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Macroeconomia

Lezione 4 (15/03/2022)

Finiamo la parte sul Mercato dei Beni riprendendo il concetto di moltiplicatore della spesa autonoma.
Inoltre vediamo l’equilibrio nei Mercati Finanziari.

Per riprendere quello che avevamo visto settimana scorsa:
abbiamo detto che la condizione di equilibrio nel mercato dei beni è data dall’uguaglianza tra
offerta (produzione dei beni) e domanda aggregata (quello che viene domandato dai consumatori,
dalle imprese e dal governo).
Y=Z

Abbiamo visto che questa domanda aggregata Z è composta da Consumi, Investimenti e Spesa Pubblica.
Al momento immaginiamo di essere in un’economia chiusa e quindi sostanzialmente non
consideriamo il termine NX delle esportazioni nette
Z=C+I+G

Abbiamo anche detto che possiamo esplicitare l’equazione del consumo:
C=C0+C1(Y-T)
gli investimenti per il momento li lasciamo esogeni e quindi ipotizziamo che non dipendano da altre
variabili e li prendiamo come dati. La spesa pubblica invece la prenderemo sempre come data.
In questo modo otteniamo la condizione di equilibrio nel mercato dei beni, dove abbiamo
semplicemente esplicitato la funzione del consumo.
C0 è la componente autonoma del consumo, quella parte che non dipende dal reddito (consumo di
sussistenza);
C1 è la propensione marginale al consumo ed è la pendenza della retta che descrive la relazione tra
redditi e consumi.
Y=C0+C1(Y-T)+Ī+G

In questa equazione abbiamo Y da entrambe le parti, produzione a sinistra e reddito a destra.
Produzione e reddito sappiamo che in Macroeconomia sono sempre uguali, possiamo vedere il PIL dal
lato della produzione o dal lato dei redditi, quindi l’uguaglianza tra produzione e reddito è una identità.
Possiamo quindi portare a sinistra Y e senza fare i vari passaggi visti nella scorsa lezione abbiamo che:
Y= 1/(1-C1) x (C0+Ī+G-C1T)

- 1/(1-C1) ----> Moltiplicatore (M). Il moltiplicatore è maggiore di 1 (>1) perché sappiamo che C1 è
un parametro positivo inferiore a 1.
- (C0+Ī+G-C1T) ------> Spesa Autonoma. Parte di Spesa che non dipende dal reddito, fatto a
prescindere dal reddito.

Grazie alla formula sopra vediamo chiaramente che il moltiplicatore ci dice in che misura variazioni
della spesa autonoma si traducono in variazioni del reddito (e della produzione).
Io posso quindi avere modifiche nella spesa autonoma (in particolare può essere modificata
direttamente per mezzo delle politiche economiche la parte G-C1T che sostanzialmente descrive la
politica fiscale del governo; G è il livello di spesa pubblica deciso dal governo e T è l’ammontare delle
tasse, anche questo deciso dalle autorità di politica economica).
Noi useremo questa equazione per chiederci: ma una variazione della spesa autonoma, ad esempio
indotta da un aumento della spesa pubblica, che effetto ha sulla produzione?
Se il moltiplicatore è pari a 2 ed io aumento al spesa autonoma di 1 miliardo, la produzione aumenterà
di 2 miliardi.

Qual è il meccanismo che sta alla base di questo effetto moltiplicativo?



Il Moltiplicatore è quindi in questo caso 1/(1-C1).
Il valore del moltiplicatore, in questo modello dove abbiamo solo il consumo che dipende dal reddito e
abbiamo un'economia chiusa dipende solo da C1;
non sarà più così quando complicheremo il modello e vedremo anche gli investimenti endogeni ed
introdurremo poi anche le importazioni.
Per ora il valore del moltiplicatore dipende solo da C1 che è la propensione marginale al consumo.
Qual è il meccanismo che sta alla base di questo effetto moltiplicativo che fa si che per un dato
aumento della spesa autonoma, la produzione (reddito) aumentino in misura più che
proporzionale?

Abbiamo visto l’equazione che descrive l’equilibrio nel mercato dei beni, che si può riscrivere in
termini di moltiplicatore moltiplicato per la spesa autonoma.
Qual è il meccanismo per cui una variazione della spesa autonoma si traduce in una variazione
più che proporzionale della produzione?



Il meccanismo può essere studiato da questo grafico e l'intuizione principale è che:
- Se aumenta la spesa autonoma aumenta la domanda aggregata (proprio perché la spesa autonoma è
una componente della domanda aggregata).
- Se aumenta la domanda aggregata, aumenta la produzione.
- Un aumento della produzione si traduce in un aumento immediato del reddito.
Se ci fermassimo qui avremmo un aumento proporzionale (1:1): un aumento della spesa
autonoma di 1 si traduce in un aumento del reddito di 1.
- Se aumentano i redditi aumenta il consumo.
- Se aumenta il consumo aumenta la domanda aggregata.
- Se aumenta la domanda aggregata aumenta la produzione.
- Se aumenta la produzione aumentano i redditi.
- Se aumentano i redditi abbiamo un aumento dei consumi.
... e così via (Spesa Autonoma - Domanda - Produzione - Reddito - Consumo).

