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Primo modulo - Prof. Corsi
MONETA E LIQUIDITÀ(Blocco slide 1)
“Moneta è qualsiasi cosa le persone siano disposte ad accettare in cambio di beni e servizi, nella convinzione di poter, a
loro volta, scambiarla nel presente o nel futuro, in cambio di altri beni e servizi.” (US Congress, Banking and Currency
Commitee 1964).
La moneta è “memoria sociale” (Kocherlakota, 1989), in quanto:
-
chi oggi possiede una moneta, in passato ha fatto qualcosa o ha ceduto qualcosa (appunto in cambio di moneta)
-
il fatto di possedere la moneta gli da a sua volta il diritto a ricevere altri beni dalla società.
—> La moneta si presenta quindi come una forma di tecnologia e contabilità sociale , che tiene conto dei rapporti di
debito e credito che intercorrono tra gli agenti all’interno della società. Il fatto che la moneta assuma una determinata
forma, fisica o non fisica, è del tutto secondario.
—> È quindi impossibile avere un’economia sviluppata basata sul baratto, ma è necessario ricorrere ad uno strumento -
quale la moneta - che assolve la funzione di intermediario degli scambi e di unità di misura, la quale permette di
attribuire un valore agli altri beni.
Storicamente la prima forma di moneta sviluppatisi è la MONETA MERCE: si tratta di un caso di baratto indiretto, il
quale semplifica gli scambi e richiede che ci sia una merce per favorire lo scambio e che faccia da intermediario nelle
transazioni.
•
Al riguardo vale che:
la moneta merce deve essere uno strumento socialmente accettato come moneta;
•
una merce che abbia una utilità utilità intrinseca, e che quindi sia vendibile, prevale sugli altri beni come mezzo di
pagamento.
Ne consegue quindi le seguenti caratteristiche della moneta merce:
• Stabilità del valore nel tempo —> non deve essere un bene facilmente ed eccessivamente deperibile, altrimenti la
sua accettabilità è ridotta
• Trasportabilità
• Indistruttibilità
• Omogeneità —> non deve dipendere dalla qualità del tipo di merce considerato
• Divisibilità (e ricomponibilità)
• Utilità (valore intrinseco)
• Riconoscibilità —> che si possa vedere se è stata alterata o meno
Di fatto nell’arco della storia la moneta ha assunto molte forme diverse, molteplici beni sono stati accettati da tutti come
moneta-merce: grano, conchiglie, sale e spezie, pietre giganti, per poi arrivare poi ai vari tipi di metallo, in particolare
oro, argento e rame, i quali divennero la forma di moneta-merce più diffusa. In particolare, le pietre giganti venivano
utilizzate come moneta da alcune popolazioni della Micronesia, nell’Oceano Pacifico, dove una rara pietra divenne la
moneta utilizzata per le transazioni importanti, non trasferendola, ma comunicando pubblicamente che la proprietà di
quella moneta passava da un soggetto all’altro: si tratta di una forma di contabilità decentralizzata, per cui si comunica a
tutti chi è il possessore della pietra-moneta. Questa forma di moneta è legato ad un concetto estremamente moderno,
quale quello delle CRIPTOVALUTE, ossia una forma di moneta avente una struttura decentralizzata.
La MONETA METALLICA, affermatasi già dal 3°millennio a.C, presenta vari vantaggi ma non è esente da problemi di
diversa natura.
Vantaggi:
• Elevato valore intrinseco;
• Divisibilità;
• Rarità;
• Non deperibilità.
Svantaggi:
• Difficile verificare l’effettivo contenuto di metallo nobile, e quindi il valore effettivo della moneta ricevuta nello
scambio. —> Per sopperire a questo problema e garantire il contenuto di metallo nobile della moneta venne
introdotto il CONIO DEL RE, garanzia di sicurezza che facilitava gli scambi. Storicamente il primo conio fu lo
Statere di Creso, Re di Lidia (Turchia) VII secolo a.C, per poi diffondersi in tutto il mondo antico. Tuttavia,
trattandosi di una moneta-merce, la moneta metallica ha ancora un valore intrinseco, per cui si presta al
problema della tosatura (limatura) e delle “monete suberate”, forma di diluizione del valore intrinseco della
moneta per cui il regnante stabiliva di coniare la moneta riducendo il contenuto di metallo nobile ed aumentano la
quantità degli altri metalli meno nobili. A fronte della circolazione di monete aventi un valore intrinseco diverso le
une delle altre, si afferma la Legge di Gresham, per cui “la moneta cattiva scaccia quella buona”, cioè fra due
monete di pari valore legale verrà utilizzata nella circolazione quella a minor valore intrinseco, mentre l’altra verrà
tesaurizzata (accantonata).
• Sicurezza, ossia il rischio di essere derubato dalla moneta metallica posseduta. Dal punto di vista storico, il
problema della sicurezza fu in realtà risolto prima ancora dell’avvento della moneta metallica, moneta-merca, con
la creazione ai tempi dei sumeri delle c.d. fedi di deposito, le quali rappresentano la prima forma di moneta
segno o moneta fiduciaria, nate in un contesto religioso legate ai tempi sacri, che in quanto luoghi inviolabili
venivano utilizzate anche per la custodia di oggetti di valore. A fronte della consegna venivano infatti rilasciate ai
depositanti le fedi di deposito, ossia documenti, inizialmente in argilla e poi di papiro o carta, privi di valore
intrinseco che attestavano il deposito di un certo quantitativo di oggetti preziosi. Di fatto, anziché spostare la
merce preziosa che sarebbe poi stata nuovamente depositata presso il tempio, si trasferivano direttamente le
fedi di deposito che venivano quindi utilizzate come mezzo di pagamento.
La moneta fiduciaria scomparve nel periodo dell’Impero Romano, per poi essere reintrodotta alla caduta dello stesso
quando la situazione divenne nuovamente caotica e pericolosa per gli spostamenti. In particolare durante le crociate i
templari cominciarono a svolgere un servizio di trasferimento di ricchezza da un posto all’atro, consentendo ai crociati di
depositare prima della partenza le proprie ricchezze nelle fortezze possedute dai Templari e poi ritirarle una volta giunti
in Terrasanta. I templari rilasciavano ai crociati fedi di deposito, le quali a loro volta divennero forme di moneta. Con la
soppressione dell’ordine dei templari (1312) e l’avvento della partita doppia, la struttura delle fedi di deposito così
sviluppata venne riprodotta su larga scala e in modo più organizzato soprattutto in Italia (Siena, Firenze, Genova e
Venezia) da parte di una serie di famiglie di cambia valute italiani che svolgevano una funzione analoga a quella dei
templari, inizialmente solo in Italia e poi diffondendosi in Europa: depositando l’oro presso il banco del cambio valute o
orafi si riceveva una nota di banco attestante il deposito. Inizialmente la nota di banco svolge solo la funzione di
ricevuta, tale per cui per acquistare dei beni il mercante doveva restituire la ricevuta di deposito al banco in cambio di
monete d’oro e consegnava queste ultime ad un altro mercante in cambio del bene che voleva acquistare; quest’ultimo a
sua volta depositava le monete d’oro presso un banco.
Successivamente ci si rese conto che note di banco emesse dai banchi più conosciuti potevano essere utilizzate
direttamente come mezzo di pagamento accettato per le transazioni commerciali (banconote: l’orafo/cambiavalute
diventa banchiere. Poiché le banconote venivano utilizzate direttamente negli scambi, i primi banchieri si resero conto
che non tutti i depositanti venivano allo steso a chiedere di riconvertirle in monete d’oro ma che solo una piccola parte
delle monete metalliche veniva effettivamente ritirata, pertanto iniziarono ad emettere più banconote rispetto alla
quantità di monete d’oro in riserva e a prestarle facendo pagare un tasso di interesse: ha inizio la pratica della riserva
frazionaria, quale emissione di un ammontare di banconote superiore alla riserva di oro a disposizione, la quale
costituisce pertanto solo una frazione della quantità di banconote emesse.
I Banchieri iniziarono a prestare ai Regnanti, principalmente per il finanziamento delle guerre, in quanto ciò li consentiva
di assumere, in cambio dei presiti, una funzione pubblica e quindi la gestione del debito pubblico e la riscossione delle
imposte per conto del regnante: es. banchieri genovesi erano i principali prestatori della Corona spagnola tramite la
Casa si San Giorgio (1408). Al riguardo, nel 1694 a seguito di un importante sconfitta navale contro i francesi 1268
sottoscrittori si riunirono per concedere un grosso prestito allo Stato per la ricostituzione della flotta, ottenendo in cambio
la gestione del debito pubblico, della riscossione delle imposte e la possibilità di stampare banconote: nasce la Bank of
England, prima banca centrale in assoluto, la quale iniziò ad emettere banconote a valore fisso.
La pratica della riserva frazionaria è alla base dell’instabilità monetaria, e quindi dei periodici e frequenti periodi di crisi
bancarie osservate nei secoli successivi: il diffondersi del panico in momenti di crisi determinava una corsa agli sportelli
che non poteva essere sostenuta dalle banche. Per porre fine a tale problema si istituì il monopolio all’emissione delle
banconote da parte delle Banche Centrali, per cui solo a Banca Centrale poteva emettere banconote, mentre le banche
private non potevano più emettere banconote cartacee: prima di questo momento ogni banca emetteva le sue
banconote, ciascuna delle quali aveva un diverso valore in base al grado di fiducia che vi era nei confronti della banca
emittente.
La banconota, nata come evoluzione della nota di banco dei privati, storicamente è sempre stata oggetto di emissione
bancaria, tuttavia vi sono stati rari casi di banconote non bancarie ma emesse direttamente dallo stato. Al riguardo si
ricorda:
-
i Greenbank emessi da A. Lincoln per finanzia le spese di guerra durante la guerra civile (1860)
-
le Am-Lire (le “lire americane”), introdotte dagli alleati in Italia alla fine della II Guerra mondiale al fine di rimettere in
moto l’economia
-
i Biglietti di Stato Italiano (es: quello da 500 lire), emesse dallo stato Italiano come sostituzione della moneta metallica
la cui emissione sarebbe stata più costosa del valore metallico della moneta.
LEZIONE 2 26/02/21
CONVERTIBILITÀ IN ORO DELLE BANCONOTE
Benché le banconote fossero strumento privilegiato di scambio tra i soggetti privato, l’oro restava un elemento
fondamentale del sistema monetario, sia a livello nazionale che a livello internazionale, in quanto da un lato a livello
internazionale gli scambi commerciali venivano regolati in oro, e dall’altro lato l’oro restava, almeno in linea di principio,
la base dell’emissione di banconote anche se come un multiplo (l’oro era una frazione dell’ammontare di banconote
emesse) —> Sistema di Gold Standard, per cui l’oro è alla base degli scambi internazionali e dell’ammontare di
banconote emesse all’intero dei singoli paesi. In linea teorica, il GS costituisce un sistema autoregolante:
• paesi in surplus commerciale —> affisso di oro —> inflazione —> il surplus diminuisce, dato l’aumento del costo dei
beni prodotti
• paesi in deficit commerciale —> deflusso di oro —> deflazione —> il deficit diminuisce, dato la riduzione del costo dei
beni prodotti (più competitivi)
In realtà in questo aggiustamento automatico vi era un problema: i paesi in surplus non erano obbligati ad aumentare la
quantità di moneta in circolazione, ma poteva aumentare l’oro senza aumentare la quantità di moneta in circolazione:
sterilizzazione dell’afflusso di oro (= non aumentare la quantità di moneta). In altri termini, i paesi in surplus possono
mantenere il surplus senza alcun problema, mentre il peso dell’aggiustamento grava sui paesi in deficit, costretti ad
attuare una politica deflazionistica per recuperare competitività sul mercato, aumentare le esportazioni e diminuire le
importazioni.
Tipicamente durante le guerre la convertibilità delle banconote in oro veniva sospesa, in quanto queste richiedevano
ingenti investimenti a cui si faceva fronte attraverso un’incremento dell’emissione di banconote (inflazione) rispetto alla
quantità di oro disponibile.
Ciò poneva un rilevante problema al termine della guerra: come ripristinare il cambio tra la banconota e il valore dell’oro?
◉
Ripristinare il cambio pre-guerra, con una moneta forte —> a vantaggio dei creditori, che non vogliono essere pagati
con una moneta svalutata, ma vogliono che la moneta torni ad essere forte, ossia ad avere il potere di acquisto ante-
guerra
◉
Mantenere il cambio post-guerra, con una maggiore quantità di banconote in circolazione —> a vantaggio dei
debitori, che hanno interesse a svalutare la moneta in modo da ripagare i propri debiti con una moneta avente un
valore minore, ossia che in termini reali acquista meno beni.
Nello scontro, tipicamente avevano la meglio i creditori, tuttavia ripristinare un cambio pre-guerra imponeva una notevole
riduzione della massa monetaria in circolazione, e quindi una forte deflazione, la quale inevitabilmente comporta una
forte contrazione economica. Inoltre, dal punto di vista dei debitori, è molto più difficile ripagare un debito in un contesto
di deflazione piuttosto che in un contesto di inflazione, aspetto che mette in ulteriore difficoltà i debitori, che tendono a
fallire più facilmente, andando quindi ad aggravare ulteriormente la recessione economica già indotta dalla deflazione.
—> Come facilmente intuibile, il tentativo di molti paesi di ripristinare la convertibilità della sterlina al livello pre-guerra,
andando ad innescare periodi di forte crisi economica, fu uno dei fattori di destabilizzazione dell’economia mondiale.
Il sistema monetario basato sul gold standard regge sostanzialmente fino alla I Guerra Mondiale (1914-1918), durante la
quale si ebbe la sospensione generale della convertibilità. Al termine della prima guerra mondiale viene reintrodotto non
il gold standard puro che prevaleva nel mondo precedente alla scoppio della prima guerra mondiale, ma viene adottato il
sistema del gold exchange standard, con il quale soltanto il dollaro statunitense e la sterlina britannica erano
direttamente convertibili in oro, mentre le tutte le altre valute, vale a dire le valute della maggiorate dei paesi, non erano
direttamente convertibili in oro ma nelle valute straniere pienamente convertibili (dollaro e sterlina), e poi eventualmente
in oro. Di fatto, gli Stati Uniti, che entrano nella prima guerra mondiale come il più grande debitore mondiale e ne escono
come i più grandi creditori mondiali, diventano il principale detentore di riserve auree a livello planetario.
Essenzialmente, gli Stati Uniti al termine della guerra acculano crediti e una forte quantità di oro per i pagamenti dovuti
allo sforzo bellico, e quindi un surplus di bilancia commerciale: ciò dovrebbe comportare un aumento dei prezzi, che
viene però evitato adottando una politica di sterilizzazione dell’oro, che quindi non viene messo in circolazione, nonché
una politica protezionistica aggressiva sul proprio mercato interno, scoraggiando così le importazioni e favorendo
ulteriormente le esportazioni. Ciò fa si che il riequilibrio della bilancia dei pagamenti diventi impossibile, e gli Stati Uniti
continuino ad accumulare attivi nella bilancia dei pagamenti.
