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Luigi Copertino

Il capitale «volatile» ovvero del nichilismo


finanziario
10 Gennaio 2008

Proprietà e capitale non sono la medesima cosa.


Si tratta di due termini che esprimono concetti opposti.
Come già osservava all’inizio del XX secolo Francesco Avigliano, socialista eretico, delle
intuizioni del quale fu debitore anche Ezra Pound, se un tempo si era ricchi perché si
possedevano beni reali (terre, immobili, mezzi di produzione) con l’età moderna, invece, fece
la sua comparsa un concetto di ricchezza astratto e virtuale: la ricchezza finanziaria e
monetaria (1).
Il capitale, appunto, è innanzitutto monetario ed in tal senso Fernando Ritter, per distinguerlo
dal capitale costituito da beni reali, ha giustamente parlato di pseudocapitale(2).
Tuttavia, prima del passaggio all’età post-moderna, ossia all’età post-industriale, passaggio
che segna anche l’apice spirituale e storico del processo di decristianizzazione, il capitale
monetario era comunque legato all’economia reale perché esso rimaneva subordinato al
superiore bene comune, particolare o universale, vale a dire della Polis o dell’Imperium o, in
età moderna, dello Stato nazionale, come era naturale che fosse in epoche nelle quali
l’economia stessa era considerata soltanto una delle funzioni della comunità politica, non la
prima né la seconda.
L’economia era subordinata a superiori istanze sovraeconomiche.
 
La comparsa della banca e dell’oro-carta: primo passo della finanziarizzazione dell’economia.
Nel medioevo ed agli albori della modernità la moneta era ancora aurea o argentea.
La moneta, pertanto, era un bene reale e, come tale, era oggetto di proprietà da parte del suo
portatore ossia da parte di chi ne veniva legittimamente in possesso.
Con la nascita della banca comparve la carta-moneta che è giuridicamente una cambiale
bancaria, la note of bank o banconota, emessa dal banco depositario delle riserve di moneta
aurea ed argentea che artigiani e mercanti ad esso affidavano in custodia.
In particolare erano i mercanti ad essere agevolati, negli spostamenti, dalla possibilità loro
offerta, dalla rete internazionale di cambiavalute, che avevano banchi aperti sulle piazze di
tutt’Europa,
di portare con sé soltanto lettere di cambio, ossia ricevute bancarie, coperte da riserve di
moneta aurea o argentea.
Infatti i mercanti esibendo, presso il banco della piazza ove momentaneamente si trovavano,
la lettera di cambio, ossia la banconota, potevano ottenere monete metalliche nella quantità
corrispondente al valore nominale della ricevuta esibita.
Il banco a sua volta avrebbe recuperato il quantitativo di moneta metallica sborsata presso il
banco di emissione della lettera di cambio, esibita dal mercante di passaggio.
Il sistema fu ben accetto anche perché era più sicuro far circolare note bancarie che moneta
metallica.
Le monete auree o argentee, rimanendo depositate presso il banco, assolvevano inizialmente
alla funzione di garantire la copertura, e dunque il valore, delle banconote.
Queste, infatti, erano emesse in forma di cambiali recando la dicitura, ancora visibile qualche
anno fa sulle vecchie lire, pagabili a vista al portatore accompagnata dalla firma del legale
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rappresentante del banco di emissione (che nel caso delle vecchie lire era quella del
governatore della Banca d’Italia).
Attualmente la divisa cartacea dell’euro non reca più nessuna dicitura del genere e tuttavia su
di essa compare ancora la firma del governatore dell’istituto di emissione ossia della Banca
Centrale Europea, a dimostrazione che giuridicamente la natura cambiaria della banconota
non è cambiata.
 
