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APPUNTI DI ECONOMIA MONETARIA 20/21


Primo modulo - Prof. Corsi
MONETA E LIQUIDITÀ(Blocco slide 1)
“Moneta è qualsiasi cosa le persone siano disposte ad accettare in cambio di beni e servizi, nella convinzione di poter, a
loro volta, scambiarla nel presente o nel futuro, in cambio di altri beni e servizi.” (US Congress, Banking and Currency
Commitee 1964).
La moneta è “memoria sociale” (Kocherlakota, 1989), in quanto:
-
chi oggi possiede una moneta, in passato ha fatto qualcosa o ha ceduto qualcosa (appunto in cambio di moneta)
-
il fatto di possedere la moneta gli da a sua volta il diritto a ricevere altri beni dalla società.
—> La moneta si presenta quindi come una forma di tecnologia e contabilità sociale , che tiene conto dei rapporti di
debito e credito che intercorrono tra gli agenti all’interno della società. Il fatto che la moneta assuma una determinata
forma, fisica o non fisica, è del tutto secondario.

CENNI STORICI: DAL BARATTO ALLA MONETA


La visione storica tradizionale della nascita della moneta parte dal fatto che in un’economia in cui non c’è moneta ma gli
scambi si basano sul baratto - scambio di beni contro altri beni - vi sono due tipi di problemi fondamentali:
1. Doppia coincidenza di bisogni: ciò che cerco e produco deve corrispondere con ciò che l’altro produce e cerca.
2. Prezzi relativi: in assenza di un’unità di conto esistono più prezzi relativi, dove il numero di quelli che si possono
ottenere all’aumentare del numero dei beni (numerario, l’importanza del numerario cresce con la complessità
dell’economia) cresce molto rapidamente potendo individuare n(n-1)/2 prezzi relativi

—> È quindi impossibile avere un’economia sviluppata basata sul baratto, ma è necessario ricorrere ad uno strumento -
quale la moneta - che assolve la funzione di intermediario degli scambi e di unità di misura, la quale permette di
attribuire un valore agli altri beni.

Storicamente la prima forma di moneta sviluppatisi è la MONETA MERCE: si tratta di un caso di baratto indiretto, il
quale semplifica gli scambi e richiede che ci sia una merce per favorire lo scambio e che faccia da intermediario nelle
transazioni.

Al riguardo vale che:
la moneta merce deve essere uno strumento socialmente accettato come moneta;

una merce che abbia una utilità utilità intrinseca, e che quindi sia vendibile, prevale sugli altri beni come mezzo di
pagamento.
Ne consegue quindi le seguenti caratteristiche della moneta merce:
• Stabilità del valore nel tempo —> non deve essere un bene facilmente ed eccessivamente deperibile, altrimenti la
sua accettabilità è ridotta
• Trasportabilità
• Indistruttibilità
• Omogeneità —> non deve dipendere dalla qualità del tipo di merce considerato
• Divisibilità (e ricomponibilità)
• Utilità (valore intrinseco)
• Riconoscibilità —> che si possa vedere se è stata alterata o meno
Di fatto nell’arco della storia la moneta ha assunto molte forme diverse, molteplici beni sono stati accettati da tutti come
moneta-merce: grano, conchiglie, sale e spezie, pietre giganti, per poi arrivare poi ai vari tipi di metallo, in particolare
oro, argento e rame, i quali divennero la forma di moneta-merce più diffusa. In particolare, le pietre giganti venivano
utilizzate come moneta da alcune popolazioni della Micronesia, nell’Oceano Pacifico, dove una rara pietra divenne la
moneta utilizzata per le transazioni importanti, non trasferendola, ma comunicando pubblicamente che la proprietà di
quella moneta passava da un soggetto all’altro: si tratta di una forma di contabilità decentralizzata, per cui si comunica a
tutti chi è il possessore della pietra-moneta. Questa forma di moneta è legato ad un concetto estremamente moderno,
quale quello delle CRIPTOVALUTE, ossia una forma di moneta avente una struttura decentralizzata.
La MONETA METALLICA, affermatasi già dal 3°millennio a.C, presenta vari vantaggi ma non è esente da problemi di
diversa natura.
Vantaggi:
• Elevato valore intrinseco;
• Divisibilità;
• Rarità;
• Non deperibilità.
Svantaggi:
• Difficile verificare l’effettivo contenuto di metallo nobile, e quindi il valore effettivo della moneta ricevuta nello
scambio. —> Per sopperire a questo problema e garantire il contenuto di metallo nobile della moneta venne
introdotto il CONIO DEL RE, garanzia di sicurezza che facilitava gli scambi. Storicamente il primo conio fu lo
Statere di Creso, Re di Lidia (Turchia) VII secolo a.C, per poi diffondersi in tutto il mondo antico. Tuttavia,
trattandosi di una moneta-merce, la moneta metallica ha ancora un valore intrinseco, per cui si presta al
problema della tosatura (limatura) e delle “monete suberate”, forma di diluizione del valore intrinseco della
moneta per cui il regnante stabiliva di coniare la moneta riducendo il contenuto di metallo nobile ed aumentano la
quantità degli altri metalli meno nobili. A fronte della circolazione di monete aventi un valore intrinseco diverso le
une delle altre, si afferma la Legge di Gresham, per cui “la moneta cattiva scaccia quella buona”, cioè fra due
monete di pari valore legale verrà utilizzata nella circolazione quella a minor valore intrinseco, mentre l’altra verrà
tesaurizzata (accantonata).
• Sicurezza, ossia il rischio di essere derubato dalla moneta metallica posseduta. Dal punto di vista storico, il
problema della sicurezza fu in realtà risolto prima ancora dell’avvento della moneta metallica, moneta-merca, con
la creazione ai tempi dei sumeri delle c.d. fedi di deposito, le quali rappresentano la prima forma di moneta
segno o moneta fiduciaria, nate in un contesto religioso legate ai tempi sacri, che in quanto luoghi inviolabili
venivano utilizzate anche per la custodia di oggetti di valore. A fronte della consegna venivano infatti rilasciate ai
depositanti le fedi di deposito, ossia documenti, inizialmente in argilla e poi di papiro o carta, privi di valore
intrinseco che attestavano il deposito di un certo quantitativo di oggetti preziosi. Di fatto, anziché spostare la
merce preziosa che sarebbe poi stata nuovamente depositata presso il tempio, si trasferivano direttamente le
fedi di deposito che venivano quindi utilizzate come mezzo di pagamento.

La moneta fiduciaria scomparve nel periodo dell’Impero Romano, per poi essere reintrodotta alla caduta dello stesso
quando la situazione divenne nuovamente caotica e pericolosa per gli spostamenti. In particolare durante le crociate i
templari cominciarono a svolgere un servizio di trasferimento di ricchezza da un posto all’atro, consentendo ai crociati di
depositare prima della partenza le proprie ricchezze nelle fortezze possedute dai Templari e poi ritirarle una volta giunti
in Terrasanta. I templari rilasciavano ai crociati fedi di deposito, le quali a loro volta divennero forme di moneta. Con la
soppressione dell’ordine dei templari (1312) e l’avvento della partita doppia, la struttura delle fedi di deposito così
sviluppata venne riprodotta su larga scala e in modo più organizzato soprattutto in Italia (Siena, Firenze, Genova e
Venezia) da parte di una serie di famiglie di cambia valute italiani che svolgevano una funzione analoga a quella dei
templari, inizialmente solo in Italia e poi diffondendosi in Europa: depositando l’oro presso il banco del cambio valute o
orafi si riceveva una nota di banco attestante il deposito. Inizialmente la nota di banco svolge solo la funzione di
ricevuta, tale per cui per acquistare dei beni il mercante doveva restituire la ricevuta di deposito al banco in cambio di
monete d’oro e consegnava queste ultime ad un altro mercante in cambio del bene che voleva acquistare; quest’ultimo a
sua volta depositava le monete d’oro presso un banco.

Contabilmente, la banconota rappresenta una passività di chi la emette (orafo o banco di


cambio) nei confronti di un bene che ha valore intrinseco (moneta d’oro).

Questo sistema di deposito si diffuse in diverse città


europee e ben presto i diversi emittenti delle note di
deposito si misero d’accordo e costituirono un
sistema di relazioni in base al quale il possessore di
una nota di banco emessa dal banco A permetteva al
possessore si scambiarla con monete d’oro
direttamente presso un altro banco (banco B),
evitando così le spese e i rischi connessi al trasporto
della moneta metallica.
Una volta l’anno i cambiavalute saldavano i rapporti fra di loro, trasferendo solo la quantità di oro corrispondente al saldo
fra le banconote emesse e quelle incassate dalle altre banche.
Ben resto però ci si rese conto che non era conveniente trasferire l’oro in quanto le cose avrebbero potuto invertirsi
l’anno successivo, per cui molto più semplicemente i cambia valute iniziarono a tenere la contabilità delle reciproche
posizioni di debito e credito: nacquero le prime stanze di compensazione tra banchi di cambio nelle transazioni
monetarie.

Successivamente ci si rese conto che note di banco emesse dai banchi più conosciuti potevano essere utilizzate
direttamente come mezzo di pagamento accettato per le transazioni commerciali (banconote: l’orafo/cambiavalute
diventa banchiere. Poiché le banconote venivano utilizzate direttamente negli scambi, i primi banchieri si resero conto
che non tutti i depositanti venivano allo steso a chiedere di riconvertirle in monete d’oro ma che solo una piccola parte
delle monete metalliche veniva effettivamente ritirata, pertanto iniziarono ad emettere più banconote rispetto alla
quantità di monete d’oro in riserva e a prestarle facendo pagare un tasso di interesse: ha inizio la pratica della riserva
frazionaria, quale emissione di un ammontare di banconote superiore alla riserva di oro a disposizione, la quale
costituisce pertanto solo una frazione della quantità di banconote emesse.

—>Il cambiavalute diventa quindi un vero e proprio


soggetto bancario, che guadagna non più
semplicemente dalle commissioni sul cambi, ma
dalla raccolta di interessi attivi a fronte dell’emissione
e prestito di banconote. Maggiore è l’emissione di
banconote, maggiore è il guadagno in termini di
interessi del banchiere.

I Banchieri iniziarono a prestare ai Regnanti, principalmente per il finanziamento delle guerre, in quanto ciò li consentiva
di assumere, in cambio dei presiti, una funzione pubblica e quindi la gestione del debito pubblico e la riscossione delle
imposte per conto del regnante: es. banchieri genovesi erano i principali prestatori della Corona spagnola tramite la
Casa si San Giorgio (1408). Al riguardo, nel 1694 a seguito di un importante sconfitta navale contro i francesi 1268
sottoscrittori si riunirono per concedere un grosso prestito allo Stato per la ricostituzione della flotta, ottenendo in cambio
la gestione del debito pubblico, della riscossione delle imposte e la possibilità di stampare banconote: nasce la Bank of
England, prima banca centrale in assoluto, la quale iniziò ad emettere banconote a valore fisso.

La pratica della riserva frazionaria è alla base dell’instabilità monetaria, e quindi dei periodici e frequenti periodi di crisi
bancarie osservate nei secoli successivi: il diffondersi del panico in momenti di crisi determinava una corsa agli sportelli
che non poteva essere sostenuta dalle banche. Per porre fine a tale problema si istituì il monopolio all’emissione delle
banconote da parte delle Banche Centrali, per cui solo a Banca Centrale poteva emettere banconote, mentre le banche
private non potevano più emettere banconote cartacee: prima di questo momento ogni banca emetteva le sue
banconote, ciascuna delle quali aveva un diverso valore in base al grado di fiducia che vi era nei confronti della banca
emittente.

La banconota, nata come evoluzione della nota di banco dei privati, storicamente è sempre stata oggetto di emissione
bancaria, tuttavia vi sono stati rari casi di banconote non bancarie ma emesse direttamente dallo stato. Al riguardo si
ricorda:
-
i Greenbank emessi da A. Lincoln per finanzia le spese di guerra durante la guerra civile (1860)
-
le Am-Lire (le “lire americane”), introdotte dagli alleati in Italia alla fine della II Guerra mondiale al fine di rimettere in
moto l’economia
-
i Biglietti di Stato Italiano (es: quello da 500 lire), emesse dallo stato Italiano come sostituzione della moneta metallica
la cui emissione sarebbe stata più costosa del valore metallico della moneta.
LEZIONE 2 26/02/21
CONVERTIBILITÀ IN ORO DELLE BANCONOTE

Benché le banconote fossero strumento privilegiato di scambio tra i soggetti privato, l’oro restava un elemento
fondamentale del sistema monetario, sia a livello nazionale che a livello internazionale, in quanto da un lato a livello
internazionale gli scambi commerciali venivano regolati in oro, e dall’altro lato l’oro restava, almeno in linea di principio,
la base dell’emissione di banconote anche se come un multiplo (l’oro era una frazione dell’ammontare di banconote
emesse) —> Sistema di Gold Standard, per cui l’oro è alla base degli scambi internazionali e dell’ammontare di
banconote emesse all’intero dei singoli paesi. In linea teorica, il GS costituisce un sistema autoregolante:
• paesi in surplus commerciale —> affisso di oro —> inflazione —> il surplus diminuisce, dato l’aumento del costo dei
beni prodotti
• paesi in deficit commerciale —> deflusso di oro —> deflazione —> il deficit diminuisce, dato la riduzione del costo dei
beni prodotti (più competitivi)
In realtà in questo aggiustamento automatico vi era un problema: i paesi in surplus non erano obbligati ad aumentare la
quantità di moneta in circolazione, ma poteva aumentare l’oro senza aumentare la quantità di moneta in circolazione:
sterilizzazione dell’afflusso di oro (= non aumentare la quantità di moneta). In altri termini, i paesi in surplus possono
mantenere il surplus senza alcun problema, mentre il peso dell’aggiustamento grava sui paesi in deficit, costretti ad
attuare una politica deflazionistica per recuperare competitività sul mercato, aumentare le esportazioni e diminuire le
importazioni.

Tipicamente durante le guerre la convertibilità delle banconote in oro veniva sospesa, in quanto queste richiedevano
ingenti investimenti a cui si faceva fronte attraverso un’incremento dell’emissione di banconote (inflazione) rispetto alla
quantità di oro disponibile.
Ciò poneva un rilevante problema al termine della guerra: come ripristinare il cambio tra la banconota e il valore dell’oro?

Ripristinare il cambio pre-guerra, con una moneta forte —> a vantaggio dei creditori, che non vogliono essere pagati
con una moneta svalutata, ma vogliono che la moneta torni ad essere forte, ossia ad avere il potere di acquisto ante-
guerra

Mantenere il cambio post-guerra, con una maggiore quantità di banconote in circolazione —> a vantaggio dei
debitori, che hanno interesse a svalutare la moneta in modo da ripagare i propri debiti con una moneta avente un
valore minore, ossia che in termini reali acquista meno beni.
Nello scontro, tipicamente avevano la meglio i creditori, tuttavia ripristinare un cambio pre-guerra imponeva una notevole
riduzione della massa monetaria in circolazione, e quindi una forte deflazione, la quale inevitabilmente comporta una
forte contrazione economica. Inoltre, dal punto di vista dei debitori, è molto più difficile ripagare un debito in un contesto
di deflazione piuttosto che in un contesto di inflazione, aspetto che mette in ulteriore difficoltà i debitori, che tendono a
fallire più facilmente, andando quindi ad aggravare ulteriormente la recessione economica già indotta dalla deflazione.
—> Come facilmente intuibile, il tentativo di molti paesi di ripristinare la convertibilità della sterlina al livello pre-guerra,
andando ad innescare periodi di forte crisi economica, fu uno dei fattori di destabilizzazione dell’economia mondiale.

Per riassumere, i principali problemi connessi al Gold standard sono:


1. l’aggiustamento della bilancia commerciale tra i vari paesi gravava integralmente sui paesi in deficit, in quanto i
paesi in surplus avevano la possibilità di sterilizzare l’afflusso di oro e non aumentare la quantità di moneta;
2. al termine di una guerra, si tendeva a ripristinare la convertibilità precedente innescando una crisi economica.

Il sistema monetario basato sul gold standard regge sostanzialmente fino alla I Guerra Mondiale (1914-1918), durante la
quale si ebbe la sospensione generale della convertibilità. Al termine della prima guerra mondiale viene reintrodotto non
il gold standard puro che prevaleva nel mondo precedente alla scoppio della prima guerra mondiale, ma viene adottato il
sistema del gold exchange standard, con il quale soltanto il dollaro statunitense e la sterlina britannica erano
direttamente convertibili in oro, mentre le tutte le altre valute, vale a dire le valute della maggiorate dei paesi, non erano
direttamente convertibili in oro ma nelle valute straniere pienamente convertibili (dollaro e sterlina), e poi eventualmente
in oro. Di fatto, gli Stati Uniti, che entrano nella prima guerra mondiale come il più grande debitore mondiale e ne escono
come i più grandi creditori mondiali, diventano il principale detentore di riserve auree a livello planetario.
Essenzialmente, gli Stati Uniti al termine della guerra acculano crediti e una forte quantità di oro per i pagamenti dovuti
allo sforzo bellico, e quindi un surplus di bilancia commerciale: ciò dovrebbe comportare un aumento dei prezzi, che
viene però evitato adottando una politica di sterilizzazione dell’oro, che quindi non viene messo in circolazione, nonché
una politica protezionistica aggressiva sul proprio mercato interno, scoraggiando così le importazioni e favorendo
ulteriormente le esportazioni. Ciò fa si che il riequilibrio della bilancia dei pagamenti diventi impossibile, e gli Stati Uniti
continuino ad accumulare attivi nella bilancia dei pagamenti.
In questo contesto il tentativo di molti di paesi di ripristinare la convertibilità della sterlina fu uno dei principali fattori di
destabilizzazione dell’economia mondiale, ma rendendosi conto dell’impossibilità di quanto desiderato si iniziò ad
abbandonare definitivamente il gold standard: nel settembre del 1931 la sterlina abbandona il Gold Standard, e fu
seguita rapidamente anche dagli altri paesi, tra cui l’Italia che nel 1935 sospende “in via temporanea” per la guerra
d’Etopia la convertibilità.
Gli anni ’30 furono quindi anni di grande instabilità economica, sia a livello nazionale che a livello internazionale, data la
mancanza dell’ancoraggio all’oro e la guerra commerciale-valutaria che ne è derivata, per cui ogni paese tentava di
ricostituire le riserve auree perse durante lo sforzo bellico cercando di esportare di più di quanto importato. Una guerra
commerciale giocata in termini di svalutazione monetaria nonché di introduzione di politiche di restrizione delle
importazioni.

Alla fine della II Guerra Mondiale i paesi vincitori vincitori - tra cui la Gran Bretagna, grande potenza in declino, e gli Stati
Uniti, grande potenza in ascesa - si riunirono a Bretton Woods per dare una struttura più coerente all’architettura
monetaria internazionale. A Bretton Woods di confrontarono due piani per il futuro mondiale:
-
quello di Harry Dexter White, rappresentate degli Stati Uniti,
-
quello di Keynes, che prevedeva l’adozione di una moneta internazionale, il “bancor”, il cui valore sarebbe stato
all’inizio basato su quello di 30 merci commerciate internazionalmente e che sarebbe stato distribuito basandosi sulle
quote di commercio internazionale dei vari paesi; il bancor avrebbe dovuto rimpiazzare l’oro e a differenza di
quest’ultimo poteva essere gestita, in quanto se ne poteva ridurre o aumentare la quantità a seconda delle esigenze.
Keynes reputava il GS e l’ancoraggio all’oro “una reliquia barbarica”. Caratteristica del bancor: sia chi fosse stato in
deficit sia in surplus di bancor, avrebbe dovuto pagare un interesse passivo, e ciò al fine di incentivare sia i paesi in
deficit sia in paesi in surplus a correggere gli squilibri commerciali.
Il piano di Keynes venne battuto dalle proposte statunitensi, avanzata da White, che di fatto miravano a ristabilire il gold
exchange standard lasciando il dollaro statunitense come unica valuta centrale del sistema monetario e finanziario
internazionale. Più precisamente gli ACCORDI DI BRETTON-WOODS (1944) prevedevano un’architettura economico-
finanziaria basata sui cambi fissi e con un forte controllo statale, nell’ambito della quale l’oro è la moneta di ordine
superiore e il dollaro è l’unica moneta direttamente convertibile in oro ad un tasso fisso (35 dollari all’oncia), mentre tutte
le altre monete erano convertibili in dollari ma non direttamente in oro ad un sistema di cambi fissi.
Il sistema definito a Bretton Woods aveva 5 caratteristiche principali:

Impegno da parte tutti gli stati a contenere le fluttuazioni cambio entro ± 1%

Istituzione del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), per finanziare eventuali squilibri temporanei nella bilancia dei
pagamenti

In caso di squilibri strutturali il Fmi poteva autorizzare riallineamenti con il dollaro, e quindi svalutazioni o
rivalutazioni del tasso di cambio, ma questi dovevano essere però concordati con tutti gli altri paesi attraverso il Fmi

Se un Paese era in posizione di surplus strutturale, il Fmi avrebbe potuto autorizzare gli altri stati ad utilizzare
politiche protezionistiche (es. dazi)

I movimenti internazionali di capitali erano ristretti, ossia i residenti di un paese potevano acquistare valuta estera
solo per acquisto di beni o servizi.