In questo contesto il tentativo di molti di paesi di ripristinare la convertibilità della sterlina fu uno dei principali fattori di
destabilizzazione dell’economia mondiale, ma rendendosi conto dell’impossibilità di quanto desiderato si iniziò ad
abbandonare definitivamente il gold standard: nel settembre del 1931 la sterlina abbandona il Gold Standard, e fu
seguita rapidamente anche dagli altri paesi, tra cui l’Italia che nel 1935 sospende “in via temporanea” per la guerra
d’Etopia la convertibilità.
Gli anni ’30 furono quindi anni di grande instabilità economica, sia a livello nazionale che a livello internazionale, data la
mancanza dell’ancoraggio all’oro e la guerra commerciale-valutaria che ne è derivata, per cui ogni paese tentava di
ricostituire le riserve auree perse durante lo sforzo bellico cercando di esportare di più di quanto importato. Una guerra
commerciale giocata in termini di svalutazione monetaria nonché di introduzione di politiche di restrizione delle
importazioni.
Alla fine della II Guerra Mondiale i paesi vincitori vincitori - tra cui la Gran Bretagna, grande potenza in declino, e gli Stati
Uniti, grande potenza in ascesa - si riunirono a Bretton Woods per dare una struttura più coerente all’architettura
monetaria internazionale. A Bretton Woods di confrontarono due piani per il futuro mondiale:
-
quello di Harry Dexter White, rappresentate degli Stati Uniti,
-
quello di Keynes, che prevedeva l’adozione di una moneta internazionale, il “bancor”, il cui valore sarebbe stato
all’inizio basato su quello di 30 merci commerciate internazionalmente e che sarebbe stato distribuito basandosi sulle
quote di commercio internazionale dei vari paesi; il bancor avrebbe dovuto rimpiazzare l’oro e a differenza di
quest’ultimo poteva essere gestita, in quanto se ne poteva ridurre o aumentare la quantità a seconda delle esigenze.
Keynes reputava il GS e l’ancoraggio all’oro “una reliquia barbarica”. Caratteristica del bancor: sia chi fosse stato in
deficit sia in surplus di bancor, avrebbe dovuto pagare un interesse passivo, e ciò al fine di incentivare sia i paesi in
deficit sia in paesi in surplus a correggere gli squilibri commerciali.
Il piano di Keynes venne battuto dalle proposte statunitensi, avanzata da White, che di fatto miravano a ristabilire il gold
exchange standard lasciando il dollaro statunitense come unica valuta centrale del sistema monetario e finanziario
internazionale. Più precisamente gli ACCORDI DI BRETTON-WOODS (1944) prevedevano un’architettura economico-
finanziaria basata sui cambi fissi e con un forte controllo statale, nell’ambito della quale l’oro è la moneta di ordine
superiore e il dollaro è l’unica moneta direttamente convertibile in oro ad un tasso fisso (35 dollari all’oncia), mentre tutte
le altre monete erano convertibili in dollari ma non direttamente in oro ad un sistema di cambi fissi.
Il sistema definito a Bretton Woods aveva 5 caratteristiche principali:
Impegno da parte tutti gli stati a contenere le fluttuazioni cambio entro ± 1%
Istituzione del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), per finanziare eventuali squilibri temporanei nella bilancia dei
pagamenti
In caso di squilibri strutturali il Fmi poteva autorizzare riallineamenti con il dollaro, e quindi svalutazioni o
rivalutazioni del tasso di cambio, ma questi dovevano essere però concordati con tutti gli altri paesi attraverso il Fmi
Se un Paese era in posizione di surplus strutturale, il Fmi avrebbe potuto autorizzare gli altri stati ad utilizzare
politiche protezionistiche (es. dazi)
I movimenti internazionali di capitali erano ristretti, ossia i residenti di un paese potevano acquistare valuta estera
solo per acquisto di beni o servizi.
L’accordo di Bretton Woods fu considerato sin dall’inizio eccessivamente rigido, in realtà confrontando questi ultimi con
gli accordi su cui è costruito l’euro e l’unione monetaria europea possiamo osservare come la governance dell’Euro è
molto più rigida da quella prevista da Bretton-Woods: avendo unificato la moneta a livello europeo anziché limitarsi alla
previsione di un sistema di cambio fisso non sono consentite fluttuazioni, non è prevista alcuna istituzione
sovranazionale che consenta di finanziare gli squilibri temporanei, inoltre al contrario di B-W nell’architettura europea
non c’è nessuna forma di limitazione nei movimenti di capitale, elemento che può rappresentare un forte rischio.
DILEMMA DI TRIFFIN —> Porre al centro del sistema monetario il dollaro, moneta nazionale, anziché qualcosa di
nuovo (es: bancor), e quindi adottare come moneta internazionale una moneta che è anche moneta interna di una
nazione pone un problema notevole legata alla scelta, per la nazione emittente, fra obiettivi esterni e interni, tipicamente
antagonisti tra loro:
-
se emettere la moneta sulla base di obiettivi interni, e quindi calibrare l’emissione sulla base delle necessità di
economia interna —> mantenere una politica di emissione moderata, il che avrebbe però impedito agli altri paesi di
disporre una quantità di moneta sufficiente per condurre scambi internazionali
-
e emettere la moneta sulla base di obiettivi esterni, e quindi calibrare l’emissione sulla base delle necessità degli altri
paesi di avere moneta per effettuare gli scambi a livello internazionale —> emettere molta moneta
Gli Stati Uniti deciso di perseguire l’obiettivo esterno, e quindi concedere l’utilizzo del dollaro agli altri paesi stampando e
inondandone il resto del mondo, ad eccezione del blocco sovietico rimasto escluso dall’architettura delineata a Bretton
Woods. In particolare gli Stati Uniti decisero sia di stampare moneta, sia di diminuire le esportazioni così da mantenere
una bilancia commerciale in deficit in modo da mantenere una forma di finanziamento continuativa dei commerci
internazionali (in questo modo si alimenta il flusso di dollari vero gli altri paesi facendoli restare anche in circolazione al
di fuori degli Stati Uniti). Gli Stati Uniti passarono quindi da un forte surplus commerciale ad un forte deficit commerciale,
in parte voluto per mantenere forma di finanziamento continuativa dei commerci internazionali, ma anche perché ci si
rese conto che in tal modo era possibile consumare prodotti stranieri semplicemente stampando moneta: possibilità
definita “privilegio esorbitante”, espressione utilizzata per indicare la capacità degli Stati Uniti pagare le spese
internazionali e quindi di finanziare il proprio deficit commerciale in valuta domestica, semplicemente stampando dollari.
Questo porta gli Stati Uniti negli anni ’60 ad avere una bilancia commerciale fortemente in deficit, aspetto che fu
ulteriormente aggravata dalle politiche sociali interne intraprese con Kennedy e dalle guerre esterne (guerra di Corea,
guerra del Vietnam), che imposero un’ingente sforzo economico enorme agli stati Uniti, finanziato con l’emissione di
moneta. —> Politica di burro e cannoni, data dalla combinazione di politiche sociali interne e politiche belliche esterne.
A fronte di questa enorme emissione di dollari, gli altri paesi nel giro di pochi anni passarono da una fase di
riconoscenza ad una fase di forte critica nei confronti della struttura di finanziamento adottata dagli stati uniti e ciò in
quanto consapevoli che le riserve di dollaro accumulate per finanziare gli scambi internazionali, in termini di oro, stavano
perdendo valore (stampando molta moneta, il valore reale del dollaro rispetto all’oro tende a svalutarsi). Essendo il tasso
di cambio fisso, molti paesi iniziarono quindi a richiedere la conversione dei dollari posseduti in oro, determinando una
graduale riduzione delle riserve auree statunitensi, la quale costrinse nel 1971 il presidente Nixon ad annunciare la fine
completa dell’ancoraggio aureo della moneta, ossia decise di bloccare la conversione del dollaro in oro. —> Sui mercati
finanziari al contrario delle previsioni catastrofali degli economisti non successe niente: si è avuta in tal modo la prova
che il valore di una moneta non dipende dall’ancoraggio ad un metallo nobile, bensì dalla forza dell’economia che sta
dietro a quella moneta.
‣ Monete metalliche, equivalente moderno della moneta-merce a valore intrinseco benché non sia più di metallo
nobile.
‣ Banconote, prima forma di moneta-fiduciari/moneta-segno.
‣ Riserve di banca centrale (riserve bancarie), utilizzate
solo dalle banche per effettuare pagamenti tra loro o con la
banca centrale, e non utilizzabile dal singolo individuo.
‣ Depositi bancari (moneta bancaria), e-money (moneta
elettronica), e altre forme di moneta bancaria o
fiduciaria
‣ Bit Coin e altre cripto-valute
Le monete metalliche e le banconote costituiscono il circolante,
utilizzato da tutti i soggetti economici. Il circolante e le riserve di
banca centrale costituiscono la base monetaria.
Ciò che noi usiamo come moneta si trova nel passivo dei soggetti bancari, sia che siano la banca centrale che le banche
commerciali:
N.B: L’oro costituisce una parte minoritaria nell’attivo di bilancio della BC, ed è scomparso interamente all’attivo di
bilancio delle banche commerciali, tale per cui non è più l’oro (o non lo più in misura prevalente per la BC) che
garantisce i depositi ma gli investimenti effettuati dalla banca con le disponibilità economiche in proprio possesso. In un
Formalmente il circolante compare nel passivo di bilancio della BC, tuttavia esiste in alcuni settori del mondo
accademico un dibattito in merito alla natura di passività del circolante per la BC: cosa si impegna la BC a restituire in
cambio di una banconota? Niente data la sospensione della convertibilità in oro della moneta, al massimo la BC in
cambio di una banconota me ne restituisce un’altra meno usurata, banconota a fronte di banconota in un rapporto (tasso
di cambio) 1:1 e nient’altro. La banconota posseduta non mi attribuisce alcun diritto di rivalersi sull’attivo della BC, e
quindi a ricevere una restituzione di titoli o altre attività finanziarie presenti nell’attivo della BC.
LA MONETA PUBBLICA: IL CORSO LEGALE —> Il CORSO LEGALE è uno strumento attraverso il quale lo Stato
consolida la fiducia nella moneta. Sotto il profilo giuridico, il circolante è l’unica moneta con corso legale, il quale
comporta:
- l’obbligo di accettazione per legge
- il potere di estinguere l’obbligazione di pagamento
- l’accettazione al valore nominale pieno: il valore monetario della moneta con corso legale è pari all’importo
indicato su di essa
LA MONETA PRIVATA: LA MONETA BANCARIA
Tuttavia oggi, come già detto, altre forme di moneta sono accettate, ed in particolare la
moneta bancaria, emessa dalla banca e rappresentata dai depositi, a fronte della cui
emissione, in un sistema monetario moderno, non vi è più oro ma attività finanziarie molto
liquide e di alta qualità pari ad una frazione dei depositi stessi: si parla di sistema bancario
“frazionato”, struttura che costituisce la versione moderna della riserva frazionaria
medioevale. Si ricorda che le banche al giorno d’oggi non possono emettere banconote
(monopolio di emissione per la BC).
Se il pagamento deve essere effettuato nei confronti di un soggetto che ha un conto presso la stessa banca, questa non
fa altro che addebitare, ossia ridurre il deposito del pagatore, e ad accreditare la somma relativa al deposito del
creditore. Diversamente se il creditore/venditore ha un c/c presso una banca diversa da quello del debitore/acquirente,
la banca del secondo realizza il trasferimento del deposito dal debitore al beneficiario (addebito e accredito) nonché le
riserve di banca centrale dal proprio conto a quello della banca del creditore, dove la riserva di BC rappresenta la
moneta utilizzata dalla banca per saldare i pagamenti tra loro. La banca B è così disposta ad avere un nuovo debito nei
confronti del venditore/creditore.
2. Trasformazione delle scadenze —> Le banche trasformano passività di famiglie e imprese a lungo termine e poco
liquide (prestiti) in passività bancarie liquide e brevissimo termine (depositi): al momento del prestito, a fronte di un
“obbligo di pagamento” poco liquido e a lungo termine sottoscritto da un individuo o un’impresa (quale passività del
settore privato non bancario), le banche offrono agli stessi un “obbligo di pagamento” a vista (passività del settore
bancario), creando un debito ed un credito nei confronti della persona cui presta consentendoli di utilizzare i depositi
che a partire da quel dato momento in poi ha presso la banca. Dal punto di vista contabile si apre un prestito nel lato
dell’attivo e un deposito nel lato del passivo. Vi è quindi uno squilibrio tra le scadenze dell’attivo e del passivo che
pone il sistema bancario in una situazione di fragilità, ragione per cui da sempre le banche sono state molto
regolamentate e garantite.
La moneta è tipicamente caratterizzata da liquidità, dove un bene è tanto più liquido quanto minori sono i suoi costi di
utilizzo come mezzo di pagamento. La moneta (contante) è il mezzo di pagamento perfettamente liquido per eccellenza,
in quanto comporta costi di transazione nulli.
I costi di transazione possono essere suddivisi in due tipi: costi certi e costi incerti - legati al rischio di un possibile
deprezzamento di un titolo finanziario o di un bene reale posseduto, tale per cui non conosco a priori e non ho certezza
in merito al prezzo a cui li venderò sul mercato, e quindi alla moneta che riuscirò ad incassare, per convertirli in mezzo di
pagamento - , dove quest’ultimi creano un collegamento tra il concetto di liquidità e quello di rischiosità di uno strumento
finanziario:
Esistono strumenti con diversi gradi di liquidità, la quale diminuisce all’aumentare dei costi di transazione. Esistono
vantaggi e svantaggi nell’avere uno strumento finanziario più o meno liquido o illiquido, ossia in altri termini esiste un
trade-off tra costi di transazione e costo opportunità (mancato rendimento): se detengo tutta la mia ricchezza in contante
sostengono un costo opportunità, rappresentato dal mancato rendimento di un’eventuale investimento alternativo.
DEF: Gli aggregati monetari misurano la quantità complessiva, esiste in un dato momento nel sistema economico, di
“moneta” e di quelle attività finanziarie che per il loro elevato grado di liquidità possono svolgere le stesse funzioni della
moneta (c.d. quasi-moneta).
