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OBIETTIVI E STRUMENTI DELLA POLITICA ECONOMICA

La politica economica è la disciplina che studia il dover esser di un dato sistema socio – economico, in
particolare l’intervento dell’autorità in economia. In base alla definizione dell’economista Federico Caffè,
la politica economica utilizza strumenti di analisi teorica per fornire direttive all’azione pratica. In realtà,
l’intervento pubblico è studiato anche da un’altra disciplina, cioè la Scienza delle Finanze, che si concentra
sul quando e come sia necessario intervenire, prediligendo un approccio efficientista (analisi
microeconomica). La politica economica analizza gli strumenti di intervento e sui loro effetti, laddove la
scelta sul quando e sul come dell’intervento è già stata fatta. L’approccio della politica economica può
essere:

• Normativo, cioè stabilendo leggi astratte, trascurando l’analisi del comportamento dell’autorità di
politica economica
• Positiva, cioè individuando sia leggi astratte sia spiegare il comportamento dell’autorità di politica
economica (ragioni per cui un determinato strumento è stato scelto al posto di un altro)

Le ragioni per cui lo Stato decide di intervenire nell’economia sono:

1) Funzione allocativa, in cui l’intervento è finalizzato a garantire l’efficienza nell’allocazione nella


produzione e nei consumi, quando si presentano fallimenti del mercato. In tal caso si parla di
politiche strutturali, che incidono sul funzionamento del sistema economico (politiche industriali,
del lavoro, commerciali ecc.). Le politiche strutturali possono avvenire sia tramite la costituzione di
istituzioni, la regolamentazione delle attività economiche, il sistema degli incentivi, l’intervento
statale diretto nella produzione.
2) Funzione stabilizzatrice, in cui l’intervento è finalizzato a evitare eccessiva variabilità in grandezze
macroeconomiche fondamentali come reddito e occupazione. In tal caso, lo Stato va a lavorare con
le dinamiche cicliche dell’economia. In tal caso si parla di politiche di stabilizzazione, che cercano di
controllare gli andamenti macroeconomici (produzione aggregata, occupazione, tasso di
disoccupazione, inflazione). Esse si distinguono in politiche fiscali e politiche monetarie.
3) Funzione redistributiva, in cui l’intervento è finalizzato a colmare differenze tra individui in termini
di dotazioni iniziali o reddito o ricchezza. In tal caso si parla di politiche di redistribuzione, che
agiscono mediante redistribuzione diretta del reddito tra gruppi o mediante la creazione di
istituzioni che promuovano il benessere economico delle fasce deboli.

Gli obiettivi della politica economica sono legati, in sostanza, al contrasto di 3 tipiche patologie
economiche:

1) Eccessiva disoccupazione
2) Eccessiva inflazione
3) Eccessivo debito pubblico
CONCETTI MACROECONOMICI DI BASE
Le principali variabili macroeconomiche sono:

• Prodotto Interno Lordo (= produzione aggregata), Y


• Occupazione, E
• Disoccupazione, U
• Indice dei prezzi, P
• Inflazione, π
• Tasso d’interesse, i
• Domanda aggregata, A

Modello keynesiano (DA – OA)

Ipotesi di base:

• Prezzi fissi
• Salari fissi
• Tasso d’interesse fisso

Le politiche economiche tipiche del modello keynesiano sono dette anche politiche della domanda
aggregata, perché insistono sulle componenti della domanda aggregata A, appunto. La domanda aggregata
è costituita, in sostanza, da consumi (famiglie), investimenti (imprese) e spesa pubblica (Stato):

𝐴 =𝐶+𝐼+𝐺
La spesa pubblica è finanziata tramite la tassazione, che determina che il reddito disponibile dei cittadini (=
reddito post tasse), 𝑌𝑑 = 𝑌 − 𝑇. Il reddito disponibile influenza i consumi, mentre il tasso d’interesse
influenza gli investimenti. Possiamo riscrivere in maniera più puntuale, dunque, la domanda aggregata:

𝐴 = 𝐶(𝑌𝑑 ) + 𝐼(𝑖) + 𝐺
I consumi possono essere scomposti:

𝐶 = 𝐶 0 + 𝑐(𝑌 − 𝑇) 𝑐𝑜𝑛 𝑐 ≤ 1
Dove 𝐶 0 rappresenta i consumi minimi (livello di sussistenza) e c un coefficiente che rappresenta la
propensione al consumo

Gli investimenti, considerando i costante, sono anch’essi costanti:

𝐼 = 𝐼̅
La domanda aggregata, quindi, si può scrivere come:

𝐴 = 𝐶 0 + 𝐼 ̅ + 𝐺 − 𝑐𝑇 + 𝑐𝑌 = 𝐴0 + 𝑐𝑌 = 𝑐𝑜𝑚𝑝. 𝑐𝑜𝑠𝑡. +𝑐𝑜𝑚𝑝. 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑑𝑎𝑙 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜


La curva DA è la curva della domanda aggregata, che ha pendenza c minore di 1:
Per ricavare la curva di offerta, si deve considerare che supponendo i prezzi costanti anche l’output finale
offerto dalle imprese sarà determinabile. Per l’equilibrio, impongo l’uguaglianza tra domanda e offerta:

0 ̅ 𝐶 0 + 𝐼 ̅ + 𝐺 − 𝑐𝑇 𝐴0
{𝐴 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 − 𝑐𝑇 + 𝑐𝑌 => 𝑌 = 𝐶 0 + 𝐼 ̅ + 𝐺 − 𝑐𝑇 + 𝑐𝑌 => 𝑌 ∗ = =
𝑌=𝐴 1−𝑐 1−𝑐
Per via della relazione 𝑌 = 𝐴 sappiamo che l’offerta aggregata sarà la bisettrice, che presenterà un tratto
verticale però una volta raggiunto un livello massimo di produzione 𝑌𝑀𝐴𝑋 . Nel grafico sopra l’offerta
aggregata è la curva OA. L’intersezione tra DA e OA determina il prodotto e la domanda di equilibrio 𝑌 𝐸 .

Lo Stato può intervenire manipolando le variabili G e T della domanda aggregata, tramite la politica fiscale,
che può essere espansiva (G aumenta) o restrittiva (G diminuisce). Supponiamo di attuare una politica
fiscale espansiva. L’aumento di G fa aumentare la domanda aggregata A:

Possiamo calcolare il moltiplicatore della spesa pubblica, come derivata:


𝐶 0 + 𝐼 ̅ + 𝐺 − 𝑐𝑇 𝑑𝑌 ∗ 1
𝑌∗ = => = >1
1−𝑐 𝑑𝐺 1−𝑐
Noto che a seguito dell’aumento della spesa pubblica, il reddito cresce in misura maggiore rispetto alla
spesa pubblica. Ciò si può spiegare così:
1° 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 2° 𝑒 𝑠𝑢𝑐𝑐. 𝑎𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖

𝐺 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑ => ⏞
𝐶 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
In altre parole, l'effetto moltiplicatore della spesa pubblica discende da un primo impatto diretto sul
reddito (tramite la spesa pubblica) e un impatto secondario (tramite i consumi). Ciò vale anche, al
contrario, cioè una riduzione della spesa pubblica ha impatto ancora più forte sulla diminuzione del reddito.

Supponiamo ora di attuare una politica fiscale espansiva riducendo le tasse. Calcolando il moltiplicatore
relativo:

𝐶 0 + 𝐼 ̅ + 𝐺 − 𝑐𝑇 𝑑𝑌 ∗ 𝑐
𝑌∗ = => =− <0
1−𝑐 𝑑𝑇 1−𝑐
Inoltre, in riferimento al saldo di bilancio dello Stato, possiamo dire che ogni manovra di bilancio
espansiva, ossia che porti ad aumenti del livello del reddito di equilibrio, porta anche ad un
peggioramento del saldo di bilancio pubblico di equilibrio. Ovvero che ogni manovra che miri a diminuire
un eventuale deficit dello Stato deve passare per una diminuzione del reddito (e quindi dell'occupazione) di
equilibrio. Infatti, il deficit dello Stato si rappresenta come:
𝐷 = 𝐺 − 𝑇, 𝑞𝑢𝑖𝑛𝑑𝑖 𝐺 ↑=> 𝐷 ↑
L’aumento del deficit (quindi, del debito pubblico) comporta, in primis, un peggioramento del benessere
futuro. Nel modello DA – OA l’aumento del deficit non incide sull’onerosità del debito dato che i tassi
d’interesse sono costanti. Inoltre, una politica fiscale espansiva legata a G o T incontra un limite naturale
nel raggiungimento del massimo di produzione, dove ulteriori aumenti della domanda aggregata non
modificano il reddito.
Una politica economica che risolverebbe il problema dell’aumento del deficit è una c.d. politica espansiva in
pareggio di bilancio. Supponiamo ∆𝐺 = ∆𝑇 > 0. La variazione del reddito può essere scritta come:
𝑑𝑌 ∗ 𝑑𝑌 ∗ 1 𝑐 1 𝑐 1−𝑐
∆𝑌 ∗ = ∆𝐺 + ∆𝑇 = ∆𝐺 − ∆𝑇 = ∆𝐺 − ∆𝐺 = ∆𝐺 = ∆𝐺
𝑑𝐺 𝑑𝑇 1−𝑐 1−𝑐 1−𝑐 1−𝑐 1−𝑐
Il risultato è che il reddito è aumentato della stessa misura della spesa pubblica. Le principali debolezze di
questa politica è:
• L’aumento della tassazione, per sostenere la spesa pubblica, potrebbe ad un certo punto
disincentivare il lavoro, dato che una crescente parte del reddito da lavoro viene versata sotto
forma di tasse.
• La spesa pubblica nel modello DA – OA è concepita non come investimento monetaria, ma come
fornitura di beni e servizi, che sostituiscono il consumo privato. Ne risulta che non è detto che la
spesa pubblica incontri le preferenze dei consumatori.
• La spesa pubblica non aumenta il reddito se si è raggiunto il massimo.
• Le conclusioni del teorema del pareggio di bilancio non valgono se si permette a prezzi, tasso
d’interesse e salario di variare.
Si forniscono dati reali sul rapporto deficit/PIL dei paesi:

Notiamo che una situazione di deficit nel bilancio statale è tutt’altro che rara, soprattutto dopo la crisi del
2008. La riduzione del reddito aumenta il deficit, dato che diminuiscono le entrate fiscali a fronte di una
maggiore richiesta di investimenti pubblici da parte del sistema economico.

Il rapporto debito/PIL mostra un andamento stabile fino al 2008, per aumentare successivamente:

Si noti che i paesi non area Euro (Regno Unito e Stati Uniti) sia il rapporto deficit/PIL che il rapporto
debito/PIL sono aumentati sensibilmente, da livelli relativamente bassi. Tali aumenti dipendono da scelte
politiche, soprattutto paesi con basso debito pubblico iniziale hanno maggiore possibilità e maggiore
convenienza ad aumentare il debito pubblico (spesa pubblica e tassazione).
Esiste, inoltre, una correlazione tra PIL procapite e tassazione:

La correlazione non va interpretata come causalità dato che non si può determinare il verso della relazione,
cioè i paesi più ricchi possono permettersi impianto statale più efficiente e possono raccogliere più tasse,
oppure paesi con tassazione più elevata possono stimolare maggiormente la domanda aggregata
aumentando il reddito. Inoltre, spesso la relazione positiva è trainata dai paesi occidentali, in particolare
quelli scandinavi.
Modello IS – LM

Rispetto al modello keynesiano, in questo modello il tasso d’interesse nominale può variare. La dinamica
del tasso d’interesse comporta una maggiore rilevanza degli investimenti nella domanda aggregata e
consente l’introduzione del mercato della moneta. Gli investimenti non sono più esogeni, ma sono funzione
del tasso d’interesse:

𝐼(𝑖) = 𝐼 0 − 𝑑𝑖
Dove d è la quota degli interessi pagata sulle occupazioni. Di conseguenza 𝑑𝑖 è il costo degli investimenti,
intesi come acquisto di beni capitali (macchinari, brevetti ecc.). Possiamo dedurre che:

𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑


L’aumento del tasso d’interesse stimola la domanda aggregata e il reddito. Considerando questo
meccanismo, posso costruire graficamente la curva IS:

Inoltre, considerando la formula del reddito d’equilibrio:


=𝐼(𝑖)

𝐶 + 𝐺 − 𝑐𝑇 ⏞𝑑
0
𝑌𝐸 = − 𝑖
1−𝑐 1−𝑐
Noto che il tasso d’interesse compare con segno
negativo, evidenziando una relazione negativa. Tuttavia,
la sola curva IS non permette di analizzare l’equilibrio,
quindi determinare il tasso d’interesse d’equilibrio e le
sue determinanti.

Sulle politiche posso concludere (mantenendo i


costante):
1
• Effetto della spesa pubblica: ∆𝐺
1−𝐶
𝑐
• Effetto della tassazione: 1−𝐶 ∆𝑇
Per analizzare l’equilibrio dobbiamo considerare le dinamiche nel mercato monetario. In riferimento alla
moneta si distingue tra quantità nominale di moneta 𝑀 (moneta in circolazione) e quantità reale di moneta
𝑀
(potere d’acquisto della quantità di moneta). Da notare che in M vengono inclusi anche i conti correnti e
𝑃
postali, cioè tutti gli strumenti assimilabili a liquidità. Nelle analisi macroeconomiche europee di solito si
considerano aggregati più ampi (M2 e M3), che comprendono anche alcune tipologie di titoli (azioni, buoni
del tesoro, titoli di debito ecc.). M è determinata dalle banche centrali. La BCE in Europa prima utilizzava
operazioni in cui acquistava titoli di Stato con moneta di nuova stampa. Oggi questa tecnica è proibita per
evitare discriminazione tra paesi. Attualmente la BCE regola M tramite operazioni di rifinanziamento delle
banche private che le permettono di fissare un corridoio dei tassi, che poi la girano ai governi. Le funzioni
della moneta sono:

• Transattiva
• Precauzionale
• Speculativa

Due nozione base:

1) La domanda di moneta aumenta all’aumentare del reddito


2) La domanda di moneta diminuisce all’aumentare del tasso d’interesse (sostituzione con
obbligazioni)

Si indica la domanda di moneta come:

𝐿 = 𝑒𝑌 − 𝑓𝑖
Dove e è l’impatto del reddito sulla domanda di moneta e f la sensibilità della domanda di moneta alle
variazioni del tasso d’interesse. In equilibrio, la domanda deve essere uguale all’offerta di moneta:
𝑀
=𝐿
𝑃
𝑀
= 𝑒𝑌 − 𝑓𝑖
𝑃
𝑒 1𝑀
𝑖𝐸 = 𝑌−
𝑓 𝑓𝑃
Notiamo che tra tasso d’interesse e reddito nel mercato della moneta esista una relazione positiva che è
descritta dalla curva LM, che rida le coppie (i, Y) per cui il mercato della moneta è in equilibrio:
Si può notare che, a parità di reddito Y0:
𝑀𝑅
• Punto Q: 𝑖 𝑄 > 𝑖 𝑅 => 𝐿𝑄 < 𝐿𝑅 => 𝐿𝐵 < => 𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎 =>
𝑃
𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑑𝑖 𝑜𝑏𝑏𝑙𝑖𝑔𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 => 𝑃𝐵 ↑=> 𝑖 𝑄 ↓=> 𝑠𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝐿𝑀 𝑑𝑎𝑙𝑙′𝑎𝑙𝑡𝑜
𝑀𝑅
• Punto L: 𝑖 𝐿 < 𝑖 𝑅 => 𝐿𝐿 > 𝐿𝑅 => 𝐿𝐿 > 𝑃
=> 𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎 =>
𝑒𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑓𝑓𝑒𝑟𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑜𝑏𝑏𝑙𝑖𝑔𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 => 𝑃𝐿 ↓=> 𝑖 𝐿 ↑=> 𝑠𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑔𝑒 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝐿𝑀 𝑑𝑎𝑙 𝑏𝑎𝑠𝑠𝑜
1
Da ricorda che il rendimento di un’obbligazione è contabilmente: 𝑖 = − 1, quindi prezzo e tasso sono
𝑃
inversamente proporzionali.

