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1) DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE

1.1 L’ETÀ DEI GRACCHI (133-121 a.C): UNA SVOLTA EPOCALE?

La tradizione storiografica aristocratica ha identificato l’età dei Gracchi come


un momento di degenerazione dello Stato romano, non più fondato sulla
solidità civica e sul rispetto della tradizione, ma lacerato dalle guerre civili.
Una schematizzazione di questo genere appare quanto mai eccessiva, tuttavia
è impossibile negare che in questo periodo siano emersi drammaticamente
fenomeni e problemi connessi agli squilibri generati dall’ espansionismo
romano.

1.2 MUTAMENTO DEGLI EQUILIBRI SOCIALI

La campagna di Annibale in Italia aveva ferito in profondo l’agricoltura della


penisola, la cui situazione venne aggravata dalle continue campagne militari
che allontanavano i soldati dai loro poderi.
Le ricchezze delle campagne di fatto erano finite nelle mani di pochi, ma
avevano anche portato in dote un’enorme massa di schiavi e la penetrazione
della cultura greca.
L’afflusso a Roma di così grandi capitali aveva modificato profondamente la
struttura sociale ed economica locale, fino ad allora agricola: con l’espansione
nel Mediterraneo i Romani e gli Italici erano divenuti commercianti (di olio,
grano, beni di lusso e schiavi).
I cosiddetti negotiatores (uomini d’affari, spesso organizzati in società)
avevano cominciato a installarsi nelle provincie acquisite; i Ρωμαιοι come li
chiamavano i Greci esercitavano anche professioni bancarie.
Queste attività fruttavano molto ai senatori (commerciavano tramite
prestanome, a loro il commercio era interdetto dalla lex Claudia del 218 a.C.) e
avevano favorito l’ascesa degli equites (cavalieri), la cui ricchezza prima
fondiaria era divenuta di natura finanziario-mobiliare.
Organizzati su un censo di 400.000 sesterzi (nel II secolo a.C. era medio-alto),
essi comprendevano figli e fratelli di senatori, ricchi proprietari terrieri,
publicani (appaltatori delle imposte di Stato, dei lavori pubblici, delle
dogane e delle miniere) e uomini d’affari.
Essi erano esclusi dalla cariche pubbliche, ma per difendere i loro interessi
essi erano entrati a far parte del tribunale permanente (quaestio perpetua),
creato nel 149 a.C. per perseguire le estorsioni a danno delle comunità e dei
singoli dai magistrati.
Questi ambienti furono i responsabili della diffusione dell’Ellenismo a Roma
e in Italia: i loro figli erano educati da precettori greci, degli schiavi greci
gestivano le loro finanze/proprietà, curavano la mensa/l’aspetto/la salute.

1.3 CRISI DELLA PICCOLA PROPRIETÀ FONDIARIA E


INURBAMENTO

Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato radicalmente


l’agricoltura in Italia, e questo a causa della grande importazione di grano, di
materie prime e di mano d’opera servile.
L’agricoltura tradizionale d’autosussistenza entrò in crisi: i piccoli proprietari
terrieri, trattenuti a lungo lontano da casa per le guerre, si videro costretti a
vendere le loro terre.
Ciò portò ad una concentrazione fondiaria che aveva accelerato la tendenza
verso un’agricoltura incentrata su prodotti destinati alla commercializzazione
(olio, vino, bestiame), per cui servivano grandi quantità di spazio.
Il modello di proprietà che si venne a definire era quello della villa rustica,
basata sullo sfruttamento intensivo di schiavi, sugli schiavi-manager (vilici)
che facevano lavorare gli schiavi operai/artigiani/agricoltori.
Per le piccole proprietà l’unica possibilità era la riconversione delle culture,
che però era complesse e molto dispendiosa; in queste condizioni i piccoli
proprietari furono costretti a vendere e a muoversi verso Roma, dove
accrebbe la massa urbana (giunta ad un milione di abitanti alla fine
dell’epoca repubblicana).

