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5.

Il mercato della moneta ed il suo equilibrio

5.1. Concetto di moneta

Dobbiamo ora avviarci allo studio del mercato della moneta. La moneta è un
oggetto vicino all’esperienza di tutti, e dunque apparentemente familiare. Dob-
biamo però essere pronti a spogliarci di una serie di luoghi comuni. Per tale ra-
gione i primi cinque paragrafi di questo capitolo hanno una natura piuttosto gene-
rale e discorsiva, con l’obiettivo di stimolare una riflessione sul tema. Le idee
esposte in tali paragrafi sono poi sintetizzare nel paragrafo 5.6: ovviamente, non è
sufficiente apprendere i soli riassunti schematici contenuti in quel paragrafo.
Moneta è tutto ciò che viene accettato da chiunque nel sistema economico
come mezzo di pagamento. Usualmente si tratta di qualche oggetto difficilmente
imitabile. In sistemi sociali molto frammentati, e nei quali prevale il sospetto
verso gli altri, si preferisce accettare come mezzo di pagamento solo un metallo
prezioso. In sistemi più sviluppati, e soprattutto in sistemi nei quali si sono evolu-
te istituzioni credibili che garantiscono il buon funzionamento monetario, sono
sufficienti in generale dei dischetti metallici o dei foglietti privi di valore intrinse-
co, che siano certificati dalle istituzioni monetarie stesse.
Non si deve pensare alla moneta come costituita solo dalle banconote (o mo-
nete metalliche) che usiamo quotidianamente, cioè quelle emesse da una banca
centrale, che è un organismo di natura pubblica. Anzi, quando si sono sviluppati i
sistemi monetari moderni esistevano solo banche private: queste consentivano ai
loro clienti, usualmente dei mercanti, di pagare i propri debiti utilizzando foglietti
garantiti dalle banche stesse: le “note delle banche”. Le banche private garantiva-
no quelle note, nel senso di certificare che quei foglietti erano “coperti”, cioè
esisteva un deposito del cliente, oppure un prestito a lui garantito dalla banca.
Tale attività era molto importante, perché consentiva al cliente di non aggirarsi
sempre e ovunque con delle scorte d’oro. Naturalmente occorreva che il cliente
fosse affidabile, non firmasse cioè note, cioè assegni, “scoperti”. Ma anche la
banca privata doveva essere affidabile: una volta cioè incassati i depositi dai
clienti non doveva scappare alle Isole Maldive. Data la natura dell’animo umano,
si capisce come mai nel tempo siano sorte delle istituzioni, cioè la banche centrali,
che vigilassero sul buon comportamento sia dei clienti, sia soprattutto delle ban-
che private.
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L’insieme degli oggetti utilizzati come moneta, emessi e garantiti da
un’autorità pubblica, si chiama moneta legale o circolante. Non necessariamente
tutto il circolante è garantito da una banca centrale: le monete metalliche esistenti
in Italia sino alla fine del 2001 – una parte irrisoria del circolante – erano emesse
dal Tesoro, non dalla Banca d’Italia. Questo è un retaggio di tempi in cui era lo
stato a emettere moneta. Ma anche lo stato ogni tanto si mostrava poco credibile.
È evidente infatti la tentazione di continuare ad emettere moneta solo per pagare i
propri debiti: alla lunga quella moneta si dimostra “non coperta” da entrate, e
nessuno se ne fida più. Per tale ragione in molti sistemi moderni la banca centrale
è indipendente dal governo e non si impegna a coprirne sempre i deficit stampan-
do nuova moneta. Resta però vero che la banca centrale, in relazione ai propri
obiettivi, ha la facoltà di emettere nuovo circolante.
La definizione che abbiamo dato all’inizio (è moneta tutto ciò che viene pron-
tamente accettato da chiunque come mezzo di pagamento) è a parere di molti la
migliore, nel senso che va al cuore del problema di cosa sia la moneta. Ma quella
definizione mette subito in evidenza un aspetto “autoreferenziale” dei sistemi
monetari: io accetto moneta da qualcuno perché confido che altri a loro volta la
accetteranno da me. Questo è il cosiddetto carattere fiduciario dei sistemi moneta-
ri: se qualcuno comincia a dubitare che questi foglietti non saranno più accettati
da altri, non li accetta a sua volta, e il sistema crolla. Da qui sorge l’importanza di
avere buone istituzioni che mantengano la fiducia nel sistema esistente.
In certe epoche storiche, quando le banche centrali hanno cominciato ad ope-
rare, esse potevano indurre una maggiore fiducia negli operatori se tenevano una
certa riserva di oro nei propri forzieri. Di fronte ad eventuali dubbi del pubblico
sulla qualità della moneta legale, la banca centrale si impegnava a convertire la
banconote in oro ad un cambio prefissato. Per tale ragione ancora sino a poco
tempo fa (fino al 2001 in Italia) sulle banconote era scritta una frase del tipo “pa-
gabili a vista al portatore”, la quale non aveva ovviamente un significato ben
definito (ricevo diecimila lire in cambio di diecimila lire?), se non quello di ri-
chiamare un certo impegno della Banca a garantire la fiducia. Come sapete, inve-
ce sulle banconote in euro tale frase non appare più, a testimonianza del fatto che
l’aspetto fiduciario è ora prevalente.
Si noti che, tra l’altro, l’aspetto della fiducia include anche la sicurezza che le
banconote saranno domani ancora in grado di comprare qualcosa: quindi spesso le
banche centrali sono impegnate ad evitare elevate inflazioni, cioè aumenti dei
prezzi dei beni e servizi, che fanno perdere “valore” alla moneta.
Le autorità monetarie possono essere aiutate da altre autorità nel compito di
mantenere la fiducia nel sistema monetario: per esempio il Governo, che è
un’autorità diversa dalla Banca Centrale, pretende che le imposte siano pagate dei
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cittadini solo in moneta, e non per mezzo di altri strumenti. Se lo Stato per primo
si impegna ad accettare la moneta, questo è un segnale forte anche per gli operato-
ri privati.
Se è vero che in pagamento di un debito si accetta la moneta legale, usualmen-
te non si accettano invece titoli, per esempio BOT (Buoni Ordinari del Tesoro),
oppure beni durevoli, per esempio case: infatti questi oggetti, pur essendo degli
stock durevoli e quindi mantenendo nel tempo un valore, potrebbero richiedere
costi anche elevati per essere convertiti a loro volta in moneta. Per esempio, per
convertire un BOT in moneta occorre pagare qualche commissione ad un inter-
mediario; invece per convertire in moneta una casa occorre sostenere costi dovuti
al fatto che il contratto va redatto con certi standard e certificato da un notaio o
equivalente. Inoltre questi stock alternativi alla moneta hanno un valore che varia
nel tempo, e nel momento in cui il loro proprietario volesse convertirli in moneta
potrebbe subire una perdita di valore. Solo in casi eccezionali, come per esempio
il fallimento di una società per azioni, il creditore è disposto ad accettare qualcosa
di diverso dalla moneta, piuttosto che non incassare alcunché.
La caratteristica della moneta di essere accettata da chiunque, perché non ri-
chiede costi di conversione e ha un valore piuttosto certo, e dunque la caratteristi-
ca di essere uno strumento finanziario piuttosto sicuro, si chiama liquidità.
Tuttavia gli operatori non accettano solo la moneta legale in pagamento dei lo-
ro crediti: è molto comune accettare assegni garantiti da banche private, purché
queste siano credibili. Gli assegni possono essere staccati solo se esiste un rappor-
to di deposito in conto corrente, cioè un fondo dal quale il cliente può prelevare
(o estrarre moneta per mezzo di assegni) senza preavviso e senza costi. Analoga-
mente, oggi spesso vengono accettati pagamenti tramite vari tipi di carte bancarie
(bancomat o carte di credito di circuiti credibili): ma anche in questo caso la carta
deve essere appoggiata su un conto corrente, dal quale viene prelevato l’importo
sottoscritto dal pagatore.
Ne segue che un conto corrente è essenziale per poter effettuare pagamenti
credibili senza usare banconote. Un conto corrente è infatti un fondo costituito
presso una banca, con la caratteristica che da esso di può prelevare (direttamente,
o tramite assegni o carte) senza preavviso e senza costi di prelevamento. Dunque,
a tutti gli effetti anche le “note” delle banche private credibili, cioè gli assegni o
gli ordini di utilizzo di carte, funzionano da moneta, nel senso che rispondono alla
definizione di moneta data all’inizio di questo capitolo.
Si badi che non tutti i depositi che un cliente possa effettuare presso una banca
costituiscono per lui liquidità (cioè moneta): per esempio un deposito vincolato
(cioè tale per cui ogni prelievo richiede un preavviso o almeno un’autorizzazione)
non consente di staccare assegni né di prelevare senza qualche costo. Altrettanto
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dicasi quando diamo alla nostra banca l’ordine di acquistare titoli o fondi: prima
di poter utilizzare quei valori come liquidità, essi vanno rivenduti (“liquidati”,
appunto) sopportando dei costi.
Un conto corrente può essere costituito in due modi:
a) da una parte un cliente può depositare dei fondi liquidi (circolante o assegni)
in quel conto; oppure il suo datore di lavoro o un suo creditore possono dare
l’ordine di accredito dei suoi compensi proprio sul quel conto corrente. Di
conseguenza il cliente può prelevare o staccare assegni sino ad esaurimento
dei suoi versamenti.
b) dall’altra parte, può accadere che la banca conceda un fido (credito) ad un
cliente che riscuote la sua fiducia. In questo secondo caso il cliente può ope-
rare “allo scoperto”, cioè far diventare negativo il saldo del suo conto, fino
ad un ammontare predefinito (ovviamente, dovrà poi pagare degli interessi
su tale scoperto). Egli può comunque prelevare o staccare assegni come
qualsiasi cliente, e i suoi creditori accettano regolarmente i suoi assegni, ga-
rantiti dalla banca che gli ha concesso il fido. Analogamente, la banca può
fare un prestito al cliente, trasferendo una certa somma sul suo conto corren-
te (e il cliente, naturalmente, dovrà poi restituire quel prestito nei tempi pat-
tuiti).