Quanto detto ci permette di comprendere come, in realtà, definire la moneta non è semplice. Uno dei maggiori studiosi
di economia monetaria, J. Hicks, dice: ‘la moneta è ciò che la moneta fa”, quindi l’attenzione ricade sulle sue funzioni
(definizione funzionale):
I. Unità di conto: la moneta è misura del valore di scambio, ossia è utilizzata per confrontare in maniera omogenea
il valore che la società, attraverso il mercato, attribuisce a beni e servizi diversi tra loro.
II. Mezzo di pagamento: la moneta può essere scambiata con beni e servizi, per cui l’acquirente consegna moneta
al venditore e si libera di ogni obbligo nei confronti di quest’ultimo che, accettandola ne riconosce il valore.
Segue che questo aspetto richiede l’accettabilità dello strumento monetario
III. Riserva di valore: la moneta permette di spostare nel tempo la quota di reddito che non viene utilizzata
immediatamente per consumare beni e servizi, in altri termini essa conserva il suo valore di scambio (valore
nominale) nel tempo.
Tradizionalmente e normalmente quando esiste un’unità di conto, questa viene utilizzata anche come mezzo di
pagamento, inoltre la moneta è mezzo di pagamento solo in quanto incorpora potere di acquisto, quindi deve essere
anche riserva di valore (mezzo di pagamento => riserva di valore), ma non è necessariamente vero il viceversa
(riserva di valore ≠> mezzo di pagamento), ossia non sempre ciò che è riserva di valore non può essere utilizzato
come mezzo di pagamento.
La funzione di riserva di valore quindi non è tipica della moneta, ma è comune a tante altre attività finanziarie o reali,
tuttavia la moneta si differenzia da queste perché svolge contemporaneamente tutte e tre le funzioni, presentandosi
di conseguenza come la riserva di valore più liquida, in quanto assolve anche la funzione di mezzo di pagamento.
N.B: Le monete utilizzate oggi nelle principali economie non hanno un valore intrinseco legato al valore del materiale di
cui sono composte, per cui il fatto che la moneta sia “riserva di valore” non significa che essa “contenga” valore, bensì
che lo “rappresenta”, ed il riconoscimento del suo valore dipende dalla fiducia da parte di chi la riceve in una transazione
di poterla utilizzare in futuro in altre transazioni.
Accanto alla prima triade sulle funzioni della moneta, Hicks ne individua una seconda relativa ai determinanti della
domanda di moneta da parte degli agenti economici, ossia ai motivi per cui i soggetti domandano moneta:
I. Movente transattivo —> si detiene moneta in previsione del sostenimento di spese future certe
II. Movente precauzionale —> si detiene moneta in previsione del sostenimento di spese future incerte
III. Movente finanziario-speculativo —> detenere una parte della propria ricchezza sotto forma di moneta ha
anche dei vantaggi sotto il profilo finanziario-speculativo (vedremo poi con la visione keynesiana della domanda
di moneta)
STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO: LA VISIONE DELLA MONETA(Blocco slide 2)
VISIONE NEOCLASSICA: MEZZO DI SCAMBIO
I neoclassici sottolineano principalmente la funzione di mezzo di scambio della moneta. Nonostante ciò nei modelli di
equilibrio economico generale neoclassici la moneta è in realtà “inessenziale” e tutti gli scambi - relativi ai mercati
presenti, futuri e anche contingenti/eventuali nei possibili stati di natura futuri- avvengono in un unico momento
“zero” (economia centralizzata):
• non c’è ruolo per la moneta come riserva di valore
• non c’è ruolo per la moneta come mezzo di pagamento
Gli stessi neoclassici tuttavia si rendevano conto che quanto appena detta non permetteva di descrivere il
funzionamento del sistema economico reale, per cui riconoscono l’importanza e il ruolo della moneta in un’economia a
causa della mancata sincronia tra incassi e pagamenti (economia decentralizzata): la moneta è vista come come un
lubrificante degli scambi, un velo monetario, un qualcosa che consente e facilita gli scambi senza influenzare gli
andamenti economici, senza alcun effetto reale ma con soli effetti sul livello dei prezzi (effetto monetario).
Per i neoclassici quindi la domanda di moneta dipende quindi da:
• fattori istituzionali-comportamentali (intervallo incassi/spesa; abitudini di spesa degli agenti)
• fattori di tipo economico (es. reddito ricevuto o quantità di acquisti che si desidera effettuare => principalmente
movente transattivo)
L’approccio neoclassico si scontra tuttavia con un problema teorico legato al valore/utilità della moneta: se la moneta
viene detenuta solo in quanto mezzo di scambio che permette di sincronizzare le entrate con le uscite, allora essa non
ha valore in sé ma ha valore soltanto in quanto poi verrà scambiata con beni o servizi. In altri termini il valore della
moneta come mezzo di scambio è solo indiretto, in quanto dipende dalla quantità di beni e servizi che possono
acquistare con la moneta stessa, il che dipende dal livello dei prezzi, cioè potere di acquisto della moneta, e quindi dal
valore della moneta. => Si definisce un ragionamento circolare, per cui il valore della moneta dipende in ultima analisi
dal valore della moneta.
Il fulcro della visione neoclassica della moneta come “velo monetario” è rappresentato dalla c.d. equazione degli
scambi di Fisher (1911), basata sulla seguente identità contabile
V: velocità di circolazione della moneta (numero medio di volte in cui la moneta passa da un individuo all’altro)
P: livello generale dei prezzi
T: numero delle transazioni effettuate
L’equazione diventa teoria, arrivando così ad affermare che M influenza solo i prezzi ma non le qualità, quando si
assume che:
T possa essere approssimato dalla produzione (livello di reddito nell’economia) Y
Y è sempre al livello di piena occupazione YF (F= fisso)
V sia costante a causa di fattori istituzionali (= abitudini di pagamento, funzionamento dei mezzi di pagamento)
Ossia MV = PYF
Fissando Y e V costante, la quantità di moneta M influenza solo i prezzi P: i neoclassici giustificano la loro visione della
moneta come “velo”, la neutralità della moneta, in modo tautologico.
Dalla costanza di V e Y (che abbiamo supposto uguale ad YF), reinterpretando l’equazione degli scambi di Fisher come
domanda (reale o nominale) di moneta si ha che:
• la domanda reale di moneta è costante => M/P = Y/V
• la domanda nominale di moneta dipende dal livello dei prezzi => M = (Y/V)*P
La domanda nominale di moneta può essere quindi rappresentata come un’iperbole
equilatera, una funzione tale per cui il prodotto fra M e 1/P, le variabili sugli assi, è
costante e pari a Y/V.
Osservazioni:
- in realtà V non è costante —> assunzione non verificata nella realtà
- in realtà Y non è sempre al livello di pieno impiego —> assunzione non verificata nella realtà
- è invece vero che nel lungo periodo si ha una relazione stretta tra M e P, e in particolare tra tasso di crescita della
moneta (∆M/M) e tasso di inflazione (∆P/P). Resta tuttavia l’incertezza in merito alla direzione di causalità, chi
determina cosa, è la moneta che determina i prezzi oppure potrebbe esservi è un nesso causale inverso per cui è
l’aumento dei prezzi che determina un aumento della moneta: nonostante l’apparente bizzarria di tale affermazione,
in un sistema economico in cui la moneta è endogena (come quello odierno), creata in base alle necessità e ai
bisogni dell’economia, può accadere che un aumento dei prezzi induca ad un aumento dei mezzi monetari per
mantenere lo stesso livello di scambi.
LEZIONE 4 05/03/21
Uno dei principali esponenti della scuola neoclassica inglese è Arthur Cecil Pigou. Pigou interpreta la teoria
quantitativa della moneta come una teoria della domanda di moneta, dove tale domanda è derivata dalla
massimizzazione di una funzione di utilità tra i cui argomenti appare direttamente la moneta: Pigou cerca di
microfondare, ossia di giustificare a livello di scelte razionali individuali l’emergere della domanda di moneta sulla base di
un movente precauzionale, tale per cui la moneta dà un utilità diretta dovuta al fatto di “sentirsi tranquilli di poter
effettuare acquisti quando se ne avrà bisogno”. Si passa quindi da un visione di utilità indiretta della moneta derivante
dall’acquisto dei beni ad una di utilità diretta della moneta derivante dal detenere scorte liquide come protezione
dall’incertezza futura, utilità che si manifesta soltanto in un contesto di incertezza, in contrasto con l’approccio
neoclassico e quindi con la teoria dell’equilibrio economico generale, in cui l’economia si sviluppa in contesto di certezza
in cui pagamenti e incassi futuri sono noti e certi e il movente precauzionale non è presente.
Md = domanda di moneta
k = 1/v => Pigou microfonda anche la velocità della
moneta, che dipende dall’utilità marginale della moneta.
Quindi:
•
Per i neoclassici mezzo di pagamento M → P (livello dei prezzi)
•
Per i keynesiani riserva di valore M → r (tasso di interesse)
La moneta costituisce uno strumento di investimento alternativo e in competizione con altre attività finanziarie, ma ha la
caratteristica di essere più liquida e priva di rischio rispetta alle altre attività, caratterizzate da un grado di liquidità
inferiore, ragione per cui gli agenti economici sono disposti ad accettare moneta rinunciando al tasso di interesse che
potrebbero ottenere comprando titoli: nella visione keynesiana il tasso di interesse costituisce pertanto il “prezzo della
preferenza per la liquidità ” (Keynes), o anche, simmetricamente, il “premio per la rinuncia alla liquidità”, è un costo
opportunità. In ogni caso, gli agenti economici effettuano le proprie scelte di portafoglio, ossia sceglieranno moneta o
altre attività finanziarie disponibili sui mercati finanziari tenendo conto, oltre che della liquidità e della certezza del valore
nominale, anche della redditività e del rischio delle altre attività finanziarie: i mercati finanziari giocano un ruolo primario
nella visione monetaria keynesiana, in quanto è sui mercati finanziaria che si determina la domanda di moneta ed il
tasso di interesse che influisce sulla creazione della domanda.
APPROFONDIMNETO: STRUMENTI E MERCATI FINANZIARI
La funzione dei mercati finanziari è quella di mettere in connessione le unità in deficit e le unità in surplus, ossia i
risparmiatori con chi desidera prendere fondi a prestito. Questa relazione può avvenire attraverso il canale diretto
(emissione di titoli) oppure attraverso il canale indiretto (intervento degli intermediari finanziari). Tipicamente si distingue
tra attività reali (terra, macchinari, edifici, capitale umano che la società accumula nel tempo) e attività finanziarie: la
ricchezza di un’economia è determinata dalla sua capacità produttiva, ossia dalle attività reali, mentre le attività
finanziarie generano ricchezza solo indirettamente, in quanto sono contratti per scambiare certi beni o servizi ad una
certa data e rappresentano diritti su redditi generati dalle attività reali.
La distinzione tra attività reali e attività finanziarie è anche legata al fatto che l’attività finanziaria di un soggetto
costituisce la passività finanziaria di un altro (es. c/c bancari, azioni e obbligazioni), quindi quando si aggregano tutti i
bilanci individuali queste posizioni di cancellano restano solo le attività reali, le quali vanno quindi a rappresentare la
ricchezza nazionale netta.
I soggetti che utilizzano i mercati finanziari sono:
- Famiglie - tipicamente risparmiatori netti (acquistano titoli finanziari)
- Imprese - tipicamente debitori netti (vendono titoli finanziari) => Settore privato
Merton e Bodie propongono la seguente classificazione delle funzioni dei mercati finanziari:
I. Incontro domanda e offerta ed esecuzione dei pagamenti (Clearing and settling payments) —> Il sistema
finanziario fornisce gli strumenti per assicurare lo scambio di attività reali e finanziarie: a) fornendo meccanismi di
trading tra coloro che vogliono vendere e coloro che vogliono comprare; fornendo la cd “liquidità di mercato” ; b)
garantendo l’esecuzione dei contratti, il che comprende il matching degli ordini e conferma della transazione, e
l’esecuzione della transazione (passaggio di denaro).
IV. Gestione del rischio (risk management) —> Tramite i sistemi finanziari si dovrebbe essere in grado di
raggiungere un’efficiente allocazione dei rischi, il che è vitale per il sistema economico. In particolare, i sistemi
finanziari (insieme con le compagnie di assicurazione) finiscono modi per scambiare e controllare il rischio, come:
• la condivisione dei rischi
• il trasferimento del rischio ad agenti più amanti del rischio (speculatori)
• la diversificazione dei rischi, che sfrutta le basse correlazione che possono esistere tra rischi diversi:
cumulando rischi diversi tra loro non perfettamente correlati, il rischio complessivo si riduce per
compensazione.
V. Separare la proprietà del management —> La proprietà è suddivisa in azioni, che vengono scambiate sui mercati,
tale per cui gli azionisti possono cambiare nel tempo mantenendo però una certa stabilità nella gestione
dell’impresa perché delegata ai manager. Questa funzione è particolarmente utile quando un’impresa è molto
grande e presenta molti azionisti, in quanto un gruppo di individui di tale dimensione non può partecipare
attivamente ala gestione dell’impresa: tali azionisti eleggono quindi un consiglio di amministrazione che a sua volta
nomina e controlla i manager dell’impresa. In questo modo proprietari e gestori della società sono soggetti diversi, e
questo dà stabilità alla società. Inoltre, i mercati finanziari offrono alcune indicazioni in merito a quello che dovrebbe
essere l’obiettivo del manager: massimizzare il valore delle azioni, e quindi massimizzare il valore dell’impresa.
tuttavia i manager possono perseguire invece i propri interessi, dando luogo a potenziali conflitti di interesse, detti
“agency problems”. Un meccanismo che può essere utilizzato per mitigare gli agency problems è rappresentato dal
riconoscimento ai manager di stock options, ossia il diritto di sottoscrivere ad un prezzo determinato azioni di
futura emissione, e quindi la possibilità di conseguire ingenti guadagni se le azioni acquistano valore.
VI. Raccogliere informazioni e facilitare il processo di formazione del prezzo (price discovery) —> I mercati
finanziari svolgono una funzione di price discovery, ossia di identificazione del prezzo corretto di un qualsiasi bene o
servizio reale o finanziario. Come avviene ciò? Contributo fondamentale di Hayek, economista austriaco, è stato
quello di vedere il sistema di formazione competitivo del prezzo come una rete di comunicazione, vale a dire la
trasmissione di informazioni da un agente di mercato ad un altro. Esempio: in caso di un disastro naturale che limita
la disponibilità di una specifica materia prima, la riduzione dell’offerta sarà efficacemente comunicata ai potenziali
utenti tramite un prezzo più alto (che produce anche l'incentivo per l'economizzazione socialmente desiderabile
della materia prima in questione). I prezzi pertanto agiscono come segnali inglobando tutte le informazioni pertinenti
possedute dagli operatori: si parla di efficienza informazionale o di prezzo dei mercati finanziari, per cui i prezzi
riflettono i veri valori dei titoli. Questo aspetto è fondamentale nell’economia perché i prezzi determinano
l’allocazione delle risorse, per cui se i prezzi non sono quelli corretti l’allocazione delle risorse è distorta, e ciò ha
delle grandi conseguenze sulla crescita economica
Torniamo alla visione keynesiana.