La riserva aurea, quindi, aveva originariamente la funzione di evitare che lo
strumentofinanziario si svincolasse dalla concretezza di un bene reale come l’oro ed in ultima
analisi che si svincolasse dall’economia reale.
Con il tempo, poi, instauratasi per consuetudine la fiducia popolare nella solidità delle
banconote,
in quanto a copertura aurea garantita, si giunse alla virtualizzazione del valore della moneta
cartacea.
Ciò poté avvenire nel momento in cui, per la consuetudinaria fiducia instauratasi, nessuno più
pretese presso la banca di emissione l’effettiva conversione in oro o argento delle banconote.
La fiducia che esse ormai godevano presso il pubblico era tale che cittadini ed operatori
economici iniziarono a far circolare direttamente tra loro, come mezzo di pagamento, lenote
di banco, senza più preventivamente richiederne la commutazione in moneta metallica.
Questa circolazione diretta trasformò le banconote, da cambiali, in vera e propria moneta
corrente.
Il sistema bancario iniziava, così, ad esercitare il suo dominio occulto sulla vita dei popoli,
mediante il controllo che la finanza poteva esercitare in tal modo sull’economia (3).
Tale sistema andò successivamente organizzandosi intorno all’istituzione in ogni nazione di
una Banca Centrale.
Le Banche Centrali nascono originariamente come banche private dotate delle speciali
prerogative del monopolio dell’emissione di carta moneta e dell’autonomia, statutariamente
garantite dal sovrano.
Nel corso del XX secolo le Banche Centrali furono progressivamente subordinate al controllo
dello Stato fino a diventare uno strumento delle politiche monetarie degli esecutivi
nell’ambito dello sviluppo e del rafforzamento dello Stato sociale.
In Italia il completamento della subordinazione della Banca d’Italia allo Stato, ossia, come si
ebbe a dire all’epoca, la sua pubblicizzazione, fu una delle riforme sociali più importanti
effettuate durante gli anni trenta del XX secolo dal regime fascista.
A partire dagli anni ottanta del secolo scorso in tutti gli Stati occidentali (in Italia la cosa
avvenne sotto la guida di Guido Carli che riuscì a far accettare il divorzio tra Tesoro e Banca
d’Italia) le Banche Centrali sono riuscite a riconquistare le loro originarie ed assolute
prerogative di incontrollabilità e di autonomia non solo nell’emissione monetaria ma anche
nella gestione delle manovre fondamentali di politica monetaria, come quella del
cosiddettotasso di sconto dalla quale dipende il costo del denaro e quindi la sopravvivenza sul
mercato di molte aziende e di molti posti di lavoro.
 
L’autonomia intangibile delle Banche Centrali è oggi palesemente statuita dall’articolo 107del
Trattato di Maastricht (4).
Il regime di subordinazione della Banca Centrale allo Stato non garantiva in senso assoluto
che la funzione monetaria fosse esercitata a fini di bene comune perché da un lato il potere
politico era spesso portato ad abusare dello strumento monetario fino ad ingenerare inflazione,
dall’altro lato laddove vi fosse collusione tra banchieri centrali e ministri di turno, inalberati
da questa o quella loggia, il dominio finanziario sull’economia poteva egualmente, sebbene
indirettamente, esercitarsi per fini devianti.
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Tuttavia il tandem tra potere politico, responsabile delle sue decisioni di fronte al Parlamento
e sottoposto pertanto al suo controllo ed in ultima istanza al controllo del corpo elettorale, e
potere central-bancario costringeva quest’ultimo potere ad un costantepatteggiamento con il
potere politico, democraticamente eletto e responsabile.
L’equilibrio tra potere politico e potere tecnico bancario costringeva ambedue i poteri ad una
reciproca ed autolimitante coordinazione e se il potere politico trovava, nel gioco dei reciproci
rapporti di forza, un freno da parte del potere bancario quest’ultimo dal canto suo era spesso
costretto a subire decisioni contrarie agli interessi immediati della consorteria central-
bancaria.

