Sei sulla pagina 1di 6

Guerra contro Taranto

Più a sud della Campania avevano installato presidi a Locri e Reggio e stretto alleanza con Crotone.
Pirro voleva inserirsi nelle contradizioni della Magna Grecia per assumere un’egemonia greca e contrastare prima i
Romani e poi i Cartaginesi così da creare un potente regno ellenistico d’occidente. La sua ambizione sostenuta dalle
monarchie ellenistiche e i Greci lo accoglieranno come liberatore della grecità.
Alla guerra contro Taranto e Pirro si arriva in seguito alla progressiva espansione si Roma nell’Italia meridionale, vista
come ingerenza dal punto di vista di Taranto, che si trovava minacciata da Roma per quanto riguarda il proprio ruolo
egemonico nei confronti delle città Greche.
Taranto, nel IV secolo, aveva già fatto ricorso a condottieri Greci (da Sparta - Taranto è l’unica colonia spartana
dell’Italia meridionale) per difendersi da altri indigeni. Aveva siglato circa nel 300 / 302 un trattato con Roma che
garantiva a Taranto che i romani non potessero navigare oltre Capo Lacino nel golfo di Taranto.
Nel 290 a.C. si chiude la terza guerra sannitica e Roma si ritrova ad essere quasi l’unica potenza dell’Italia Centrale,
proiettata verso l’Italia meridionale; così…
Nel 285 a.C. la città greca di Turi richiede la protezione romana contro l’esercito comandato da un capo Lucano e Roma
interviene. Nel giro di pochi anni, altre città richiedono l’aiuto romano. Questo intervento è già sentito dai tarantini
come un’ingerenza preoccupante.
Nel 282 a.C., poi, una flotta di romana di 10 navi si affaccia nel golfo di Taranto, viola dunque il trattato. La flotta è
attaccata dai tarantini e 5 delle navi romane vengono affondate. I tarantini poi reagiscono marciando su Turi, espellono i
romani. Quando i Tarantini giungono a Turi per espellere i romani, rimuovono l’oligarchia che volevano imporre i
romani, instaurando la loro democrazia. A Turi sarebbero stati gli aristocratici a invocare l’aiuto romano mentre la parte
democratica sarebbe dalla parte dei tarantini.
Rappresentazione dell’assemblea Tarantina da Lucio Megello (che viene inviato dai romani - si parla di una volontà di
pace) ...

Le fonti che ci narrano queste vicende lo fanno tutte dalla prospettiva romana e presentano in modo assolutamente
ostile la democrazia di Taranto. Per esempio, l’attacco alle navi romane sarebbe stato deciso dal popolo ubriaco
riunito nel teatro in un’occasione festiva, le Dionisie (festa di Taranto nella quale già Platone osservava che l’intera città
era solita ubriacarsi).

Come abbiamo detto che il problema delle fonti di quest’epoca: Hanno una prospettiva romana dunque radicalmente
ostile a Taranto e alla sua democrazia. La tradizione non insiste sul fatto che i romani abbiano violato il patto, ma sul
fatto che coloro che avevano attaccato le navi erano ubriachi, riunitosi in teatro, che tra l’altro era sede anche delle
assemblee del popolo (mal viste dalla tradizione anti- democratica).
Dionisio insiste sull’atteggiamento spregevole della democrazia tarantina Dionisio di Alicarnasso in un passo (capitolo
5 del XIX libro) riferisce come l’assemblea di Taranto avesse ricevuto l’ambasciatore romano per giungere a una
trattativa definitiva, facendone una descrizione estremamente ostile. sostiene che i Tarantini non hanno avuto la
serietà di ascoltare attentamente il discorso (di cui Dionisio non riporta il contenuto) dell’ambasciatore Postumio:
l’assemblea Tarantina è caratterizzata dalla mancanza di serietà e dall’incapacità di comprendere la gravità del
momento. Il problema è che il messaggio portato dal legato romano è un messaggio minaccioso e il fatto che lo
chiamino “barbaro” significa qualcosa; il problema non è soltanto il modo sbagliato in cui il legato romano parlasse il
greco, ma il contenuto del discorso, che offende. Il discorso infatti contiene sì la volontà romana di non arrivare alla
guerra, ma il prezzo era la richiesta della consegna dei leader politici democraticamente eletti dalla città di
Taranto, che erano stati responsabili dell’attacco alle navi Romane. Per una comunità, consegnare i propri leader
politici è un’ammissione di sottomissione, per cui a quel punto la comunità poteva considerare più giusto il tentativo di
combattere e di difendere la propria libertà. Fondamentalmente dalle fonti ci vengono celati i valori di questa
assemblea, che sta soltanto tentando di difendere la propria libertà.

