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In finanza, il teorema di Modigliani-Miller costituisce la base della moderna teoria della struttura

finanziaria. La domanda principale è: se l’impresa si indebita cambia il suo valore? Cioè se questa impresa si
finanzia tramite equity, quindi solo attraverso le risorse finanziarie dei soci, oppure si finanzia attraverso i
debiti, questo influisce sul valore dell’impresa? Noi nella valutazione degli investimenti, cosi come nel
nostro BP, non abbiamo considerato le fonti di finanziamento ma le caratteristiche dell’attività economica
quindi gli investimenti, beni, costi da sostenere per realizzare e vendere un prodotto, vedere se i guadagni
sono sufficienti a coprire l’investimento iniziale ma non ci siamo preoccupati di capire come l’investimento
è stato fatto in quanto abbiamo dato per scontato che la nostra fosse un’attività redditizia e in finanza si
dice che se un’attività è redditizia allora i soldi si trovano in quanto ci sono miliardi di investitori. Entrando
nell’specifico proprio del BP, ci siamo preoccupati di fare un’attività con VAN positivo; il VAN è una
sommatoria di flussi di cassa attualizzati con un tasso di attualizzazione che rappresenta il costo
opportunità del capitale che permette di rendere omogenei i flussi di cassa che appartengono a periodi
diversi. Il problema nasce proprio da qui, nel senso che se il capitale mi costa l’1% e non il 5% la valutazione
dell’investimento cambia perché quando attualizziamo i flussi di cassa, guadagno di più. Quindi il
finanziamento influenza la valutazione di un investimento perché modifica il costo opportunità del capitale.

Per MM il valore di un’azienda non dipende dalla struttura finanziaria (insieme dei titoli di debito e di
capitale proprio che l’impresa impiega per finanziare le proprie attività). Il ragionamento alla base è molto
semplice: un’azienda fa certe attività e per fare determinate attività ha utilizza un impianto, un capannone,
materie prime per realizzare e vendere il prodotto, ecc..non c’entra nulla da dove vengono i soldi! Un’
impresa vale per ciò che ha i termini di asset (beni) per l’attività economica che svolge. Le ipotesi alla base
sono:

 Assenza di incentivi
 Assenza di asimmetrie informative
 Assenza di costi di dissesto (cioè si fa un’ipotesi in cui man mano che il debito aumenta non ci sia un
incremento di costi legato alla possibilità di fallimento)

Quindi se i mercati svolgono una funzione corretta, le imprese non possono accrescere il proprio valore
modificando la struttura finanziaria.

Alla luce di quanto detto, l’azienda indebitata guadagna di più o di meno? Se ci riferiamo quindi in generale
all’impresa, una risposta che potremmo dare a questa domanda è che il reddito operativo è lo stesso
perché il reddito operativo è indipendente dalle fonti di finanziamento. Oppure per capire se l’impresa
guadagna di più o di meno andiamo a guardare l’utile netto e in questo caso vediamo che guadagna di
meno perché ha dovuto rimborsare il debito, mentre l’azionista guadagna di più. Quindi vediamo che se
l’azienda si indebita, l’azionista guadagna di più e questo avremmo potuto già saperlo perché abbiamo
studiato che esiste la leva finanziaria che è appunto questa.

Modigliani e Miller si chiedono: se l’azionista guadagna di più quando l’azienda si indebita, perché non
dovrebbe correre a comprare le azioni di quell’azienda e quindi far valere di più l’azienda? Se spostiamo il
focus dell’impresa all’azionista, questo è indifferente perché egli può trovare i soldi da solo, indebitandosi e
pagando gli oneri finanziari quindi non ha motivo di correre ad acquistare le azioni di quel titolo perché
l’indebitamento lo può fare lui.

Ricordiamoci quali sono i rendimenti chiave:

ra= ROI = Reddito operativo/tot.attivo (cioè il totale degli asset)

re = ROE = rendimento dell’equity, degli azionisti = Utile netto/equity = Earnings per share/prezzo dell
′azione

rd = ROD = rendimento dell’indebitamento = Costo dell′indebitamento/ammontare del debito D.