La domanda di moneta dal punto di vista keynesiano si può formalizzare facendo riferimento alla Teoria di portafoglio
di Markowitz (1952) - posta alla base della teoria delle scelte di portafoglio keynesiana - , la quale si basa su una
funzione di utilità media-varianza (l’utilità dell’investitore dipende unicamente dal rischio, misurato dalla varianza, e dal
rendimento atteso dell’investimento effettuato):
Dato A, utilizzando la formula vista sopra è agevole individuare le curve di indifferenza. Equazione della curva di
indifferenza: ~ 1 2 ~ ~ 1 2 ~
d U = 0 → c = E (r ) − Aσ (r ) → E(r ) = c + Aσ (r )
2 2
—> Per definizione di CI, la variazione dell’utilità è pari a 0, che possiamo chiamare c = livello di utilità costante.
Ottenngo una funzione quadratica, un ramo di parabola crescente.
Dove la pendenza della curva di indifferenza sarà: A σ (~r) e dipenderà
dall’avversione al rischio, maggiore è A e maggiore sarà la pendenza
della curva: se sono poco avverso al rischio, all’aumentare della
rischiosità è sufficiente una compensazione in termini di rendimento
anche piccola per mantenere l’utilità costante.
Costruiamo un portafoglio con asset rischioso e asset privo di rischio:
- w porzione allocata nel portafoglio rischioso P
- (1-w) porzione allocata nel portafoglio risk free F
Al variare della quota allocata nei due titoli, varia il profilo rischio-rendimento del portafoglio ottenuto combinando in
proporzioni differenti i due asset:
Esempio:
In corrispondenza di rf, portafoglio composto solo dal titolo privo di rischio, w=0 e (1-w)=1; diversamente in
corrispondenza di P, portafoglio composto solo dal titolo rischioso, w=1 e (1-w)=0; 0<w<1 per tutti i portafogli compresi
tra rf e P. Posso investire in un portafoglio posto al di là di P, in corrispondenza del quale w>1 e (1-w)<0 attraverso le
vendite allo scoperto (short sale) o prendendo a prestito al tasso risk free, il che è la stessa cosa in un’economia
caratterizzata dalla presenza di un solo titolo rischioso ed un titolo risk free in quanto “vendere allo scoperto il titolo privo
di rischio” significa di fatto “prendere a prestito al tasso risk free”: sfrutto la leva finanziaria.
—> peso
dell’investimento nel
portafoglio rischioso
Generalmente il portafoglio ottimo che si va ad individuare è costruito allocando parte della propria ricchezza nel titolo
rischioso e parte nel titolo risk free, e quindi in moneta (scorte liquide). Di conseguenza, individuato il peso
dell’investimento nel portafoglio rischioso, allora il peso dell’investimento nel titolo privo di rischio (1-w*) rappresenta la
domanda di scorte liquide, ossia la domanda di moneta a fini speculativi che compare nella teoria keynesiana.
Quest’ultima dipende:
1. positivamente dalla ricchezza dell’investitore Y —> se aumenta la ricchezza complessiva, anche a parità di
proporzioni, aumenta la quantità detenuta sotto forma di scorte liquide.
2. positivamente all’avversione al rischio A
3. positivamente dal tasso privo di rischio rf
4. positivamente dalla rischiosità dei titoli rischiosi
5. negativamente dal tasso di rendimento dei titoli rischiosi.
IS-LM E POLITICA MONETARIA (Blocco slide 3)
L’analisi dell’impostazione macroeconomica keynesiana, la quale consente di concludere che la moneta non è neutrale
come invece ritenevano i neoclassici, così come anche l’analisi del ruolo della Banca Centrale, passa dallo studio
dell’equilibrio del mercato della moneta e nel mercato dei beni (reale): modello IS-LM.
Dalle equazioni di equilibro della moneta, possiamo ricavare la curva LM, luogo geometrico delle combinazioni Y e r che
garantiscono l’equilibrio nel mercato della moneta.
Nello spazio tasso di interesse - quantità domandata, si rappresenta graficamente la funzione della domanda di moneta.
Md è decrescente rispetto ad r, inoltre al variare di Y la curva trasla, in quanto a parità di tasso di interesse, ad un reddito
più alto corrisponde una maggiore domanda di
moneta.
• Keynes —> Nella visione keynesiana la determinazione del tasso di interesse avviene sul mercato della moneta, in
particolare Keynes obietta ai neoclassici che il risparmio non dipende solo da r ma dipende anche da Y, cioè S(r,Y)
= I (r). In questo modo si ha un’equazione in due incognite, per cui la teoria neoclassica è indeterminata in quanto
non posso determinare con una sola equazione due incognite ed ottenere una soluzione univoca di equilibrio sul
mercato dei beni, ma abbiamo infinite coppie di soluzioni che possono rappresentare l’equilibrio sul mercato dei
beni reali, andando quindi ad identificare quella che in letteratura è nota come curva IS.
• Hicks —> Hicks, allievo di Keynes, obietta che in realtà anche l’approccio keynesiano non è corretto, in quanto
anche il mercato monetario è indeterminato M/P = f(Y,r), anche in questo caso abbiamo una equazione in due
incognite, per cui non possiamo ottenere una soluzione univoca di equilibrio sul mercato della moneta, ma infinite
coppie di soluzioni che vanno ad identificare la c.d. curva LM. La soluzione di Hicks prevede quindi di considerare
entrambi i mercati per determinare simultaneamente sia r che Y, così da avere due equazioni in due incognite:
sintesi di Hicks, o sintesi keynesiana del modello IS-LM. Nel modello IS-LM vengono quindi sintetizzati entrambi gli
approcci, mettendo in evidenza come il tasso di interesse non è quindi né un fenomeno puramente monetario
(Keynes) né un fenomeno puramente reale (Neoclassici), bensì un fenomeno misto sia reale che monetario.
Unendo le curve IS e LM otteniamo il MODELLO IS-LM, in particolare l’intersezione tra le curve identifica la
combinazione tasso di interesse e livello del reddito che garantiscono l’equilibrio nel mercato dei beni e servizi e nei
mercati delle attività finanziarie.
Il modello IS-LM ci permette di analizzare gli effetti delle politiche
macroeconomiche.
POLITICA FISCALE
Se il Governo aumenta la spesa pubblica G, la IS
trasla verso l’alto e si ha quindi un aumento di r e Y.
Si può osservare come all’aumento di Y segua un aumento di Md, e di conseguenza una diminuzione di I e quindi di Y:
effetto di retroazione monetaria per cui una politica fiscale espansiva non si accompagna ad una politica di
espansione monetaria tale da mantenere invariato il tasso di interesse, ma al contrario l’aumento del reddito porterà
anche all’aumento del tasso di interesse, determinando il c.d. croawding out, vale a dire sostituzione della componente
privata del reddito (spiazzamento della spesa privata sui consumi ed investimenti) con la spesa pubblica, fenomeno che
rende quindi in parte inefficace la politica fiscale espansiva andando a determinare un freno all’incremento finale del
reddito. Per massimizzare l’aumento del reddito ed
evitare che il tasso di interesse aumenti in
conseguenza all’effetto di retroazione monetaria, e
quindi il fenomeno di crowding out, dobbiamo
combinare una politica fiscale espansiva (che tende ad
aumentare i tassi) con una politica monetaria
espansiva (che tende a ridurre i tassi).
• CASO CLASSICO
Nel caso classico il tasso di interesse non influenza la domanda di
moneta: come osservato, la teoria economica monetaria prima dei
contribuiti di Keynes riteneva che il tasso di interesse non potesse
esercitare una rilevante influenza sulla domanda di moneta, che era
vista essenzialmente come domanda di moneta per fini transattivi, e
quindi collegata positivamente solo al reddito dell’economia. Ne
deriva quindi un’inclinazione verticale della curva LM.
In questo caso se si adottasse una politica fiscale espansiva (G↑, la
IS trasla verso l’alto) si realizzerebbe un aumento del tasso di
interesse r, si ha uno spiazzamento totale degli investimenti rispetto
all’aumento della spesa pubblica, e Y resta costante; tuttavia se si
combinasse alla prima una politica monetaria espansiva (M↑, la LM
trasla verso il basso), si realizza una diminuzione di r ed un aumento
di Y: la politica monetaria è massimamente efficace.
LEZIONE 6 12/03/21
POLITICA MONETARIA E PREZZI: Movimento transitorio o duraturo?
Una politica monetaria espansiva determina un aumento del prodotto Y, passando da Y a Y’, ma questo aumento, effetto
reale della moneta, è transitorio o duraturo?
• Se i prezzi non reagiscono alle politiche monetarie si ha un effetto duraturo (assenza di neutralità)
• Se i prezzi si aggiustano rapidamente, tale per cui in seguito ad una politica espansiva P↑ —> M/P↓ facendo
tornare la curva LM al punto di partenza, si ha un movimento puramente transitorio, ossia la moneta non ha effetti
reali neppure nel breve periodo. Quando la moneta non ha effetti reali (effetti su prodotto e occupazione) ma solo
nominale (effetto sui prezzi) si dice che è neutrale, e se la moneta è neutrale ciò significa che le politiche monetarie
non possono aere alcune effetto reale sul prodotto e sul livello di occupazione.
Dalla risposta a questa domanda nascono le diverse teorie economiche e quindi le differenti posizioni da parte delle
varie scuole di pensiero in merito alla neutralità o meno della moneta:
‣ VISIONE DEI NEOCLASSICI => Per i neoclassici la moneta è neutrale, soluzione a cui si perviene sulla base della
teoria quantitativa della moneta (MV = PQ) —> Conseguenza: le politiche monetarie influenzano solo i prezzi e non i
tassi.
‣ VISIONE DEI KEYNESIANI => Per i keynesiani la moneta è non-neutrale, perché basandosi sulla Teoria di
portafoglio si osserva che ↑ M → ↓ r → ↑ I → ↑ Y → ↑ C → … : la moneta determina r e per tal via, attraverso i
bilanciamenti che entrano in atto secondo la Th del portafoglio, essa ha effetti reali. —> Conseguenza: devono
essere adottate politiche monetarie discrezionali, vale a dire politiche monetarie e fiscali adeguate rispetto alla
situazione economica corrente a discrezione dell’autorità centrale (BC per la politica monetaria e autorità statale per
le politiche fiscali).
‣ VISIONE DEI MONETARISTI (Friedman) => La moneta è non neutrale nel breve periodo e neutrale nel lungo
periodo. —> Conseguenza: devono essere adottate politiche monetarie basate su regole fisse.
‣ VISIONE DELLA SCUOLA DELLE “ASPETTATIVE RAZIONALI” (o Nuova Macroeconomia Classica) => La
moneta è neutrale, ad eccezione di scostamenti casuali. —> Devono essere adottate regole importanti per
stabilizzare le aspettative.
Nello specifico:
❖ LA VISIONE DEI MONETARISTI: FRIEDMAN
Riprendendo la visione dei neoclassici, Friedman pone l'accento sul ruolo della moneta come mezzo di pagamento ed
afferma che la moneta costituisce un unicum in quanto è sostituibile con l'intera gamma di attività reali e finanziarie. →
Sostituibilità con le altre attività finanziarie ridotta rispetto ai Keynesiani, per i quali la moneta può essere sostituita solo
con le attività finanziarie nell'ambito delle scelte di portafoglio: in presenza di un surplus di moneta, questa sarà in parte
investita in attività finanziarie ma una parte verrà spesa in attività reali.
Quindi se viene attuata una politica monetaria espansiva, per cui aumenta la quantità di moneta in circolazione M↑ si ha:
-
parte del surplus di moneta verrà investito in attività finanziarie, per cui si avrà una riduzione del tasso di
interesse r↓(canale keynesiano)
-
parte del surplus sarà speso in attività reali, per cui in parallelo si ha un aumento della domanda di beni↑ , e
quindi un aumento diretto del redditto Y↑
Tuttavia, sebbene vi sia un effetto reale della moneta nel breve periodo (moneta non neutrale nel breve periodo), questo
è solamente temporaneo in quanto ciò che domina nel lungo periodo è l'impatto sui prezzi (moneta neutrale nel lungo
periodo): la maggior quantità di moneta nel lungo periodo causerà un aumento dei prezzi, che farà ridurre le scorte reali
di moneta in circolazione e di conseguenza il reddito, potendosi osservare una catena di effetti contrari a quelli
precedentemente verificatisi: ↑ P → ↓ M/P → ↓ Y … → movimento oscillatorio
Pertanto, sebbene nel breve periodo le politiche monetarie sono molto efficaci (effetti temporanei su prodotto e
occupazione a causa del lento aggiustamento dei prezzi), esse sono dannose in quanto introducono un indesiderato
movimento oscillatorio del reddito, ossia alimentano oscillazione ed incertezza nel ciclo economico e ne rallentano la
convergenza all'equilibrio fisiologico: il sistema economico è autoequilibrante, per cui se lasciato libero di operare
converge autonomamente all'equilibrio tale per cui nel lungo periodo vale sempre MV¯ = PYep, dove Y=Yep pieno
impiego.
Di conseguenza lo Stato deve astenersi dall'attuare politiche monetarie discrezionali, dannose, in favore dell'adozione di
politiche monetarie basate su regole fisse, in particolare F. proponeva la previsione di un tasso di crescita costante della
moneta M.
L'analisi del pensiero di Friedman (monetarista) ci consente di individuare la filosofia di fondo dei monetaristi:
-
il settore privato è stabilizzante: l'aggiustamento dei prezzi porta sempre all'equilibrio
-
il settore pubblico è destabilizzante, perciò occorre ridurre l'intervento dello Stato.
Sulla base di ciò, Muth nel 1961 e Lucas nel 1972 introducono il concetto di ASPETTATIVE RAZIONALI. Le assunzioni
sottostanti la visione della scuola delle aspettative razionali sono le seguenti:
- tutti i soggetti hanno le stesse informazioni delle autorità, quindi un set informativo completo
- tutti conoscono il vero modello, quello cioè che regola le dinamiche economiche, e i suoi parametri
- tutti sanno che tutti conoscono il modello
Se queste assunzioni sono vere, e quindi se valgono le aspettative razionali, le politiche economiche sono impotenti
anche nel breve periodo: la teoria delle aspettative razionali assume che gli individui, utilizzando in modo ottimale tutte le
informazioni, siano sempre in grado di “imparare” le politiche perseguite dal governo, ossia siano sempre in grado di
prevedere cosa accadrà e di anticiparne il risultato modificando il proprio comportamento.