L’accordo di Bretton Woods fu considerato sin dall’inizio eccessivamente rigido, in realtà confrontando questi ultimi con
gli accordi su cui è costruito l’euro e l’unione monetaria europea possiamo osservare come la governance dell’Euro è
molto più rigida da quella prevista da Bretton-Woods: avendo unificato la moneta a livello europeo anziché limitarsi alla
previsione di un sistema di cambio fisso non sono consentite fluttuazioni, non è prevista alcuna istituzione
sovranazionale che consenta di finanziare gli squilibri temporanei, inoltre al contrario di B-W nell’architettura europea
non c’è nessuna forma di limitazione nei movimenti di capitale, elemento che può rappresentare un forte rischio.
DILEMMA DI TRIFFIN —> Porre al centro del sistema monetario il dollaro, moneta nazionale, anziché qualcosa di
nuovo (es: bancor), e quindi adottare come moneta internazionale una moneta che è anche moneta interna di una
nazione pone un problema notevole legata alla scelta, per la nazione emittente, fra obiettivi esterni e interni, tipicamente
antagonisti tra loro:
-
se emettere la moneta sulla base di obiettivi interni, e quindi calibrare l’emissione sulla base delle necessità di
economia interna —> mantenere una politica di emissione moderata, il che avrebbe però impedito agli altri paesi di
disporre una quantità di moneta sufficiente per condurre scambi internazionali
-
e emettere la moneta sulla base di obiettivi esterni, e quindi calibrare l’emissione sulla base delle necessità degli altri
paesi di avere moneta per effettuare gli scambi a livello internazionale —> emettere molta moneta
Gli Stati Uniti deciso di perseguire l’obiettivo esterno, e quindi concedere l’utilizzo del dollaro agli altri paesi stampando e
inondandone il resto del mondo, ad eccezione del blocco sovietico rimasto escluso dall’architettura delineata a Bretton
Woods. In particolare gli Stati Uniti decisero sia di stampare moneta, sia di diminuire le esportazioni così da mantenere
una bilancia commerciale in deficit in modo da mantenere una forma di finanziamento continuativa dei commerci
internazionali (in questo modo si alimenta il flusso di dollari vero gli altri paesi facendoli restare anche in circolazione al
di fuori degli Stati Uniti). Gli Stati Uniti passarono quindi da un forte surplus commerciale ad un forte deficit commerciale,
in parte voluto per mantenere forma di finanziamento continuativa dei commerci internazionali, ma anche perché ci si
rese conto che in tal modo era possibile consumare prodotti stranieri semplicemente stampando moneta: possibilità
definita “privilegio esorbitante”, espressione utilizzata per indicare la capacità degli Stati Uniti pagare le spese
internazionali e quindi di finanziare il proprio deficit commerciale in valuta domestica, semplicemente stampando dollari.
Questo porta gli Stati Uniti negli anni ’60 ad avere una bilancia commerciale fortemente in deficit, aspetto che fu
ulteriormente aggravata dalle politiche sociali interne intraprese con Kennedy e dalle guerre esterne (guerra di Corea,
guerra del Vietnam), che imposero un’ingente sforzo economico enorme agli stati Uniti, finanziato con l’emissione di
moneta. —> Politica di burro e cannoni, data dalla combinazione di politiche sociali interne e politiche belliche esterne.

A fronte di questa enorme emissione di dollari, gli altri paesi nel giro di pochi anni passarono da una fase di
riconoscenza ad una fase di forte critica nei confronti della struttura di finanziamento adottata dagli stati uniti e ciò in
quanto consapevoli che le riserve di dollaro accumulate per finanziare gli scambi internazionali, in termini di oro, stavano
perdendo valore (stampando molta moneta, il valore reale del dollaro rispetto all’oro tende a svalutarsi). Essendo il tasso
di cambio fisso, molti paesi iniziarono quindi a richiedere la conversione dei dollari posseduti in oro, determinando una
graduale riduzione delle riserve auree statunitensi, la quale costrinse nel 1971 il presidente Nixon ad annunciare la fine
completa dell’ancoraggio aureo della moneta, ossia decise di bloccare la conversione del dollaro in oro. —> Sui mercati
finanziari al contrario delle previsioni catastrofali degli economisti non successe niente: si è avuta in tal modo la prova
che il valore di una moneta non dipende dall’ancoraggio ad un metallo nobile, bensì dalla forza dell’economia che sta
dietro a quella moneta.

MONETE METALLICHE, BANCONOTE e MONETA BANCARIA


Ancora oggi, in un sistema economico moderno coesistono diversi tipi di moneta, che si distinguono per le loro origini
storiche, per l’emittente, per la loro diffusione, funzionamento e grado di liquidità:

‣ Monete metalliche, equivalente moderno della moneta-merce a valore intrinseco benché non sia più di metallo
nobile.
‣ Banconote, prima forma di moneta-fiduciari/moneta-segno.
‣ Riserve di banca centrale (riserve bancarie), utilizzate
solo dalle banche per effettuare pagamenti tra loro o con la
banca centrale, e non utilizzabile dal singolo individuo.
‣ Depositi bancari (moneta bancaria), e-money (moneta
elettronica), e altre forme di moneta bancaria o
fiduciaria
‣ Bit Coin e altre cripto-valute
Le monete metalliche e le banconote costituiscono il circolante,
utilizzato da tutti i soggetti economici. Il circolante e le riserve di
banca centrale costituiscono la base monetaria.

Rispetto alla diffusione, vale a dire le monete più utilizzate negli


scambi, il rapporto di impiego è fortemente sbilanciato a favore
della moneta bancaria (depositi bancari a vista), quale moneta
fiduciaria emessa dalla Banche e priva di valore legale: la
maggior parte degli scambi avviene mediante trasferimento di
depositi, per cui la banca trasferisce il debito che ha verso
l’acquirente nei confronti del venditore.
MONETA PUBBLICA E MONETA PRIVATA
Come appena detto, nel sistema economico coesistono differenti tipologie di moneta, che si caratterizzano per:

differenti emissari

differenti gradi di liquidità: la moneta legale è più liquida rispetto alla moneta fiduciaria, difatti i depositi bancari i
quali prevedono delle piccole commissione (es: commissioni di bonifico, commissioni sulla carta di credito).
Def. LIQUIDITÀ —> Un bene è tanto più liquido quanto minori sono i suoi costi di utilizzo come mezzo di
pagamento. La moneta (contante) è il mezzo di pagamento perfettamente liquido per eccellenza, in quanto comporta
costi di transazione nulli.

Questo porta a distinguere tra:


‣ Moneta pubblica o Base monetaria (Outside Money), quale moneta emessa (al di fuori del settori privato) dalla
centrale: riserve di banca centrale e circolante (moneta metallica e banconote).
‣ Moneta privata (Inside Money), quale moneta emessa all’interno del settore privato (es: banche): depositi bancari a
vista (conto correnti), altri depositi bancari, e-money e tutte le forme di credito trasferibile.

Ciò che noi usiamo come moneta si trova nel passivo dei soggetti bancari, sia che siano la banca centrale che le banche
commerciali:

◆BANCA CENTRALE: nel passivo della BC


abbiamo il circolante, in particolare le banconote,
con la precisazione che le monete metalliche sono
emesse dal tesoro e poi distribuite dalla BC (moneta
pubblica) + riserve (deposito delle banche
commerciali presso la banca centrale).

◆BANCHE COMMERCIALI: nel passivo del


bilancio delle banche commerciali troviamo i depositi
(moneta privata). La passività della banca diventa
una forma di moneta, essendo la banca un creditore
affidabile, che si obbliga a, e deve essere in grado
di, restituire moneta in caso di chiusura del conto.

N.B: L’oro costituisce una parte minoritaria nell’attivo di bilancio della BC, ed è scomparso interamente all’attivo di
bilancio delle banche commerciali, tale per cui non è più l’oro (o non lo più in misura prevalente per la BC) che
garantisce i depositi ma gli investimenti effettuati dalla banca con le disponibilità economiche in proprio possesso. In un

Formalmente il circolante compare nel passivo di bilancio della BC, tuttavia esiste in alcuni settori del mondo
accademico un dibattito in merito alla natura di passività del circolante per la BC: cosa si impegna la BC a restituire in
cambio di una banconota? Niente data la sospensione della convertibilità in oro della moneta, al massimo la BC in
cambio di una banconota me ne restituisce un’altra meno usurata, banconota a fronte di banconota in un rapporto (tasso
di cambio) 1:1 e nient’altro. La banconota posseduta non mi attribuisce alcun diritto di rivalersi sull’attivo della BC, e
quindi a ricevere una restituzione di titoli o altre attività finanziarie presenti nell’attivo della BC.

LA MONETA PUBBLICA: IL CORSO LEGALE —> Il CORSO LEGALE è uno strumento attraverso il quale lo Stato
consolida la fiducia nella moneta. Sotto il profilo giuridico, il circolante è l’unica moneta con corso legale, il quale
comporta:
- l’obbligo di accettazione per legge
- il potere di estinguere l’obbligazione di pagamento
- l’accettazione al valore nominale pieno: il valore monetario della moneta con corso legale è pari all’importo
indicato su di essa
LA MONETA PRIVATA: LA MONETA BANCARIA
Tuttavia oggi, come già detto, altre forme di moneta sono accettate, ed in particolare la
moneta bancaria, emessa dalla banca e rappresentata dai depositi, a fronte della cui
emissione, in un sistema monetario moderno, non vi è più oro ma attività finanziarie molto
liquide e di alta qualità pari ad una frazione dei depositi stessi: si parla di sistema bancario
“frazionato”, struttura che costituisce la versione moderna della riserva frazionaria
medioevale. Si ricorda che le banche al giorno d’oggi non possono emettere banconote
(monopolio di emissione per la BC).

In questo sistema la banca fornisce due tipi di servizi:


1. Sistema dei pagamenti —> Sebbene sia privo di corso legale, nelle economie avanzate la maggior parte degli
scambi avvengono attraverso trasferimento di depositi - in quanto la legge stabilisce che il detentore può disporre in
un qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito chiedendone la conversione in moneta legale o il
trasferimento al valore nominale pieno -, per cui la banca trasferisce il debito che ha verso l’acquirente nei confronti
del venditore.
Esempio:
I. un depositante della banca A compra un bene del valore di 100€ da un depositante della banca B
II. la banca A trasferisce depositi alla banca B e riserve di banca centrale dal proprio conto a quello della banca
B

Se il pagamento deve essere effettuato nei confronti di un soggetto che ha un conto presso la stessa banca, questa non
fa altro che addebitare, ossia ridurre il deposito del pagatore, e ad accreditare la somma relativa al deposito del
creditore. Diversamente se il creditore/venditore ha un c/c presso una banca diversa da quello del debitore/acquirente,
la banca del secondo realizza il trasferimento del deposito dal debitore al beneficiario (addebito e accredito) nonché le
riserve di banca centrale dal proprio conto a quello della banca del creditore, dove la riserva di BC rappresenta la
moneta utilizzata dalla banca per saldare i pagamenti tra loro. La banca B è così disposta ad avere un nuovo debito nei
confronti del venditore/creditore.

2. Trasformazione delle scadenze —> Le banche trasformano passività di famiglie e imprese a lungo termine e poco
liquide (prestiti) in passività bancarie liquide e brevissimo termine (depositi): al momento del prestito, a fronte di un
“obbligo di pagamento” poco liquido e a lungo termine sottoscritto da un individuo o un’impresa (quale passività del
settore privato non bancario), le banche offrono agli stessi un “obbligo di pagamento” a vista (passività del settore
bancario), creando un debito ed un credito nei confronti della persona cui presta consentendoli di utilizzare i depositi
che a partire da quel dato momento in poi ha presso la banca. Dal punto di vista contabile si apre un prestito nel lato
dell’attivo e un deposito nel lato del passivo. Vi è quindi uno squilibrio tra le scadenze dell’attivo e del passivo che
pone il sistema bancario in una situazione di fragilità, ragione per cui da sempre le banche sono state molto
regolamentate e garantite.

RISCHI del sistema bancario frazionato:


1. Rischio di illiquidità: se tutti i depositanti chiedono alla banca di ritirare i propri depositi, essa avrà difficoltà a
reperire i fondi vendendo le proprie attività finanziarie, e ciò in quanto l’attivo è investito in attività a medio-lungo
termine —> N.B: oggi non ci sono le corse agli sportelli perché si è introdotto per le banche una garanzia statale dei
depositi, ed ogni caso la BC è sempre disposta ad intervenire per aiutare le banche commerciali in difficoltà e
sostenere i depositi.
2. Rischio di insolvibilità: se molti debitori contemporaneamente non sono in grado di restituire i proprio debiti, il
valore dei prestiti e quindi l’attivo di bilancio si riduce, esponendo la banca ad una riduzione del capitale bancario
per mantenere l’uguaglianza tra attivo e passivo, e aumentando di conseguenza il rischio di default. —> Es: se il
capitale bancario è piccolo, anche una riduzione minima (es: 5%) del valore dei prestiti può azzerare il capitale della
banca e mandarla in fallimento.
LEZIONE 3 03/03/21
VALORE/PREZZO DELLA MONETA
Possiamo considerare il valore della moneta da vari punti di vista:
-
il valore della moneta contro se stessa è definito valore nominale
-
il valore della moneta contro beni e servizi è definito potere di acquisto
-
il valore della moneta contro sé stessa in altra data definisce il tasso di interesse
-
il valore della moneta contro moneta di altro paese definisce il tasso di cambio

La moneta è tipicamente caratterizzata da liquidità, dove un bene è tanto più liquido quanto minori sono i suoi costi di
utilizzo come mezzo di pagamento. La moneta (contante) è il mezzo di pagamento perfettamente liquido per eccellenza,
in quanto comporta costi di transazione nulli.
I costi di transazione possono essere suddivisi in due tipi: costi certi e costi incerti - legati al rischio di un possibile
deprezzamento di un titolo finanziario o di un bene reale posseduto, tale per cui non conosco a priori e non ho certezza
in merito al prezzo a cui li venderò sul mercato, e quindi alla moneta che riuscirò ad incassare, per convertirli in mezzo di
pagamento - , dove quest’ultimi creano un collegamento tra il concetto di liquidità e quello di rischiosità di uno strumento
finanziario:

Esistono strumenti con diversi gradi di liquidità, la quale diminuisce all’aumentare dei costi di transazione. Esistono
vantaggi e svantaggi nell’avere uno strumento finanziario più o meno liquido o illiquido, ossia in altri termini esiste un
trade-off tra costi di transazione e costo opportunità (mancato rendimento): se detengo tutta la mia ricchezza in contante
sostengono un costo opportunità, rappresentato dal mancato rendimento di un’eventuale investimento alternativo.

A seconda di dove si pone la soglia di liquidità per i vari


strumenti finanziari nella definizione di moneta, possiamo
individuare in concreto differenti aggregati monetari:
l’aggregato monetario più stringente, quello che pone la soglia
più alto alla liquidità, è l’aggregato M0 il quale coincide con il
circolante; questa visione è tuttavia eccessivamente limitativa
della natura reale della moneta di oggi, per cui tipicamente si
include oltre al circolante anche i depositi a vista, andando ad
individuare l’aggregato M1… infine si arriva ad individuare
l’aggregato M3, il quale coincide con la moneta in senso ampio.

DEF: Gli aggregati monetari misurano la quantità complessiva, esiste in un dato momento nel sistema economico, di
“moneta” e di quelle attività finanziarie che per il loro elevato grado di liquidità possono svolgere le stesse funzioni della
moneta (c.d. quasi-moneta).
Quanto detto ci permette di comprendere come, in realtà, definire la moneta non è semplice. Uno dei maggiori studiosi
di economia monetaria, J. Hicks, dice: ‘la moneta è ciò che la moneta fa”, quindi l’attenzione ricade sulle sue funzioni
(definizione funzionale):
I. Unità di conto: la moneta è misura del valore di scambio, ossia è utilizzata per confrontare in maniera omogenea
il valore che la società, attraverso il mercato, attribuisce a beni e servizi diversi tra loro.
II. Mezzo di pagamento: la moneta può essere scambiata con beni e servizi, per cui l’acquirente consegna moneta
al venditore e si libera di ogni obbligo nei confronti di quest’ultimo che, accettandola ne riconosce il valore.
Segue che questo aspetto richiede l’accettabilità dello strumento monetario
III. Riserva di valore: la moneta permette di spostare nel tempo la quota di reddito che non viene utilizzata
immediatamente per consumare beni e servizi, in altri termini essa conserva il suo valore di scambio (valore
nominale) nel tempo.
Tradizionalmente e normalmente quando esiste un’unità di conto, questa viene utilizzata anche come mezzo di
pagamento, inoltre la moneta è mezzo di pagamento solo in quanto incorpora potere di acquisto, quindi deve essere
anche riserva di valore (mezzo di pagamento => riserva di valore), ma non è necessariamente vero il viceversa
(riserva di valore ≠> mezzo di pagamento), ossia non sempre ciò che è riserva di valore non può essere utilizzato
come mezzo di pagamento.
La funzione di riserva di valore quindi non è tipica della moneta, ma è comune a tante altre attività finanziarie o reali,
tuttavia la moneta si differenzia da queste perché svolge contemporaneamente tutte e tre le funzioni, presentandosi
di conseguenza come la riserva di valore più liquida, in quanto assolve anche la funzione di mezzo di pagamento.
N.B: Le monete utilizzate oggi nelle principali economie non hanno un valore intrinseco legato al valore del materiale di
cui sono composte, per cui il fatto che la moneta sia “riserva di valore” non significa che essa “contenga” valore, bensì
che lo “rappresenta”, ed il riconoscimento del suo valore dipende dalla fiducia da parte di chi la riceve in una transazione
di poterla utilizzare in futuro in altre transazioni.

Accanto alla prima triade sulle funzioni della moneta, Hicks ne individua una seconda relativa ai determinanti della
domanda di moneta da parte degli agenti economici, ossia ai motivi per cui i soggetti domandano moneta:
I. Movente transattivo —> si detiene moneta in previsione del sostenimento di spese future certe
II. Movente precauzionale —> si detiene moneta in previsione del sostenimento di spese future incerte
III. Movente finanziario-speculativo —> detenere una parte della propria ricchezza sotto forma di moneta ha
anche dei vantaggi sotto il profilo finanziario-speculativo (vedremo poi con la visione keynesiana della domanda
di moneta)
STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO: LA VISIONE DELLA MONETA(Blocco slide 2)
VISIONE NEOCLASSICA: MEZZO DI SCAMBIO
I neoclassici sottolineano principalmente la funzione di mezzo di scambio della moneta. Nonostante ciò nei modelli di
equilibrio economico generale neoclassici la moneta è in realtà “inessenziale” e tutti gli scambi - relativi ai mercati
presenti, futuri e anche contingenti/eventuali nei possibili stati di natura futuri- avvengono in un unico momento
“zero” (economia centralizzata):
• non c’è ruolo per la moneta come riserva di valore
• non c’è ruolo per la moneta come mezzo di pagamento
Gli stessi neoclassici tuttavia si rendevano conto che quanto appena detta non permetteva di descrivere il
funzionamento del sistema economico reale, per cui riconoscono l’importanza e il ruolo della moneta in un’economia a
causa della mancata sincronia tra incassi e pagamenti (economia decentralizzata): la moneta è vista come come un
lubrificante degli scambi, un velo monetario, un qualcosa che consente e facilita gli scambi senza influenzare gli
andamenti economici, senza alcun effetto reale ma con soli effetti sul livello dei prezzi (effetto monetario).
Per i neoclassici quindi la domanda di moneta dipende quindi da:
• fattori istituzionali-comportamentali (intervallo incassi/spesa; abitudini di spesa degli agenti)
• fattori di tipo economico (es. reddito ricevuto o quantità di acquisti che si desidera effettuare => principalmente
movente transattivo)

L’approccio neoclassico si scontra tuttavia con un problema teorico legato al valore/utilità della moneta: se la moneta
viene detenuta solo in quanto mezzo di scambio che permette di sincronizzare le entrate con le uscite, allora essa non
ha valore in sé ma ha valore soltanto in quanto poi verrà scambiata con beni o servizi. In altri termini il valore della
moneta come mezzo di scambio è solo indiretto, in quanto dipende dalla quantità di beni e servizi che possono
acquistare con la moneta stessa, il che dipende dal livello dei prezzi, cioè potere di acquisto della moneta, e quindi dal
valore della moneta. => Si definisce un ragionamento circolare, per cui il valore della moneta dipende in ultima analisi
dal valore della moneta.

Il fulcro della visione neoclassica della moneta come “velo monetario” è rappresentato dalla c.d. equazione degli
scambi di Fisher (1911), basata sulla seguente identità contabile

MV = PT => Tale equazione costituisce un’identità contabile - è


sempre vera - in quanto, per ogni scambio che
avviene nell’economia si scambia il valore del bene o
servizio ricevuto per l’equivalente valore di moneta.
dove:
M: quantità di moneta in circolazione

V: velocità di circolazione della moneta (numero medio di volte in cui la moneta passa da un individuo all’altro)
P: livello generale dei prezzi
T: numero delle transazioni effettuate

L’equazione diventa teoria, arrivando così ad affermare che M influenza solo i prezzi ma non le qualità, quando si
assume che:
T possa essere approssimato dalla produzione (livello di reddito nell’economia) Y
Y è sempre al livello di piena occupazione YF (F= fisso)
V sia costante a causa di fattori istituzionali (= abitudini di pagamento, funzionamento dei mezzi di pagamento)
Ossia MV = PYF
Fissando Y e V costante, la quantità di moneta M influenza solo i prezzi P: i neoclassici giustificano la loro visione della
moneta come “velo”, la neutralità della moneta, in modo tautologico.

Dalla costanza di V e Y (che abbiamo supposto uguale ad YF), reinterpretando l’equazione degli scambi di Fisher come
domanda (reale o nominale) di moneta si ha che:
• la domanda reale di moneta è costante => M/P = Y/V
• la domanda nominale di moneta dipende dal livello dei prezzi => M = (Y/V)*P
La domanda nominale di moneta può essere quindi rappresentata come un’iperbole
equilatera, una funzione tale per cui il prodotto fra M e 1/P, le variabili sugli assi, è
costante e pari a Y/V.

Osservazioni:
- in realtà V non è costante —> assunzione non verificata nella realtà
- in realtà Y non è sempre al livello di pieno impiego —> assunzione non verificata nella realtà
- è invece vero che nel lungo periodo si ha una relazione stretta tra M e P, e in particolare tra tasso di crescita della
moneta (∆M/M) e tasso di inflazione (∆P/P). Resta tuttavia l’incertezza in merito alla direzione di causalità, chi
determina cosa, è la moneta che determina i prezzi oppure potrebbe esservi è un nesso causale inverso per cui è
l’aumento dei prezzi che determina un aumento della moneta: nonostante l’apparente bizzarria di tale affermazione,
in un sistema economico in cui la moneta è endogena (come quello odierno), creata in base alle necessità e ai
bisogni dell’economia, può accadere che un aumento dei prezzi induca ad un aumento dei mezzi monetari per
mantenere lo stesso livello di scambi.
LEZIONE 4 05/03/21
Uno dei principali esponenti della scuola neoclassica inglese è Arthur Cecil Pigou. Pigou interpreta la teoria
quantitativa della moneta come una teoria della domanda di moneta, dove tale domanda è derivata dalla
massimizzazione di una funzione di utilità tra i cui argomenti appare direttamente la moneta: Pigou cerca di
microfondare, ossia di giustificare a livello di scelte razionali individuali l’emergere della domanda di moneta sulla base di
un movente precauzionale, tale per cui la moneta dà un utilità diretta dovuta al fatto di “sentirsi tranquilli di poter
effettuare acquisti quando se ne avrà bisogno”. Si passa quindi da un visione di utilità indiretta della moneta derivante
dall’acquisto dei beni ad una di utilità diretta della moneta derivante dal detenere scorte liquide come protezione
dall’incertezza futura, utilità che si manifesta soltanto in un contesto di incertezza, in contrasto con l’approccio
neoclassico e quindi con la teoria dell’equilibrio economico generale, in cui l’economia si sviluppa in contesto di certezza
in cui pagamenti e incassi futuri sono noti e certi e il movente precauzionale non è presente.