Di quanto?
Se la spesa autonoma aumenta di 1 miliardo, questo aumento della spesa autonoma di 1, provoca un
aumento della domanda di 1, un aumento della produzione di 1, un aumento dei redditi di 1. Un
aumento del reddito di 1 provoca un aumento dei consumi che aumenteranno di C1x1.
Non tutto l’aumento di reddito viene consumato, solo una parte che in questo caso è pari a
C1x1.
I consumi aumentano di C1, la domanda aggregata aumenta di C1, la produzione aumenta di C1 e i
redditi aumentano di C1.
Non ci fermiamo qui: questo aumento dei redditi di C1 provoca un ulteriore aumento dei consumi di
C1(C1x1)
... si può andare avanti in questo modo fino a quando questi aumenti non diventeranno sempre più
piccoli. Ad un certo punto, per n che tende a infinito, queste variazioni diventano sempre più piccole.
Andando avanti per n periodi abbiamo quindi una Serie Geometrica: di quanto aumenta il reddito a
seguito di una variazione della Spesa Autonoma di 1?

1+C1x1+C1(C1x1)+C1(C1(C1x1))... (vedi meglio immagine sopra)

Questa è una Serie Geometrica: per n che tende a infinito converge a 1/(1-C1).
Questo valore è il moltiplicatore:
Quando dicamo che se la Spesa Autonoma aumenta di 1 la Produzione aumenta di
1/(1-C1) arriviamo direttamente al passaggio finale di tutti questi passaggi che abbiamo visto ora,
ovvero diciamo che per un dato aumento della spesa autonoma di X, la produzione aumenterà di 1/(1-
C1)xX.
Nei nostri modelli immaginiamo che avvenga immediatamente tale passaggio, anche se nella realtà
non è immediato il passaggio.
Di mezzo ci sono tutti i piccoli passaggi che abbiamo visto sopra.

Lo possiamo anche vedere graficamente:
Vogliamo rappresentare graficamente l’equilibrio nel mercato dei beni, quindi vogliamo rappresentare
graficamente l’uguaglianza tra domanda aggregata e offerta aggregata per vedere che cosa succede al
grafico nel momento in cui la domanda aggregata cambia.


La riscriviamo in questo modo in modo tale da vedere la relazione tra Z e Y, in che modo quindi la
domanda aggregata dipende dal reddito.

Adesso rappresentiamo due relazioni:
- la domanda aggregata in funzione del reddito: l’inclinazione è inferiore a 45 gradi.
Il coefficiente angolare è C1<1, mentre l’intercetta è data dalla spesa autonoma ed è positiva (c’è una
parte di domanda aggregata positiva anche con reddito 0);
- produzione in funzione del reddito: dato che la produzione è uguale al reddito, questa è una retta
di 45 gradi, produzione e reddito sono uguali;



In che punto i mercati sono in equilibrio?
I mercati sono in equilibrio nel punto in cui abbiamo l’intersezione tra la retta che rappresenta
la produzione in funzione del reddito e la retta che rappresenta la domanda aggregata in funzione del
reddito.

Cosa succede alla produzione al variare della Spesa Autonoma?
Se, ad esempio, la spesa pubblica aumenta di 1 miliardo, graficamente la retta della domanda
aggregata trasla verso l’alto parallelamente perché l’intercetta aumenta.



Se la spostiamo la retta verso l’alto il punto di equilibrio cambia.
Per ogni aumento di domanda aggregata (quindi per ogni dato aumento di Spesa Autonoma), la
variazione della produzione sarà maggiore (DY>DZ).
Abbiamo detto "supponiamo che G aumenti", nell’esempio abbiamo "supponiamo che C0 aumenti", ma
questa è la stessa cosa;
supponiamo in generale che un qualsiasi componete della spesa autonoma aumenti.
C0, che è la componete autonoma del consumo, può aumentare per diversi motivi:
generalmente questo cambiamento dei consumi a parità di reddito è dovuto ad un cambio di clima
economico, una diversa fiducia sule prospettive future.

Al di là delle cause, se supponiamo che C0 aumenti, cosa succede all’equilibrio?
Se C0 aumenta, la retta si sposta parallelamente verso l’alto; l’equilibrio passa da A ad A’.
Vediamo immediatamente DeltaZ che è la variazione della Spesa Autonoma e DeltaY che è la
variazione della produzione.
DeltaY vediamo che è più grande di Delta Z: la produzione (e i redditi) risponde in modo più
che proporzionale ad una variazione della spesa autonoma.

La motivazione di ciò è quella che abbiamo già detto prima e visto nello schema:
Partiamo dall’equilibrio A ed immaginiamo che C0 aumenti.