Osserviamo ora una cosa importante: nel caso del fido o del prestito il cliente
può disporre di liquidità senza aver preventivamente versato fondi liquidi nel suo
conto. Tale liquidità gli è stata messa a disposizione dalla sua banca. A tutti gli
effetti, dunque, anche le banche private possono creare nuova moneta, così come
la banca centrale crea moneta quando stampa banconote e le mette a disposizione
dell’economia. Un fido costituisce infatti una disponibilità liquida a cui non corri-
sponde un precedente versamento monetario da parte del cliente.
Abbiamo dunque imparato che esistono due forme di moneta: il circolante ed i
conti correnti dai quali si possono staccare assegni oppure effettuare pagamenti
tramite carte. La somma delle consistenze delle due forme di moneta esistenti in
ogni momento costituisce il totale della moneta esistente in quel momento. Poiché
spesso i conti correnti vengono chiamati “depositi”, anche noi utilizzeremo tale
terminologia, pur sapendo che i conti correnti costituiti per fido o prestito non
hanno alle spalle un versamento (cioè un deposito) da parte del cliente. Piuttosto,
è la sua banca che “ha depositato” qualcosa sul suo conto corrente, concedendogli
un fido.
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5.2. Caratteristiche della moneta

Data la precedente discussione, possiamo riassumere le caratteristiche princi-


pali della moneta con le seguenti tre proprietà. La moneta è mezzo di scambio,
fondo di valore e unità di conto.
La proprietà di essere mezzo di scambio è specifica della sola moneta. Solo in
casi eccezionali altri oggetti vengono accettati in pagamento di un debito. Se
capitasse che la moneta non sia più accettata come mezzo di pagamento, questo
significherebbe che è crollato il sistema monetario stesso, cioè la rete fiduciaria
che lo regge, con effetti non solo economici ma anche sociali dirompenti. Per
esempio, può capitare che i cittadini di un paese smettano di utilizzare la propria
moneta ed utilizzino invece la moneta di un altro paese: questo fenomeno, non
privo di esempi nella storia, significa che i valori dei beni che circolano in quel
paese, espressi in moneta nazionale, sono “falsi” e nessuno vi crede, perché gli
scambi avvengono, magari sottobanco, utilizzando un’altra moneta. I rapporti
socio-economici che ne conseguono sono evidentemente molto distorti1.
Che la moneta sia un fondo di valore significa che essa mantiene il suo valore,
cioè può trasferire valore (ricchezza), nel tempo e nello spazio. Tale caratteristica
qualitativa è posseduta da tutti gli altri stock presenti nell’economia, reali o finan-
ziari. Tuttavia gli altri stock diversi dalla moneta hanno un valore variabile nel
tempo, e quindi trasferiscono imperfettamente, o almeno con rischio, la ricchezza
nel tempo. Viceversa la moneta ha un valore piuttosto stabile: limiti a questa sta-
bilità nel tempo possono essere costituiti da inflazioni elevate. Ma possono esiste-
re anche limiti alla stabilità nello spazio: per esempio la moneta di un certo paese
A, che è accettata comunemente dagli operatori residenti in A, potrebbe non essere
gradita a residenti di altre economie per la ragione che il paese A non riscuote,
politicamente ed economicamente, la fiducia dei non residenti. Per tale ragione,
come vedremo anche nel capitolo 7, un paese che voglia rendersi credibile inter-
nazionalmente dovrebbe puntare alla stabilità della propria moneta nei confronti
delle altre.