Questa impostazione consente a Pigou di impostare un problema di


massimizzazione dell’utilità.
Si assume una funzione di utilità di tipo Cobb-Douglas, e si risolve il
problema di massimo sotto il vincolo di bilancio indicato. La
soluzione si trova riscrivendo il problema di massimo vincolato
come un problema di massimo non vincolato attraverso la funzione
lagrangiana, ossi inserendo il vincolo nella funzione obiettivo
attraverso il moltiplicatore di Lagrange, e poi assimilano la funzione
attraverso la variabile di interesse che è la quantità di moneta.

Risultato dell’analisi di Pigou => m=ky dove m= M/P

Md = domanda di moneta
k = 1/v => Pigou microfonda anche la velocità della
moneta, che dipende dall’utilità marginale della moneta.

Il modello elaborato da Pigou offre una spiegazione


economica della domanda di moneta che invece i
neoclassici estraevano dalla teoria quantitativa della
moneta stessa, ed inoltre rende più flessibile la domanda di
moneta stessa in quanto la velocità di circolazione della
moneta non è assunto costante ma dipende dall’utilità
marginale.
IL MODELLO MACROECONOMICO DI RIFERIMENTO
Il modello macroeconomico neoclassico era incentrato su tre cardini principali:
- Teoria quantitativa della moneta
- Mercati perfettamente concorrenziali
- Perfetta flessibilità dei prezzi, che garantisce l’equilibrio in tutti i mercati
Ciò produce:
1. Dicotomia fra parte reale e parte monetaria: vi è una netta separazione tra l’andamento delle variabili nominali e le
variabili reali, come produzione, occupazione e salario reale, che sono determinati dal solo lato “reale”
dell’economia.
2. Neutralità della moneta: le grandezze reali non sono, in equilibrio influenzate dalla moneta, la quale pertanto
influenza solo le variabili nominali.

Infatti secondo i neoclassici l’economia può essere


divisa in due lati: lato reale (non dipende dalla
quantità di moneta in circolazione); e lato della
moneta (la quantità di moneta influenza il livello dei
prezzi, che a sua volta influenza le altre grandezze
nominali).
La moneta è neutrale, e di conseguenza la politica
monetaria è inefficace: la variazione della quantità di
moneta in circolazione controllata dalla banca centrale
non ha alcun impatto sull’andamento economico delle
variabili reali, in altri termini la maggiore offerta di
moneta in circolazione induce una maggiore domanda
di beni, ma se le risorse sono pienamente impiegate
variano solo i prezzi e non la produzione.

VISIONE DEI KEYNESIANI: RISERVA DI VALORE


La teoria keynesiana, pur riconoscendo l’utilità diretta della moneta, considera fondamentale il ruolo di riserva di valore
della stessa in presenza di incertezza: la moneta è riserva di valore è come tale costituisce uno strumento di
investimento alternativo rispetto alle altre attività finanziarie disponibili sul mercato, caratterizzata dalla massima liquidità
e minor rischio (vantaggi). => I keynesiani fondano la domanda di moneta sulle scelte di portafoglio, per cui dal punto di
vista del portafoglio ottimo mi conviene investire e detenere una parte di ricchezza sotto forma di moneta.

Quindi:

Per i neoclassici mezzo di pagamento M → P (livello dei prezzi)

Per i keynesiani riserva di valore M → r (tasso di interesse)

La moneta costituisce uno strumento di investimento alternativo e in competizione con altre attività finanziarie, ma ha la
caratteristica di essere più liquida e priva di rischio rispetta alle altre attività, caratterizzate da un grado di liquidità
inferiore, ragione per cui gli agenti economici sono disposti ad accettare moneta rinunciando al tasso di interesse che
potrebbero ottenere comprando titoli: nella visione keynesiana il tasso di interesse costituisce pertanto il “prezzo della
preferenza per la liquidità ” (Keynes), o anche, simmetricamente, il “premio per la rinuncia alla liquidità”, è un costo
opportunità. In ogni caso, gli agenti economici effettuano le proprie scelte di portafoglio, ossia sceglieranno moneta o
altre attività finanziarie disponibili sui mercati finanziari tenendo conto, oltre che della liquidità e della certezza del valore
nominale, anche della redditività e del rischio delle altre attività finanziarie: i mercati finanziari giocano un ruolo primario
nella visione monetaria keynesiana, in quanto è sui mercati finanziaria che si determina la domanda di moneta ed il
tasso di interesse che influisce sulla creazione della domanda.
APPROFONDIMNETO: STRUMENTI E MERCATI FINANZIARI
La funzione dei mercati finanziari è quella di mettere in connessione le unità in deficit e le unità in surplus, ossia i
risparmiatori con chi desidera prendere fondi a prestito. Questa relazione può avvenire attraverso il canale diretto
(emissione di titoli) oppure attraverso il canale indiretto (intervento degli intermediari finanziari). Tipicamente si distingue
tra attività reali (terra, macchinari, edifici, capitale umano che la società accumula nel tempo) e attività finanziarie: la
ricchezza di un’economia è determinata dalla sua capacità produttiva, ossia dalle attività reali, mentre le attività
finanziarie generano ricchezza solo indirettamente, in quanto sono contratti per scambiare certi beni o servizi ad una
certa data e rappresentano diritti su redditi generati dalle attività reali.
La distinzione tra attività reali e attività finanziarie è anche legata al fatto che l’attività finanziaria di un soggetto
costituisce la passività finanziaria di un altro (es. c/c bancari, azioni e obbligazioni), quindi quando si aggregano tutti i
bilanci individuali queste posizioni di cancellano restano solo le attività reali, le quali vanno quindi a rappresentare la
ricchezza nazionale netta.
I soggetti che utilizzano i mercati finanziari sono:
- Famiglie - tipicamente risparmiatori netti (acquistano titoli finanziari)
- Imprese - tipicamente debitori netti (vendono titoli finanziari) => Settore privato

- Settore pubblico - può essere sia debitore che creditore netto

I principali intermediari finanziari sono:

Le banche commerciali avevano rapporti


diretti con i privati, mentre le banche di
investimento avevano rapporti con altre grandi
istituzioni finanziarie, tali da non necessitare
di una protezione giuridica-statale data da alta
regolamentazione e garanzie statali. Dal 2008
le banche d’investimento sono scomparse:
non avendo le garanzie statali non avevano
accesso ai fondi di stato dopo la crisi del
2008, per cui tutte quelle che erano banche di
investimento prima della crisi sono state
acquisite da banche commerciali o si sono
convertite in esse, così da usufruire degli aiuti
statali. La Lehman Brothers è fallita.

Merton e Bodie propongono la seguente classificazione delle funzioni dei mercati finanziari:
I. Incontro domanda e offerta ed esecuzione dei pagamenti (Clearing and settling payments) —> Il sistema
finanziario fornisce gli strumenti per assicurare lo scambio di attività reali e finanziarie: a) fornendo meccanismi di
trading tra coloro che vogliono vendere e coloro che vogliono comprare; fornendo la cd “liquidità di mercato” ; b)
garantendo l’esecuzione dei contratti, il che comprende il matching degli ordini e conferma della transazione, e
l’esecuzione della transazione (passaggio di denaro).

II. Raccogliere risorse e suddividere quote di partecipazione —>


• I mercati finanziari consentono alle imprese di raccogliere fondi per finanziarie i propri investimenti in attività reali,
permettendo per tal via a più investitori di contribuire a progetti che nessuno di loro, da solo, sarebbe in grado di
finanziare. In realtà si disitinguono tre modi attraverso i quali le imprese possono raccogliere fondi (prendendo a
prestito dalle banche, cercando nuovi partner emettendo azioni, e emettendo obbligazioni), ma il canale del
mercato finanziario, soprattutto nel modello anglosassone, assume un ruolo fondamentale.
• Anche il settore pubblico può utilizzare il mercato finanziario per accogliere fondi, agendo quindi come impresa
privata emettendo obbligazioni sui mercati finanziari (a lunga scadenza: BTP, Treasury bonds; a breve scadenza:
BOT, Treasury Bill). Altri canali che può intraprendere il settore pubblico per finanziarsi sono: usare la BC per
“stampare moneta”; aumentando le tasse e/o riducendo le spese.
III. Trasferire risorse nel tempo e nello spazio —> Invece di consumare tutto oggi, gli operatori economici possono
scegliere di investire parte della loro ricchezza in attività finanziarie, in modo tale da trasferire il potere di acquisto
nel tempo, da periodi alti guadagni a periodi di bassi guadagni, per fare quello che in letteratura economica è
chiamato "consumption smoothing", vale a dire ridurre il più possibile le oscillazioni nel consumo anche in
presenza di oscillazioni del reddito del soggetto economico. In particolare:
• in periodi di alti guadagni l'individuo può investire il suo surplus in attività finanziarie
• nei periodi di guadagni bassi gli investitori possono vendere tali attività finanziarie in modo da mantenere il
consumo stabile.

IV. Gestione del rischio (risk management) —> Tramite i sistemi finanziari si dovrebbe essere in grado di
raggiungere un’efficiente allocazione dei rischi, il che è vitale per il sistema economico. In particolare, i sistemi
finanziari (insieme con le compagnie di assicurazione) finiscono modi per scambiare e controllare il rischio, come:
• la condivisione dei rischi
• il trasferimento del rischio ad agenti più amanti del rischio (speculatori)
• la diversificazione dei rischi, che sfrutta le basse correlazione che possono esistere tra rischi diversi:
cumulando rischi diversi tra loro non perfettamente correlati, il rischio complessivo si riduce per
compensazione.

V. Separare la proprietà del management —> La proprietà è suddivisa in azioni, che vengono scambiate sui mercati,
tale per cui gli azionisti possono cambiare nel tempo mantenendo però una certa stabilità nella gestione
dell’impresa perché delegata ai manager. Questa funzione è particolarmente utile quando un’impresa è molto
grande e presenta molti azionisti, in quanto un gruppo di individui di tale dimensione non può partecipare
attivamente ala gestione dell’impresa: tali azionisti eleggono quindi un consiglio di amministrazione che a sua volta
nomina e controlla i manager dell’impresa. In questo modo proprietari e gestori della società sono soggetti diversi, e
questo dà stabilità alla società. Inoltre, i mercati finanziari offrono alcune indicazioni in merito a quello che dovrebbe
essere l’obiettivo del manager: massimizzare il valore delle azioni, e quindi massimizzare il valore dell’impresa.
tuttavia i manager possono perseguire invece i propri interessi, dando luogo a potenziali conflitti di interesse, detti
“agency problems”. Un meccanismo che può essere utilizzato per mitigare gli agency problems è rappresentato dal
riconoscimento ai manager di stock options, ossia il diritto di sottoscrivere ad un prezzo determinato azioni di
futura emissione, e quindi la possibilità di conseguire ingenti guadagni se le azioni acquistano valore.

VI. Raccogliere informazioni e facilitare il processo di formazione del prezzo (price discovery) —> I mercati
finanziari svolgono una funzione di price discovery, ossia di identificazione del prezzo corretto di un qualsiasi bene o
servizio reale o finanziario. Come avviene ciò? Contributo fondamentale di Hayek, economista austriaco, è stato
quello di vedere il sistema di formazione competitivo del prezzo come una rete di comunicazione, vale a dire la
trasmissione di informazioni da un agente di mercato ad un altro. Esempio: in caso di un disastro naturale che limita
la disponibilità di una specifica materia prima, la riduzione dell’offerta sarà efficacemente comunicata ai potenziali
utenti tramite un prezzo più alto (che produce anche l'incentivo per l'economizzazione socialmente desiderabile
della materia prima in questione). I prezzi pertanto agiscono come segnali inglobando tutte le informazioni pertinenti
possedute dagli operatori: si parla di efficienza informazionale o di prezzo dei mercati finanziari, per cui i prezzi
riflettono i veri valori dei titoli. Questo aspetto è fondamentale nell’economia perché i prezzi determinano
l’allocazione delle risorse, per cui se i prezzi non sono quelli corretti l’allocazione delle risorse è distorta, e ciò ha
delle grandi conseguenze sulla crescita economica
Torniamo alla visione keynesiana.
La domanda di moneta dal punto di vista keynesiano si può formalizzare facendo riferimento alla Teoria di portafoglio
di Markowitz (1952) - posta alla base della teoria delle scelte di portafoglio keynesiana - , la quale si basa su una
funzione di utilità media-varianza (l’utilità dell’investitore dipende unicamente dal rischio, misurato dalla varianza, e dal
rendimento atteso dell’investimento effettuato):

L’utilità è crescente nel rendimento atteso, e nella maggior


parte dei casi è decrescente nella varianza, a seconda del
coefficiente di avversione al rischio A, il quale misura
l’atteggiamento nei confronti del rischio:
• A > 0 —> l’investitore è avverso al rischio, maggiore è A e
maggiore è l’avversione al rischio dell’investitore
• A = 0 —> l’investitore è neutrale al rischio
• A < 0 —> l’investitore è propenso al rischio

Le curve di indifferenza identificano le combinazioni rischio - rendimento E (~r ) che


mantengono l’utilità invariata (dU=0). Per un dato coefficiente di avversione al rischio A,
le curve di indifferenza non si intersecano.

Dato A, utilizzando la formula vista sopra è agevole individuare le curve di indifferenza. Equazione della curva di
indifferenza: ~ 1 2 ~ ~ 1 2 ~
d U = 0 → c = E (r ) − Aσ (r ) → E(r ) = c + Aσ (r )
2 2
—> Per definizione di CI, la variazione dell’utilità è pari a 0, che possiamo chiamare c = livello di utilità costante.
Ottenngo una funzione quadratica, un ramo di parabola crescente.
Dove la pendenza della curva di indifferenza sarà: A σ (~r) e dipenderà
dall’avversione al rischio, maggiore è A e maggiore sarà la pendenza
della curva: se sono poco avverso al rischio, all’aumentare della
rischiosità è sufficiente una compensazione in termini di rendimento
anche piccola per mantenere l’utilità costante.
Costruiamo un portafoglio con asset rischioso e asset privo di rischio:
- w porzione allocata nel portafoglio rischioso P
- (1-w) porzione allocata nel portafoglio risk free F
Al variare della quota allocata nei due titoli, varia il profilo rischio-rendimento del portafoglio ottenuto combinando in
proporzioni differenti i due asset:

Esempio:

Posso calcolare il rendimento atteso del portafoglio come la media


ponderata dei rendimenti dei singoli titoli che lo compongono; e il rischio
complessivo del portafoglio dipende solo dal titolo rischioso ed è pari alla
misura di rischio del titolo rischioso ponderato per la porzione allocata nello
stesso.
LEZIONE 5 10.03.21

Per rendere più chiara la relazione rischio-rendimento ottenuto al


variare di w (omega), risolvo il rischio in funzione di w, opero una
sostituzione ed ottengo il rendimento atteso in funzione della
rischiosità del portafoglio: al variare di w si ha una variazione della
rischiosità del portafoglio ed una variazione del rendimento atteso.
Tale relazione lineare può essere graficamente rappresentata nel
piano rischio-rendimento come una retta, con intercetta rf e
coefficiente angolare rappresentato dal c.d. indice di Sharpe, il
quale esprime il rendimento incrementale del portafoglio
all’aumento incrementale del rischio.

Graficamente, questa relazione lineare identifica la CAL


(Capital Allocation Line), o Linea delle allocazioni del capitale,
e costituisce il luogo geometrico dei portafogli possibili
combinando opportunamente l’asset risk free e l’asset privo di
rischio in proporzioni differenti. Posso scegliere ogni punto, e
quindi ogni portafoglio, sulla retta: insieme delle scelte
possibili.
N.B: La CAL è la CML quando il titolo rischioso è il portafoglio
di mercato.

In corrispondenza di rf, portafoglio composto solo dal titolo privo di rischio, w=0 e (1-w)=1; diversamente in
corrispondenza di P, portafoglio composto solo dal titolo rischioso, w=1 e (1-w)=0; 0<w<1 per tutti i portafogli compresi
tra rf e P. Posso investire in un portafoglio posto al di là di P, in corrispondenza del quale w>1 e (1-w)<0 attraverso le
vendite allo scoperto (short sale) o prendendo a prestito al tasso risk free, il che è la stessa cosa in un’economia
caratterizzata dalla presenza di un solo titolo rischioso ed un titolo risk free in quanto “vendere allo scoperto il titolo privo
di rischio” significa di fatto “prendere a prestito al tasso risk free”: sfrutto la leva finanziaria.

IDENTIFICAZIONE DEL PORTAFOGLIO OTTIMO


Il portafoglio ottimo è il portafoglio che massima l’utilità sotto il
vincolo di bilancio, rappresentato dall’insieme delle possibilità di
scelta.

Dal punto di vista grafico il portafoglio ottimo è identificato dal


punto di tangenza tra la CAL e la curva di indifferenza più lontana
dall’origine degli assi.
Dal punto di vista analitico, il portafoglio ottimo può essere individuato utilizzando due metodi differenti:
I. Condizione di Ottimo, metodo I

II. Condizione di ottimo, metodo II

—> peso
dell’investimento nel
portafoglio rischioso

Generalmente il portafoglio ottimo che si va ad individuare è costruito allocando parte della propria ricchezza nel titolo
rischioso e parte nel titolo risk free, e quindi in moneta (scorte liquide). Di conseguenza, individuato il peso
dell’investimento nel portafoglio rischioso, allora il peso dell’investimento nel titolo privo di rischio (1-w*) rappresenta la
domanda di scorte liquide, ossia la domanda di moneta a fini speculativi che compare nella teoria keynesiana.
Quest’ultima dipende:
1. positivamente dalla ricchezza dell’investitore Y —> se aumenta la ricchezza complessiva, anche a parità di
proporzioni, aumenta la quantità detenuta sotto forma di scorte liquide.
2. positivamente all’avversione al rischio A
3. positivamente dal tasso privo di rischio rf
4. positivamente dalla rischiosità dei titoli rischiosi
5. negativamente dal tasso di rendimento dei titoli rischiosi.
IS-LM E POLITICA MONETARIA (Blocco slide 3)
L’analisi dell’impostazione macroeconomica keynesiana, la quale consente di concludere che la moneta non è neutrale
come invece ritenevano i neoclassici, così come anche l’analisi del ruolo della Banca Centrale, passa dallo studio
dell’equilibrio del mercato della moneta e nel mercato dei beni (reale): modello IS-LM.

‣ MERCATO DELLA MONETA e LA CURVA LM


• L’offerta di moneta M è costituita dall’ammontare di moneta disponibile all’interno dell’economia. Nei modelli
macroeconomici l’offerta di moneta era tradizionalmente considerata una variabile esogena sotto il pieno controllo
della Banca Centrale.
• Secondo la teoria keynesiana la domanda di moneta (1-w*) dipende tra una pluralità di variabili sopra indicate, ed in
particolare la domanda reale di moneta è data da MD/P, dove P è il livello dei prezzi, funzione del reddito reale Y,
del tasso sulle attività monetarie rf e dal tasso sulle altre attività.
Quindi, trascurando rf la domanda reale di moneta è data da

L’equilibrio nel mercato della moneta si ha quando la domanda di moneta eguaglia


l’offerta. In termini reali:

Dalle equazioni di equilibro della moneta, possiamo ricavare la curva LM, luogo geometrico delle combinazioni Y e r che
garantiscono l’equilibrio nel mercato della moneta.

Nello spazio tasso di interesse - quantità domandata, si rappresenta graficamente la funzione della domanda di moneta.
Md è decrescente rispetto ad r, inoltre al variare di Y la curva trasla, in quanto a parità di tasso di interesse, ad un reddito
più alto corrisponde una maggiore domanda di
moneta.

Nello spazio (Y;r) - reddito; tasso di interesse - si


rappresenta la curva LM. Essa, andando così a
descrivere la relazione esistente tra Y ed r, è
inclinata positivamente, per cui affinché sia
mantenuto l’equilibrio ad aumenti del reddito Y
corrispondono aumenti del tasso r: se ↑ Y → ↑
Md , quindi affinché la domanda sia riportata al
livello precedente e si mantenga l’equilibrio nel
mercato della moneta → ↑ r . La visione
keynesiana incentra la determinazione del tasso di
interesse sul mercato della moneta.

‣ MERCATO REALE e LA CURVA IS


La curva IS descrive l’equilibrio sul mercato dei beni. Essa si
determina assumendo che il reddito aggregato è pari alla somma
delle componenti di domanda aggregata (consumo, investimento e
spesa pubblica)
IS: Y = C + I + G

La curva IS è decrescente: Y è una funzione decrescente del tasso di


interesse r, in quanto Y = C+I+G e la funzione dell’investimento
aggregato I è decrescente rispetto al tasso di interesse di mercato r,
costo opportunità dell’investimento:
EQUILIBRIO MERCATO REALE E MONETARIO: MODELLO IS-LM
Possiamo osservare che:
• Neoclassici —> Nella visione neoclassica è il mercato dei beni reali che determina il tasso di interesse r tramite
S(r)=I(r), condizione di equilibrio del mercato dei beni reali, la quale si può equivalentemente rappresentare come
condizione di equilibrio tra fondi dati e presi a prestito, tra risparmi S e investimenti I. Il tasso di interesse r
costituisce nella visione neoclassica la variabile che consente di raggiungere l’equilibrio sul mercato dei fondi e
quindi sul mercato dei beni reali in quanto:
1. se S > I (eccesso di risparmio) r diminuisce, S si riduce e I aumenta fino a quando S = I;
2. se S < I (carenza di risparmio e eccesso di desiderio di investimento), tutti chiedono fondi, r aumenta, I
diminuisce fino a quando S = I.

• Keynes —> Nella visione keynesiana la determinazione del tasso di interesse avviene sul mercato della moneta, in
particolare Keynes obietta ai neoclassici che il risparmio non dipende solo da r ma dipende anche da Y, cioè S(r,Y)
= I (r). In questo modo si ha un’equazione in due incognite, per cui la teoria neoclassica è indeterminata in quanto
non posso determinare con una sola equazione due incognite ed ottenere una soluzione univoca di equilibrio sul
mercato dei beni, ma abbiamo infinite coppie di soluzioni che possono rappresentare l’equilibrio sul mercato dei
beni reali, andando quindi ad identificare quella che in letteratura è nota come curva IS.

• Hicks —> Hicks, allievo di Keynes, obietta che in realtà anche l’approccio keynesiano non è corretto, in quanto
anche il mercato monetario è indeterminato M/P = f(Y,r), anche in questo caso abbiamo una equazione in due
incognite, per cui non possiamo ottenere una soluzione univoca di equilibrio sul mercato della moneta, ma infinite
coppie di soluzioni che vanno ad identificare la c.d. curva LM. La soluzione di Hicks prevede quindi di considerare
entrambi i mercati per determinare simultaneamente sia r che Y, così da avere due equazioni in due incognite:
sintesi di Hicks, o sintesi keynesiana del modello IS-LM. Nel modello IS-LM vengono quindi sintetizzati entrambi gli
approcci, mettendo in evidenza come il tasso di interesse non è quindi né un fenomeno puramente monetario
(Keynes) né un fenomeno puramente reale (Neoclassici), bensì un fenomeno misto sia reale che monetario.

