prestiti concessi al processo di
ammortamento, il mutuante verrebbe, di fatto, a operare come un conferente di
capitale proprio, soggetto a tutti i rischi della gestione, senza goderne gli utili.
Un finanziatore razionale dovrebbe evidentemente rifiutare una tale situazione,
negoziando mutui solo per valori e durate inferiori a quelli degli investimenti da
finanziare, così da scontare, almeno in parte, le condizioni di rischio insite
nell’operazione.
Vi è un’ultima circostanza a favore di una piena copertura delle immobilizzazioni
tecniche con mezzi propri: ciò consentirebbe di sfruttare l’effetto di
autofinanziamento dovuto al processo di ammortamento. Con un margine di
struttura positivo, cioè, la liquidità creata non viene drenata dal servizio del debito
e, se opportunamente gestita, rende più agevole e rapido il graduale rinnovo e
sviluppo delle immobilizzazioni, svincolando l’impresa dalle congiunture, talvolta
negative, attraversate dal mercato finanziario.
Conclusione: salvo oscillazioni temporali nel valore delle immobilizzazioni nette,
l’impresa può sopravvivere e svilupparsi in condizione di equilibrio quanto più alta è
la proporzione fra capitali propri e investimenti durevoli. Il valore soglia di 1,
pertanto, va inteso come valore tendenziale: si giudicherà la struttura finanziaria
tanto più rischiosa, quanto maggiore è il peso dell’indebitamento utilizzato per
finanziare le immobilizzazioni.
Attraverso il tasso di copertura generale delle immobilizzazioni37 si verifica in che
misura il fabbisogno finanziario durevole (espresso dal totale delle immobilizzazioni)
è coperto con fonti di finanziamento aventi analoga durata:
(capitale netto + debiti finanziari a medio-lungo termine)/investimenti durevoli

Si impongono valori parametrici senz’altro superiori a 1. È, quindi, necessario che le


fonti durevoli di capitale non si limitino a coprire le sole immobilizzazioni, ma
concorrano alla copertura anche della quota di immobilizzazioni nascoste nel
capitale circolante.
LE CONDIZIONI DI LIQUDITA’
Il rischio finanziario si palesa lungo due dimensioni: solidità patrimoniale e liquidità.
La solidità è la condizione necessaria per garantire finanziatori. Ciò non toglie che
l’economico funzionamento dell’impresa presupponga la capacità di questa di far
fronte con le proprie entrate alle uscite derivanti dagli impieghi di pagamento. La
mancanza di questa condizione qualifica l’impresa come insolvente.
L’analisi della liquidità può essere condotta seguendo due vie:
 Analisi statica: si basa sul confronto di stock patrimoniali
 Analisi dinamica: esame dei flussi monetari nel corso del tempo
L’ANALISI STATICA DELLA LIQUIDITA’ E LO STATO PATRIMONIALE FINANZIARIO
L’analisi di liquidità condotta mediante l’esame delle relazioni tra stock patrimoniali
presuppone di sottoporre lo stato patrimoniale a una riclassificazione secondo un
criterio finanziario. Le poste patrimoniali sono rilette guardando alla facilità con la
quale possono dare luogo a movimenti di moneta:
 Le poste dell’attivo sono esaminate considerando la loro attitudine a
procurare mezzi finanziari
 Le poste del passivo sono esaminate considerando la loro attitudine a
richiedere mezzi finanziari
C’è un’inversione rispetto alla logica di costruzione dello stato patrimoniale di
bilancio e a quella che ispira la riclassificazione di pertinenza gestionale: gli
investimenti sono visti come le determinanti del fabbisogno finanziario; mentre i
finanziamenti rappresentano le fonti alle quali si è fatto ricorso per fronteggiare tale
bisogno; nello spazio patrimoniale finanziario, è l’esigenza di rimborso dei

37
Grado di copertura delle immobilizzazioni: indica il grado di copertura delle immobilizzazioni con fonti consolidate.
se il valore è maggiore a 1, significa che le fonti di finanziamento consolidate sono maggiori alle attività immobilizzate.
finanziamenti che genera fabbisogno finanziario e per coprire tale fabbisogno si
guarda alla possibilità di conversione in moneta degli investimenti. Le attività
diventano così la potenziale fonte di copertura delle passività.
Per facilità di trasformazione in moneta si intende:
 In tempi brevi
 Mantenendo un’impresa in funzionamento
L’equilibrio di liquidità dovrebbe essere verificato istante per istante, ma si ripiega
su un intervallo di tempo convenzionalmente breve. Si considerano facilmente
trasformabili in moneta le poste il cui ciclo di ritorno in forma monetaria è inferiore
o al più uguale all’anno (ad esempio le scorte di magazzino sono generalmente
considerate facilmente monetizzabili).
La più o meno agevole trasformazione in moneta deve avvenire mantenendo le
imprese in funzionamento: la trasformazione, cioè, non deve pregiudicare la
possibilità dell’impresa di continuare a funzionare in modo economico.
Le poste dell’attivo patrimoniale considerate facilmente trasformabili in moneta
sono quelle che:
 Ritornano naturalmente in tale forma entro il periodo di riferimento prescelto
 Possono essere forzatamente trasformate in moneta entro lo stesso periodo
(ciclo di ritorno abbreviato attraverso animazione)
L’accorciamento forzato del tempo di ritorno in moneta non deve, tuttavia,
pregiudicare la capacità dell’impresa di continuare a svolgere in futuro la sua
funzione produttiva in modo economico (ad esempio le obbligazioni speculative
possono essere alienate senza compromettere lo svolgimento dell’attività aziendale,
ma le obbligazioni strategiche recherebbero danni all’economia se trasformate in
moneta in tempi brevi attraverso la vendita sul mercato).
I valori di stato patrimoniale sono raccolti all’interno di alcune macro-classi o zone. I
valori di attivo patrimoniale sono ripartiti in due grandi zone che riflettono diversi
orizzonti temporali di trasformazione monetaria delle poste:
 Attività correnti o capitale circolante lordo: investimenti rapidamente
convertibili in moneta, entro il periodo convenzionale di 12 mesi (attività a
breve termine)
 Attività immobilizzate o capitale fisso: investimenti più lentamente
convertibili in moneta e comunque oltre il periodo di 12 mesi
Il passivo patrimoniale è distinto in due zone:
 Passività correnti: finanziamenti, diretti o indiretti, destinati a essere
rimborsati nel breve termine o aventi scadenza indeterminata, ma soggetti a
revoca
 Capitali permanenti: finanziamenti durevolmente vincolati dall’impresa e che,
come tali, non suscitano impegni di rimborso nel breve termine
All’interno dei capitali permanenti si distinguono38:
 Passività differite o consolidate: valori di passivo in senso stretto; valori
patrimoniali che esprimono, sostanzialmente, debiti. Sono impegni di
pagamento che l’impresa è chiamata a fronteggiare nel medio e lungo
termine
 Capitale netto: non è passivo in senso stretto; rappresenta il concorso del
soggetto economico al finanziamento dell’impresa. Non esprime capitale
acquisito con vincolo di debito, bensì con vincolo di pieno rischio. Non è
previsto il rimborso durante il funzionamento dell’impresa
Le zone possono essere disposte secondo un criterio di liquidità crescente39 o di
liquidità decrescente.
IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO FINANZIARIO E LA LIQUIDITA’ GENERALE
Attività correnti e passività correnti sono valori patrimoniali che, nell’impresa in
funzionamento, daranno o potranno dare luogo in tempi brevi a flussi di entrate e
uscite monetarie. L’equilibrata dinamica di tali flussi è il presupposto della liquidità
aziendale.
Laddove il volume delle attività correnti fosse inferiore a quello delle passività
correnti, l’impresa non sarebbe capace di far fronte nel tempo breve ai propri
impegni di pagamento e si manifesterebbe una tensione liquida.
Il confronto tra AC (attività correnti) e PC (passività correnti) si traduce nel calcolo
del margine denominato capitale circolante netto finanziario (CCNf):

CCNf = Attività correnti – Passività correnti

38
La somma delle passività a lungo termine (ad esempio, mutui e prestiti obbligazionari non in scadenza) e del
patrimonio netto. Rappresenta l'insieme delle fonti di finanziamento a disposizione di un'azienda per un periodo
pluriennale.
39
La riclassificazione dello Stato Patrimoniale avviene secondo criteri finanziari: il patrimonio è un insieme di
impieghi/fonti, le attività (impieghi) sono indicate secondo il loro grado di liquidità crescente, ovvero secondo la loro
capacità di trasformarsi in moneta entro 12 mesi
La presenza di condizioni di equilibrio è segnalata da un’eccedenza delle attività
correnti sulle passività correnti, ossia da un valore positivo del CCNf. Limiti del CCNf:
 Un valore elevato del CCNf può nascere dalla presenza di ingenti valori di
attività correnti difficilmente liquidabili. Il problema si pone soprattutto per le
rimanenze di magazzino la cui liquidabilità dipende largamente dalle
dinamiche di mercato
 Il CCNf non considera l’aspetto temporale della situazione di liquidità: il
confronto è fra masse di attività e di passività che potrebbero dare luogo a
movimenti di moneta nel breve termine: tuttavia, se le attività correnti si
convertono in moneta al termine dell’anno, mentre le passività correnti
danno luogo a uscite monetarie nei primi periodi dell’anno, la liquidità è solo
apparente
 I valori di attivo e passivo corrente esprimono solo una parte dei futuri flussi
di entrate e uscite monetarie nel breve; mancano all’appello tutte le entrate e
le uscite che deriveranno dalle operazioni di gestione futura e che non sono
ancora riflesse nello stato patrimoniale
Il CCNf può essere considerato un indicatore di massima dell’equilibrio di liquidità,
che esprime solo una condizione di liquidità contabile. Però, un CCNf negativo suona
come campanello di allarme: anche se i tempi fossero sfasati, le entrate nel breve
sarebbero di importo inferiore alle uscite nel breve. La presenza di un CCNf positivo
è condizione necessaria, ma non sufficiente, per una equilibrata situazione di
liquidità.
- AC > PC = CCNf > 0, presenza di condizioni di liquidità contabile
- AC < PC = CCNf < 0, condizione di pericolo con conseguente rischio di liquidità
Indicazioni analoghe sono fornite dall’indice di liquidità generale:

Indice di liquidità generale = AC/PC

La situazione di liquidità è giudicata positivamente quando il quoziente di


disponibilità è maggiore di 2; come dire che se le attività correnti sono il doppio
delle passività correnti, i limiti insiti nel confronto fra queste grandezze sono
attenuate. In definitiva, se il margine fra i potenziali volumi di incassi e di pagamenti
è alto, l’impresa può godere di una certa tranquillità sul piano monetario.
IL MARGINE DI TESORERIA E LA LIQUIDITA’ IMMEDIATA
I valori raccolti tra le attività correnti e le passività correnti presentano, pur
nell’ambito del convenzionale breve termine, durate dei cicli di realizzo fra loro
diverse:
 Le scorte di materie prime comprendono una componente vincolata alle
esigenze tecniche del processo produttivo. Inoltre, anche la parte non
vincolata presenta vario grado di liquidità nel breve. Le materie prime, infatti,
devono attraversare stadi successivi di trasformazione tecnica ed economica
prima di poter diventare moneta: lavorazione, commercializzazione,
pagamento
 Anche le scorte di prodotti finiti presentano un profilo di liquidità diverso
rispetto ad altri investimenti operativi quali le materie prime e i crediti
commerciali: lo stadio della commercializzazione le separa dai crediti
commerciali, lo stadio della lavorazione le separa dalle materie prime
Da qui l’opportunità di evidenziare i valori del magazzino distinguendoli, a loro volta,
fra disponibilità tecniche (materie prime e semilavorati) e disponibilità commerciali
(prodotti finiti).
Passando alle passività correnti, si considerino i debiti verso le banche per
operazioni a breve, tipicamente gli scoperti di c/c40. Si tratta di finanziamenti a breve
da un punto di vista formale, ma non sostanziale: salvo revoca, non impegnano
monetariamente l’impresa.
È possibile individuare, all’interno del CCNf, alcune aree di valori con diversa
urgenza in termini di liquidità. I valori delle attività correnti possono, pertanto,
essere utilmente distinti in tre categorie, caratterizzate da tempi diversi di passaggio
alla condizione liquida:
 Disponibilità:
- Disponibilità tecniche (scorte di materie prime e semilavorati)
- Disponibilità commerciali (scorte di prodotti finiti)
 Liquidità differite:
- Commerciali (crediti verso clienti)
- Finanziarie (crediti finanziari)
Distinzione analoga per le passività correnti:
 Passività a breve, ma a scadenza indeterminata (apertura di credito in c/c)

40
In campo bancario, lo scoperto è la situazione in cui l'importo degli addebiti in conto corrente ecceda quello degli
accrediti e il conto assume così un saldo debitore per il cliente. ... Lo scoperto di conto va distinto dallo sconfinamento
che ricorre quando il conto corrente sia assistito da un fido bancario.
 Passività che si rinnovano per rotazione (debiti verso fornitori)
 Passività a breve in senso stretto (rate di mutui in scadenza nel breve,
versamenti tributari, dividendi)
Avvicinandosi alle ultime porzioni di attività correnti e passività correnti si
incontrano i valori con il massimo impatto monetario sulla gestione.
È possibile calcolare alcuni indicatori di liquidità che si possono esprimere in termini
di margini o indici:

 Margine di tesoreria = attività correnti – scorte di magazzino – passività


correnti  il confronto avviene tra valori di liquidità immediate e differite
e complessivo indebitamento a breve termine. Esprime la capacità
dell’impresa di coprire le passività correnti ricorrendo alle sole liquidità,
intese come somma di cassa e crediti incassabili nel breve termine.
Un’impresa in condizioni di equilibrio di liquidità dovrebbe presentare un
margine di tesoreria positivo (indice di liquidità maggiore di 1)
 Indice di liquidità = (attività correnti – scorte di magazzino)/passività
correnti  si ritiene che il suo valore non dovrebbe essere inferiore a 1.
Sono eliminate le scorte, ma restano i crediti commerciali, i quali, prima di
diventare moneta, devono passare attraverso lo stato della riscossione
 Il margine di tesoreria o indice di liquidità secca = liquidità immediate –
passività correnti  esprime in quale misura le disponibilità liquide sono
in grado di coprire tutte le passività correnti. Tuttavia, importanti voci di
PC comprese nei margini di tesoreria e negli indici di liquidità sopra
presentati non impegnano monetariamente l’impresa nel breve termine
(ad esempio scoperti di c/c bancario)
 Indice della prova acida o indice di cassa = liquidità immediate/passività
a breve in senso stretto  sono escluse dal calcolo tutte le attività
correnti che si rinnovano per rotazione e tutte le passività correnti che si
rinnovano a scadenza. Il confronto è solo fra cassa e cash equivalent*, da
un lato, e passività a breve in senso stretto, dall’altro

*41

41
CASH EQUIVALENT: investimenti a breve termine, facilmente convertibili in ammontare noti di denaro e soggetti ad
un rischio insignificante di variazione di valore. ... Cash e cash equivalent rientrano nel concetto di DISPONIBILITÀ
LIQUIDE utilizzato negli ITA GAAP.
LA DURATA DEL CICLO MONETARIO E LA SUA MODALITA’ DI FINANZIAMENTO
Per approfondire l’analisi di liquidità occorre determinare:
 La durata del ciclo attivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento
dell’acquisto dei fattori produttivi impiegati nel ciclo al momento dell’incasso
monetario delle vendite dei prodotti ottenuti
 La durata del ciclo passivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento
dell’acquisto dei fattori produttivi impiegati nel ciclo al momento del
pagamento monetario di tali fattori
Quanto più il tempo medio di monetizzazione della produzione è posteriore al
tempo medio dei fattori acquistati per realizzare tale produzione, tanto più si viene
a creare un buco monetario; tanto più forti sono, quindi, le tensioni di liquidità.
La ricostruzione del ciclo monetario porta a concentrare l’attenzione sul ciclo
operativo e sul capitale circolante netto commerciale, che del ciclo operativo
rappresenta l’espressione finanziaria di sintesi.
La ricostruzione del ciclo monetario si basa sul calcolo degli indici di durata delle
componenti del capitale circolante netto commerciale: durata della giacenza di
magazzino, durata dei crediti verso clienti, durata dei debiti verso fornitori.
Sommando tutte le durate così ottenute, si ottiene la durata del ciclo monetario
sotteso alla rotazione del capitale circolante commerciale, ossia il periodo
mediamente intercorrente fra le uscite monetarie derivanti dall’acquisto dei fattori
produttivi di esercizio e le entrate monetarie derivanti dalla vendita dei beni e
servizi prodotti: nella misura in cui la durata dei fornitori non riesce a coprire la
durata del magazzino e la durata dei crediti, lo sfasamento finanziario che si
manifesta deve essere coperto negoziando opportuni finanziamenti. Attraverso gli
indici di durata, l’analisi della liquidità viene a saldarsi con analisi della redditività.
Tanto più numerosi e rapidi sono i cicli investimento-disinvestimento che si
realizzano nell’ambito della gestione operativa e tanto più:
 Si moltiplica il margine lucrato su ogni ciclo
 Si recupera rapidamente moneta che può essere nuovamente utilizzata per
far fronte agli impegni di pagamento che ogni ciclo gestionale determina
Oltre che le singole durate, l’analisi deve considerare le relazioni che legano
variazioni del fatturato e consistenza del CCNc. Tale relazione è sintetizzata dal
rapporto denominato tasso di intensità del circolante (o aliquota del circolante):
Tasso di intensità del circolante (o aliquota del circolante) = CCNc/ricavi di vendita
Reciproco del turnover del CCNc: misura il fabbisogno finanziario corrente
corrispondente a un dato volume di fatturato. Ogni aumento dell’indice è
espressione di inefficienze nel governo monetario del ciclo operativo.
L’analista deve prestare attenzione anche alle modalità seguite per finanziare il
fabbisogno suscitato dal ciclo operativo. Il finanziamento mediamente riscosso
all’indebitamento bancario a breve termine è la via più frequentemente utilizzata
dalle imprese italiane. L’indice idoneo a segnalare il livello di finanziamento
bancario del CCNc è il grado di finanziamento bancario a breve del circolante:

Grado di finanziamento bancario a breve del circolante = banche c/c passivi/ CCNc

Valori di questo indicatore superiore all’unità devono richiamare l’attenzione: finché


l’indebitamento bancario a breve si limita a coprire il CCNc, ossia il fabbisogno
corrente, esso svolge la sua funzione tecnica precipua. In corrispondenza della
rotazione del CCNc, l’indebitamento si estinguerà e si riformerà ciclicamente,
assumendo così un carattere tendenzialmente autoliquidante. Laddove
l’indebitamento bancario superi l’ammontare del circolante, il collegamento con
l’andamento ciclico del fabbisogno corrente si viene, in parte, a perdere,
determinando un potenziale irrigidimento dell’indebitamente a breve e una
conseguente riduzione del grado effettivo di liquidità.
I due indicatori focalizzati sul CCNc, ossia il tasso di intensità del circolante e il
grado di finanziamento bancario a breve del circolante, sono correlati.