A livello di politiche (monetarie):


𝑀
• 𝑃
↑=> 𝐿𝑀 ↓
𝑀
• 𝑃
↓=> 𝐿𝑀 ↑

L’intersezione tra la IS e la LM consente di individuare la coppia di tasso d’interesse e reddito d’equilibrio:

Matematicamente il reddito può essere determinato dal seguente sistema:

𝐶 0 + 𝐺 − 𝑐𝑇 𝑑
𝑌𝐸 = − 𝑖
1−𝑐 1−𝑐
𝑒 1𝑀
𝑖𝐸 = 𝑌 −
{ 𝑓 𝑓𝑃
In sostanza, scriviamo il reddito di equilibrio come funzione di 3 grandezze influenzabili dallo Stato: spesa
𝑀
pubblica, tasse e moneta: 𝑌 𝐸 (𝐺, 𝑇, ).
𝑃
Analizziamo l’impatto delle politiche di vario tipo sul modello IS – LM:

AUMENTA LA SPESA PUBBLICA

1) 𝐶 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝐺 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑=> 𝑀
2) 𝐿 ↑=> 𝐿 > => 𝑃𝑜𝑏𝑙 ↓=> 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝑃
In questo caso, l’aumento del tasso d’interesse ha un effetto frenante sulla crescita del reddito, dovuto
allo spiazzamento degli investimenti privati da parte della spesa pubblica.
AUMENTANO LE TASSE

1) 𝐶 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝑇 ↑=> 𝑌 𝑑 ↓=> 𝐶 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓=> 𝑀
2) 𝐿 ↓=> 𝐿 < => 𝑃𝑜𝑏𝑙 ↑=> 𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝑃
Da notare che a parità di importo, una riduzione della spesa pubblica ha un effetto molto maggiore in
∆𝐺 𝑐∆𝑇
termini di riduzione del reddito (1−𝑐 ) rispetto a quello di un aumento delle tasse (− 1−𝑐).
AUMENTA LA QUANTITA’ DI MONETA

𝑀 𝑀 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝐶 ↑
𝑀 ↑=> ↑=> > 𝐿 => 𝑃𝑜𝑏𝑙 ↑=> 𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑=>
𝑃 𝑃 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑖 ↑
DIMINUISCE LA QUANTITA’ DI MONETA

𝑀 𝑀 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝐶 ↓
𝑀 ↓=> ↓=> < 𝐿 => 𝑃𝑜𝑏𝑙 ↓=> 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓=>
𝑃 𝑃 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑖 ↓

A questo punto, si potrebbe essere tentati di concludere che le politiche monetarie siano decisamente più
convenienti di quelle fiscali dato che (se espansive) aumentano il reddito senza causare maggiore deficit nel
bilancio statale. Questa conclusione, però, vale solo nell’ipotesi restrittive del modello IS – LM sulla fissità
dei prezzi, quindi sull’assenza di inflazione. Infatti, l’inflazione può ridurre l’efficacia delle politiche
monetarie.
Modello DAE – OA (inglese: AD – AS)
Il modello suppone che i prezzi e il tasso d’interesse possano variare, pur rimanendo garantito il
meccanismo di adattamento dell’offerta alla domanda aggregata. In base al modello IS – LM il reddito
d’equilibrio è così determinato:

𝑀+
𝑌 𝐸 = 𝑓 (𝐺 + , 𝑇 − , )
𝑃

Per il meccanismo di aggiustamento domanda – offerta posso dire che:

𝐸 𝐸
𝑀++ −
𝐴 = 𝑌 = 𝑓 (𝐺 , 𝑇 , )
𝑃

Le domande da porsi sono:

1) Come i prezzi influenzano la domanda aggregata? La domanda aggregata è influenzata dai prezzi per
M
mezzo della domanda reale di moneta: P ↑=> P
↓=> AE ↓. Consideriamo l’equazione della curva LM: iE =
e 1M
Y − , cioè l’unica equazione del modello IS – LM in cui rientra P come variabile (la curva IS non dipende
f f P
da P). Possiamo notare che il tasso d’interesse d’equilibrio aumenta (e il reddito d’equilibrio diminuisce),
dato che la riduzione di M/P fa traslare verso l’alto la LM. La riduzione della domanda aggregata non può
essere spiegata con la riduzione dei salari reali, dato che potrebbero verificarsi effetti compensativi (le
imprese ottengono guadagni maggiori, dato che i prezzi sono più alti). La riduzione della domanda
aggregata è causata dalla riduzione della quantità reale di moneta. In particolare, l’aumento dei prezzi
colpisce gli investimenti in attività produttive. Marginalmente, si può considerare anche una riduzione dei
consumi per l’erosione delle scorte monetarie. Il meccanismo completo è dunque:
M
↓=> i ↑=> I ↓=> A ↓=> Y ↓=> C ↓
P
Graficamente possiamo costruire la curva DAE:
M
In C si verifica: P1 > P0 => ↓=> i ↑=> I ↓=> AC < A0 = Y 0 => eccesso di offerta => P ↓. Nel
P
modello DAE – OA le politiche fiscali e monetarie impattano sulla curva DAE:

POLITICHE FISCALI POLITICHE MONETARIE

Attenzione che ora si analizza l’effetto parziale delle politiche sulla DAE, mantenendo il prezzo costante.
Da notare che più che traslare, in presenza di politiche monetarie, la DAE cambia inclinazione e l’effetto
di una variazione di M sarà maggiore per livelli iniziali dei prezzi bassi. Inoltre, nelle politiche fiscali, la DAE
trasla esattamente della variazione del reddito d’equilibrio nel modello IS – LM.
2) Come i prezzi influenzano l’offerta aggregata? Le imprese scelgono il prezzo che assicuri una domanda
aggregata pare alla produzione d’equilibrio, cioè PE |AE = Y E . Possiamo intuire che la relazione tra P e Y è
crescente. Le politiche economiche che influenzano la OA sono, in sostanza, incentrate su istituzioni,
struttura di mercato e aspettative. Infatti, la costruzione della OA comprende l’analisi del comportamento
delle imprese e di quello dei lavoratori, a partire da un modello WS – PS (Wage Setting – Price Setting).

Modello WS – PS

Si suppone che le imprese utilizzino lavoro come unico fattore, determinando il prezzo come il salario
(nominale) moltiplicato per un ricarico:

𝑃 = (1 + ℎ)𝑤
Si ipotizza che ogni lavoratore produca esattamente 1 unità di bene, in modo tale che il costo unitario di
produzione sia esattamente il salario pagato w. A livello della funzione di produzione risulta che il costo
medio sia uguale al costo marginale: 𝐶𝑀 = 𝐶𝑀𝑔 = 𝑤. Ciò implica che le imprese abbiano un certo potere
di mercato. Il salario reale in questo modello, inoltre, si può scrivere come:
𝑤 1
=
𝑃 1+ℎ
In altre parole, le imprese nel loro price setting vanno a determinare anche il salario reale che esse sono
disposte a pagare. Si può, dunque, tracciare una curva PS che associa a ogni livello di disoccupazione un
determinato salario reale, che però è costante in quanto dipende dal ricarico delle imprese, univocamente
determinato:

𝑑𝑌
La PS è orizzontale perché suppongo la produttività del lavoro costante, cioè = 1. Infatti, una formula più
𝑑𝑁
𝑤 𝑑𝑌/𝑑𝑁
completa della PS sarebbe = .
𝑃 1+ℎ

Affianco alle imprese, anche i lavoratori fissano i loro livello del salario. Supponiamo che i lavoratori siano
organizzati in sindacati, che contrattano il salario con le imprese secondo la seguente regola:
𝑤
= 𝑓(𝑢− , 𝑧 + ) 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝑢: 𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖𝑠𝑜𝑐𝑐𝑢𝑝𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒; 𝑧: 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑖𝑠𝑡𝑖𝑡𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖
𝑃𝐸𝑥𝑝
L’effetto negativo della disoccupazione si spiega con la concorrenza tra lavoratori in situazioni di scarsità di
lavoro. L’effetto positivo dei fattori istituzionali riguarda la forza dei sindacati nell’economia. In realtà,
all’interno di z possiamo includere il potere contrattuale (β) e i sussidi di disoccupazione (b).

Nel grafico disoccupazione – salario reale, la curva WS è decrescente. L’effetto di z comporta una
traslazione verso l’alto (z aumenta) o verso il basso (z diminuisce) della curva WS:
Il sistema del modello è, quindi:
𝑤
𝑊𝑆: = 𝑓(𝑢, 𝑧 ) 𝑤 𝑤 1
𝑃𝐸𝑥𝑝
{ 𝑤 1 => 𝑢∗ | = 𝑓(𝑢∗ , 𝑧 ) = = => 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃
𝑃𝐸𝑥𝑝 𝑃 1+ℎ
𝑃𝑆: =
𝑃 1+ℎ
L’intersezione tra WS e PS individua 𝑢∗ , cioè il tasso di disoccupazione naturale, per cui le aspettative sui
prezzi sono corrette, ma non è detto che tale tasso sia quello che si determina nel sistema economico. Al
massimo si può dire che il sistema economico tende a 𝑢∗ . L’equazione implicita da cui ricavo 𝑢∗ è:
1
𝑢∗ : 𝑓(𝑢∗ , 𝑧 ) =
1+ℎ
Supponiamo di avere un tasso 𝑢0 < 𝑢∗ possiamo dire che:
𝑤 1 𝑤 𝑤
𝑢0 < 𝑢∗ => > => 𝐸𝑥𝑝 > => 𝑃𝐸𝑥𝑝 < 𝑃
𝑃𝐸𝑥𝑝 1 + ℎ 𝑃 𝑃
In altre parole, in 𝑢0 i lavoratori si aspettano un livello dei prezzi inferiore rispetto a quello che
effettivamente si realizza.

Consideriamo, invece, un tasso 𝑢1 > 𝑢∗ , possiamo dire che:


𝑤 1 𝑤 𝑤
𝑢1 > 𝑢∗ => < => 𝐸𝑥𝑝 < => 𝑃𝐸𝑥𝑝 > 𝑃
𝑃𝐸𝑥𝑝 1+ℎ 𝑃 𝑃
In altre parole, in 𝑢1 i lavoratori si aspettano un livello dei prezzi superiore rispetto a quello che
effettivamente si realizza.
Questi meccanismi si spiegano con il fatto che i lavoratori chiedendo salari elevati, determinano prezzi
elevati, dato che le imprese determinano P come 𝑃 = (1 + ℎ)𝑤.

Il modello WS – PS spesso è criticato sul meccanismo di determinazione del salario. Infatti, a cosa servono i
sindacati se il salario reale sarà sempre e comunque 1/1+h? Un possibile risposta è che, in realtà, le imprese
fissano i salari nominali, mentre i salari reali de facto sono determinati solo dalle imprese, che possono
determinare i prezzi dei prodotti. Quindi, il modello WS – PS contiene un certo grado di realismo.

Guardando le politiche, possiamo dire che 𝑢∗ può essere diminuito in due modi:

• Diminuire h, cioè il rincaro delle imprese


• Diminuire z, cioè il potere contrattuale dei sindacati (= riforme strutturali)
Dal modello WS – PS è possibile costruire la curva di offerta aggregata per il modello DAE – OA. Ricordando
che è ipotizzato che per produrre un’unità di bene si impiega esattamente un’unità di lavoro, possiamo
scrivere la disoccupazione come:
𝐿−𝑁 𝑁 𝑌
𝑢= = 1 − = 1 − 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑟𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑌 = 𝑁
𝐿 𝐿 𝐿
Ciò ci permette di individuare una relazione inversa tra reddito e disoccupazione: 𝑌 ↑=> 𝑢 ↓. Inoltre, la WS
può essere scritta come:
𝑤 𝑌 𝑌
𝑊𝑆: = 𝑓 (1 − , 𝑧) => 𝑤 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝑃𝐸𝑥𝑝 𝐿 𝐿
Ottengo una equazione che mi descrive il salario chiesto dai lavoratori, in relazione alle aspettative sui
prezzi, alla disoccupazione, al reddito, ai fattori istituzionali.

L’equazione dei prezzi delle imprese è:


𝑌
𝑃 = (1 + ℎ)𝑤 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿
Ottengo una equazione che mi descrive i prezzi stabiliti dalle imprese, in relazione alle aspettative sui prezzi
da parte dei lavoratori, alla disoccupazione, al reddito, ai fattori istituzionali e al rincaro h. Quest’ultima
equazione è la curva di offerta aggregata OA:
𝑌
𝑂𝐴: 𝑃 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿

Possiamo individuare sulla OA la coppia (Y, P) che è associata al tasso di disoccupazione naturale:
𝑌∗
𝑢∗ = 1 − => 𝑌 ∗ |𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃
𝐿
Esiste un livello di produzione naturale per cui i prezzi attesi sono uguali a quelli che effettivamente si
realizzano. Inoltre, esiste una relazione univoca tra disoccupazione e reddito, cioè il tasso di disoccupazione
naturale individua un unico reddito naturale. La curva OA indica il prezzo che si realizza per qualsiasi livello
del reddito, quindi al reddito naturale 𝑌 ∗ associa l’unico livello dei prezzi possibile per cui 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃. In
sostanza, la proprietà fondamentale della curva OA è che essa passa sempre dal punto (𝑌 ∗ , 𝑃𝐸𝑥𝑝 ). In
particolare, l’equazione implicita che permette di calcolare il reddito naturale è:
𝑌∗ 𝑌∗ 1
𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃 => 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢∗ = 1 − , 𝑧) => 𝑓 (1 − , 𝑧) =
𝐿 𝐿 1+ℎ
Se nel sistema si verifica un reddito più alto (più basso) di quello naturale, allora la disoccupazione sarà più
bassa (più alta) di quella naturale:

3) Come domanda e offerta determinano l’equilibrio? L’intersezione tra la curva DAE e la curva OA
determina l’equilibrio:

Non è detto, però, che il reddito di equilibrio Y E sia uguale al reddito naturale Y ∗ , che potrebbe essere più
alto o più basso. In particolare, se Y ∗ < Y E => PExp < P => aspettative non soddisfatte. Nel grafico di
sopra, consideriamo Y Q come il reddito naturale, quindi J è il punto del reddito che soddisfa le aspettative
sui prezzi.
Il sistema del modello DAE – OA è, dunque:
𝑀
𝐷𝐴𝐸: 𝑌 = 𝑓 (𝐺, 𝑇, )
{ 𝑃
𝑌
𝑂𝐴: 𝑃 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿
Da ciò posso notare che non è detto che la DAE intersechi la OA nel punto del reddito naturale, dato che la
spesa pubblica G, la tassazione T e la quantità reale di moneta M/P possono cambiare la posizione della
DAE, determinando un punto di equilibrio diverso. La OA, invece, risulta fortemente determinata dalle
aspettative sui prezzi e possiamo quindi pensarla come statica.