Unendo le curve IS e LM otteniamo il MODELLO IS-LM, in particolare l’intersezione tra le curve identifica la
combinazione tasso di interesse e livello del reddito che garantiscono l’equilibrio nel mercato dei beni e servizi e nei
mercati delle attività finanziarie.
Il modello IS-LM ci permette di analizzare gli effetti delle politiche
macroeconomiche.

POLITICA MONETARIA ESPANSIVA


Se la BC aumenta l’offerta di moneta M, la curva LM trasla verso destra, il
tasso reale si abbassa ed il reddito aumenta. Individuo graficamente un
nuovo punto di equilibrio. Questa visione per cui un aumento di M determina
una variazione di I e di Y, è il motivo per cui i keynesiani ritenevano la
moneta non neutrale.
N.B: Un aumento di M, e quindi di M/P fa traslare verso il basso la curva LM, infatti in Y1 il mercato della moneta si trova
in un eccesso di offerta di moneta, per cui a parità di reddito dobbiamo avere un più basso tasso di interesse r per avere
un nuovo equilibrio.

Può tuttavia succedere che all’aumento della quantità di moneta in


circolazione da parte della banca centrale non corrisponda un
ribilanciamento del portafoglio, venendo la maggiore liquidità immessa
dalla BC trattenuta dai soggetti economici incrementando così le proprie
scorte liquide: trappola della liquidità (caso keynesiano), situazione
economica in cui gli operatori economici non modificano la propria
domanda di titoli (azioni e obbligazioni) in risposta a variazioni nella
quantità di moneta offerta, ma assorbono tutta la liquidità aggiuntiva. Come
risultato il tasso di interesse è rigido, indipendente, rispetto a cambiamenti
nell’offerta di moneta, per cui la politica monetaria
non riesce ad esercitare alcuna influenza sulla
domanda aggregata e dunque a produrre effetti
reali sull’economia. Dal punto di vista grafico la
curva LM è piatta.

POLITICA FISCALE
Se il Governo aumenta la spesa pubblica G, la IS
trasla verso l’alto e si ha quindi un aumento di r e Y.

L’aumento della spesa pubblica G↑ fa aumentare la


spesa autonoma e quindi il reddito Y↑. Le imprese,
per far fronte alla maggior produzione
aumenteranno la domanda di moneta Md↑, per
procurarsi moneta le imprese offriranno titoli (BD↓
B=obbligazioni), che ne farà scendere il prezzo P↓ con un conseguente aumento dei tassi di interesse r↑).

Si può osservare come all’aumento di Y segua un aumento di Md, e di conseguenza una diminuzione di I e quindi di Y:
effetto di retroazione monetaria per cui una politica fiscale espansiva non si accompagna ad una politica di
espansione monetaria tale da mantenere invariato il tasso di interesse, ma al contrario l’aumento del reddito porterà
anche all’aumento del tasso di interesse, determinando il c.d. croawding out, vale a dire sostituzione della componente
privata del reddito (spiazzamento della spesa privata sui consumi ed investimenti) con la spesa pubblica, fenomeno che
rende quindi in parte inefficace la politica fiscale espansiva andando a determinare un freno all’incremento finale del
reddito. Per massimizzare l’aumento del reddito ed
evitare che il tasso di interesse aumenti in
conseguenza all’effetto di retroazione monetaria, e
quindi il fenomeno di crowding out, dobbiamo
combinare una politica fiscale espansiva (che tende ad
aumentare i tassi) con una politica monetaria
espansiva (che tende a ridurre i tassi).

POLITICA FISCALE E POLITICA MONETARIA


COORDINATA
Se il Governo aumenta la spesa pubblica e l’offerta di
moneta, sia la IS che la LM si spostano verso destra
determinando un aumento di Y, mentre l’effetto su r è
incerto.
CASI LIMITI DELLA CURVA LM:
• TRAPPOLA DELLA LIQUIDITÀ (caso keynesiano)
Politiche monetarie e fiscali in presenza di trappola della liquidità (LM piatta): la politica monetaria è in tal caso
inefficace, mentre la politica fiscale è massimamente efficace in quanto ad un aumento di G non corrisponde un
aumento di r, e quindi non si realizza l’effetto di retroazione monetaria dovuto all’aumento del tasso di interesse. —>
vedi sopra

• CASO CLASSICO
Nel caso classico il tasso di interesse non influenza la domanda di
moneta: come osservato, la teoria economica monetaria prima dei
contribuiti di Keynes riteneva che il tasso di interesse non potesse
esercitare una rilevante influenza sulla domanda di moneta, che era
vista essenzialmente come domanda di moneta per fini transattivi, e
quindi collegata positivamente solo al reddito dell’economia. Ne
deriva quindi un’inclinazione verticale della curva LM.
In questo caso se si adottasse una politica fiscale espansiva (G↑, la
IS trasla verso l’alto) si realizzerebbe un aumento del tasso di
interesse r, si ha uno spiazzamento totale degli investimenti rispetto
all’aumento della spesa pubblica, e Y resta costante; tuttavia se si
combinasse alla prima una politica monetaria espansiva (M↑, la LM
trasla verso il basso), si realizza una diminuzione di r ed un aumento
di Y: la politica monetaria è massimamente efficace.
LEZIONE 6 12/03/21
POLITICA MONETARIA E PREZZI: Movimento transitorio o duraturo?
Una politica monetaria espansiva determina un aumento del prodotto Y, passando da Y a Y’, ma questo aumento, effetto
reale della moneta, è transitorio o duraturo?
• Se i prezzi non reagiscono alle politiche monetarie si ha un effetto duraturo (assenza di neutralità)
• Se i prezzi si aggiustano rapidamente, tale per cui in seguito ad una politica espansiva P↑ —> M/P↓ facendo
tornare la curva LM al punto di partenza, si ha un movimento puramente transitorio, ossia la moneta non ha effetti
reali neppure nel breve periodo. Quando la moneta non ha effetti reali (effetti su prodotto e occupazione) ma solo
nominale (effetto sui prezzi) si dice che è neutrale, e se la moneta è neutrale ciò significa che le politiche monetarie
non possono aere alcune effetto reale sul prodotto e sul livello di occupazione.

Dalla risposta a questa domanda nascono le diverse teorie economiche e quindi le differenti posizioni da parte delle
varie scuole di pensiero in merito alla neutralità o meno della moneta:
‣ VISIONE DEI NEOCLASSICI => Per i neoclassici la moneta è neutrale, soluzione a cui si perviene sulla base della
teoria quantitativa della moneta (MV = PQ) —> Conseguenza: le politiche monetarie influenzano solo i prezzi e non i
tassi.
‣ VISIONE DEI KEYNESIANI => Per i keynesiani la moneta è non-neutrale, perché basandosi sulla Teoria di
portafoglio si osserva che ↑ M → ↓ r → ↑ I → ↑ Y → ↑ C → … : la moneta determina r e per tal via, attraverso i
bilanciamenti che entrano in atto secondo la Th del portafoglio, essa ha effetti reali. —> Conseguenza: devono
essere adottate politiche monetarie discrezionali, vale a dire politiche monetarie e fiscali adeguate rispetto alla
situazione economica corrente a discrezione dell’autorità centrale (BC per la politica monetaria e autorità statale per
le politiche fiscali).
‣ VISIONE DEI MONETARISTI (Friedman) => La moneta è non neutrale nel breve periodo e neutrale nel lungo
periodo. —> Conseguenza: devono essere adottate politiche monetarie basate su regole fisse.
‣ VISIONE DELLA SCUOLA DELLE “ASPETTATIVE RAZIONALI” (o Nuova Macroeconomia Classica) => La
moneta è neutrale, ad eccezione di scostamenti casuali. —> Devono essere adottate regole importanti per
stabilizzare le aspettative.
Nello specifico:
❖ LA VISIONE DEI MONETARISTI: FRIEDMAN
Riprendendo la visione dei neoclassici, Friedman pone l'accento sul ruolo della moneta come mezzo di pagamento ed
afferma che la moneta costituisce un unicum in quanto è sostituibile con l'intera gamma di attività reali e finanziarie. →
Sostituibilità con le altre attività finanziarie ridotta rispetto ai Keynesiani, per i quali la moneta può essere sostituita solo
con le attività finanziarie nell'ambito delle scelte di portafoglio: in presenza di un surplus di moneta, questa sarà in parte
investita in attività finanziarie ma una parte verrà spesa in attività reali.

Quindi se viene attuata una politica monetaria espansiva, per cui aumenta la quantità di moneta in circolazione M↑ si ha:
-
parte del surplus di moneta verrà investito in attività finanziarie, per cui si avrà una riduzione del tasso di
interesse r↓(canale keynesiano)
-
parte del surplus sarà speso in attività reali, per cui in parallelo si ha un aumento della domanda di beni↑ , e
quindi un aumento diretto del redditto Y↑
Tuttavia, sebbene vi sia un effetto reale della moneta nel breve periodo (moneta non neutrale nel breve periodo), questo
è solamente temporaneo in quanto ciò che domina nel lungo periodo è l'impatto sui prezzi (moneta neutrale nel lungo
periodo): la maggior quantità di moneta nel lungo periodo causerà un aumento dei prezzi, che farà ridurre le scorte reali
di moneta in circolazione e di conseguenza il reddito, potendosi osservare una catena di effetti contrari a quelli
precedentemente verificatisi: ↑ P → ↓ M/P → ↓ Y … → movimento oscillatorio

Pertanto, sebbene nel breve periodo le politiche monetarie sono molto efficaci (effetti temporanei su prodotto e
occupazione a causa del lento aggiustamento dei prezzi), esse sono dannose in quanto introducono un indesiderato
movimento oscillatorio del reddito, ossia alimentano oscillazione ed incertezza nel ciclo economico e ne rallentano la
convergenza all'equilibrio fisiologico: il sistema economico è autoequilibrante, per cui se lasciato libero di operare
converge autonomamente all'equilibrio tale per cui nel lungo periodo vale sempre MV¯ = PYep, dove Y=Yep pieno
impiego.
Di conseguenza lo Stato deve astenersi dall'attuare politiche monetarie discrezionali, dannose, in favore dell'adozione di
politiche monetarie basate su regole fisse, in particolare F. proponeva la previsione di un tasso di crescita costante della
moneta M.

L'analisi del pensiero di Friedman (monetarista) ci consente di individuare la filosofia di fondo dei monetaristi:
-
il settore privato è stabilizzante: l'aggiustamento dei prezzi porta sempre all'equilibrio
-
il settore pubblico è destabilizzante, perciò occorre ridurre l'intervento dello Stato.

❖ LA VISIONE DELLA SCUOLA DELLE “ASPETTATIVE RAZIONALI”


In Keynes le aspettative rivesta un ruolo fondamentale (determinano produzione, investimenti, speculazione...), ma non
ne fornisce una formulazione matematica.
Alcuni suoi successori negli anni '40-'50 introducono una prima formulazione, anche se semplice e banale, delle
aspettative parlando di ASPETTATIVE ADATTIVE, secondo cui mi aspetto per domani ciò che ho visto nel recente
passato, senza considerare altre informazioni: le aspettative adattive sono irrazionali e arbitarie, e non utilizzano tutte le
informazioni disponibili utili, per cuiconducono sistematicamente ad errori rispetto alle realizzazioni future, errori che un
soggetto economico razionale non dovrebbe commettere.

Sulla base di ciò, Muth nel 1961 e Lucas nel 1972 introducono il concetto di ASPETTATIVE RAZIONALI. Le assunzioni
sottostanti la visione della scuola delle aspettative razionali sono le seguenti:
- tutti i soggetti hanno le stesse informazioni delle autorità, quindi un set informativo completo
- tutti conoscono il vero modello, quello cioè che regola le dinamiche economiche, e i suoi parametri
- tutti sanno che tutti conoscono il modello
Se queste assunzioni sono vere, e quindi se valgono le aspettative razionali, le politiche economiche sono impotenti
anche nel breve periodo: la teoria delle aspettative razionali assume che gli individui, utilizzando in modo ottimale tutte le
informazioni, siano sempre in grado di “imparare” le politiche perseguite dal governo, ossia siano sempre in grado di
prevedere cosa accadrà e di anticiparne il risultato modificando il proprio comportamento.
ESEMPIO- -> Sapendo che la BC sta per attuare una politica monetaria espansiva e quindi che ↑ M → ↑ P , gli agenti
aggiusteranno istantaneamente i prezzi (se sono un lavoratore chiedo un salario nominale più alto, se sono un venditore
aumento i prezzi), prevedendo e anticipando l'effetto della politica monetaria attuata così da non restarne sorpresi ed
evitare gli effetti negativi. Di conseguenza la quantità reale di moneta M/P rimane costante e quindi non si ha alcun
effetto reale: la moneta è neutrale. Di conseguenza, la BC può avere successo, e quindi produrre un effetto reale
sull'economia attuando politiche monetarie, solo generando un effetto sorpresa:
Y − Yep = c(Zt − E[Zt ]) + εt
Tuttavia per cogliere di sorpresa un soggetto razionale devono essere attuate politiche poco razionali, poco utili quindi
per la regolazione dell'andamento economico, politiche che quindi è meglio evitare.
MONETARISTI VS SCUOLA DELLE ASPETTATIVE RAZIONALI
Entrambe le scuole di pensiero rifiutano la visione keynesiana delle politiche discrezionali, ma per ragioni opposte:
1. I Monetaristi partono dall'assunzione che l'autorità centrale ha una scarsa conoscenza del sistema, per cui è
incapace di attuare politiche corrette e può solo creare instabilità.
2. La Scuola delle aspettative razionali parte invece dall'assunzione che tutti hanno una perfetta conoscenza del
sistema, ma proprio per questo motivo le varie politiche economiche razionali che possono essere attuate dallo
Stato sono inefficaci.

La previsione della Scuola delle Aspettative razionali per cui qualsiasi politica monetaria e fiscale è impotente sia nel
breve che nel lungo periodo non è verificata empiricamente, ma anzi alcuni economisti obiettano la presenza di casi
storici conclamati in cui si sono potuti osservare effetti reali delle politiche monetarie attuate dalla BC. Un esempio
famoso è rappresentato dall'esperimento Volcker, attuato nell'agosto del 1979 quando il nuovo governatore della FED
Paul Volker attuò una politica monetaria fortemente restrittiva aumentando notevolmente i tassi di interesse per ridurre
l'inflazione. Questo ebbe degli effetti reali molto forti, in particolare portò gli Stati Uniti in una forte recessione
aumentando drasticamente la disoccupazione.

CRITICA DI LUCAS AI MODELLI ECONOMETRICI


Negli anni '50-'60 la visione keynesiana dell'economia si applicava nella realtà attraverso complessi modelli
econometrici, tramite i quali gli economisti keynesiani cercavano di comprendere quali fossero gli interventi discrezionali
corretti da attuare per regolare l'andamento economico.

Ponendo per tal via un'ulteriore attacco alla visione keynesiana, che attribuisce un ruolo fondamentale all'intervento
pubblico nell'economica, e quindi alle politiche discrezionali di “fine tuning” ossia di gestione raffinata dell'andamento
economico, Lucas critica i modelli econometrici utilizzati dagli economisti keynesiani sottolineando come questi non
permettano di prevedere gli effetti di una politica monetaria o fiscale adottata in quanto composti da parametri calibrati
sulle aspettative e quindi sul comportamento degli individui in un certo contesto economico, contesto che cambia per
effetto dell'attuazione della politica economica stessa.
In altri termini, la formazione delle aspettative è influenzata dalle politiche economiche attuate, per cui i parametri dei
modelli econometrici - parametrati sulle aspettative degli individui in un certo contesto - non rimangono costanti al
variare delle politiche economiche → quindi la valutazione di una politica economica da adottare non può basarsi
sull'ipotesi che i parametri del modello restino invariati.

POLITICHE MONETARIE: REGOLE FISSE O DISCREZIONALITA


Per riassumere, il dibattito tra regole fisse o discrezionalità in merito alle politiche economiche è determinato da questi
due aspetti (determinanti della scelta):
1. Stabilità del sistema economico → a) per Keynes il sistema economico privato (lasciato a sé stesso) è
instabile, per cui necessita di correzioni discrezionali da parte del settore pubblico; b) per i neoclassici, i
monetaristi e la scuola delle aspettative razionali il sistema economico privato è stabile, per cui non è
necessario alcun intervento pubblico e la cosa migliore è attenersi a regole fisse che non creano incertezza
nelle aspettative e che quindi non alterano la convergenza del sistema all'equilibrio.
2. Conoscenza e prevedibilità del sistema economico e dei suoi tempi di risposta → a) per Keynes il sistema
economico è prevedibile (IS-LM), per cui è possibile correggere andamenti non desiderati attraverso delle
correzioni discrezionali; b) per i monetaristi il sistema economico non è prevedibile, e quindi è meglio non
cercare di corregge qualcosa che non possiamo prevedere e attenersi a regole fisse; c) per la scuola delle
aspettative razionali il sistema è perfettamente prevedibile, per cui ogni politica economica è inefficace anche
nel breve e lo stato deve astenersi dall'intervenire nell'economia.
→ In ambito accademico, nel dibattito ha prevalso la visione per cui lo stato deve attenersi a regole fisse e quindi
abbandonare la discrezionalità.

Nella realtà l'assunzione che il sistema è perfettamente


prevedibile, da parte di tutti e non solo da soggetti come la BC
che ha a disposizione le informazioni necessarie, non è
empiricamente confermata (es. prevedibilità del livello di
disoccupazione).
POLITICHE MONETARIE: REGOLA FISSA O REGOLA OTTIMA
Come già detto, in ambito accademico ha prevalso la visione secondo cui lo stato deve abbandonare la discrezionalità e
attenersi a regole fisse. Il dibattito economico si è quindi spostato dalla dicotomia regole-discrezionalità alla dicotomia
regola fissa-regola ottima.
- Regola fissa: non consente correzioni sulla base dell'andamento dell'economica
- Regola ottima/flessibile: determina gli interventi in base alle dinamiche osservate, per cui consente un maggior
aggiustamento rispetto alle condizioni effettive del sistema economico.

Intuitivamente sembrerebbe che la regola flessibile sia migliore rispetto alla regola fissa, ma in realtà ciò viene smentito
da Kyland e Prescott (1977) che introducono in macroeconomia il concetto di incoerenza temporale, mutuato dalla
teoria dei giochi, e dimostrando l’incoerenza temporale delle regole ottime riaffermano la validità delle regole fisse
vincolanti: incoerenza temporale è l'incentivo di un giocatore a deviare dal comportamento precedentemente annunciato
dopo che gli altri giocatori hanno effettuato le loro mosse.
‣ ESEMPIO —> Assumiamo che la BC intenda perseguire la crescita economica anche a scapito dell’inflazione, e
cioè sia noto a tutti. La strategia ottimale consiste nell’annunciare che non verranno attuate politiche monetarie
espansive (annuncio X), in modo tale che se il pubblico crede ad X, forma aspettative condizionali ad X (senza di
inflazione) e sulla base di esse effettua le proprie scelte; date tali aspettative e scelte, la BC riconsidera quale sia la
politica ottimale, e potrebbe quindi decidere di attuare Y, ossia di attuare una politica monetaria espansiva: in tal
caso l’azione Y realizzerebbe l’esito ottimale (first best) ma non è l’equilibrio. Diversamente, se i soggetti economici
conoscono quali sono le reali preferenze della BC non credono ai suoi annunci, trascurano l’annuncio X perché
consapevoli che Y è la politica ottimale e quindi generano le proprie aspettative sulla base di Y; a questo punto la
BC effettivamente applica Y, ma siccome era previsto dagli agenti economici l’allocazione finale è subottimale
rispetto alla scenario ottimo in cui il pubblico crede alla BC: si ha inflazione istantanea senza crescita.

Essenzialmente, la politica monetaria è vista da Kydland e Prescott come un gioco strategico tra la BC e gli operatori,
gioco che pone al centro della visione economica relativa alle politiche monetarie il ruolo della credibilità della banca
centrale, ossia ci si chiede in che modo essa possa vincolarsi credibilmente ad una regola fissa. Due alternative:
1. Commitment devices: la BC deve “legarsi le mani” mediante impegni governativi vincolanti per legge o accordi
internazionali. ES: l’adesione al sistema dei cambi fissi incrementa la credibilità della BC in quanto se la promessa
di bassa inflazione non verrà rispettata ne deriveranno problemi di tipo macroeconomico per lo Stato: l’inflazione in
un sistema di cambi fissa implica una perdita della competitività del paese rispetto ai concorrenti esteri, e quindi una
diminuzione delle importazioni ed un aumento delle esportazioni.
2. Reputazione della BC nel contenere l’inflazione: concetto che entra in gioco in un contesto di giochi ripetuti, per cui
è importante costruirsi una buona reputazione nei giochi precedenti così da acquistare credibilità —> Modello di
Barro e Gordon (1983)
LEZIONE 7 17/03/21
Barro e Gordon (1983) esaminano la possibilità di sostituire le regole fisse (meccanismi di vincolo) con la reputazione, la
quale ritengono gioca un ruolo fondamentale nel rafforzare la credibilità della banca centrale.
Essi propongono un modello basato sulla teoria dei giochi, nell’ambito del quale:
• il Governo vuole aumentare il reddito ↑ Y tramite un aumento dell’offerta di moneta M↑
• ma gli operatori economici conoscono le preferenze del governo, per cui fin dal principio si comportano in modo
inflazionistico ↑ πe e quindi non si ha alcun aumento del reddito
e dimostrano che in questo contesto esistono due equilibri:
I. Equilibrio di credibilità, per cui gli operatori credono agli annunci della BC, caratterizzato dall’assenza di crescita del
reddito Y ma un’inflazione più bassa πe: equilibrio di reputazione migliore
II. Equilibrio di scarsa credibilità, caratterizzato dall’assenza di crescita del reddito Y e una più alta inflazione πe:
equilibrio inferiore
L’equilibro di reputazione migliore, la quale permette di rafforzare la credibilità della banca, può essere raggiunto se e solo
l’incentivo a non rispettare quanto annunciato è minore rispetto ai costi futuri che ne deriveranno, come la perdita della
reputazione acquisita nel corso degli anni.
Come aumentare la credibilità della BC? INDIPENDENZA
Negli anni ’70 la Bundesbank era indipendente dal potere politico e allo stesso tempo la Germania era il paese con
minore inflazione: sulla base delle evidenze empiriche si era quindi diffusa nel mondo accademico la convinzione che
per aumentare la credibilità delle banche centrali era necessario che queste fossero indipendenti rispetto al potere
politico.
Argomentazioni a favore dell’indipendenza della BC:
❖ Le pressioni politiche tendono a trasmettere un’inclinazione inflazionistica alla politica monetaria, così da favorire la
crescita economica a scapito dell’inflazione.
❖ I politici sono miopi e corrotti, per cui tendono ad utilizzare la BC per fini elettorali inducendola a finanziare enormi
deficit pubblici, ad esempio potrebbero fare pressione sulla banca centrale affinché prima delle elezioni vi sia un
aumento dell’offerta di moneta M↑ , cosi da determinare una riduzione della disoccupazione e dei tassi di interesse
(una buona idea prima delle elezioni), il che tuttavia comporta dopo le elezioni ↑ π e ↑ r (ciclo attività politica o
ciclo elettorale).