(CCNc/vendite) * (banche c/c passivo/CCNc) = (banche c/c passivo/vendite)

Maggiore è il fabbisogno corrente per unità di fatturato, ossia maggiore è la


rotazione del CCNc, e quanto più tale fabbisogno viene coperto mediante
l’indebitamento bancario a breve, tanto più alto sarà il tasso di intensità di tale
forma di finanziamento in rapporto al volume di affari dell’impresa, misurato
dall’indice di incidenza del finanziamento bancario a breve sui ricavi. L’aumento
del rapporto è destinato a generare una crescita del peso degli oneri finanziari sul
fatturato:

Oneri finanziari/ricavi di vendita

L’indice misura quanta parte della ricchezza lorda (ricavi) creata dall’impresa viene
mangiata dal costo dell’indebitamento. Più alto è il valore assunto dall’indice,
minore è la capacità dell’impresa di sopportare il peso degli oneri finanziari,
mantenendo la gestione in condizioni di equilibrio economico. La soglia di pericolo è
fissata al 5%. Bisogna individuare i fattori causali della maggiore o minore incidenza
degli oneri finanziari sul conto economico. L’incidenza degli oneri finanziari sui ricavi
e, quindi, sulla redditività, è funzione del:
 Costo medio dell’indebitamento finanziario (ROD, Return On Debt)
 Rapporto tra indebitamento finanziario e ricavi di vendita (tasso di intensità
dell’indebitamento): per valori superiori all’unità, ossia con debiti maggiori
del fatturato, si viene a creare una situazione nella quale il peso degli oneri
finanziari sul fatturato è maggiore del costo medio dell’indebitamento. Un
tasso di intensità dell’indebitamento crescente segnala una progressiva
difficoltà dell’impresa ad assicurare, con i flussi lordi derivanti dalle vendite, il
servizio dei debiti. L’indice, in parole, viene spesso definito come punto di non
ritorno. In presenza di valori elevati del rapporto, ogni riduzione del volume di
fatturato rende l’indebitamento più rigido ed esercita sulle passività
finanziarie un pericoloso effetto di consolidamento.
L’ANALISI DINAMICA DELLA LIQUDITA’ E RENDICONTO FINANZIARIO
Mentre l’analisi statica si basa sul confronto di stack patrimoniali, l’analisi dinamica
si traduce nell’esame dei flussi e deflussi di cassa nel corso del tempo. I flussi
monetari sono ricavati dal rendiconto finanziario.
L’analisi dinamica ha come obiettivo generale quello di formulare un giudizio sulle
condizioni finanziarie della gestione. L’analisi deve prendere le mosse dall’esame del
segno e dall’intensità della variazione subita dalla risorsa finanziaria di riferimento.
Tale esame deve essere condotto alla luce delle condizioni di equilibrio reddituale,
patrimoniale e finanziario; deve inoltre tenere in conto il profilo strategico
dell’impresa.
La costruzione del rendiconto ha messo in evidenza tre fondamentali zone
monetarie della gestione:
 Produzione
 Assorbimento
 Raccolta
Gli indici costruiti utilizzando dati di flusso sono indici di cash flow42. Essi hanno un
grado di oggettività maggiore rispetto agli indici costruiti usando altre quantità

42
Il cash flow o “flusso di cassa” è un importante indicatore che ti consente di valutare la capacità finanziaria e la
redditività della tua impresa e mostra se le risorse disponibili sono sufficienti per autofinanziare la tua attività
aziendale.
contabili, perché il ricorso ai flussi finanziari permette di neutralizzare le principali
politiche di bilancio.
Non si sovrappongono ad altre categorie di indicatori e hanno un forte e autonomo
valore predittivo della possibilità che un’impresa possa incorrere in future crisi
finanziarie e reddituali: aiutano, quindi, a discriminare le imprese a più alto rischio di
solvibilità.
L’analisi si deve sviluppare per zone monetarie; poi, l’esame delle zone va integrato
con quello delle aree gestionali:
 Nell’area della produzione di moneta, l’analisi si concentra sul flusso di cassa
operativo corrente del quale si valutano le condizioni di efficienza e di qualità
 Nella zona di assorbimento di moneta, l’analisi riguarda il fabbisogno
finanziario ed è rivolta a verificare in che misura la moneta prodotta riesce a
servire le esigenze espresse dalle altre aree di gestione, tipicamente lo
sviluppo della strutta operativa e il servizio del debito e dell’equity
 Nella zona della raccolta di moneta, si procede all’analisi delle scelte di
finanziamento alla luce della complessiva struttura finanziaria dell’impresa e
delle condizioni di equilibrio dei diversi aggregati patrimoniali che da tali
scelte risultano influenzati
LA PRODUZIONE DI MONETA
La gestione operativa compendia la zona della produzione di moneta.
L’analisi del flusso si sviluppa su due livelli:
 Il grado di efficienza mostrato dalla gestione nella generazione di tale flusso
 La qualità del flusso corrente, individuando in che misura esso dipende dai
vari driver che ne determinano la consistenza
Indici di efficienza della produzione di moneta:

 EBITDA/Ricavi di vendita = moneta potenzialmente estratta da ogni euro di


vendita
 Flusso corrente/ricavi di vendita = moneta effettivamente estratta da ogni
euro di vendite
 Free cash flow/ricavi di vendita = moneta estratta da ogni euro di vendite al
netto dei reinvestimenti
Critica appare la situazione quando il flusso operativo corrente è negativo. Tale
circostanza si manifesta nelle fasi di avvio dell’impresa, in periodi di intensa
ristrutturazione o in fasi di prolungata crisi reddituale.
È utile misurare la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni di pagamento
attingendo allo stock di liquidità di cui dispone:

Burn rate = disponibilità liquidite/flusso operativo corrente

Moltiplicando per 360 per il burn rate è possibile calcolare quanti giorni di spese
correnti la liquidità in cassa è in grado di coprire:

Defensive interval = 360 * burn rate

L’importanza del flusso di cassa operativo corrente spinge ad approfondire i fattori


causali che ne influenzano il livello. La direzione nella quale muoversi è dettata dalla
sequenza di calcolo seguita per determinare tale flusso; si propongono come
fondamentali driver di cassa:
 L’autofinanziamento operativo
 Il capitale circolante netto commerciale (CCNc)
È lungo queste coordinate che va sviluppata l’analisi della zona di produzione delle
risorse monetarie
ANALISI DELL’AUTOFINANZIAMENTO
EBITDA margin = autofinanziamento operativo lordo (EBITDA)/Ricavi

Esprime la capacità potenziale dell’impresa di generare moneta attraverso le


vendite del ciclo operativo. Livelli elevati dell’indice segnalano un rilevante grado di
efficienza monetaria della gestione e un’alta qualità dei risultati aziendali.
Il margine di autofinanziamento dipende dal differenziale fra ricavi di vendita e costi
operativi di derivazione monetaria, che appaiono come le due fondamentali
direttrici dell’analisi dell’autofinanziamento.
L’analisi del fatturato chiama in causa i prezzi-ricavo negoziati sui mercati, i volumi di
attività realizzati, la composizione del fatturato.
Quanto agli opex, questi sono prevalentemente influenzati dalle modalità di impiego
dei fattori produttivi: materie prime e servizi, lavoro. La capacità dell’impresa di
contenere gli opex si lega a:
 Incrementi di efficienza interna, ossia di produttività nell’impiego dei fattori
della produzione
 Recuperi di efficienza esterna, ossia a riduzioni dei prezzi-costo negoziati sui
mercati di acquisto
Il richiamo alla gestione dei ricavi di vendita e degli opex consente di ricostruire il
complesso reticolo dei fattori causali che determinano il tasso di autofinanziamento.
Fra i diversi fattori causali, gli ammortamenti, insieme al risultato operativo,
costituiscono l’asse portante dell’autofinanziamento. Questi rappresentano, sia pur
indirettamente, un trattenimento di ricchezza da destinare alla ricostruzione delle
immobilizzazioni tecniche; quindi, i flussi di cassa originati dall’ammortamento sono
vincolati al rinnovo della struttura produttiva. Di conseguenza, maggiore è
l’incidenza degli ammortamenti sul flusso di cassa potenziale espresso
dall’autofinanziamento, minore è la qualità del flusso, perché minore è la parte di
esso del tutto libera per fronteggiare altre occorrenze monetarie senza
compromettere il mantenimento della struttura operativa. Pertanto, è opportuno
integrare l’analisi dell’autofinanziamento con il calcolo del rapporto:

Ammortamenti/EBITDA

L’indice esprime la composizione dell’autofinanziamento; attraverso esso è possibile


apprezzare in che percentuale l’ammortamento concorre a formare la consistenza
del flusso di cassa operativo potenziale dell’impresa. L’interpretazione del
rapporto, tuttavia, può risultare fuorviata dalle politiche di ammortamento
perseguite dai redattori del bilancio, quindi, deve essere integrata con il tasso di
ammortamento: quest’ultimo, in quanto calcolato sul valore lordo delle
immobilizzazioni tecniche, esprime l’aliquota di ammortamento effettivamente
utilizzata in bilancio; comparandolo nel tempo, l’indice segnala immediatamente se
e in che misura tale aliquota è stata variata rispetto agli esercizi precedenti.
ANALISI DEL CAPITALE CIRCOLANTE (CCNc)