All’inizio abbiamo il punto di equilibrio in A, alla fine dell’aggiustamento avremo un punto di equilibrio
in A’.
Cosa succede nei passaggi intermedi?
Inizialmente un aumento di C0 induce un aumento della domanda aggregata;
questo aumento della domanda aggregata fa aumentare la produzione;
Questo aumento della produzione si traduce in un aumento di redditi;
L’aumento della domanda aggregata e della produzione lo vediamo guardando il segmento AB del
grafico.
L’aumento della produzione si traduce in un aumento di redditi di pari ammontare pari al segmento BC.
Se ci fermassimo lì l’aumento sarebbe proporzionale, ma quello che succede è che in C il reddito è
aumentato e questo porta ad un’ulteriore aumento dei consumi che aumenteranno di C1x l’aumento
iniziale di reddito (BC) e quindi l’aumento dei consumi è CD.
Questo è l’aumento della domanda aggregata che si traduce in un aumento di produzione, che si traduce
in aumento di reddito pari al segmento DE.
Anche in E non abbiamo un punto di equilibrio perché il reddito è aumentato; di conseguenza i consumi
aumenteranno di EF e così via finché non si converge al nuovo punto di equilibrio.

Questo è ciò che abbiamo visto prima per mezzo dello schema.

Quindi quando la spesa autonoma aumenta di un certo ammontare pari a DeltaZ,
la produzione aumenta di DeltaY.
Questa variazione non è immediata (anche se noi la immagineremo immediata negli esercizi), ma ci
sono una serie di passaggi in mezzo.


Questo deriva dal fatto che la domanda aggregata ha un'inclinazione diversa;
se cambia l’inclinazione della domanda aggregata cambia anche l’effetto moltiplicativo.
Questo moltiplicatore dipende da C1 (propensione marginale al consumo):
tanto più sarà alto C1 (quanto maggiore è l’aumento di consumo indotto dall’aumento di
reddito) tanto più alto sarà il valore del moltiplicatore e quindi tanto maggiore sarà l’effetto
sulla produzione di una data variazione della spesa autonoma.

Capire il valore del moltiplicatore è importante per prevedere gli effetti delle politiche fiscali. Se il
governo pensa di implementare una riduzione delle tasse o un aumento della spesa pubblica, si aspetta
che questo abbia degli effetti sulla produzione e sul reddito.
Però, per capire che effetto avrà, si deve capire quale sia il valore del moltiplicatore e ovviamente non
è così semplice da capire poiché nella realtà non dipende solo da C1.
È sicuramente un tema molto importante.

In base al nostro modello un aumento della spesa autonoma comporta un aumento più che
proporzionale della produzione.
Noi nei nostri modelli immagineremo questa variazione immediata, anche se nella realtà il processo di
aggiustamento (percorso visto sul grafico) può essere lento per diversi motivi:
- le imprese non modificano subito la produzione in seguito ad un aumento della domanda. Noi
abbiamo detto che aumenta la domanda e immediatamente aumenta la produzione, questo
aggiustamento però può non essere immediato.
- Una volta che la produzione è aumentata aumentano i redditi, ma poi a seguito di un aumento del
reddito la variazione dei consumi può non essere immediata.

Questo per sottolineare il fatto che se uno guardasse questo modello semplificato sembrerebbe molto
semplice intervenire nel sistema economico.
In realtà non è così semplice per diversi motivi:
1- cambiare la spesa pubblica alle volte può non essere semplice, c’è un processo politico decisionale
dietro ed un vincolo di bilancio da tenere in considerazione.
Le politiche espansive hanno un costo, fanno aumentare la spesa pubblica e quindi il deficit.
Per Paesi con un debito pubblico accumulato molto alto le politiche espansive si possono fare in fase di
recessione, ma possono essere costose.
2- le risposte di consumo al variare del reddito sono difficili da prevedere con sicurezza.
Le decisioni di consumo si basano sul reddito permanete, su quello che uno si imagina essere il reddito
anche nel futuro; se io ho un reddito che aumenta per mezzo di una politica fiscale che ha fatto
aumentare i redditi, ma percepisco questo cambiamento come temporaneo perché mi immagino che
prima o poi ci sarà una politica restrittiva, allora il consumo non risponde alla variazione del reddito.
Quindi le decisioni di consumo non dipendono solamente dal reddito disponibile come abbiamo
immaginato in questo modello, ma anche da quello che mi aspetto che succederà nel futuro. Questo
rende più compliate le previsioni sugli effetti delle politiche fiscali.
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Noi abbiamo descritto l’equilibrio nel mercato dei beni partendo dall’uguaglianza tra domanda
aggregata e offerta adeguata, abbiamo detto che i mercati dei beni sono in equilibrio quando Y=Z.
L’equilibrio nel mercato dei beni si può anche descrivere come uguaglianza tra Risparmi e
Investimenti.
Quando i mercati dei beni sono in equilibrio in economia chiusa, vale l’uguaglianza tra risparmi e
investimenti.
Quanto le imprese vogliono e possono investire deve essere pari a quanto i consumatori e i governi
vogliono o possono risparmiare.
Se non siamo in economia aperta e quindi non è possibile prendere a prestito dal resto del mondo,
sostanzialmente gli investimenti possono essere uguali ai risparmi e tutti i risparmi vengono investiti.
Possiamo vedere come da questa condizione di equilibrio Y=C+I+G si ottenga la condizione di
equilibrio espressa non più come uguaglianza tra produzione e domanda, ma come uguaglianza
tra risparmi e investimenti.