GRAFICO CHE ILLUSTRA LA RELAZIONE


INDIPENDENZA BC - INFLAZIONE 1955-1988
Dal punto di vista empirico, nell’arco temporale
1955-1988 si è potuto osservare una relazione inversa
tra il grado di indipendenza della BC e il tasso di
inflazione, per cui ad un grado di indipendenza elevata
(Germania) corrisponde un basso tasso di inflazione, e
viceversa ad un grado di indipendenza basso (Nuova
Zelanda) corrisponde un tasso di inflazione elevato.

GRAFICO CHE ILLUSTRA LA RELAZIONE


INDIPENDENZA BC - INFLAZIONE 1989-2000
Ripetendo la stessa analisi empirica nell’arco
temporale 1989-2000, anni caratterizzati dall’assenza
di una forte inflazione così come si era verificata
negli anni ’70, la relazione tra tasso di inflazione e
grado di indipendenza è meno forte e lineare
potendo identificare una nuova di punti, per cui
qualunque sia il livello di indipendenza si può avere
un qualsiasi valore del tasso di inflazione.

GRAFICO CHE ILLUSTRA LA RELAZIONE


INDIPENDENZA BC - INFLAZIONE 2008-2014
Ripetendo la stessa analisi empirica nell’arco
temporale 2008-2014 si osserva che l’inflazione si
mantiene piuttosto bassa per tutti i paesi
considerati indipendentemente dal grado di
indipendenza, per cui non sembra esservi alcuna
relazione tra le due variabili.
—-> L’evidenza empirica quindi non è molto forte,
e ciò può essere legato al fatto che l’inflazione
non si presenza più come uno dei principali
problemi delle economie correnti.
ARGOMENTI A SFAVORE DELL’INDIPENDENZA DELLA BC
❖ L’indipendenza è antidemocratica: le decisioni adottate dalla banca centrale, decisioni aventi delle conseguenze
cruciali dal punto di vista economico, sono adottate da burocrati non eletti e non soggetti al controllo democratico.
❖ Obiezioni analoghe a quella per cui è opportuno sottrarre la leva monetaria ai politici miopi e corrotti che utilizzano
la politica monetaria per fini elettorali possono essere sollevate anche per le politiche fiscali ed altre decisioni
politiche con impatto economico: non è chiaro perché questo ragionamento valga solo per la politica monetaria.
❖ L’indipendenza della BC rispetto al potere politico, e quindi il fatto che essa non sia obbligata a confrontarsi con il
Governo, determina la mancanza di coordinamento tra politiche fiscali e politiche monetarie, le quali invece in
determinati contesti devono essere combinate per ottenere un risultato ottimale (ES. combinazione politica fiscale
espansiva e politica monetaria espansiva).
❖ L’indipendenza della BC comporta un aumento del costo del debito pubblico.
Quanto detto è stato empiricamente osservato in vari paesi tra cui in Italia —> Prima del divorzio del 1981 - vale a
dire prima della separazione tra il Tesoro e la banca centrale, tale per cui non vi è più coordinamento tra le decisioni
dei due ed in particolare non ci è più coordinamento in merito al collocamento dei titoli pubblici nel mercato primario
- per finanziarsi il Tesoro emetteva titoli del debito pubblico sul mercato primario offrendo ai risparmiatori un tasso di
interesse relativamente basso, in quanto ciò che non veniva assorbito dal mercato veniva assorbito dalla banca
centrale, la quale si poneva come acquirente di ultima istanza e consentiva per tal via al settore pubblico di
collocare tutta l’emissione di debito pubblico al prezzo desiderato, e quindi di finanziarsi a basso costo (tassi di
interesse bassi). Diversamente in seguito al divorzio, venuto meno l’acquirente di ultima istanza, il Tesoro per
potersi finanziare ha dovuto offrire a fronte dell’emissione di titoli del debito pubblico tassi di interesse più appetibili
per i risparmiatori, determinato pertanto un aumento del debito pubblico.

I GRAFICO AUMENTO COSTO DEBITO PUBBLICO:


DIVORZIO 1981
Il primo grafico mostra il rendimento reale (al netto dell’inflazione)
dei titoli di Stato italiani nel corso del tempo, evidenziando un
rendimento negativo negli anni ’80 per poi aumentare
notevolmente in seguito al divorzio del 1981, raggiungendo il
picco nel 1994. Essendo aumentato il tasso reale pagato dallo
Stato sui titoli del debito pubblico, aumenta anche il debito
pubblico.

II GRAFICO AUMENTO COSTO DEBITO PUBBLICO:


DIVORZIO 1981
linea continua: spesa totale pubblica
linea tratteggiata: spesa primaria (spesa al netto degli
interessi pagati sul debito contratto)
linea puntata: entrate nel settore pubblico

Nel grafico si rappresenta sia il deficit complessivo


(entrate-spesa totale), sia il deficit primario (entrate-
spesa primaria), evidenziando come negli anni ’80 non
vi fosse un grande deficit primario ma in linea con gli
altri paesi, mentre questo è aumentato notevolmente
nel corso degli anni essendo aumentato il tasso di
interesse pagato dallo Stato sui titoli del debito
pubblico. Diversamente, dai primi anni ’90 l’Italia è in
avanzo primario, per cui al netto del pagamento degli
interessi le entrate sono superiori rispetto alla spesa
primaria, fatto salvo per una piccola parentesi dopo la
crisi del 2008 per cercare di sostenere l’economia.
❖ L’indipendenza comporta una maggiore esposizione ad attacchi speculativi “self-fulfilling” sul debito pubblico, a
prescindere dalla presenza di un reale motivo legato ai fondamentali del paese: se la banca centrale non sostiene il
debito pubblico, i titoli del debito pubblico sono esposti ad attacchi speculativi self-fulfilling, ossia autorealizzanti, che
renderanno il debito pubblico non sostenibile andando ad avverare la previsione dei mercati.

Questo aspetto può essere empiricamente dimostrato facendo riferimento al contributo di De Grauwe in merito al
caso UK vs Spagna => Durante la crisi dei debiti sovrani del 2011, quando la BCE lasciò intendere che se un paese
dell’Eurozona avesse avuto dei problemi di sostenibilità del debito pubblico non sarebbe intervenuta a sostegno, si
diffuse un forte panico trai soggetti economici che iniziarono a vendere titoli dei paesi considerati più deboli per
spostare i propri capitali verso titoli di paesi considerati più forti. De Grauwe ha evidenziato come in questa
circostanza, nonostante il rapporto Debito/PIL dell’UK fosse più alto rispetto a quello della Spagna (e quindi appariva
più razionale attaccare l’UK), oggetto di attacco speculativo fu proprio la Spagna, che appariva più fragile rispetto
all’UK proprio virtù dell’annuncio della BCE (≠ l’UK ha la propria banca centrale che sarebbe intervenuta in caso di
crisi). Questo ha comportato un aumento dei tassi di interesse del debito pubblico spagnolo, e quindi un’incremento
dello spread rispetto al tasso di interesse dei paesi più forti, e di conseguenza il debito pubblico spagnolo, sostenibile
in precedenza, è divenuto non più sostenibile. La rotta della BCE fu poi invertita da M. Draghi che, si dice proprio
sulla base dello studio di De Gauwe, si convinse della necessità dell’intervento della Banca Centrale per frenare gli
attacchi speculativi anche ingiustificati, i quali avrebbero condotto al fallimento paesi con fondamentali solidi e non
così deboli come percepiti dagli speculatori.

RAPPORTO
DEBITO/PIL

TASSO DECENNALE
TITOLI PUBBLICI

SOSTENIBILITÀ DEL DEBITO PUBBLICO r-g


Sostenibilità: D/Y

D (DEBITO) cresce al tasso r

Y (PIL) cresce al tasso g
Se r-g > 0 allora il debito pubblico non è più sostenibile.

❖ Indipendenza da chi? Si può essere indipendenti da un soggetto ma si rischia di diventare dipendenti da un altro
soggetto: in molti si lamentano che molte banche centrali siano state catturate dai mercati finanziari. Ne
rappresenta un esempio la FED, catturata da Wall-Street nel 2008 per cercare di salvare i grandi istituti finanziari.
TASSI DI INTERESSE DI POLICY, TAYLOR RULE E LE STRATEGIE DI
POLITICA MONETARIA (Blocco slide 4)

Si distinguono tre tipi di obiettivi della politica monetaria:


‣ OBIETTIVI FINALI, relativi alle variabili macroeconomiche fondamentali per il benessere della collettività:
- inflazione
- output e occupazione
- stabilità dei mercati finanziari
- pareggio con l’estero
Sono fondamentali per il benessere della collettività.
‣ OBIETTIVI INTERMEDI, relativi alle variabili inerenti il mercato monetario
- tassi di interesse
- tassi di cambio
- aggregati monetari (M1, M2, M3)
Mi permettono di conseguire gli obiettivi finali.
‣ OBIETTIVI OPERATIVI, posti sotto il diretto controllo della BC:
- riserve delle banche presso la BC
- tassi di interesse mercato monetario (“overnight)
Al riguardo possiamo individuare una catena di relazioni: operando sugli obiettivi operativi si determinano gli obiettivi
intermedi, tramite i quali si cerca di conseguire gli obiettivi finali.

GLI OBIETTIVI FINALI


Negli anni ’60 e primi anni ’70 i principali obiettivi finali della politica monetaria erano:
1. Crescita del reddito
2. Stabilizzazione dei cicli economici (utilizzando la curva di Philips)
3. Equilibrio dei conti con l’estero (in alcuni casi, es l’Italia)

Tuttavia, gli episodi di elevata inflazione a seguito delle crisi petrolifere degli anni ’70 hanno indotto ad un mutamento
radicale, per cui dagli anni ’80 l’obiettivo principale è il controllo dell’inflazione.
Quanto detto conosce tuttavia un’eccezione con la FED, che in base al “Full Emplyment and Balance Growth Act” del
1978, statuto ancora formalmente mantenuto, ha l’obbligo di perseguire ben 6 obiettivi, senza alcun ordine gerarchico:
1. La stabilità dei prezzi
2. Una elevata occupazione
3. Un tasso di crescita sostenuto dell’attività economica
4. La stabilità del sistema finanziario
5. La riduzione della volatilità dei tassi di interesse a lungo termine
6. La stabilità del mercato valutario
In più non vi è alcuna definizione del contenuto numerico degli obiettivi (≠ obiettivo quantitativo), andando così ad
evidenziare una notevole autonomia e flessibilità della FED in contrapposizione alla rigidità della BCE.
Lo statuto della BCE diversamente individua una netta gerarchia degli obiettivi da perseguire attribuendo un ruolo
“prioritario ed irrinunciabile” alla stabilità dei prezzi; inoltre nello stesso è specificato in modo immodificabile quale indice
dei prezzi considerare e quale è il livello target della crescita dei prezzi da perseguire (obiettivo quantitativo del 2%):
anomalia, solitamente è il Governo a fissare il livello target della crescita dei prezzi da perseguire.

N.B: Il controllo dell’inflazione e la stabilità dei prezzi costituisce ancora oggi uno degli obiettivi principali di tutte le
banche centrali (BCE, FED, BoE…), anche se la recente crisi finanziari ha indotto ad affiancare alla stabilità dei prezzi la
stabilità del sistema finanziario, e quindi il controllo del rischio sistemico.
Negli anni ’90 alcune BC (Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna, Svezia) decisero focalizzarsi sull’inflazione e
perseguire esclusivamente la stabilità dei prezzi, adottando un modo di operare che prende il nome di INFLACTION
TARGETING: annuncio di un livello target di inflazione, normalmente bande di valore obiettivo come 0-2% o 1-3%, con
la previsione della riduzione automatica della crescita monetaria nel caso in cui l’inflazione superi il livello obiettivo
fissato dal governo (essendo un obiettivo politico).
Vantaggi:
-
Maggiore trasparenza delle strategie: è chiaro qual è l’obiettivo perseguito dalla BC e quindi quali sono le
strategie adottate dalla stessa e perché.
-
Maggiore possibilità di verifica del raggiungimento dell’obiettivo: è facile verificare il raggiungimento
dell’obiettivo perseguito osservando semplicemente l’andamento dell’inflazione.
-
Maggiore credibilità, e quindi riduzione del problema dell’incoerenza temporale.
Svantaggi:
-
Ritardo nella rilevazione del segnale: la misura dell’inflazione non è istantanea come altre variabili, per cui non
è un segnale facilmente rilevabile
-
Potenziale incremento delle fluttuazioni del reddito (se mi focalizzo solo sull’inflazione rischio di trascurare le
altre variabili macroeconomiche).
-
Bassa crescita durante i periodi di deflazione.

Per far fronte alla crisi attuale, e quindi compensare crescita e stabilità dei prezzi, recentemente è stato proposta
l’adozione di un obiettivo finale alternativo, quale il PIL NOMINALE.
• PIL nominale = PIL reale*prezzi
• ΔPIL nominale = ΔPIL reale*Δprezzi
Il PIL nominale è dato dal prodotto tra PIL reale e prezzi, per cui se guardo alla variazione del PIL nominale
implicitamente tengono in considerazione entrambi gli obiettivi da perseguire, sia la crescita che l’inflazione. In altri
termini, fissare un livello obiettivo di crescita del PIL nominale (es: 3%) significa, da un lato aumentare automaticamente
l’offerta di moneta quando il PIL nominale cresce meno del livello obiettivo (es: 1%), e dall’altro diminuire
automaticamente l’offerta di moneta quando il PIL nominale cresce più del livello obiettivo (es: 4%).

GLI OBIETTIVI INTERMEDI


Una volta definito l’obiettivo finale è essenziale definire le strategie, e quindi gli obiettivi intermedi tramite cui si cerca di
conseguire gli obiettivi finali.
Un obiettivo intermedio deve essere:
a) facilmente rilevabile e misurabile
b) controllabile
c) presentare una relazione stabile con gli obiettivi finali

Il dibattito keynesiani-monetaristi degli anni ’60-’70 può essere letto anche come scontro in merito alla scelta
dell’obiettivo intermedio: tassi di interesse per i keynesiani, e aggregati monetari per i monetaristi sulla base della
visione di Friedman per cui “inflation is always and everywhere a monetary phenomenon”.
Al riguardo, in passato sono stati effettuati alcuni tentativi sulla scia della visione dei monetaristi - secondo cui il controllo
diretto da parte della BC di un aggregato monetario M1, M2, M3 (e quindi della quantità di moneta in circolazione),
avrebbe permesso di controllare e mantenere costante la crescita dei prezzi e quindi l’inflazione -, esperimenti che
tuttavia hanno evidenziato la difficoltà nel controllare gli aggregati monetari nonché il fatto che ciò non portasse al
raggiungimento degli obiettivi sperati. Si fa riferimento a due esperienze storiche:
1. Bundesbank dal ’74 agli anni ’90
2. Volcker Experiment ’79-’82 => Nel ’79, appena divenuto governatore della FED, Volcker introdusse il controllo
sulla quantità di riserve bancarie allo scopo di controllare M1, lasciando invece fluttuare il tasso di interesse. Questo
permise di ridurre l’inflazione, anche se a tassi a livelli eccezionali (oltre il 16%) ed estremamente volatili,
conducendo così alla recessione economica del 1982, anno in cui venne abbandonata questa governance. Inoltre,
ex post ci si rese conto che in realtà Volcker non riesci mai a raggiungere effettivamente l’obbiettivo prefissato, ossia
controllare M1.
Il tentativo di controllare direttamente gli aggregati monetari fallì per due diversi motivi:
a) Assenza di una stabile relazione tra riserve bancarie (obiettivo operativo) ed aggregati monetari (obiettivo
intermedio), per cui la BC non è in grado di controllare la quantità di moneta in circolazione.
b) Assenza di una stabile relazione tra aggregati monetari ed inflazione (obiettivo finale), in quanto la velocità della
moneta è variabile nel tempo ed anche nel breve periodo, per cui anche se raggiungessi l’obiettivo intermedio
questo non mi garantirebbe il raggiungimento dell’obiettivo finale.
Per questi motivi intorno agli anni ’90 ogni tentavo di controllare gli aggregati monetari fu abbandonato, e praticamente
tutte le BC hanno adottato come obiettivo intermedio il tasso di interesse a breve termine, quello che viene chiamato
“interest rate targeting”.
LEZIONE 8 19/03/21

MODELLO IS-LM CON INTEREST RATE TARGETING


Il cambiamento nella gestione della politica economica, determina
un cambiamento radicale nell’impianto del modello IS-LM.
Sia l’obiettivo finale delle BC il controllo dell’inflazione, quando
queste hanno come obiettivo intermedio il tasso di interesse
cambia l’interpretazione della curva LM, che graficamente è
orizzontale sul piano (r,Y) tale per cui a qualsiasi valore del reddito
corrisponde lo stesso livello di tasso di interesse fissato dalla BC:
la BC fissa esogenamente il tasso di interesse solo in funzione del
controllo dell’inflazione, senza tenere conto dell’andamento del
reddito.

Nella realtà è difficile comprendere i processi decisionali che portano alla determinazione del tasso di interesse da parte delle
banche centrali, tuttavia a livello accademico si è individuata una regola, la c.d. Taylor rule, che sembra descrivere molto
bene il comportamento tenuto dalle BC negli ultimi anni.
Per la regola di Taylor il tasso di interesse da adottare per raggiungere il obiettivi finali della politica monetaria deve
essere così determinato (è funzione di tre elementi):

Dove:
• r* tasso nominale di interesse coerente con gli obiettivi finali di π¯ e y¯ (ossia, quando tutte le
variabili macroeconomiche sono a livello di equilibrio)

• πt −π è lo scostamento tra inflazione corrente e inflazione desiderata

• yt − y`̄ e lo scostamento fra prodotto corrente e prodotto desiderato


• α ≈ 1.5 importante che sia > 1 per garantire il controllo dell’inflazione
• β ≈ 0.5 → inflazione pesa ‘3 volte’ il reddito.
Il tasso nominale di interesse r* fissato esogenamente dalla banca centrale deve essere una combinazione tra il
raggiungimento dell’obiettivo dell’inflazione e dell’obiettivo del reddito, pesati secondo coefficienti α e β, i quali indicano
l’importanza attribuita dalla BC al raggiungimento dell’obiettivo considerato. Empiricamente si nota che tra le due
componenti quella legata all’inflazione pesa maggiormente, tipicamente tre volte, rispetto al reddito nelle decisioni della
BC.

MODELLO IS-LM CON TR


Poiché il reddito, anche se con un peso minore, entra nella determinazione
del tasso di interesse, la LM non è più piatta ma se verosimilmente β>0
riacquisterà la sua inclinazione crescente.
Tuttavia in questo modello la LM non è più interpretata come il luogo
geometrico delle combinazioni Y e r che garantiscono l’equilibrio nel mercato
della moneta, bensì come la funzione di risposta della BC all’andamento del
reddito, essendo il tasso di interesse fissato esogenamente con la regola di
Taylor.
La stima del tasso di interesse da usare dipende da variabili che generano però alcuni problemi (difficoltà applicative
della Taylor rule):
• il prodotto nazionale (reddito) viene fornito con un certo ritardo dagli istituti di statistica ed è soggetto a successive
revisioni;
• la determinanzione del gap (yt − y )̄ richiede la stima del PIL potenziale che è spesso difficile ed arbitraria;
• i coefficienti stimati della regola di Taylor non sono sempre gli stessi ma cambiano nel tempo e la regressione
dovrebbe essere fatta continuamente nel tempo.

Pertanto, come evidenziato dalla regola di Taylor, le politiche monetarie, così come ogni intervento di politica economica,
sono soggette al problema del ritardo temporale, legato all’intervallo di tempo che passa fra 1) il momento di raccolta
dei dati statistici e la valutazione del livello dei tassi, 2) il momento della decisione della politica e la sua applicazione, 3)
il momento in cui la politica genera i suoi effetti. Le prime due componenti del ritardo nell’attuazione della politica
economica costituiscono il c.d. inside leg, la terza componente di ritardo prende invece il nome di outside leg.
Altro problema della gestione della politica monetaria attraverso i tassi di interesse è rappresentato dal fenomeno dello
Zero Lower Bound, ossia limite inferiore legato allo zero: l’utilizzo del tasso di interesse nominale come strumento per il
raggiungimento dell’obiettivo finale incontra un limite nel fatto che i tassi di interesse nominali tendono ad essere positivi
e non scendere al di sotto dello 0 (anche se nella realtà abbiamo visto che i tassi nominali possono essere negativi ma
pur sempre al di sopra di un determinato limite inferiore), per cui una volta raggiunto tale limite inferiore una politica
monetaria espansiva esaurisce il suo spazio di manovra per stimolare l’economia.

DAI POLICY RATES AI TASSI DI LUNGO PERIODO: LA CURVA DEI TASSI


La BC controlla i tassi di breve periodo, ma in realtà i tassi rilevanti per le decisioni di investimento sono a quelli a lungo
termine. La BC riesce però ad influenzare i tassi a lungo in quanto tra questi e i tassi a breve esiste una relazione ben
precisa, la quale può essere compresa considerando la struttura a termine dei tassi di interesse (yeld curve),
rappresentazione dei rendimenti dei titoli con scadenze diverse (spot yeld o tassi a pronti, così chiamati perché si
applicano alle somme prestate oggi a i anni su orizzonti temporali diversi) in funzione delle rispettive scadenze (spot
yeld): i tassi a lungo termine possono essere visti come la media geometrica dei tassi a breve termine futuri previsti dal
mercato, per cui essi riflettono le aspettative sul futuro andamento dei tassi a breve.
Quindi la BC, pur non controllandoli direttamente, è in grado di influenzare indirettamente la yeld curve ed in particolare i
tassi-
a lungo termine in due modi:
controllando i tassi a breve correnti e futuri
-
guidando le aspettative degli operatori sui tassi a breve attraverso gli annunci e le informazioni che rilascia al
mercato —> forward guidance
N.B. La BC ha anche uno strumento per influenzare direttamente i tassi a lungo, ossia il quantitative easing (o
Allentamento quantitativo), che consiste nell’acquisto diretto di titoli a diversa scadenza con lo scopo di aumentare
l’offerta di moneta in circolazione causando per tal via una riduzione dei tassi a lungo termine.