Tasso di intensità del circolante = CCNc/ricavi di vendita


Esprime il fabbisogno finanziario per unità di fatturato. Dipende dalle politiche
commerciali adottate o subite dall’impresa: dilazioni concesse ai clienti, costituzione
delle scorte di magazzino, dilazioni ottenute dai fornitori.
L’analisi si deve concentrare:
 Sull’entità del rapporto: più alto è il livello dell’indice, più severo è il giudizio
sulle condizioni dell’impresa, in quanto maggiore è il fabbisogno finanziario
per unità di fatturato da soddisfare per sostenere il volume di affari
 Sulle variazioni subite dall’indice nel corso degli esercizi: a parità di tutti gli
altri fattori il CCNc dovrebbe rimanere proporzionato alle vendite; un
aumento dell’indice segnala il manifestarsi di effetti assorbimento che sono
spia di condizioni di overtrading

Flusso operativo corrente/autofinanziamento netto

Sintetizza gli effetti esercitati dalla dinamica del CCNc sul flusso di cassa operativo
corrente. Ogni volta che esso è inferiore all’unità si segnala l’azione di assorbimento
di risorse esercitata dal CCNc; laddove sia superiore all’unità emerge il contributo
monetario derivante dalla compressione del circolante. Se il sovra assorbimento di
risorse esercitata dal CCNc è pernicioso, d’altro canto la spremitura del circolante
può mascherare problemi a livello di produzione potenziale di moneta; inoltre, è in
grado di esercitare un effetto solo temporaneo sulla liquidità aziendale,
scontrandosi con precisi limiti economico-tecnici rappresentati da: condizioni
competitive dell’area d’affari in cui l’impresa opera, vincoli tecnici del processo
produttivo attuato.
In ogni impresa esiste un livello oltre il quale il CCNc non può essere ulteriormente
ridotto senza danneggiare il cuore dell’operatività aziendale.
L’ASSORBIMENTO DI MONETA
I flussi monetari prodotti dalla gestione operativa corrente costituiscono risorse
finanziarie destinate a soddisfare i fabbisogni derivanti dalle altre aree di gestione.
Le aree di gestione che tipicamente determinano assorbimento di moneta sono
rappresentate da:
 La gestione operativa strutturale
 La gestione finanziaria passiva
Nella zona dell’assorbimento di moneta, l’analisi del fabbisogno finanziario richiede
di indagare:
 La composizione del fabbisogno finanziario, individuando dove sono state
assorbite le risorse finanziarie prodotte
 La copertura del fabbisogno finanziario, valutando se le risorse finanziarie
prodotte sono sufficienti a fronteggiare le diverse dimensioni del fabbisogno
È opportuno compiere un’analisi di composizione dell’area di assorbimento. Per
ricostruire la composizione degli impieghi occorre:
 Individuare le voci del rendiconto che esercitano un effetto di assorbimento di
risorse monetarie:
- Incrementi di investimenti nella struttura operativa (capex)
- Servizio del debito
- Distribuzione di utili
 Determinare l’importo totale di tali voci
 Pesare l’importo totale di ciascuna voce di assorbimento sul totale del
fabbisogno finanziario manifestandosi nell’esercizio
Analizzando la composizione dell’assorbimento, si riesce ad apprezzare con
immediatezza quale ambito di gestione pesa di più sulle casse aziendali.
Successivamente, si passa ad esaminare la copertura dei fabbisogni. Dopo aver
misurato il grado di efficienza nella produzione di moneta, l’analisi del rendiconto
prosegue, verificando il grado di sufficienza di tale produzione. Si tratta di verificare
in che misura i flussi correnti riescono a servire le esigenze espresse dalle altre aree
di gestione. L’analisi di sufficienza è diretta a valutare:
 La sufficienza rispetto alle esigenze di finanziamento della struttura operativa
 La sufficienza rispetto alle esigenze di rimborso e remunerazione dei
finanziatori, portatori di capitale sia di credito che di rischio
IL SERVIZIO DELLA STRUTTURA E IL FREE CASH FLOW FROM OPERATIONS
Il primo fabbisogno del quale occorre verificare la capacità di copertura è quello
generato dalla gestione operativa strutturale.
Il free cash flow from operations consente di verificare se i flussi prodotti
internamente sono sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario derivante dagli
investimenti in immobilizzazioni tecniche, materiali e immateriali (capex).
La sufficienza del free cash flow può essere espressa mediante un indicatore:
Flusso operativo corrente/capex
L’indice sintetizza (meglio di un valore assoluto) la proporzione fra le due
componenti essenziali del free cash flow: la moneta internamente prodotta e gli
esborsi per gli investimenti strutturali. L’impresa deve essere in grado di soddisfare,
autonomamente, i fabbisogni finanziari relativi agli investimenti necessari per
consolidare e sviluppare la struttura con la quale compete nei business di
riferimento.
Valori dell’indice inferiori all’unità sono da giudicare negativamente, salvo che
l’impresa non abbia avviato un intenso processo di sviluppo degli investimenti: in tal
caso, per finanziare la struttura, è sempre possibile ricorrere all’indebitamento o alla
raccolta di capitale di rischio; tuttavia, oltre all’onerosità di queste scelte, occorre
considerare che i tempi del mercato finanziario non necessariamente coincidono
con quelli della competizione nelle ASA.
Solo disponendo di risorse internet, l’impresa è effettivamente in grado di agire con
la tempestività richiesta e senza condizionamenti.
Si distinguono, all’interno del capex:
 Investimenti di rinnovo
 Investimenti di sviluppo
Gli investimenti di mantenimento si configurano come esborsi vincolati e
inderogabili (mandatory) per la sopravvivenza nel breve termine; gli investimenti
per lo sviluppo, invece, hanno carattere discrezionale, nel medio e lungo termine.
Se è indispensabile che il flusso operativo corrente copra il capex di mantenimento,
non è altrettanto indispensabile, né spesso possibile, che esso copra anche il capex
determinato dalle politiche di sviluppo. L’adeguatezza dei flussi correnti rispetto ai
bisogni derivanti dagli investimenti strutturali dovrebbe essere analizzata valutando
separatamente:
 La sufficienza del flusso corrente rispetto agli investimenti di rinnovo
 La sufficienza del flusso corrente rispetto agli investimenti di sviluppo

Capex/ammortamenti

Con valore uguale a uno, l’indice indica che i nuovi investimenti pareggiano il
consumo delle immobilizzazioni preesistenti, idealmente espresso dalla quota di
ammortamento; sono, quindi, investimenti di mantenimento. Quando l’indice ha
valori superiori all’unità, esso segnala un processo di sviluppo degli investimenti.
Questi spunti interpretativi possono essere integrati con il calcolo del tasso di
sviluppo delle immobilizzazioni e del grado di ammortamento.
ALBERO DEL FREE CASH FLOW E ANALISI PER ASA
Altri indici possono essere usati per esprimere il free cash flow non in valore
assoluto, ma in termini percentuali. Il free cash flow viene impiegato per costruire
indici di efficienza attraverso i quali misurare percentualmente il rendimento
monetario della gestione operativa:

 Free cash flow from operations/ricavi di vendita (cash flow ROS)


 Free cash flow from operations/COIN (cash flow ROI)

A differenza degli indicatori di efficienza presentati precedentemente, non ci si


limita a misurare il risultato monetario corrente della gestione operativa, ma si tiene
conto anche del complessivo fabbisogno di capitale strutturale necessario per
ottenere quel risultato.
Il cash flow ROI rappresenta il rendimento monetario degli investimenti operativi,
attraverso il quale vengono remunerati i finanziatori dell’impresa, ossia i creditori
finanziari. L’indice trova il suo naturale termine di confronto nel costo medio
ponderato del capitale: il valore economico di un’impresa con rendimento
monetario operativo inferiore al costo medio ponderato del capitale è negativo.
L’analisi del free cash flow non può essere condotta prescindendo dalla fase del ciclo
di vita che l’impresa sta attraversando. Appare fisiologico che il free cash flow sia
negativo in alcuni momenti: non è allarmante se questo avviene in corrispondenza
delle fasi difficili del ciclo di vita (introduzione e primo sviluppo); è però grave se ciò
si verifica quando l’impresa sta attraversando le fasi più favorevoli.
Segnali di allarme vengono lanciati anche quando i livelli di free cash flow sono
molto alti nelle fasi iniziali del ciclo: flussi elevati in questi momenti potrebbero
essere spia di politiche gestionali miopi, destinate a sacrificare il percorso di crescita
dell’impresa.
L’indagine prospettata dovrebbe essere sviluppata separatamente per ciascuna
delle ASA nelle quali l’impresa opera. Pertanto, l’impresa deve corredare il proprio
bilancio con un prospetto di segment reporting, sulla base del quale è possibile
ricostruire il free cash flow di ogni area di affari. Per la valutazione del portafoglio si
ricorre poi alle matrici di portafoglio. Ad esempio, utilizzando una matrice BCG:
 Nel quadrante question mark, i flussi di cassa tendono a essere negativi
 Nel quadrane star, i flussi di cassa sono decisamente negativi, almeno nei
momenti iniziali
 Nel quadrante cash cow, i flussi di cassa sono positivi e copiosi
 Nel quadrante dog, i flussi di cassa sono negativi o assai esigui
IL SERVIZIO DEI FINANZIATORI
La verifica del grado di sufficienza del flusso di cassa operativo corrente prosegue
con l’analisi dei bisogni della gestione finanziaria passiva. La moneta prodotta dal
ciclo operativo, infatti, deve trovare impiego, oltre che nel finanziamento della
struttura, nel soddisfacimento delle attese degli investitori: coloro che hanno
conferito capitale di credito e i portatori di capitale di rischio. I flussi di servizio
originati dalla gestione finanziaria sono:
 Sevizio del debito, con il pagamento degli interessi e del rimborso delle quote
di indebitamento
 Servizio dell’equity, con la distribuzione di utili ai soci e gli eventuali rimborsi
di capitale sociale
Gli indicatori che possono essere costruiti per analizzare questi aspetti della
dinamica monetaria dell’impresa appartengono, ancora, alla famiglia dei cosiddetti
indici di sufficienza (indici di coverage), in quanto consentono di capire se le risorse
rese disponibili dalla gestione operativa sono sufficienti a servire i finanziatori.
IL SERVIZIO DEL DEBITO
L’analisi del servizio del debito è orientata ad acquisire elementi per formulare un
giudizio compiuto sulle condizioni di solvibilità della gestione. La misura del flusso
monetario da contrapporre agli esborsi causati dai debiti è l’EBITDA, ossia
l’autofinanziamento operativo lordo. I due fondamentali indici di coverage43 sono:

 EBITDA/Oneri finanziari  si verifica la capacità dell’impresa di far fronte


al pagamento degli interessi passivi.
 EBITDA/quote di rimborso dei debiti finanziari  misura la capacità
dell’impresa di coprire le quote capitale del debito

Condizioni di equilibrio sono segnalate da valori degli indici superiori all’unità. In


entrambi i casi si vuole verificare l’attitudine a fronteggiare in modo autonomo gli

43
Gli indici di interest coverage indicano il numero di volte in cui il risultato operativo oppure i flussi di cassa operativi
coprono gli interessi netti.
esborsi legati ai debiti contratti. Infatti, il servizio del debito realizzato mediante
ricorso ad altro indebitamento è un inequivocabile sintomo di difficoltà finanziaria.
Limiti:
 L’impiego dell’EBITDA come misura della moneta autoprodotta per servire i
debiti è un’approssimazione grossolana in periodi caratterizzati da
un’intensa dinamica del CCNc e in fase di riduzione dell’organico, con
conseguenti cospicui esborsi per trattamenti di fine rapporto; questo limite
può essere superato impiegando al numeratore dell’indice il flusso di cassa
operativo corrente al posto dell’EBITDA
 L’autofinanziamento al quale ci si riferisce è al lordo delle imposte
Altri indici di copertura sono:

 EBITDA/posizione finanziaria netta corrente


 EBITDA/indebitamento finanziario netto
 Free cash flow from operations/(oneri finanziari + rimborso debiti
finanziari)  l’impresa è veramente solvibile solo se è in grado di
pagare gli interessi e rimborsare i debiti senza sacrificare lo sviluppo
degli investimenti relativi alla struttura operativa; il free cash flow può
essere più propriamente ricalcolato sottraendo dal flusso operativo
corrente i soli sborsi strutturali per investimenti di mantenimento,
ottenendo così il free cash flow per pagamenti vincolati, da impiegare
per costruire gli indici di coverage
IL SERVIZIO DELL’EQUITY
In una visione allargata della gestione finanziaria passiva rientra anche la gestione
delle risorse finanziarie investite dai soci. Si tratta di verificare se i flussi monetari
prodotti sono sufficienti a coprire gli esborsi legati alla remunerazione del capitale di
rischio. Tenuto conto che la remunerazione del capitale di rischio è subordinata al
servizio dei debiti, l’attenzione si deve concentrare sul free cash flow to equity.
Il servizio dei finanziatori a pieno rischio si lega alla distribuzione di utili, per cui la
sufficienza del free cash flow to equity può essere misurata dall’indice:

Free cash flow to equity/dividendi

Un valore dell’indice inferiore all’unità segnala che l’impresa, per distribuire ai soci
risultati della gestione, deve agire sulla consistenza della risorsa finanziaria di
riferimento, riducendo le proprie disponibilità liquide o facendo ricorso
all’indebitamento a breve, piuttosto che a medio-lungo termine.
L’analisi della distribuzione dell’utile può essere integrata con il calcolo di alcuni
indici tipici della borsa:

 Dividendi/numero di azioni
 Utile d’esercizio/numero di azioni
 Dividendi/utile di esercizio

La distribuzione è di regola a carattere discrezionale, ma esistono anche situazioni di


diritto che eliminano o riducono ogni discrezionalità e vengono ad assimilare tale
distribuzione al servizio dei prestiti. In questo caso, il margine monetario in base al
quale compiere le valutazioni di sufficienza dovrebbe essere rivisto, calcolando un
flusso di cassa disponibile per distribuzioni vincolate di utili e, in seguito un flusso di
cassa discrezionale, liberamente disponibile per finanziare il capex di sviluppo e per
la remunerazione non vincolata degli azionisti. La capacità di servire gli azionisti può
essere così ricalcolata:

 Flusso di cassa per distribuzioni vincolate di utili/dividendi su azioni privilegiate


 Flusso di cassa discrezionale/dividendi su azioni non privilegiate

LA GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI FINANZIARI


Alla gestione finanziaria appartengono anche le operazioni di gestione finanziaria
attiva. Ai fini di una valutazione critica degli impieghi della gestione finanziaria
attiva, le operazioni che determinano assorbimento devono essere interpretate
uscendo dai confini del rendiconto. Ciascuna causale, infatti, porta a valutazioni
differenti a seconda del più ampio contesto aziendale nel quale si inserisce.
Quanto alle fonti di risorse (disinvestimenti, interessi, cedola e simili), se frutto di
investimenti finanziari che l’impresa intende mantenere durevolmente, assumono
un carattere di ricorrenza; pertanto, gli indici di sufficienza prima proposti possono
essere rivisti, aggiungendo al valore del flusso operativo corrente quello delle risorse
monetarie prodotte dalla gestione finanziaria attiva.
LA RACCOLTA DELLE RISORSE FINANZIARIE
Le operazioni attraverso le quali nuovi mezzi monetari sono acquisiti dall’esterno
sono:
 Aumenti del capitale di rischio
 Nuovi debiti finanziari
Questi ultimi si distinguono in relazione alla durata del vincolo: debiti a medio-lungo
termine, debiti a breve termine.
L’analisi della raccolta deve in primo luogo consentire di apprezzare se e in che
misura l’impresa ha attinto alle due fonti; si deve cioè condurre un’analisi di
composizione della raccolta.
L’analisi di composizione della raccolta presuppone di determinare il totale dei
mezzi monetari acquisiti sia sotto forma di debiti, che di capitale di rischio; rispetto a
tale ammontare si pesano gli importi delle singole voci di raccolta. L’indagine
prosegue evidenziando la composizione per scadenza delle fonti reperite sul
mercato finanziario. È opportuno, per le fasi successive, individuare l’importo di
quelli che comunemente sono definiti i capitale permanenti, ossia i mezzi finanziari
durevolmente disponibili per l’impresa. La composizione della raccolta deve essere
interpretata muovendosi lungo due coordinate:
 Valutazione della scelta fra mezzi propri e mezzi di terzi
 Valutazione della scelta fra fonti durevoli e fonti a breve termine
RISCHIO FINANZIARIO E COSTO DEL CAPITALE
L’analisi della solvibilità è volta a valutare la dinamica dei flussi monetari
riconducibile alla gestione finanziaria e i livelli di rischio finanziario, ossia la
componente del grado di rischio dovuta alle condizioni finanziarie della gestione.
Individuati gli indici di solvibilità che esprimono il rischio finanziario dell’impresa,
occorre incorporare tali indici del costo del capitale, espresso dal WACC.
WACC = Kd*(1-T)*DB/(DB + E) + Ke*E/(DB + E)

Le due variabili chiave sono Kd e Ke; i restanti valori esprimono solo i pezzi necessari
per ponderare il costo delle due fonti di finanziamento. Entrambe le voci di costo del
capitale presentano due componenti:
 Un rendimento offerto da investimento senza rischio (risk)
 Un premio per il rischio che dipende dal grado di variabilità dei rendimenti
probabili dell’investimento rispetto a quello atteso
SOLVIBILITA’ E COSTO DEL DEBITO
Il premio per il rischio deve riflettere il rischio di credito, ossia il rischio di solvibilità
dell’impresa.
SOLVIBILITA’ E COSTO DELL’EQUITY
Il livello di indebitamento influenza il grado di variabilità dei redditi correnti,
trasferendo così il rischio finanziario anche agli azionisti. Gli oneri finanziari che
derivano dall’indebitamento, infatti, gravano come costi fissi sul conto economico e
rendono il reddito corrente più sensibile alle variazioni del reddito operativo. La
reattività del reddito corrente alle variazioni del reddito operativo è espressa
dall’indice del grado di leva finanziaria:

GLF = MON/reddito corrente

Moltiplicando la variazione percentuale del risultato operativo (MON) per GLF si


ottiene l’intensità della correlata variazione del reddito corrente ante imposte
(RC):
% variazione RC = % variazione MON x GLF

Più alto è il grado di leva finanziaria, più alta è la variabilità del reddito corrente
rispetto a quello atteso. Interpretando il concetto di rischio come ampiezza della
distribuzione di probabilità dei possibili valori assunti da una data grandezza rispetto
al suo valore atteso, il GLF può essere assunto a indicatore del grado di rischio
finanziario o di quanto il rischio di impresa che grava sui conferenti il capitale di
rischio è riconducibile alla componente finanziaria della gestione. La leva
finanziaria misura, dunque, l’influsso che una data combinazione di fonti di
finanziamento (di debito e di rischio) esercita sulla redditività complessiva
dell’azienda. L’effetto di leva è tanto più intenso quanto più consistente è
l’ammontare degli oneri finanziari nel conto economico. La consistenza di tale
ammontare dipende da due condizioni:
 Il costo dell’indebitamento
 Il livello di indebitamento
Se il costo del capitale risente anche delle condizioni di solvibilità della singola
impresa mutuataria, condizioni analoghe valgono anche per gli azionisti. Il grado di
indebitamento interessa agli azionisti non solo per l’effetto di leva finanziaria che
produce, ma anche per le perdite di liquidazione e i costi delle procedure
fallimentari che può determinare. Anche gli investitori tendono a scontare i rischi di
fallimento, pretendendo una maggiore remunerazione del loro capitale. Tutto ciò si
traduce in un aumento di Ke. Dato che il rischio finanziario interessa anche chi
investe in equity, bisogna incorporare le condizioni di rischio finanziario anche nel
costo del capitale di rischio Ke.