4) Qual è il ruolo delle aspettative? Si suppongono aspettative statico – adattive, cioè i lavoratori si
aspettano gli stessi prezzi del passato (= statiche):

𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃𝑡−1
Ciò non vuol dire che le aspettative non possano adattarsi (= adattive). Ne risulta che gli operatori vedono
spesso disattese le loro aspettative, anche se poi le adattano. La OA, quindi, diventa:
𝑌
𝐴𝑂: 𝑃 = 𝑃𝑡−1 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿

5) Politica fiscale espansiva

Step 1: conseguenze sulla DAE (risultato di breve periodo)


𝐶 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝑀
𝐿 ↑=> 𝐿 > => 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝐺 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑=> 𝑃
𝑀
𝑃 ↑=> ↓=> 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝑃
I prezzi aumentano, perché se aumenta il reddito allora si riduce la disoccupazione. Se la disoccupazione si
riduce, i sindacati hanno maggiore potere contrattuale e chiedono maggiori salari nominali, quindi le
imprese, che stabiliscono i prezzi come 𝑃 = (1 + ℎ)𝑤, aumentano il prezzo. Complessivamente il reddito
aumenta, dato che l’effetto sui consumi prevale sugli altri (che per innescarsi necessitano tra l’altro di un
aumento del reddito).
Step 2: conseguenze sulla OA (risultato di breve periodo)

Il sistema si colloca in un 𝑌1 > 𝑌 0 => 𝑃1 > 𝑃𝐸𝑥𝑝 . Da questo momento, gli agenti adattano le loro

aspettative, aspettandosi 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃1 . Ciò determina una traslazione verso l’alto della OA. La OA deve

passare per forza dal punto (𝑌 ∗ ; 𝑃𝐸𝑥𝑝 )

Step 3: il processo dinamico (risultato di medio periodo)

E’ possibile che anche il nuovo reddito risulti maggiore del reddito naturale, 𝑌 2 > 𝑌 ∗ => 𝑃2 > 𝑃𝐸𝑥𝑝 . Gli
agenti continuano ad adattare le aspettative e la OA continua a traslare verso l’alto, passando per il punto
′′
(𝑌 ∗ ; 𝑃𝐸𝑥𝑝 ). Questo processo continua finché il sistema si stabilizza esattamente al reddito naturale, a
prezzi più alti, che però non cambiano nel periodo successivo perché le aspettative sono soddisfatte.

La conclusione è che nel medio periodo le politiche fiscali non sono efficaci dato che il reddito non è
aumentato, mentre i prezzi sono strettamente più alti di quelli iniziali.

𝑌 𝐹𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 = 𝑌 ∗ = 𝑌 𝐼𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒

𝑃𝐹𝑖𝑛𝑎𝑙𝑖 = 𝑃𝑛 > 𝑃𝐼𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑖


Il risultato è che il sistema nel medio periodo registra:

• Potere d’acquisto della moneta eroso


• Tasso d’interesse più alto
• Investimenti spiazzati
• Maggiore deficit di bilancio

Quindi, le politiche economiche per permettere un duraturo aumento del reddito devono concentrarsi sul
cambiare il reddito naturale (modello WS – PS).

6) Politica fiscale restrittiva

Step 1
𝐶 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝑀
𝐿 ↓=> > 𝐿 => 𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝐺 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓=> 𝑃
𝑀
𝑃 ↓=> ↑=> 𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝑃
Nel breve periodo il reddito diminuisce.
Step 2

𝑌1 < 𝑌 ∗ => 𝑃1 < 𝑃𝐸𝑥𝑝 => 𝑎𝑠𝑝. 𝑑𝑖𝑠𝑎𝑡𝑡𝑒𝑛𝑠𝑒 => 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃1 => 𝑂𝐴 ↓
Step 3

I prezzi continuano a calare fino a che le aspettative non sono realizzate.

Il risultato è che il tasso d’interesse finale è minore, quindi gli investimenti sono aumentati, compensando
la riduzione della spesa pubblica. Il bilancio pubblico è migliorato, dato che la spesa pubblica è diminuita.
Inoltre, la riduzione dei prezzi interni aumenta la competitività delle merci all’estero, quindi aumenta le
esportazioni. Allo stesso tempo, una riduzione eccessiva dei prezzi potrebbe tradursi in deflazione, a meno
che non si interpreti 𝑃 ↓ come riduzione dell’inflazione. Per tale interpretazione, però, bisogna cambiare la
legge delle aspettative, costruendola sull’inflazione e non sui prezzi.

7) Politica monetaria espansiva


Step 1
𝑀 𝑀
𝑀 ↑=> ↑=> > 𝐿 => 𝑖 ↓=> 𝐼 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑=>
𝑃 𝑃
𝐶 ↑=> 𝐴 ↑=> 𝑌 ↑
𝑀
𝐿 ↑=> 𝐿 > => 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
=> 𝑃
𝑀 𝑀
𝑃 ↑=> ↓=> 𝐿 > => 𝑖 ↑=> 𝐼 ↓=> 𝐴 ↓=> 𝑌 ↓
𝑃 𝑃
Il reddito aumenta nell’aggregato

Step 2

𝑌1 > 𝑌 ∗ => 𝑃1 > 𝑃𝐸𝑥𝑝 => 𝑎𝑠𝑝. 𝑑𝑖𝑠𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑒 => 𝑃𝐸𝑥𝑝 = 𝑃1 => 𝑂𝐴 ↑
Step 3

I prezzi continuano ad aumentare fino a che non ci si stabilizzi a 𝑌 ∗ . Il risultato è che M è aumentata, il
reddito è rimasto invariato e i prezzi P sono aumentati. Dato che:

• C sono invariati (il reddito finale non varia)


• G è invariata (uso politica monetaria)
• I è invariato (la domanda aggregata non è variata), quindi il tasso d’interesse non varia
• M aumentato
• P aumentato
∆𝑀
La quantità reale di moneta M/P non è cambiata, = 0.
𝑃

8) Problema del modello DAE – OA. Pur essendo un modello a prezzi variabili, nello stadio finale il modello
DAE – OA prevede che i prezzi rimangano costanti, quindi l’inflazione si annulla. Nella realtà, però, il
sistema economico presenta sempre inflazione. Di conseguenza, il modello DAE – OA non ha una grandezza
che generi inflazione (c.d. inerzia inflazionistica). La soluzione è l’idea che nel tempo la base monetaria M
cresce sempre un po’, innescando un aumento dei prezzi, che causa inflazione.

L’INFLAZIONE
CURVA DI PHILLIPS
La curva di Phillips descrive la relazione tra inflazione e tasso di disoccupazione, illustrandone il trade off.
Nel modello DAE – OA è possibile costruire uno scenario a inflazione crescente. Esso consiste nell’attuare
più politiche monetarie espansive, in modo da stabilizzare il livello della DAE sul reddito finale maggiore del
reddito naturale, al prezzo ovviamente di un continuo aumento dei prezzi, dato che mantenendo l’ipotesi
delle aspettative statico – adattive gli operatori continuano a sbagliare in ogni periodo la previsione dei
prezzi. Da notare che la quantità reale di moneta alla prima manovra diminuisce per poi rimanere costante:

𝑀0 𝑀1 𝑀2 𝑀3
< = 2 = 3 =⋯
𝑃𝐸𝑥𝑝 𝑃1 𝑃 𝑃
La curva di Phillips descrive la relazione (negativa) tra inflazione e disoccupazione, mostrando che le
politiche economiche per diminuire il tasso di disoccupazione pagano un aumento dell’inflazione:

Sulla curva di Phillips il reddito naturale si colloca nel punto di intersezione tra curva e asse delle ascisse, se
si suppongo aspettative statico – adattive:

𝑢∗ => 𝜋 = 0 => 𝑃𝑡 = 𝑃𝑡−1 => 𝑌 ∗


Per ricavare la curva di Phillips, si parte dall’equazione della curva OA
𝑌
𝑂𝐴: 𝑃 = 𝑃𝐸𝑥𝑝 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿
Incorporando le aspettative statico – adattive:
𝑌
𝑂𝐴: 𝑃𝑡 = 𝑃𝑡−1 (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿
=1+𝜋𝑡
⏞𝑃𝑡 𝑌
= (1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝑃𝑡−1 𝐿
𝑑𝑒𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑎𝑡𝑖
𝑑𝑎𝑙𝑙𝑎 𝐷𝐴𝐸
⏞ 𝑌
𝜋𝑡 = (1 + ℎ)𝑓 𝑢 = 1 − ,𝑧 − 1
𝐿
( )
Dato che la funzione f è decrescente rispetto al tasso di disoccupazione u, ne deriva che l’inflazione (al
tempo t) è funzione decrescente del tasso di disoccupazione (al tempo t). La DAE definisce in maniera
univoca tasso di disoccupazione e reddito.

Un ulteriore passaggio. La curva di Phillips ricavata precedentemente è la seguente:

𝜋𝑡 = (1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) − 1
Se mi colloco nel punto 𝑢∗ a inflazione nulla:
1
𝑓(𝑢∗ , 𝑧) =
1+ℎ
Moltiplico e divido l’equazione originale per la quantità di sopra:
𝑓(𝑢∗ , 𝑧) 𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
1 + 𝜋𝑡 = (1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) ∗ =
𝑓(𝑢∗ , 𝑧) 𝑓(𝑢∗ , 𝑧)
Considero il logaritmo di entrambi i membri:

𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
log(1 + 𝜋𝑡 ) = log ( )
𝑓(𝑢∗ , 𝑧)

Ricordando la proprietà dei logaritmi, log(1 + 𝑥) = 𝑥 𝑠𝑒 𝑥 ≈ 0, nonché quella secondo cui il logaritmo di
un rapporto è la differenza tra il logaritmo del numeratore e logaritmo del denominatore:

𝑌𝑡 𝑌∗
𝜋𝑡 = log (𝑓 (𝑢𝑡 = 1 − , 𝑧)) − log (𝑓 (𝑢∗ = 1 − , 𝑧))
𝐿 𝐿

Deduco che 𝑌𝑡 ha un effetto positivo sull’inflazione. Posso semplificare l’equazione:

𝜋𝑡 = 𝛼(𝑌𝑡 − 𝑌 ∗ )
Si è giunti a una relazione di Phillips tra inflazione e reddito, che è crescente e lineare:

Modello DAE – OA e curva di Phillips per aspettative accelerative

L’inflazione passata ha un ruolo nelle aspettative dei prezzi. In particolare, i consumatori suppongono che
l’inflazione rimanga costante nel tempo:
𝑃 𝐴 = 𝑃𝑡−1 (1 + 𝜋𝑡−1 ) 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1
La curva OA incorporante la nuova ipotesi sulle aspettative è:
𝑌
𝑂𝐴: 𝑃𝑡 = 𝑃𝑡−1 (1 + 𝜋𝑡−1 )(1 + ℎ)𝑓 (𝑢 = 1 − , 𝑧)
𝐿
𝑃𝑡
= (1 + 𝜋𝑡−1 )(1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
𝑃𝑡−1
𝜋𝑡 = (1 + 𝜋𝑡−1 )(1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) − 1
Notiamo che se cambia l’inflazione oggi (𝜋𝑡−1 ), la curva di Phillips (𝜋𝑡 = ⋯) di domani ne risentirà.
Continuando:
𝑓(𝑢∗ , 𝑧) 𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
1 + 𝜋𝑡 = (1 + 𝜋𝑡−1 )(1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) ∗ ∗
= (1 + 𝜋𝑡−1 )
𝑓(𝑢 , 𝑧) 𝑓(𝑢∗ , 𝑧)

𝑙𝑜𝑔(1 + 𝜋𝑡 ) = 𝑙𝑜𝑔((1 + 𝜋𝑡−1 )) + 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)) − 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢∗ , 𝑧))

𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 + 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)) − 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢∗ , 𝑧))

Noto che affinché le aspettative siano rispettate deve valere:


𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)) = 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢∗ , 𝑧)) => 𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 => 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈

Da ciò possiamo puntualizzare che la disoccupazione naturale è diversa dalla disoccupazione non inflattiva,
che è identificata da altra condizione (intersezione con l’ascissa):
𝜋𝑡−1 + 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)) − 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢∗ , 𝑧)) = 0 => 𝑢𝑁𝐼

Il tasso di disoccupazione naturale, perciò, è identificata da un tasso che mantiene costante l’inflazione
(c.d. NAIRU):

Procediamo a ricavare la relazione lineare rispetto al reddito (grafico sinistra):

𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 + 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)) − 𝑙𝑜𝑔(𝑓(𝑢∗ , 𝑧))

𝑌𝑡 𝑌∗
𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 + 𝑙𝑜𝑔 (𝑓 (1 − , 𝑧)) − 𝑙𝑜𝑔 (𝑓 (1 − , 𝑧))
𝐿 𝐿

𝜋𝑡 = 𝜋𝑡−1 + 𝛼(𝑌𝑡 − 𝑌 ∗ ) = 𝜋 𝐴 + 𝛼(𝑌𝑡 − 𝑌 ∗ )


Da notare la differenza tra le ipotesi sulle aspettative:

• Statico – adattive: 𝜋 𝐴 = 0
• Accelerative: 𝜋 𝐴 ≠ 0

Nel caso di aspettative accelerative la curva di Phillips passa sempre per il punto (𝒀∗ , 𝝅𝑨 ). Ne risulta che
se il reddito aumenta, posizionandosi a un livello superiore di quello naturale, anche l’inflazione aumenta,
in modo da disattendere le aspettative. Le aspettative si adatteranno al nuovo livello di inflazione, facendo
traslare verso l’alto la curva di Phillips (nel periodo successivo):
La forma lineare serve a evitare che la curva cambia anche pendenza a seguito del cambiamento
dell’inflazione. Le alternative sono due:

• Il sistema si stabilizza a 𝑌 ∗ accettando una nuova inflazione 𝜋1 > 𝜋𝑡−1 costante


• Il sistema tenta di rimanere a 𝑌1 , pagando un inflazione crescente
• Il sistema può effettuare una politica restrittiva, che nel breve periodo abbassa il reddito, ma riduce
permanentemente l’inflazione, laddove si decida di ritornare al reddito naturale (manovra
conveniente dato che 𝑌 ∗ > 𝑌3

Da notare che ponendosi al livello del reddito naturale la curva di Philipps assume un andamento verticale,
cioè 𝑌 ∗ stabile si può realizzare con qualsiasi livello di inflazione.

