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La riforma dell'esercito
Gaio Mario adottò una riforma militare prima di partire contro Giugurta. La riforma stabili anzitutto che l'esercito dovesse essere
volontario, cioè aperto a tutti coloro che desideravano arruolarsi e quindi, per la prima volta, anche agli Italici e ai proletari,
compresi i nullatenenti.
L'esercito non era più temporaneo, ma divenne un gruppo di veri professionisti della guerra, che in essa trovavano un mezzo di
sostentamento. Questi soldati finivano per legarsi sempre più al loro generale.
I soldati erano tutti armati nello stesso modo, con elmo, scudo, corazza spada pugnale e giavellotti. Le legioni contavano 6000
uomini, divisi in 10 coorti di 600 uomini. Ogni coorte era suddivisa in 3 manipoli di 200 uomini. Fu annullata l'antica divisone tra
principes e veterani, perché tutti i soldati divennero fanti armati.
GLI ITALICI CONTRO ROMA E LA GUERRA SOCIALE: Nel 91 a.C. venne al pettine la questione della concessione della cittadinanza agli
alleati italici che permetteva di accedere a una serie di diritti e di garanzie giuridiche riservate dalla legge ai soli cittadini. Al suo
possesso era legata la possibilità di partecipare alla spartizione del bottino e delle terre confiscate ai nemici e di beneficiare delle
distribuzioni alimentari. L'accoglimento almeno parziale della loro richiesta era già nel pacchetto di leggi di Gaio Gracco, essa venne
ripresa da un altro tribuno della plebe, Marco Livio Druso. Druso inserì la proposta di estensione della cittadinanza agli italici entro
un insieme di leggi, che cercavano di accontentare l'aristocrazia e i cavalieri: un chiaro esempio di questo compromesso era la
norma che da un lato restituiva ai senatori il controllo dei tribunali incaricati di giudicare i governatori provinciali e dall'altro
immetteva in senato 300 esponenti del ceto equestre. L'assassinio di Druso ebbe però un effetto imprevisto perché gli italici
decisero di rompere gli indugi e di imboccare la via della rivolta armata. L'insurrezione, scoppiata ad Asculum, si estese a tutta
l'Italia centro-meridionale e tenne impegnate le truppe romane per tre anni, fino all'89 a.C. È passata alla storia come guerra sociale
perché fu combattuta fra Roma e i suoi soci e fu una guerra civile, perche a sollevarsi contro i romani furono popoli abituati da
secoli a combattere al loro fianco. La guerra sociale fu vinta da Roma, che incassò la resa di quasi tutti i suoi avversari e il senato
preferì cedere sulla questione della cittadinanza, riconoscendola dapprima ai popoli che non avevano aderito alla rivolta, poi a tutti
coloro che avevano deposto le armi entro una certa scadenza.
In quanto console per l’88 a.C., a Silla spettava di diritto il comando della guerra mitridatica; i suoi avversari politici - popolari e
cavalieri - votarono una risoluzione che conferiva l'incarico a Mario, il quale tornava dopo un decennio al centro del gioco politico.
Silla allora si pose a capo del suo esercito, impegnato in Campania a reprimere gli ultimi focolai della guerra sociale, e marciò in
armi su Roma, deciso a riprendersi il comando delle operazioni. Si trattava di un colpo di stato, che poneva le premesse per una
vera e propria guerra civile; a renderlo possibile, oltre all'ambizione di Silla, erano però paradossalmente gli effetti della riforma
varata a suo tempo da Mario, che aveva trasformato l'esercito in una truppa professionale. Per i soldati, l'attività militare
rappresentava ormai una vera e propria occupazione e l'unica fonte di reddito; di conseguenza, essi finivano per sentirsi legati
soprattutto al proprio generale, dalla cui abilità dipendevano il successo in guerra e la conseguente possibilità di arricchirsi con il
saccheggio dei territori nemici. Entrato in città con i soldati, Silla costrinse il suo avversario a fuggire in Africa e scatenò una caccia
all'uomo contro i sostenitori di Mario. A questo punto, risolta per il momento a suo favore la partita, mosse con l'esercito alla volta
dell'Oriente e lo scontro finale fu rimandato.