Capitolo XIV – La redditività netta


UNA MISURA DI SINTESI DELLA REDDITIVITA’ NETTA

ROE = Tasso di remunerazione del capitale netto = Reddito netto/capitale


netto

Esprime, in termini percentuali, il rendimento di ogni euro di capitale di rischio


investito nella gestione di impresa; è una misura legata al processo di distribuzione
del reddito.
Il numeratore dell’indice può essere più propriamente espresso dal reddito
corrente, per ottenere un ROE normalizzato: si tratta del ROEAST (ROE ante
componenti di reddito straordinari e imposte, intendendo per componenti
straordinari tutti i valori non ripetibili). Considerando il reddito netto di bilancio,
infatti, laddove siano presenti componenti non ripetibili, si ottiene una misura che
non esprime la stabilizzata attitudine dell’impresa a generare reddito negli esercizi
futuri.
Il valore del capitale al denominatore è la media fra il valore di inizio e quello alla
fine del periodo amministrativo osservato. Poiché l’utile che si viene gradualmente
formando durante l’anno è automaticamente reinvestito nell’attività di gestione e
concorre alla produzione delle unità successive, il capitale netto di fine anno
dovrebbe comprendere anche il risultato dell’esercizio. Dal denominatore va esclusa
la porzione di capitale riconducibile agli azionisti privilegiati: occorre, quindi,
eliminare la quota di utili che a tali azionisti deve essere corrisposta prima di
soddisfare le attese degli azionisti comuni (si ottiene il ROCE44, Return On Common
Equity).
Il ROEAST è usato per accentuare la comparabilità tra imprese con diverso regime
fiscale. Il ROCE è usato per tener conto della diversa posizione degli azionisti verso il
rischio. Più alto è il tasso remunerazione del capitale di rischio, maggiore è la
capacità potenziale dell’impresa di generare free cash flow equity. Occorre
considerare come termine di confronto del ROE il costo del capitale di rischio Ke: il
ROE misura quanto quel capitale, una volta impiegato nella gestione, ha fruttato.
Quando il ROE è maggiore di Ke, le scelte di gestione hanno creato valore, formando

44
ROCE è l'acronimo del termine inglese Return on Capital Employed. Misura il ritorno di un'azienda sul suo capitale, e
quindi misura il grado di efficienza con cui una società utilizza il capitale al fine di produrre ricavi.
un extra-profitto che determina un incremento del valore economico del capitale
degli azionisti.
LA DETERMINANTI DELLA REDDITIVITA’ NETTA
Le principali determinanti della redditività netta sono:
 La redditività degli investimenti
 L’ammontare del debito contratto
 Il costo di tale debito
L’esplicazione delle relazioni fra queste determinanti e della loro influenza sul ROE
può seguire due logiche:
 Additivo-moltiplicativa (formula Modigliani-Miller)
 Moltiplicativa (formula DuPont)
LA LOGICA ADDITIVO-MOLTIPLICATIVA
ROE = ROI + (ROI – ROD) x D/E
Dove:
ROI = Risultato ante oneri finanziari (RAOF)/capitale investito netto (CIN)
ROD = oneri finanziari netti/debiti finanziari netti
D/E = debiti finanziari netti/capitale netto

La redditività netta è espressione di sintesi delle diverse condizioni, reddituali e


finanziarie, della gestione:
 ROI esprime il rendimento dei capitali investiti al lordo del costo sostenuto
per acquisire quei capitali
 D/E rappresenta il grado di indebitamento, ossia in che misura i finanziamenti
provengono da terzi e determinano, quindi, debiti, oppure provengono
direttamente o indirettamente dai soci e, quindi, esprimono capitale di rischio
 ROD quantifica il costo medio sostenuto per raccogliere il capitale di credito
dalle diverse fonti finanziarie disponibili
Il rendimento del capitale dei soci investito nell’impresa dipende, in primo luogo, da
quanto l’impresa è in grado di far fruttare quel capitale; da qui il ROI.
L’impresa, però, per finanziare la sua attività, può ricorrere anche ai capitali di terzi,
ossia ai debiti. I debiti hanno un costo, contabilmente rilevato nel conto economico,
che è misurato dall’indice ROD. Quello che conta è la differenza tra ROI e ROD,
perché questa ricade sui portatori di capitale di rischio. Ogni volta che ROI > ROD, si
forma un margine positivo che fa guadagnare i soci, i quali si appropriano non solo
del rendimento ottenuto sul loro capitale, ma anche del rendimento ottenuto sul
capitale preso in prestito da altri, al netto del relativo costo sostenuto. La differenza
ROI – ROD è poi moltiplicata dal rapporto di indebitamento D/E.
Se l’analisi vuole tener conto anche dell’effetto delle imposte, l’intera espressione
deve essere moltiplicata per il coefficiente:

I = reddito corrente netto/reddito corrente lordo

Il ROE può essere scomposto ancora più dettagliatamente, segnando una


demarcazione fra gestione operativa e gestione finanziaria e, al contempo,
presentando, all’interno dell’area finanziaria, la separazione tra gestione degli
investimenti finanziari e gestione dell’indebitamento.
LA LOGICA MOLTIPLICATIVA
Il ROE può essere così scomposto:

ROE = ROI x leverage x IGE (Incidenza gestione extra operativa)


Dove:
ROI = RAOF/CIN
Leverage = CIN/E
IGE (Incidenza Gestione Extra Operativa) = Reddito corrente netto/RAOF

ROI è lo stesso indice della forma additiva;


leverage rappresenta il grado di indebitamento espresso in maniera indiretta; IGE
rappresenta l’incidenza di tutti i componenti di reddito al di sotto del reddito ante
oneri finanziari; si tratta di oneri e proventi derivanti dalla gestione finanziaria
passiva e da quella tributaria. È un indice di sintesi in cui confluiscono idealmente il
ROD e il tax rate.
REDDITIVITA’ NETTA LIVELLI DI RISCHIO
IL TRADING ON EQUITY (LEVA FINANZIARIA)
Il nocciolo della formula additivo-moltiplicativa è costituito dal confronto fra gli
indici ROI e ROD. Ogni volta che ROI > ROD, al crescere del rapporto di
indebitamento cresce la remunerazione del capitale netto (ROE). Ogni volta che un
euro investito nell’impresa frutta più di quanto costa prendere quell’euro a prestito,
vi sarà convenienza a finanziare le attività aziendali con la più alta percentuale
possibile di capitale di terzi e la più bassa percentuale di capitale di rischio.
REDDITIVITA’ DEGLI INVESTIMENTI E RISCHIO OPERATIVO
L’effetto trading chiarisce che, poste determinate condizioni, i capitali di terzi non
fanno male all’impresa, ma consentono di coprire i fabbisogni finanziari della
gestione e accrescere il rendimento del capitale di rischio in essa investito. Nel
valutare questo effetto reddituale occorre fare attenzione alle condizioni di rischio
della gestione.
Il ROI incorpora le condizioni di rischio operativo45. Solo se la gestione operativa è
florida e legata a circostanze non effimere, il ROI potrà essere robusto e in grado di
coprire congruamente il ROD. Se la gestione operativa è legata ad ambiti competitivi
caratterizzati da una marcata ciclicità e da una struttura dei costi tale da causare
forti oscillazioni dei margini operativi al variare del fatturato, il ROI sarà debole; sarà,
quindi, facile che la sua relazione con il ROD si possa invertire, concorrendo non più
ad accrescere la redditività del capitale degli azionisti, ma a moltiplicare le perdite.
Le imprese che si possono permettere di sfruttare maggiormente il debito sono
quelle in cui il divario ROI-ROD è fondato sulle più efficienti ed efficaci condizioni di
gestione operativa, ossia quelle che presentano un più basso livello di rischio
operativo.
IL GRADO DI INDEBITAMENTO E LE CONDIZIONI DI RISCHIO FINANZIARIO: GLI
EFFETTI SUL COSTO DEL CAPITALE E SUL VALORE FONDAMENTALE
Occorre considerare anche le condizioni di rischio finanziario, espresse dalla leva
finanziaria e collegate al grado di indebitamento.
Il ricorso all’indebitamento, oltre ad accrescere la redditività del capitale netto,
amplifica ulteriormente i livelli di rischio già riconducibili alle caratteristiche
operative della gestione. Questa circostanza si riflette necessariamente sulla misura
del costo del capitale di rischio “Ke”. Ne deriva che agli incrementi di ROE,
conseguenti al maggior ricorso al debito, si contrappone una crescita dei livelli di
rischio che gli investitori sopportano che potrebbe anche produrre un aumento del
costo del capitale, con effetti negativi sul valore fondamentale.

45
Per rischio operativo si intende il rischio di perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure,
risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. Tale definizione ricomprende il rischio legale; non sono
invece inclusi i rischi strategici e di reputazione
L’analista deve dedicare particolare attenzione alla stima del livello ottimale di
indebitamento che massimizza il valore fondamentale dell’impresa: si tratta del
livello di indebitamento superato il quale gli effetti positivi indotti dal trading on
equity sono superati dalla crescita del rischio collegato alla probabilità di fallimento
e alle perdite di liquidazione che si profilano per i finanziatori.
LA RICOMPOSIZIONE DEI SOTTOSISTEMI DI INDICATORI
La redditività netta è il punto di arrivo del processo di analisi in quanto consente di
ricondurre a unità i diversi sottosistemi di indici di bilancio.

