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LA TEORIA DEL CIRCUITO MONETARIO Il rinnovamento dell'analisi macroeconomica, in contrapposizione al successo della scuola neoclassica, opera di un ristretto gruppo

o di economisti di alto profilo teorico, succedutisi nella prima met del novecento: Knut Wicksell, Joseph Schumpeter, Michal Kalecki. Per tutti costoro un lontano predecessore, che anticip le loro tesi di quasi un secolo, T.R. Malthus. Lopera di questi studiosi trova sbocco nella Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta di J.M. Keynes che, pubblicata nel 1936, viene riconosciuta unanimemente come la pietra miliare della macroeconomia moderna. Abbiamo visto come la teoria neoclassica consideri il processo economico come un grande scambio, che si svolge in un mercato di concorrenza e al quale partecipano tutti i soggetti in posizioni di sostanziale parit, anche se dotati di mezzi di produzione e di redditi diversi. Il rinnovamento della teoria macroeconomica parte dall'assunto opposto, e cio che la societ non possa essere interpretata come un insieme di singoli operatori posti su un piede di eguaglianza e che, ai fini di comprendere iI funzionamento del sistema economico, sia indispensabile tenere conto delle differenze che corrono fra gruppi sociali. Gli economisti classici partivano dall'osservazione della societ in cui vivevano, e conseguentemente ragionavano sulla base di tre classi sociali: proprietari fondiari, imprenditori capitalisti e lavoratori salariati. Karl Marx, invece, divideva la societ in una classe proprietaria, che dispone dei mezzi di produzione (non soltanto terra ma anche beni capitali e mezzi di produzione in generale) e una classe lavoratrice in grado di contare soltanto sulla forza delle proprie braccia. Al giorno d'oggi, l'analisi tiene conto della caratteristica tipica dell'economia moderna di essere un'economia monetaria. Mentre in passato il requisito essenziale per realizzare un'attivit produttiva poteva essere quello di possedere mezzi di produzione, oggi la risorsa indispensabile per l'imprenditore il credito bancario. Infatti non mancano economisti che distinguono, nella struttura economica moderna, tre grandi gruppi sociali: le banche che forniscono il credito, gli imprenditori che, grazie al credito bancario, sono posti in grado di acquistare lavoro e mezzi di produzione e dare avvio a un'attivit produttiva, e i lavoratori salariati che possono soltanto cedere il proprio lavoro in cambio di un salario. Questo modo di vedere la struttura sociale di un'economia moderna conduce a una descrizione diversa dell'intero processo economico. Per la scuola neoclassica, come abbiamo visto, esso si articola in tre fasi: una fase di trattative, cui segue la produzione e, infine, un insieme di scambi simultanei, i quali avvengono tutti ai prezzi di equilibrio. Nella macroeconomia moderna il processo economico viene visto come una successione di fasi distinte, ciascuna delle quali l'antecedente necessario della successiva. Secondo questo modo di vedere, affinch il processo produttivo abbia luogo occorre anzitutto che l'imprenditore decida di acquistare lavoro, assumendo lavoratori alle sue dipendenze e utilizzi il lavoro acquistato per la fabbricazione di merci. Ma affinch l'imprenditore possa acquistare lavoro, occorre che egli ne abbia i mezzi necessari; poich ci muoviamo in un'economia monetaria, necessario che egli disponga di un ammontare adeguato di moneta. Il primo atto del processo economico dunque un atto di finanziamento, con il quale il sistema bancario mette a disposizione dell'imprenditore un dato ammontare di liquidit. Con la liquidit cos ottenuta, l'imprenditore pu acquistare lavoro in cambio di salari. L'imprenditore pu utilizzare la liquidit anche per acquistare altri mezzi di produzione, quali materie prime, semilavorati, macchinari; ma in questo caso la liquidit rimane all'interno del settore delle imprese; se per semplicit, immaginiamo di considerare il settore delle imprese come un tutto unitario, l'unico esborso verso lesterno che le imprese compiono serve ad acquistare forza lavoro. La liquidit originariamente ottenuta dal settore bancario si tramuta quindi in salari nelle mani dei lavoratori. Una volta ottenuta la disponibilit del lavoro, gli imprenditori se ne servono per la produzione di merci, che possono essere beni di consumo o beni di investimento. I beni di consumo vengono venduti ai lavoratori e per questa via le imprese rientrano in possesso di una parte del monte salari erogato. Nel caso estremo in cui i lavoratori spendano il loro reddito per intero per l'acquisto di beni di consumo, le imprese riacquistano tutta la liquidit erogata per il monte salari. Nei casi normali, tuttavia, questa circostanza non si verifica e i lavoratori destinano una parte del proprio reddito al risparmio. Per rientrare in possesso anche della frazione di reddito risparmiata, le imprese possono emettere titoli nei mercati di borsa, sotto forma di azioni o obbligazioni. Allorch i lavoratori destinano il loro risparmio all'acquisto di titoli emessi dalle imprese, anche questa frazione del risparmio torna nelle mani delle imprese. Le somme cos