Il «misterium iniquitatis» finanziario
La moneta cartacea, in forma di cambiale o ricevuta di deposito di beni reali, è molto più
antica del cristianesimo.
Di essa fa cenno la Sacra Scrittura nel racconto di Tobia: «In quel giorno Tobi si ricordò del
denaro che aveva depositato presso Gabael in Rage di Media… Perché dunque non dovrei
chiamare mio figlio Tobi e informarlo, prima di morire, di questa somma di denaro? Chiamò
il figlio e gli disse: ‘…Ora, figlio, ti faccio sapere che ho depositato dieci talenti d’argento
presso Gabael figlio di Gabri, a Rage di Media. Non temere se siamo diventati poveri…’.
Allora Tobi rispose al padre:
‘… Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco
lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro?
…’ Rispose Tobi al figlio: ‘Mi ha dato un documento autografo e anch’io gli ho consegnato
un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte; l’altra parte
la lasciai presso di lui con il denaro. Sono ora vent’anni da quando ho depositato quella
somma … Va dunque da Gabael a ritirare il denaro» (Tobia 4,1-21; 5,1-3).
Il racconto prosegue con il viaggio di Tobi, che riuscirà a recuperare la somma per il vecchio
padre, esule a Ninive, trovando persino moglie.
Nel suo viaggio Tobi è assistito da un misterioso personaggio, che in realtà è l’Arcangelo
Raffaele, inviatogli in soccorso da Dio, al quale spetta, alla fine, nel momento in cui svela la
sua vera identità a Tobi ed alla moglie, rivelare il senso spirituale di tutta la vicenda che è
quello dell’uso giusto e misericordioso dello strumento monetario: «E’ bene tener nascosto il
segreto del re, - dice il messaggero celeste - ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le
opere di Dio. (…). Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia.
Meglio il poco con giustizia che la ricchezza con ingiustizia. Meglio è praticare l’elemosina
che mettere da parte oro. L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro
che fanno l’elemosina godranno lunga vita. Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia
sono nemici della propria vita» (Tobia 12,7-10). Questo episodio biblico non è solo una
anticipata rivelazione della caritas cristiana (nel suo senso trascendente prima che morale) ma
pone anche un fondamentale principio di etica economica: quello per cui il credito trova la sua
unica giustificazione nella propria funzione sociale.
Nasce qui la concezione del credito sociale (social credit), tradizionalmente propria del
pensiero economico cattolico, dai Padri della Chiesa, Sant’Agostino, Sant’Ambrogio fino a
San Tommaso d’Aquino, San Bernardino da Siena, Sant’Antonino da Firenze, Duns Scoto ed
all’invenzione francescana dei «Monti di Pietà», che nel XX secolo economisti eretici come
Clifford Hugh Douglas e Silvio Gesell (quest’ultimo con l’idea sabbatica della moneta
prescrittibile), ai quali si richiamava Ezra Pound nei suoi studi poetico-economici, faranno
propria.
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Infatti, nel racconto biblico di Tobia la creazione di moneta, mediante emissione di
unapromessa di pagamento, è strumento finalizzato a sovvenire ai bisogni del povero Tobi,
suo padre: il documento emesso da chi detiene la riserva di denaro presso di sé, nel racconto
Gabael di Rage, svolge la propria funzione a favore del vero proprietario del valore monetario
in esso incorporato, ossia il vecchio Tobi, e non, come succede nell’emissione monetaria
cartacea odierna, a favore di chi ha il monopolio legale a creare il simbolo cartaceo.
Al tempo stesso, però, l’episodio biblico in questione ha il proprio fondamento storico
nell’antico uso semitico del mamré (o memrà) che era una promessa di pagamento in forma
scritturale, papiracea o in tavolette di terracotta, circolante nell’area vicino-orientale.
Sembra che la solidarietà creditizia intraetnica, ossia esclusiva tra israeliti, nelle promesse di
pagamento, alla quale per la legge mosaica tutti i membri del popolo ebreo erano tenuti,
sicché l’israelita possessore di un mamré poteva riscuotere indifferentemente il proprio debito
presso un qualunque confratello e non necessariamente presso quello che aveva emesso la
promessa di pagamento (da qui, al fine di non inflazionare il mercato oltre che per dovere di
misericordia, il settennale anno sabbatico di cancellazione di ogni debito), facesse sì che
i mamré ebraici fossero diventati mezzo di pagamento in tutta l’area compresa tra antico
Egitto e Mesopotania, accettati da tutti proprio perché avvalorati da quella solidarietà
intraetnica che, mano a mano che gli israeliti iniziarono a praticare scambi commerciali con i
popoli vicini, fu resa non più esclusiva ai soli rapporti tra ebrei ma estesa anche a quelli con i
non ebrei.
Ma, in tal modo, ossia con l’accettazione dei mamré senza la contropartita della riscossione
del debito, ovvero senza la contropartita dell’adempimento della promessa di pagamento,
assenza di contropartita indotta dalla fiducia nella solidarietà interetnica degli israeliti
debitori, quella che in origine nasce come una sorta di esposizione debitoria di ogni israelita
verso gli altri israeliti e di tutti gli israeliti verso i pagani diventa, per rovesciamento, una
posizione di egemonia creditizia in favore di coloro, gli ebrei, che emettevano i mamré(5).
Con la conseguenza che l’influenza israelitica nel mercato finanziario dell’epoca divenne
talmente notevole fino al punto che, deviando dal senso spirituale delle Scritture, gli israeliti
iniziarono a leggere in senso letterale e materialistico passi come «Il Signore tuo Dio ti
benedirà come ti ha promesso e tu farai prestiti a molte nazioni e non prenderai nulla in
prestito; dominerai molte nazioni mentre esse non ti domineranno» (Deuteronomio 15,6).
 