Interessante, vedere lo schema di aspettative accelerative nel modello DAE – OA. Basti dire che nel punto
(𝑌 ∗ , 𝑃 𝐴 ) non è detto che i prezzi siano costanti, ma semplicemente essi crescono a un tasso (inflazione)
costante, 𝜋 𝐴 = 𝜋𝑡−1 . Il risultato è che la OA trasla verso l’alto. Il prezzo a cui si assesta la OA sarà, per via
delle aspettative accelerative, 𝑃 𝐴 = 𝑃0 (1 + 𝜋𝑡−1 ). La soluzione può essere una politica espansiva
(monetaria) che trasli la DAE fino al reddito naturale. Lo Stato potrebbe decidere anche di non far nulla e in
tal caso l’inerzia inflazionistica abbasserebbe il livello del reddito in ogni periodo. Inoltre, lo Stato potrebbe
decidere di attuare una politica monetaria restrittiva che contragga il reddito in misura tale da annullare
l’inflazione.

La questione dell’inflazione può essere ricollegata anche alla dinamica salariale. Infatti, la WS si scrive
come:
𝑤
= 𝑓(𝑢, 𝑧)
𝑃𝐴
𝑤
= 𝑓(𝑢, 𝑧)
𝑃𝑡−1 (1 + 𝜋𝑡−1 )
𝑤 = 𝑃𝑡−1 (1 + 𝜋𝑡−1 )𝑓(𝑢, 𝑧)
La OA, dunque, trasla verso l’alto perché i lavoratori chiedono maggiori salari nominali dato che anche al
livello di reddito naturale l’inflazioni è non nulla, quindi i salari reali sono minacciati. Un aumento del salario
nominale porta le imprese ad aumentare i prezzi. L’unica situazione in cui è possibile fermare questo
meccanismo è quella ad inflazione nulla, che nella maggior parte dei casi richiede politiche restrittive.
EVIDENZE EMPIRICHE
Considerando i dati per paese, in realtà, una relazione di lungo periodo (1965 – 2015) sembra non esistere.
Nel periodo 1959 – 1968 sembra esistere una relazione negativa, suggerendo una relazione di breve
periodo. Ciò non significa che il periodo storico non conti. Ad esempio, in altri situazioni, quali il periodo
1969 – 1970, la relazione ancora una volta scompare, anche a causa delle crisi petrolifere. Nel periodo 2000
– 2009 la relazione sembra di nuovo riapparire, nonostante la crisi del 2008.

COSTI DELL’INFLAZIONE
L’inflazione presenta dei costi:

• Costo delle suole = con inflazione alta risulta più conveniente detenere titoli. Ciò porta a una corsa
agli sportelli per prelevare moneta, aumentando i costi di transazione. L’evoluzione dei sistemi
finanziari ha permesso di ridurre in un certo modo questi costi di transazione (sportelli digitali e
moneta elettronica).
• Costo dei menù = con inflazione alta i prezzi di vendita aumentano, costringendo le imprese ad
aggiornare continuamente i listini dei prezzi, che richiedono il sostenimento di costi (monetari e
non). La digitalizzazione dei cataloghi permette di contenere questa voce.
• Distorsioni fiscali = l’inflazione alta può imporre aliquote più alte anche a chi ha redditi non elevati,
ma che risultano apparentemente tali per via dell’inflazione stessa
• Variazione relativa dei prezzi = con inflazione alta è difficile comprendere se il prezzo di un bene
sia aumentato singolarmente o per via di un aumento generale dei prezzi
• Volatilità = inflazione alta è spesso volatile, quindi spiazza le decisioni di risparmio, investimento e
consumo
• Illusione monetaria = un aumento del salario nominale (in presenza anche di salario reale in
riduzione) induce imprese e persone a prendere decisioni sbagliate, ad esempio aumentando la
spesa
• Rapporti credito/debito = l’inflazione avvantaggia i debitori dato che riduce l’onerosità del credito,
danneggiando i creditori

L’inflazione presenta anche dei benefici:

• Tassazione delle scorte monetarie = l’inflazione causa una tassa nascosta, ma efficiente sulle scorte
monetarie, dato che fa perdere alla moneta valore.
• Peso del debito pubblico = il debito pubblico risulta meno gravoso, dato che gli interessi da pagare
sul debito è un rapporto tra reddito e PIL nominale. Il PIL nominale può aumentare anche per
l’aumento dell’inflazione.
• Problemi della deflazione = la deflazione abbassa i ricavi futuri degli investimenti (a livello
nominale), rendendo oggi il trade off rischio – rendimento sfavorevole. Ciò disincentiva
investimenti e attività d’impresa. Inoltre, la deflazione tende a far procrastinare i consumi

MICROFONDAZIONE DEL MODELLO WS – PS


CURVA PS
La curva PS è:

𝑃 = (1 + ℎ)𝑊
Le imprese nel modello hanno potere di mercato, in particolare sono in situazione di concorrenza
monopolistica. La concorrenza monopolistica significa un mercato con molte imprese simmetriche (stesse
tecnologie). L’unico fattore utilizzato è il lavoro. Nonostante l’unico fattore e la medesima tecnologia, esiste
un certo grado di eterogeneità tra i beni finali prodotti dalle imprese, che quindi permette che minime
variazioni del prezzo non comportino per forza che i clienti si sposti completamente verso le concorrenti (o
il contrario). Un esempio tipico di concorrenza monopolistica sono i bar per beni quali il caffè. Individuiamo
la curva di domanda individuale dei beni:
𝑃𝑖
𝑌𝑖 = 𝑝𝑖−𝜖 𝑐𝑜𝑛 𝑝𝑖 = 𝑒𝜀>1
𝑃
La concorrenza perfetta si ottiene se si pone l’elasticità della domanda 𝜀 → +∞. In altre parole, quando in
concorrenza monopolistica si suppone un’elasticità della domanda molto sensibile al prezzo si ottiene una
concorrenza perfetta. 𝑝𝑖 è il prezzo praticato dall’impresa 𝑖 rispetto alle concorrenti.

Il numero di lavoratori dipende dalla produzione:

𝑁𝑖 = 𝑁(𝑌𝑖 )
Ciò è perfettamente ragionevole dato che non è che una funzione inversa dalla funzione di produzione
generica 𝑌𝑖 = 𝑌(𝑁𝑖 ).

Il salario reale concesso ai lavoratori è:

𝑊𝑖
𝑤𝑖 =
𝑃
Posso quindi calcolare i profitti reali delle imprese:

𝑌𝑖 =𝑝𝑖−𝜖

𝜋𝑖 = 𝑝𝑖 𝑌𝑖 − 𝑤𝑖 𝑁(𝑌𝑖 ) ====> 𝜋𝑖 = 𝑝𝑖 𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 𝑁(𝑌𝑖 ) => 𝝅𝒊 = 𝒑𝟏−𝝐
𝒊 − 𝒘𝒊 𝑵(𝒀𝒊 )

Il profitto reale ottimale si ricava tramite la condizione di ottimo:

𝑑𝜋𝑖 𝑑𝜋𝑖 𝑑𝑁 𝑑𝑌𝑖 𝑑𝑁


= 0 => = (1 − 𝜖)𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 ( ∗ ) = (1 − 𝜖)𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 (−𝜀𝑝𝑖−𝜀−1 ) = 0
𝑑𝑝𝑖 𝑑𝑝𝑖 𝑑𝑌𝑖 𝑑𝑝𝑖 𝑑𝑌𝑖

𝑑𝑁
(1 − 𝜖)𝑝𝑖−𝜖 = 𝑤𝑖 (−𝜀𝑝𝑖−𝜀−1 )
𝑑𝑌𝑖

𝜀 𝑑𝑁
𝑝𝑖−𝜖 = − 𝑤𝑖 𝑝𝑖−𝜀−1
1−𝜀 𝑑𝑌𝑖

𝑝𝑖−𝜖 𝜀 𝑤𝑖
−𝜀−1 = 𝜀 − 1 ∗ 𝑑𝑌
𝑝𝑖 𝑖
𝑑𝑁
𝜀 𝑤𝑖
𝑝𝑖∗ = ∗
𝜀 − 1 𝑑𝑌𝑖
𝑑𝑁
𝜀 𝑤𝑖
Dato che 𝜀 > 1 => >1e 𝑑𝑌𝑖 > 0, posso dedurre 𝑝𝑖∗ > 0. Stabilisco una convenzione in base a cui
𝜀−1
𝑑𝑁
𝜀
= 1 + ℎ, cioè il ricarico delle imprese nel modello WS – PS non è altro che un “ricarico” calcolato dalle
𝜀−1
𝑤
imprese sui costi marginali ( 𝑑𝑌𝑖𝑖 ) tenendo conto dell’elasticità della domanda 𝜀. Il prezzo praticato è quindi:
𝑑𝑁

𝑤𝑖
𝑝𝑖∗ = (1 + ℎ)
𝑑𝑌𝑖
𝑑𝑁
Noto che:

𝜀 𝑤𝑖
𝜀 → +∞ => → 1 => 1 + ℎ → 1 => ℎ → 0 => 𝑝𝑖∗ = = 𝐶𝑀𝑔 => 𝐶𝑜𝑛𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑒𝑡𝑡𝑎
𝜀−1 𝑑𝑌𝑖
𝑑𝑁
𝑃𝑖
Il comportamento della singola impresa, dunque, può essere scritto come, ricordando che 𝑝𝑖 = 𝑃
e, infine,
𝑊𝑖
𝑤𝑖 = 𝑃
:

𝑃𝑖 𝑊𝑖 1
= (1 + ℎ) ∗
𝑃 𝑃 𝑑𝑌𝑖
𝑑𝑁

Dato che le imprese sono simmetriche posso dire che:

• Il prezzo praticato da tutte le imprese è il medesimo, 𝑃𝑖 = 𝑃


• Il salario nominale scelto dalle imprese è il medesimo, 𝑊𝑖 = 𝑊
𝑑𝑌𝑖 𝑑𝑌
• La produttività marginale delle imprese è la medesima, 𝑑𝑁
= 𝑑𝑁

L’equazione di comportamento diventa:


𝑊 1
1 = (1 + ℎ) ∗
𝑃 𝑑𝑌
𝑑𝑁

Posso scrivere l’equazione della PS microfondata:

𝑊 1 𝑑𝑌
𝑃𝑆: = ∗
𝑃 1 + ℎ 𝑑𝑁

L’ipotesi fondamentale che possiamo fare sulla produttività marginale è che essa sia decrescente:
𝑑𝑌
𝑢 ↑=> 𝑁 ↓=> ↑
𝑑𝑁
In un grafico disoccupazione – salario reale tale ipotesi porta a una relazione crescente, mentre per la
produttività marginale costante si ha una relazione orizzontale:
Possiamo supporre che, in realtà, la relazione tenda al caso orizzontale. Ciò prende il nome di ciclicità del
mark up. In altre parole, la disoccupazione non solo influenza la produttività, ma anche il ricarico ℎ delle
imprese. In particolare, se la disoccupazione aumenta le imprese aumentano il ricarico, esercitando
maggiore potere di mercato. Ciò si può dimostrare con il caso opposto. Se l’economia è in fase fortemente
espansiva, allora l’occupazione è elevata e il numero di imprese che entrano nel mercato è elevato. Le
molte imprese che entrano determinano un forte concorrenza sui prezzi, limitando la possibilità delle
imprese di imporre ricarichi più alti. Allo stesso tempo, nel mercato entrano anche nuovi consumatori, che
pretendono un certo grado di fidelizzazione da parte delle imprese, che anche per questo motivo non
possono aumentare eccessivamente i ricarichi. Infine, dato che la dimensione del mercato è elevata, le
imprese hanno maggiore incentivo a deviare da strategie collusive (es. cartelli), che possono mantenere i
prezzi alti. Le precedenti osservazioni permettono di dire:
1
𝑢 ↑=> ℎ ↑=> ↓
1+ℎ
Il risultato è che all’aumentare della disoccupazione la PS tende a diventare piatta. In sostanza, le ipotesi
alla base della PS del modello sono:

• Mark up ciclico
• Produttività marginale decrescente

Osservazioni empiriche

L’OECD ha elaborato un indice che misura il grado di regolamentazione del mercato, il PMR (Product
Market Regulation). Più il mercato è regolamentato e meno è concorrenziale. Il PMR tiene conto di 3
aspetti:

1) Misura della proprietà pubblica delle imprese


2) Barriere all’ingresso (legali e amministrative)
3) Barriere al commercio e agli investimenti esteri

Stati Uniti e Russia hanno PMR molto elevati, soprattutto, per politiche protezionistiche che hanno
caratterizzato l’ultima fase politica dei paesi e per la presenza di settori strategici storicamente
egemonizzati dallo Stato.
Analizzata in prospettiva temporale, però, ci si rende conto che in generale il PMR è diminuito a seguito di
una tendenza alla deregolamentazione, tranne per gli USA, dato un’inversione di tendenza (anche prima
della presidenza Trump).

Si può pensare anche a una relazione tra PMR e disoccupazione, anche se non ne si può ricavare la
causalità. La correlazione sembra dire che laddove ci sia poca regolamentazione c’è anche poca
disoccupazione. I dati, però, danno riferimento a dati precedenti alla crisi attuale.

CURVA WS
La curva WS è:

𝑊
= 𝑓(𝑢− , 𝑧 + )
𝑃𝐸𝑥𝑝

I lavoratori hanno potere di mercato grazie ai sindacati. La principale (ma non unica) funzione dei sindacati
è condurre le contrattazioni collettive con le imprese per nome dei membri. La contrattazione può avvenire
a livello di singola impresa, a livello di settore o a livello nazionale. Inoltre, la contrattazione può vertere
solo sul salario (right to manage), lasciando all’impresa la decisione sul livello di disoccupazione; oppure si
contratta sia su salari che su livello di occupazione (teoria della contrattazione efficiente). Il primo caso è, di
fatto, quello più diffuso, dato che accordi sull’occupazioni sono difficilmente implementabili.

Nella contrattazione, salari e imprese presentano rispettivamente le seguenti utilità:

𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑠𝑖𝑛𝑑𝑎𝑐𝑎𝑡𝑖: 𝑈

𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒: 𝛱

Allo stesso tempo, sindacati e imprese hanno un’utilità di riserva in caso di fallimento della contrattazione,
che possono essere anche negative:

𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎 𝑠𝑖𝑛𝑑𝑎𝑐𝑎𝑡𝑖: 𝑅

̅
𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒: 𝛱

L’oggetto di contrattazione è il salario reale 𝑤. Utilizziamo il massimando di Nash per trovare la soluzione
della contrattazione:

̅)
𝛺 = (𝑈 − 𝑅)𝛽 (𝛱 − 𝛱

Dove 𝛽 è il potere contrattuale relativo dei sindacati rispetto alle imprese, il cui potere contrattuale è di
conseguenza normalizzato a 1. La risoluzione della contrattazione si ottiene risolvendo il problema di
massimizzazione del massimando di Nash rispetto all’oggetto di contrattazione. La soluzione della
contrattazione è quella tale per cui le parti non possono compiere ulteriori contrattazioni per migliorare
la propria situazione:

𝑑𝛺
𝑚𝑎𝑥 𝛺 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑎 𝑤 => = 0 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑡𝑡𝑒 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑑𝑢𝑎𝑟𝑒 𝑤 ∗
𝑑𝑤

Ovviamente:

• La parte che ha l’utilità di riserva maggiore è ragionevolmente quella più avvantaggiata nella
contrattazione, mantenendo costante 𝛽.
• Allo stesso tempo, mantenendo costante le utilità di riserva, la parte con il 𝛽 maggiore è quella più
avvantaggiata.
• Infine, è possibile ipotizzare casi ibridi in cui una parte ha l’utilità di riserva maggiore e il 𝛽 minore
e l’altra il contrario. In tal caso l’esito non è univoco, ma va ricavato caso per caso.