La struttura a termine può esse utilmente utilizzata per estrarre previsioni del ciclo economico (—> gli operatori di
mercato spesso guardano il c.d. term spread = tassi a lungo - tassi a breve):
• Una curva dei tassi crescente potrebbe indicare che il mercato si aspetta che i tassi
aumentano, segnalando quindi una crescita economica. In questo caso tuttavia non
è semplice interpretare la yeld curve in quanto i tassi a lungo rispecchiano non solo
le aspettative sul futuro andamento di tassi, ma dipendono anche da altri fattori
come il premio per il rischio, per cui una curva dei tassi crescente potrebbe indicare
che ci si aspetta un aumento dei tassi e/o che gli investitori hanno una preferenza
per la liquidità e quindi richiedono un altro premio per il rischio per i titoli a lungo
termine: non sappiamo se la curva è crescente perché gli operatori si aspettano un
aumento dei tassi a breve o in virtù del premio a rischio.
• Una curva dei tassi “invertita” tende ad indicare con una certa certezza che il
mercato si aspetta che i tassi calino, segnalando quindi una recessione: in questo caso non si pone il problema del
premio a rischio in quanto in tal caso la distorsione è verso l’alto.

La curva dei tassi riflette anche le aspettative di inflazione del mercato, le quali possono essere estratte prendendo la
differenza tra tassi dei bond non indicizzati (che rappresentano i tassi nominali) e i tassi dei bond indicizzati all’inflazione
(che rappresentano i tassi reali). Anche in questo caso non è però facile separare le due componenti andamento dei
tassi reali e andamento del premio al rischio nell’interpretazione della curva dei tassi a termine.

N.B =>
Dal punto di vista empirico, a parti dalla fine degli anni ’70 - anni
’80 si è osservato pressoché in tutto il mondo un andamento
decrescente dei tassi di interesse nominali: questo trend
decrescente di lungo periodo è noto come “secular stagnation”,
ad indicare una stagnazione dei tassi nominali di lungo periodo.
A livello accademico non è ancora del tutto chiaro perché si sia
osservata questa dinamica dei tassi: vi è chi ritiene ciò sia legato
all’andamento demografico, in quanto l’invecchiamento della
popolazione porta a maggiori risparmi, e quindi ad un eccesso di
offerta dei fondi con una conseguente riduzione dei tassi di
interesse; vi è chi chi ritiene ciò sia invece legato all’eccesso di
risparmio di alcuni paesi, come i paesi asiatici; mentre secondo
altri ciò è dovuto al fatto che e opportunità di investimento si
siano profondamente ridotte nell’economia moderna, causando
così una riduzione della domanda di fondi e quindi un calo dei
tassi di interesse.
CANALI DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA(Blocco slide 5)
Come fa la BC ad influenzare l’economia reale attraverso la politica monetaria? La BC determina il tasso di interesse
ufficiale a breve iuff, il quale è legato agli obiettivi finali della politica monetaria attraverso i c.d. canali di trasmissione
della Politica Monetaria (al settore reale)
• Canale tasso di interesse per investimenti e consumi
• Canale tasso di cambio
• Canale dei prezzi delle attività finanziari
• Canale creditizio “Bancario”
• Canale creditizio “Finanziario”
• Canale dei prezzi delle case.

I. IL CANALE DEL TASSO DI INTERESSE (Canale keynesiano)


ES. Politica monetaria restrittiva: aumento del tasso ufficiale
a breve iuff

1. l’aumento del tasso a breve iuff si trasmette a tutta la curva dei tassi (variazione delle aspettative sulla dinamica
futura del tasso a breve) determinando quindi un aumento anche del tasso a lungo nominale
2. data la vischiosità dei prezzi nel breve periodo, anche il tasso di interesse reale a lungo rlungo aumenta
3. ciò induce riduzione nella spesa per investimenti I e per beni di consumo C (in particolare consumi durevoli)
4. la contrazione della domanda aggregata riduce il reddito Y

II. IL CANALE DEL TASSO DI CAMBIO


- i tasso nazionale, influenzato dalla BC
- i* tasso internazionale, non influenzato dalla BC

L’aumento dei tassi domestici i genera un differenziale (i - i*) di rendimento sui mercati internazionali dei capitali,
spingendo così gli investitori internazionali e nazionali a disinvestire all’estero ed investire in Italia. L’aumento della
domanda di valuta nazionale determina un apprezzamento del cambio E↓ (riduzione del tasso di cambio dato
l’aumento del valore della valuta nazionale rispetto ad un altra: la valuta vale di più). L’apprezzamento del cambio
determina una riduzione delle esportazioni nette NX ed un aumento delle importazioni in quanto i prodotti nazionali
costano di più (il bilancio netto commerciale nei confronti dell’estero peggiora), per cui si ha una diminuzione della
domanda aggregata e quindi del reddito Y. —> questo aspetto lo affronteremo meglio nella seconda parte del corso

Bernarke e Gertler (1995) analizzando i dati empirici degli effetti delle politiche monetarie hanno evidenziato 3 aspetti non
spiegati dalla teoria, ossia da questi due canali di trasmissione della politica monetaria individuati dalla letteratura
keynesiana tradizionale:
• L’economia reagisce troppo rispetto a quando ci si aspetterebbe teoricamente in base al meccanismo di
trasmissione basato sulla variazione degli investimenti
• Timing ritardato rispetto a quello previsto a livello teorico: nella realtà gli effetti si manifestano quando ormai il tasso
è tornato ai livelli precedenti alla manovra
• Diversa composizione degli effetti: nella realtà i componenti più reattivi sono gli investimenti in abitazioni mentre
sono scarsi quelli aziendali.
È quindi iniziata una ricerca di canali di trasmissione alternativi a quelli standard degli investimenti e del tasso di cambio.

III.IL CANALE CREDITIZIO BANCARIO (Bernanke, Blinder 1988)


—> canale di trasmissione secondo molti non più attuale

Il modello di Bernarke e Blinder (1988) è basato sul concetto datato di moltiplicatore dei depositi, per cui esiste un
vincolo di proporzionalità tra le riserve depositate dalle banche commerciali presso la BC e la quantità di depositi che
la banca commerciale può detenere, e la relativa visione che le i depositi creino i presiti.
1. La restrizione monetaria (politica mon. restrittiva) indotta dalla vendita di titoli sul mercato aperto contro moneta,
e quindi la riduzione delle riserve bancaria da parte della BC, determina una riduzione dei depositi che possono
esser detenuti dalle banche commerciali.
2. Questo richiede un aggiustamento anche dal lato delle attività bancarie per mantenere l’equilibrio, e quindi una
contrazione dei prestiti.
3. Molte piccole e medie imprese non saranno in grado di trovare fonti di finanziamento alternative (problemi di
asimmetria informativa) e saranno quindi costrette a ridurre gli investimenti.
IV. IL CANALE DEI PREZZI DELL’ATTIVITÀ FINANZIARIE: L’EFFETTO RICCHEZZA

Una politica monetaria restrittiva caratterizzata dall’aumento dei tassi a lungo tende a ridurre le aspettative relative ai
cash flow futuri e ne aumenta il loro tasso di sconto, causando pertanto una riduzione del valore attuale, ossia dei
prezzi, delle attività finanziarie (relazione inversa tasso-prezzo attività finanziarie). Si realizza un effetto ricchezza
negativo in conseguenza dell’aumento dei tassi di interesse: una riduzione dei prezzi delle attività finanziarie riduce
il valore dei portafogli finanziari riducendo la ricchezza dell’investitore W, cosa che tende a ridurre i consumi C e
quindi il reddito Y. Inoltre l’aumento dei tassi e la riduzione dei corsi delle attività finanziarie rende più difficile per le
imprese finanziarsi emettendo azioni, determinando quindi una riduzione degli investimenti.

V. CANALE CREDITIZIO FINANZIARIO

Il canale creditizio finanziario sottolinea il rischio di credito delle imprese sul mercato dei prestiti. Come già visto,
l’aumento dei tassi di interesse tende a ridurre i prezzi delle attività finanziarie. Questo induce delle perdite che
riducono il capitale proprio delle imprese aumentandone la rischiosità (riduzione delle garanzie, in quanto il capitale
funge da garanzia per i creditori): l’aumento del rischio di insolvenza delle imprese fa aumentare i loro costi di
finanziamento iprestiti determinando per tal via una riduzione degli investimenti I.

VI. CANALE DEI PREZZI DELLE CASE

L’aumento dei tassi provoca un aumento dei tassi dei mutui imutuo. Tale aumento comporta un aumento del costo di
finanziamento per investimenti immobiliari e quindi una riduzione della domanda di abitazioni che porta da una
riduzione dei prezzi delle case. La riduzione dei prezzi delle case determina da un lato un effetto ricchezza negativo
sui proprietari degli immobili che ridurranno i loro consumi, e dall’altro, un calo degli investimenti nel settore
immobiliare. Inoltre, la riduzione dei prezzi delle case riduce il valore della garanzia nei contratti di mutuo (la Banca
sa che se i prezzi crescono in caso di insolvenza può rivalersi sull’immobile, mentre se i prezzi sono in discesa
rischierà di subire una perdita in caso di insolvenza) che a sua volta fa ridurre l’offerta di credito e la domanda di
case, instaurando una spirale negativa prezzi-mutui.

—> Tratto da libro Di Giorgio paragrafo 5.6


MERCATO DELLE RISERVE, MONETA ENDOGENA, BOLLE E CRISI
FINANZIARIE (Blocco slide 6)
Per comprendere come la BC conduce effettivamente le sue politiche monetarie bisogna analizzare i meccanismi, quali
obiettivi operativi, con cui la BC emette moneta e manovra i tassi di riferimento:
• Riserve delle banche presso la BC
• Tassi di interesse del mercato interbancario (“overnight”) —> Il mercato interbancario è il mercato monetario in cui le
banche si scambiano fondi di breve periodo, anche overnight.

RISERVE BANCARIE E BASE MONETARIA


Le riserve bancarie sono i depositi degli intermediari bancari presso la BC. Si distingue:
• Riserve obbligatorie (ROB): ammontare di riserve richieste dalle autorità monetarie e che le banche sono obbligate
a detenere
• Riserve libere (RL): ammontare di ulteriori riserve che la banca decide discrezionalmente di tenere depositate
presso la BC.

Dal punto di vista macroeconomico, la base monetaria è rappresentata dalla somma del circolante (banconote e
monete metalliche) e delle riserve (obbligatorie e libere) depositate presso la Banca Centrale.
BASE MONETARIA = RISERVE + CIRCOLANTE —> BM = R + C

La base monetaria è importante per le banche centrali in quanto è un driver fondamentale dell’offerta di moneta nel
sistema economico. Per comprendere questo aspetto, e quindi come funziona l’operatività della BC nei confronti delle
banche commerciali, dobbiamo ricordare il seguente quadro:

BILANCIO BC
Fra le attività della BC tipicamente vi sono
titoli bancari o pubblici acquistati attraverso la
creazione di riserve (operazioni di mercato
aperto), e le c.d. riserve ufficiali, da non
confondere con le riserve bancarie, quali
riserve della BC detenute in valute estere, titoli
emessi da stati esteri, oro monetario.
Fra le passività troviamo le riserve bancarie e il
circolante.

BILANCIO IB
Fra gli impieghi troviamo principalmente prestiti e le
riserve detenute presso la Bc.
Fra le passività troviamo i depositi, altri tipi di
raccolta e i presiti ricevuti dalla BC.

BILANCIO CONSOLIDATO
SETTORE BANCARIO
Nel bilancio consolidato del settore bancario si ha
la compensazione di alcune voci dell’attivo e del
passivo. Di conseguenza, nel passivo restano
solo il cicalante e i depositi degli IB, mentre non
compaio le riserve di banca centrale (eliminate per
compensazione).

Questa è la ragione per cui le riserve bancarie non compaiono negli aggregati monetari: il bilancio aggregato del settore
bancario definisce la Moneta (M1) in circolazione, data dalla somma delle voci al passivo del bilancio consolidato del
settore bancario:

MONETA (M1) = MONETA LEGALE (circolante; < 5%) + MONETA BANCARIA (depositi; > 95%)
LEZIONE 9 24/03/21
CONTROLLO DELLA BASE MONETARIA: OPERAZIONI DI MERCATO APERTO
Lo strumento primario a disposizione della BC per il controllo delle riserve bancarie e quindi della base monetaria sono
le OPERAZIONI DI MERCATO APERTO, quali acquisti o vendite di obbligazioni sul mercato secondario.

I. Acquistando titoli sul mercato secondario, la BC aumenta la quantità di riserve nel sistema, e tramite esse riesce a
controllare anche il tasso di interesse con cui le banche commerciali si scambiano fondi sul mercato interbancario.

ACQUISTO DA UNA BANCA


La BC può infatti acquistare titoli presenti sul mercato
semplicemente accreditando riserve bancarie a favore
degli IB per un ammontare pari al costo dei titoli.
Contabilmente, la BC ha un aumento dell’attivo per
l’acquisto di titoli, ed un contestualmente aumento del
passivo per la creazione ex novo di nuove riserve
bancarie in favore degli IB: espansione del bilancio
della BC ed aumento delle riserve in circolazione, non
varia invece M1.
Diversamente nel bilancio degli IB sul lato dell’attivo si
ha una mera sostituzione tra titoli (in riduzione) e riserve
(in aumento).

ACQUISTO DA UN PRIVATO
Quando il titolo è posseduto da un soggetto privato
non bancario, l’operazione viene realizzata attraverso
l’intermediazione della banca commerciale avente un
contro presso la BC: la BC accredita riserve alla banca
commerciale, la quale accredita il conto al privato in
cambio del titolo ceduto alla BC.
Si ha una espansione del bilancio della BC, e quindi un
aumento delle riserve in circolazione, nonché
un’espansione del bilancio della banca commerciale,
sia dal lato dell’attivo che dal lato del passivo
(depositi), causando così un aumento della quantità di
moneta M1 in circolazione.

II. Vendendo titoli presenti nel suo portafoglio a degli IB che pagano utilizzando le proprie riserve, la BC diminuisce la
quantità di riserve nel sistema.

Contabilmente si ha una contrazione del


bilancio della BC: una riduzione dell’attivo
ed una riduzione delle riserve.

Attraverso le operazioni di mercato aperto la BC è quindi in grado di controllare direttamente la quantità di riserve
presenti nel sistema, e di conseguenza la BM:
• Acquistando titoli —> Riserve↑ —> Base Monetaria↑
• Vendendo titoli —> Riserve↓ —> Base Monetaria ↓
Controllando l’offerta di riserve nel sistema, la BC è in grado di controllare l’andamento del tasso di interesse monetario
a breve, “ovenight”, a cui le banche si scambio fondi sul mercato interbancario.
Vi sono anche altri canali fuori dal controllo della BC che influenzano la quantità di riserve:
• Canale bancario: operazioni di rifinanziamento, prestiti della BC agli IB (iniziativa degli IB, per cui l’operazione non è
sotto il controllo diretto della BC).
• Canale estero —> Variazioni delle Riserve Ufficiali in valuta estera dovute all’andamento della Bilancia dei
Pagamenti:
- surplus → Riserve Ufficiali ↑ → Riserve bancarie ↑ => se un esportatore riceve valuta estera in cambio dei
beni esportati, si rivolgerà alla propria banca per
cambiarli in valuta nazionale, e la propria banca si
rivolgerà alla BC cedendo valuta estera in cambio di
riserve: aumento delle riserve ufficiali e aumento
delle riserve bancarie.
- deficit → Riserve Ufficiali ↓ → Riserve bancarie ↓

• Canale del Tesoro, non più attuale dato il divorzio 1981 —> finanziamento del deficit pubblico acquistando,
obbligatoriamente, i titoli pubblici emessi dal Tesoro che non erano stati collocati all’asta primaria: aumento delle
riserve bancarie posto al di fuori del controllo della BC.
• Conversione delle riserve in circolante: a fronte della richiesta di maggiore contante, se non ne hanno a sufficienza
le banche commerciali si riforniscono presso la BC convertendo parte delle proprie riserve in circolante; per contro,
se le banche commerciali hanno troppo contate, possono restituirlo alla BC facendosi accreditare le riserve.
—>anche questo canale è poco rilevante in quanto il circolante costituisce al giorno d’oggi meno del 5% della BM.

STRUMENTI CONVENZIONALI E MERCATO INTERBANCARIO DELLE RISERVE


Il mercato interbancario delle Riserve è il mercato su cui gli IB si scambiano fondi a breve, principalmente Riserve della
BC, ad un tasso di mercato monetario o a breve (Eonia e Euribor in UE, “effective Federal Funds rate” iff in US)
determinato sul mercato stesso.

Attraverso i seguenti strumenti convenzionali la BC riesce a controllare l’andamento del tasso di mercato
interbancario: La BC controlla l’andamento del tasso di mercato a breve attraverso i seguenti strumenti convenzionali:
• Operazioni di mercato aperto (su iniziativa della BC): operazioni che avvengono su iniziativa della banca centrale,
tra le quali si annoverano le operazioni di rifinanziamento principali (ORP o MRP), a carattere temporaneo e
promosse con frequenza e scadenza settimanale ad aste standard, come il REPO settimanale, prestito
collateralizzato temporaneo per cui per cui l’IB attribuisce temporaneamente alla BC un titolo a garanzia del prestito
ricevuto, per poi riacquistarlo successivamente al rimborso. Queste operazioni avvengono al tasso di
rifinanziamento principale, determinato dalla BCE e che si pone come tasso target a cui gli operatori economici
guardano per formulare le proprie aspettative in merito all’andamento dei tassi a breve correnti e futuri. Vi sono
anche altre forme di operazioni di mercato aperto, in ogni caso attraverso di esse, che si tratti di operazioni
temporanee o definitive, la BC è in grado di controllare l’offerta di riserve.
• Operazioni di mercato monetario (c.d. standing facilities): operazioni che avvengono su iniziativa delle controparti,
tramite cui la BC è in grado di controllare il limite superiore e inferiore entro cui devono collocarsi i tassi interbancari
a breve:
- Tasso di remunerazione delle riserve (“rate on reserves”) ior: tasso di remunerazione delle riserve
depositate dalle banche commerciali presso la BC, ossia quanto le riserve sono remunerate quando
lasciate presso la BC da parte delle banche commerciali (limite inferiore)
-
Tasso marginale di rifinanziamento (o discount rate) id: tasso cui le banche commerciali possono prendere
fondi a prestito dalla BC qualora non siano in grado di reperirli sul mercato interbancario (limite superiore).
• Coefficiente di riserva obbligatoria ρ: imponendo una riserva obbligatoria più o meno elevata (2% fino al 2011,
1% oggi), la BC è in grado di controllare la domanda di riserve da parte delle banche commerciali —> Storicamente
la riserve obbligatoria nasce come strumento prudenziale per preservare la liquidità e, indirettamente la solvibilità
delle banche, successivamente però il ruolo della riserva obbligatoria si è evoluto e da strumento prudenziale è
divenuta una componente fondamentale dell’assetto operativo della politica monetaria finalizzato a controllare
l’andamento del tasso di interesse cui le banche si scambiano riserve.
La curva di offerta Ro è inizialmente verticale e pari alle riserve non prese a prestito in operazioni di rifinanziamento
(NBR), per poi divenire orizzontale in corrispondenza del tasso id, in corrispondenza del quale la BC è disposta ad offrire
qualsiasi quantità di riserve richiesta.

La curva di domanda Rd è invece decrescente: il tasso di interesse interbancario rappresenta il costo di opportunità di
detenere riserve presso la BC, per cui al ridursi del tasso e quindi del costo opportunità aumenta la quantità di riserve
domandata dalle banche commerciali.

• Il limite inferiore del tasso di mercato interbancario è rappresentato dal tasso di remunerazione delle riserve ior : non
c’è nessuna banca commerciale disposta a concedere un prestito sul mercato interbancario ad un tasso più basso
di ior , essendo in tal caso per lei più conveniente depositare la propria liquidità in eccesso presso la BC.
• Il limite superiore del tasso di mercato interbancario è rappresentato dal tasso marginale di rifinanziamento id : non
vi è nessuna banca commerciale disposta a prendere un prestito ad un tasso più alto rispetto a quello a cui possono
prendere fondi a prestito dalla BC.
Se Ro > Rd eccesso di offerta, il tasso di mercato interbancario diminuisce, mentre se Rd > Ro eccesso di domanda, il
tasso di mercato interbancario aumenta: l’equilibrio sul mercato interbancario si realizza quando Rd = Ro in
corrispondenza di iff*.

Controllando l’offerta di riserve, la BC è in grado di controllare il tasso di mercato interbancario, ossia il tasso overnight
cui le banche si scambiano fondi sul mercato interbancario :
a. Se vuole aumentare i tassi ridurrà la quantità di riserve in circolazione vendendo titoli
b. Se vuole ridurre i tassi, aumenterà la quantità di riserve in circolazione acquistando titoli

OPERAZIONE DI ACQUISTO TITOLI


La BC compra titoli sul mercato ed immette riserve nel sistema, potendo così individuare un nuovo equilibrio a)
caratterizzato da un’offerta di riserve maggiore ed un tasso di interesse più basso iff1>iff2>2ior,, nel caso in cui ci troviamo
sul tratto decrescente della curva di domanda; b) caratterizzato da un’offerta di riserve maggiore e lo stesso tasso di
interesse iff1= iff2=ior, nel caso in ci troviamo nel tratto orizzontale della curva di domanda, per cui l’aumento dell’offerta di
riserve non ha alcun effetto sul tasso, che si trova già schiacciato sul limite inferiore.

Nella
pratica la BC può:
• adottare una politica di controllo delle quantità di riserve per controllare gli aggregati monetari (lasciando fluttuare i
tassi)
• adottare una politica di controllo dei tassi di interesse (lasciando fluttuare le riserve)

CONTROLLO DELLE QUANTITÀ DI RISERVE


Secondo una visione tradizionale del suo
funzionamento, la BC persegue i suoi
obiettivi di politica monetaria mantenendo
il controllo sulle Riserve nel sistema, ma
rinunciando al controllo sui tassi di
interesse che sono invece lasciati
fluttuare in basse alle fluttuazioni della
domanda di riserve (= Volcker
experiment): mantenendo costante la
quantità di riserve in circolazione ad un
dato ammontare, e quindi l’offerta Ro,
fluttuazioni della domanda di riserve Rd
determinano fluttuazione dei tassi di
interesse.