Quando Nostro Signore Gesù Cristo ammoniva che non è possibile servire due padroni,
opponendo l’adorazione luciferina a mammona all’adorazione autentica a Dio (Matteo 6,24;
Luca 16,13), Egli si riferiva al tesoro monetario custodito nel Tempio (per gli antichi, e gli
ebrei non facevano eccezione, i templi erano anche centri finanziari posti sotto la protezione
del dio cui il santuario era dedicato), il mammona, per l’appunto, gestito dal Sinedrio e
costituito, nel caso del tempio di Gerusalemme, in gran parte da promesse di pagamento, ossia
titoli di credito ormai usati come moneta corrente con il conseguente capovolgimento delle
parti tra l’emittente, apparente debitore ma occulto creditore, e il possessore di quei titoli
circolanti, apparente creditore ma inconsapevole debitore.
Nel mondo greco-romano non sembra che la circolazione di moneta cartacea fosse la norma e
comunque non godeva, laddove sussistente, del favore della res pubblica e dei cittadini.
Non a caso alla rarità monetaria aurea si faceva fronte, da parte dell’erario, con la frode,
inflazionistica, di tagliare le monete auree con metalli meno preziosi, quando non addirittura
vili: l’uso della carta moneta, se fosse stato accettato, avrebbe risolto il problema con il
semplice aumento del quantitativo di moneta stampata e la conseguente inflazione.
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Di carta moneta, a dimostrazione della sua origine prevalentemente orientale, parla invece
Marco Polo nelle sue memorie di viaggio in Asia, dove essa circolava sotto imperio del Gran
Khan come, dunque, moneta emessa dallo Stato e garantita dall’autorità del sovrano.
Forse, è da scoperte come questa che l’uso della carta moneta iniziò, mediatore il mondo
islamico che faceva da cuscinetto geografico e culturale tra Occidente ed Asia, a diffondersi
anche nell’Europa medioevale.
Ma, qui, la mancanza, causa la frammentazione feudale e comunale, di una forte autorità
politica, come quelle degli imperi teocratici asiatici, lasciò lo strumento cartaceo in balia,
come si è detto, dei cambiavalute e dei banchieri, perlomeno fino alla comparsa del sistema
central-bancario.
 

La Banca d’Inghilterra e il «misterium iniquitatis»

La prima Banca Centrale nacque in Inghilterra nel 1694.