In realtà, tale risultato può essere ottenuto anche tramite la teoria dei giochi, ma con un grado maggiore di
complessità in termini di modellizzazione.

Passando alla contrattazione sindacale, stabiliamo le seguenti ipotesi:

1) Right to manage
2) Contrattazione a livello d’impresa (contrattazione decentralizzata)
3) Imprese e sindacati si accordano sul salario reale (ipotesi forte)

Da notare che la 3° ipotesi tiene anche perché la contrattazione avviene a livello di singola impresa (2°
ipotesi), cioè la contrattazione non ha particolare incisione sul livello generale dei prezzi. Di conseguenza,
possiamo considerare P come costante (cioè esogeno). Se si sceglie la contrattazione nazionale allora la 3°
non tiene.

L’oggetto di contrattazione è, dunque, il salario nell’impresa i – esima, 𝑤𝑖 . Le utilità dei sindacati possono
essere rappresentate come:

𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑠𝑖𝑛𝑑𝑎𝑐𝑎𝑡𝑜: 𝑈 = 𝑁𝑖 𝑤𝑖

𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎 𝑠𝑖𝑛𝑑𝑎𝑐𝑎𝑡𝑜: 𝑅 = 𝑁𝑖 𝑟

Dove 𝑟 è il reddito che i lavoratori possono percepite al di fuori dell’impresa se l’accordo fallisce. Le utilità
delle imprese, invece, sono:

𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒: 𝛱 = 𝜋𝑖 (𝑤𝑖 ) = 𝑝𝑖 𝑌𝑖 − 𝑤𝑖 𝑁𝑖

̅=0
𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒: 𝛱

La funzione di domanda delle imprese è quella della concorrenza monopolistica, 𝑌𝑖 = 𝑝𝑖−𝜖 , e supponiamo
che la funzione di produzione sia 𝑌𝑖 = 𝑁𝑖 , cioè la produttività marginale è costante. La costanza della
produttività marginale si giustifica per 3 ragioni:

1) Ragione di realismo
2) Ragione di semplificazione matematica
3) Ragione di ipotesi indolore, cioè il risultato finale con produttività marginale crescente è
qualitativamente identico

L’ipotesi sui profitti di riserva nulli è, invece, abbastanza irrealistica, dato che non tiene conto di eventuali
costi fissi o interessi su debiti che le aziende potrebbero detenere indipendentemente dall’assunzione di
lavoratori.

Possiamo riscrivere il massimando di Nash:

̅) = [𝑁𝑖 (𝑤𝑖 − 𝑟)]𝛽 𝜋𝑖 (𝑤𝑖 )


𝛺 = (𝑈 − 𝑅)𝛽 (𝛱 − 𝛱

Stabilisco il seguente sistema, sotto il vincolo che le imprese scelgono l’occupazione che massimizzi i loro
profitti, ricordando che N non è deciso nella contrattazione:

𝑑𝜋𝑖
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 [𝑁𝑖 (𝑤𝑖 − 𝑟)]𝛽 𝜋𝑖 (𝑤𝑖 ) 𝑠. 𝑣. =0
𝑑𝑁𝑖

Possiamo, quindi, osservare che per mezzo del vincolo profitto – occupazione, il salario contrattato dai
sindacati determina (anche se indirettamente, per mezzo del comportamento delle imprese) il livello di
occupazione. Inoltre, date le ipotesi su funzione di domanda e funzione di produzione, il vincolo profitto –
occupazione è identico al vincolo profitto – prezzi (le imprese scelgono un prezzo ottimo che determina
un’occupazione ottima), permettendo di riscrivere il problema come:

𝑑𝜋𝑖
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 [𝑁𝑖 (𝑤𝑖 − 𝑟)]𝛽 𝜋𝑖 (𝑤𝑖 ) 𝑠. 𝑣. =0
𝑑𝑝𝑖

La risoluzione del problema segue questi step:

1) Risoluzione del vincolo, in modo da trovare un’occupazione ottima 𝑁𝑖∗


2) Sostituzione di 𝑁𝑖∗ nel massimando di Nash
3) Risoluzione del massimando di Nash rispetto a 𝑤𝑖 , in modo da trovare 𝑤𝑖∗

STEP 1

Ricavo i profitti, ricordando che le 2 ipotesi sono:

1) 𝑌𝑖 = 𝑝𝑖−𝜖
2) 𝑌𝑖 = 𝑁𝑖

𝝅𝒊 (𝒘𝒊 ) = 𝑝𝑖 𝑌𝑖 − 𝑤𝑖 𝑁𝑖 = 𝑝𝑖 𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 𝑌𝑖 = 𝑝𝑖 𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 𝑝𝑖−𝜖 = 𝒑𝟏−𝝐


𝒊 − 𝒘𝒊 𝒑−𝝐
𝒊

Procedo a calcolare la derivata dei profitti rispetto ai prezzi:


𝑑𝜋𝑖
= (1 − 𝜖)𝑝𝑖−𝜖 − 𝑤𝑖 (−𝜖)𝑝𝑖−𝜖−1 = 0
𝑑𝑝𝑖

Moltiplico entrambi i membri per 𝑝𝑖1+𝜖 :

(1 − 𝜖)𝑝𝑖−𝜖 𝑝𝑖1+𝜖 − 𝑤𝑖 (−𝜖)𝑝𝑖−𝜖−1 𝑝𝑖1+𝜖 = 0

(1 − 𝜖)𝑝𝑖 − 𝑤𝑖 (−𝜖) = 0

𝜖
𝑝𝑖 ∗ = 𝑤
𝜖−1 𝑖

L’occupazione ottima è quindi:

𝜖 −𝜖 𝜖 −𝜖 −𝜖
𝑁𝑖∗ = 𝑌𝑖∗ = 𝑝∗ −𝜖 = ( 𝑤 ) = ( ) 𝑤𝑖
𝑖 𝜖−1 𝑖 𝜖−1

L’occupazione è funzione decrescente dei salari reali. Posso calcolare i profitti ottimali associati ai prezzi e
all’occupazione ottimale.

𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝐷(𝜖)
𝜖 1−𝜀 𝜖 −𝜀 ⏞ 𝜖 1−𝜀 𝜖 −𝜀
𝝅∗𝒊 = ( 𝑤𝑖 ) − 𝑤𝑖 ( 𝑤𝑖 ) = 𝑤𝑖1−𝜀 ( 𝑤𝑖 ) −( 𝑤𝑖 ) = 𝒘𝟏−𝜺
𝒊 𝑫(𝝐)
𝜖−1 𝜖−1 𝜖−1 𝜖−1
[ ]

I profitti sono una funzione decrescente dei salari.

STEP 2

Riscrivo il massimando di Nash:

𝑑𝜋𝑖
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 [𝑁𝑖 (𝑤𝑖 − 𝑟)]𝛽 𝜋𝑖 (𝑤𝑖 ) 𝑠. 𝑣. =0
𝑑𝑝𝑖

𝑑𝜋
Dallo step 1, cioè dalla risoluzione del vincolo 𝑑𝑝𝑖 = 0, so che:
𝑖

𝜖 −𝜖
• 𝑁𝑖∗ = (𝜖−1) 𝑤𝑖 −𝜖
• 𝜋𝑖∗ = 𝑤𝑖1−𝜀 𝐷(𝜖)
Inseriamo occupazione e profitti ottimali nel massimando, per tener conto del vincolo:

𝛽
𝜖 −𝜖 −𝜖
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 [( ) 𝑤𝑖 (𝑤𝑖 − 𝑟)] 𝑤𝑖1−𝜀 𝐷(𝜖)
𝜖−1

𝜖 −𝜖𝛽
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 ( ) ∗ 𝑤𝑖 −𝜖𝛽 ∗ (𝑤𝑖 − 𝑟)𝛽 ∗ 𝑤𝑖1−𝜀 𝐷(𝜖)
𝜖−1

Sfrutto la seguente proprietà algebrica: 𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 𝛺 = 𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 ln (𝛺), sfruttando il fatto che il logaritmo è una
funzione monotona crescente. Inoltre, sfrutto la proprietà: 𝑙𝑛 (𝑥𝑦) = 𝑙𝑛( 𝑥) + 𝑙𝑛 (𝑦)

𝜖 −𝜖𝛽
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 ( ) ∗ 𝑤𝑖 −𝜖𝛽 ∗ (𝑤𝑖 − 𝑟)𝛽 ∗ 𝑤𝑖1−𝜀 𝐷(𝜖)
𝜖−1
𝑒𝑙𝑖𝑚𝑖𝑛𝑜
𝑝𝑒𝑟𝑐ℎé 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑒𝑙𝑖𝑚𝑖𝑛𝑜
𝑝𝑒𝑟𝑐ℎé 𝑛𝑜𝑛 𝑑𝑖𝑝𝑒𝑛𝑑𝑒
𝑑𝑎 𝑤
𝑑𝑎 𝑤
⏞ 𝜖 −𝜖𝛽
𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 𝑙𝑛 ( ) + ln(𝑤𝑖 −𝜖𝛽 ) + 𝑙𝑛(𝑤𝑖 − 𝑟)𝛽 + ln(𝑤𝑖1−𝜀 ) + ⏞
ln(𝐷(𝜖))
𝜖−1

𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 −𝜖𝛽ln(𝑤𝑖 ) + 𝛽𝑙𝑛(𝑤𝑖 − 𝑟) + (1 − 𝜀)ln(𝑤𝑖 )

𝑚𝑎𝑥𝑤𝑖 (1 − 𝜀 − 𝜖𝛽)ln(𝑤𝑖 ) + 𝛽𝑙𝑛(𝑤𝑖 − 𝑟)

Calcolo la derivata del logaritmo del salario:

𝜕𝑙𝑛 [… ] 1 1
= (1 − 𝜀 − 𝜖𝛽) + 𝛽 =0
𝜕𝑤𝑖 𝑤𝑖 𝑤𝑖 − 𝑟

𝑟
(1 − 𝜀 − 𝜖𝛽) (1 − )+𝛽 =0
𝑤𝑖
𝑟
(1 − 𝜀 − 𝜖𝛽) − (1 − 𝜀 − 𝜖𝛽) +𝛽 = 0
𝑤𝑖
𝑟
(1 − 𝜀 − 𝜖𝛽 + 𝛽) = (1 − 𝜀 − 𝜖𝛽)
𝑤𝑖

1 − 𝜀 − 𝜖𝛽 + 𝛽
𝑤𝑖 ( )=𝑟
1 − 𝜀 − 𝜖𝛽

𝛽 𝛽
𝑤𝑖 (1 + ∗ )=𝑟
1 − 𝜀 − 𝜖𝛽 𝛽

1
𝑤𝑖 (1 + )=𝑟
1−𝜀
−𝜖
𝛽

−𝟏 −𝟏
𝟏 𝟏
𝒔𝒂𝒍𝒂𝒓𝒊𝒐 𝒓𝒆𝒂𝒍𝒆 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒓𝒂𝒕𝒕𝒐 𝒅𝒂𝒍𝒍′ 𝒊𝒎𝒑𝒓𝒆𝒔𝒂: 𝒘𝒊 ∗ = 𝒓 (𝟏 + ) = 𝒓 (𝟏 − )
𝟏−𝜺 𝜺−𝟏
−𝝐 +𝝐
𝜷 𝜷
Si è così individuato il salario che risolve la contrattazione. Posso, dunque, analizzare la relazione tra salario
e le diverse variabili:

• Il salario 𝑤 è funzione crescente del salario di riserva 𝑟


• Il salario 𝑤 è funzione crescente del potere contrattuale di 𝛽
• Il salario 𝑤 è funzione decrescente dell’elasticità della domanda 𝜖. Ciò da luogo a un risultato
ambiguo dato che ragionevolmente un aumento dell’elasticità dovrebbe avvantaggiare i salari reali.
In realtà, bisogna pensare che l’elasticità è un indice inverso del potere di mercato dell’impresa,
quindi se 𝜖 ↓ allora 𝑤 ↑, dato che avendo l’impresa maggiore potere di mercato, essa può
conseguire maggiori profitti, che il sindacato può spartire tra i lavoratori.

Da notare che w è solo un salario per la singola impresa. Per passare al livello aggregato, parto dal salario di
riserva:

𝑠𝑢𝑠𝑠𝑖𝑑𝑖𝑜
𝑙𝑎𝑣𝑜𝑟𝑜 𝑒 𝑟𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑖
𝑎𝑙𝑡𝑟𝑒 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒 𝑖𝑛𝑑𝑖𝑟𝑒𝑡𝑡𝑖
𝑟= ⏞
(1 − 𝑢)𝑤 𝑜 + ⏞
𝑢𝑏

Il tasso di disoccupazione misura la probabilità di un lavoratore di rimanere senza lavoro, da cui posso
costruire il salario di riserva come una media pesata tra due eventi (occupazione in altre imprese e
disoccupazione). Il salario ottimale della singola impresa, quindi, può essere scritto come:

−1
1
𝑤𝑖 ∗ = [(1 − 𝑢)𝑤 𝑜 + 𝑢𝑏] (1 − )
𝜀−1
+𝜖
𝛽

Per la simmetria degli operatori posso stabilire che 𝑤𝑖 = 𝑤 𝑜 = 𝑤, e ciò mi permette di passare al salario
aggregato:

−1

1
𝑤 = [(1 − 𝑢)𝑤 + 𝑢𝑏] (1 − )
𝜀−1
+𝜖
𝛽

1
𝑤 (1 − ) = (1 − 𝑢)𝑤 + 𝑢𝑏
𝜀−1
+𝜖
𝛽

1
𝑤 (𝑢 − ) = 𝑢𝑏
𝜀−1
+𝜖
𝛽

−1

1
𝑤 = 𝑢𝑏 (𝑢 − )
𝜀−1
+𝜖
𝛽
−1

1
𝑤 = 𝑏 (𝑢𝑢−1 − 𝑢−1 )
𝜀−1
+𝜖
𝛽

−𝟏

𝟏
𝒔𝒂𝒍𝒂𝒓𝒊𝒐 𝒓𝒆𝒂𝒍𝒆 𝒄𝒐𝒏𝒕𝒓𝒂𝒕𝒕𝒂 𝒏𝒆𝒍𝒍′𝒆𝒄𝒐𝒏𝒐𝒎𝒊𝒂: 𝒘 = 𝒃 (𝟏 − )
𝜺−𝟏
𝒖( + 𝝐)
𝜷

Noto che il salario reale contrattato:

• 𝑏 ↑=> 𝑤 ↑=> 𝑊𝑆 ↑
• 𝛽 ↑=> 𝑤 ↑=> 𝑊𝑆 ↑
• 𝑢 ↑=> 𝑤 ↓=> 𝑊𝑆 ↑
• 𝜀 ↑=> 𝑤 ↓=> 𝑊𝑆 ↓

Da ricordare che il livello dei prezzi è esogeno, dato che la contrattazione è decentralizzata, cioè la
contrattazione nella singola impresa non ha impatto sui prezzi.