1.4 RIVOLTE SERVILI

Il moltiplicarsi della mano d’opera schiavile e il dilatarsi delle zone destinate


al pascolo crearono i presupposti per il ripetuto esplodere di rivolte servili, e
questo soprattutto laddove questi fenomeni erano più intensi.
Dunque non a caso la Sicilia fu il teatro di numerose rivolte di schiavi: le più
imponenti furono quella del 140-132 a.C. e quella del 104-100 a.C.
La prima scoppiò ad Enna, presso le tenute del ricco latifondista Damofilo, e
si espanse per tutta l’isola: il leader degli schiavi era un siriano, Euno, che
adottò il nome di Antioco.
Di fronte alla grandezza della rivolta Roma fu costretta ad inviare ben tre
consoli, ma solo l’ultimo, Publio Rupilio, riuscì nel 132 a.C. a sedare la
rivolta.

1.5 LE DUE FAZIONI DELL’ARISTOCRAZIA: OPTIMATES E


POPULARES

I mutamenti della compagine sociale mutarono gli equilibri della classe


dirigente, la nobilitas, che si organizzò in due fazioni: quella degli optimates e
quella dei populares.
I primi si autodefinivano ‘’boni’’, nel senso di ‘’gente dabbene’’, e portavano
avanti la tradizione degli avi: una politica ispirata al bene dello Stato e
sostenitrice dell’autorità e delle prerogative del senato.
I secondi erano anch’essi aristocratici, ma si eressero a difensori dei diritti
del popolo, che gli optimates definivano padrone del mondo, ma in realtà
versava nella povertà più assoluta.
Le riforme sociali proposte dai populares trovano esemplificazione in tre leggi
tabellarie, ovvero riguardanti l’espressione scritta del voto: la lex Gabinia
tabellaria (139 a.C.) la introduceva nei comizi elettorali, la lex Cassia tabellaria
(137 a.C.) in quelli per perduellio (alto tradimento e attentato all’ordine
costituito) e la lex Papiria tabellaria (131 a.C.) nei comizi legislativi.

1.6 LA QUESTIONE DELL’AGER PUBLICUS E IL TENTATIVO DI


RIFORMA DI CAIO LELIO

Le guerre di conquista avevano portato alla crescita dell’ager publicus, il


terreno demaniale di proprietà collettiva dello Stato romano.
Parti di questo venivano concessi in uso ai privati a titolo di occupatio: la
proprietà restava sempre dello Stato, che si riservava la possibilità di
revocarne il possesso.
L’utilizzo era garantito ai detentori dietro il pagamento di un canone
(vectigal), del tutto irrisorio e che non sempre lo Stato si preoccupò di esigere.
La crisi della piccola proprietà fondiaria favorì la concentrazione della
maggior parte dell’ager publicus nelle mani dei cittadini più ricchi e potenti:
per questo motivo si rese necessaria una legge la quantità di ager publicus
occupabile.
A proporre questa legge fu un collaboratore di Scipione Emiliano, Caio Lelio,
nell’anno del suo consolato o poco prima (140 o 145 a.C.): fu per l’opposizione
unanime dei senatori che egli decise di ritirare la proposta.