La TEORIA DEL MOLTIPLICATORE DEI


DEPOSITI, basata sul funzionamento tradizionale della BC per cui questa mantiene il controllo sulle riserve lasciando
però fluttuare i tassi, prevede che attraverso il controllo delle riserve R e l’obbligo di riserva obbligatoria sui depositi ρ, la
BC è in grado di controllare indirettamente anche l’ammontare massimo di depositi D creato dagli intermediari bancari e
quindi l’aggregato monetario ( > 95% depositi, base monetaria). Infatti, trascurando il circolante, se:
R = ρD
con che ρ = R/D coefficiente di riserva obbligatoria sui depositi
risolvendo per D si ha: D = 1/ρ *R ≡ mR => Le riserve creano i depositi, i quali sono
semplicemente un multiplo m delle
riserve R

Di conseguenza, secondo questa teoria, la moneta ( > 95% depositi) che circola nel sistema economico è un multiplo
costante delle Riserve ed è esogena, ossia sotto il pieno controllo della BC:

M = mR => La banca non trattiene nelle casse tutta la quantità di moneta


depositata, ma solo una parte di essa per far fronte agli obblighi
di riserva obbligatoria, immettendo di nuovo nel mercato la
parte restante dei depositi che diventa così circolante ed
aumenta l’offerta di moneta. Se a sua volta il nuovo circolante
viene depositato, la banca ne trattiene una parte ed il resto
torna in circolo e così via…

Questo modello di funzionamento è stato oggi abbandonato dalle BC, le quali non adottano più una politica di controllo
della quantità delle Riserve e degli aggregati monetari, ma controllano i tassi di interesse.

CONTROLLO DEL TASSO D’INTERESSE


Oggi tutte le BC hanno come obiettivo il mantenimento del controllo sui tassi di interesse.

Empiricamente si può infatti osservare come i tassi di mercato a breve che si formano sul mercato interbancario, come
Euribor 3m e Eonia (tasso overnight), siano allineati al tasso target (tasso di rifinanziamento principale) fissato dalla BC,
posto a metà tra il tasso di remunerazione delle riserve (limite inferiore) e tasso marginale di rifinanziamento (limite
superiore): la BC muove l’offerta di riserve in modo tale che
il tasso di mercato a breve sia allineato al tasso di
rifinanziamento principale, che è il tasso target della BC.

Tuttavia si può osservare come, a partire dalla crisi del


2008, a causa dei pesanti interventi della BC di acquisto
di titoli per sostenere il mercato, e quindi a causa
dell’immissione di grandi quantità di riserve, l’Europa si
trova in una situazione in cui il tasso EONIA, tasso
overnight di equilibrio del mercato interbancario, è schiacciato sul limite inferiore, ossia è allineato al tasso di
remunerazione delle riserve.

La BC al giorno d’oggi persegue i suoi obiettivi di politica


monetaria mantenendo il controllo sul tasso di interesse,
ma rinunciando al controllo sulla quantità di Riserve, che
sono lasciate fluttuare: per mantenere il tasso di
interesse a breve allineato al tasso target e non farlo
aumentare, in conseguenza ad un aumento della
domanda di riserve Rd, la BC deve assecondare
l’aumento di domanda con un aumento di offerta di
riserve Ro; viceversa, in caso di riduzione della domanda
di riserve, la BC deve assecondare la diminuzione di
domanda con una diminuzione dell’offerta di riserve in
modo da evitare una riduzione del tasso di interesse.

Per la TEORIA DELL’OFFERTA ENDOGENA DELLA MONETA, non controllando la quantità di Riserve, anche in
presenza di un obbligo di riserva obbligatoria sui depositi, la BC non potrà controllare l’ammontare di depositi creato
dagli intermediari bancari, e quindi non potrà controllare l’aggregato monetario. Si passa da un sistema in cui le riserve
creano i depositi e la moneta è esogena, ad un sistema in cui i depositi creano le riserve e la moneta è endogena,
ossia l’offerta di moneta è determinata endogenamente dalla scelte degli operatori economici, in particolare degli IB
attraverso le decisioni di prestito. => Le banche prima prendono le loro decisioni di erogazione dei prestiti, e poi a fine
periodo verificano se hanno riserve sufficienti: se hanno un eccesso di riserva lo prestano, se hanno un deficit di riserve
le prendono a prestito sul mercato interbancario. Se in aggregato le banche non hanno abbastanza riserve, il tasso di
interesse sale e la BC interviene fornendo le riserve mancanti per mantenere il tasso al livello desiderato.
Per concludere, il modo con cui la BC persegue i suoi obiettivi di politica monetaria determina la natura endogena o
esogena della moneta:
‣ ESOGENA quando la BC mantiene il controllo delle riserve, e la quantità di moneta è indipendente dal
comportamento delle banche e dei privati ed è sotto il pieno controllo dell’autorità monetaria.
‣ ENDOGENA, quando la BC mantiene il controllo dei tassi, e l’offerta di moneta è determinata dal comportamento di
banche e privati —> Nell’attuale contesto economico-istituzionale la quasi totalità della moneta (>95%) è creata in
modo decentralizzato da soggetti bancari.

VINCOLI ALL’OFFERTA DI MONETA BANCARIA ENDOGENA


Se la BC persegui i suoi obiettivi di politica monetaria mantenendo il controllo sui tassi di interesse l’ammontare di
riserve non costituisce più un vincolo reale ai prestiti concessi dal settore bancario (offerta di moneta bancaria),
analogamente, poiché le banche non sono solo degli intermediari (prestano fondi depositati) ma sono anche in grado di
creare i depositi che prestano, non costituisce un vincolo ai prestiti bancari neanche l’ammontare esistente di depositi.

A livello aggregato del sistema bancario non sono i depositi a generare prestiti,
ma sono i prestiti a generare i depositi, e di conseguenza, essendo la moneta
bancaria prevalentemente creata a fronte dell’erogazione di prestiti, la quantità di
moneta in circolazione dipende dalle decisioni di prestito delle banche
commerciali: al momento del prestito la banca crea un credito e un debito nei
confronti della persona cui presta, consentendoli di utilizzare i depositi che a
partire da quel dato momento in poi ha presso la banca. Dal punto di vista
contabile si apre un prestito nel lato dell’attivo e un deposito nel lato del passivo.
Quindi, i reali vincoli all’offerta di moneta sono:
‣ VINCOLI PATRIMONIALI —> In base agli accordi di Basilea III le banche devono rispettare dei requisiti minimi di
capitale, cioè devono accantonare capitale pari ad una certa % dei prestiti erogati (risk weighted asset). Questo
costituisce un vincolo quantitativo alla quantità di prestiti erogabili, facilmente allentabile nei momenti non di crisi in
cui è possibile raccogliere capitale ma fortemente stringente nel caso in cui la banca non dispone di capitale
sufficiente per erogare prestiti e non è in grado di aumentarlo.
‣ PROFITTABILITÀ DEI PRESTITI —> Solo prestiti che presentano un rendimento atteso sufficientemente elevato
possono essere erogati. Non è un vincolo quantitativo ma solo di prezzo, e dipende in parte dai tassi di interesse
fissati dalla BC.
‣ DOMANDA DI PRESTITI —> La quantità di nuova moneta bancaria prodotta in un dato momento dipenderà in
larga parte dalla domanda di credito di famiglie e imprese, i quali a fronte dell’obbligo assunto dalla banca di
pagamento a vista (depositi) si assumo l’obbligo di restituzione del prestito nel corso del tempo. La presenza di
“buoni debitori”, soggetti illiquidi ma solvibili, dipende in parte dal tasso di interesse applicato dalle banche, e quindi
dai tassi di interesse della BC, per cui da un lato i tassi di interesse agiscono da principale freno (o stimolo)
all’espansione della quantità di moneta bancaria, e dall’altro se nell’economia non vi sono buoni debitori non vi
saranno prestiti e quindi non vi sarà crescita monetaria.

PROBLEMI DELL’OFFERTA ENDOGENA DI MONETA


Nell’attuale contesto economico-istituzionale la quasi totalità della moneta (>95%) è creata in modo decentralizzato da
soggetti bancari. Secondo alcuni questo sistema di offerta endogena di moneta pone però alcuni problemi:
I. Scarsa trasparenza e controllabilità della funzione monetaria, ossia sull’allocazione della nuova moneta
emessa: la decisione della quantità di moneta da immettere nel sistema nonché l’individuazione dei settori cui
destinarla è delegata a soggetti privati, che esercitano la funzione monetaria legittimamente, in modo non
coordinato e decentralizzato, nel proprio interesse e potenzialmente in contrasto con gli interessi collettivi, al di fuori
di un controllo democratico. —> approfondimento*
II. Sistema fortemente prociclico, ossia che tende ad amplificare l’andamento del ciclo economico, spingendolo
ulteriormente alla crescita nella fase ascendente e, viceversa, accentuando la crisi durante la fase discendente: i
vincoli alla creazione monetaria, e di conseguenza la creazione monetaria da parte delle banche commerciali, sono
fortemente dipendenti dalle condizioni di ciclo economico, per cui essi tendono ad allentarsi in presenza di una
crescita economica (e quindi le banche prestano), e viceversa a stringersi nelle fasi di crisi, tale per cui l’erogazione
di prestiti si contrae aggravando ulteriormente la recessione economica già in corso.
III. Indebitamento eccessivo: la crescita monetaria può avvenire solo aumentando l’indebitamento di qualche
soggetto economico, tuttavia questo potrebbe portare ad un eccessivo indebitamento di tutti i soggetti economici
(debt-overhang), con la conseguenza che non si riesca più a trovare nuovi soggetti disposti o in grado di indebitarsi
ulteriormente frenando così la crescita monetaria.
IV. Costoso per la società —> su tutta la massa monetaria gravano interessi passivi
V. Dinamicamente instabile —> alcuni soggetti non potranno ripagare il debito contratto (prestito + interessi) a meno
che la moneta non cresca esponenzialmente ad un tasso m>i
*Nel sistema di offerta endogena di moneta la decisione della quantità di moneta da immettere nel sistema (A) nonché
l’individuazione dei settori cui destinarla (B) è delegata a soggetti privati (banche), che esercitano la funzione monetaria
legittimamente, in modo non coordinato e decentralizzato, nel proprio interesse e potenzialmente in contrasto con gli
interessi collettivi.

A. Questo modus operandi a fatto si che, come osservato empiricamente, prima della crisi la crescita del credito/debito
(≈ 10% - 15%) fosse circa 2/3 volte la crescita media del PIL nominale (≈ 4%-5%), determinando quindi un forte
rischio di insolvenza e quindi di instabilità.
B. Al riguardo, Richard Werner sottolinea l’importanza delle scelte di allocazione del credito degli IB, in quanto hanno
degli effetti macroeconomici nettamente distinti:
1. Crediti per attività produttive —> questi prestiti tendono ad aumentare la produttività del sistema, determinando
quindi una crescita bilanciata dell’economia, vale a dire un aumento del PIL senza pressioni inflazionistiche
(MV=PY) in quanto all’aumento della moneta in circolazione corrisponde una crescita dell’economia reale.
2. Crediti al consumo —> questi prestiti tendono a determinare un aumento della domanda di beni servizi, cui
però non corrisponde necessariamente un aumento dell’offerta, causando pertanto delle pressioni
inflazionistiche.
3. Mutui e altri crediti per acquisto attività finanziarie esistenti —> questi prestiti, determinando un’aumento di
domanda a fronte di un offerta più rigida, tendono a far aumentare i prezzi delle attività acquistate, esponendo
quindi il sistema al rischio di bolle (finanziarie o immobiliari, a seconda del settore in cui è canalizzata la
moneta di nuova emissione).

Empiricamente emerge come le banche tendono prevalentemente


a concedere prestiti per fini di investimento nel settore immobiliare
(immobili abitativi e commerciali) e finanziario, mentre i prestiti al
consumo ed i prestiti per attività produttive costituiscono solo una
piccola parte dei prestiti totali. Questo è dovuto al fatto che
concedere mutui o crediti per acquisto di attività finanziarie esistenti
è meno rischioso per l’intermediario bancario, il quale si sente più
sicuro a concedere un prestito in presenza di garanzie reali,
rappresentate quindi dallo stesso bene immobile o titolo finanziario
acquisito, che in caso di insolvenza del debitore potranno essere
venduti permettendo così al creditore di soddisfarsi sul ricavato,
piuttosto che in presenza di idee produttive o buoni piani industriali:
ciò crea una distorsione nel modo in cui la moneta viene creata e
canalizzata nel sistema, venendo destinata principalmente a fini
non produttivi, senza contribuire quindi alla crescita del PIL.
Nel grafico sono riportate le decisioni di prestito
delle banche UK (dati 2009), ma ciò vale in
generale per tutti gli intermediari bancari.
DINAMICA DELLE BOLLE
La crescita dei mutui o dei prestiti per l’acquisto di altre attività finanziarie esistenti, determinando un aumento della
domanda a fronte di un’offerta tendenzialmente rigida, tende a far aumentare i prezzi delle attività acquistate, e
quindi il valore della garanzia per la banca, la quale sentendosi più sicura è quindi indotta ad aumentare
ulteriormente i prestiti creando così un circolo vizioso apparentemente virtuoso ma che in realtà alimenta
gigantesche bolle immobiliari o finanziarie. Inoltre, parallelamente all’aumento del valore delle garanzie e dei prestiti
bancari, si osserva empiricamente un accumulo del debito da parte dei soggetti privati, i quali si indebitano
eccessivamente per investire nel settore immobiliare o sui mercati finanziari esponendosi così al rischio di fallimento.

FASE DI CRESCITA DELLA BOLLA


1) Aumento dei prestiti —>
2) Aumento dei prezzi —>
a. Dal lato della domanda l’aumento dei prezzi
consente a coloro che hanno investito di
ottenere dei guadagni, causando quindi un
miglioramento delle aspettative in merito ad
ulteriori aumenti dei prezzi —> ulteriore
aumento della domanda di prestiti (corsa
all’acquisto)
b. Dal lato della banca l’aumento dei prezzi
riduce il rischio di credito dato l’aumento del
valore delle garanzie, evidenzia elevati
profitti in quanto i mutui vanno a buon fine,
determinando di conseguenza un aumento
del capitale proprio. Ciò determina una
valutazione positiva del rischio di credito, e
quindi un aumento dell’offerta di prestiti,
alimentando così questa spirale di crescita della bolla.

FASE DI SCOPPIO DELLA BOLLA


Esattamente gli stessi meccanismi entrano in gioco con
segno inverso nel momento in cui dalla fase di crescita
si passa alla fase di scoppio della bolla (c.d. Minsky
Moment, quale crollo improvviso e consistente dei
valori dell’attività originato da un ciclo del credito o un
ciclo economico.
1) Iniziano i fallimenti di alcuni soggetti —>
2) Riduzione dei prestiti —>
3) Riduzione dei prezzi:
a. Dal lato della domanda la riduzione dei prezzi
causa delle perdite a coloro che hanno
investito, alimentando le aspettative di ulteriori
cali. Questo riduce ulteriormente la domanda di
prestiti secondo un ciclo che si autoalimenta.
b. Dal lato delle banche la riduzione dei prezzi
comporta elevato rischio di credito, perdite e
una riduzione del capitale proprio. Ciò induce
la banca ad una valutazione più prudente del
rischio di credito, causando quindi una
riduzione dell’offerta dei prestiti, e quindi una
riduzione ulteriore dei prestiti in questa spirale
che nuovamente si autoalimenta.

Le bolle sono quindi estremamente legate alla natura endogena della moneta, che tende ad alimentarne la crescita
nella fase espansiva ed aggravarne il crollo nella fase di contrazione. Questo è confermato anche dal punto di vista
accademico, data la pubblicazione da parte di Schularick e Taylor di un articolo accademico in cui identificano
nell’accelerazione del credito bancario l’antecedente chiave delle bolle finanziarie.
Di bolle finanziarie o immobiliari sui mercati se ne sono osservate molteplici nel passato recente:
• Bolla dell’oro
• Bolla del Giappone
• Bolla delle tigri asiatiche
• Bolla dei titoli tecnologici
• Bolla del mercato immobiliare US, scoppiata nel 2008 e le cui conseguenze economiche sono avvertite ancora
oggi: le bolle sono infatti estremamente distruttive per l’economia in generale, e non solo per i mercati finanziari
o immobiliari, ed hanno conseguenze di lungo periodo, ragione per cui è particolarmente importante
comprenderne il funzionamento e le conseguenze macroeconomiche dello scoppio in modo tale da poter
intervenire. Al riguardo, per prevedere e comprendere le conseguenze macroeconomiche dello scoppio della
bolla del 2008 avremmo dovuto guardare alle conseguenze dello scoppio della bolla immobiliare del Giappone
degli anni ’90 (caduta del’87% dei prezzi e balance sheet recession).

Richard Koo, capo economista all’istituto di ricerca Nomura, studiò attentamente ciò che accadde in Giappone in seguito
allo scoppio della bolla ’90 in Giappone, ponendo l’attenzione sulla c.d. balance sheet recession, recessione dei saldi
di bilancio indotta dallo scoppio della bolla, per cui il settore privato, avendo accumulato una grande quantità di debiti nel
periodo antecedente alla crisi, comincia a risparmiare provocando un crollo della domanda di prestiti, portando così ad
una fase di recessione dell’economia: l’accumulo di debito da parte dei soggetti privati durante la fase espansiva della
bolla aveva indotto la Banca del Giappone ad intervenire per sgonfiarla senza farla scoppiare (c.d. soft landing,
atterraggio morbido) attraverso un aumento dei tassi di interesse; nonostante il tentativo la bolla scoppio, ed i soggetti
estremamente indebitati si ritrovano in una situazione di grande difficoltà patrimoniale caratterizzata dal crollo dell’attivo
(down 87% del valore degli asset) a fronte di un passivo consistente e costante che doveva essere ripagato (avevano i
bilanci sott’acqua, passivo > attivo). A fronte di questa situazione, adottando un comportamento razionale, le imprese
intrapresero un processo di delevereging, ossia di riduzione del livello di indebitamento verso le banche, sfruttando i
flussi di cassa dell’attività economica per ripagare i debiti accumulati, trasformandosi così da debitori/prenditori a
risparmiatori. Questa fase di Balance Sheet Recession, dalla durata decennale, portò ad una fase di recessione
dell’economia, conseguenza dell’assenza di creazione monetaria (dato il crollo della domanda di prestiti) e della
riduzione della quantità di moneta in circolazione (dato il rimborso dei prestiti contratti da parte dei soggetti privati) =>
riportando l’equazione di Fisher, se MV = PY se M non cresce Y (reddito nominale) non cresce, se M si contrae Y si
contrae: in presenza di scarsità deo prestiti per assenza di investitori (BSR) l’economia può rapidamente cadere in una
spirale deflazionistica.
A seconda che siano o meno buoni debitori, soggetti disposti ad indebitarsi ed investire, e buoni prestatori, banche
disposte a prestare, Richard Koo individua 4 STATI DELL’ECONOMIA:
I. Prestatori ed investitori entrambi presenti in un numero sufficiente =>
caso standard
II. Assenza di prestatori, tipicamente a causa di problemi finanziari delle
banche che non sono in grado di concedere prestiti => caso
problematico che può essere risolto facilmente mediante l’intervento
della BC o da parte dello Stato a sostegno del settore bancario.
III. Assenza di investitori a causa di un debito eccessivo o assenza di
investimenti (BSR) => caso grave di difficile risoluzione.
IV.Assenza di prestatori e investitori, a causa di problemi di bilancio per
entrambi => mediante l’intervento della BC o da parte dello Stato a
sostegno del settore bancario si può passare dal caso IV al caso III.
Gli stati I e II secondo Woo sono gli stati del mondo studiati nei libri di
teso economici, mentre non lo sono i casi III e IV. La maggior parte delle
economie avanzate attuali si trova nel 3 stato dell’economia.

In presenza di scarsità dei prestiti per assenza di investitori (situazione di balance sheet recession) l’economia può
rapidamente cadere in una spirale deflazionistica: l’unico modo per far crescere un’economia è la creazione monetaria,
e quindi aumentare la quantità di moneta in circolazione attraverso la concessione di prestiti a soggetti disposti ad
indebitarsi. Richard Koo spiega il fenomeno chiaramente con un’esempio —> Assumiamo che in una economia si
produce un reddito di 1.000 di cui 900 sono direttamente consumati e 100 (il 10%) risparmiati. I 900 consumati
diventeranno reddito per qualcuno nel periodo successivo (la spesa di uno è il reddito di un altro). Se i 100 risparmiati
vengono prestati a qualcuno che li spende anch’essi diventeranno reddito, e quindi il reddito resterà 1.000. Se invece i
100 risparmiati non vengono prestati ma restano nel settore finanziario, la spesa totale nell’economia scende a 900, e
quindi si ha una riduzione del 10% del PIl. È quindi facile avvitarsi in una spirale deflazionistica, perché se questo
succede in più periodo, ad ogni periodo di ha una riduzione del 10% del reddito.

Adottando un’approccio settoriale, in modo tale da comprendere chi si indebita e chi risparmia, ossia cosa è davvero
accaduto nell’economia e quindi come poter intervenire per porre una soluzione, Richard Koo suddivide l’economia in 4
SETTORI:
I. Famiglie (settore privato)
II. Imprese (settore privato)
III. Governo
IV.Resto del mondo

• Settori con bilancio sopra la linea a zero (>0) sono in surplus: risparmiatori e prestatori di fondi
• Settori con bilanci sotto la linea a zero (<0) sono in deficit: prendono a presto fondi.
La somma dei deficit/surplus dei 4 settori, essendo una partizione settoriale dell’economia, è necessariamente per
identità contabile pari a 0.

Ad esempio, considerando la bolla immobiliare del Giappone degli


anni ’90 si osserva come:
‣ Nella fase espansiva, le imprese (linea blu) così come il resto
del mondo (linea viola) erano in deficit e quindi altamente
indebitate, mentre le famiglie (linea rossa) e il Governo (linea
verde) erano in surplus, per cui tendevano a risparmiare.
‣ Dopo lo scoppio della bolla l’economia giapponese ha invece
conosciuto la balance sheet recession, ossia è andata in
recessione da bilanci deteriorati: entrambi i settori privati,
famiglie ed imprese, diventano risparmiatori netti nonostante i
tassi di interesse a 0 (surplus), ed in particolare il passaggio
delle imprese da un deficit di 11,4% nel 1991 ad un surplus del
10,2% ha determinato una spinta deflazionistica pari al 20%
del PIL. Questa forte spinta deflazionistica guidata dal
delevereging delle imprese è, secondo Koo, la causa della
lunga stagnazione del Giappone dal 1990 ad oggi (BSR),
tant’è che ancora oggi, a distanza di 30 anni dallo scoppio della bolla, il settore privato giapponese sta ancora
risparmiando il 6% del PIL in presenza di tassi negativi (comportamento dei soggetti economici contrario a quello
prescritto nei libri di testo).
Dall’analisi condotta da Koo emerge quindi come in un contesto di BSR la politica monetaria, agendo sulla leva del tasso
di interesse, è inefficace per stimolare l’indebitamento privato e quindi la crescita economica, mentre è necessario che vi
sia l’intervento del settore pubblico (politica fiscale): l’indebitamento del settore pubblico deve compensare l’eccesso di
risparmio del settore privato, altrimenti l’economia cade rapidamente in una forte spirale deflazionistica.