Osservazioni empiriche-

Indici per misurare la presenza dei sindacati in un’economia sono:

• Indice di sindacalizzazione (= lavoratori iscritti ai sindacati)


• Tasso di copertura (= contratti di lavoro stipulati da sindacati)
• Grado di centralizzazione della contrattazione (= livello a cui è condotta la contrattazione)

Il tasso di sindacalizzazione è nel mondo presenta un dualismo tra mondo anglosassone (basso) e mondo
del Nord Europa (alto). Fino al 1960 l’indice aumenta, per invertire la marcia nel 1980 a seguito delle
politiche liberiste dei governi in quel periodo (Thatcher e Reagan).
Nei paesi europei, in sostanza, la stragrande maggioranza dei contratti sono determinati dai sindacati e di
solito indice di sindacalizzazione e tasso di copertura hanno andamento simile (eccezione per la Francia).

La relazione ha debolmente un andamento a U rovesciata, cioè le situazioni di contrattazione intermedia


(settore) generano maggiore disoccupazione, rispetto a un sistema puramente decentralizzato (singola
impresa) o centralizzato (intero paese). Infatti, in un sistema centralizzato è presente una certa
moderazione salariale, perché i sindacati sono coscienti dell’impatto delle loro decisioni (aumenti salariali)
sui prezzi. A livello decentrato, il sindacato che contratta con la singola azienda tende a contenersi per
evitare che richieste eccessive in termini di aumenti salariali mettano in difficoltà l’impresa (aumento dei
costi), aumentando la disoccupazione. A livello intermedio, invece, l’impatto sull’occupazione di un
aumento salariale è più basso, dato che aumentano i salari di tutte le imprese dello stesso settore. Ciò,
tuttavia, non è pienamente confermato dai dati, visto che alcuni paesi con contrattazione intermedia hanno
buone performance occupazionali.
POLITICA ECONOMICA NEL MODELLO WS – PS
POLITICA ECONOMICA E CURVE WS E PS
Il sistema del modello WS – PS è:
𝑊 1
𝑃𝑆: =
𝑃 1+ℎ
𝑊
𝑊𝑆: = 𝑓(𝑢, 𝑧)
𝑃𝐸𝑥𝑝
Politiche sui lavoratori: il legislatore opera sulla WS tramite z, migliorando il potere contrattuale dei
sindacati o aumentando il sussidio di disoccupazione. Il risultato è che il tasso di disoccupazione naturale
aumenta, mentre il salario effettivamente percepito rimane costante. Invece, politiche che indeboliscono i
sindacati o riducono i sussidi di disoccupazioni hanno l’effetto opposto di ridurre il tasso di disoccupazione
naturale, a parità di salario reale percepito. L’approccio è decisamente liberista, dato che una migliore
performance occupazionale passa per un indebolimento dei sindacati, che in realtà non sembrano avere
grande utilità dato che il salario reale è fisso. Supponendo una PS crescente, anche il salario reale avrebbe
una dinamica, aumentando con politiche a favore dei lavoratori e diminuendo con politiche a sfavore dei
lavoratori. In caso di PS crescente, inoltre, l’effetto di aumento della disoccupazione è più debole, perché il
sistema ha una produttività marginale elevata, quindi è possibile pensare che alcuni disoccupati possano
essere riqualificati e assorbiti in altri settori.

Bisogna precisare che non si può dir nulla su come evolva la disoccupazione effettiva, che può essere
analizzata solo nel modello DAE – OA

Politiche sulle imprese: il legislatore può decidere di ridurre il potere di mercato delle imprese. Ciò significa
che le imprese possono applicare un ricarico minore. Il risultato è che se h diminuisce allora la
disoccupazione naturale diminuisce e i salari reali aumentano. Anche in questo caso c’è un approccio
liberista, dato che il miglioramento della performance occupazionale e salariale passa per la riduzione delle
imperfezioni nella concorrenzialità del mercato. Le stesse conclusioni valgono anche con PS crescente.
POLITICHE ECONOMICHE E MODELLO DAE – OA (POLITICHE DELL’OFFERTA)
Politica a sfavore dei sindacati: Diminuendo il potere contrattuale dei sindacati, si determina un equilibrio
nel modello WS – PS a disoccupazione naturale minore, a parità di salario reale. Il sistema economico
generale, determinato nel modello DAE – OA, in un primo momento rimane al livello di disoccupazione
effettivo, cioè i sindacati contrattano un salario reale minore del salario offerto dalle imprese:

𝑊 𝑠𝑖𝑛𝑑𝑎𝑐𝑎𝑡𝑖 𝑊 𝑖𝑚𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒
𝑢1∗ < 𝑢2∗ => ( ) <( )
𝑃 𝑃
Per realizzare il salario contrattato, i sindacati accettano di diminuire il salario nominale. Dato che il pricing
delle imprese è 𝑃 = (1 + ℎ)𝑊, a parità di ricarico, le imprese abbassano i prezzi dato che i costi si sono
ridotti (W è diminuito), permettendo alla AS di traslare verso il basso, determinando un livello di reddito
maggiore di quello naturale per prezzi minori di quelli attesi, disattendendo le aspettative sui prezzi (statico
– adattive):

Da notare che il reddito naturale nel processo è cambiato, passando da 𝑌0∗ |𝑢0∗ a 𝑌1∗ |𝑢1∗ . Quindi, la AS passa
dal punto (𝑌1∗ , … ). Il risultato è che la AS continua a traslare fino a che non si raggiunga il punto (𝑌1∗ , 𝑃1∗ )
come equilibrio economico. Nel processo, il reddito (naturale ed effettivo) è aumentato, la
disoccupazione (naturale ed effettiva) si è ridotta e i prezzi sono stabilmente diminuiti, mentre il salario
reale è rimasto costante (il salario nominale è diminuito, mentre i prezzi sono diminuiti, compensandosi).
A differenza delle politiche fiscali e monetarie (c.d. politiche della
domanda, dato che determinavano la posizione della DAE, efficaci
nel breve periodo), le politiche su lavoro (e imprese) hanno
efficacia nel lungo periodo nel cambiare il reddito. Queste
politiche prendono il nome di politiche dell’offerta, dato che
determinano la posizione della OA. Le riforme strutturali si
fondano proprio sulle politiche dell’offerta. In realtà, affinché il
sistema economico raggiunga 𝑌1∗ tramite le sole politiche
dell’offerta ci vuole tempo. Attuare delle politiche della domanda
(es. fiscali e monetarie espansive) permetterebbe di raggiungere
subito il punto (𝑌1∗ , 𝑃0∗ ), cioè un punto di equilibrio a reddito
naturale e prezzi per cui le aspettative sono soddisfatte. Il ruolo
delle politiche della domanda è, dunque, quello di velocizzare il
processo (destra):

Le modalità con cui uno Stato può incidere sulla WS sono:

• Legislazione che diminuisca/aumenti il potere contrattuale dei sindacati (es. norme sul diritto di
sciopero, sulla protezione dell’impiego, ecc.), quindi influenzare 𝛽
• Legislazione che diminuisca/aumenta i sussidi di disoccupazione, quindi influenzare 𝑏
Un’alternativa è abbattere la regolamentazione (liberoscambismo e politiche antitrust), in modo da ridurre
il potere di mercato delle imprese e permettere alla PS di traslare la PS verso l’alto, aumentando il salario
reale e diminuendo la disoccupazione.

Si possono pensare anche a politiche del reddito, in cui le imprese accettano di ridurre i ricarichi e i
sindacati a concedere moderazioni salariali. Queste politiche sono efficienti solo se c’è incentivo alla
collaborazione, soprattutto da parte delle imprese. Una politica del reddito permette di diminuire la
disoccupazione naturale e ad aumentare i salari reali:

ECONOMIA APERTA
LA BILANCIA DEI PAGAMENTI
L’introduzione dell’economia aperta permette l’esistenza di transazioni in termini di beni, servizi e capitali
tra paesi. Lo strumento che permette di tener conto di questi flussi è la bilancia dei pagamenti:

𝑆𝐵𝑃 = 𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑖 (𝑃𝐶) + 𝑚𝑜𝑣𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖(𝑀𝐾)


Le partite correnti sono i flussi di denaro corrispondenti all’acquisto/vendita di beni e servizi con l’estero.

𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑟𝑟𝑒𝑛𝑡𝑖 = 𝑋 − 𝑀 = 𝑒𝑠𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 − 𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖


I movimenti di capitali sono i flussi di denaro corrispondenti all’acquisto/vendita di titoli con l’estero:

𝑚𝑜𝑣𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 = 𝑋𝐿 − 𝑀𝐿 = 𝐸𝑥𝑝. 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 − 𝐼𝑚𝑝. 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖


Le transazioni non avvengono sempre in moneta nazionale, ma bisogna rivolgersi a mercati della valuta in
cui scambiare le valute di diversi paesi. I mercati delle valute si basano sulla grandezza economica del tasso
di cambio. Si considera il tasso di cambio 𝒆 che permette di convertire valuta nazionale in valuta estera,
cioè il prezzo in valuta estera di un’unità di valuta nazionale. Ne risulta:

𝑃: 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑒𝑠𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎 𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒


𝑒𝑃: 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑒𝑠𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑖𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑎
Inoltre:

𝑒 ↑∶ 𝑟𝑖𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
𝑒 ↓ : 𝑠𝑣𝑎𝑙𝑢𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
Nei modelli si ipotizza che il paese sia piccolo, cioè non influenzi i prezzi internazionali e il reddito degli altri
paesi.
Analizziamo le partite correnti:

𝑃∗ + − 𝑃∗ 𝑃∗
𝑃𝐶 ( , 𝑌 ) = 𝑋 (𝑌 ∗ , ) − 𝑀 (𝑌, )
𝑒𝑃 𝑒𝑃 𝑒𝑃

Vediamo che le esportazioni dipendono (positivamente) dal reddito dei paesi estero (fisso) e dalla
competitività dei prodotti nazionali (espressa dalla ragione di scambio, dove P* è il prezzo estero in valuta
estera). Da notare che:
1 ∗
𝑃∗ 𝑃
𝐶𝑜𝑛𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑎𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑖 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑖 → ; 𝑐𝑜𝑛𝑓𝑟𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑎𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑖 𝑛𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖 → 𝑒
𝑒𝑃 𝑃
Le importazioni dipendono dal reddito nazionale e dalla competitività dei prodotti nazionali. M è funzione
positiva del reddito, ma negativa della ragione di scambio. Su quest’ultimo punto, però, bisogna
puntualizzare che se i prodotti nazionali sono più competitivi allora i beni esteri sono più costosi, quindi a
fronte della riduzione dei volumi di importazioni aumenta la spesa complessiva. I due effetti si compensano
in modo da poter affermare che l’effetto è nullo. La relazione dipende anche dalla tipologia dei beni.

Complessivamente le partite correnti dipendono positivamente dalla ragione di scambio e negativamente


dal reddito nazionale.

Analizziamo i movimenti di capitali:


+
𝑀𝐾 (𝑖⏞− 𝑖 ∗ )

I movimenti di capitali dipendono dallo spread tra obbligazioni estere e obbligazioni nazionali. Lo spread
misura la convenienza delle obbligazioni nazionali rispetto a quelle estere, quindi:

𝑖 − 𝑖 ∗ > 0 → 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 → 𝑑𝑒𝑏𝑖𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑙′𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑜


𝑖 − 𝑖 ∗ < 0 → 𝑢𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 → 𝑐𝑟𝑒𝑑𝑖𝑡𝑜𝑟𝑒 𝑣𝑒𝑟𝑠𝑜 𝑙′𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑜
Posso stabilirsi 2 ipotesi:

• Perfetta mobilità del capitale: i titoli nazionali ed esteri sono identici eccetto per il tasso
d’interesse. Di conseguenza, minime variazioni nel tasso d’interesse porteranno gli operatori ad
acquistare sempre un titolo o l’altro. Quindi:
𝑖 > 𝑖 ∗ => 𝑀𝐾 → +∞ → 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑖𝑛 𝑝𝑎𝑡𝑟𝑖𝑎
𝑖 < 𝑖 ∗ => 𝑀𝐾 → −∞ → 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑖 𝑐𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖 𝑎𝑙𝑙 ′ 𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑜
Nei modelli tendenzialmente dovrà valere l’ipotesi 𝑖 = 𝑖 ∗.

• Imperfetta mobilità del capitale: i titoli nazionali ed esteri sono diversi, soprattutto per via del
diverso rischio di insolvenza dello Stato.

Analizziamo la bilancia dei pagamenti:


+
𝑃∗ + −
𝑆𝐵𝑃 = 𝑃𝐶 ( , 𝑌 ) + 𝑀𝐾 (𝑖⏞− 𝑖 ∗ )
𝑒𝑃

Utilizzando il modello IS – LM, possiamo notare che le partite correnti rientrano nella curva IS, dato che la
domanda aggregata è composta:

𝐴 = 𝐶 + 𝐼 + 𝐺 + 𝑋 − 𝑀 → 𝐼𝑆(𝑋 + , 𝑀− )
Dobbiamo, inoltre, introdurre la curva della bilancia dei pagamenti, BP, cioè il luogo geometrico tale per cui
il saldo è nullo. Supponendo imperfetta mobilità dei capitali, individuiamo un punto A in cui SBP = 0. Il
punto A corrisponde alla coppia reddito – tasso d’interesse (𝑌 𝐴 , 𝑖 𝐴 ). Ora:

• Mantenendo costante il tasso d’interesse, passo in B associato a (𝑌 𝐵 , 𝑖 𝐵 ). Notiamo che i movimenti


di capitali non sono cambiati perché il tasso d’interesse è rimasto costante, mentre le partite
correnti sono diminuite perché il reddito nazionale è aumentato. Ne risulta che in B, SBP < 0, quindi
B non appartiene alla BP
• Partendo da B, mantenendo costante il reddito, passo a C in cui l’aumento del tasso d’interesse è
sufficiente a compensare la riduzione delle partite correnti tramite l’aumento dei movimenti di
capitale. In C risulta SBP = 0, quindi C appartiene alla BP

La BP, dunque, è crescente:

Analizzo la dinamica della BP rispetto al tasso di cambio:


𝑃∗
𝑒 ↑=> ↓=> 𝑃𝐶 ↓=> 𝑆𝐵𝑃 < 0 => 𝐵𝑃 ↑
𝑒𝑃
𝑃∗
𝑒 ↓=> ↑=> 𝑃𝐶 ↑=> 𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝐵𝑃 ↓
𝑒𝑃
Supponendo perfetta mobilità dei capitali, risulta 𝑆𝐵𝑃 = 0 <=> 𝑖 = 𝑖 ∗, quindi la BP è una retta
orizzontale:

Meccanismi di aggiustamento dei tassi di cambio:

Tassi di cambio flessibili

I tassi sono liberi di fluttuare. Supponiamo che l’equilibrio si determini al di sopra della BP (crescente):

𝐸 0 |𝑆𝐵𝑃 > 0
Ne consegue che gli agenti esteri vogliono acquistare beni/servizi/titoli per una spesa maggiore di quella
che gli agenti nazionali sono disposti a fare all’estero. Gli agenti esteri sono, quindi, disposti a cedere
maggiore valuta estera per avere valuta nazionale. La valuta nazionale si rivaluta, aumentando il tasso di
cambio:
𝑃∗
𝐸 0 |𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝑒 ↑=> ↓=> 𝑃𝐶 ↓=> 𝐷 ↓=> 𝐼𝑆 ↓=> 𝐵𝑃 ↑
𝑒𝑃
Nel caso opposto:
𝑃∗
𝐸1 |𝑆𝐵𝑃 < 0 => 𝑒 ↓=> ↑=> 𝑃𝐶 ↑=> 𝐷 ↑=> 𝐼𝑆 ↑=> 𝐵𝑃 ↓
𝑒𝑃

Il fatto che anche la BP si muova determina dinamiche oscillatorie nel tasso d’interesse

Tasso di cambio fissi

Il tasso di cambio non può cambiare, per volontà dell’autorità di politica economica. In questo caso,
l’equilibrio si raggiunge grazie all’utilizzo delle riserve di valuta detenute presso la banca centrale, che in
sostanza varia la base monetaria (politica monetaria indiretta), modificando la LM:
𝑀
𝐸 0 |𝑆𝐵𝑃 > 0 => ↑=> 𝐿𝑀 ↓
𝑃

In questo caso la banca centrale stampa moneta nazionale o attinge alle riserve per fornire di valuta
nazionale gli agenti esteri, incamerando valuta estera.
Nel caso opposto:
𝑀
𝐸 0 |𝑆𝐵𝑃 < 0 => ↓=> 𝐿𝑀 ↑
𝑃
In questo caso la banca centrale nazionale attinge alle riserve di valute estere per dare valuta estera agli
agenti economici, incamerando valuta nazionale.