1.7 TIBERIO GRACCO

Figlio dell’omonimo governatore della Citeriore e di Cornelia (figlia


dell’Africano), Tiberio Sempronio Gracco (163-133 a.C.), salito al tribunato
della plebe nel 133 a.C., tentò di arrivare ad una riforma agraria che limitasse
la quantità di ager publicus occupabile.
I motivi che spinsero Tiberio Gracco a ricercare questa riforma furono
numerosi: secondo alcuni egli elaborò il progetto mentre visitava l’Etruria,
dove erano scomparsi i piccoli proprietari terrieri; è difficile escludere che egli
abbia subito l’influsso dei suoi precettori greci, come Diofane di Mileto e
Blossio di Cuma, quest’ultimo teorizzatore di uno stoicismo egualitaristico
che lo portò, morto Tiberio, a fuggire a Pergamo durante la rivolta di
Aristonico, che aveva caratteristiche proprie dell’utopia sociale.
Il progetto di legge agraria proposto da Tiberio ai comizi tributi nel 133 a.C.
fissava a 500 iugeri (125 ettari) il limite di ager publicus occupabile, con
l’aggiunta di 250 iugeri per ogni figlio per un massimo di 1000 iugeri (250
ettari) per famiglia.
Sarebbe stato poi un collegio di triumviri (tresviri agris dandis iudicandis
adsignandis), eletto dal popolo e composto da Caio Gracco (fratello di Tiberio)
e Appio Claudio Pulcro (suocero di Tiberio e princeps, ‘’presidente’’, ma anche
considerato il vero ispiratore della riforma assieme ai giuristi Publio Licinio
Crasso Muciano, suocero di Caio, e Publio Mucio Scevola, console nel 133
a.C.), avrebbe poi avuto il compito di distribuire i lotti ai cittadini più poveri
in piccoli lotti, forse di 30 iugeri (7,5 ettari).
I fondi necessari sarebbero stati ricavati dal tesoro del re di Pergamo Attalo
III, che, morto in quell’anno senza aver lasciato eredi, lo aveva lasciato ai
Romani.
Lo scopo della legge era l’esigenza di ricostruire e conservare un ceto di
piccoli proprietari terrieri, che si stava dissolvendo, cosa che poteva risultare
problematica per il reclutamento dell’esercito.
Il progetto era perfettamente legittimo, tuttavia alcuni suoi aspetti (come la
destinazione del tesoro di Attalo III) toccavano prerogative del senato; a ciò si
aggiungeva l’opposizione dei grandi proprietari terrieri, che si vedeva
deprivati di qualcosa che consideravano proprio.
L’oligarchia romana convinse dunque uno dei tribuni della plebe, Marco
Ottavio, a porre il veto sulla proposta durante i comizi tributi.
Tiberio Gracco, di fronte al veto di Marco Ottavio, propose all’assemblea di
deporre il tribuno, in quanto con il suo veto stava andando contro gli
interessi popolari, che aveva promesso di difendere.
Una volta deposto Marco Ottavio, la lex Sempronia venne infine approvata,
questo però non significò la fine dell’opposizione oligarchica: temendo di
perdere l’intoccabilità (sacrosanctitas), Tiberio decise di ripresentare la sua
candidatura al tribunato della plebe anche per l’anno successivo.
Questo diede modo ai suoi avversari di accusarlo di aspirare al potere
personale: nel corso del comizi elettorali un gruppo di senatori e avversari,
guidati dal pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica, lo assalì e lo
uccise insieme a molti suoi sostenitori.

1.8 DA TIBERIO A CAIO GRACCO: LA COMMISSIONE AGRARIA,


SCIPIONE EMILIANO E GLI ALLEATI LATINI E ITALICI

La morte di Tiberio Gracco non pose fine all’attività della commissione


triumvirale , di cui faceva parte anche il fratello Caio Gracco (154-121 a.C.).
Divenne però chiaro fin da subito che alla riforma agraria erano opposte
anche le aristocrazie italico-latine, che si comportavano esattamente come
quelle romane, ma che ora avrebbero dovuto lasciare i loro terreni ai
nullatenenti romani.
Fu Scipione Emiliano, acerrimo nemico politico dei Gracchi, a venire incontro
alle richieste degli alleati, tuttavia egli morì misteriosamente nel 129 a.C.
A portare avanti la sua opera fu Fulvio Flacco, console nel 125 a.C. e membro
del triumvirato agrario, che propose di concedere la cittadinanza a tutti gli
alleati latino-italici che l’avessero richiesto, o quanto meno la possibilità di
poter chiedere la provocatio per opporsi agli abusi dei magistrati romani.
L’opposizione fu vastissima, cosa che spinse Flacco a non proseguire nella
sua opera: un fatto che suscitò l’irritazione degli alleati, e che causò le rivolte
di Ascolum e della colonia latina di Fregellae (125 a.C.), che venne rasa al suolo
(sul suo territorio venne costruita nel 124 a.C. la colonia di Fabrateria Nova).