Basta partire dalla condizione Y=C+I+G e definire i risparmi.
Il risparmi privato (S) è quella parte di reddito che non viene consumata (redito disponibile meno
consumi, quella parte di redito che non è consumata):
S= (Y-T) - C


Da ricordare che G-T è il saldo del bilancio pubblico.
G-T>0; T-G<0 la Spesa è più alta delle Tasse (risparmio pubblico negativo);
G-T<0 ; T-G>0 le Tasse sono più alte della Spesa (risparmio pubblico positivo);
Se io lo sposto a sinistra nell’equazione ho che S+(T-G) = I
Questa equazione mi dice che in economia chiusa gli investimenti I devono essere uguali alla somma di
Risparmio Privato (S) e Risparmio Pubblico (T-G).

In economia chiusa gli investimenti devono essere necessariamente uguali alla somma di Risparmio
Privato e Risparmio Pubblico.

Possiamo anche disegnare la retta che mi descrive il risparmio:
(Al primo passo esplicito la funzione del consumo)


Se C1 è la propensione marginale al consumo, (1-C1) è la propensione marginale al risparmio.
Posso quindi rappresentare l’andamento dei risparmi in funzione del reddito disponibile:
La relazione è descritta da questa retta con inclinazione positiva; se il reddito aumenta i risparmi
aumentano e l’inclinazione sarà data da (1-C1), il complemento della propensione marginale al
consumo.
L’intercetta è negativa e data da -C0, ovvero la quantità che io consumo a prescindere dal reddito (con
reddito negativo ho un risparmio negativo).



Come vediamo nella slide precedente, se uno riscrive la condizione di equilibrio come scritta prima
(investimenti uguali al risparmio privato + risparmio pubblico), se si risolve per Y riotteniamo
esattamente la stessa condizione equilibrio vista prima ponendo la domanda aggregata uguale
all’offerta aggregata.
Questo per dire che sostanzialmente è uguale esprimere la condizione di equilibrio nel mercato dei beni
come uguaglianza tra domanda e offerta o come uguaglianza tra risparmio e investimento.
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Mercati Finanziari:
Andiamo a vedere come si determina il tasso d’interesse nei mercati finanziari.
Guarderemo l’equilibrio come equilibrio tra domanda e offerta di moneta.

Da che cosa dipende la domanda di moneta?
Imaginiamo, per capire da cosa dipende la domanda di moneta, che esistano solamente due attività
finanziarie su cui si colloca la ricchezza; ogni oggetto economico decide come allocare la propria
ricchezza tra moneta e titoli.
Che caratteristiche hanno queste due attività?
I- La moneta ha una elevata liquidità, può essere utilizzata per effettuare acuisti e transazioni
immediatamente, ma non paga nessun interesse. Se teniamo la ricchezza sotto forma di moneta
possiamo spenderla, ma non abbiamo interessi.
II- I Titoli hanno invece una bassa liquidità, non possono essere utilizzati per le transazioni, ma
pagano un interesse positivo. Per il momento immaginiamo quindi che esista un unico tipo di titoli che
paga un interesse.

C’è un trade off tra queste due attività:
la moneta può essere utilizzata per effettuare transazioni, ma non dà interessi;
i titoli danno interessi (i>0), ma non possono essere utilizzati per le transazioni;
Se io detenessi tutta la mia ricchezza in titoli non potrei fare acquisti. D’altro canto se io detenessi tutta
la mia ricchezza in moneta non riceverei nessun interesse.

Il tasso d’interesse può essere visto come il costo opportunità di detenere moneta:
Più alto è il tasso d’interesse e più alto è il costo di detenere moneta perché sto rinunciando a dei
guadagni più elevati.
Ci stiamo facendo queste domande perché noi dobbiamo disegnare la funzione della domanda di
moneta e quindi ci chiediamo:
Da che cosa dipende la scelta tra moneta e titoli?

Dipende principalmente da due variabili principali:
1- in primo luogo dal livello delle transazioni che ovviamente sono correlate con il livello del reddito.
Maggiori sono gli acquisti che io devo fare e maggiore è la necessità di tenere moneta; maggiore è il
reddito e maggiori gli acquisti che penso di fare (transazioni che penso di dover effettuare) e maggiore
è la necessità di tenere moneta.
La quantità di moneta dipende quindi positivamente dal livello delle transazioni e quindi dal reddito.
2- in secondo luogo dipende negativamente dal tasso d’interesse: abbiamo detto che il tasso
d’interesse è il costo opportunità di tenere moneta. Se io tengo una somma in moneta rinuncio agli
interessi che quella somma avrebbe potuto darmi se la avessi investita in titoli. Tanto maggiore è il
tasso d’interesse e tanto più costoso è tenere ricchezza in termini di moneta.
Al crescere del tasso d’interesse la domanda di moneta si riduce perché aumenta la domanda dei titoli.
Se aumenta il tasso d’interesse la domanda di titoli aumenta e quella di moneta diminuisce. Maggiore è il
tasso d’interesse e maggiore è la propensione a tenere la ricchezza in titoli.