ESEMPIO- -> Sapendo che la BC sta per attuare una politica monetaria espansiva e quindi che ↑ M → ↑ P , gli agenti
aggiusteranno istantaneamente i prezzi (se sono un lavoratore chiedo un salario nominale più alto, se sono un venditore
aumento i prezzi), prevedendo e anticipando l'effetto della politica monetaria attuata così da non restarne sorpresi ed
evitare gli effetti negativi. Di conseguenza la quantità reale di moneta M/P rimane costante e quindi non si ha alcun
effetto reale: la moneta è neutrale. Di conseguenza, la BC può avere successo, e quindi produrre un effetto reale
sull'economia attuando politiche monetarie, solo generando un effetto sorpresa:
Y − Yep = c(Zt − E[Zt ]) + εt
Tuttavia per cogliere di sorpresa un soggetto razionale devono essere attuate politiche poco razionali, poco utili quindi
per la regolazione dell'andamento economico, politiche che quindi è meglio evitare.
MONETARISTI VS SCUOLA DELLE ASPETTATIVE RAZIONALI
Entrambe le scuole di pensiero rifiutano la visione keynesiana delle politiche discrezionali, ma per ragioni opposte:
1. I Monetaristi partono dall'assunzione che l'autorità centrale ha una scarsa conoscenza del sistema, per cui è
incapace di attuare politiche corrette e può solo creare instabilità.
2. La Scuola delle aspettative razionali parte invece dall'assunzione che tutti hanno una perfetta conoscenza del
sistema, ma proprio per questo motivo le varie politiche economiche razionali che possono essere attuate dallo
Stato sono inefficaci.
La previsione della Scuola delle Aspettative razionali per cui qualsiasi politica monetaria e fiscale è impotente sia nel
breve che nel lungo periodo non è verificata empiricamente, ma anzi alcuni economisti obiettano la presenza di casi
storici conclamati in cui si sono potuti osservare effetti reali delle politiche monetarie attuate dalla BC. Un esempio
famoso è rappresentato dall'esperimento Volcker, attuato nell'agosto del 1979 quando il nuovo governatore della FED
Paul Volker attuò una politica monetaria fortemente restrittiva aumentando notevolmente i tassi di interesse per ridurre
l'inflazione. Questo ebbe degli effetti reali molto forti, in particolare portò gli Stati Uniti in una forte recessione
aumentando drasticamente la disoccupazione.
Ponendo per tal via un'ulteriore attacco alla visione keynesiana, che attribuisce un ruolo fondamentale all'intervento
pubblico nell'economica, e quindi alle politiche discrezionali di “fine tuning” ossia di gestione raffinata dell'andamento
economico, Lucas critica i modelli econometrici utilizzati dagli economisti keynesiani sottolineando come questi non
permettano di prevedere gli effetti di una politica monetaria o fiscale adottata in quanto composti da parametri calibrati
sulle aspettative e quindi sul comportamento degli individui in un certo contesto economico, contesto che cambia per
effetto dell'attuazione della politica economica stessa.
In altri termini, la formazione delle aspettative è influenzata dalle politiche economiche attuate, per cui i parametri dei
modelli econometrici - parametrati sulle aspettative degli individui in un certo contesto - non rimangono costanti al
variare delle politiche economiche → quindi la valutazione di una politica economica da adottare non può basarsi
sull'ipotesi che i parametri del modello restino invariati.
Intuitivamente sembrerebbe che la regola flessibile sia migliore rispetto alla regola fissa, ma in realtà ciò viene smentito
da Kyland e Prescott (1977) che introducono in macroeconomia il concetto di incoerenza temporale, mutuato dalla
teoria dei giochi, e dimostrando l’incoerenza temporale delle regole ottime riaffermano la validità delle regole fisse
vincolanti: incoerenza temporale è l'incentivo di un giocatore a deviare dal comportamento precedentemente annunciato
dopo che gli altri giocatori hanno effettuato le loro mosse.
‣ ESEMPIO —> Assumiamo che la BC intenda perseguire la crescita economica anche a scapito dell’inflazione, e
cioè sia noto a tutti. La strategia ottimale consiste nell’annunciare che non verranno attuate politiche monetarie
espansive (annuncio X), in modo tale che se il pubblico crede ad X, forma aspettative condizionali ad X (senza di
inflazione) e sulla base di esse effettua le proprie scelte; date tali aspettative e scelte, la BC riconsidera quale sia la
politica ottimale, e potrebbe quindi decidere di attuare Y, ossia di attuare una politica monetaria espansiva: in tal
caso l’azione Y realizzerebbe l’esito ottimale (first best) ma non è l’equilibrio. Diversamente, se i soggetti economici
conoscono quali sono le reali preferenze della BC non credono ai suoi annunci, trascurano l’annuncio X perché
consapevoli che Y è la politica ottimale e quindi generano le proprie aspettative sulla base di Y; a questo punto la
BC effettivamente applica Y, ma siccome era previsto dagli agenti economici l’allocazione finale è subottimale
rispetto alla scenario ottimo in cui il pubblico crede alla BC: si ha inflazione istantanea senza crescita.
Essenzialmente, la politica monetaria è vista da Kydland e Prescott come un gioco strategico tra la BC e gli operatori,
gioco che pone al centro della visione economica relativa alle politiche monetarie il ruolo della credibilità della banca
centrale, ossia ci si chiede in che modo essa possa vincolarsi credibilmente ad una regola fissa. Due alternative:
1. Commitment devices: la BC deve “legarsi le mani” mediante impegni governativi vincolanti per legge o accordi
internazionali. ES: l’adesione al sistema dei cambi fissi incrementa la credibilità della BC in quanto se la promessa
di bassa inflazione non verrà rispettata ne deriveranno problemi di tipo macroeconomico per lo Stato: l’inflazione in
un sistema di cambi fissa implica una perdita della competitività del paese rispetto ai concorrenti esteri, e quindi una
diminuzione delle importazioni ed un aumento delle esportazioni.
2. Reputazione della BC nel contenere l’inflazione: concetto che entra in gioco in un contesto di giochi ripetuti, per cui
è importante costruirsi una buona reputazione nei giochi precedenti così da acquistare credibilità —> Modello di
Barro e Gordon (1983)
LEZIONE 7 17/03/21
Barro e Gordon (1983) esaminano la possibilità di sostituire le regole fisse (meccanismi di vincolo) con la reputazione, la
quale ritengono gioca un ruolo fondamentale nel rafforzare la credibilità della banca centrale.
Essi propongono un modello basato sulla teoria dei giochi, nell’ambito del quale:
• il Governo vuole aumentare il reddito ↑ Y tramite un aumento dell’offerta di moneta M↑
• ma gli operatori economici conoscono le preferenze del governo, per cui fin dal principio si comportano in modo
inflazionistico ↑ πe e quindi non si ha alcun aumento del reddito
e dimostrano che in questo contesto esistono due equilibri:
I. Equilibrio di credibilità, per cui gli operatori credono agli annunci della BC, caratterizzato dall’assenza di crescita del
reddito Y ma un’inflazione più bassa πe: equilibrio di reputazione migliore
II. Equilibrio di scarsa credibilità, caratterizzato dall’assenza di crescita del reddito Y e una più alta inflazione πe:
equilibrio inferiore
L’equilibro di reputazione migliore, la quale permette di rafforzare la credibilità della banca, può essere raggiunto se e solo
l’incentivo a non rispettare quanto annunciato è minore rispetto ai costi futuri che ne deriveranno, come la perdita della
reputazione acquisita nel corso degli anni.
Come aumentare la credibilità della BC? INDIPENDENZA
Negli anni ’70 la Bundesbank era indipendente dal potere politico e allo stesso tempo la Germania era il paese con
minore inflazione: sulla base delle evidenze empiriche si era quindi diffusa nel mondo accademico la convinzione che
per aumentare la credibilità delle banche centrali era necessario che queste fossero indipendenti rispetto al potere
politico.
Argomentazioni a favore dell’indipendenza della BC:
❖ Le pressioni politiche tendono a trasmettere un’inclinazione inflazionistica alla politica monetaria, così da favorire la
crescita economica a scapito dell’inflazione.
❖ I politici sono miopi e corrotti, per cui tendono ad utilizzare la BC per fini elettorali inducendola a finanziare enormi
deficit pubblici, ad esempio potrebbero fare pressione sulla banca centrale affinché prima delle elezioni vi sia un
aumento dell’offerta di moneta M↑ , cosi da determinare una riduzione della disoccupazione e dei tassi di interesse
(una buona idea prima delle elezioni), il che tuttavia comporta dopo le elezioni ↑ π e ↑ r (ciclo attività politica o
ciclo elettorale).
Questo aspetto può essere empiricamente dimostrato facendo riferimento al contributo di De Grauwe in merito al
caso UK vs Spagna => Durante la crisi dei debiti sovrani del 2011, quando la BCE lasciò intendere che se un paese
dell’Eurozona avesse avuto dei problemi di sostenibilità del debito pubblico non sarebbe intervenuta a sostegno, si
diffuse un forte panico trai soggetti economici che iniziarono a vendere titoli dei paesi considerati più deboli per
spostare i propri capitali verso titoli di paesi considerati più forti. De Grauwe ha evidenziato come in questa
circostanza, nonostante il rapporto Debito/PIL dell’UK fosse più alto rispetto a quello della Spagna (e quindi appariva
più razionale attaccare l’UK), oggetto di attacco speculativo fu proprio la Spagna, che appariva più fragile rispetto
all’UK proprio virtù dell’annuncio della BCE (≠ l’UK ha la propria banca centrale che sarebbe intervenuta in caso di
crisi). Questo ha comportato un aumento dei tassi di interesse del debito pubblico spagnolo, e quindi un’incremento
dello spread rispetto al tasso di interesse dei paesi più forti, e di conseguenza il debito pubblico spagnolo, sostenibile
in precedenza, è divenuto non più sostenibile. La rotta della BCE fu poi invertita da M. Draghi che, si dice proprio
sulla base dello studio di De Gauwe, si convinse della necessità dell’intervento della Banca Centrale per frenare gli
attacchi speculativi anche ingiustificati, i quali avrebbero condotto al fallimento paesi con fondamentali solidi e non
così deboli come percepiti dagli speculatori.
RAPPORTO
DEBITO/PIL
TASSO DECENNALE
TITOLI PUBBLICI
❖ Indipendenza da chi? Si può essere indipendenti da un soggetto ma si rischia di diventare dipendenti da un altro
soggetto: in molti si lamentano che molte banche centrali siano state catturate dai mercati finanziari. Ne
rappresenta un esempio la FED, catturata da Wall-Street nel 2008 per cercare di salvare i grandi istituti finanziari.
TASSI DI INTERESSE DI POLICY, TAYLOR RULE E LE STRATEGIE DI
POLITICA MONETARIA (Blocco slide 4)
Tuttavia, gli episodi di elevata inflazione a seguito delle crisi petrolifere degli anni ’70 hanno indotto ad un mutamento
radicale, per cui dagli anni ’80 l’obiettivo principale è il controllo dell’inflazione.
Quanto detto conosce tuttavia un’eccezione con la FED, che in base al “Full Emplyment and Balance Growth Act” del
1978, statuto ancora formalmente mantenuto, ha l’obbligo di perseguire ben 6 obiettivi, senza alcun ordine gerarchico:
1. La stabilità dei prezzi
2. Una elevata occupazione
3. Un tasso di crescita sostenuto dell’attività economica
4. La stabilità del sistema finanziario
5. La riduzione della volatilità dei tassi di interesse a lungo termine
6. La stabilità del mercato valutario
In più non vi è alcuna definizione del contenuto numerico degli obiettivi (≠ obiettivo quantitativo), andando così ad
evidenziare una notevole autonomia e flessibilità della FED in contrapposizione alla rigidità della BCE.
Lo statuto della BCE diversamente individua una netta gerarchia degli obiettivi da perseguire attribuendo un ruolo
“prioritario ed irrinunciabile” alla stabilità dei prezzi; inoltre nello stesso è specificato in modo immodificabile quale indice
dei prezzi considerare e quale è il livello target della crescita dei prezzi da perseguire (obiettivo quantitativo del 2%):
anomalia, solitamente è il Governo a fissare il livello target della crescita dei prezzi da perseguire.
N.B: Il controllo dell’inflazione e la stabilità dei prezzi costituisce ancora oggi uno degli obiettivi principali di tutte le
banche centrali (BCE, FED, BoE…), anche se la recente crisi finanziari ha indotto ad affiancare alla stabilità dei prezzi la
stabilità del sistema finanziario, e quindi il controllo del rischio sistemico.
Negli anni ’90 alcune BC (Nuova Zelanda, Canada, Gran Bretagna, Svezia) decisero focalizzarsi sull’inflazione e
perseguire esclusivamente la stabilità dei prezzi, adottando un modo di operare che prende il nome di INFLACTION
TARGETING: annuncio di un livello target di inflazione, normalmente bande di valore obiettivo come 0-2% o 1-3%, con
la previsione della riduzione automatica della crescita monetaria nel caso in cui l’inflazione superi il livello obiettivo
fissato dal governo (essendo un obiettivo politico).
Vantaggi:
-
Maggiore trasparenza delle strategie: è chiaro qual è l’obiettivo perseguito dalla BC e quindi quali sono le
strategie adottate dalla stessa e perché.
-
Maggiore possibilità di verifica del raggiungimento dell’obiettivo: è facile verificare il raggiungimento
dell’obiettivo perseguito osservando semplicemente l’andamento dell’inflazione.
-
Maggiore credibilità, e quindi riduzione del problema dell’incoerenza temporale.
Svantaggi:
-
Ritardo nella rilevazione del segnale: la misura dell’inflazione non è istantanea come altre variabili, per cui non
è un segnale facilmente rilevabile
-
Potenziale incremento delle fluttuazioni del reddito (se mi focalizzo solo sull’inflazione rischio di trascurare le
altre variabili macroeconomiche).
-
Bassa crescita durante i periodi di deflazione.
Per far fronte alla crisi attuale, e quindi compensare crescita e stabilità dei prezzi, recentemente è stato proposta
l’adozione di un obiettivo finale alternativo, quale il PIL NOMINALE.
• PIL nominale = PIL reale*prezzi
• ΔPIL nominale = ΔPIL reale*Δprezzi
Il PIL nominale è dato dal prodotto tra PIL reale e prezzi, per cui se guardo alla variazione del PIL nominale
implicitamente tengono in considerazione entrambi gli obiettivi da perseguire, sia la crescita che l’inflazione. In altri
termini, fissare un livello obiettivo di crescita del PIL nominale (es: 3%) significa, da un lato aumentare automaticamente
l’offerta di moneta quando il PIL nominale cresce meno del livello obiettivo (es: 1%), e dall’altro diminuire
automaticamente l’offerta di moneta quando il PIL nominale cresce più del livello obiettivo (es: 4%).