Questi tre indici ROI (oppure rA), ROE (o rE) e ROD (o rD) sono importanti e sono legati tra di loro. Il primo è
il rendimento delle attività, quindi è come se fosse il rendimento del totale dell’attivo, ma dato che l’attivo è
uguale al passivo, il rendimento dell’attivo dev’essere ovviamente uguale al rendimento del passivo, ma il
passivo da equity e debiti, quindi è chiaro che il rendimento dell’attivo è una somma ponderata del
rendimento del passivo. Il costo medio ponderato del capitale, WACC, è il ROI a valori di mercato e sarà
uguale alla media pesata dei rendimenti del debito e dell’equity, pesata attraverso la quantità di debito e la
quantità di equity. Quindi da un lato il ROI è un rendimento tipico che dipende dai valori degli asset,
dall’altro lato però lo possiamo ottenere sul fronte del passivo come media pesata dei rendimenti delle
fonti di finanziamento. Da questa media ponderata possiamo calcolare il rendimento dell’equity.

Cioè ci rendiamo conto che l’azionista guadagna di più


quando l’azienda è più indebitata e cioè all’aumentare
del debito. Più l’azienda si indebita, più il rapporto
debito/equity aumenta e più l’azionista guadagna;
questa è la leva finanziaria. Qual è il rischio? Il rischio è
che quando ci indebitiamo i rendimenti sono questi,
ma dopo un anno o questo sale o questo scende e ci
troviamo nei guai. Il rischio è che poi alla fine non
facciamo più quel reddito operativo che pensavamo e
quindi l’azienda non renda più quello che credevamo
che aveva fatto fino a quel momento e non crea
neanche le risorse finanziarie necessarie a pagare il
debito.

La seconda proposizione di MM ci dice che: il tasso di rendimento atteso delle azioni di un’impresa
indebitata aumenta in proporzione al rapporto debito/equity espresso a valori di mercato.

Le due proposizioni sembrerebbero in contrapposizione, perché la prima proposizione ci dice che il valore
dell’impresa non cambia se ci indebitiamo o no, mentre la seconda dice che l’azionista guadagna di più se
l’azienda si indebita. La contraddizione in realtà non esiste: la prima proposizione afferma che
l’indebitamento non ha effetto sul valore dell’impresa intesa come valore degli asset (equity+ debiti), la
seconda proposizione dice che il tasso di rendimento degli azionisti aumenta con la leva finanziaria, cioè
stiamo andando dentro le fonti di finanziamento, non parliamo più di valore dell’impresa. Quindi nella
seconda proposizione ci stiamo preoccupando di una parte di risorse finanziarie e non del valore
complessivo dell’impresa

Quindi agli azionisti conviene che l’impresa si indebiti?

A questa domanda la prima proposizione non sa dare nessuna risposta, anche se in realtà si è visto che
all’aumento del valore dell’impresa corrisponde un aumento del valore dell’equity, ma non c’entra niente
con i rendimenti perché il fatto che l’azionista guadagni di più se l’impresa si indebiti è controbilanciato da
una serie di cose e cioè l’azionista si può indebitare da solo, aumentano i rischi e quindi non è vero che
l’azionista è contento a prescindere che l’azienda si indebiti per farlo guadagnare. L’azionista non è di per
sé contento se l’azienda si indebita. Non c’è bisogno che l’azienda si indebiti, se vuole crescere i soldi glieli
possiamo dare noi azionisti e comunque se l’azienda si indebita aumentano anche i rischi.
Massimizzare il valore di mercato equivale a
minimizzare il costo medio ponderato del capitale,
cioè l’rA è uguale al rapporto tra il reddito
operativo e il valore dei beni dell’impresa (V), ma è
anche uguale al WACC, cioè al costo medio
ponderato della parte destra dello stato
patrimoniale e quindi costo medio ponderato delle
fonti di finanziamento. In sostanza dunque c’è
questo legame tra V e costo medio ponderato delle
fonti di finanziamento; se il valore dell’impresa
aumenta, il costo delle fonti di finanziamento
diminuisce. Quindi massimizzare il valore di
mercato equivale a minimizzare il rendimento delle
fonti di finanziamento ovviamente se il reddito operativo (ROI) è indipendente dalla struttura finanziaria.