Sostanzialmente noi possiamo scrivere la domanda di moneta in questo modo:


la domanda di moneta (Md) è direttamente proporzionale al reddito nominale ($Y).
Se i prezzi raddoppiato io ho bisogno del doppio della moneta, quindi quello che conta è il reddito
nominale che approssima il volume delle transazioni che devo effettuare.
- La domanda di moneta dipende positivamente dal reddito nominale: se questo aumenta io ho
necessità di spendere più soldi e quindi aumenterà la domanda di moneta;
- La domanda di moneta dipende negativamente dal tasso di interesse L(i);
Per il momento non la esplicitiamo e la lasciamo funzione implicita.

La domanda di moneta è direttamente proporzionale (dipende positivamente) al reddito
nominale e inversamente proporzionale (dipende negativamente) al tasso di interesse.

Come la possiamo rappresentare graficamente?
Se noi rappresentiamo in un grafico la moneta sull’asse orizzontale e il tasso d'interesse sull’asse
verticale, possiamo descrivere la funzione che rappresenta la domanda di moneta in questo modo:


La domanda di moneta è una funzione negativa del tasso di interesse e questa funzione è disegnata per
ogni livello di reddito.
Per ogni dato livello di reddito noi abbiamo questa funzione.
Questo grafico ci dice che al crescere del tasso di interesse la domanda di moneta diminuisce.
Al diminuire del tasso d’interesse la domanda di moneta aumenta.
Per un dato livello di reddito la domanda di moneta è una funzione decrescente del tasso di interesse;
Per ogni livello del tasso d‘interesse che cosa succede se il reddito aumenta?
Immaginiamo che ci sia una politica fiscale espansiva che fa aumentare la produzione e i redditi. La
domanda di moneta si sposta verso destra.
Per ogni livello del tasso d’interesse la domanda di moneta sarà maggiore all’aumentare del
reddito (si sposta la curva verso destra).
Questa è la nostra funzione della domanda di moneta.

Per trovare il tasso d'interesse di equilibro dobbiamo porre la domanda uguale all’offerta di moneta.
Che forma avrà l’offerta di moneta?
L’offerta di moneta è completamente controllata e decisa dalla Banca Centrale (ignoriamo il ruolo delle
banche) e assumiamo sostanzialmente che tutta la moneta assuma la forma di circolante e sia quindi
offerta dalla Banca Centrale (immaginiamo per ora che non ci siano depositi).
Sta alla Banca Centrale scegliere quanta moneta immettere nel sistema economico. L’offerta di moneta
è decisa dalla Banca Centrale e può essere rappresentata quindi come una retta verticale: la Banca
Centrale sceglie l’offerta di moneta, la nostra offerta di moneta (Ms) è rappresentabile da una retta.


La condizione di equilibrio nel mercato della moneta è che l’offerta sia uguale alla domanda e
dall’equilibrio tra domanda e offerta di moneta ricaviamo il tasso di interesse di equilibro.
Il tasso di interesse può essere considerato come prezzo (costo della moneta) e quindi
sostanzialmente varia per mantenere in equilibrio i mercati.
Questa relazione di equilibrio è chiamata curva LM (Liquidity Money).
Quindi quando noi vedremo il modello ISLM vedremo che tale modello mette in relazione produzione
e tasso d’interesse quando i mercati dei beni sono in equilibrio.
IS: investiment/savnings, la condizione di equilibrio nel mercato dei beni si può descrivere sia come
uguaglianza tra domanda e offerta aggregata, ma anche tra investimento e risparmio;
LM: liquidity/Money, descrive l’equilibrio nel mercato della moneta;

Chiaramente questo è il grafico che mette insieme domanda e offerta di moneta:



Il tasso d’interesse di equilibrio è indicato con i*, tasso d'interessi tale per cui il mercato è in
equilibrio e gli operatori detengono la quantità di moneta offerta dalla Banca Centrale (domanda
uguale all’offerta).

Con questo modello in mente possiamo cercare di capire che cosa succede al tasso
d'interesse a seguito di variazioni di politica fiscale e di politica monetaria.
- Che cosa succede al tasso d'interesse se c’è una politica fiscale espansiva che fa aumentare i
redditi aggregati? A seguito di un aumento di redditi, la domanda di moneta aumenta e quindi si
sposta verso destra e quindi il tasso d’interesse di equilibrio aumenta.
A seguito di un aumento di reddito nominale abbiamo un aumento del tasso d’interesse.


Se siamo in E (punto di equilibrio iniziale) e aumenta il reddito, la domanda di moneta aumenta.
Perché il mercato ritorni in equilibrio il tasso d’interesse sale e, salendo il tasso d’interesse, la
domanda di moneta diminuisce.
Il tasso d’interesse sale per mantenere in equilibrio i mercati finanziari.
Quindi se aumenta il reddito e manteniamo invariato il tasso d’interesse avremmo una domanda di
moneta maggiore dell’offerta di moneta; il tasso d’interesse sale e i mercati si riequilibrano.