Capitolo XVI – Il bilancio pro-forma: logica, fasi e informazioni


necessarie
LA LOGICA GENERALE DI REDAZIONE DEL PRO-FORMA
Il processo di analisi fondamentale è finalizzato alla determinazione del valore
economico dell’impresa. Tale denominazione presuppone la costruzione dei bilanci
pro-forma.
Il bilancio pro-forma è uno strumento di rappresentazione della futura realtà
patrimoniale, reddituale e finanziaria dell’impresa. Grazie alla redazione di tale
bilancio, è possibile sviluppare e verificare ex-ante le conseguenze sull’equilibrio
aziendale di determinati eventi e decisioni.
Si deve seguire, per la costruzione, un preciso percorso logico. Si utilizzano le
convenzioni contabili proprie del bilancio. Tuttavia, il bilancio pro-forma risulta
necessariamente più essenziale, esprimendo solo le principali grandezze economico-
finanziarie derivanti dalla gestione. L’individuazione di tali grandezze richiede la
concettualizzazione di un modello che rappresenti il generale funzionamento
dell’impresa e i riflessi che questo produce sui valori contabili. Oltre che un modello
rappresentativo del funzionamento aziendale, la costruzione del pro-forma
presuppone l’impiego del ricco apparato informativo raccolto nelle prime fasi
dell’analisi fondamentale. Tali informazioni sono ora utilizzate per stimare la
performance dell’azienda su un dato orizzonte temporale preso a riferimento. Ciò
richiede di identificare:
- Le qualità contabili ed extra contabili elementari che generano i risultati
patrimoniali, reddituali e finanziari sintetizzati nel bilancio pro-forma e le
relazioni che esistono tra loro
- I fattori causali (driver) che determinano la formazione di tali quantità
elementari
Questi ultimi sono riconducibili a:
- Fattori ambientali, relativi al settore nel quale l’impresa compete e al più
ampio sistema ambientale di riferimento (causali esterne o di contesto)
- Fattori aziendali, legati alle scelte di gestione conseguenti alle strategie
adottate dal management (causali interne o leve manageriali del valore)
Rispetto ai fattori causali, spetta all’analista formulare una serie di assumption, cioè
di ipotesi relative all’evoluzione futura del contesto ambientale e delle scelte di
gestione programmate. Le assumption rappresentano le variabili di input con le
quali viene alimentato un sistema di formule che correla le diverse quantità contabili
ed extra-contabili elementari, previste nel modello di rappresentazione del
funzionamento aziendale, producendo i saldi patrimoniali, reddituali e finanziari del
bilancio pro-forma. Il bilancio pro-forma, una volta costruito, deve essere esso
stesso sottoposto ad analisi per verificare:
- La coerenza e l’attendibilità delle assumption sulla base delle quali il
preventivo è stato redatto
- La sensitività dei risultati economici e finanziari al variare di una o più
assumption
Il bilancio pro-forma è solo un momento della fase di analisi prospettica che
conclude e finalizza il processo di analisi fondamentale.
IL MODELLO ECONOMICO-FINANZIARIO DI REDAZIONE
Per proiettare le assumption contenute nei piani di azione è necessario disporre di
uno schema interpretativo che consenta di mettere a sistema le relazioni tra le
determinanti dei risultati e le grandezze di derivazione contabile a esse associate
(modello economico-finanziario).
Si fa ricorso a una lettura della gestione aziendale suddivisa in due grandi aree di
attività: operativa e finanziaria; a queste, è opportuno aggiungere l’area tributaria.
La definizione dei prospetti di bilancio proforma è il naturale punto di partenza del
percorso di costruzione del preventivo.
Occorre ricercare la massima concordanza con gli schemi adottati nell’analisi
consuntiva, in modo da rendere continuo il ragionamento che lega l’interpretazione
del passato alla proiezione del futuro. Quando l’attività dell’impresa è articolata su
più aree strategiche di affari (ASA), le informazioni devono essere raccolte ed
elaborate in modo tale da evidenziare il contributo di ciascuna ASA alla formazione
dei risultati economici e finanziari.
Guardando al conto economico, per “operazionalizzare” la logica di redazione del
pro-forma è opportuno ricorrere a una configurazione al margine di contribuzione.
Per lo Stato Patrimoniale va usato un criterio di presentazione dei valori patrimoniali
a “capitale investito-capitale raccolto”. Infine, per il rendiconto finanziario, la
configurazione è quella adottata per analisi consuntive.
La numerosità delle quantità contabili ed extra-contabili si riflette sulla complessità
del modello pro-forma: modelli semplici sono facili da costruire e applicare, ma
conducono a previsioni approssimative; di contro, modelli complessi consentono
analisi più profonde, ma sono difficili da gestire e costosi da alimentare. L’analista
deve attentamente valutare il rapporto costi-benefici di ogni soluzione.
LE DETERMINANTI DELLE GRANDEZZE CONTENUTE NEL MODELLO ECONOMICO-
FINANZIARIO
Una volta formalizzato il modello di costruzione del bilancio preventivo, è necessario
identificare i fattori che generano le quantità contenute nel modello.
Le determinanti delle grandezze economiche e finanziarie sono di due tipi:
ambientali e aziendali. I fattori ambientali rappresentano gli eventi che riguardano
le caratteristiche generali del settore in cui l’impresa opera. Tuttavia, oltre alle
condizioni generali dell’ambiente, devono essere considerate anche quelle
specifiche dell’azienda oggetto di analisi.
Con riferimento ai fattori aziendali, per agevolare l’identificazione delle
determinanti dei risultati economici e finanziari futuri è essenziale esplicitare la
logica di formazione di tali risultati ricostruendo il profilo economico del modello di
business. Esso permette di spiegare quali sono i principali fattori interni ed esterni
che concorrono a generare le grandezze reddituali, patrimoniali e finanziarie.
Le richiamate specificità dell’azienda oggetto di analisi si manifestano a livello
operativo, pertanto, è necessario individuare le determinanti della redditività
operativa, per quanto riguarda il conto economico, e del capitale operativo investito
netto, per quanto riguarda lo stato patrimoniale. Le principali categorie di
determinanti dei risultati economici e finanziari sono quattro:
1) Determinanti del volume di attività
2) Determinanti dei margini operativi
3) Determinanti degli investimenti legati al ciclo operativo
4) Determinanti degli investimenti legati alla struttura operativa
Le determinanti del volume di attività sono rappresentate in primo luogo dai volumi
di produzione e di vendita e dai prezzi-ricavo praticati dall’azienda. I volumi di
produzione e vendita sono influenzati principalmente dall’andamento della
domanda, dalla forza relativa dell’azienda rispetto ai propri concorrenti, dalla fase
del ciclo di vita del prodotto e dalla capacità produttiva disponibile. I prezzi-ricavo
praticati, invece, dipendono principalmente dalla reattività della domanda rispetto
al prezzo (elasticità della domanda) e dalla strategia competitiva adottata
dall’azienda (differenziazione o leadership di costo).
Le determinanti dei margini operativi sono rappresentate dall’andamento dei
prezzi-costo dei fattori produttivi e dai livelli di produttività che condizionano le
quantità di fattori produttivi impiegate. I prezzi-costo dei fattori produttivi sono
influenzati dal potere contrattuale dell’azienda nei confronti dei propri fornitori e
dalla possibilità di beneficiare di economie di scala, di ampiezza e di esperienza. I
livelli di produttività sono legati all’ammontare e alla tipologia degli investimenti
attuati dall’impresa.
Le determinanti degli investimenti legati al ciclo operativo sono rappresentate dai
volumi di produzione e di vendite e dalle politiche commerciali adottate dall’azienda
in relazione alle dilazioni di pagamento concesse alla clientela, alle scorte di
magazzino e ai tempi di pagamento ai fornitori. Può verificarsi che l’azienda adotti
politiche commerciali diverse in relazione al tipo di clientela servita, ad esempio
concedendo lunghe dilazioni di pagamento ai clienti ritenuti strategici e dilazioni
minori ai clienti ritenuti meno importanti o nei confronti dei quali essa ha un
maggior potere contrattuale: gli investimenti legati al ciclo operativo saranno,
quindi, funzione anche della composizione della clientela dell’azienda. Analogo
ragionamento può essere fatto per le condizioni di fornitura.
Gli investimenti legati alla struttura operativa dipendono, in primo luogo, dallo
specifico settore di attività nel quale opera l’azienda e, in secondo luogo, dalle
strategie funzionali che l’azienda intende adottare con riferimento all’innovazione
tecnologica e alla possibilità di esternalizzare alcune fasi del processo produttivo.
Maggiore è la propensione all’innovazione tecnologica, maggiori saranno gli
investimenti richiesti per innovare o modernizzare gli impianti produttivi. Invece,
esternalizzando alcune fasi del processo produttivo, si possono ridurre gli
investimenti che si renderebbero necessari se l’azienda decidesse di condurre
internamente le fasi. Un altro importante aspetto è rappresentato dagli
ammortamenti: a parità di capitale investito, diverso sarà l’impatto sui risultati
reddituali di diverse politiche di ammortamento.
Se l’azienda oggetto di analisi opera su più di un ASA, l’analisi delle determinanti
richiamate dovrà essere condotta a livello di ASA. È opportuno notare, infine, che le
quattro categorie di determinanti descritte si condizionano reciprocamente.
Per individuare più agevolmente questo sistema di interazione fra determinanti dei
risultati reddituali, patrimoniali e finanziari è necessario esplicitare le relazioni
causali tra le quantità contabili ed extra-contabili che generano tali risultati.
Possono essere distinte:
- Determinanti di primo livello, capaci di esprimere i nessi causali tra le variabili
economiche che generano i risultati di bilancio
- Determinanti di secondo livello, in grado di dare conto dei fattori che
influenzano l’andamento delle variabili economiche di primo livello, quali le
condizioni del macroambiente, del settore e le scelte strategiche messe in
atto dall’azienda (le leve direzionali)
Una rappresentazione così articolata definisce compiutamente il modello che
esprime la logica di funzionamento dell’azienda e consente di individuare i fattori e
le circostanze sui quali l’analista deve concentrare l’attività di previsione.
LA FORMULAZIONE E L’ELABORAZIONE DELLE IPOTESI
Ricostruite le determinanti dei risultati contabili, occorre prevedere l’andamento dei
fattori ambientali e aziendali formulando specifiche assumption, ovvero ipotesi di
futura configurazione di tali fattori; si stimano, cioè, le grandezze di input per
alimentare le formule che generano i risultati contabili espressi nel bilancio
preventivo. È bene procedere ricercando e tenendo separate le informazioni per
aree di gestione. I dati di input vanno suddivisi nei seguenti tre macro-gruppi:
- Informazioni relative alla gestione operativa
 Gestione corrente  qui si tratta di considerare, anzitutto, i prezzi di ricavo
dei beni e servizi prodotti. Il fatturato, infatti, può aumentare in seguito ad
aumenti dei prezzi unitari delle quantità vendute o, a parità di quantità, in
conseguenza di aumenti dei prezzi unitari. L’una o l’altra causa ha evidenti
conseguenze in termini di correlati livelli dei consumi dei fattori produttivi
diretti (si pensi ai consumi di materie prime). Analogamente, è necessario
tenere in debito conto il probabile andamento dei prezzi-costo dei principali
fattori produttivi di esercizio: materie prime; servizi; lavoro. Occorre, cioè,
considerare l’effetto di variazioni dei prezzi praticati dai fornitori (rincari o
sconti quantità), cambiamenti nelle tariffe di alcuni servizi, modificazioni delle
retribuzioni degli altri oneri connessi alla forza lavoro. Sempre all’ambito
corrente della gestione operativa vanno ricondotte le informazioni relative al
capitale circolante: tempi medi di dilazione di pagamento concessi ai clienti,
consistenze medie di scorte di materie prime e prodotti finiti che l’impresa
intende mantenere. Tali consistenze possono utilmente essere espresse in
termini di giorni di giacenza. La predeterminazione delle giacenze di
magazzino richiede la conoscenza dei costi dei consumi, per il calcolo della
giacenza di materie prime, e del costo di produzione, per il calcolo della
giacenza di prodotti finiti. Il calcolo del costo dei consumi e del costo di
produzione può essere compiuto avvalendosi di ipotesi semplificatrici (ad
esempio stimare approssimativamente l’incidenza dei costi per consumi o dei
costi diretti di produzione in percentuale sul prezzo di vendita dei prodotti). La
stima delle giacenze risulta utile per calcolare gli acquisti e, da qui,
l’ammontare dei debiti verso i fornitori, sulla base dei tempi medi di dilazione
di pagamento ipotizzati; a questo fine, è necessario conoscere anche
l’importo delle altre spese sostenute per acquisti di materie prime e servizi
 Gestione strutturale  l’entità delle immobilizzazioni materiali e immateriali,
nonché le politiche di ammortamento
- Informazioni relative alla gestione finanziaria
 Servizio dei debiti in essere  sotto forma di: tipologia dell’indebitamento,
importo delle quote capitale da rimborsare nell’esercizio, tasso di interesse
applicato
 Servizio del capitale di rischio  distribuzione dei dividendi, rimborso
riacquisto azioni
- Informazioni relative alla gestione tributaria  forme di imposizione, basi
imponibili, aliquote, regime IVA, ecc…
L’attendibilità delle stime circa la prevedibile evoluzione delle variabili input è
direttamente collegata alla quantità e alla qualità delle informazioni disponibili.
L’attendibilità è minore nei casi in cui l’analisi sia condotta da una prospettiva
esterna. Ai fini della formazione delle ipotesi, una fonte primaria di informazioni è
rappresentata dai bilanci di esercizio.
Le informazioni che derivano dall’analisi dei bilanci dell’azienda e dei concorrenti,
nei casi in cui il piano industriale non sia disponibile, devono essere integrate con
ogni altra forma di informazione primaria e derivata alla quale si possa avere
accesso (ad esempio studi di settore, comunicati stampa, ecc…). Utili sono anche le
fonti di informazioni offerte da centri studi specializzati.
In assenza di indicazioni provenienti dal management dell’impresa, bisogna ricorrere
a metodi di previsione burocratici-convenzionali, caratterizzati da un limitato grado
di dettaglio e basati prevalentemente sulla proiezione di estrapolazione di trend
storici, corretti alla luce della prevedibile evoluzione del contesto competitivo. Tali
metodi si rilevano incapaci di tener conto di fenomeni di discontinuità strategica,
espressione di deliberate scelte del management.
Indipendentemente dall’approccio seguito per la formulazione delle assumption, si
prospetta, preliminarmente, l’esigenza di circoscrivere l’ampiezza:
 Dell’orizzonte temporale lungo il quale estendere la previsione analitica
 Dei singoli intervalli di previsione
Con riferimento all’orizzonte temporale, una prima distinzione può essere fatta tra
iniziative:
 A vita definita: ampiezza del periodo di previsione analitica coincidente con la
durata prevista del progetto imprenditoriale
 A vita indefinita: non esiste una soluzione di validità generale
Concettualmente, il periodo temporale più corretto dovrebbe corrispondere a
quello nel quale è possibile ottenere una certa stabilità dei flussi finanziari
(condizione steady state46). Nella maggior parte dei casi, si proiettano i risultati
attesi su un orizzonte di 5 anni. Oltre tale periodo, assumption analitiche potrebbero
essere poco attendibili.
Per quanto riguarda i singoli intervalli di tempo in cui è suddiviso l’orizzonte di
previsione, normalmente questi coincidono con l’anno; potrebbero verificarsi anche
casi in cui un intervallo così esteso può portare a una perdita di attendibilità, per cui
è più opportuno suddividere l’intervallo di previsione in sottoperiodi.
MODELLO BASE PER LA REDAZIONE DEL PRO-FORMA: LE IPOTESI E LE FORMULE
Una volta definite le ipotesi di futuro svolgimento della gestione, si dispone delle
informazioni necessarie per alimentare il modello economico-finanziario di
redazione del bilancio preventivo. L’elaborazione delle assumption e la
quantificazione dei valori contabili prospettici può essere condotta secondo due
criteri:
 Analitico: con il criterio di preventivazione analitico si cerca di tenere conto di
tutte le operazioni che caratterizzano il processo produttivo dell’azienda e si
impiegano dati analitici di natura prevalentemente fisico-tecnica, quali le
informazioni contenute nelle distinte base47 e nei cicli di lavorazione
 Sintetico: con il criterio di preventivazione sintetico si ipotizza che, nel medio-
lungo termine, le grandezze di stato patrimoniale e di conto economico siano