1 Si narra un aneddoto riferito ai tempi della Repubblica di Weimar, quando l’inflazione annua
raggiunse punte dell’ordine delle migliaia percento, quindi praticamente incalcolabile: i prezzi pote-
vano aumentare del 10% in pochi minuti. In queste situazioni patologiche occorre spendere il più in
fretta possibile la moneta incassata, e nessuno vuole detenere a lungo la moneta precedentemente
incassata. Bene: c’è un signore che si avvia con un cestino pieno di banconote per andare a comprare
il pane. Ad un certo punto gli si slaccia una scarpa e si china per riallacciarla, appoggiando il cestino
su un muretto. Quando si rialza non trova più… il cestino, ma solo il mucchio di banconote appog-
giato sul muretto!
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Dire che la moneta svolge la funzione di unità di conto significa, infine, dire
che tutti i calcoli economici sono espressi in quell’unità. Bilanci delle imprese,
delle famiglie, calcoli di convenienza economica, prospettive di miglioramento
del benessere personale e di quello collettivo, valutazione sociale delle persone in
base al loro reddito, persino autostima, vengono ridotti ad un termine comune
facilmente esprimibile: quantità di moneta. Non si tratta dunque solo di una unità
di misura convenzionale, quindi facilmente modificabile. Si sa per esempio com’è
ancora oggi difficile per un inglese parlare di metri anziché di yard; molto più
difficile è cambiare la convenzione sulle unità di misura monetarie. Per chi sta
scrivendo, e forse anche per i meno giovani tra coloro che stanno leggendo, non
appare ancora del tutto naturale che i valori delle cose oggi acquistate siano
espressi in Euro anziché in Lire: cerchiamo sempre di immaginarci l’equivalente
in Lire dei prezzi dei beni che acquistiamo.
In realtà la moneta è come un linguaggio, la cui evoluzione non è facilmente
soggetta a rettifica da parte delle “autorità”. La moneta, come il linguaggio, con-
nette in modo piuttosto semplice e naturale le opinioni e le aspirazioni degli uo-
mini. Entrambi, sicuramente, banalizzano spesso il substrato emotivo, intellettuale
e sociale dei partecipanti al gioco: tuttavia sono strumenti estremamente comodi.
Il compito degli studiosi, prima di essere quello di rettificare un linguaggio, è
anzitutto quello di capirne le regole statiche e quelle di evoluzione. Altrettanto, in
un corso come questo, è importante apprendere qualche regola “grammaticale e
sintattica” del funzionamento dell’economia, per diventare più consapevoli di ciò
che ci circonda. Dunque vi dovete sopportare queste pagine, e non fidarvi
dell’intuizione.
Le tre proprietà della moneta che abbiamo esaminato costituiscono la sua ca-
ratteristica principale, che è la liquidità: il modo più sicuro di detenere valore.

5.3. Moneta, stock finanziari e speculazione

Ripetiamo un concetto cruciale: la moneta costituisce a livello macroeconomi-


co uno stock. La sensibilità comune ci porta a credere che le consistenze moneta-
rie nei bilanci familiari costituiscano un flusso, perché ne entra un certo ammonta-
re ogni mese, che poi viene speso lungo il mese dalla famiglia. Tuttavia la moneta
è solo il mezzo con cui l’erogatore (p. es. un’impresa) paga il reddito al percettore
(p. es. il dipendente). Ma non bisogna confondere il reddito con la moneta.
Per esempio, se il reddito annuo di una famiglia è di 30.000 euro ciò non si-
gnifica che si accumulino nel conto della famiglia 30.000 euro in moneta. Ogni
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mese entra moneta per 2.500 euro, moneta che poi defluisce per via delle spese
effettuate: lungo il mese l’ammontare di moneta detenuto dalla famiglia passa da
2.500, al momento della paga, a zero, supponendo che si spenda tutto. Pertanto
durante il mese la famiglia detiene in media 1.250 euro in moneta; poiché questo
è vero per ogni mese, allora la detenzione media di moneta lungo tutto il corso
dell’anno è 1.250 euro, e non 30.000, che è invece il reddito. Questo per spiegare
che reddito e moneta sono due cose diverse.
Inoltre, non dobbiamo farci confondere dall’esempio della singola famiglia:
benché possa apparire che per la famiglia la moneta sia un flusso (ne entra e poi
ne esce), le cose cambiano quando si considerano congiuntamente imprese e fa-
miglie. Al momento della paga degli stipendi avviene un trasferimento di moneta
dalle imprese alle famiglie. In seguito, quando le famiglie spendono per acquista-
re beni prodotti dalle imprese, avviene un trasferimento in senso contrario. A
livello di sistema, però, la quantità di moneta presente nell’economia è rimasta
invariata.
La moneta dunque va dunque pensata come uno stock, al pari dell’ammontare
di titoli del debito pubblico, delle azioni di una società, della ricchezza di un
soggetto, ecc. Ricordiamo: il fatto che una grandezza sia uno stock non significa
che essa non possa variare; significa semplicemente che è possibile misurarne la
consistenza in un dato istante. Al contrario, per i flussi (come il reddito di una
famiglia o il reddito nazionale) ha senso solo una misura lungo tutto un periodo di
tempo, per esempio un anno: non esiste il reddito di un singolo istante.
In particolare, la moneta è uno stock di tipo finanziario. Gli stock finanziari si
contrappongono a quelli reali, come abitazioni, terreni, impianti produttivi, quadri
d’autore, ecc., in quanto il valore dei primi non dipende dalle loro caratteristiche
fisiche intrinseche. Piuttosto, il valore degli stock finanziari dipende da sottostanti
rapporti di fiducia tra gli operatori che rendono più o meno credibili certe frasi
stampate sui fogli che rappresentano quegli stock, tipo: “questo vale 100 euro”.
Come abbiamo già detto, una caratteristica importante di quasi tutti gli stock, e
dunque anche di quelli finanziari, è che il prezzo di uno stock è variabile nel
tempo, usualmente in relazione al desiderio della collettività di detenerlo: più
sono i soggetti che lo vogliono detenere in rapporto a quelli che sono disposti a
cederlo, più il suo prezzo aumenta. Infatti, trattandosi di stock, usualmente