(2-3) Il fatto che venissero allontanati dall’assemblea senza una risposta ufficiale, significa che le richieste non erano
accettabili. Secondo Dionisio, quindi, l’assemblea si sarebbe presa gioco del greco poco corretto dell’ambasciatore
romano (altre fonti su questa vicenda affermano anche che la veste del legato romano fu oggetto di risate perché era
diversa da quella dei greci); nella rappresentazione delle fonti viene contrapposta la dissennata licentia del popolo di
Taranto alla gravitas e alla dignitas del legato romano, che anche di fronte a questo oltraggio li richiama alla gravità
delle conseguenze dei loro gesti.
La cittadinanza di Taranto riunita in assemblea viene rappresentata come incapace di cogliere la gravità della situazione.
Accettare la richiesta dei Romani avrebbe significato l’accettazione di una sottomissione; le richieste di pace dei
Romani sarebbero richieste ultimative: la diplomazia non cerca una via per evitare il conflitto, cerca o la resa o il
conflitto. Notiamo una tradizione a “ciclo storico”: ogni storico continua il racconto del
proprio predecessore, in questo caso Dionisio prosegue Polibio ma verso l’alto: narrando la storia arcaica di Roma e
spingere il racconto fin dove inizia quello di Polibio. Quindi questo passo è verso la fine. In questo passo si vede
l’ostilità romana nei confronti dei tarantini: sono rimproverati della loro ingenuità e incapacità a livello governativo e di
capire la serietà romana (gravitas e dignitas): ridicolizzati da Dionisio che racconta come è maltrattato e accolto male
l’ambasciatore romano. (anche un leader dell’assemblea ubriaco).

A questo punto la guerra è inevitabile e i Tarantini, secondo questa tradizione già affermata di cercare aiuti dalla
madrepatria (Taranto era colonia spartana), chiedono aiuto a Pirro re dell’Epiro, che accetta di passare con l’esercito
in Italia. Sappiamo che Pirro nutriva grane interesse a creare una sorta di regno ellenistico nell’Italia meridionale e in
Sicilia, perché aveva sposato la figlia di Agatocle di Siracusa, Lanassa, e da lei aveva avuto un figlio; riteneva quindi
che in qualche modo a lui o a suo figlio potesse spettare il trono di Siracusa.
Pirro quindi viene in Italia per soccorrere i Tarantini ma anche con l’idea di arrivare in Sicilia. Sbarca in Italia
nel 280 a.C. si dice con un esercito di 25.000 uomini e 20 elefanti (che i romani non avevano ancora mai affrontato.)
Affronta i Romani nella battaglia di Eraclea del 280 a.C. uscendone vincitore. Offre la pace ai Romani, ma il senato,
convinto da un discorso del vecchio Appio Claudio Ceco, respinse questa richiesta. Nel 279 a.C. Pirro riporta una
successiva vittoria sui Romani ad Asculum. Queste vittorie erano costate a Pirro gravi perdite. tanto che avrebbe
commentato con una frase simile “un’altra vittoria sui romani e siamo perduti”. Da questa osservazione di Pirro si
tocca con mano l’elemento fondamentale nell’affermazione del dominio di Roma sull’intero bacino del
Mediterraneo. Come abbiamo detto
però le ambizioni di Pirro non si limitavano all’Italia Settentrionale, infatti Pirro abbandona la guerra contro i Romani
per spostarsi in Sicilia per combattere i Cartaginesi (Roma e Cartagine avevano un trattato di pace in relazione alle
minacce che entrambe temevano da Pirro). Dopo una prima fase di successi, Pirro entra in conflitto con la stessa
Siracusa che l’aveva chiamato. Dopo una serie di successi Pirro dovette abbandona l’impresa siciliana, rientra in Italia e
nel 275 a.C. i Romani lo sconfiggono a Benevento. Alla fine i Romani riuscirono a prendere Taranto nel 272 a.C.
Mentre i Cartaginesi in Sicilia avevano tentato di stabilire un vero e proprio stato territoriale e almeno apparentemente
Roma fu sempre rispettosa dell’autonomia della città sconfitta.