Non si tratta affatto di una casualità storica ma di un vero e proprio segno dei tempi.
Infatti, tale parto avvenne nell’Inghilterra dell’apostasia anglicana, nella quale i cattolici
venivano martirizzati per la loro fedeltà alla Chiesa di Roma.
Era, quella, l’Inghilterra che aboliva legalmente l’Eucarestia, la cui celebrazione fu dichiarata
reato. William Paterson, uno strano avventuriero con legami rosacruciani, fu l’ideatore e
fondatore della Banca d’Inghilterra.
Egli per allettare i potenziali soci svelò loro l’arcano segreto della gnosi finanziariaracchiuso
nella formula la banca trae beneficio dall’interesse su tutta la moneta che crea dal nulla».
La Banca d’Inghilterra nacque sotto l’interessata tutela della corona la quale appaltò ad essa il
monopolio dell’emissione legale di moneta in forma cartacea.
La Banca fondata dal Paterson, emettendo in regime di monopolio moneta cartacea, ossia in
sostanza moneta creata ex nihilo a costo zero (o quasi, scontando soltanto i costi tipografici di
stampa della cartamoneta), lucrava l’interesse maturato sulla moneta prestata sia allo Stato sia
al pubblico indotto, quest’ultimo, alla fiducia nel nuovo istituto di emissione
dall’imprimatur regale di cui esso godeva in via esclusiva.
Giustamente anche Marx, nell’unica pagina de Il Capitale nella quale affronta la questione del
capitale monetario, per il resto completamente trascurata ed estranea dai suoi orizzonti,
osserva che le Banche Centrali, nate sul modello inglese, sono nient’altro che parassiti viventi
della rendita loro assicurata dal debito pubblico che esse stesse, prestando con una mano ciò
che ricevevano maggiorato degli interessi con l’altra, contribuiscono a creare, ponendone tutto
il peso sulle spalle dello Stato e quindi della comunità e dell’economia nazionale (6).
Se, inizialmente, anche la Banca d’Inghilterra e le altre Banche Centrali operavano con una
riserva aurea, a garanzia delle banconote emesse, ben presto tale garanzia diventò parziale in
quanto l’emissione era effettuata in quantità più che proporzionale rispetto al deposito aureo
effettivamente posseduto, ingenerando così inflazione.
L’efficacia del sistema, dimostrata dall’ormai acquisita accettazione fiduciaria delle
banconote da parte del pubblico, indusse i suoi inventori e fruitori alla graduale abolizione
della riserva aurea. Tale abolizione è stata palesemente e formalmente dichiarata nel 1971 con
la fine degli Accordi di Bretton Woods.
Tali Accordi dal 1946 garantivano la stabilità degli scambi monetari internazionali sulla base
del Golden Standard.
Nel sistema di Bretton Woods, che è all’origine del Fondo Monetario Internazionale e della
Banca Mondiale, il dollaro fungeva da moneta di riserva per tutte le altre valute.
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Negli anni successivi alla stipula degli Accordi, tuttavia gli USA, nel perseguimento dei
propri obiettivi geo-strategici e militari planetari, avevano inondato i mercati di una quantità
di dollari superiore alle riserve auree depositate presso la Banca Mondiale.
 
La Francia, all’epoca guidata da De Gaulle, che perseguiva una sua politica
antiamericanaintesa all’edificazione di un’Europa delle patrie ad egemonia franco-tedesca,
pretese, in omaggio a quanto stabilito dagli stessi Accordi di Bretton Woods, la conversione
in oro della riserva di dollari in possesso della Banca Centrale francese.
Il braccio di ferro tra USA e Francia, appoggiata quest’ultima anche da altri Stati, proseguì
oltre la presidenza di De Gaulle.
Gli Stati Uniti vennero così a trovarsi in una situazione di grave difficoltà finanziaria ed
internazionale.
Fino a quando Nixon, nel 1971, proclamò unilateralmente la cessazione della convertibilità in
oro del dollaro, ponendo fine al sistema di Bretton Woods.
In tal modo tutto il sistema finanziario mondiale fu trasformato in un’enorme giro planetario
di assegni a vuoto, senza più nessuna garanzia reale.
Se con l’abolizione della riserva aurea non si ebbe il crollo dell’intero sistema planetario di
scambi valutari ciò si deve al semplice fatto che esso, in realtà, si regge sulla inconsapevole
accettazione fiduciaria delle banconote da parte del pubblico mondiale.
Accettazione, storicamente, in origine  consuetudinaria ma successivamente imposta con il
corso forzoso dei simboli monetari cartacei.
Nel 1971 divenne, così, palese l’operazione magica che sin dall’inizio era stata alla radice,
occulta, del processo di finanziarizzazione dell’economia.
Il sogno alchemico della trasformazione della carta in oro, realizzato dal sistema bancario
internazionale, palesa il retroscena esoterico che si nasconde dietro tale trasformazione.
La cripticità iniziatica delle grandi organizzazioni transnazionali (FMI, Banca Mondiale,
WTO, Bildenberg, Council for Foreign Relations, Unione Europea, Trilaterale, etc.) e
lalingua di legno usata dalle élite finanziarie che le guidano, svelano la loro origine
nell’antico esoterismo luciferino, la cui promessa suadente e prometeica, quanto ingannevole,
già sibilò nelle orecchie dei nostri progenitori: «eritis sicut Dei» (Genesi, 3, 5).
In questa gnosi monetaria prende forma l’ultima espressione dell’iniquità ofidica che già fu la
rovina dell’umanità adamitica.
Il misterium iniquitatis è una vera e propria Antirivelazione che, nel tentativo di imitare la
Rivelazione Divina, custodita dalla Chiesa cattolica, ha bisogno di farsi fede carpendola con
l’inganno.
L’atto di  fiducia del pubblico nel valore, virtuale ed immateriale, delle banconote, in
circolazione, è per l’appunto la fede, dell’umanità ingannata, su cui si basa l’iniqua religione
monetaria dominante.
 