Macroeconomia Lezione 4 (Parte 2)



Uno può usare questo stesso modello per chiedersi:
- Che cosa succede quando la Banca Centrale decide di aumentare l’offerta di moneta?
Diminuisce il tasso di interesse: si sposta verso destra la curva dell’offerta di moneta.
Se l’offerta di moneta aumenta, ma manteniamo invariato il tasso d’interesse avremo un’offerta di
moneta maggiore rispetto alla domanda. Per rendere riequilibrati i mercati il tasso d’interesse scende
e quindi la domanda aumenta in modo tale che sia uguale all’offerta di moneta.



Questo semplice modello ci permette di capire sostanzialmente come la Banca Centrale può influente il
tasso di interesse.
La Banca Centrale modifica l’offerta di moneta per modificare il tasso di interesse che, come vedremo,
ha effetti sulla domanda aggregata.
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In che modo la Banca Centrale controlla l’offerta di moneta?
Come effettivamente la Banca Centrale modifica l’offerta di moneta?
La Banca Centrale modifica l’offerta di moneta attraverso quelle che vengono chiamate operazioni di
mercato aperto: sono acquisti e vendite di titoli contro moneta nel mercato dei titoli.
La Banca Centrale, per aumentare l’offerta di moneta, acquista titoli: acquista titoli che compra con
moneta che immette nel Sistema Economico e questo genera un aumento della moneta in circolazione.
Questa è una manovra espansiva, una politica monetaria espansiva che fa ridurre il tasso d’interesse e
tipicamente questo da uno stimolo all’economia perché aumenteranno gli investimenti ed i consumi.
La Banca Centrale, per diminuire l’offerta, vende titoli: se la Banca Centrale vuole effettuare una politica
restrittiva, quindi ridurre lo stock di moneta in circolazione e quindi aumentare il tasso d’interesse,
vende titoli sul mercato aperto. Vende titoli e ritira la moneta che ha ricevuto e toglie quindi della
moneta dalla circolazione.
Questo è quello che sta facendo adesso la Banca Centrale Russa per limitare l’inflazione che
ovviamente sta crescendo per la svalutazione del Rublo. Quindi continua a ritirare moneta, i tassi
d’interesse stanno salendo tanto, ma questo non è per il moneto sufficiente a bloccare l’inflazione.

Tramite le operazioni di mercato aperto la Banca Centrale, acquistando e vendendo titoli modifica
l’offerta di moneta e questo modifica il tasso d’interesse.
In che modo viene influenzato il tasso d’interesse?
Queste operazioni di mercato aperto (acquisto e vendita di titoli) influenzano il prezzo dei titoli e c’è
una relazione tra prezzo dei titoli e tasso d’interesse.
Quello che succede quando la Banca Centrale effettua delle operazioni di mercato aperto è che
influenza il prezzo dei titoli.
Variando il prezzo dei titoli si influenza il tasso d’interesse.

---> Se la Banca Centrale acquista titoli (politica espansiva), la domanda di titoli aumenta e quindi il
prezzo dei titoli aumenta (aumenta la domanda e quindi aumenta il prezzo).
Quando la Banca Centrale acquista titoli, il prezzo dei titoli aumenta e aumentando il prezzo dei titoli si
riduce il tasso d’interesse.
---> Se la Banca Centrale vende titoli (politica restrittiva), la domanda di titoli diminuisce e quindi il
prezzo dei titoli diminuisce (diminuisce la domanda e quindi diminuisce il prezzo). Quando la Banca
Centrale vende titoli, il prezzo dei titoli diminuisce e diminuendo il prezzo dei titoli aumenta il tasso
d’interesse.

Per capire questo dobbiamo vedere la relazione tra tasso d’interesse e prezzo dei titoli:
Sul mercato dei titoli quello che si va a determinare è il prezzo dei titoli; dal prezzo dei titoli si
determina il tasso d’interesse.



Il tasso d’interesse è quello che un titolo mi rende ed è definito come il valore del rimborso
finale meno il prezzo d’acquisto, tutto fratto prezzo d’acquisto.
Se io acquisto un buono che mi rende 100 tra un anno, se lo acquisto oggi a 100 il tasso d’interesse è 0.
Quanto più alto è il prezzo del titolo, tanto più basso sarà il tasso d’interesse pagato dal titolo
stesso.
Quello che si viene a stabilire sul mercato dei titoli è il prezzo del titolo; variando il prezzo del titolo
varia il tasso d’interesse per un dato livello di rimborso stabilito prima.
Se questo titolo annuale che mi rimborsa alla scadenza 100 lo acquisto a 98, avrò un tasso di interesse
circa del 2% (2/98).
Se questo titolo annuale che rimborsa alla scadenza 100 lo acquisto a 95 euro, avrò un tasso di
interesse più alto, circa il 5% (5/95).
Sostanzialmente sul mercato dei titoli si determina il prezzo dei titoli.
Se la Banca Centrale acquista titoli nel mercato aperto, e aumenta l’offerta di moneta in circolazione, il
prezzo dei titoli aumenta e il tasso d’interesse si riduce.
Se la Banca Centrale vende titoli nel mercato aperto, e riduce l'offerta di moneta in circolazione, il
prezzo dei titoli si riduce e riducendosi il prezzo dei titoli il tasso d’interesse aumenta.