In questa guerra Roma dovette fare i conti anche con gli stessi Sanniti e con altre popolazioni italiche, che avevano
colto l’occasione della presenza di Pirro per liberarsi dal dominio Romano (aspetto che ricorrerà durante la guerra
Annibalica -> Annibale proverà a rivolgere contro i Romani le forze dei socii italici di Roma, presentandosi a loro come
liberatore).

Roma poi continua la sua guerra contro altri nemici alleati.

264 - 241 a.C. - Prima guerra Punica (Al termine della guerra i Romani divennero non solo padroni della Sicilia ma
anche della Sardegna e della Corsica.)

*Cartagine è un’antica colonia Fenicia, fondata nell’814 a.C. sulle coste dell’attuale Tunisia (Nord-Africa)

È una Guerra per la Sicilia. I Romani sarebbero stati attirati dai Mamertini. I Mamertini, sono mercenari italici,
d'origine campana e vennero arruolati tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. da Agatocle, tiranno di Siracusa.
Alla morte di quest'ultimo, nel 289 a.C., la maggior parte dei Mamertini, rimasti senza lavoro, tornarono in patria,
mentre altri rimasero sull'isola. Alcuni di loro s'impadronirono a tradimento della città di Messina, ubicata sullo stretto,
in una posizione di grande importanza strategica. Dopo di che assunsero il nome di Mamertini. 
Il loro dominio durò oltre vent'anni, durante i quali trasformarono Messina da centro agricolo e commerciale a base
per le loro scorrerie piratesche, sia sul mare sia sulla terraferma. Quando i Romani iniziarono ad espandersi verso
la Magna Grecia, i Mamertini, temendo di rimanere schiacciati fra più fuochi (Roma a nord-est, Cartagine ad
ovest, Siracusa a sud), chiesero l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro, che sbarcò sull'isola per combattere i Cartaginesi. Il re
dei Molossi si impose su tutta l'isola tranne Lilibeo, ma la sua condotta incontrò la disapprovazione dei siciliani e così,
per far fronte alle difficoltà strategiche e logistiche, dovette ritornare sul continente (autunno del 276 a.C.), dove venne
poi sconfitto dai Romani nella Battaglia di Benevento (275 a.C.).
La prima guerra punica (264 a.C. - 241 a.C.) fu principalmente una guerra navale. Le richieste di soccorso dei
Mamertini contro Siracusa raggiunsero Roma e Cartagine. Roma, impegnata nella pacificazione del territorio e
nell'inizio dell'espansione nella Pianura Padana era riluttante a impegnarsi in Sicilia. Cartagine invece inviò subito una
squadra navale. La conquista di Messina gettava segnali favorevoli nella secolare lotta con Siracusa; Cartagine poneva
finalmente piede anche nel settore orientale dell'isola. Probabilmente vedere Cartagine a poche miglia dalle coste
del Bruttium appena conquistato dovette creare qualche apprensione nel Senato romano, che acconsentì a inviare
soccorsi a Messina. Con la città punica esistevano secolari tradizioni di amicizia; c'era anche un trattato ben preciso (il
trattato del 306) che le riservava come zona di espansione alla Sicilia e che allo stesso tempo ne escludeva
implicitamente Romani. La decisione fu allora portata di fronte a un'assemblea popolare che votò l’aiuto ai Mamertini.
Nel 264 Appio Claudio ruppe ogni indugio e oltrepassò lo stretto con l'esercito. Il passaggio in Sicilia da parte di Appio
Claudio È stato interpretato molto spesso come l'inizio dell'imperialismo romano dal momento che i romani per la
prima volta avrebbero combattuto fuori dall'Italia. mentre dopo il suo arrivo nel 264 l'esercito romano fu assediato in
Messina, già nel 263 l'arrivo di un altro esercito capeggiato dei nuovi consoli liberò la città. Per questa sua impresa e il
console Valerio assunse, dal nome di Messina, il cognome di Massalla. Massalla tuttavia non solo libero Messina
dall'assedio ma si diresse anche contro Siracusa.di fronte a questo attacco in presenza di un alleato scomodo come
Cartagine il re gli Erone passo immediatamente dalla parte dei romani.la guerra proseguì per lunghi anni e fu una guerra
non solo lunga ma anche molto dura.
Si spiegano bene i successi romani nella progressiva occupazione dell'isola così come lo stesso modo si spiegano gli
sforzi di Roma per dotarsi di una propria flotta, tale da potersi opporre in modo adeguato a quella di Cartagine. Già nel
260 era pronto una flotta di 100 quinqueremi e di 20 triremi. La comandavano i consoli Cornelio Scipione e gaio Duilio.
A Lipari tuttavia Scipione fu sconfitto e fatto prigioniero. Duilio invece riportò una vittoria navale nei pressi di Milazzo
ricorrendo al sistema dei ponti levatoi con cui i Romani agganciavano le navi nemiche e trasformavano la battaglia
navale in tanti piccoli scontri diversificati.
Ad un certo punto Roma penso addirittura di portare le guerre in Africa attaccando Cartagine nel suo territorio nel
tentativo di smantellare l'impero.nel 256 una flotta romana partita Siracusa con i consoli Lucio ma Vulsone e Marco
Regolo. I cartaginesi cercarono di bloccarla all'altezza di capo Ecnomo. Fu una battaglia di proporzioni enormi, Vinta
dai romani che riuscirono a sbarcare in Africa.non bisogna dimenticare che Cartagine nell'Africa settentrionale
costituiva tutti gli effetti una colonia, priva dunque di un proprio retroterra.In tal modo i romani non solo furono
sconfitti ma il loro comandante fu anche fatto prigioniero e quindi orribilmente giustiziato.l'avvenuta romani in Africa
finiva così, in maniera abbastanza tragica. Quando giunsero i consoli del 255, recuperarono i resti dell'esercito, ma
ritorno a una tempesta al largo di Camarina, in Sicilia, contribuì a rendere le perdite ancora più pesanti. La guerra
continua tra alti e bassi da entrambi le parti.una seconda spedizione romana in Africa fallì nel 249.poco dopo emerse a
Cartagine la figura di Amilcare barca, il padre di Annibale. Amilcare continua a resistere ai romani finché costoro nel
ricorsero a un prestito forzoso per allestire una nuova flotta: le famiglie romane più ricche dovevano contribuire a
seconda dei propri mezzi. Con la nuova flotta nel 241 rotazione Catulo si scontrò con una flotta cartaginese presso le
isole Egadi riportando la vittoria a questo punto si aprirono trattative di pace favorita dallo stesso Amilcare. In cambio
della pace Cartagine abbandonava non solo la Sicilia ma si impegnava anche a pagare un indennizzo di guerra.