l’ammontare dei “pezzi” esistenti si modifica piuttosto lentamente, o non si modi-
fica affatto, come nel caso dei terreni o dei quadri d’autore. Dunque, quando molti
soggetti vorrebbero comprarne e pochi venderne, il prezzo di mercato aumenta, e
ciò costituisce un guadagno per i detentori che riescono a vederli in quel momen-
to. Il contrario accade quando tutti vorrebbero vendere quegli stock ma nessuno
ne vuole compare: il loro prezzo di mercato diminuisce, e chi li vende in quel
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momento subisce delle perdite. Questi guadagni e perdite, si badi, si realizzano
solo se gli stock vengono davvero venduti, mentre non si realizzano in caso con-
trario. Tuttavia, la valutazione della propria ricchezza è comunque influenzata dai
movimenti dei prezzi, anche se gli stock non sono liquidati; e ciò può avere seri
effetti sulle altre decisioni degli operatori.
La moneta, invece, ha un valore stabile (a parte le difficoltà già menzionate
derivanti dai periodi di elevata inflazione). Anzi, per definizione essa è il punto di
riferimento di tutti i valori, che sono appunto denominati in moneta.
La relativa stabilità del valore della moneta e la variabilità invece del prezzo
degli altri stock, specie finanziari, causa l’insorgere di un sofisticato prodotto
dell’intelligenza umana: la speculazione. Si dice speculazione l’attività che consi-
ste nel tentativo di ottenere guadagni in conto capitale sulle compravendite di
stock. Si cerca cioè di comprare quando il prezzo è ritenuto basso, e di vendere
quando il prezzo è ritenuto alto. Questa attività mette in moto fenomeni piuttosto
importanti all’interno del sistema economico, il principale dei quali è il seguente.
Se una parte significativa degli operatori si convince che un certo stock, reale o
finanziario, aumenterà di prezzo in futuro, essi si affrettano oggi a comprarlo. Ma
nel fare ciò ne fanno aumentare il prezzo già ora. Se quest’ultimo aumento di
prezzo convince altri operatori che quel prezzo è in ancora in fase di ascesa, e che
quindi conviene comprare quello stock, allora il prezzo sale ancor di più. Il con-
trario accade quando ci si convince di una prossima discesa del prezzo.
Dunque le operazioni sui mercati speculativi possono produrre importanti
oscillazioni dei prezzi degli stock, indipendentemente da altri fenomeni che giusti-
fichino prezzi alti o bassi. In effetti, l’aspettativa di rialzo del prezzo di uno stock
equivale all’aspettativa che in futuro ci saranno molti operatori desiderosi di com-
prarlo, indipendentemente da quale sia la causa di questo desiderio. La cosa im-
portante, per uno speculatore, è non rimanere tra gli ultimi a credere che il prezzo
continuerà a salire o scendere. Non appena una quota significativa di speculatori
si convince che la fase ascendente (discendente) sta per finire, essi cominciano a
vendere (comprare), facendo invertire la fase. Anche sui mercati finanziari dun-
que, così come abbiamo visto per gli investimenti (che sono un’attività reale, non
finanziaria), le aspettative tendono ad autorealizzarsi. Ciò può provocare una
notevole instabilità dei prezzi degli stock.
Lo speculatore “professionista” si distingue normalmente da quello dilettante
per essere più freddo e più cauto, cioè per non lasciarsi troppo prendere la mano
dai rialzi e ribassi. Dunque tende a discostarsi dal comportamento medio degli
speculatori dilettanti, in quanto non aspetta l’ultimo momento per cominciare a
vendere o comprare. In un certo senso, lo speculatore professionista stabilizza il
mercato, e un mercato può essere più efficiente se vi partecipano molti speculatori
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professionisti. Tuttavia esistono fasi critiche durante le quali anche gli speculatori
professionisti perdono la calma.
La compravendita di stock finanziari avviene su mercati specifici, appunto i
mercati finanziari, cioè principalmente le borse. Tali operazioni di compravendita
sono scambi di titoli contro moneta. I diversi titoli finanziari esistenti e scambiati
sui mercati finanziari sono stati emessi inizialmente da qualche operatore che
aveva bisogno di moneta: quindi costituiscono per lui un debito e invece un credi-
to per chi ha acquistato quel titolo. Si potrebbe trattare per esempio di azioni (che
sono titolo di proprietà di società), oppure di obbligazioni di varia natura (che
sono invece un titolo di debito a termine nei confronti di qualche soggetto), o
ancora prestiti a breve termine (entro l’anno).
L’acquirente iniziale del titolo non è obbligato a detenerlo per sempre. I mer-
cati finanziari sono appunto il luogo dove i titoli già esistenti possono essere
scambiati prima della loro scadenza: per tale ragione, come abbiamo già detto, si
parla di mercati “secondari”, mentre i “primari” sono quelli su cui si trattano titoli
di nuova emissione, cioè i collocamenti di prestiti.
Un mercato finanziario “efficiente”, dove operano molti soggetti professionisti
dotati di calma e raziocinio, consente ai partecipanti di mettere in atto i propri
desideri, variabili nel tempo, di detenere diverse forme di ricchezza finanziaria
senza correre troppi rischi. Ma anche un mercato finanziario efficiente incontra
seri problemi se quei desideri, anziché essere tra loro diversi e indipendenti, sono
tutti simili tra loro. Se una maggioranza di operatori ha lo stesso desiderio e la
stessa aspettativa riguardo ad un certo titolo, quel titolo subisce grandi variazioni
di prezzo. Se poi questo atteggiamento comune degli operatori (ottimismo o pes-
simismo) si estende a molti o a tutti i titoli, si hanno boom o crolli di borsa.
Come abbiamo detto, gli scambi sui mercati finanziari avvengono tramite
scambi di titoli contro moneta, e in nessun altro modo. Come si vede, la moneta
resta un termine di confronto comune a tutti i titoli finanziari, quindi ha un ruolo
privilegiato tra i vari tipi di ricchezza finanziaria. Di nuovo, comprendiamo per-
ché sia importante che il suo valore rimanga piuttosto stabile nel tempo.