Il dibattito keynesiani-monetaristi degli anni ’60-’70 può essere letto anche come scontro in merito alla scelta
dell’obiettivo intermedio: tassi di interesse per i keynesiani, e aggregati monetari per i monetaristi sulla base della
visione di Friedman per cui “inflation is always and everywhere a monetary phenomenon”.
Al riguardo, in passato sono stati effettuati alcuni tentativi sulla scia della visione dei monetaristi - secondo cui il controllo
diretto da parte della BC di un aggregato monetario M1, M2, M3 (e quindi della quantità di moneta in circolazione),
avrebbe permesso di controllare e mantenere costante la crescita dei prezzi e quindi l’inflazione -, esperimenti che
tuttavia hanno evidenziato la difficoltà nel controllare gli aggregati monetari nonché il fatto che ciò non portasse al
raggiungimento degli obiettivi sperati. Si fa riferimento a due esperienze storiche:
1. Bundesbank dal ’74 agli anni ’90
2. Volcker Experiment ’79-’82 => Nel ’79, appena divenuto governatore della FED, Volcker introdusse il controllo
sulla quantità di riserve bancarie allo scopo di controllare M1, lasciando invece fluttuare il tasso di interesse. Questo
permise di ridurre l’inflazione, anche se a tassi a livelli eccezionali (oltre il 16%) ed estremamente volatili,
conducendo così alla recessione economica del 1982, anno in cui venne abbandonata questa governance. Inoltre,
ex post ci si rese conto che in realtà Volcker non riesci mai a raggiungere effettivamente l’obbiettivo prefissato, ossia
controllare M1.
Il tentativo di controllare direttamente gli aggregati monetari fallì per due diversi motivi:
a) Assenza di una stabile relazione tra riserve bancarie (obiettivo operativo) ed aggregati monetari (obiettivo
intermedio), per cui la BC non è in grado di controllare la quantità di moneta in circolazione.
b) Assenza di una stabile relazione tra aggregati monetari ed inflazione (obiettivo finale), in quanto la velocità della
moneta è variabile nel tempo ed anche nel breve periodo, per cui anche se raggiungessi l’obiettivo intermedio
questo non mi garantirebbe il raggiungimento dell’obiettivo finale.
Per questi motivi intorno agli anni ’90 ogni tentavo di controllare gli aggregati monetari fu abbandonato, e praticamente
tutte le BC hanno adottato come obiettivo intermedio il tasso di interesse a breve termine, quello che viene chiamato
“interest rate targeting”.
LEZIONE 8 19/03/21
Nella realtà è difficile comprendere i processi decisionali che portano alla determinazione del tasso di interesse da parte delle
banche centrali, tuttavia a livello accademico si è individuata una regola, la c.d. Taylor rule, che sembra descrivere molto
bene il comportamento tenuto dalle BC negli ultimi anni.
Per la regola di Taylor il tasso di interesse da adottare per raggiungere il obiettivi finali della politica monetaria deve
essere così determinato (è funzione di tre elementi):
Dove:
• r* tasso nominale di interesse coerente con gli obiettivi finali di π¯ e y¯ (ossia, quando tutte le
variabili macroeconomiche sono a livello di equilibrio)
Pertanto, come evidenziato dalla regola di Taylor, le politiche monetarie, così come ogni intervento di politica economica,
sono soggette al problema del ritardo temporale, legato all’intervallo di tempo che passa fra 1) il momento di raccolta
dei dati statistici e la valutazione del livello dei tassi, 2) il momento della decisione della politica e la sua applicazione, 3)
il momento in cui la politica genera i suoi effetti. Le prime due componenti del ritardo nell’attuazione della politica
economica costituiscono il c.d. inside leg, la terza componente di ritardo prende invece il nome di outside leg.
Altro problema della gestione della politica monetaria attraverso i tassi di interesse è rappresentato dal fenomeno dello
Zero Lower Bound, ossia limite inferiore legato allo zero: l’utilizzo del tasso di interesse nominale come strumento per il
raggiungimento dell’obiettivo finale incontra un limite nel fatto che i tassi di interesse nominali tendono ad essere positivi
e non scendere al di sotto dello 0 (anche se nella realtà abbiamo visto che i tassi nominali possono essere negativi ma
pur sempre al di sopra di un determinato limite inferiore), per cui una volta raggiunto tale limite inferiore una politica
monetaria espansiva esaurisce il suo spazio di manovra per stimolare l’economia.
La struttura a termine può esse utilmente utilizzata per estrarre previsioni del ciclo economico (—> gli operatori di
mercato spesso guardano il c.d. term spread = tassi a lungo - tassi a breve):
• Una curva dei tassi crescente potrebbe indicare che il mercato si aspetta che i tassi
aumentano, segnalando quindi una crescita economica. In questo caso tuttavia non
è semplice interpretare la yeld curve in quanto i tassi a lungo rispecchiano non solo
le aspettative sul futuro andamento di tassi, ma dipendono anche da altri fattori
come il premio per il rischio, per cui una curva dei tassi crescente potrebbe indicare
che ci si aspetta un aumento dei tassi e/o che gli investitori hanno una preferenza
per la liquidità e quindi richiedono un altro premio per il rischio per i titoli a lungo
termine: non sappiamo se la curva è crescente perché gli operatori si aspettano un
aumento dei tassi a breve o in virtù del premio a rischio.
• Una curva dei tassi “invertita” tende ad indicare con una certa certezza che il
mercato si aspetta che i tassi calino, segnalando quindi una recessione: in questo caso non si pone il problema del
premio a rischio in quanto in tal caso la distorsione è verso l’alto.
La curva dei tassi riflette anche le aspettative di inflazione del mercato, le quali possono essere estratte prendendo la
differenza tra tassi dei bond non indicizzati (che rappresentano i tassi nominali) e i tassi dei bond indicizzati all’inflazione
(che rappresentano i tassi reali). Anche in questo caso non è però facile separare le due componenti andamento dei
tassi reali e andamento del premio al rischio nell’interpretazione della curva dei tassi a termine.
N.B =>
Dal punto di vista empirico, a parti dalla fine degli anni ’70 - anni
’80 si è osservato pressoché in tutto il mondo un andamento
decrescente dei tassi di interesse nominali: questo trend
decrescente di lungo periodo è noto come “secular stagnation”,
ad indicare una stagnazione dei tassi nominali di lungo periodo.
A livello accademico non è ancora del tutto chiaro perché si sia
osservata questa dinamica dei tassi: vi è chi ritiene ciò sia legato
all’andamento demografico, in quanto l’invecchiamento della
popolazione porta a maggiori risparmi, e quindi ad un eccesso di
offerta dei fondi con una conseguente riduzione dei tassi di
interesse; vi è chi chi ritiene ciò sia invece legato all’eccesso di
risparmio di alcuni paesi, come i paesi asiatici; mentre secondo
altri ciò è dovuto al fatto che e opportunità di investimento si
siano profondamente ridotte nell’economia moderna, causando
così una riduzione della domanda di fondi e quindi un calo dei
tassi di interesse.
CANALI DI TRASMISSIONE DELLA POLITICA MONETARIA(Blocco slide 5)
Come fa la BC ad influenzare l’economia reale attraverso la politica monetaria? La BC determina il tasso di interesse
ufficiale a breve iuff, il quale è legato agli obiettivi finali della politica monetaria attraverso i c.d. canali di trasmissione
della Politica Monetaria (al settore reale)
• Canale tasso di interesse per investimenti e consumi
• Canale tasso di cambio
• Canale dei prezzi delle attività finanziari
• Canale creditizio “Bancario”
• Canale creditizio “Finanziario”
• Canale dei prezzi delle case.
1. l’aumento del tasso a breve iuff si trasmette a tutta la curva dei tassi (variazione delle aspettative sulla dinamica
futura del tasso a breve) determinando quindi un aumento anche del tasso a lungo nominale
2. data la vischiosità dei prezzi nel breve periodo, anche il tasso di interesse reale a lungo rlungo aumenta
3. ciò induce riduzione nella spesa per investimenti I e per beni di consumo C (in particolare consumi durevoli)
4. la contrazione della domanda aggregata riduce il reddito Y
L’aumento dei tassi domestici i genera un differenziale (i - i*) di rendimento sui mercati internazionali dei capitali,
spingendo così gli investitori internazionali e nazionali a disinvestire all’estero ed investire in Italia. L’aumento della
domanda di valuta nazionale determina un apprezzamento del cambio E↓ (riduzione del tasso di cambio dato
l’aumento del valore della valuta nazionale rispetto ad un altra: la valuta vale di più). L’apprezzamento del cambio
determina una riduzione delle esportazioni nette NX ed un aumento delle importazioni in quanto i prodotti nazionali
costano di più (il bilancio netto commerciale nei confronti dell’estero peggiora), per cui si ha una diminuzione della
domanda aggregata e quindi del reddito Y. —> questo aspetto lo affronteremo meglio nella seconda parte del corso
Bernarke e Gertler (1995) analizzando i dati empirici degli effetti delle politiche monetarie hanno evidenziato 3 aspetti non
spiegati dalla teoria, ossia da questi due canali di trasmissione della politica monetaria individuati dalla letteratura
keynesiana tradizionale:
• L’economia reagisce troppo rispetto a quando ci si aspetterebbe teoricamente in base al meccanismo di
trasmissione basato sulla variazione degli investimenti
• Timing ritardato rispetto a quello previsto a livello teorico: nella realtà gli effetti si manifestano quando ormai il tasso
è tornato ai livelli precedenti alla manovra
• Diversa composizione degli effetti: nella realtà i componenti più reattivi sono gli investimenti in abitazioni mentre
sono scarsi quelli aziendali.
È quindi iniziata una ricerca di canali di trasmissione alternativi a quelli standard degli investimenti e del tasso di cambio.
Il modello di Bernarke e Blinder (1988) è basato sul concetto datato di moltiplicatore dei depositi, per cui esiste un
vincolo di proporzionalità tra le riserve depositate dalle banche commerciali presso la BC e la quantità di depositi che
la banca commerciale può detenere, e la relativa visione che le i depositi creino i presiti.
1. La restrizione monetaria (politica mon. restrittiva) indotta dalla vendita di titoli sul mercato aperto contro moneta,
e quindi la riduzione delle riserve bancaria da parte della BC, determina una riduzione dei depositi che possono
esser detenuti dalle banche commerciali.
2. Questo richiede un aggiustamento anche dal lato delle attività bancarie per mantenere l’equilibrio, e quindi una
contrazione dei prestiti.
3. Molte piccole e medie imprese non saranno in grado di trovare fonti di finanziamento alternative (problemi di
asimmetria informativa) e saranno quindi costrette a ridurre gli investimenti.
IV. IL CANALE DEI PREZZI DELL’ATTIVITÀ FINANZIARIE: L’EFFETTO RICCHEZZA
Una politica monetaria restrittiva caratterizzata dall’aumento dei tassi a lungo tende a ridurre le aspettative relative ai
cash flow futuri e ne aumenta il loro tasso di sconto, causando pertanto una riduzione del valore attuale, ossia dei
prezzi, delle attività finanziarie (relazione inversa tasso-prezzo attività finanziarie). Si realizza un effetto ricchezza
negativo in conseguenza dell’aumento dei tassi di interesse: una riduzione dei prezzi delle attività finanziarie riduce
il valore dei portafogli finanziari riducendo la ricchezza dell’investitore W, cosa che tende a ridurre i consumi C e
quindi il reddito Y. Inoltre l’aumento dei tassi e la riduzione dei corsi delle attività finanziarie rende più difficile per le
imprese finanziarsi emettendo azioni, determinando quindi una riduzione degli investimenti.
Il canale creditizio finanziario sottolinea il rischio di credito delle imprese sul mercato dei prestiti. Come già visto,
l’aumento dei tassi di interesse tende a ridurre i prezzi delle attività finanziarie. Questo induce delle perdite che
riducono il capitale proprio delle imprese aumentandone la rischiosità (riduzione delle garanzie, in quanto il capitale
funge da garanzia per i creditori): l’aumento del rischio di insolvenza delle imprese fa aumentare i loro costi di
finanziamento iprestiti determinando per tal via una riduzione degli investimenti I.
L’aumento dei tassi provoca un aumento dei tassi dei mutui imutuo. Tale aumento comporta un aumento del costo di
finanziamento per investimenti immobiliari e quindi una riduzione della domanda di abitazioni che porta da una
riduzione dei prezzi delle case. La riduzione dei prezzi delle case determina da un lato un effetto ricchezza negativo
sui proprietari degli immobili che ridurranno i loro consumi, e dall’altro, un calo degli investimenti nel settore
immobiliare. Inoltre, la riduzione dei prezzi delle case riduce il valore della garanzia nei contratti di mutuo (la Banca
sa che se i prezzi crescono in caso di insolvenza può rivalersi sull’immobile, mentre se i prezzi sono in discesa
rischierà di subire una perdita in caso di insolvenza) che a sua volta fa ridurre l’offerta di credito e la domanda di
case, instaurando una spirale negativa prezzi-mutui.
Dal punto di vista macroeconomico, la base monetaria è rappresentata dalla somma del circolante (banconote e
monete metalliche) e delle riserve (obbligatorie e libere) depositate presso la Banca Centrale.
BASE MONETARIA = RISERVE + CIRCOLANTE —> BM = R + C
La base monetaria è importante per le banche centrali in quanto è un driver fondamentale dell’offerta di moneta nel
sistema economico. Per comprendere questo aspetto, e quindi come funziona l’operatività della BC nei confronti delle
banche commerciali, dobbiamo ricordare il seguente quadro:
BILANCIO BC
Fra le attività della BC tipicamente vi sono
titoli bancari o pubblici acquistati attraverso la
creazione di riserve (operazioni di mercato
aperto), e le c.d. riserve ufficiali, da non
confondere con le riserve bancarie, quali
riserve della BC detenute in valute estere, titoli
emessi da stati esteri, oro monetario.
Fra le passività troviamo le riserve bancarie e il
circolante.
BILANCIO IB
Fra gli impieghi troviamo principalmente prestiti e le
riserve detenute presso la Bc.
Fra le passività troviamo i depositi, altri tipi di
raccolta e i presiti ricevuti dalla BC.
BILANCIO CONSOLIDATO
SETTORE BANCARIO
Nel bilancio consolidato del settore bancario si ha
la compensazione di alcune voci dell’attivo e del
passivo. Di conseguenza, nel passivo restano
solo il cicalante e i depositi degli IB, mentre non
compaio le riserve di banca centrale (eliminate per
compensazione).