passo di Polibio (I 10-11) sulla decisione Romana di accogliere la richiesta di soccorso dei Mamertini e intervenire
in Sicilia. I Mamertini sono la popolazione italica impadronitosi di Messina, dopo aver ucciso gli uomini e catturato le
donne. Anche a Reggio era accaduto qualcosa di simile; avevamo infatti detto che dopo Turi, anche altre città dell’Italia
meridionale fanno appello ai Romani. A Reggio i romani avrebbero insediato una legione campana, cioè una
guarnigione composta di alleati di Roma campani i quali a Reggio non avrebbero trovato di meglio che fare lo stesso
che avevano fatto i Mamertini a Messina (uccidere gli uomini e impadronirsi delle donne), essendo poi puniti
duramente dai Romani (tra Messina e Reggio c’era un’alleanza, che fu poi sciolta).
Nei confronti dei romani rivendicano questo aspetto della “stessa razza” per chiedere il loro soccorso. Quello che
sorprende è il doppio appello da parte dei Mamertini; in parte si rivolgono ai cartaginesi, in parte ai romani -> può
darsi che all’origine di questo ci sia qualche conflitto civile interno alla popolazione di Messina (una parte della città
magari era anche costretta all’esilio e aveva fatto ricorso ai Cartaginesi, l’altra parte si era rivolta ai Romani). Forse
questi due appelli non dovevano neppure apparire così contrastanti, perché Cartagine e Roma avevano rinnovato il
loro trattato di alleanza al tempo di Pirro, ma in realtà questa alleanza non si era tradotta in una vera collaborazione
militare, perchéi due avrebbero affrontato Pirro separatamente.
I Romani erano incerti se intervenire o meno, perché sarebbe stato illogico farlo -> questa illogicità deriva dal fatto
che in precedenza i Romani avevano punito duramente la legione campana che si era impadronita di Reggio e si
era unita ai Mamertini. In forza di questo sarebbe stato assurdo intervenire in difesa dei Mamertini, i quali si
sarebbero comportati a Messina nello stesso modo in cui si erano precedentemente comportati i campani a Reggio.
Le considerazioni che Polibio attribuisce ai senatori romani sono in qualche modo considerazioni allarmistiche, anche
perché questa rappresentazione del dominio Cartaginese non solo sulle coste dell’Africa, ma addirittura di tutta la
Spagna, l’Iberia, la Sardegna, la Corsica, questa idea di un possibile accerchiamento di Roma qualora i Cartaginesi si
sarebbero impadroniti anche della Sicilia, sarebbe in qualche modo basata su una rappresentazione un po’ esagerata
del dominio cartaginese. Si delinea in queste considerazioni che Polibio attribuisce ai Romani una sorta di “conquista
a valanga” dei Cartaginesi che, già padroni di tutte queste coste mediterranee, se fossero stati accolti dai Mamertini a
Messina, avrebbero intanto circondato Siracusa e a quel punto sarebbero passati in Italia.