In questo grafico, possiamo vedere l’andamento


dei nostri rendimenti in funzione
dell’indebitamento, in particolare del rapporto
D/E dove vediamo che ipotizzando sempre l’rA
costante, perché il reddito operativo è
indipendente dalle risorse finanziarie, abbiamo
che all’aumentare dell’indebitamento dalla
formula possiamo vedere il valore di rE. L’rE= rA
quando D=0, dopo di che se rA è maggiore di rD,
rE aumenta e aumenta linearmente finchè rD
rimane anch’esso costante il che è presumibile
per effetti di indebitamento molto piccoli. È
chiaro che se l’indebitamento aumenta
considerevolmente, chiediamo più soldi alle
banche, quindi le banche chiederanno tassi sempre più alti, cioè sempre più proporzionati al rischio di
insolvenza, quindi anche l’rD comincia a salire. Se l’rD sale, l’ rE comincia come minimo ad aumentare di
meno, infatti vediamo che la curva dell’ rE incomincia a stazionare. Dove va a finire questo grafico sulla
destra? rD arriva a livello di rA e anche rE coinciderà in quel punto, cioè le due funzioni rE e rD
sostanzialmente convergono su rA. Se rD supera rA( rD continua a salire), che fa rE? rE continua a scendere.
Quindi la parte destra di questo grafico, che non è la parte più “salutare”, è quella in cui rD sale e rE scende
e si intersecano ovviamente nello stesso punto.
L’analisi degli investimenti è un’attività molto complessa perché bisogna analizzarlo sotto diversi punti di
vista. Un investimento è un impiego di risorse monetarie nel lungo periodo a fronte del quale si ipotizza di
recuperare il denaro investito e di ottenere un rendimento proporzionato alla durata e al rischio
dell’operazione. Sono due le variabili che emergono e che tra l’altro sono alla base della teoria del valore:
tempo e incertezza.

 Il valore temporale del denaro: può essere riassunto dall’espressione “1€ oggi vale più di 1€
domani”, cioè il denaro non ha lo stesso valore nel tempo. Perché? NON perché c’è l’inflazione,
perché questa non c’entra niente ora. La risposta è che potrei investirlo e farlo fruttare, cioè si
pensa che il denaro abbia un rendimento perché c’è un mercato quindi una domanda e un’offerta
di questo bene.
 Investimenti e incertezza. Il problema cardine per la valutazione degli investimenti è confrontare
entrate e uscite con l’unico accorgimento di rendere omogenee le entrate e uscite cioè i flussi di
cassa diversi nel tempo. Per fare questo abbiamo bisogno di qualche meccanismo di matematica
finanziaria che li renda equivalenti dal punto di vista temporale. Una volta che assolviamo questo
problema, dovremmo aver finito, perché dovremmo fare solo una sommatoria algebrica tra
domande e uscite e vediamo che se le entrate sono maggiori delle uscite allora l’investimento è
buono.

Ora vediamo il tempo: come si risolve questo problema? Risposta: si ignora il breve termine, cioè per 12
mesi assumiamo che non ci siano problemi; quando l’orizzonte temporale invece diventa maggiore
dell’anno e quindi parliamo di tot anni, non si può prescindere da un discorso di omogeneizzazione delle
quantità monetarie.