Questa è la ragione per cui le riserve bancarie non compaiono negli aggregati monetari: il bilancio aggregato del settore
bancario definisce la Moneta (M1) in circolazione, data dalla somma delle voci al passivo del bilancio consolidato del
settore bancario:
MONETA (M1) = MONETA LEGALE (circolante; < 5%) + MONETA BANCARIA (depositi; > 95%)
LEZIONE 9 24/03/21
CONTROLLO DELLA BASE MONETARIA: OPERAZIONI DI MERCATO APERTO
Lo strumento primario a disposizione della BC per il controllo delle riserve bancarie e quindi della base monetaria sono
le OPERAZIONI DI MERCATO APERTO, quali acquisti o vendite di obbligazioni sul mercato secondario.
I. Acquistando titoli sul mercato secondario, la BC aumenta la quantità di riserve nel sistema, e tramite esse riesce a
controllare anche il tasso di interesse con cui le banche commerciali si scambiano fondi sul mercato interbancario.
ACQUISTO DA UN PRIVATO
Quando il titolo è posseduto da un soggetto privato
non bancario, l’operazione viene realizzata attraverso
l’intermediazione della banca commerciale avente un
contro presso la BC: la BC accredita riserve alla banca
commerciale, la quale accredita il conto al privato in
cambio del titolo ceduto alla BC.
Si ha una espansione del bilancio della BC, e quindi un
aumento delle riserve in circolazione, nonché
un’espansione del bilancio della banca commerciale,
sia dal lato dell’attivo che dal lato del passivo
(depositi), causando così un aumento della quantità di
moneta M1 in circolazione.
II. Vendendo titoli presenti nel suo portafoglio a degli IB che pagano utilizzando le proprie riserve, la BC diminuisce la
quantità di riserve nel sistema.
Attraverso le operazioni di mercato aperto la BC è quindi in grado di controllare direttamente la quantità di riserve
presenti nel sistema, e di conseguenza la BM:
• Acquistando titoli —> Riserve↑ —> Base Monetaria↑
• Vendendo titoli —> Riserve↓ —> Base Monetaria ↓
Controllando l’offerta di riserve nel sistema, la BC è in grado di controllare l’andamento del tasso di interesse monetario
a breve, “ovenight”, a cui le banche si scambio fondi sul mercato interbancario.
Vi sono anche altri canali fuori dal controllo della BC che influenzano la quantità di riserve:
• Canale bancario: operazioni di rifinanziamento, prestiti della BC agli IB (iniziativa degli IB, per cui l’operazione non è
sotto il controllo diretto della BC).
• Canale estero —> Variazioni delle Riserve Ufficiali in valuta estera dovute all’andamento della Bilancia dei
Pagamenti:
- surplus → Riserve Ufficiali ↑ → Riserve bancarie ↑ => se un esportatore riceve valuta estera in cambio dei
beni esportati, si rivolgerà alla propria banca per
cambiarli in valuta nazionale, e la propria banca si
rivolgerà alla BC cedendo valuta estera in cambio di
riserve: aumento delle riserve ufficiali e aumento
delle riserve bancarie.
- deficit → Riserve Ufficiali ↓ → Riserve bancarie ↓
• Canale del Tesoro, non più attuale dato il divorzio 1981 —> finanziamento del deficit pubblico acquistando,
obbligatoriamente, i titoli pubblici emessi dal Tesoro che non erano stati collocati all’asta primaria: aumento delle
riserve bancarie posto al di fuori del controllo della BC.
• Conversione delle riserve in circolante: a fronte della richiesta di maggiore contante, se non ne hanno a sufficienza
le banche commerciali si riforniscono presso la BC convertendo parte delle proprie riserve in circolante; per contro,
se le banche commerciali hanno troppo contate, possono restituirlo alla BC facendosi accreditare le riserve.
—>anche questo canale è poco rilevante in quanto il circolante costituisce al giorno d’oggi meno del 5% della BM.
Attraverso i seguenti strumenti convenzionali la BC riesce a controllare l’andamento del tasso di mercato
interbancario: La BC controlla l’andamento del tasso di mercato a breve attraverso i seguenti strumenti convenzionali:
• Operazioni di mercato aperto (su iniziativa della BC): operazioni che avvengono su iniziativa della banca centrale,
tra le quali si annoverano le operazioni di rifinanziamento principali (ORP o MRP), a carattere temporaneo e
promosse con frequenza e scadenza settimanale ad aste standard, come il REPO settimanale, prestito
collateralizzato temporaneo per cui per cui l’IB attribuisce temporaneamente alla BC un titolo a garanzia del prestito
ricevuto, per poi riacquistarlo successivamente al rimborso. Queste operazioni avvengono al tasso di
rifinanziamento principale, determinato dalla BCE e che si pone come tasso target a cui gli operatori economici
guardano per formulare le proprie aspettative in merito all’andamento dei tassi a breve correnti e futuri. Vi sono
anche altre forme di operazioni di mercato aperto, in ogni caso attraverso di esse, che si tratti di operazioni
temporanee o definitive, la BC è in grado di controllare l’offerta di riserve.
• Operazioni di mercato monetario (c.d. standing facilities): operazioni che avvengono su iniziativa delle controparti,
tramite cui la BC è in grado di controllare il limite superiore e inferiore entro cui devono collocarsi i tassi interbancari
a breve:
- Tasso di remunerazione delle riserve (“rate on reserves”) ior: tasso di remunerazione delle riserve
depositate dalle banche commerciali presso la BC, ossia quanto le riserve sono remunerate quando
lasciate presso la BC da parte delle banche commerciali (limite inferiore)
-
Tasso marginale di rifinanziamento (o discount rate) id: tasso cui le banche commerciali possono prendere
fondi a prestito dalla BC qualora non siano in grado di reperirli sul mercato interbancario (limite superiore).
• Coefficiente di riserva obbligatoria ρ: imponendo una riserva obbligatoria più o meno elevata (2% fino al 2011,
1% oggi), la BC è in grado di controllare la domanda di riserve da parte delle banche commerciali —> Storicamente
la riserve obbligatoria nasce come strumento prudenziale per preservare la liquidità e, indirettamente la solvibilità
delle banche, successivamente però il ruolo della riserva obbligatoria si è evoluto e da strumento prudenziale è
divenuta una componente fondamentale dell’assetto operativo della politica monetaria finalizzato a controllare
l’andamento del tasso di interesse cui le banche si scambiano riserve.
La curva di offerta Ro è inizialmente verticale e pari alle riserve non prese a prestito in operazioni di rifinanziamento
(NBR), per poi divenire orizzontale in corrispondenza del tasso id, in corrispondenza del quale la BC è disposta ad offrire
qualsiasi quantità di riserve richiesta.
La curva di domanda Rd è invece decrescente: il tasso di interesse interbancario rappresenta il costo di opportunità di
detenere riserve presso la BC, per cui al ridursi del tasso e quindi del costo opportunità aumenta la quantità di riserve
domandata dalle banche commerciali.
• Il limite inferiore del tasso di mercato interbancario è rappresentato dal tasso di remunerazione delle riserve ior : non
c’è nessuna banca commerciale disposta a concedere un prestito sul mercato interbancario ad un tasso più basso
di ior , essendo in tal caso per lei più conveniente depositare la propria liquidità in eccesso presso la BC.
• Il limite superiore del tasso di mercato interbancario è rappresentato dal tasso marginale di rifinanziamento id : non
vi è nessuna banca commerciale disposta a prendere un prestito ad un tasso più alto rispetto a quello a cui possono
prendere fondi a prestito dalla BC.
Se Ro > Rd eccesso di offerta, il tasso di mercato interbancario diminuisce, mentre se Rd > Ro eccesso di domanda, il
tasso di mercato interbancario aumenta: l’equilibrio sul mercato interbancario si realizza quando Rd = Ro in
corrispondenza di iff*.
Controllando l’offerta di riserve, la BC è in grado di controllare il tasso di mercato interbancario, ossia il tasso overnight
cui le banche si scambiano fondi sul mercato interbancario :
a. Se vuole aumentare i tassi ridurrà la quantità di riserve in circolazione vendendo titoli
b. Se vuole ridurre i tassi, aumenterà la quantità di riserve in circolazione acquistando titoli
Nella
pratica la BC può:
• adottare una politica di controllo delle quantità di riserve per controllare gli aggregati monetari (lasciando fluttuare i
tassi)
• adottare una politica di controllo dei tassi di interesse (lasciando fluttuare le riserve)
Di conseguenza, secondo questa teoria, la moneta ( > 95% depositi) che circola nel sistema economico è un multiplo
costante delle Riserve ed è esogena, ossia sotto il pieno controllo della BC:
Questo modello di funzionamento è stato oggi abbandonato dalle BC, le quali non adottano più una politica di controllo
della quantità delle Riserve e degli aggregati monetari, ma controllano i tassi di interesse.
Empiricamente si può infatti osservare come i tassi di mercato a breve che si formano sul mercato interbancario, come
Euribor 3m e Eonia (tasso overnight), siano allineati al tasso target (tasso di rifinanziamento principale) fissato dalla BC,
posto a metà tra il tasso di remunerazione delle riserve (limite inferiore) e tasso marginale di rifinanziamento (limite
superiore): la BC muove l’offerta di riserve in modo tale che
il tasso di mercato a breve sia allineato al tasso di
rifinanziamento principale, che è il tasso target della BC.
Per la TEORIA DELL’OFFERTA ENDOGENA DELLA MONETA, non controllando la quantità di Riserve, anche in
presenza di un obbligo di riserva obbligatoria sui depositi, la BC non potrà controllare l’ammontare di depositi creato
dagli intermediari bancari, e quindi non potrà controllare l’aggregato monetario. Si passa da un sistema in cui le riserve
creano i depositi e la moneta è esogena, ad un sistema in cui i depositi creano le riserve e la moneta è endogena,
ossia l’offerta di moneta è determinata endogenamente dalla scelte degli operatori economici, in particolare degli IB
attraverso le decisioni di prestito. => Le banche prima prendono le loro decisioni di erogazione dei prestiti, e poi a fine
periodo verificano se hanno riserve sufficienti: se hanno un eccesso di riserva lo prestano, se hanno un deficit di riserve
le prendono a prestito sul mercato interbancario. Se in aggregato le banche non hanno abbastanza riserve, il tasso di
interesse sale e la BC interviene fornendo le riserve mancanti per mantenere il tasso al livello desiderato.
Per concludere, il modo con cui la BC persegue i suoi obiettivi di politica monetaria determina la natura endogena o
esogena della moneta:
‣ ESOGENA quando la BC mantiene il controllo delle riserve, e la quantità di moneta è indipendente dal
comportamento delle banche e dei privati ed è sotto il pieno controllo dell’autorità monetaria.
‣ ENDOGENA, quando la BC mantiene il controllo dei tassi, e l’offerta di moneta è determinata dal comportamento di
banche e privati —> Nell’attuale contesto economico-istituzionale la quasi totalità della moneta (>95%) è creata in
modo decentralizzato da soggetti bancari.
A livello aggregato del sistema bancario non sono i depositi a generare prestiti,
ma sono i prestiti a generare i depositi, e di conseguenza, essendo la moneta
bancaria prevalentemente creata a fronte dell’erogazione di prestiti, la quantità di
moneta in circolazione dipende dalle decisioni di prestito delle banche
commerciali: al momento del prestito la banca crea un credito e un debito nei
confronti della persona cui presta, consentendoli di utilizzare i depositi che a
partire da quel dato momento in poi ha presso la banca. Dal punto di vista
contabile si apre un prestito nel lato dell’attivo e un deposito nel lato del passivo.
Quindi, i reali vincoli all’offerta di moneta sono:
‣ VINCOLI PATRIMONIALI —> In base agli accordi di Basilea III le banche devono rispettare dei requisiti minimi di
capitale, cioè devono accantonare capitale pari ad una certa % dei prestiti erogati (risk weighted asset). Questo
costituisce un vincolo quantitativo alla quantità di prestiti erogabili, facilmente allentabile nei momenti non di crisi in
cui è possibile raccogliere capitale ma fortemente stringente nel caso in cui la banca non dispone di capitale
sufficiente per erogare prestiti e non è in grado di aumentarlo.
‣ PROFITTABILITÀ DEI PRESTITI —> Solo prestiti che presentano un rendimento atteso sufficientemente elevato
possono essere erogati. Non è un vincolo quantitativo ma solo di prezzo, e dipende in parte dai tassi di interesse
fissati dalla BC.
‣ DOMANDA DI PRESTITI —> La quantità di nuova moneta bancaria prodotta in un dato momento dipenderà in
larga parte dalla domanda di credito di famiglie e imprese, i quali a fronte dell’obbligo assunto dalla banca di
pagamento a vista (depositi) si assumo l’obbligo di restituzione del prestito nel corso del tempo. La presenza di
“buoni debitori”, soggetti illiquidi ma solvibili, dipende in parte dal tasso di interesse applicato dalle banche, e quindi
dai tassi di interesse della BC, per cui da un lato i tassi di interesse agiscono da principale freno (o stimolo)
all’espansione della quantità di moneta bancaria, e dall’altro se nell’economia non vi sono buoni debitori non vi
saranno prestiti e quindi non vi sarà crescita monetaria.
A. Questo modus operandi a fatto si che, come osservato empiricamente, prima della crisi la crescita del credito/debito
(≈ 10% - 15%) fosse circa 2/3 volte la crescita media del PIL nominale (≈ 4%-5%), determinando quindi un forte
rischio di insolvenza e quindi di instabilità.
B. Al riguardo, Richard Werner sottolinea l’importanza delle scelte di allocazione del credito degli IB, in quanto hanno
degli effetti macroeconomici nettamente distinti:
1. Crediti per attività produttive —> questi prestiti tendono ad aumentare la produttività del sistema, determinando
quindi una crescita bilanciata dell’economia, vale a dire un aumento del PIL senza pressioni inflazionistiche
(MV=PY) in quanto all’aumento della moneta in circolazione corrisponde una crescita dell’economia reale.
2. Crediti al consumo —> questi prestiti tendono a determinare un aumento della domanda di beni servizi, cui
però non corrisponde necessariamente un aumento dell’offerta, causando pertanto delle pressioni
inflazionistiche.
3. Mutui e altri crediti per acquisto attività finanziarie esistenti —> questi prestiti, determinando un’aumento di
domanda a fronte di un offerta più rigida, tendono a far aumentare i prezzi delle attività acquistate, esponendo
quindi il sistema al rischio di bolle (finanziarie o immobiliari, a seconda del settore in cui è canalizzata la
moneta di nuova emissione).
Le bolle sono quindi estremamente legate alla natura endogena della moneta, che tende ad alimentarne la crescita
nella fase espansiva ed aggravarne il crollo nella fase di contrazione. Questo è confermato anche dal punto di vista
accademico, data la pubblicazione da parte di Schularick e Taylor di un articolo accademico in cui identificano
nell’accelerazione del credito bancario l’antecedente chiave delle bolle finanziarie.