La trasformazione della carta in oro, resa possibile dalla accettazione
fiduciaria, èun’eucaristia luciferina che, nell’età in cui nei centri storici delle città le antiche
chiese e cattedrali sono sostituite dai nuovi templi delle banche, pretende di surrogare, in
un’imitazione blasfema della Transustanziazione, l’Eucaristia cristiana.
L’abisso di lucida esaltazione nichilista e prometeica, con cui l’iniquo potere monetario è
riuscito ad irretire il cuore umano, è evidente sin dall’affermazione con la quale il Paterson
inaugurava i fasti della Banca d’Inghilterra.
Infatti, come si è visto, lo speculatore rosacruciano attribuiva all’uomo il potere, che è solo di
Dio, di creare ex nihilo.
Pretesa dalla quale discende l’essenza nichilista che sta alla base dell’economia liberista e che
si va manifestando in modo ormai palese nella nostra epoca post-moderna nella quale va
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trionfando la finanziarizzazione dell’economia con la conseguente deindustrializzazione ed il


conseguente vassallaggio della politica, ormai abdicante dal suo ruolo che è quello di
conseguire il bene comune, ai poteri finanziari globali.
Forse iniziamo solo ora a capire, più a fondo, il significato spirituale ed escatologico
dell’ammonimento di Cristo, da noi già citato, sull’impossibilità di servire due padroni, Dio e
mammona.
Un avvertimento in qualche modo profetico che finora è stato considerato, anche dall’esegesi,
soltanto alla stregua di un ammonimento di tipo etico o ascetico (Matteo 6,24).
E forse iniziamo a capire il senso metafisico dell’antica condanna dell’usura proferita dal Dio
di Abramo (7).
 