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stazionarietà economica Espressione riferita allo stato stazionario (steady state) di un sistema economico, quando le
variabili che lo descrivono non cambiano nel tempo e dove esso viene a trovarsi quando si esauriscono gli effetti delle
forze che inducono lo sviluppo economico.
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Una distinta base, acronimo Diba (in inglese Bill of Materials - BOM), è l'elenco di tutti i componenti, sottoassiemi,
semilavorati e materie prime necessari per realizzare un prodotto. Nel mondo alimentare, chimico e farmaceutico
essa si chiama ricetta o anche formula.
correlate alle vendite dell’azienda (logica sales driven). Questo criterio
presuppone di stimare l’evoluzione futura delle vendite e, successivamente,
derivare i valori patrimoniali e reddituali prospettici sulla base della
proporzione, storicamente osservata, tra le grandezze di stato patrimoniale e
di conto economico, da un lato, e le vendite, dall’altro. Una volta redatti i
prospetti di stato patrimoniale e di conto economico preventivi, è possibile,
poi, ricostruire il rendiconto finanziario. Si distinguono due momenti:
- Previsione dell’andamento delle vendite
- Individuazione delle relazioni di proporzionalità tra il valore delle vendite e
quello delle altre quantità di bilancio
Per non trasformare la redazione del pro-forma in un mero esercizio di
estrapolazione, le proporzioni storicamente osservate devono essere corrette alla
luce della prevista evoluzione delle condizioni ambientali e delle scelte strategiche
dell’impresa.
I supposti rapporti di proporzionalità devono essere tradotti in un sistema di
formule matematiche. La definizione del sistema delle formule costituisce una
componente essenziale del processo di redazione del pro-forma e caratterizza il
modello economico-finanziario posto a base dell’attività di preventivazione.
Quest’ultimo si può definire come un insieme strutturato di algoritmi di calcolo che,
partendo da una serie più o meno flessibile di dati iniziati (input e assunzioni),
determina con processi predeterminati gli output che si realizzeranno in misura
direttamente proporzionale al realizzarsi delle assunzioni. La numerosità delle
variabili esplicitate e delle loro relazioni definisce la complessità del modello di pro-
forma che si intende costruire.
La posizione finanziaria netta rappresenta la variabile di chiusura del modello,
ovvero quella variabile il cui valore garantisce il rispetto dell’equazione di bilancio
(totale attivo = totale passivo + patrimonio netto) e, di conseguenza, la validità del
procedimento di calcolo seguito.

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