Nel corso di quattro anni di guerra, Silla ristabili la situazione in Grecia e in Asia, sconfiggendo ripetutamente Mitridate e i suoi
alleati. Nel frattempo Mario era rientrato in città subito dopo la partenza di Silla e aveva ottenuto il consolato vendicandosi dei
propri nemici con e devastazioni a danno dei sillani. Di lì a poco, Mario era morto e il controllo della situazione era passato nelle
mani dei suoi seguaci, tra i quali Lucio Cornelio Cinna, console per tre anni fra l'86 e l'84 a.C. A quel punto Silla preferì concludere
una tregua con Mitridate - che fu obbligato a pagare una forte indennità di guerra e a rientrare nei suoi territori - e tornò in Italia,
dove sbarcò nella primavera dell'83 a.C.che aveva dalla sua parte un esercito esperto e fedelissimo che guidò contro Roma. Si
avvicinava la resa dei conti e tornava con essa lo spettro della guerra civile. I popolari, guidati da Mario il Giovane, potevano
contare anche sull’appoggio degli italici, sanniti in particolare, che odiavano Silla per i massacri di cui era stato artefice nel corso di
quel conflitto. L'esercito sillano era superiore numericamente e militarmente, ma lo scontro fu comunque violentissimo: nella
decisiva battaglia di Porta Collina, combattuta all'ingresso di Roma nell'82 a.C., Mario il Giovane perse la vita e le forze popolari
vennero sbaragliate. Nei confronti degli italici che avevano combattuto contro di lui, poi, Silla praticò un vero e proprio sterminio
fino all'ultimo uomo. I mariani superstiti ebbero appena il tempo di rifugiarsi nella lontana Spagna, in Sicilia e in Africa, dove
vennero raggiunti ed eliminati da Gneo Pompeo, collaboratore di Silla che nei trent'anni successivi sarebbe divenuto un
protagonista della vita politica repubblicana.
IL DITTATORE OLIGARCHICO: Silla si fece assegnare a tempo indeterminato la carica di dittatore con il compito di scrivere nuove
leggi e riformare lo stato dall'82 all'80 a.C., perseguì con coerenza e spietatezza un programma politico il cui obiettivo ultimo era
rendere inattaccabile il potere dell'aristocrazia senatoria, eliminando qualsiasi altra autorità che potesse minacciarlo o indebolirlo.
Si liberò degli avversari politici attraverso le liste di # proscrizione, elenchi pubblici di nemici dello stato che chiunque poteva
uccidere ricevendo una ricompensa e terre e beni furono distribuiti da un lato ai soldati che avevano combattuto dalla parte del
dittatore, dall'altro ai suoi sostenitori, oppure furono messi all'asta. Tra gli altri un futuro della lotta politica sarà Marco Licinio
Crasso che si arricchì a dismisura acquistando a poco prezzo i beni dei proscritti. Liberatosi degli avversari, poté procedere alle
riforme che miravano a ridisegnare gli equilibri di potere tra le diverse istituzioni della repubblica. A essere preso di mira fu in primo
luogo il tribunato della plebe, che negli ultimi cinquant'anni aveva rappresentato il più efficace strumento. Ridimensionòi poteri dei
tribuni, stabilendo che le loro proposte di legge, prima di essere discusse dai concili della plebe, dovessero ricevere una preventiva
approvazione da parte del senato e limitando il ricorso al diritto di veto. Un secondo provvedimento impose ai generali al comando
di un esercito l'obbligo di congedare i propri soldati al momento dell'arrivo nel territorio di Roma e a nessuno era più consentito
marciare in armi contro Roma. Un'altra norma vietò la rielezione alla medesima carica prima che fossero trascorsi almeno dieci anni
dal precedente mandato e un’altra stabilí l'età minima per essere eletti alle varie cariche fissando l'obbligo di ricoprire la questura
e la pretura prima di potersi candidare al consolato. In compenso, il diritto di entrare in senato veniva esteso ai magistrati minori, a
partire dai questori: fu quindi necessario ampliare il numero dei senatori, che passò da 300 a 600. Tra l'altro, Silla trasferì
nuovamente nelle mani del senato il pieno controllo dei processi intentati contro i governatori delle province. Nel campo della
giustizia introdusse una serie di tribunali permanenti, con la creazione del tribunale incaricato di processare i governatori provinciali
per la cattiva gestione del loro mandato; si trattava dunque di un altro provvedimento che rafforzava la componente oligarchica a
scapito di quella popolare.
Nel 79 a.C., completate le riforme, Silla depose spontaneamente la dittatura e si ritirò a vita privata. Morì nel 78 a.C., convinto di
avere consolidato il potere della classe cui apparteneva: una convinzione che gli eventi degli anni successivi dimostreranno essere
errata.
L’ASCESA DI POMPEO E LA CONGIURA DI CATILINA: Tornati a Roma vittoriosi, Pompeo e Crasso furono entrambi eletti al consolato
per l'anno 70 a.C. Essi restituirono ai tribuni della plebe le prerogative che erano state loro sottratte dal dittatore, abolendo il
divieto per essi di continuare la carriera politica una volta usciti di carica. Inoltre, ammisero nuovamente i cavalieri nelle giurie
incaricate di processare i governatori delle province e incaricarono i censori di allontanare dal senato alcune decine di ex partigiani
di Silla ritenuti indegni. Entrambi avevano capito che per governare occorreva guadagnare il consenso di gruppi sociali più ampi
rispetto a quelli cui aveva guardato a suo tempo Silla. L'anno del consolato di Pompeo e Crasso passò alla storia anche per un
processo che tenne con il fiato sospeso l'intera cittadinanza. L'imputato era Gaio Verre, che nel suo mandato si era macchiato di
innumerevoli abusi ai danni di cittadini romani e provinciali, accumulando un'immensa fortuna personale. Ad accusare Verre furono
gli stessi siciliani, i quali chiamarono a difendere i propri interessi un giovane avvocato emergente, destinato a un grande futuro,
Marco Tullio Cicerone, che essi avevano avuto modo di apprezzare qualche anno prima. Fortunatamente Verre, di fronte alle prove
raccolte da Cicerone , preferìrecarsi in volontario esilio: al tribunale non restò che prendere atto della sua implicita ammissione di
colpevolezza e condannarlo.