Fine prima parte
 
Luigi Copertino

Note
1) Confronta F. Avigliano, L’enigma sociale, Ar, Padova, 1994. L’Avigliano alle pagine 15 e
16 della sua opera osservava: «Fino a qualche secolo fa, si era ricchi di terre, case e oro. Da
qualche secolo a questa parte, la civiltà capitalista è venuta generando una nuova
ricchezza, la quale, non essendo né terre, né case, né oro, è per definizione un artificio. Tale è
la… finanza capitalistica dei depositi e dei titoli, la quale incombe sull’umanità povera di
tutte le classi sociali come il più tremendo dei flagelli, perché essa prospera, non già nella
produzione di abbondante ricchezza,
ma… nella distruzione della ricchezza (…). Infatti, dal 1914 al 1920 il debito mondiale è
salito da 200 a 1.275 miliardi-oro. (…) una novità mostruosa, che fino a qualche secolo fa
non esisteva, genera … un cumulo sempre più colossale e inaudito di un artificio che la
civiltà capitalista fa funzionare come oro, anzi meglio dell’oro.(…) nuova ricchezza in
titoli… come la bacchetta magica… storicamente realizzata,cioè, come disponibilità
potenziale di denaro a fiume, inesauribile. L’artificio è,dunque, evidente. E’ evidente che v’è
una minoranza di uomini, la quale… possiede… una ricchezza artificiale… in una cifra
sbalorditiva, nientemeno che tredici volte cento miliardi-oro, cioè, cinquanta volte l’oro
coniato in tutto il mondo, che è appena di una trentina di miliardi. Questa minoranza di
uomini, dunque, ha nelle mani un potere di dominio e di corruzione addirittura
fantastico, non già in forza (giova ripeterlo) della tradizionale ricchezza, ma in forza di un
fatto nuovo che è un artificio mostruosamente antisociale. Dell’intima essenza flagellatrice di
questo artificio, gli economisti non si accorgono, e tanto meno il pubblico; …». Da notare
come le conclusioni di Avigliano troveranno sanzione canonica nel Magistero di Pio XI nei
passi 105, 106 e 109 della Quadragesimo Anno dove si condanna il dominio dell’
«imperialismo internazionale del denaro» sull’economia reale. L’Avigliano, del resto, aveva
intuito l’essenza nichilista ed esoterica della finanziarizzazione dell’economia laddove
accenna al potere distruttivo di ciò che egli definisce artificio e laddove paragona la ricchezza
artificiale alla bacchetta magica.
2) Confronta F. Ritter Lo pseudocapitale, Scheiwiller, Milano, 1970/1975.
3) Un dominio che Pio XI nella Quadragesimo Anno (1931) ha chiaramente condannato:
«E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione
di ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza
dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e
amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo
potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da
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padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo
economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la
loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…)Nell’ordine poi delle relazioni
internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile,l’imperialismo
internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene.» (numero 105 - 106 - 109).
4) Tale articolo sancisce testualmente: «Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei
compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC(Sistema
Europeo delle Banche Centrali), né la BCE (Banca Centrale Europea) né una Banca
Centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o
accettare istruzioni dalle istituzioni e dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri
né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i governi degli
Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i
membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche Centrali nazionali
nell’assolvimento dei loro compiti» (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee N.C. 191/15
del 29/07/1992). Come si vede l’UE è, impoliticamente, ancella della consorteria central-
bancaria che decide in piena ed intangibile autonomia la politica monetaria degli Stati membri
e quindi conseguentemente le politiche sociali, economiche, fiscali. Il Trattato di Maastricht
ha sancito di fatto e di diritto la morte della sovranità nazionale e dell’idea stessa
di Stato sicché c’è da chiedersi se il rituale elettorale democratico abbia ancora un senso dal
momento che la volontà popolare risulta ab origine castrata di ogni potenzialità.
5) Questo, del resto, come si dirà, è ancora oggi lo stesso trucco sul quale si basa l’emissione
di carta moneta in forma di falsa cambiale da parte delle Banche Centrali. In tal modo esse
sono solo in apparenza debitrici del valore reale che dovrebbe sottostare alle banconote ma
che, in realtà, perlomeno dal 1971, con la dichiarazione di inconvertibilità del dollaro in oro,
non esiste più. Notizie circa il mamré possono trovarsi in Francesco Cianciarelli Le origini
storiche della moneta e la sua influenza nelle vicende umane, Università di Teramo, Corso di
Perfezionamento in Studi dei Valori Giuridici e Monetari, Teramo, 1996.
6) Confronta Karl Marx Il Capitale, libro primo, tomo II, Editori Riuniti,VIII edizione, Roma
1974, pagoine 817-818: «Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni
nazionali non sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi
e, grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipar loro denaro. Quindi l’accumularsi
del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste
banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La
Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo all’otto
%; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso
capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Non ci volle
molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa
diventasse la moneta nella quale la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello
Stato gli interessi sul debito pubblico. Non bastava però che la Banca desse con una mano
per aver restituito di più con l’altra, ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice
perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo che aveva dato».
7) Ha significativamente scritto in proposito Maurizio Blondet: «Ora cominciamo a capire
perché la Chiesa e i teologi medievali vietavano il prestito a interesse, così come lo vieta
l’Islam, e come lo vieta persino l’ebraismo, almeno negli scambi tra ebrei. Perché
nell’economia usuraia, le imprese sono obbligate a crescere per pagare gli interessi, sotto
pena di sparizione. Non sono dunque i bisogni umani a dettare il ritmo dell’economia, ma le
esigenze della banca. La crescita del prodotto interno lordo non è - non è sempre - necessaria
al benessere delle popolazioni; è l’imperativo imposto contro i veri interessi del popolo, allo
scopo di massimizzare la retribuzione del capitale». Confronta Maurizio Blondet Schiavi
delle banche, EFFEDIEFFE, Milano, 2004, pagina 153. Da qui l’evidenza del fatto che
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l’economia, come oggi concepita, è antiumana anche perché, defraudando l’essere umano del
suo tempo (per l’Aquinate l’usuraio ruba il tempo che è dono di Dio
all’umanità), costringe l’uomo a tenere lo sguardo in basso, fisso sulla terra, distogliendolo
dal Cielo. Quando Gesù Cristo parlava della Provvidenza di Dio («Non cercate… che cosa
mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la
gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di
Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta», Luca 12, 29-31) richiamava la vocazione
essenzialmente contemplativa dell’uomo, nel disegno di Dio, che è stato creato per amare il
suo Creatore godendo dei frutti della creazione donati a lui dalla Gratuità del Padre Celeste.
Nel Genesi l’uomo, prima del peccato, è custode dell’Eden (confronta Genesi 2, 15-17) ed il
lavoro diventa pena solo al momento della cacciata dal Giardino. L’economia usuraia
aumenta il peso di tale pena.

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