riacquistate dalle imprese possono essere utilizzate per rimborsare il debito inizialmente contratto con le banche. Il rimanente del risparmio, quello che i salariati trattengono presso di s sotto forma di scorte liquide, vuoi direttamente in biglietti di banca vuoi sotto forma di depositi bancari, non ritorna nelle mani delle imprese che, nella stessa misura, rimangono debitrici nei confronti delle banche. A questo punto rimane un'ultima difficolt. Le imprese, vendendo beni di consumo, hanno recuperato la liquidit iniziale: ci consente loro di ripagare il capitale preso a prestito, ma non gli interessi. Per pagare gli interessi, esse devono acquisire una quantit di moneta superiore rispetto a quella che hanno ricevuto inizialmente dal settore bancario. Per ottenerla, non vi altro mezzo se non quello di vendere, oltre ai beni di consumo, anche una parte dei beni di investimento prodotti; ovviamente tali merci devono essere vendute a soggetti che siano in grado di fornire nuova moneta. In questo primo schema sintetico, l'unica possibilit quella di vendere parte dei mezzi di produzione prodotti proprio al sistema bancario (di fatto le banche, intese come settore, oltre ai beni di consumo richiesti dai propri dipendenti, acquistano dalle imprese immobili, attrezzature e altri mezzi di produzione). Le banche, acquistando merci, forniscono alle imprese la moneta necessaria per pagare gli interessi dovuti (il problema pu essere risolto anche vendendo merci al settore pubblico o sui mercati esteri). In tal modo, il circuito si chiude: i lavoratori hanno fornito i loro servizi in cambio di beni di consumo, gli imprenditori hanno ottenuto un profitto sotto forma di nuovi mezzi di produzione, il settore bancario ha finanziato l'intera operazione, ottenendo in cambio, a titolo di interesse, una porzione dei beni prodotti. Il circuito che abbiamo descritto pu essere rappresentato schematicamente come segue:

Fig. 3.2 facile constatare le differenze che corrono fra questo schema e quello della scuola neoclassica. Nel meccanismo tradizionale, tutti i soggetti partecipano alle contrattazioni su una base paritaria, il che stabilisce, come abbiamo visto, il principio della sovranit del consumatore. Nella formulazione ora descritta, invece, gli imprenditori, avendo la possibilit di disporre di moneta in via prioritaria, possono anche determinare il livello della produzione e dell'occupazione, e fissare in che misura la produzione si debba ripartire tra beni di consumo e beni strumentali. Questa formulazione stabilisce quindi una asimmetria di potere fra gruppi sociali. Ma vi di pi. Se torniamo allo schema della circolazione monetaria, vediamo subito che i titolari di redditi monetari hanno la possibilit di trattenere il risparmio sotto forma liquida (biglietti di banca o depositi bancari), il che impedisce alle imprese di rimborsare il debito contratto con le banche. Ora, come vedremo ancor meglio esaminando la teoria di Keynes, vi sono ragioni concrete che possono indurre i soggetti a trattenere presso di s una parte del reddito sotto forma liquida. Queste ragioni possono essere ricondotte a due fenomeni: a) l'incertezza: ogni soggetto prende le sue decisioni tenendo conto di situazioni future nelle quali potr trovarsi. Poich il futuro sempre incerto, pu essere prudente tenere presso di s una scorta liquida destinata a fare fronte a esigenze impreviste e improvvise;

b) linstabilit dei mercati finanziari: abbiamo detto che il risparmiatore potrebbe collocare i suoi risparmi acquistando titoli in Borsa. Tuttavia i mercati finanziari moderni sono resi instabili dall'azione degli speculatori che procedono ad acquisti o vendite massicce a seconda delle proprie previsioni. Di conseguenza, il risparmiatore non sa mai quale momento sia pi conveniente procedere ai propri acquisti. Pu quindi accadere che il risparmiatore decida di tenere sotto forma liquida anche la parte di risparmio che egli intende prima o poi collocare in titoli. In tutti questi casi, le imprese non riescono a recuperare dai mercati le somme erogate e restano quindi indebitate verso il sistema bancario; il che pu indurle a ridurre il volume di produzione. c) le previsioni degli imprenditori: cadute nel volume di produzione possono inoltre verificarsi anche come conseguenza di ondate di pessimismo che inducono gli imprenditori a valutare in modo negativo le prospettive dei mercati. In tutti questi casi, si apre una possibilit di crisi, con riduzione della produzione e dell'occupazione. L' idea che il processo economico sia messo in moto dalla disponibilit iniziale di moneta e retto dall'obiettivo degli imprenditori capitalisti di accumulare ricchezza antica. Nell'ambito della scuola classica, questa concezione sta alla base del pensiero di Malthus e di Sismondi nella loro polemica contro Ricardo sulla teoria della crisi. In epoca pi vicina a noi, la stessa idea fu alla base degli scritti di K. Wicksell, dei suoi seguaci della scuola svedese, e di J.A. Schumpeter. Idee analoghe furono riprese negli anni immediatamente successivi da un gruppo di economisti di Cambridge; fra i quali spiccano i nomi di J.M. Keynes e di D.H. Robertson. A questi va aggiunto il nome di M. Kalecki, a loro legato da una singolare comunanza di idee e da una lunga consuetudine di dibattito.

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