1.9 CAIO GRACCO

Nel 123 a.C. Caio Gracco venne nominato tribuno della plebe: nel corso di
questo e dei due mandati seguenti, egli proseguì l’opera del fratello,
perfezionando la riforma agraria.
Caio propose anche la fondazione di nuove colonie di cittadini romani in
Italia (Minervia presso Squillace e Neptunia presso Tatanto) e nel territorio
della distrutta Cartagine (Iunonia).
Una lex frumentaria venne poi proposta per calmierare il mercato ed evitare
la speculazione da parte dei detentori di frumento: con essa venne assicurata
una quota mensile di grano ad ogni cittadino residente a Roma.
Grandi granai pubblici appositamente costruiti (horrea Sempronia) dovevano
custodire le grandi quantità di cereale necessarie per le distribuzioni.
Caio volle poi limitare il potere del senato, integrando un gran numero di
cavalieri nell’albo da cui erano selezionati i giudici e riservando ad essi il
controllo dei tribunali permanenti per i reati di concussione e di estorsione da
parte dei magistrati provinciali (quaestiones perpetuae de repetundis del 149
a.C.).
In questo modo i senatori-governatori non erano giudicati solo da giudici-
governatori, ma anche dai cavalieri che prendevano in appalto le imposte e le
grandi operazioni commerciali nella provincia d’Asia.
Un altro provvedimento, destinato a sopravvivere per tutta l’età
repubblicana, prevedeva che il senato dovesse decidere prima dell’elezione
quali province dovessero essere considerate consolari (in modo tale che non
vi fossero ragioni personali o politiche ad influenzare la decisione).
Per risolvere il problema degli alleati, Caio propose di concedere ai Latini la
cittadinanza e il diritto latino agli Italici: una proposta che però venne
respinta.
L’oligarchia senatoria, approfittando dell’assenza di Caio (che si trovava in
Africa per seguire la costruzione di Iunonia con Fulvio Flacco), si servì di un
nuovo tribuno della plebe, Marco Livio Druso, per opporsi a questo.
Druso, che fece proposte smoderata (fondare dodici colonie), fece sì che le
proposte dei Gracchi perdessero appoggio popolare: così Caio, tornato a
Roma nel 122 a.C., si trovò in una situazione nuova, in cui non trovò spazio
(nel 121 a.C. egli non venne rieletto tribuno della plebe).
Per assestare un colpo definitivo a Caio e a Fulvio Flacco, si propose
l’abolizione della deduzione: i due triumviri si opposero con forza, cosa che
fece scoppiare disordini.
Per placare la situazione si fece ricorso ad un senatus consultum ultimum,
con cui era affidato ai consoli il compito di tutelare lo Stato; il console Lucio
Opimio ordinò il massacro dei graccani: Fulvio Flacco venne ucciso negli
scontri, mentre Caio si fece uccidere da un suo schiavo.

1.10 SMANTELLAMENTO DELLA RIFORMA AGRARIA

Le riforme dei Gracchi, rispondenti a problemi reali, non potevano essere


abolite, ma l’oligarchia senatoria decise comunque di ridurne gli effetti: i lotti
furono dichiarati inalienabili.
Si pose fine alle operazioni di recupero delle terre, lasciando però i possessi
legittimamente occupati agli attuali detentori, prima in concessione, poi in
proprietà (venne abolita la commissione agraria).