Di bolle finanziarie o immobiliari sui mercati se ne sono osservate molteplici nel passato recente:
• Bolla dell’oro
• Bolla del Giappone
• Bolla delle tigri asiatiche
• Bolla dei titoli tecnologici
• Bolla del mercato immobiliare US, scoppiata nel 2008 e le cui conseguenze economiche sono avvertite ancora
oggi: le bolle sono infatti estremamente distruttive per l’economia in generale, e non solo per i mercati finanziari
o immobiliari, ed hanno conseguenze di lungo periodo, ragione per cui è particolarmente importante
comprenderne il funzionamento e le conseguenze macroeconomiche dello scoppio in modo tale da poter
intervenire. Al riguardo, per prevedere e comprendere le conseguenze macroeconomiche dello scoppio della
bolla del 2008 avremmo dovuto guardare alle conseguenze dello scoppio della bolla immobiliare del Giappone
degli anni ’90 (caduta del’87% dei prezzi e balance sheet recession).
Richard Koo, capo economista all’istituto di ricerca Nomura, studiò attentamente ciò che accadde in Giappone in seguito
allo scoppio della bolla ’90 in Giappone, ponendo l’attenzione sulla c.d. balance sheet recession, recessione dei saldi
di bilancio indotta dallo scoppio della bolla, per cui il settore privato, avendo accumulato una grande quantità di debiti nel
periodo antecedente alla crisi, comincia a risparmiare provocando un crollo della domanda di prestiti, portando così ad
una fase di recessione dell’economia: l’accumulo di debito da parte dei soggetti privati durante la fase espansiva della
bolla aveva indotto la Banca del Giappone ad intervenire per sgonfiarla senza farla scoppiare (c.d. soft landing,
atterraggio morbido) attraverso un aumento dei tassi di interesse; nonostante il tentativo la bolla scoppio, ed i soggetti
estremamente indebitati si ritrovano in una situazione di grande difficoltà patrimoniale caratterizzata dal crollo dell’attivo
(down 87% del valore degli asset) a fronte di un passivo consistente e costante che doveva essere ripagato (avevano i
bilanci sott’acqua, passivo > attivo). A fronte di questa situazione, adottando un comportamento razionale, le imprese
intrapresero un processo di delevereging, ossia di riduzione del livello di indebitamento verso le banche, sfruttando i
flussi di cassa dell’attività economica per ripagare i debiti accumulati, trasformandosi così da debitori/prenditori a
risparmiatori. Questa fase di Balance Sheet Recession, dalla durata decennale, portò ad una fase di recessione
dell’economia, conseguenza dell’assenza di creazione monetaria (dato il crollo della domanda di prestiti) e della
riduzione della quantità di moneta in circolazione (dato il rimborso dei prestiti contratti da parte dei soggetti privati) =>
riportando l’equazione di Fisher, se MV = PY se M non cresce Y (reddito nominale) non cresce, se M si contrae Y si
contrae: in presenza di scarsità deo prestiti per assenza di investitori (BSR) l’economia può rapidamente cadere in una
spirale deflazionistica.
A seconda che siano o meno buoni debitori, soggetti disposti ad indebitarsi ed investire, e buoni prestatori, banche
disposte a prestare, Richard Koo individua 4 STATI DELL’ECONOMIA:
I. Prestatori ed investitori entrambi presenti in un numero sufficiente =>
caso standard
II. Assenza di prestatori, tipicamente a causa di problemi finanziari delle
banche che non sono in grado di concedere prestiti => caso
problematico che può essere risolto facilmente mediante l’intervento
della BC o da parte dello Stato a sostegno del settore bancario.
III. Assenza di investitori a causa di un debito eccessivo o assenza di
investimenti (BSR) => caso grave di difficile risoluzione.
IV.Assenza di prestatori e investitori, a causa di problemi di bilancio per
entrambi => mediante l’intervento della BC o da parte dello Stato a
sostegno del settore bancario si può passare dal caso IV al caso III.
Gli stati I e II secondo Woo sono gli stati del mondo studiati nei libri di
teso economici, mentre non lo sono i casi III e IV. La maggior parte delle
economie avanzate attuali si trova nel 3 stato dell’economia.
In presenza di scarsità dei prestiti per assenza di investitori (situazione di balance sheet recession) l’economia può
rapidamente cadere in una spirale deflazionistica: l’unico modo per far crescere un’economia è la creazione monetaria,
e quindi aumentare la quantità di moneta in circolazione attraverso la concessione di prestiti a soggetti disposti ad
indebitarsi. Richard Koo spiega il fenomeno chiaramente con un’esempio —> Assumiamo che in una economia si
produce un reddito di 1.000 di cui 900 sono direttamente consumati e 100 (il 10%) risparmiati. I 900 consumati
diventeranno reddito per qualcuno nel periodo successivo (la spesa di uno è il reddito di un altro). Se i 100 risparmiati
vengono prestati a qualcuno che li spende anch’essi diventeranno reddito, e quindi il reddito resterà 1.000. Se invece i
100 risparmiati non vengono prestati ma restano nel settore finanziario, la spesa totale nell’economia scende a 900, e
quindi si ha una riduzione del 10% del PIl. È quindi facile avvitarsi in una spirale deflazionistica, perché se questo
succede in più periodo, ad ogni periodo di ha una riduzione del 10% del reddito.
Adottando un’approccio settoriale, in modo tale da comprendere chi si indebita e chi risparmia, ossia cosa è davvero
accaduto nell’economia e quindi come poter intervenire per porre una soluzione, Richard Koo suddivide l’economia in 4
SETTORI:
I. Famiglie (settore privato)
II. Imprese (settore privato)
III. Governo
IV.Resto del mondo
• Settori con bilancio sopra la linea a zero (>0) sono in surplus: risparmiatori e prestatori di fondi
• Settori con bilanci sotto la linea a zero (<0) sono in deficit: prendono a presto fondi.
La somma dei deficit/surplus dei 4 settori, essendo una partizione settoriale dell’economia, è necessariamente per
identità contabile pari a 0.
LEZIONE 31/03/21
Negli anni recenti in molti altri paesi europei (esclusa la Germania), così come in Giappone, si è osservato lo sviluppo di
grandi bolle immobiliari e la conseguente Balance sheet recession, in accordo con l’analisi condotta da Koo:
➡ Dalla tabella emerge come in tutti i paesi in cui è sviluppata una bolla immobiliare di grandi dimensioni, proprio
come previsto da Koo, il settore privato si è trasformato da debitore a risparmiatore. In Italia il caso è un po’
particolare, in quanto in essa non si è mai sviluppata una vera e propria bolla immobiliare, ma la stagnazione è la
conseguenza della crisi dei debiti sovrani del 2011. La Germania invece conosce una diminuzione del surplus.
Nel tentativo di aiutare la Germania la BCE ha attuato una politica di riduzione dei tassi di interesse, causando così uno
sfasamento del ciclo economico caratterizzato 1) da un’aumento dell’erogazione dei prestiti nei paesi periferici, i quali
non avevano conosciuto alcuna bolla e non avevano quindi bisogno di una riduzione dei tassi di interesse, e 2) da un
deflusso di capitali dalla Germania verso i paesi periferici, nei quali fu investito la maggior parte dell’eccesso di risparmio
tedesco: la combinazione di questi due elementi, e quindi la forte creazione monetaria non indirizzata in modo
appropriato nei settori produttivi ma principalmente al settore monetario, finanziario ed al consumo, causò lo sviluppo in
tutta Europa di bolle immobiliari, bolle finanziarie ed inflazione, per cui i costi di produzione ed i prezzi dei beni prodotti
aumentano rapidamente nei paesi periferici mentre restano costanti in Germania.
L’ideale sarebbe quindi pervenire ad un aggiustamento simmetrico, che prevede la simultanea attuazione di politiche di
austerità da parte dei paesi in deficit e di politiche fortemente espansionistiche da parte dei paesi in surplus. Al riguardo,
Luca Fantacci popone di trasformare l’Euro in “Euro-Bancor" applicando cioè all’UE la proposta che Keynes portò a
Bretton Woods:
• reintroduzione delle monete nazionali come monete locali, così da consentire in caso di squilibri strutturali un
aggiustamento del cambio
• utilizzo dell’euro nelle transazioni internazionali tra paesi
• tasso di cambio fisso ma aggiustabile
• distribuzioni simmetrica del peso dell’aggiustamento degli squilibri tra paesi creditori e debitori, affinché tutti siano
incentivati a ridurre gli squilibri e riportare i propri saldi vicini a zero: questo è possibile imponendo non sono ai
debitori ma anche ai creditori, ossia i soggetti che hanno un surplus nel target 2 e quindi un accumulo di bancor, il
pagamento di interessi passivi, così come previsto da Keynes.
Inoltre il QE è molto facile da iniziare, ossia è facile comprare titoli ed emettere riserve, ma difficile da terminare in
quanto la normalizzazione della politica monetaria richiede sia una forte riduzione della base monetaria sia un aumento
dei tassi di interesse, due politiche fortemente restrittive che non sono mai state fatte contemporaneamente ed i cui
effetti sull’economia reale non sono ancora conosciuti.
ANALISI DI KOO vs FRIEDMAN DELLA CRISI DEL ’29
Alla luce di quanto osservato appare logico chiederci perché è stat attuata una politica monetaria espansiva nella forma
di QE. La risposta risiede nell’analisi della crisi del ’29 condotta da Friedman, il quale notò che a portare l’America al di
fuori della crisi fu l’espansione dei depositi delle banche commerciali ed attribuì questo risultato alle politiche monetarie
espansive attuate dalla FED che permisero, secondo lui, di aumentare l’erogazione dei presti al settore privato.
Tuttavia Richard Koo, osservando il fenomeno più attentamente senza focalizzarsi esclusivamente sull’espansione del
lato del passivo, mise in luce come questo fu guidato sul lato dell’attivo non tanto da un aumento dei presiti al settore
privato, che anzi nel 1936 non conobbe alcuna crescita, bensì dall’aumento del credito erogato al settore pubblico per
che si era indebitato per sostenere le spesa legate al New Deal di Roosevelt. In altri termini, non fu la politica monetaria
ma la politica fiscale del New Deal a condurre l’America al di fuori della crisi, ragione per cui Koo ritiene che quando
l’economia entra in una fase di recessione, mentre la politica monetaria agendo sulla leva del tasso di interesse è
inefficace per stimolare l’indebitamento privato e quindi la crescita economica, è necessario che vi sia l’intervento del
settore pubblico che, tramite politiche fiscali espansive, incrementi il suo livello di indebitamento così da compensare
l’eccesso di risparmio del settore privato ed evitare che l’economia cada in una spirale deflazionistica.
Al riguardo, Koo ritiene possano essere distinte 3 diverse fasi di crescita di un paese nel corso delle quali il ruolo delle
politiche fiscali e delle politiche monetarie gioca un’importanza diversa:
‣ URBANIZING ERA —> Nella fase iniziale di crescita è fondamentale che il settore pubblico attui una politica fiscale
espansiva di aumento della spesa pubblica, e quindi si indebiti al fine realizzare le infrastrutture necessarie per lo
sviluppo dell’economia.
‣ GOLDEN ERA —> Quando l’economia ha raggiunto un livello infrastrutturale sufficientemente elevato, tale per cui
sulla base di esso il settore privato può sviluppare la propria crescita, le politiche fiscali assumono un ruolo
secondario mentre ruolo primario è assunto dalle politiche monetarie, che fissando i tassi di interesse regolano la
domanda di prestiti e l’ammontare degli investimenti decisi dal settore privato.
‣ PURSUED ERA —> Quando l’economia entra in una fase di recessione, che sia legata alla BSR o all’assenza di
opportunità di investimenti sufficientemente buone il settore privato, è necessario che il settore pubblico, tramite
adeguate politiche fiscali, stimoli l’economia creando nuove e più avanzate infrastrutture che consentano una
ripartenza del settore privato.
Secondo Koo, in questo periodo storico la maggior parte delle economie avanzate si trova in questa terza fase, ma a ciò
si aggiunge un ulteriore problema rappresentato dall’eccessivo indebitamento pubblico.
In presenza di un eccessivo indebitamento (debt overhang) sia dei privati (BSR) che del settore pubblico ci troviamo in
una situazione “di mancanza di munizioni”, in quanto:
- la leva monetaria è inefficace per assenza di investitori
- la leva fiscale è impraticabile per assenza di spazi fiscali
- la leva del tasso di cambio, che in ogni caso è assente per i paesi dell’area euro, è soggetta al rischio di guerre
valutarie; inoltre questa leva è impraticabile in un contesto di stagnazione comune, ma può essere utilizzata solo
quando alcuni paesi sono in una fase di stagnazione ma hanno la possibilità di appoggiarsi alla domanda aggregata
degli, e quindi alle esportazioni verso, gli altri paesi in crescita.
In altri termini ci troviamo in una situazione di “mancanza di munizioni”.
In realtà esiste un’arma finale teoricamente proposta da molti come alternativa al QE, ma che nella pratica non è ancora
stata attuata in Europa: c.d. HELICOPTER MONEY o FINANZIAMENTO MONETARIO DELLE POLITICHE FISCALI,
proposta di politica monetaria non convenzionale che consente di fornire nuove risorse monetaria all’economia reale non
tramite i mercati finanziari, che vengono bypassati, ma tramite il settore pubblico finanziando la spesa pubblica
direttamente mediante emissione di nuova moneta da parte della BC.
Il finanziamento monetario della spesa pubblica è considerato uno strumento standard anche a molti economisti del
passato, tra cui Milton Friedman, a cui si deve l’espressione helicopter money utilizzata per descrivere gli effetti di
espansione monetaria alludendo al lancio di soldi sulle persone come se piovessero da un elicottero, il quale riteneva
che fosse sempre possibile stimolare la domanda aggregata nominale emettendo nuova moneta e distribuendola ai
cittadini. Questo strumento anche in tempi più recenti è stato proposto da svariati economisti dalle provenienze teoriche
più disparate (di estrazione keynesiana, di estrazione monetarista…), nonché da molti banchieri centrali o famosi gettoni
di fondi di investimento, ed in particolare al tempo corrente è stato suggerito nell’ambito dell’Eurozona come eventuale
misura per rispondere alla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19.
Le proposte avanzate, pur differenziandosi per il tipo di governance proposto essendo l’emissione nel primo caso sotto il
controllo della BC e nel secondo caso sotto il controllo del Tesoro, consentono di ristabilire una gestione centralizzata
della creazione monetaria portando l’emissione di moneta digitale sotto il controllo dell’autorità centrale, eliminando così
un sistema di creazione monetaria decentralizzato, instabile, tendenzialmente prociclico e che è alla base della
recessione economica.