5.4. Il tasso di interesse

Quando si acquista un qualsiasi oggetto, perché se ne ha bisogno e non lo si


possiede ancora, lo si paga con moneta. Anche la moneta può essere desiderata,
perché se ne ha bisogno e non la si possiede: per esempio, un soggetto che voglia
sostenere una spesa rilevante può aver bisogno di più moneta di quella di cui
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dispone in quel momento. Ma, ovviamente, se si ha carenza di moneta non la si
può acquistare con moneta.
Dunque, chi ha bisogno di moneta la prende a prestito. Formalmente, chi
prende a prestito emette un titolo: firma, cioè, un foglio in cui promette di restitui-
re il prestito entro una certa data futura, e “vende” quel foglio in cambio, appunto,
della moneta che vuole ottenere. Naturalmente devono esistere istituzioni che
garantiscano il rispetto di questi contratti. A ben vedere, chiunque voglia ottenere
liquidità che non possiede, e di cui ha bisogno per effettuare spese, effettua
un’operazione di questo tipo. Si supponga, per esempio, che un soggetto possieda
dei titoli, quindi non sia povero, ma desideri ad un certo punto venire in possesso
di liquidità anziché di titoli: ebbene, costui vende i titoli, o una loro parte, in cam-
bio di moneta (ovviamente in questo caso non c’è l’impegno a riacquistarli ad una
certa data futura).
Si badi di non confondere quanto abbiamo appena detto con l’altro problema,
che ogni soggetto ha sicuramente, di vendere qualcosa per esempio servizi di
lavoro per guadagnare di che vivere, cioè guadagnare un reddito con il quale
procacciarsi i beni di consumo. Questo è un problema diverso da quello di deside-
rare moneta in sé: il nostro soggetto sarebbe infatti disposto, se possibile, a fornire
i propri servizi di lavoro in cambio direttamente dei beni e servizi di consumo che
gli servono. Naturalmente è più comodo utilizzare la moneta come mezzo di
scambio: infatti sarebbe molto laborioso incontrare ogni volta qualcuno che pos-
sieda esattamente ciò che serve a noi, e al contempo necessiti esattamente di ciò
che noi possiamo cedergli.
Tutti i soggetti desiderano detenere scorte di moneta, cioè liquidità, in sé. Ciò
perché questo possesso da una parte consente loro di essere più flessibili nelle
loro scelte di spesa e di evoluzione temporale della stessa, e dall’altra parte garan-
tisce loro di detenere valori che chiunque accetterà in qualsiasi momento. Per tale
ragione i soggetti in generale preferiscono avere delle scorte liquide piuttosto che
avere tutta la loro ricchezza incorporata in stock non liquidi, titoli o altro. Infatti,
come sappiamo, questi ultimi stock, oltre a comportare costi per essere convertiti
in liquidità, comportano anche un’incertezza relativamente al loro valore nel mo-
mento in cui li si vorrà convertire.
Questo atteggiamento di preferenza degli operatori nei confronti della moneta
si chiama preferenza per la liquidità.
Poniamoci ora dal lato di chi compra un titolo da qualcuno, cioè gli sta ceden-
do o prestando della moneta. Il prestatore rinuncia a detenere della liquidità, per
la quale ha una certa preferenza. Dunque quando si acquista un titolo, privandosi
della liquidità, non è in generale sufficiente ricevere in cambio un foglio il cui
valore a scadenza è lo stesso della quantità di moneta ceduta: si pretende di rice-
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vere qualcosa in più, come compenso per la rinuncia alla liquidità. Questo qual-
cosa in più è l’interesse. Si chiama poi tasso di interesse la somma che si pretende
come interesse dopo un anno per aver prestato un euro, oltre ovviamente alla
restituzione di quell’euro. Usualmente il tasso di interesse è espresso in forma
percentuale: se il tasso di interesse è il 5% annuo ciò significa che per ogni euro
dato a prestito si ricevono 1,05 euro dopo un anno.
Il tasso di interesse è dunque il prezzo della rinuncia alla liquidità per un an-
no. La moneta è liquida, e quindi detenendola sotto il materasso non si pretende
alcun interesse. Anche i conti correnti sono liquidi, come sappiamo, per cui non
pagano alcun interesse2. Gli stock finanziari diversi dalla moneta, invece, devono
pagare un tasso di interesse annuo ai loro detentori per compensare la loro man-
canza di liquidità.
Il mercato su cui avvengono i prestiti a breve termine (cioè entro l’anno) si
chiama mercato monetario. Naturalmente esistono tassi diversi a seconda
dell’esatta lunghezza del prestito: prestiti più a lunga richiedono un tasso di inte-
resse maggiore, a causa del maggior rischio implicito nell’operazione (rischio di
instabilità dei valori, rischio di insolvenza del debitore, ecc.). Non solo, ma anche
a parità di scadenza alcuni titoli pagano un interesse maggiore, come già sappia-
mo, a causa del diverso grado di affidabilità del debitore. Ma noi astrarremo in
generale da queste differenze, ipotizzando per semplicità che sul mercato esista
un solo tasso di interesse, cioè un solo tipo di titolo. Ciò che conta è ricordare che
stiamo parlando di un mercato dove si scambiano titoli contro moneta, e per tale
ragione utilizzeremo spesso la locuzione “mercato monetario”.
Che il tasso di interesse sia unico sul mercato monetario può essere considera-
ta una sorta di condizione di equilibrio, che sui mercati finanziari si chiama anche
condizione di arbitraggio. Se esistessero contemporaneamente tassi di interesse
diversi in diverse parti del mercato monetario, coloro i quali praticassero tassi più
alti non troverebbero individui disposti a prendere a prestito da loro. Viceversa,
chi è disposto a prestare moneta non andrebbe da individui che pagano un tasso di
interesse inferiore ad altri. Se d’altra parte esistessero tali differenze, i cosiddetti
“arbitraggisti” prenderebbero a prestito da chi pratica tassi inferiori per dare a

2 Talora i conti correnti promettono un minimo di tasso di interesse, che però in generale è addirittura
inferiore al tasso di inflazione (quindi non dà nessun vantaggio reale), e comunque è abbondantemen-
te compensato dalle spese di gestione del conto. In altri schemi, che si stanno diffondendo anche nel
nostro paese, non esistono praticamente costi di gestione ma neppure viene pagato alcun tasso di
interesse. Quelli che vengono spacciati dalla pubblicità per “conti correnti” che pagano tassi di inte-
resse elevati spesso nascondono qualche forma di illiquidità: necessità di preavviso per prelievi,
commissioni di uscita, eccetera.
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prestito a chi paga tassi superiori. In breve tempo gli eccessi di domanda o offerta
di liquidità nelle diverse parti del mercato monetario, dove vigessero tassi di inte-
resse diversi tra loro, farebbero in modo che quei tassi si eguaglino.
Quale sia poi il livello del tasso di interesse vigente in un certo momento di-
pende, ovviamente, dalla domanda e offerta di liquidità globalmente presenti in
quel momento sul mercato della moneta: il tasso di interesse, infatti, è proprio il
prezzo della liquidità, e, come accade su tutti i mercati, il prezzo si muove a se-
conda di domanda e offerta. Se i soggetti che desiderano avere moneta ne voglio-
no, nel complesso. più di quanta ne sia offerta nel complesso da coloro che sono
disposti a privarsi di moneta, il tasso di interesse tende ad aumentare. Quindi
possiamo anche dire che il tasso di interesse cresce quando c’è un eccesso di
domanda di moneta sul mercato monetario, e viceversa.
Ma cosa significa che ci sia molta domanda di moneta? Semplicemente che
una maggioranza degli operatori preferisce essere su posizioni liquide, anziché
detenere altri strumenti finanziari. Questo accade tipicamente quando molti degli
operatori sono pessimisti circa il valore futuro degli altri strumenti finanziari, i
titoli. Ciò potrebbe derivare per esempio dal sospetto che i debitori non saranno in
grado di pagare i loro debiti, o più direttamente che in futuro sarà difficile trovare
acquirenti dei titoli. In tali circostanze tutti vogliono convertire i propri titoli in
moneta, e nessuno vuole più dare a prestito: coloro i quali hanno comunque biso-
gno di liquidità dovranno allora pagare un tasso di interesse elevato per convince-
re altri operatori a privarsi della liquidità, ora più preziosa. Il contrario accade
invece quando vi sia maggior ottimismo circa il futuro dei mercati finanziari.
Naturalmente, quanto abbiamo detto vale nell’ipotesi che a livello aggregato lo
stock di offerta di moneta sia dato, per cui il maggiore o minore desiderio della
collettività di detenere moneta si confronta con una disponibilità di essa comples-
sivamente fissa. Se invece l’offerta aggregata di moneta dovesse variare, anche
questo fatto avrebbe effetti sul valore dell’eccesso di domanda di moneta e dun-
que sul livello del tasso di interesse.
In sintesi, data la disponibilità di moneta in aggregato, in generale un tasso di
interesse elevato è associato a periodi di incertezza finanziaria. Le autorità mo-
netarie potrebbero, in tali periodi, decidere di calmare gli animi, mettendo a di-
sposizione del pubblico una maggior quantità di moneta (si veda il paragrafo 5.7).
Dunque il tasso di interesse del mercato monetario è variabile nel tempo in rela-
zione (a) alla domanda di moneta, che dipende tra l’altro dagli “umori” del mer-
cato, cioè alla preferenza per la liquidità, e (b) alla quantità di moneta complessi-
vamente disponibile.
111