Polibio insiste sul tema dell’illogicità, cioè a trattenere l’intervento di Roma sarebbe stata questa insensatezza e
incoerenza di un intervento a favore dei Mamertini, che si erano comportati nello stesso modo dei campani a Reggio. In
realtà qualcuno ha sostenuto che dietro l’esitazione del senato c’è qualcosa di diverso, ovvero la presenza di un
trattato tra Roma e Cartagine, che divideva le zone di influenza attribuendo l’Italia a Romani e la Sicilia ai
Cartaginesi.
Sappiamo da Polibio, che Filino di Agrigento (storico greco) affermava l’esistenza di un trattato tra Roma e Cartagine
che avrebbe vietato ai Romani il passaggio in Sicilia. Secondo Filino di Agrigento, quindi, l’intervento di Roma in
Sicilia in difesa dei Mamertini che sfocia nella Prima guerra Punica sarebbe un intervento illegittimo, in violazione di
un trattato.
Polibio affermerà di non aver trovato traccia di questo trattato e quindi affermerà che non sarebbe mai esistito..
Quello che ci interessa è che anche in un’epoca in cui le fonti sono abbastanza numerose e di qualità, il problema è che
sono pervenute fino a noi delle fonti in qualche modo schierate. Per Filino di Agrigento l’intervento romano è
completamente contro il trattato. Polibio ritiene di aver dimostrato l’inesistenza di questo trattato e lo attribuisce alla
parzialità filo-cartaginese di Filino e presenta quindi le esitazioni romane a intervenire come conseguenza della
considerazione di illogicità di questo intervento.
(11) -> in questo passo c’è qualche incertezza sulla traduzione, che lo rende complicato:
Il Senato non ratifica la proposta, poi compare il termine greco oi de polloi, che viene tradotto con “il popolo”, che
sarebbe in contrapposizione al senato.
Alla fine però arriva alla decisione di intervenire -> la traduzione del passo di Polibio presenta questa decisione come
presa dal popolo su pressioni dei consoli. Questo ci dice qualcosa sulla struttura del sistema politico romano: i consoli,
come abbiamo già visto, sono sempre favorevoli ad aprire una guerra, tanto più una guerra che porta gloria e bottino
(individuato fin da Montesquieu come uno degli elementi che hanno garantito la continuità dell’espansione romana) ->
la classe dirigente aspira a esercitare i comandi. Le decisioni di pace e di guerra, vengono prese dai comizi centuriati.
Possiamo immaginare che il console abbia presentato ai comizi centuriati questa proposta, riuscendo ad ottenere il
consenso.
Quello che crea qualche difficoltà a questa interpretazione è il fatto che nella traduzione c’è qualche ripetizione:
“il senato non ratificò nemmeno la proposta [...] ma il popolo decise di inviare gli aiuti [...] essendo stato approvato il
decreto dal popolo”. In greco prima si dice oi polloi e dopo si dice demon; sembra che la ratifica della decisione da
parte del demos sia successiva a una fase precedente in cui questi polloi avrebbero deciso di inviare l’intervento. In
ambito italiano c’è stata una proposta di traduzione da parte di Salvatore Calderone, secondo cui oi polloi sarebbero da
intendere, secondo un uso di cui è stato trovato riscontro in altri passi di Polibio, come “la maggioranza del senato”. La
cosa quindi avrebbe un altro senso: il dibattito si sarebbe svolto in Senato, alla fine nonostante tutte le incertezze la
maggioranza del Senato sarebbe stata incline a intervenire e il decreto sarebbe stato poi confermato dal popolo.