1. Metodo del VAN: il VAN è l’attualizzazione di tutti i flussi di cassa futuri meno l’investimento
iniziale.
Tutta la teoria del valore si basa su questa
semplice regoletta. Quando la teoria del
valore dice che si fa un investimento?
Quando il VAN è positivo, perché significa che
l’investimento almeno rende il tasso di
sconto che abbiamo considerato.
Come si calcola il tasso di sconto?
 Vado sul mercato, considero un
campione di imprese a rischio simile
e faccio una media;
 CAPM che però è troppo difficile da
calcolare
 WACC: costo medio ponderato del
capitale, simile a ra o ROI, è la media pesata dei rendimenti del debito e delle equity. Se
devo attualizzare i flussi di cassa di un investimento tipico dell’azienda (che non stravolge le
strategie di finanziamento della stessa), posso utilizzare benissimo il suddetto WACC, a
patto che il livello di indebitamento rimanga costante; se, invece, l’investimento riguarda
tutt’altra faccenda (un’azienda che produce biscotti decide di produrre anche cucine) non
posso utilizzare lo stesso fattore.
Perché ricorro ad altri metodi? Perché bisogna tener conto dell’incertezza! Non tutti gli investimenti
presentano lo stesso grado di incertezza. Investimenti in energie alternative come fotovoltaico o eolico è un
investimento poco rischioso perché quando vengono incentivati come negli ultimi anni con una tariffa
fissata per 20 anni, diventano dei prodotti assicurativi. Negli investimenti economici industriali l’incertezza è
assoluta, sono tutte scommesse avvallate da studi di settori, mercato, governance, concorrenza, tecnologie,
ecc.

2. TIR: tasso interno di rendimento che annulla il VAN quindi i flussi di cassa attualizzati.
Prima domanda da fare: esiste? Se l’investimento è convenzionale cioè se i flussi in uscita sono
minori di quelli in entrata; che abbiamo un investimento all’inizio e dei flussi di cassa positivi dopo,
ecc..
È la prima verifica per capire se il TIR esiste. Lo si può calcolare con Excel oppure sostituisco nella
formula del VAN (1+TIR)^n e procedo per approssimazione.
Se il TIR> costo opportunità del capitale l’investimento conviene.
Perché il TIR è comunque così usato anche se complicato nei calcoli?
 Perché è un tasso e ragionare in termine di tassi e percentuali è in genere molto più
semplice e comunicabile rispetto al ragionare in termini assoluti.
 Quando ci basiamo sul VAN nella valutazione di un investimento ci fidiamo dei tassi di
attualizzazione di chi l’ha calcolato. Quando usiamo il TIR sappiamo che i flussi di cassa sono
sempre incerti ma c’è un incognita in meno ovvero quella dei tassi di attualizzazione
(abbiamo una fonte di incertezza in meno).

TRAPPOLE:
 VAN dell’operazione aumenta all’aumentare del tasso di sconto (primo flussi di cassa
positivo e successivi negativi)
 Investimenti ha 2 diversi TIR
 TIR non esiste in quanto tutti i flussi di cassa sono positivi

Non è possibile confrontare due investimenti sulla base del solo TIR.

Se io considero un confronto tra investimenti, uno mi da il 30% e l’altro mi da TIR 20%, quale
scelgo? Non esiste una regola. Tendenzialmente si sceglierebbe il 30 % perché? Primo vero motivo:
per un problema di sicurezza, perché TIR 30% presenta una garanzia dal costo del capitale più alta;
Il secondo vero motivo è che la gente confonde il TIR con il tasso di rendimento di investimento. TIR
B 30% >TIR A 20% ragion per cui se scelgo l’investimento B non sbaglio e sono più certo del mio
investimento. Ma siamo sicuri? L’investimento A non può essere altrettanto buono? Si va a
calcolare il Van in corrispondenza del costo del denaro che in questo momento è 5% e si scopre che
il VAN di A > VAN di B.

Ovviamente anche l’andamento dei tassi può avere l’influenza del TIR, non dimentichiamo che il
tasso interno di rendimento è il risultato di un’equazione che ipotizza un tasso uguale per ogni anno
( non ci interessa sapere se sono a breve a lungo, se hanno scadenza o diversi valori).