Conoscendo il tasso d'interesse si può risalire al prezzo del titolo manipolando la formula
precedente:



C’è una Relazione Negativa tra Prezzo e Tasso d’Interesse: se aumenta il prezzo del titolo
diminuisce il tasso d’interesse e viceversa.

Riassumendo:
Il tasso d'interesse è determinato dall’uguaglianza tra offerta e domanda di moneta.
La Banca Centrale, variando l’offerta di moneta, influenza il tasso d’interesse.
Come varia l’offerta di moneta? Tramite operazioni di mercato aperto che fanno variare il prezzo dei
titoli e quindi il tasso di interesse.
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Adesso le cose si complicano:
Ci serve aver ben chiaro che cosa succede quando la Banca Centrale modifica l’offerta di moneta:
- Se la Banca Centrale aumenta l’offerta di moneta il tasso di interesse si riduce.
- Se la Banca Centrale riduce l’offerta di moneta il tasso di interesse aumenta.

Ora quello che vogliamo vedere è questo:
in questo modello molto semplice abbiamo immaginato che la Banca Centrale controlli perfettamente
l’offerta di moneta in circolazione.
Nella realtà non è esattamente così perché sostanzialmente la Banca Centrale non controlla
completamente l’offerta di moneta;
La Banca Centrale controlla la quantità di moneta messa in circolazione, ma poi la moneta totale che
esiste in un sistema economico è diversa da quella messa in circolazione dalla Banca Centrale
perché esistono anche i depositi.
Se esistesse solo circolante, tutta l’offerta di moneta sarebbe quella immessa e decisa dalla Banca
Centrale.
In realtà, il fatto che esistano le Banche e che la moneta possa essere tenuta anche sotto forma
di depositi (la mia moneta la posso tenere con me o depositaria in banca), modifica l’offerta totale
di moneta che si osserva in ogni momento nel sistema economico.

Nel modello di prima abbiamo detto che si può decidere solo tra titoli e moneta e la moneta è solo
circolante.
Se rimuoviamo l’assunzione che non ci siano depositi e introduciamo le Banche vediamo cosa
succede, come introdurre le Banche influenza questa offerta di moneta.
Le Banche sono degli Intermediari Finanziari che raccolgo i fondi dagli individui o dalle imprese
(depositi, le loro passività) e concedono prestiti ed investono in titoli (le loro attività).
Se depositiamo 100 euro in banca, la banca utilizza parte di quei depositi per dare prestiti ad altre
persone o per investire in titoli.
Una parte dei depositi ricevuti la devono tenere in cassa come contante (riserve).
Perché una parte dei fondi ricevuti dalle banche deve essere detenuta come riserve?
- Per far fronte ai rimborsi (correntisti che ritirano contante);
- Per far fronte a transazioni interbancarie;
- Esiste anche un obbligo di legge che impone un certo coefficiente di riserva obbligatoria;

La quota di contante detenuta dalle Banche è detta riserva e le riserve bancarie sono quella quota di
depositi tenuta sotto forma di contante (circolante);
la banca non può rimettere in circolo tutti i depositi che riceve, deve tenerne un pò in pancia.
Se le riserve fossero il 100% le banche non avrebbero luogo, se le banche non prestano e non
acquistano titoli non guadagnerebbero niente e non ci sarebbe quindi attività delle banche. C’è una
quota di depositi detenuta sotto forma di contante (riserva).
La Banca Centrale tipicamente fissa la percentuale minima di riserve, la Banca Centrale decide la quota
minima che tutte le Banche devono avere (coefficiente di riserva obbligatoria, coefficiente molto
importante per andare a definire il moltiplicatore della moneta che ora andiamo a spiegare).
Questo Coefficiente di riserva obbligatoria è il rapporto obbligatorio minimo tra riserva e
depositi. Nell’area Euro questo è intorno al 2%, le Banche sono obbligate a tenere il 2% dei propri
depositi sotto forma di contante.
Questo è il coefficiente di riserva obbligatoria, ma le banche possono anche decidere di tenere una
percentuale più elevata sotto forma di contante (riserve volontarie).
Le Riserve Bancarie in generale sono la somma di riserve obbligatorie e riserve volontarie.
RISERVE BANCARIE = RISERVE OBBLIGATORIE + RISERVE VOLONTARIE
Le Banche scelgono generalmente livelli può elevati: guadagnato meno, ma è più sicuro.
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La BASE MONETARIA (H) è la moneta emessa dalla banca centrale, banconote e monete emesse dalla
Banca Centrale. Si intendono tutte le monete e le banconote che sono fisicamente in circolazione
(quelle che sono stampate dalla Banca Centrale).
La Banca Centrale stampa 1000 euro e li mette nel sistema economico, quella è la base monetaria, cioè
le monete e le banconote fisiche.
La Banca Centrale mette nel sistema economico questa moneta (base monetaria),
poi questa base monetaria è detenuta in parte dagli agenti come circolante (CI) e in parte dalle banche
sotto forma di riserve (R).