Motivazioni che avrebbero spinto i Romani a intervenire:


- timore di essere accerchiati dai cartaginesi
- aspirazione a fare bottino che i consoli avrebbero delineato al popolo
Già nel preludio alla Prima guerra Punica appaiono affiancate le esigenze difensive alle volontà economiche; la guerra
viene presentata come una guerra preventiva, necessaria per evitare che i Cartaginesi, che già dominano su moltissime
coste, si impadronissero anche della Sicilia e quindi portassero la guerra in Italia. Esigenze difensive sarebbero
affiancate da volontà economiche.
L’avidità e la paura sono i due poli su cui si è mosso e continua a muoversi anche il dibattito contemporaneo
sull’imperialismo romano.

La compresenza di questi due motivi nell’analisi di Polibio sembra poter essere ricondotto, almeno in parte, a una
diversa interpretazione delle fonti, di opposta provenienza e tendenza: -denuncia dell’avidità romana -> Filino di
Agrigento;

-giustificazione in termini di una misura di difesa indispensabile -> Fabio Pittore.


Le fonti sulla Prima guerra punica a cui Polibio attinge sono queste due, una filo-cartaginese e una filo- romana.
Di Fabio e Filino, Polibio aveva denunciato la passione politica, senza accusarli, ma giustificandoli con
un’affermazione come: “è accaduto loro qualcosa di simile a quanto accade a chi ama”.
La parzialità dei due storici doveva esprimersi anche nell’opposto giudizio sulla legittimità del comportamento delle
due parti:
- a detta di Filino un trattato tra Roma e Cartagine aveva delimitato la sfera di influenza e affidato la Sicilia ai
Cartaginesi -> guerra romana= guerra di aggressione, motivata inoltre dall’avidità.
- Fabio Pittore nella redazione (III-II secolo a.C.) della sua opera storica, sentì l’esigenza di controbattere contro Filino
(scrive infatti in greco sia perché è la lingua della comunicazione nel mondo ellenistico, sia per rivolgersi al pubblico
del mediterraneo e presentare le ragioni di Roma), presentando una diversa ragione. Non poteva ammettere che i
Romani avessero violato il trattato, dovette quindi negarne l’esistenza stessa del trattato.
Più tardi Polibio confermerà questa visione di Fabio Pittore, riferendo di non aver trovato traccia sul Campidoglio nel
tesoro degli Edili (edificio erano archiviati i trattati tra Roma e Cartagine e dove aveva trovato trattati antichissimi
anche del I secolo della Repubblica). Fabio Pittore giustificò l’intervento romano in Sicilia presentando questa
giustificazione di una guerra preventiva. Per poter presentare la decisione romana come una necessaria risposta a
concreti rischi di aggressione, rappresenta l’estensione del dominio di Cartagine in termini esagerati e dunque
allarmistici, riflessi poi da Polibio.
I. Polibio sottolinea la superiorità di Cartagine nelle operazioni navali, e di Roma nelle azioni di terra; la ragione
di ciò è individuata nella diversa natura dei due eserciti. Cartagine fidava in mercenari ben addestrati, ma che
si battevano solo per la paga e il bottino. Roma poteva contare su un esercito cittadino che lottava per
difendere gli interessi della propria patria.

Polibio denuncia la difesa politica imparziale dei due storici. Quella di Polibio sembra dunque una sintesi delle due
fonti. Questo dimostra ancora una volta che il dibattito sull’imperialismo romano è caricato di posizioni politiche degli
autori che intervengono.