3. PBP è il numero di anni necessari per recuperare l’investimento iniziale. Cioè se oggi investo 1 mln
voglio sapere dopo quanti anni torno in possesso di quel capitale, non per fare un nuovo
investimento ma per L’INCERTEZZA ed il fatto che recuperare le risorse finanziarie è costoso. Prima
le recupero, più contenti e soddisfatti sono gli imprenditori e gli azionisti.
Le aziende pongono generalmente una soglia di “cut off” al di sopra dei quali in genere gli
investimenti non vengono presi in considerazione. Il problema è che non tiene conto della
redditività e taglio gli investimenti semplicemente su questa soglia di cut off; facendo così potrei
rinunciare a possibili fonti di reddito elevate. Alle volte gli investimenti con un ritorno immediato
possono poi non essere così redditizi. Un'altra limitazione è che non viene calcolato attualizzando i
flussi perché l’attualizzazione rimpicciolisce i flussi di classa e aumenta il PBP e quindi lo penalizza.

Come considero l’incertezza? Cosa è l’incertezza? Incertezza significa che possono succedere più cose di
quante ne accadranno in realtà, cioè nella realtà ne accade una, ma quando non lo sappiamo per noi
possono succederne tante. È possibile ricorrere all’analisi di sensibilità. La sua peculiarità è che, una volta
costruito il progetto, bisogna verificare l’impatto che ha sui miei criteri di valutazione la variazione di una
variabile per volta, cioè se per esempio io identifico che le mie due variabili critiche sono prezzo delle
materie prime e il tasso di interesse e che possono assumere valori incerti, fisso un valore delle mie variabili
incerte e mi calcolo il VAN. A questo punto fisso il prezzo delle materie prime con l’altro valore che poteva
assumere e lascio il tasso di interesse con lo stesso valore, e mi ricalcolo il VAN. Poi cambio soltanto il tasso
di interesse e ricalcolo il VAN. Quindi l’analisi di sensibilità va a determinare la variazione della mia
valutazione modificando un solo valore per volta, quindi isolando l’effetto di una variabile alla volta.
Come scelgo tra 2 azioni? Massimo rendimento con il minimo rischio. Se investissi in due titoli con lo stesso
capitale (50%) come sarà il rendimento? 50% dal primo titolo e 50% dal secondo titolo; per quanto riguarda
il tasso di rendimento bisogna fare un discorso a parte in quanto se l’orizzonte temporale considerato è
infinito Div/po, se è limitato ad un solo anno Div+Capital Gain.

Come posso considerare l’incertezza? L’incertezza dal punto di vista matematico la si può considerare
attraverso la varianza e la media; infatti l’incertezza è pari al rapporto tra la varianza e la media cioè dato un
valore atteso si determina l’incertezza sulla base delle cose che possono accadere in futuro.

La variabilità può focalizzarsi anche sulle singole attività di business. Se da un lato è vero che ciascun titolo è
più variabile di altri (ad esempio il titolo Telecom è più variabile nel tempo rispetto a Banca Intesa) è anche
vero che ciascun titolo è più variabile dell’indice di mercato cioè di un paniere di titoli, ovvero di un insieme
di attività di business. Questa variabilità non la si ritrova nei panieri a causa della diversificazione.

La diversificazione è la strategia volta alla riduzione del rischio mediante l’allargamento del portafoglio di
azioni. Sono due le componenti del rischio che dobbiamo considerare: rischio unico e rischio sistematico.
Per calcolarlo possiamo X1,X2, Sigma1, Sigma 2, Ro1/2. Per conoscere il contributo del singolo titolo al
rischio di mercato invece dobbiamo calcolare il rischio sistematico, ovvero quanto il titolo è sensibile ai
rendimenti di mercato. Lo strumento che ci permette di far ciò il il Beta. Il Beta è l’inclinazione della retta
interpolante i punti che rappresentano la corrispondenza tra il rendimento del titolo e quello del mercato.
In un portafoglio ben diversificato, il rischio sistematico dipende dal beta dei singoli titoli.

Il beta è pari al rapporto tra la covarianza tra il rendimento del titolo e il mercato e la varianza del mercato

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