5.5. Tasso di interesse e prezzo dei titoli

Il mercato monetario, come abbiamo detto, è quello in cui si dà e si prende a


prestito moneta per un periodo breve, cioè si scambia moneta contro titoli a breve:
è su tale mercato che si determina il tasso di interesse, a seconda della domanda e
offerta di moneta a breve. Il mercato finanziario, invece, è quello dove si scambia
moneta contro titoli di più lunga durata. Esistono moltissimi strumenti finanziari,
dalle azioni, alle obbligazioni, ai derivati. Noi in questa sede dobbiamo semplifi-
care di molto l’analisi, senza tuttavia perdere di vista alcuni elementi essenziali
del mercato finanziario, tra cui il fenomeno della speculazione, di cui abbiamo già
parlato.
Nel discutere di speculazione, abbiamo osservato che sono di un certo rilievo
le aspettative sul futuro prezzo dei titoli. Ma, al pari di quanto visto nel capitolo
precedente a proposito delle aspettative sulla domanda futura di beni, il problema
delle aspettative è di difficile trattazione, in quanto comporta complesse intera-
zioni tra le opinioni dei diversi partecipanti e le loro decisioni. Assumiamo dun-
que che le aspettative sul prezzo futuro dei titoli siano esogene, cioè non spiegate
dalla teoria; ci potremo poi eventualmente interrogare su cosa possa accadere in
seguito alla variazione (esogena) di tali aspettative. Dunque la decisione di uno
speculatore di detenere o meno titoli, in questa prospettiva, dipende principalmen-
te dal prezzo corrente dei titoli, data l’aspettativa sul loro prezzo futuro. Questa è
ovviamente una semplificazione.
Un’altra semplificazione drastica, come anticipato, consiste nell’ipotizzare che
esista un solo tipo di titoli. Si tratterà di titoli cosiddetti irredimibili e a cedola
fissa: essi sono emessi ad una certa data e hanno una durata infinita. Il possesso di
questi titoli dà diritto ad incassare una somma fissa ogni anno a titolo di interessi,
somma che è appunto la cedola (i toli a cedola fissa si chiamano obbligazioni).
Titoli come questi, cioè di durata infinita, sono esistiti effettivamente in passato,
anche se oggi sono piuttosto rari. Vi domanderete quindi perché vogliamo consi-
derare proprio questo tipo di titoli. Le ragioni sono diverse. In primo luogo esi-
stono nella pratica molti titoli le cui caratteristiche somigliano a quelle che stiamo
descrivendo: durata molto lunga e cedola fissa. In Italia, per esempio, i BTP
(Buoni del Tesoro Poliennali) pagano una cedola fissa, e molti di essi durano dai
dieci anni in su, fino a trenta; ciò li fa somigliare, per ciò che ci interessa, a titoli
di durata infinita. In secondo luogo, se il debito di un debitore (per esempio quel-
lo pubblico) rimane costante nel tempo, i titoli che arrivano a scadenza devono
essere rimborsati, ma per rimborsarli occorre spesso emetterne altri di pari am-
montare. Dunque i detentori di titoli, visti nel loro complesso, semplicemente
passano da una generazione di titoli ad un’altra; allora dal loro punto di vista è
112
come possedere titoli di durata indeterminata. In terzo luogo bisogna ricordare
che nel sistema economico che stiamo considerando esiste il mercato secondario
dei titoli, dove chi lo desidera può sempre comprare il titolo in questione da altri
soggetti che desiderino venderlo; dunque non è necessario che chi ha sottoscritto
un titolo di durata indeterminata lo trattenga per sempre: lo può rivendere quando
vuole sul mercato secondario. Il titolo, dunque, non presenta problemi da questo
punto di vista. In quarto luogo, stante la difficoltà a studiare nel dettaglio i feno-
meni speculativi, e quindi la determinazione dei prezzi dei diversi titoli, questo
tipo di titoli offre un vantaggio per la nostra analisi: è piuttosto agevole capire
come si determina il loro prezzo corrente.
Vediamo come si determina di giorno in giorno il prezzo dei nostri titoli. Esi-
stono diverse “generazioni” di titoli di lunga durata. Al momento della loro emis-
sione, per convincere il pubblico a detenerli, il Tesoro ha dovuto promettere una
cedola annua compatibile con il tasso di interesse a lungo termine allora vigente3.
Se per esempio il tasso di interesse era il 5%, la cedola doveva essere 5 euro per
ogni taglio da 100 euro di valore del titolo, cioè per ogni cento euro versati dai
sottoscrittori. Se così non fosse, l’emissione del titolo avrebbe qualcosa che non
funziona: se la cedola fosse inferiore a 5 nessuno vorrebbe sottoscrivere quel
titolo, e quindi il Tesoro rimarrebbe a bocca asciutta; se invece quel titolo rendes-
se effettivamente più del 5%, moltissimi vorrebbero comprarlo, ma il Tesoro
pagherebbe inutilmente interessi troppo elevati. Quindi la cedola all’emissione
deve essere pari a 5.
Tuttavia, come abbiamo detto, il tasso di interesse del mercato monetario varia
nel tempo, e pro tanto varia anche quello a lungo termine; d’ora in poi chiamiamo
“tasso di interesse di mercato” quello che si determina di periodo in periodo, a
seconda di domanda e offerta dei prestiti. Se il tasso di interesse di mercato varia
in qualche momento successivo all’emissione di quel titolo, allora i suoi potenzia-
li acquirenti sul mercato secondario sanno che in quel momento, acquistando titoli
nuovi, possono ottenere sui loro impieghi finanziari un tasso di interesse diverso
da quello garantito dal titolo vecchio. Cosa ne sarà dunque di quel titolo?
Se la cedola è il 5%, chi possiede il titolo (l’acquirente iniziale o uno succes-
sivo) ha diritto a ricevere, per ogni taglio da 100 euro di valore di emissione in
suo possesso, una cedola di 5 euro all’anno per tutto il futuro. Se il tasso di inte-
resse di mercato continua a rimanere il 5%, gli operatori saranno disposti a conti-