Brano di Polibio (p.23 delle fotocopie). La conquista di Agrigento è una svolta nella politica del Senato. I Romani poi
sperano di scacciare del tutto i Cartaginesi dalla Sicilia.
Ultima fase della guerra nella Sicilia occidentale: Polibio rappresenta i due contendenti come due galli da
combattimento.

Battaglia decisiva della guerra: battaglia navale nelle Egadi dove Roma si afferma-
A partire dal 241 dunque diventa la prima Provincia romana (provincia = prima significava sfera di competenza di un
magistrato che poi diventa area al di fuori dell’Italia amministrata da governatori inviati da Roma)

Ierone II (Greco - Re di Siracusa) all’inizio era alleato dei Cartaginesi poi diventa alleato dei romani e svolge un ruolo
essenziale per Roma nel garantire le approvvigioni. Dopo la guerra, Roma premia Ierone II e il regno di Siracusa durerà
ancora mantenendo la sua indipendenza (riconoscendo superiorità a Roma). L’indipendenza di Siracusa termina alla
fine della 2a guerra punica quando il successore di Ierone II si allea con Cartagine approfittando della sconfitta romana
contro Cannes. Nel 211 Marco Claudio Marcello conquista Siracusa con un assedio e sarà poi riunita come provincia
romana.

La 1a guerra punica è una guerra estremamente costosa per entrambe le potenze - Cartagine soffre molto questa
conseguenza. Per finanziare la guerra, Cartagine aveva dovuto sfruttare popolazioni libiche che poi si rivolteranno
contro Cartagine. Quindi si trova a dover affrontare un’ulteriore guerra con le popolazioni libiche che vogliono una
liberazione dall’oppressione. I Cartaginesi poi si difendono, grazie anche a Ierone II, (che aveva paura di una totale
sottomissione romana se Cartagine non sopravvive) - guerra comunque di cui i romani si approfitteranno: prendendosi
Sardegna e Corsica.
I romani poi impongono di una indennità di guerra romana: i responsabili (ovvero i vinti) della guerra devono pagare i
danni. I Cartaginesi saranno indeboliti da questa indennità.

Polibio, quindi, presenta le circostanze che hanno portato Roma a conquistare un dominio universale, mettendo in
evidenza il «meccanismo della conquista, da un lato, e dall’altro le forme concretamente assunte dal predominio di
Roma, dopo la vittoria.Sembra quasi che Polibio approvasse questo tipo di politica squisitamente aggressiva che i
Romani assunsero per mantenere il loro impero e che è alla base dello scoppio della terza guerra punica.

Polibio sceglie di focalizzandosi sulla crescita dell'egemonia romana. Nei libri I e III esprime dichiaratamente
l'intenzione di esaminare come e perché Roma, nel breve volgere di nemmeno 53 anni divenne l'incontrastata
dominatrice dell'ecumene, dell'intero mondo abitato.
L'affermazione è un po' esagerata, anche se in effetti Roma, potenza esclusivamente peninsulare italiana, in mezzo
secolo eliminò Cartagine acquisendo la costa africana dall'Egitto all'Algeria, assoggettò la Spagna, la Provenza,
l'Illiria, la Grecia, la Macedonia, l'Asia (Anatolia e Siria). Polibio non tiene conto dei secoli di "preparazione"
necessari. E dobbiamo ricordare che era greco e che per "mondo" intendeva il Mediterraneo "greco". Tutto il resto era
barbarie.
Anche se, in quanto amico degli Scipioni, non del tutto imparziale e piuttosto ammirativo delle capacità dei romani,
Polibio non era romano e i suoi scritti erano intesi per lettori greci. Tito Livio lo utilizzò come fonte anche perché, a
sua volta, Polibio poteva attingere a ottime fonti: almeno una delle più influenti e politicamente impegnate famiglie
dell'aristocrazia romana.

Dibattito contemporaneo sull’imperialismo romano

 brano di Polibio -> la decisione dei romani di intervenire in aiuto ai Mamertini viene presentato come un intervento
necessario per contrastare la conquista dei Cartaginesi di Messina, che avrebbero rapidamente potuto sottomettere
Siracusa e ne avrebbero potuto approfittare per arrivare in Italia. La rappresentazione del dominio di Cartagine è una
rappresentazione esagerata. Tuttavia la decisione sarebbe stata tormentata perché a questi argomenti si contrapponeva la
consapevolezza dell’aloghia, che dervivava dal fatto che pochi anni prima i romani avevano duramente punito i
campani che si erano impadroniti di Reggio.