Tuttavia, le riserve delle banche centrali sono limitate, quindi fino a un certo punto il tasso di cambio può
essere difeso. Quando la banca centrale non è più in grado di proteggere il cambio, possono delinearsi 2
scenari:

• Passaggio ai cambi flessibili


• Limitazione ai movimenti di capitali, difendendo i tassi fissi
POLITICHE DELLA DOMANDA E REGIMI DEI CAMBI
Tassi flessibili con imperfetta mobilità dei capitali

Una politica fiscale espansiva fa traslare verso l’alto la IS, facendo realizzare un equilibrio con avanzo nella
bilancia dei pagamenti. L’avanzo si realizza per via dell’aumento del tasso d’interesse, che aumenta le
entrate di capitali, permettendo anche di più che compensare il peggioramento delle partite correnti. Il
saldo della bilancia dei pagamenti positivo determina una rivalutazione del tasso di cambio:
𝑃∗
𝐺 ↑=> 𝐼𝑆 ↑=> 𝑖 > 𝑖 ∗ => 𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝑒 ↑=> ↓=> 𝐼𝑆 ↓ 𝑒 𝐵𝑃 ↑
𝑒𝑃
Il risultato è che la politica fiscale è efficiente nel modello IS – LM ad aumentare il reddito, anche se meno
che in economia chiusa. Infatti, il sistema si assesta a un reddito intermedio, 𝑌0 < 𝑌2 < 𝑌1

Una politica monetaria restrittiva è ancora più efficace dato che permette di giungere a un reddito più
basso (o più alto in caso di manovra espansiva) rispetto a una medesima politica in economia aperta. Anche
in questo caso, la riduzione della base monetaria, che aumenta il tasso d’interesse, attrae capitali
dall’estero facendo registrare un SBP > 0. Il processo è:
𝑃∗
𝑀 ↓=> 𝐿𝑀 ↑=> 𝑖 > 𝑖 ∗ => 𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝑒 ↑=> ↓=> 𝐼𝑆 ↓ 𝑒 𝐵𝑃 ↑
𝑒𝑃

In cambi flessibili è possibile operare delle politiche di rivalutazione/svalutazione della valuta. Supponiamo
che il governo, invece, di mettere in atto una politica della domanda, decida di ridurre il tasso di cambio:
𝑃∗ 𝑃∗
𝑒 ↓=> ↑=> 𝑋 ↑=> 𝐼𝑆 ↑, 𝐵𝑃 ↓=> 𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝑒 ↑=> ↓=> 𝑋 ↓=> 𝐼𝑆 ↓, 𝐵𝑃 ↑=> 𝑆𝐵𝑃 = 0
𝑒𝑃 𝑒𝑃
Le politiche di rivalutazione sono efficaci nel breve periodo nell’aumentare il reddito. L’unico modo per
aumentare il reddito sarebbe effettuare una politica monetaria espansiva che consenta di traslare verso
destra la LM fino all’equilibrio E’’

Tassi di cambi fissi con imperfetta mobilità dei capitali

Le politiche fiscali in cambi fissi sono particolarmente efficaci nel


cambiare il reddito rispetto all’economia chiusa. Supponendo una
politica fiscale restrittiva, tramite la riduzione della tassazione
ottengo:
𝑀
𝑇 ↑=> 𝐼𝑆 ↓=> 𝑆𝐵𝑃 < 0 => 𝑀 ↓=> ↓=> 𝑆𝐵𝑃 = 0
𝑃
Rimanendo fisso il tasso di cambio, la BP non modifica la sua
posizione.

Una politica monetaria restrittiva, supponendo perfetta mobilità dei capitali, è inefficaci nel modificare il
reddito. Diminuendo la base monetaria, il tasso d’interesse aumenta permettendo un infinito afflusso di
capitali in patria (per via dell’ipotesi di perfetta mobilità dei capitali), riportando all’equilibrio finale. Ciò si
verifica perché la banca centrale non è in grado di controllare la base monetaria.
Una politica di svalutazione è:
𝑃∗ 𝑀
𝑒 ↓=> ↑=> 𝑋 ↑=> 𝐼𝑆 ↑, 𝐵𝑃 ↓=> 𝑆𝐵𝑃 > 0 => 𝑀 ↑=> ↑=> 𝐿𝑀 ↓=> 𝑆𝐵𝑃 = 0
𝑒𝑃 𝑃

Il reddito è aumentato strettamente, tuttavia esistono 3 problematiche:

• Non possiamo affermare nulla sulla variazione del tasso d’interesse, che potrebbe essere più basso
o più alto, a seconda della traslazione della BP
• Il meccanismo di aumento del reddito potrebbe essere minato dall’inflazione, se inclusa
• Le politiche di svalutazione possono essere messe in atto anche dagli altri paesi determinando un
impoverimento generale

DATI SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Nel commercio internazionale vale la regola che i paesi piccoli sono coloro che ricorrono maggiormente al
commercio per soddisfare la propria domanda interna, dato che la loro produzione interna sarebbe
insufficiente, e la propria offerta interna, che la domanda interna non potrebbe assorbire completamente.
Osservando il saldo delle partite correnti, si può notare che esiste le posizioni nelle partite correnti non
devono compensarsi nel breve periodo, dato che esistono paesi in situazioni di credito (vendono beni più di
quanto ne ricevano) o di debito rispetto all’estero (vendono meno di quanto ricevono). L’Italia ha un
andamento altalenante, che raggiunge un picco nel 2013 dopo una forte recessione che ridusse il reddito
nazionale, quindi le importazioni. Infatti, quando le parti correnti sono in negativo, i movimenti di capitali
devono compensarle in positivo, incrementando la posizione debitoria del paese verso l’estero. Infatti, il
grafico di sotto dimostra esattamente questo:

Possiamo notare, quindi, una certa specularità tra conto corrente e conto finanziario (cfr Italia):
Il debito verso l’estero è rischioso, dato che gli altri paesi potrebbero decidere di non rifinanziarlo. Nel caso
degli Stati Uniti, però, i grandi afflussi di capitali sono determinanti anche da un mercato finanziario molto
profittevole (Google, Facebook, Silicon Valley ecc.), che permettono quindi di compiere investimenti e
innovazioni rilevanti, fornendo inoltre uno strumento di pressione per i soggetti esteri detentori del debito,
che non hanno convenienza a uscire da un tale mercato.

Resta da analizzare, il c.d. indice di globalizzazione, che ridà il totale di export/import mondiale rispetto al
PIL mondiale. Fino al 1800 il commercio internazionale ha un andamento costante con debole crescita. Tra
1800 e 1900 si registrano forti oscillazioni in negativo e in positivo (Belle Epoche con picco del 30% e Prima
guerra mondiale, Grande depressione, Seconda guerra mondiale che riportano al 10%). Dal secondo
dopoguerra in poi si è assistito a una sostanziale crescita fino al 60%, escludendo lo shock della pandemia e
della recente guerra in Ucraina. Ovviamente, i beni scambiati e i paesi partecipanti allo scambio cambiano
in un arco di tempo così esteso (1500 – 2011). Analizzando l’Europa Occidentale, vediamo che già
nell’Ottocento il livello dello scambio erano già elevati (50 – 60%):

Questo per dire che la globalizzazione odierna è mondiale ed è un fenomeno recente, mentre nella storia
sono sempre esistiti dei casi di globalizzazione regionale.
MODELLO DAE – OA IN ECONOMIA APERTA
Il modello DAE – OA in economia aperta parte da 4 ipotesi:

• Tassi fissi (= posso ignorare la dinamica del tasso di cambio)


• Perfetta mobilità dei capitali (= posso ignorare la dinamica dei tassi d’interesse nazionali)
• Aspettative accelerative (= considero l’inflazione nazionale)
• E’ presente un’inflazione internazionale, ipotizzandola costante e all’inizio 𝜋 = 𝜋 ∗

Si parte dal modello WS – PS, in particolare è la PS che è influenzata in economia aperta. Infatti, in
economia chiusa l’equazione era:
𝑃 = (1 + ℎ)𝑊
Da tener conto che nella PS si suppone solo lavoro nazionale come unico fattore. Passando all’economia
aperta, bisogna introdurre una grandezza che indichi i fattori importati dall’estero (es. materie prime,
energia, semilavorati), 𝑀. Il costo di tali beni è espresso in valuta straniera, quindi:
𝑃∗
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑀 = 𝑀 ∗
𝑒
La PS in economia aperta è dunque:
𝑃∗
𝑃 = (1 + ℎ) (𝑊 + 𝑀)
𝑒
𝑊 𝑃∗ 𝑃∗
1 = (1 + ℎ) ( + 𝑀) , 𝑑𝑜𝑣𝑒 =𝛾
𝑃 𝑒𝑃 𝑒𝑃
𝑊 1
𝑃𝑆: = − 𝛾𝑀
𝑃 1+ℎ
Noto che l’indice di competitività dipende dall’inflazione estera e dall’inflazione nazionale. In particolare:

• 𝜋 > 𝜋 ∗ => 𝑚𝑖𝑛𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑡𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à


• 𝜋 < 𝜋 ∗ => 𝑚𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑒𝑡𝑖𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à

Notiamo che se l’indice di competitività aumenta, la competitività aumenta, ma allo stesso tempo, ciò
significa che i prezzi internazionali sono aumentati. Di conseguenza aumenta la spesa delle imprese per
fattori esteri, che erode la parte riservata al pagamento dei salari, che diminuiscono. Il contrario quando
tale indice diminuisce. Inoltre, all’aumentare dell’indice di competitività, il tasso di disoccupazione naturale
aumenta. Posso costruire un grafico che permetta di costruire la curva che colleghi gli indici di competitività
𝛾 associati a diversi tassi di disoccupazione naturale (dove l’inflazione è costante) 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 . Tale curva è
crescente. Inoltre, la CNA fa intuire che, rispetto all’economia chiusa, in economia aperta esistono infiniti
𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 .

Se mi pongo in un punto B al di sopra della CNA, in cui esiste una disoccupazione minore a quella
naturale 𝑢𝐵 < 𝑢∗, dove nel sistema l’indice di competitività è 𝛾1 . Nel modello WS – PS i sindacati si
aspettano dei salari reali maggiori rispetti a quelli garantiti dalle imprese. Il risultato è che i sindacati
chiedono maggiori salari nominali. Ciò si può spiegare con la curva di Philipps, dato che se il tasso di
disoccupazione effettivo è minore di quello naturale l’inflazione aumenta. Poiché l’inflazione aumenta,
l’indice di competitività diminuisce, facendo traslare verso l’alto la PS, fino a che non si raggiunga
l’equilibrio (aspettative soddisfatte + convergenza sulla CNA). Una volta giunti sulla CNA, l’inflazione interna
si stabilizza a un livello superiore dell’inflazione estera, che quindi porta il sistema al di sotto della CNA, per
poi permettere a un meccanismo inverso di riportarlo sulla CNA poi al di sopra di essa. In sintesi, il sistema
sperimenta dinamiche oscillatorie attorno alla CNA:

𝑢𝐵 < 𝑢∗ => 𝜋 ↑=> 𝜋 > 𝜋 ∗ ; 𝑃 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑃𝑆 ↑


Inoltre, l’indice di competitività influisce anche sulla disoccupazione effettiva dato che riduce le
esportazioni, quindi domanda aggregata e reddito:

𝜋 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑋 ↓=> 𝑢 ↑


𝑌
Ricordiamo che nel modello WS – PS reddito e disoccupazione sono negativamente legati (𝑢 = 1 − 𝐿 ).
Processo inverso se si parte da un punto A al di sotto della CNA:

𝑢 𝐴 > 𝑢∗ => 𝜋 ↓=> 𝜋 < 𝜋 ∗ ; 𝑃 ↓=> 𝛾 ↑=> 𝑃𝑆 ↓


𝜋 ↓=> 𝛾 ↑=> 𝑋 ↑=> 𝑢 ↓

Per comprendere il comportamento oscillatorio, rappresento uno schema che


rappresenti l’andamento della domanda aggregata rispetto all’indice di
competitività. In economia aperta la domanda aggregata è:

𝐴 = 𝐶+𝐼+𝐺+𝑋−𝑀
La relazione tra domanda aggregata e indice di competitività è positiva:

𝛾 ↑=> 𝐴 ↑
Da notare che, per la perfetta mobilità dei capitali, i tassi d’interesse (e gli
investimenti) sono fissi. Posso costruire dalla curva AD per il reddito una curva AD
per la disoccupazione effettiva, che sarà decrescente. La AD è il luogo geometrico
delle coppie di indici di competitività e disoccupazione effettiva. L’equilibrio è
identificato dall’intersezione tra AD e CNA, verso cui si converge muovendosi
diagonalmente lungo la AD.
Resta da analizzare il saldo della bilancia dei pagamenti in presenza di prezzi variabili. Dato che esiste un
unico tasso d’interesse, 𝑖 = 𝑖 ∗ , il saldo della bilancia dei pagamenti è sempre in pareggio, 𝑆𝐵𝑃 = 0. I
movimenti di capitale dipendono solo dallo spread e si aggiustano in maniera tale da riportare la bilancia
dei pagamenti in equilibrio. Le partite correnti dipendono dall’indice di competitività e dal reddito
nazionale. Si può ricavare la retta PC per cui vale 𝑃𝐶 = 0. Ricordo che:

𝑃𝐶(𝛾 + , 𝑌 − )
Per costruire la curva stabilisco un punto A in cui vale 𝑃𝐶 = 0 e scendo a punto B, a parità di
disoccupazione e di importazioni (dipendono positivamente dalla disoccupazione, 𝑀(𝑢+ )), in cui risulta
quindi 𝑃𝐶 < 0. Dato che l’indice di competitività è diminuito, quindi in B le esportazioni sono minori.
Aumentando la disoccupazione, le importazioni si riducono fino a riportare 𝑃𝐶 = 0. La PC è decrescente e
i punti al di sopra (al disotto) di essa sono punti di avanzo (disavanzo) delle partite correnti. Nei punti dello
spazio cartesiano della PC, la bilancia dei pagamenti è in equilibrio, dato che la perfetta mobilità dei capitali
permette ai movimenti di capitali di compensare esattamente gli scompensi delle partite correnti.