3 Ricordate che, per ragioni connesse con l’arbitraggio, esiste un solo tasso di interesse a breve
termine; analogamente, fatta la dovuta aggiunta al precedente per tenere conto del maggior rischio, in
un dato momento deve esistere un solo tasso di interesse sui prestiti a lungo termine.
113
nuare a pagare 100 euro per ogni titolo che promette 5 euro all’anno: questo ren-
dimento percentuale, il 5%, è infatti proprio quello che potrebbero ottenere effet-
tuando altri prestiti di durata analoga a quella del titolo, e non vi sarebbe ragione
di preferire l’una all’altra operazione.
Ma supponiamo ora che il tasso di interesse vigente sul mercato diventi il 4%,
perché per esempio c’è maggiore fiducia da parte degli operatori oppure perché vi
è più liquidità a disposizione di chi desidera prenderla a prestito. A questo punto,
se il titolo costasse ancora 100, esso continuerebbe a rendere il 5%, cioè più di
quanto rendono analoghe operazioni di prestito disponibili ora sul mercato. Dun-
que si deve realizzare la condizione di arbitraggio, la quale richiede che tutte le
operazioni finanziarie dello stesso tipo diano lo stesso rendimento percentuale,
cioè il 4% che adesso è in vigore sul mercato. Come può accadere questo?
Tutti gli operatori correranno a comprare quel titolo, perché, essendo la cedola
fissa pari a 5 per ogni taglio del titolo, se il suo prezzo è 100 esso rende più del
4%. Poiché l’ammontare di questi titoli è limitato, e inoltre chi li già possiede non
vuole certo venderli essendo così redditizi, il prezzo del titolo comincia a cresce-
re: gli acquirenti sono disposti a pagare più di 100 per venirne in possesso. Quan-
do di fermerà questa salita del prezzo? Solo quando il prezzo sarà tale che, una
volta acquistato il titolo, la cedola annua di 5 euro costituisca il 4% della cifra
sborsata per acquistarlo. Infatti, il rendimento percentuale annuo di
un’operazione si misura dividendo l’incasso annuo per il costo dell’operazione:
ma l’incasso annuo è la cedola, mentre il costo è il prezzo di mercato che occorre
pagare per venire in possesso del titolo. Dunque, se indichiamo con PB il prezzo
5
di mercato del titolo4, esso si ferma solo quando  4%  0,04 cioè quan-
PB
5
do PB   125 .
0,04
Dunque: se in un certo periodo il tasso di interesse è il 4%, in quel periodo il
prezzo di mercato di un titolo con cedola fissa pari a 5 deve essere 125.
In modo del tutto analogo, se il tasso di interesse di mercato monetario doves-
se salire al 6% nessuno vorrebbe più un titolo che costa 100 (o peggio 125) euro
ma rende solo 5 euro all’anno. Tutti vorranno venderlo, e nessuno comprarlo,
cosicché il suo prezzo di mercato si abbasserà sino a quando non vale la condi-
5 5
zione  6%  0,06 e cioè PB   83, 3 .
PB 0,06

4 Il suffisso “B” deriva dall’inglese bond, obbligazione, cioè titolo a cedola fissa.
114
Più in generale, se R è la cedola fissa pagata ogni anno dal possesso del titolo,
R
e i è il tasso di interesse annuo di mercato, dovremo avere PB  . Dunque il
i
prezzo di mercato del titolo dovrà sempre essere pari al valore della cedola diviso
per il tasso di interesse vigente sul mercato in quel momento. Al variare del tasso
di interesse il prezzo di mercato del titolo varia: se il tasso di interesse aumenta
allora il prezzo del titolo diminuisce, e viceversa.5
Questa relazione fra il tasso di interesse corrente ed il prezzo dei titoli sussiste
in seguito alle operazioni di arbitraggio di coloro che sono interessati ai titoli in
quanto fonte di pagamento di interessi: si tratta di operatori intenzionati a detene-
re il titolo per un periodo abbastanza lungo, sufficiente a generare gli interessi
promessi. Talora questi operatori, interessati al possesso di titoli per periodi lun-
ghi, sono chiamati “cassettisti”. Il loro comportamento, o il comportamento di
coloro che curano i loro interessi in borsa6, fa sì che la condizione di arbitraggio
R
PB  si realizzi molto in fretta sul mercato finanziario.
i
Ma esistono altri tipi di operatori, gli “speculatori”, che come sappiamo hanno
altri obiettivi: studiamo ora il comportamento di questi secondi.
La conoscenza della relazione fra tasso di interesse e prezzo dei titoli, valida
in ogni momento, significa che l’aspettativa sul prezzo futuro dei titoli equivale
ad un’aspettativa sul tasso di interesse futuro: un’aspettativa di elevati prezzi
futuri dei titoli equivale ad un’aspettativa di bassi tassi di interesse futuri, e vice-
versa. Considerando date le aspettative sul tasso di interesse futuro, il prezzo
futuro atteso dei titoli ne risulta determinato, ed è dato anch’esso. Dunque, date
tali aspettative, un rialzo del tasso di interesse odierno, che implica una diminu-
zione del prezzo odierno dei titoli, indica agli speculatori che è ora di comprarli,
per poter lucrare sulla differenza fra il prezzo odierno di acquisto, che si è abbas-
sato, e quello futuro atteso di vendita, che è rimasto invariato.
Si badi bene: gli speculatori comperano titoli quando il tasso di interesse si in-
nalza non perché i titoli rendano di più. Anzi, il fatto che il tasso di interesse di
mercato si innalzi significa che i titoli a cedola fissa non sono più convenienti per
i cassettisti, e allora il loro prezzo diminuisce perché costoro li vogliono vendere.

5 Per la precisione, tutto quanto detto sinora si riferisce a un titolo che abbia una durata residua
ancora molto lunga; per durate residue non lunghe le formule andrebbero corrette con altri elementi
che è inutile qui specificare.
6 Per esempio i gestori dei grandi fondi di investimento.
115
Solo dopo che il prezzo dei titoli è diminuito gli speculatori cominciano ad essere
interessati al loro acquisto per ottenere un guadagno in conto capitale sulla possi-
bile differenza di prezzo tra oggi e il futuro. In altri termini, gli speculatori acqui-
stano titoli non perché sono interessati ad incassare i relativi interessi, cosa per la
quale bisogna attendere almeno un intero anno, ma perché sperano di lucrare un
guadagno in conto capitale sulla differenza fra prezzo odierno di acquisto e prez-
zo futuro di vendita, cosa per la quale possono bastare pochi giorni7.
Si noti allora che, da questo punto di vista (ma solo da questo), gli speculatori
compiono un’attività tendenzialmente stabilizzatrice. Quando, infatti, il tasso
odierno di interesse sul mercato monetario si innalza, gli “arbitraggisti” o “casset-
tisti” preferiscono vendere i titoli, che rendono poco percentualmente, facendone
abbassare il prezzo, sino a che non vale la relazione che abbiamo scoperto poco fa
fra tasso di interesse e prezzo del titolo. A questo punto, date le loro aspettative
sul futuro, gli speculatori comprano titoli, sostenendone in qualche modo il prez-
zo. Tuttavia, questa attività stabilizzatrice opera solo se le aspettative degli specu-
latori sul futuro sono date. In genere, invece, le aspettative sul futuro vengono a
loro volta influenzate in modi complessi dai prezzi correnti, e anzi non è infre-
quente che gli speculatori tendano ad influenzare quelle aspettative a proprio
vantaggio.
Consideriamo infatti quanto segue. Se il mercato è in prevalenza fiducioso cir-
ca il corso futuro dei titoli, o di alcuni titoli in particolare, non vi è ragione di
vendere, anzi potrebbe essere il caso che convenga comprare quei titoli. In una
fase come questa, anche chi avesse soggettivamente qualche perplessità sui titoli
avrebbe convenienza a tenerli, e a non diffondere le proprie perplessità: se le
diffondesse, correrebbe infatti il rischio di far deprimere il prezzo dei titoli che ha
deciso di tenere (posto che la sua voce riesca a influenzare il mercato). A loro
volta, i soggetti deputati a dare consigli agli operatori, come le agenzie di rating,
se dovessero avere perplessità sulla bontà di certi titoli che il mercato sta com-
prando si troverebbero in un dilemma. Da una parte il loro compito sarebbe quel-
lo di svelare tali perplessità; dall’altra, in presenza di un mercato tutto orientato al
rialzo, esse potrebbero essere tacciate di comportarsi da “cassandre” che diffon-
dono notizie allarmistiche. Non solo, ma se il mercato persiste nell’atteggiamento
rialzista, e i corsi dei titoli crescono, l’aver diffuso le proprie perplessità mette-
rebbe a repentaglio la reputazione successiva di quelle agenzie. Dunque può capi-