LEZIONE 31/03/21
Negli anni recenti in molti altri paesi europei (esclusa la Germania), così come in Giappone, si è osservato lo sviluppo di
grandi bolle immobiliari e la conseguente Balance sheet recession, in accordo con l’analisi condotta da Koo:
➡ Dalla tabella emerge come in tutti i paesi in cui è sviluppata una bolla immobiliare di grandi dimensioni, proprio
come previsto da Koo, il settore privato si è trasformato da debitore a risparmiatore. In Italia il caso è un po’
particolare, in quanto in essa non si è mai sviluppata una vera e propria bolla immobiliare, ma la stagnazione è la
conseguenza della crisi dei debiti sovrani del 2011. La Germania invece conosce una diminuzione del surplus.

Caso simile al Giappone è quello della


Spagna:
APPROFONDIMENTO SULLE CAUSE DELLA BALANCE SHEET RECESSION IN EUROPA
L’intera Europa, inclusi i paesi che in realtà non hanno conosciuto una grande bolla immobiliare, si trova attualmente in
una situazione di BSR. Richard Koo individua la ragione di ciò in uno sfasamento della dinamica delle bolle e della
conseguente balance sheet recession: Koo aveva infatti notato come, mentre la maggior parte dei paesi europei aveva
conosciuto una grande bolla immobiliare, questa non aveva interessato la Germania e ciò in quanto in realtà essa si
trovava già in una situazione di BSR e di rallentamento della crescita economia a causa dello scoppio della bolla sul
mercato dot.com nel 2001, che l’aveva resa “il malato d’Europa”.

Nel tentativo di aiutare la Germania la BCE ha attuato una politica di riduzione dei tassi di interesse, causando così uno
sfasamento del ciclo economico caratterizzato 1) da un’aumento dell’erogazione dei prestiti nei paesi periferici, i quali
non avevano conosciuto alcuna bolla e non avevano quindi bisogno di una riduzione dei tassi di interesse, e 2) da un
deflusso di capitali dalla Germania verso i paesi periferici, nei quali fu investito la maggior parte dell’eccesso di risparmio
tedesco: la combinazione di questi due elementi, e quindi la forte creazione monetaria non indirizzata in modo
appropriato nei settori produttivi ma principalmente al settore monetario, finanziario ed al consumo, causò lo sviluppo in
tutta Europa di bolle immobiliari, bolle finanziarie ed inflazione, per cui i costi di produzione ed i prezzi dei beni prodotti
aumentano rapidamente nei paesi periferici mentre restano costanti in Germania.

‣ Nel grafico si riporta la dinamica


dell’aggregato monetario M3
nell’Eurozona esclusa la
Germania (linea continua) ed in
Germania (linea tratteggiata):
differenza di creazione monetaria
—> differenziale d’inflazione.
In virtù della divergenza nella dinamica dell’inflazione la Germania guadagnò competitività rispetto agli altri paesi europei
e nei primi anni 2000 attuò una politica di moderazione salariale (c.d. piano Hartz) che le permise di rafforzare
ulteriormente il suo vantaggio: essa accumulò così un forte surplus commerciale, legato all’incremento delle
esportazioni, e finanziario, legato al deflusso di capitali dagli altri paesi europei verso la Germania che era percepita
come maggiormente sicura, nei confronti dei vari paesi dell’eurozona.

Il vantaggio competitivo della Germania emerge


chiaramente osservando l’andamento dei tassi di cambio
reali dell’Eurozona, dato dal rapporto fra i prezzi di beni o
servizi prodotti nei due paesi una volta che siano
entrambi espressi in valuta comune, e quindi
rappresentativi del livello di competitività di un paese
rispetto agli altri: Spagna e Italia persero molto in termini
di competitività rispetto alla Germania.

Osservando l’andamento della bilancia commerciale


Italia-Germania si osserva infatti come, da una bilancia
commerciale in surplus per l’Italia, a fine anni ’90 si è
passati ad una bilancia commerciale fortemente negativa
caratterizzata da un trend quasi lineare di accumulo di
deficit dell’Italia nei confronti della Germania.

N.B: Tasso di cambio reale E*(Pi/Pe) —> Pe= livello


dei prezzi nel paese estero (che utilizza la valuta
estera nazionale), Pi=livello dei prezzi nel paese
tenuto in considerazione (che utilizza la valuta
interna nazionale), E= tasso di cambio nominale. Il
tasso di cambio nominale: rappresenta il valore di 1
unità di valuta nazionale espressa in termini di
valuta estera. In questo caso è fisso trattando di
paesi appartenenti all’Eurozona

Analogamente, la posizione di vantaggio della


Germania rispetto agli altri paesi dell’Eurozona si
manifesta chiaramente nel c.d. TARGET 2 - sistema
dei pagamenti interbancario per l’elaborazione in
tempo reale dei bonifici trasfrontalieri in tutti i paesi
appartenenti all’Eurozona, il quale tiene in
considerazione tutti i flussi monetari, sia legati alle
transazioni commerciali che legati ai movimenti di
capitali, che intercorrono tra i paesi europei -, il cui
andamento evidenzia quali sono gli squilibri presenti
in Europa, squilibri che nella visione di Koo sono
stati indotti dallo sfasamento della dinamica delle
bolle e della balance sheet recession (che come
osservato ha portato la Germania ad avere un
grande vantaggio competitivo rispetto agli altri paesi
europei) ed aggravati ulteriormente dalla possibilità
di muovere facilmente capitali da un paese all’altro
nell’area euro, investendo in quello che appare più
solido, senza sopportare alcun rischio di cambio.
Lo sfasamento del ciclo economico fu quindi un enorme vantaggio per la Germania che, trovandosi in una fase di
recessione mentre gli altri paesi europei conoscevano una forte espansione, ha avuto la possibilità di uscirne
rapidamente appoggiandosi alla domanda aggregata in crescita dei, e quindi esportando nei, paesi periferici. Questa
possibilità è invece preclusa agli altri paesi europei, si sono trovati tutti contemporaneamente in una situazione
recessiva.

Quali soluzioni possono essere adottate per compensare lo squilibrio?


LE SOLUZIONI PER L’EUROZONA
Attualmente per riportare il sistema in equilibrio si ritiene di dover rafforzare la competitività dei paesi in deficit attuando
politiche economiche di forte austerità che portino ad una maggiore moderazione salariale, anche a costo di
incrementare la disoccupazione (come in Spagna). Così facendo tuttavia si ha un aggiustamento asimmetrico, il quale
grava completamente sui paesi in deficit mentre niente è richiesto a quelli in surplus, che porta ad una distorsione
deflazionistica ed una recessione di tutta l’Europa.

L’ideale sarebbe quindi pervenire ad un aggiustamento simmetrico, che prevede la simultanea attuazione di politiche di
austerità da parte dei paesi in deficit e di politiche fortemente espansionistiche da parte dei paesi in surplus. Al riguardo,
Luca Fantacci popone di trasformare l’Euro in “Euro-Bancor" applicando cioè all’UE la proposta che Keynes portò a
Bretton Woods:
• reintroduzione delle monete nazionali come monete locali, così da consentire in caso di squilibri strutturali un
aggiustamento del cambio
• utilizzo dell’euro nelle transazioni internazionali tra paesi
• tasso di cambio fisso ma aggiustabile
• distribuzioni simmetrica del peso dell’aggiustamento degli squilibri tra paesi creditori e debitori, affinché tutti siano
incentivati a ridurre gli squilibri e riportare i propri saldi vicini a zero: questo è possibile imponendo non sono ai
debitori ma anche ai creditori, ossia i soggetti che hanno un surplus nel target 2 e quindi un accumulo di bancor, il
pagamento di interessi passivi, così come previsto da Keynes.

Per Richard Koo, più semplicemente l’Unione Europa dovrebbe invece:


• consentire/imporre ai paesi membri deficit pubblici almeno pari ai rispettivi surplus dei settori privati (e non maggiori
di più del 3%), in modo tale da compensare il forte risparmio del settore privato e non restare intrappolati nella
spirale deflazionistica
• fornire incentivi al risparmio privato di un paese affinché venga investito nel debito pubblico del paese stesso, e
quindi limitare la fuga dei risparmi privati all’estero (agevolata dalla presenza della moneta unica) in quanto causa di
riduzione dello spazio fiscale del paese e di aumento degli spread (la fuga di capitali determina un aumento dei tassi
di interesse nel paese di provenienza ed una riduzione nel paese di arrivo).

INTERVENTI PUBBLICI: QUANTITATIVE EASING


Nella pratica, per contrastare la recessione indotta dallo scoppio delle bolle si decise di ricorrere a massicce politiche
monetarie espansive, ossia al c.d QUANTITATIVE EASING (QE): acquisto da parte delle BC di grandi quantità di titoli
pubblici e non a varie scadenze, ed altre forme di iniezione di liquidità, allo scopo di aumentare l’offerta di moneta in
circolazione
-
così da abbassare tutta la curva dei tassi di interesse per:
sostenere i mercati finanziari
-
far ripartire il credito a famiglia e imprese —> in realtà non è chiaro come abbassare di qualche punto i tassi a
lungo possa indurre famiglie ed imprese ad indebitarsi in una fase di stagnazione
-
rendere meno costoso uno stimolo fiscale
-
svalutazione del cambio —> in realtà tutte le BC, e non solo la BCE, possono attuare politiche di QE, per cui a
livello aggregato questo da luogo ad un gioco a somma zero e non riesce a stimolare complessivamente
l’economia
-
effetto psicologico legato al segnale di politica monetaria fortemente espansiva —> in realtà in un contesto di BSR
il comportamento di famiglie ed imprese eccessivamente indebitate è facilmente prevedibile e poco influenzato
dalle questioni psicologiche.
La manovra si è rivelata inefficace. In un contesto di BSR, in cui i soggetti sono già eccessivamente indebitati e
preferiscono risparmiare piuttosto che contrarre nuovi prestiti, le politiche monetarie risultano inefficaci in quanto il
principale canale di trasmissione all’economia reale della liquidità immessa nei mercati finanziari dalla BC, l’aumento dei
prestiti bancari, non funziona: non si osserva quindi alcuna relazione tra la dinamica della base monetaria, dovuta
all’emissione di riserve da parte della BC a fronte dell’acquisto di titoli, (+218%) e la dinamica della quantità di moneta in
circolazione (+27%), in quanto gran parte della nuova liquidità creata anziché essere trasferita al settore reale tramite
prestiti (+ 1% del credito in 8 anni) resta vincolata al settore finanziario. Ciò spiega perché non vi è stato alcun effetto
inflazionistico.

Inoltre il QE è molto facile da iniziare, ossia è facile comprare titoli ed emettere riserve, ma difficile da terminare in
quanto la normalizzazione della politica monetaria richiede sia una forte riduzione della base monetaria sia un aumento
dei tassi di interesse, due politiche fortemente restrittive che non sono mai state fatte contemporaneamente ed i cui
effetti sull’economia reale non sono ancora conosciuti.
ANALISI DI KOO vs FRIEDMAN DELLA CRISI DEL ’29
Alla luce di quanto osservato appare logico chiederci perché è stat attuata una politica monetaria espansiva nella forma
di QE. La risposta risiede nell’analisi della crisi del ’29 condotta da Friedman, il quale notò che a portare l’America al di
fuori della crisi fu l’espansione dei depositi delle banche commerciali ed attribuì questo risultato alle politiche monetarie
espansive attuate dalla FED che permisero, secondo lui, di aumentare l’erogazione dei presti al settore privato.
Tuttavia Richard Koo, osservando il fenomeno più attentamente senza focalizzarsi esclusivamente sull’espansione del
lato del passivo, mise in luce come questo fu guidato sul lato dell’attivo non tanto da un aumento dei presiti al settore
privato, che anzi nel 1936 non conobbe alcuna crescita, bensì dall’aumento del credito erogato al settore pubblico per
che si era indebitato per sostenere le spesa legate al New Deal di Roosevelt. In altri termini, non fu la politica monetaria
ma la politica fiscale del New Deal a condurre l’America al di fuori della crisi, ragione per cui Koo ritiene che quando
l’economia entra in una fase di recessione, mentre la politica monetaria agendo sulla leva del tasso di interesse è
inefficace per stimolare l’indebitamento privato e quindi la crescita economica, è necessario che vi sia l’intervento del
settore pubblico che, tramite politiche fiscali espansive, incrementi il suo livello di indebitamento così da compensare
l’eccesso di risparmio del settore privato ed evitare che l’economia cada in una spirale deflazionistica.

Al riguardo, Koo ritiene possano essere distinte 3 diverse fasi di crescita di un paese nel corso delle quali il ruolo delle
politiche fiscali e delle politiche monetarie gioca un’importanza diversa:
‣ URBANIZING ERA —> Nella fase iniziale di crescita è fondamentale che il settore pubblico attui una politica fiscale
espansiva di aumento della spesa pubblica, e quindi si indebiti al fine realizzare le infrastrutture necessarie per lo
sviluppo dell’economia.
‣ GOLDEN ERA —> Quando l’economia ha raggiunto un livello infrastrutturale sufficientemente elevato, tale per cui
sulla base di esso il settore privato può sviluppare la propria crescita, le politiche fiscali assumono un ruolo
secondario mentre ruolo primario è assunto dalle politiche monetarie, che fissando i tassi di interesse regolano la
domanda di prestiti e l’ammontare degli investimenti decisi dal settore privato.
‣ PURSUED ERA —> Quando l’economia entra in una fase di recessione, che sia legata alla BSR o all’assenza di
opportunità di investimenti sufficientemente buone il settore privato, è necessario che il settore pubblico, tramite
adeguate politiche fiscali, stimoli l’economia creando nuove e più avanzate infrastrutture che consentano una
ripartenza del settore privato.
Secondo Koo, in questo periodo storico la maggior parte delle economie avanzate si trova in questa terza fase, ma a ciò
si aggiunge un ulteriore problema rappresentato dall’eccessivo indebitamento pubblico.

In presenza di un eccessivo indebitamento (debt overhang) sia dei privati (BSR) che del settore pubblico ci troviamo in
una situazione “di mancanza di munizioni”, in quanto:
- la leva monetaria è inefficace per assenza di investitori
- la leva fiscale è impraticabile per assenza di spazi fiscali
- la leva del tasso di cambio, che in ogni caso è assente per i paesi dell’area euro, è soggetta al rischio di guerre
valutarie; inoltre questa leva è impraticabile in un contesto di stagnazione comune, ma può essere utilizzata solo
quando alcuni paesi sono in una fase di stagnazione ma hanno la possibilità di appoggiarsi alla domanda aggregata
degli, e quindi alle esportazioni verso, gli altri paesi in crescita.
In altri termini ci troviamo in una situazione di “mancanza di munizioni”.
In realtà esiste un’arma finale teoricamente proposta da molti come alternativa al QE, ma che nella pratica non è ancora
stata attuata in Europa: c.d. HELICOPTER MONEY o FINANZIAMENTO MONETARIO DELLE POLITICHE FISCALI,
proposta di politica monetaria non convenzionale che consente di fornire nuove risorse monetaria all’economia reale non
tramite i mercati finanziari, che vengono bypassati, ma tramite il settore pubblico finanziando la spesa pubblica
direttamente mediante emissione di nuova moneta da parte della BC.

Il finanziamento monetario della spesa pubblica è considerato uno strumento standard anche a molti economisti del
passato, tra cui Milton Friedman, a cui si deve l’espressione helicopter money utilizzata per descrivere gli effetti di
espansione monetaria alludendo al lancio di soldi sulle persone come se piovessero da un elicottero, il quale riteneva
che fosse sempre possibile stimolare la domanda aggregata nominale emettendo nuova moneta e distribuendola ai
cittadini. Questo strumento anche in tempi più recenti è stato proposto da svariati economisti dalle provenienze teoriche
più disparate (di estrazione keynesiana, di estrazione monetarista…), nonché da molti banchieri centrali o famosi gettoni
di fondi di investimento, ed in particolare al tempo corrente è stato suggerito nell’ambito dell’Eurozona come eventuale
misura per rispondere alla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19.

Riprendendo la visione di Friedman, Lord Adair Turner ha avanzato 4 proposizioni:


1) Esistono circostanze in cui è appropriato stimola la domanda aggregata nominale —> recessione e deflazione
2) Il finanziamento monetario delle politiche fiscali stimola sempre la domanda aggregata nominale in quanto
determina:
• Uno stimolo fiscale diretto ma senza:
- Crowding-out, cioè sostituzione della componente privata del reddito (spiazzamento della spesa
privata sui consumi e investimenti) con la spesa pubblica in conseguenza all’aumento del tasso di
interesse, fenomeno che rende quindi in parte inefficace la politica fiscale espansiva andando a
determinare un freno all’incremento finale del reddito: non emettendo debito pubblico non devo alzare
i tassi di interesse per rendere l’emissione più appetibile ai privati.
- Equivalenza Ricardiana, per cui i soggetti privati risparmiano oggi in previsione di un aumento futuro
delle tasse dovuto all’incremento del debito pubblico.
• Nessun incremento dell’indebitamento del settore pubblico
• Un incremento della ricchezza netta nominale del settore privato
3) In alcune circostanze l’impatto sulla domanda aggregata del finanziamento monetario risulta:
• maggiore e quindi più efficace delle manovre fiscali finanziate con emissioni di titoli (1* politica alternativa
disponibile), in quanto non comporta né crowding out né equivalenza ricardiana;
• con meno effetti collaterali e più certo delle politiche monetarie espansive ((↓r , QE):
- non poggia su complicati meccanismi di trasmissione, per cui non c’è incertezza legata ad essi —> le
politiche monetarie hanno un effetto di trasmissione più complicato, per cui non si sa a priori quale
sarà in concreto l’effetto finale sull’economia reale;
- no rischi legati ad eccessivo indebitamento del settore privato: affinché il finanziamento monetario
della spesa pubblica stimoli l’economia reale non è necessario che vi siano soggetti disposti ad
indebitarsi, ma anzi è strumento che consente di ridurre l’indebitamento senza cadere in una spirale
deflazionistica e quindi in recessione;
- no rischi legati ai tassi di interesse zero o negativi, e quindi nessun vincolo all’entità dello stimolo
- no rischi legati alla nascita di bolle nei mercati finanziari, in quanto la maggior creazione monetaria
può essere direttamente indirizzata nel settore reale
- no rischi legai al riassorbimento delle riserve in eccesso —> rischio presente nel QE
4) Il grado di stimolo può essere controllato e dosato —> Proposte per il contenimento dei rischi politici
Secondo Turner, benché il finanziamento monetario sia tecnicamente valido e fattibili, esistono degli innegabili rischi
politici connessi al suo utilizzo:
✓ Uso di successo del finanziamento monetario —> Es. Cittadina cinese di Chongqing, creata nel 1997 in
seguito alla costruzione della diga delle “tre Gole”, ad oggi è una delle principali metropoli del mondo e
conto circa 36M abitanti. In questo caso il finanziamento monetario è stato usato in modo opportuno,
impiegando la moneta emessa per investimenti in edilizia ed infrastrutture: ↑M V = P ↑Y
X Uso non di successo nel finanziamento monetario —> Es. Repubblica di Weimar, Germania, la moneta
emessa non è stata impiegata per fini produttivi perciò, data la grande quantità di moneta in circolazione a
fronte di un tessuto industriale e produttivo distrutto dalla guerra, ha solo causato inflazione: ↑ M V = ↑ P Y
Sono quindi state avanzate delle proposte per il contenimento dei rischi politici, le quali si differenziano per il
tipo di governance:
1. MMT (Modern Monetary Theory) e Positive Money attribuiscono dominanza al Tesoro che, sotto il controllo
democratico, dovrebbe decidere l’entità e destinazione dell’intervento secondo politiche discrezionali.
2. MP3 (Bridgewater Monetary Policy 3, società di gestione degli investimenti fondata da Ray Dalio), SEFF
(Standing Emergency Fiscal Facility) e Turner propendono invece per una dominanza della BC e per
politiche guidate da regole fisse secondo il seguente schema:
a. un’autorità monetaria independente avente come obiettivo la stabilità monetaria determina la quantità
dello stimolo sulla base di regole automatiche
b. il governo decide l’utilizzo della capacità di spesa addizionale (investimenti/riduzione delle tasse).

MONETA ELETTRONICA DI STATO


Un ultimo strumento proposto, anche se con due accezioni differenti, per consentire al Settore pubblico di fornire nuove
risorse monetaria direttamente all’economia reale (soggetti privati) aggirando i canali intermedi è rappresentato dalla
creazione di una MONETA ELETTRONICA DI STATO.
I. PROPOSTA: Central bank digital currency (CBDC) —> Emissione da parte della BC di moneta digitale (= denaro
contante e riserve), elettronica (riserve e denaro c/c) ed universalmente accessibile (= denaro contate, denaro del c/
c).
II. PROPOSTA: Moneta elettronica di Stato che paga interessi, avanzata dal Prof. John Cochrane —> Emissione
da parte del Tesoro di titoli pubblici con le seguenti caratteristiche:
• Perpetuo: debito pubblico senza scadenza
• Floating rate: con tasso di rendimento variabile giornaliero (overnight), deciso dal governo in linea con i tassi
a breve desiderati o target della BC
• Fixed Value: essendo accetto dalla PA alla pari, il titolo ha un valore nominale fisso pari 1, cioè non è
soggetto a fluttuazione nel valore di mercato (spread, insensibile all’andamento dei tassi)
• Scambiabile elettronicamente ed a costi irrisori grazie alla standardizzazione del titolo —> mercato
estremamente liquido
• Esente da tasse
Essendo un titolo perpetuo, a valore nominale costate, scambiabile elettricamente, per i risparmiatori equivale ad un
c/c privo di rischio (data l’assenza di rischio fallimento dello Stato che giova del sostegno della BC ≠ rischio
fallimento della banca commerciale di riferimento): si è ottenuto una moneta elettronica di Stato che paga
interessi, annullando pertanto la differenza tra debito pubblico che paga interessi e moneta con cui si effettuano i
pagamenti.
Possiamo così riassumere i vantaggi della proposta di Cochrane:
-
Introduzione di un reale risk free asset
-
Assenza del problema di rinnovo alla scadenza del debito pubblico, in quanto titolo perpetuo
-
Assenza di fluttuazioni nel valore del debito pubblico —> assenza di attacchi speculativi
-
Controllo diretto sulla quantità di moneta in circolazione, riproponendo per la moneta elettronica quanto fatto con
successo 150 anni fa per la moneta cartacea: convertire un sistema di creazione monetaria privato,
decentralizzato, instabile e prociclico in un sistema centralizzato, trasparente e direttamente controllabile da parte
di istituzioni pubbliche.

Le proposte avanzate, pur differenziandosi per il tipo di governance proposto essendo l’emissione nel primo caso sotto il
controllo della BC e nel secondo caso sotto il controllo del Tesoro, consentono di ristabilire una gestione centralizzata
della creazione monetaria portando l’emissione di moneta digitale sotto il controllo dell’autorità centrale, eliminando così
un sistema di creazione monetaria decentralizzato, instabile, tendenzialmente prociclico e che è alla base della
recessione economica.

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