Nel decennio successivo fu soprattutto Pompeo a raccogliere i frutti del largo consenso ottenuto durante l'anno di consolato per
esempio nel 67 a.C. fu a lui che il senato assegnò un comando straordinario allo scopo di ripulire il Mediterraneo dai pirati. Poiché i
precedenti tentativi di debellare la pirateria si erano rivelati vani, a Pompeo furono attribuiti il controllo totale delle forze navali, la
guida di un esercito molto consistente e poteri assoluti per tre anni sull'intero bacino del Mediterraneo. Sull'onda del brillante
successo, l'anno seguente venne affidato a Pompeo il compito di chiudere una volta per tutte la partita contro il re del Ponto
Mitridate VI.
Dopo la tregua provvisoria conclusa anni prima da Silla, infatti, Mitridate aveva ripreso l'iniziativa diplomatica e militare, alleandosi
con il re dell'Armenia Tigrane e occupando una serie di territori nel cuore dell'AsiaMinore, a ridosso della provincia romana d'Asia.
Nell'arco di tre anni egli recuperò i territori asiatici occupati da Mitridate e costrinse quest'ultimo a darsi la morte, mentre il Ponto
fu ridotto a provincia. Roma arrivò così a controllare un'area vasta ed economicamente molto ricca, che dall'Asia Minore giungeva
sino ai confini dell'Egitto.
L'"affare Catilina" Alla fine del 63 a.C., mentre Pompeo era ancora impegnato in Oriente, a Roma fu scoperto e sventato un
tentativo di colpo di stato orchestrato da Lucio Sergio Catilina, che in passato era stato un sostenitore di Silla. Catilina si era
arricchito enormemente all'epoca delle proscrizioni, ma aveva disperso le sue fortune in fallimentari tentativi di raggiungere il
consolato, tra il 65 e il 63 a.C. Decise allora di instaurare con la forza un potere di tipo perso-nale, riuscendo a raccogliere intorno a
sé un ampio consenso sia in alcune frange dell'aristocrazia sia tra i ceti subalterni. La congiura fu tuttavia scoperta grazie a una
delazione e venne repressa con durezza da Cicerone, che quell'anno era salito al consolato proprio imponendosi sulla candidatura
di Catilina. Il 21 ottobre del 63 a.C. il console attaccò aspramente il cospiratore in senato pronunciando la prima delle quattro
orazioni note come Catilinarie. Alcuni complici della congiura furono catturati a Roma e messi a morte senza processo: un
provvedimento del tutto contrario alle leggi in vigore, che qualche anno dopo costerà a Cicerone una condanna all'esilio. Quanto
allo stesso Catilina, dichiarato dal senato nemico pubblico, fu costretto a fuggire da Roma e a cercare rifugio in Etruria, dove un
pugno dei suoi uomini aveva formato una sorta di esercito irregolare. La battaglia decisiva, dall'esito scontato a favore delle truppe
consolari, avvenne ai primi del 62 a.C. presso Pistoia, dove Catilina morì sul campo combattendo a fianco dei suoi fedeli. Questi ceti,
dimenticati dalla politica ufficiale, erano facile preda di avventurieri con pochi scrupoli, ma che mostravano, almeno a parole, di
prendere a cuore le loro esigenze, mirando a strumentalizzarli per affermarsi politicamente.
Pompeo in Italia Quando Pompeo, di ritorno dall'Oriente, sbarcò a Brindisi, fu inevitabile per molti riandare con la memoria a un
ventennio prima, allorché da quello stesso porto Silla era partito alla conquista di Roma. Le sue uniche richieste al senato furono
l'assegnazione di terre ai soldati che avevano preso parte alla campagna in Oriente e la conferma dei provvedimenti da lui assunti
nel corso della spedizione. Occorreva infatti che i nuovi confini disegnati da Pompeo e la rete di re, alleati e vassalli da lui creata
ricevessero l'avallo ufficiale da parte del senato, il solo ad avere l'autorità per prendere simil decisioni. Il senato temporeggiò di
fronte alle richieste di Pompeo, senza decidersi né ad accoglierle né a respingerle. Il suo gesto di sciogliere l'esercito era stato
evidentemente scambiato per un atto di debolezza, mentre molti fra i senatori dovevano ritenere il potere di Pompeo troppo
ingombrante, ora che tornava carico di gloria e alla testa di un esercito a lui fedelissimo, e si erano persuasi che quella fosse
l'occasione per liquidarlo.