In sintesi abbiamo:

• Curva AD che rappresenta il livello di produzione dell’economia


• Curva CNA che rappresenta gli infiniti tassi di disoccupazione non accelerativi verso cui il sistema
converge
• Curva PC che rappresenta i punti di equilibrio delle partite correnti

Graficamente:
L’equilibrio determinato dalla AD e dalla CNA può essere sia sulla PC che il contrario. Anche se l’equilibrio
non fosse sulla PC, esso sarebbe comunque stabile, perché lo scompenso delle partite correnti verrebbe
compensato con i movimenti di capitali, finché perduri la perfetta mobilità dei capitali. Tale ipotesi
potrebbe venir meno nel lungo periodo quando avvengono crisi di fiducia. Infatti, paesi con partite correnti
positive ottengono un surplus di denaro dalle esportazioni, che impiegano per acquistare obbligazioni
all’estero, diventando creditori. Invece, paesi con partite correnti negative hanno necessita di vendere le
proprie obbligazioni a soggetti esteri per finanziare le proprie importazioni, assumendo la posizione di
debitori.

Analizziamo le politiche economiche in questo modello:

Politiche della domanda

Analizzo una politica fiscale espansiva, che prevede l’aumento della spesa pubblica. Supponiamo di partire
da E, in cui le partite correnti sono in equilibrio. Un aumento della spesa pubblica stimola la domanda
aggregata e il reddito, quindi nella AD per ogni livello di indice di competitività la disoccupazione è minore
dopo l’aumento di G, quindi la curva trasla verso sinistra. Si determina un tasso di disoccupazione minore, a
parità di indice di competitività. Il sistema giunge nel punto A al di sopra della CNA. In A si realizza una
disoccupazione effettiva minore della disoccupazione naturale, quindi l’inflazione interna accelera,
diventando più alta di quella internazionale, portando giù l’indice di competitività, facendo convergere A
sulla CNA.

𝐺 ↑=> 𝑢 𝐴 < 𝑢𝐸 => 𝜋 ↑=> 𝜋 > 𝜋 ∗ => 𝑃 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↓


𝜋 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑋 ↓=> 𝑢 ↑
Il risultato finale è che una politica fiscale espansiva in economia aperta con prezzi variabili è efficace nel
ridurre la disoccupazione naturale, quindi aumentare il reddito naturale. Il nuovo punto d’equilibrio,
tuttavia, è al disotto della PC, permettendo di affermare che l’aumento permanente del reddito naturale è
stato pagato con un maggiore indebitamento verso l’estero (es. Stati Uniti). La capacità di uno Stato di
mantenere questa condizione è oggetto di discussione, per via della pressione dei creditori per il
ripagamento dei debiti. E’ ragionevole pensare che prima o poi il paese debba operare una politica fiscale
restrittiva o migliorare in altro modo le proprie esportazioni, per migliorare le proprie partite correnti. Una
posizione creditori al contrario è facile da mantenere, ma è pagata con un tasso di disoccupazione naturale
più alto.
Politiche di svalutazione

Quando lo Stato decide di svalutare il cambio, l’indice di competitività aumenta. Le merci sono
artificiosamente più competitive per via del deprezzamento della valuta e non per aumenti di produttività o
miglioramenti tecnologici. Sulla curva AD ci si sposta sul punto A con un maggiore indice di competitività, in
cui si realizza una disoccupazione effettiva minore della relativa disoccupazione naturale, determinando
un’accelerazione dell’inflazione interna, che fa convergere A sulla CNA. Il sistema nel lungo periodo non è in
grado di spostarsi dall’equilibrio E, dato che il vantaggio competitivo viene eroso dall’inflazione. Le politiche
di svalutazione sono, dunque, inefficaci nell’aumentare il reddito naturale:

𝑒 ↓=> 𝑢 𝐴 < 𝑢𝐸 => 𝜋 ↑=> 𝜋 > 𝜋 ∗ => 𝑃 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↓


𝜋 ↑=> 𝛾 ↓=> 𝑋 ↓=> 𝑢 ↑

In realtà, il guadagno di competitività tramite la svalutazione del cambio si ottiene mediante una riduzione
del salario reale, a causa dell’inflazione. Ci si potrebbe chiedere se una tale manovra possa essere fatta
direttamente tramite una riduzione dei salari nominali, ma tale strategia è difficilmente implementabile a
livello politico.

Politiche dell’offerta

Le politiche dell’offerta possono essere distinte in:

• Politiche di deregolamentazione = aumento della concorrenzialità e/o compressione del potere


contrattuale dei sindacati; 𝑃𝑆 ↑, 𝑊𝑆 ↓, 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↓
• Politiche di regolamentazione = riduzione della concorrenzialità e/o rafforzamento del potere
contrattuale dei sindacati; 𝑃𝑆 ↓, 𝑊𝑆 ↑, 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↑
Una politica di deregolamentazione, a parità di indice di competitività, abbassa il tasso di disoccupazione
naturale e fa traslare verso l’alto la CNA. Il contrario per le politiche di regolamentazione.

𝑑𝑒𝑟𝑒𝑔𝑜𝑙𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 => 𝐶𝑁𝐴 ↑


𝑟𝑒𝑔𝑜𝑙𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 => 𝐶𝑁𝐴 ↓

Supponendo una politica di deregolamentazione, la CNA trasla verso l’alto e il punto di equilibrio iniziale si
trova al disotto della CNA. Da notare che il livello di disoccupazione, quindi il reddito, dopo la
deregolamentazione non cambia (il sistema rimane in E), perché l’indice di competitività non è cambiato.
Però, dato che la disoccupazione effettiva in E è maggiore del livello naturale determinato dalla nuova CNA,
l’inflazione interna decelera e il sistema converge a un nuovo equilibrio con una disoccupazione effettiva (e
naturale) intermedia.

𝑑𝑒𝑟𝑒𝑔𝑢𝑙𝑎𝑡𝑖𝑜𝑛 => 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↓=> 𝐶𝑁𝐴 ↑=> 𝑢𝐸 > 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 => 𝜋 ↓=> 𝜋 < 𝜋 ∗ ; 𝑃 ↓=> 𝛾 ↑=> 𝑢𝑁𝐴𝐼𝑅𝑈 ↑
𝜋 ↓=> 𝛾 ↑=> 𝑋 ↑=> 𝑢 ↓
Il nuovo equilibrio si pone al di sopra della PC, quindi la deregolamentazione ha aumentato durevolmente il
reddito naturale (ridotto durevolmente la disoccupazione naturale), guadagnando anche un avanzo nelle
partite correnti. Questo risultato dipende anche dall’inclinazione della PC, anche se in realtà il
ragionamento sopra è abbastanza realistico. Una politica di regolamentazione, invece, riduce il reddito
naturale e peggiora le partite correnti.
ASPETTATIVE RAZIONALI
Il problema delle aspettative statico – adattive e accelerative è che gli operatori non sbagliano solo
quando ci si colloca esattamente al livello del reddito naturale. Le aspettative razionali sono un’ipotesi
alternativa, in cui gli operatori sono in grado di formulare previsioni corrette sul futuro dell’economia.
Esse vengono elaborate negli anni ’60 da Moote e riprese negli anni ’70 dal premio Nobel Robert Lukas.
L’introduzione della razionalità degli agenti determina il venir meno dei modelli keynesiani, con la loro
pretesa di controllare il reddito naturale tramite le politiche della domanda, a favore di modelli
maggiormente liberisti e contrari all’intervento dello Stato, che preferivano il mercato, costituito da agenti
razionali. Questo cambio di paradigma nella teoria economica corrisponde anche all’avvento di governi
favorevoli a misure di deregolamentazione e liberoscambio, quali la Thatcher in Inghilterra e Reagan negli
Stati Uniti.

Le aspettative razionali, nei modelli economici, sono utilizzate nella loro forma debole:
𝑃𝐸 = 𝐸(𝑃𝑡 |𝐼𝑡−1 )
𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒

𝑷𝑬 = 𝑷𝒕 + 𝜺𝒕 𝒅𝒐𝒗𝒆 𝜺𝒕 → 𝑵(𝟎)
Gli agenti prevedono correttamente i prezzi partendo, però, dalle informazioni che hanno accumulato nel
passato. In altre parole, il prezzo atteso è il prezzo effettivo aumentato o diminuito di un errore di misura,
che è una variabile casuale con distribuzione normale a media nulla. Stesso dicasi dell’inflazione:

𝜋 𝐸 = 𝜋𝑡 + 𝜃𝑡 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝜃𝑡 → 𝑁(0)
Si riportano queste aspettative nel modello DAE – OA. In sostanza, per le aspettative razionali, gli agenti si
aspettano il prezzo che esattamente permette di far traslare immediatamente la OA al punto in cui si
interseca con la DAE (modificata, ad esempio, da una politica monetaria espansiva) al livello del reddito
naturale. Il risultato è che le politiche della domanda (annunciate) nel loro complesso sono inefficaci sia
nel breve che nel lungo periodo. Una precondizione fondamentale è che gli agenti conoscono le
intenzioni dell’autorità di politiche economiche. Di conseguenza le politiche possono essere distinte tra
annunciate e non annunciate.

Politica (monetaria espansiva) annunciata:


Politica (monetaria non espansiva) non annunciata:

Dato che la politica monetaria non è annunciata, gli agenti mantengono costanti le loro aspettative, non
facendo traslare la OA. Ciò permette nel breve periodo di aumentare il reddito, ma anche i prezzi.
L’aumento dei prezzi rivela agli agenti che è stata eseguita una politica monetaria AS. Gli agenti, quindi,
hanno tutti gli elementi per adattare le proprie aspettative, facendo traslare la AS esattamente nel punto
per cui incontra la nuova DAE al livello del reddito naturale, determinando un ulteriore aumento dei prezzi.

Le politiche della domanda non annunciate riescono ad aumentare nel breve periodo il reddito. Una via
d’uscita sarebbe una sequenza di politiche della domanda a sorpresa che aumentano il reddito naturale. In
realtà il fatto che le manovre sono reiterate e sistematiche le rende prevedibile per gli agenti, che di
conseguenza possono reagire come se si trattasse di una politica annunciata.

Errori sistematici

Il pricing in aspettative razionali è:

𝐴𝑆: 𝑃𝑡 = 𝑃𝐸 (1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) = (𝑃𝑡 + 𝜀𝑡 )(1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)


𝑃𝑡
= (1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
𝑃𝑡 + 𝜀𝑡
1
𝜀𝑡 = (1 + ℎ)𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)
1+
𝑃𝑡
1 1
𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) = ∗
1 + ℎ 1 + 𝜀𝑡
𝑃𝑡
Notiamo che esista una relazione tra il livello di attività economica e l’errore sistematico 𝜀𝑡 . Prendo i valori
attesi:

1 1 1 1
𝐸[𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)] = 𝐸 [ ∗ ] = 𝐸 [ ]
1 + ℎ 1 + 𝜀𝑡 1 + ℎ 1 + 𝜀𝑡
𝑃𝑡 𝑃𝑡
Dato che il valore atteso di 𝜀𝑡 è pari a 0, cioè 𝐸(𝜀𝑡 ) = 0:
=1

1 1
𝐸[𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)] = 𝐸 = 𝐸 =0
1+ℎ
⏞𝜀
1 + 𝐸 ( 𝑡)
[ 𝑃𝑡 ]
1
𝐸[𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧)] =
1+ℎ
Ricordando la definizione di tasso di disoccupazione naturale:
1
𝑢∗ : 𝑓(𝑢∗ , 𝑧) =
1+ℎ
Di conseguenza:

𝐸(𝑢𝑡 ) = 𝑢∗
Quindi, in aspettative razionali, la disoccupazione effettiva è in media uguale alla disoccupazione
naturale.

Possiamo analizzare, quindi, come gli errori di previsioni influenzano il tasso di disoccupazione naturale. In
particolare, devo distinguere tra due casi:

① 𝜀𝑡 > 0 => 𝑃𝐸 > 𝑃𝑡 + 𝜀𝑡


1 −
1 ∗ ∗
𝜀𝑡 > 0 => 𝜀𝑡 < 1 => 𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) < 1 + ℎ = 𝑓(𝑢 , 𝑧) => 𝑢𝑡 ↑=> 𝑢𝑡 > 𝑢
1+
𝑃𝑡
Una sovrastima dei prezzi determina una disoccupazione effettiva maggiore di quella naturale.

① 𝜀𝑡 < 0 => 𝑃𝐸 < 𝑃𝑡 + 𝜀𝑡


1 −
1 ∗ ∗
𝜀𝑡 < 0 => 𝜀𝑡 > 1 => 𝑓(𝑢𝑡 , 𝑧) > 1 + ℎ = 𝑓(𝑢 , 𝑧) => 𝑢𝑡 ↓=> 𝑢𝑡 < 𝑢
1+
𝑃𝑡
Una sottostima dei prezzi determina una disoccupazione effettiva minore di quella naturale.

Curva di Philipps in aspettative razionali

Con aspettative razionali, l’inflazioni sembra non avere un ruolo. Infatti, il sistema è sempre in un intorno
del tasso di disoccupazione naturale, da cui gli scostamenti sono misurati da 𝜀𝑡 . Quindi, il sistema oscilla
attorno al tasso di disoccupazione, senza quindi poter costruire un trade off. Inoltre, non è detto che il tasso
di disoccupazione naturale con aspettative accelerative sia non accelerativo.
Critica di Lukas

Con critica di Lukas si intende una critica ai modelli di politica economica, qualora si decida di darne una
verifica empirica (econometrica). Il punto di Lukas è che una limitazione dell’approccio econometrico è che
il coefficiente di regressione delle equazioni dei modelli può cambiare durante il processo. Ciò si giustifica
per il fatto che gli operatori cambiano le loro scelte. In realtà, questa critica può essere estesa alla politica
economica tout court, dato che nei modelli essa suppone i coefficienti (siano essi teorici o empirici)
costanti. Il risultato è che secondo Lukas la politica economica sbaglia sempre, quindi lo Stato dovrebbe
astenersi dall’intervento.

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