L’equilibrio tra le argomentazioni a favore e contro l’intervento avrebbe prodotto in senato una situazione di stallo,
risolta grazie ai consoli, che avrebbero ottenuto l’approvazione del popolo. L’avrebbero ottenuta presentando ai
POLLOI la possibilità di arricchirsi con il bottino. Il termine polloi (i molti= termine concreto) è di solito un termine
tecnico della democrazia, che indica l’assemblea popolare. L’interpretazione più naturale quindi è che i consoli,
desiderosi di intervenire in Sicilia (hanno solo un anno di carica in cui aprofittare per ottenere la gloria militare),
avrebbero convinto i polloi, facendo leva su motivazioni di carattere economico. Anche senza l’approvazione del
Senato, quindi, i consoli sarebbero riusciti ad ottenere. il consenso popolare. Meccanismo della CONSIO, poi avrebbero
convocato i comizi centuriati (competenza militare), i quali avrebbero approvato la proposta dei consoli. Tuttavia,
sembrerebbe quasi che poi Polibio ripeta il dato dell’approvazione del popolo. Questa stranezza ha portato a suo tempo
Salvatore Calderone a proporre una diversa interpretazione del brano. I polloi andrebbero intesi come “la maggioranza
del senato”. L’interpretazione di questo brano è una questione aperta.

Secondo Polibio, intervento romano ha due ragioni:

1. Guerra preventiva (PAURA);


2. Volontà di arricchirsi (AVIDITA’).

Filino Di Agrigento aveva riportato la responsabilità della guerra all’avidità di Roma, mentre Fabio Pittore aveva
parlato della necessità difensiva dei romani, in una sorta di prefigurazione di conquista “a valanga” dei Cartaginesi. Il
tema dell’illogicità potrebbe forse sostituire la consapevolezza romana che il passaggio in Sicilia sarebbe significato una
violazione di un trattato tra Roma e Cartagine.

Per quanto riguarda la Prima Guerra Punica, se noi avessimo potuto leggere entrambi gli storici, ci troveremmo di
fronte alla necessità di confrontare due prospettive opposte, una filo-romana e una filo- cartaginese. Polibio smentisce
l’esistenza del TRATTATO DI FILINO, sostenendo di non averne trovato traccia a Roma e dunque spiega l’incertezza
dell’intervento con la consapevolezza di questa illogicità.

Da questo brano di Polibio si può trarre l’occasione per parlare dell’Imperialismo Romano. Nella ricerca
contemporanea le interpretazioni continuano a muoversi tra le ragioni dell’avidità e quelle della difesa. Poilibio
nell’analisi delle cause della Prima Guerra Punica fa un tentativo di sintesi e nel dibattito moderno si è tornati a
contrappore le motivazioni di Filino e di Fabio. Queste due posizioni si alternano quasi ciclicamente, in maniera
connessa al clima culturale e politico. Il tema dell’impero ha ovvie e inevitabili risonanze contemporanee. Si può dire
che la ricerca oscilli tra una posizione o l’altra: Roma come potenza aggressiva; Roma come potenza difensiva. La
visione dominante in un certo periodo viene poi rovesciata nella generazione successiva. Negli ultimi anni sembrano
tornate in auge non tanto le motivazioni di aggressione, quanto quelle di reazion, insistendo sulla conflittualità del
contesto internazionale in cui Roma opera. In queste prospettive si afferma che la diplomazia antica era primitiva,
incapace di risolvere i conflitti. In queste visioni la ricostruzione dell’impero sarebbe un risultato raggiunto
inconsapevolmente, senza alcuna spontanea volontà, ma solo vincendo le battaglie degli aggressori. La teoria
dell’imperialismo difensivo era stata la teoria di grandi studiosi dell’800 e dei primi del 900 ed era arrivata fino agli
anni ’70, quando un libro di William Harris (1979), Guerra e imperialismo nella Roma repubblicana, rappresentò una
forte e vigorosa reazione contro la teoria dell’imperialismo difensivo.

Potrebbero piacerti anche