7 Si osservi che il guadagno in conto capitale può essere cospicuo, e ben superiore ad un normale
tasso di interesse. Torniamo all’esempio fatto nel testo: quando il tasso di interesse passa in breve
tempo dal 5% al 4%, il prezzo di un titolo la cui cedola è 5 passa in breve tempo da 100 a 125: il
prezzo cioè aumenta del 25%.
116
tare che titoli emessi da debitori poco meritevoli di fiducia (debitori “sub-prime”)
continuino ad essere acquistati sul mercato, stante l’aspettativa diffusa di una
crescita futura dei loro corsi.
Il contrario accade se le aspettative degli operatori si rivolgono al ribasso: il
prezzo dei titoli, anche di quelli che sarebbero meritevoli di fiducia, prende a
scendere. C’è tuttavia un grande differenza, in termini di tempi di svolgimento, fra
i due opposti fenomeni: in una fase rialzista prevale una maggiore cautela, anche
perché la decisione di entrare in un mercato da parte di chi non vi è ancora può
sempre essere rinviata di qualche tempo. Al contrario, quando comincia la fase
ribassista, chi è già nel mercato preferisce uscirne quanto prima per non incorrere
in eccessive perdite8. Ecco allora che i “crolli” di borsa sono sempre più rapidi
dei “boom”. In entrambi i casi, però, la speculazione può ingenerare una significa-
tiva instabilità dei prezzi, specie se è poco costoso entrare e uscire in fretta dal
mercato finanziario9.
Come si vede, entriamo in un terreno molto complesso, per cui dobbiamo limi-
tare la nostra analisi ad alcune semplici nozioni.

5.6. Per fissare le idee

Riassumiamo dunque in modo schematico quanto abbiamo appreso nei para-


grafi precedenti.
 È moneta tutto ciò che viene prontamente accettato da chiunque come mezzo
di pagamento. A livello di sistema, si tratta di uno stock e non di un flusso.
 Al giorno d’oggi la moneta è costituita dal circolante e dai “depositi” in conto
corrente. Il circolante, o moneta legale, è emesso e garantito dalla Banca Cen-

8 Benché molti economisti pensino che una perdita effettiva sia da considerarsi indistinguibile da un
mancato guadagno, la psicologia degli operatori reali, provata anche da molti esperimenti di labora-
torio, non pare confermare quell’idea.
9 Alcuni economisti suggeriscono (e chi scrive concorda con tale suggerimento) che possa essere
opportuno aumentare i costi di entrata e uscita dai mercati finanziari, per rallentare gli effetti destabi-
lizzanti che la speculazione tende ad avere in certi periodi. Tale aumento di costi potrebbe prendere la
forma di una commissione dell’ordine di pochi decimi di punto percentuale, che dovrebbe essere
tanto più elevata quanto più a breve termine è il ciclo di vendite-acquisti degli operatori. Dal nome
dell’economista primo ideatore della proposta, tale intervento è chiamato tassa di Tobin, anche se non
ha per nulla le caratteristiche di una “tassa”, trattandosi invece di una commissione sulle transazioni.
117
trale; i depositi sono garantiti dalle banche private. Entrambi i soggetti bancari
possono creare moneta: in particolare, le banche private creano moneta quan-
do garantiscono ai clienti prestiti o fidi in conto corrente.
 Oltre ad essere mezzo di pagamento, la moneta ha la proprietà di essere fondo
di valore e unità di conto. Anche altri stock sono fondo di valore, ma la mone-
ta ha un valore stabile nel tempo. Le caratteristiche della moneta la rendono un
oggetto unico, e possono essere riassunte nella nozione della liquidità.
 Le proprietà della moneta, che la differenziano dagli altri stock finanziari, o
titoli, fanno sì che sia possibile scambiare moneta contro titoli a seconda delle
proprie esigenze di liquidità. Tali scambi avvengono sui mercati finanziari. La
variabilità del valore dei titoli induce poi la possibilità di speculare sui mercati
finanziari, cioè tentare di acquistare quando il prezzo dei titoli appare basso
per rivendere quando esso appare alto.
 Data la proprietà della liquidità, tutti i soggetti preferiscono tenere almeno una
parte delle propria ricchezza finanziaria in forma di moneta; questa, a ben ve-
dere, non è altro che la domanda di moneta. Tale preferenza dei soggetti si
chiama preferenza per la liquidità.
 Quando i soggetti desiderano moneta e non l’hanno, devono chiederla a presti-
to in qualche modo. Ma, data la preferenza per la liquidità dei potenziali pre-
statori, questi ultimi sono indotti a cederla solo se ricevono una ricompensa:
l’interesse. Il tasso di interesse è l’interesse preteso in un anno per il prestito di
un euro, ed è espresso in forma percentuale.
 Il tasso di interesse si determina sul mercato dei prestiti a breve, o mercato
monetario, in funzione di domanda e offerta; maggiore è la preferenza della
collettività per la liquidità a parità di moneta disponibile, e maggiore è il tasso
di interesse.
 Per la condizione di arbitraggio, il tasso di interesse a breve è unico in tutto il
sistema. I tassi di interesse più a lunga sono maggiori di quello a breve, poiché
i prestiti più a lungo sono più rischiosi. I tassi a lungo termine, comunque, si
muovono in genere assieme a quelli a breve, tenendo conto della maggiora-
zione costituita dal premio per il rischio.
 Per studiare i mercati finanziari, cioè gli scambi di moneta contro titoli, si
ipotizza per semplicità che esista un solo tipo di titolo alternativo alla moneta:
un titolo a lungo termine con cedola fissa (obbligazione). La cedola è fissata
all’emissione in modo da rispecchiare il tasso a lunga allora vigente.
 Se il tasso di interesse a breve, e quindi anche quello a lunga, si modifica
rispetto al momento dell’emissione, la condizione di arbitraggio richiede che il
prezzo di mercato del titolo si modifichi. Se il tasso di interesse di mercato
118
aumenta, il prezzo di mercato dei titoli diminuisce, e viceversa. Tali andamen-
ti del prezzo dei titoli dipendono dal comportamento degli arbitraggisti, sem-
pre alla ricerca dell’impiego finanziario dei propri fondi che dia il rendimento
più alto.
 Dopo che è intervenuta una variazione del prezzo dei titoli, sul mercato si
presentano gli speculatori, che operano in direzione opposta agli arbitraggisti:
se per esempio il prezzo di mercato dei titoli diminuisce, in seguito a aumenti
del tasso di interesse di mercato che inducono gli arbitraggisti a vendere titoli,
gli speculatori cominciano a comprarne sperando in un futuro rialzo del loro
prezzo. L’attività degli speculatori, tuttavia, non sempre è di tipo stabilizzante:
quando le loro aspettative variano rapidamente, la speculazione può generare
parecchia instabilità.

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