La moneta non è solo la Base Monetaria: la presenza dei depositi fa si che la moneta in
circolazione sia molta di più.
Se abbiamo 2000 euro sul Conto Corrente, non abbiamo 2000 euro in contanti.
A causa della presenza del Sistema Bancario:
- la domanda aggregata di moneta, sarà diversa dalla domanda di moneta emessa dalla banca
centrale (base monetaria).
Ci sarà più moneta in circolazione rispetto a quella emessa dalla Banca Centrale perché esistono i
depositi.
---> la domanda di base monetaria = domanda di circolante da parte degli individui + domanda di
riserve da parte delle banche.

In questo modello quindi, per definire la domanda di moneta, gli individui quali scelte fronteggiano?
1) Abbiamo una certa ricchezza, in primo luogo dobbiamo decidere come ripartire questa ricchezza tra
moneta e titoli (quanta moneta detenere e quanti titoli).
Questa è la domanda di moneta che abbiamo definito prima, la quantità di moneta che vogliamo tenere
dipende positivamente dal reddito nominale e negativamente dal tasso d’interesse.
2) Una volta deciso quanta moneta tenere (moneta intesa come attività liquida che permette di
effettuare transazioni immediatamente) si deve distinguere tra:
- Contante;
- Depositi Bancari (Conto Corrente);

Quindi le due scelte sono quanta moneta detenere e come ripartire la moneta detenuta tra
circolante e depositi.

Quindi la moneta che determina la Domanda aggregata di Moneta si divide in Circolante e
Depositi:



La domanda di moneta avrà l’equazione che abbiamo visto prima e quindi dipende positivamente dal
reddito e negativamente dal tasso d’interesse.
Vediamo in questa slide sopra come questo ammontare Md è diviso in circolante e depositi.
--> c: la quota di moneta detenuta sotto forma di circolante;
--> (1-c): la quota di moneta detenuta sotto forma di depositi;
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La domanda di depositi è una certa quota pari a (1-c) della domanda di moneta.
Quale sarà la domanda di Riserve?
La domanda di riserva è proporzionale ai depositi, la domanda di riserva Rd è uguale ad una
quota "theta" dei depositi, dove questo theta è il coefficiente di riserva che ci dice che quota dei
depositi è detenuta dalle banche sotto forma di contante.

Possiamo scrivere l’equazione della domanda di riserve in questo modo:


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La domanda aggregata di moneta abbiamo detto che è uguale alla domanda di circolante più la
domanda di depositi.
Abbiamo definito il circolante come una quota c di Md e i depositi come una quota (1-c) di Md.
Le riserve sono uguali ad un coefficiente theta (coefficiente di riserva) per i depositi e le possiamo
scrivere come Rd=theta(1-c)Md

La domanda di base monetaria (moneta emessa dalla Banca centrale) è uguale alla domanda di
circolante più la domanda di riserve.
Infatti la moneta fisica emessa dalla Banca Centrale è detenuta in parte dagli individui sotto forma di
circolante e in parte dalle banche sotto forma di riserve.



Se io giro quest’equazione ho che la domanda aggregata di moneta (Md) (tutta la moneta che c’è in
circolazione) sarà uguale a Hd x 1/(c+theta(1-c))

c+theta(1-c) è un valore inferiore a 1.
Necessariamente, qualsiasi valori abbiano c e theta (inferiori a 1), questo c+theta(1-c) sarà inferiore a
1, di conseguenza 1/(c+theta(1-c) sarà maggiore di 1.

Questo cosa ci dice?
L’offerta totale di moneta (la quantità totale di moneta che esiste nel sistema economico) sarà
data dalla base monetaria H per un certo moltiplicatore (moltiplicatore della moneta).
L’intuizione sostanzialmente è che la Banca Centrale mette in circolo una certa quantità di moneta
acquistando titoli.
Supponiamo per semplicità che la Banca centrale acquisti titoli da un solo operatore per 100 euro. Se
non ci fossero depositi questi 100 euro sarebbero l’offerta totale di moneta.
Immaginiamo che, avendo ricevuto 100 euro, il soggetto li metta in Banca.
La banca ne tiene una quota (mettiamo il 10%) sotto forma di riserve e il 90% lo utilizza per
acquistare titoli.
10 rimangono in banca e 90 vengono utilizzati per acquistare titoli.
Se acquista titoli, un’altra persona riceve 90 euro e questa persona i 90 euro li mette in banca e così
via.

Il fatto che le banche ricevano depositi e prestino o vendano titoli fa si che l’offerta di moneta in
circolazione sia maggiore di quella emessa dalla Banca Centrale.
Se tutti contemporaneamente dovessimo ritirare tutti i nostri depositi non ci sarebbero i soldi fisici
per soddisfare le esigenze di tutti.
La moneta fisica emessa dalla banca centrale che c’è in circolazione è molto inferiore rispetto a quella
che è detenuta dal sistema economico.
La quantità di moneta (dove per moneta si intende attività che ci permette di effettuare pagamenti)
che esiste nel sistema economico è superiore rispetto alla base monetaria (moneta che è stata emessa
dalla Banca Centrale); maggiore per un valore pari a questo moltiplicatore.

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