1.11 PROVINCE, ESPANSIONISMO E NUOVI MERCATI: ASIA, GALLIA,


BALEARI, DALMAZIA DANUBIANA

Al 133 a.C. le province di Roma erano: Sicilia, Sardegna e Corsica, Spagna


Ulteriore e Citeriore, Africa.
La deduzione di una provincia è un gesto da considerare ‘’non di annessione,
ma di guerra’’: per Roma significava infatti assumere la gestione diretta di un
territorio annesso solo in piccola parte.
A ciò si deve aggiungere la natura istituzionalmente composita delle regioni
acquisite, cosa che costringeva a confrontarsi con numerose problematiche:
definire le linee generali di riferimento (questioni territoriali, statuto delle
singole città/comunità).
L’insieme di queste deliberazioni prendeva il nome di lex provinciae, anche
se non si trattava di una terminologia ufficiale, anzi, oggi si ritiene che la
creazione di una provincia non necessitasse di una lex costituente.
Una delle leges più note, la lex Rupilia (132 a.C.), relativa alla Sicilia, era stata
concepita non per la provincia, ma per la rivolta servile.
L’espressione che indicava la ‘‘redactio in formam (formula) provinciae’’ faceva
piuttosto riferimento alla formula provinciae, una sorta di prospetto ufficiale
che descriveva gli ambiti geografici.
Nel 133 a.C. il re di Pergamo Attalo III aveva lasciato il suo regno ai Romani,
fatta eccezione per le città libere ed i loro territori: questo testamento non
venne però accettato da un fratello di Attalo, Aristonico, che fino al 129 a.C.
riuscì a tenere impegnate le legioni romane.
Aristonico inizialmente fece appello allo spirito nazionalistico, ma in seguito
ottenne l’appoggio della popolazione promettendo un miglioramento sociale
e di affrancamento da ogni tipo di schiavitù (una sorta di ‘’città del Sole’’).
Anche grazie all’appoggio di Bitini, Pontici, Paflagono e città greche, la rivolta
di Aristonico venne sconfitta nel 129 a.C. dal console Manlio Aquilio: venne
così creata la provincia d’Asia, la cui organizzazione venne affidata al
console e ad una commissione senatoria (i lavori finirono nel 126 a.C.).
La provincia era costituita da Misia/Troade/Lidia/la parte Sud-occidentale
della Frigia/la parte della Caria, concessa e ripresa, ai Rodii: con la nuova
provincia Roma entrava definitivamente in Asia.
La Gallia meridionale attirò l’interesse dei Romani nel momento in cui essi
ricevettero una richiesta d’aiuto da Marsiglia, circondata dalle tribù liguri e
galliche.
Inizialmente venne inviato Fulvio Flacco (125 a.C.) e successivamente Caio
Sestio Calvino, che nel 123 a.C. ristabilì l’ordine e fondò la colonia di Aquae
Sextiae (Aix-en-Provence).
Nel 122-121 a.C. Cneo Domizio Enobarbo e Quinto Fabio Massimo, vincendo
Allobrogi e Arverni, posero la base per la nuova provincia narbonese,
organizzata intorno alla colonia di Narbo Martius, fondata nel 118 a.C. e
attraversata dalla via Domizia, che univa l’Italia con la Spagna.
In seguito Roma, consolidato il possesso di Sardegna e Corsica, si impossessò
delle isole baleari, dove vi era un’intensa attività piratesca: sull’isola di
Minorca vennero fondate le colonie di Palma e Pollenzia.
Nel frattempo alcune campagne contro le popolazioni illiriche avevano
aperto a Roma la strada verso i paesi danubiani a Nord della Macedonia.

1.12 I COMMERCIANTI ITALICI E L’AFRICA; GIUGURTA; C. MARIO

Alla morte di Massinissa il Regno di Numidia passò sotto il governo del


figlio Micipsa, che portò avanti una politica filoromana e favorì l’istallazione
in Africa di mercanti e uomini d’affari romani ed italici.
Micipsa morì nel 118 a.C., lasciando il suo regno ai tre figli: Iempsale,
Aderbale e Giugurta (160-131 a.C.), quest’ultimo adottato (era suo nipote).
Giugurta eliminò velocemente Iempsale, ma Aderbale riuscì a trovare rifugio
presso Roma, che intervenne come mediatrice (116 a.C.): al primo spettò la
parte orientale più ricca, mentre al secondo quella occidentale più vasta.
Giugurta non accettò la mediazione: egli sconfisse più volte Aderbale, e poi
conquistò Cirta (capitale del regno fraterno), dove ordinò lo sterminio di tutti
gli Italici e i Romani.
Sotto l’impulso dei cavalieri Roma decise di dichiarare guerra a Giugurta
(112-105 a.C.): le operazioni cominciarono solo nel 111 a.C., questo
soprattutto a causa della riluttanza del senato (molti membri erano stati
corrotti da Giugurta).
Le operazioni militari furono condotte fiaccamente fino al 109 a.C., quando a
il comando passò al console Quinto Cecilio Metello, che aveva come legato
Caio Mario.
Metello sconfisse più volte Giugurta, ma non riuscì mai a sconfiggerlo
definitivamente: gli ambienti commerciali si lagnarono ripetutamente, e così
quando Mario divenne console nel 107 a.C., Metello perse il comando (anche
se il senato glielo aveva prorogato per un anno).
Mario era stato eletto console tramite i comizi su richiesta di un tribuno della
plebe: gli venne affidata la guerra contro Giugurta.
Mario era un homo novus originario di Arpino, non aveva alcun antenato
illustre, ma incarnava un nuovo tipo di politico, vicino ai sommi vertici dello
Stato.
Mario aveva combattuto con Scipione Emiliano a Numanzia, poi era entrato
al servizio del Metelli, che lo avevano aiutato a divenire tribuno della plebe
nel 119 a.C.; egli aveva inoltre sposato Giulia, figlia di una nobile famiglia
patrizia, zia del futuro Giulio Cesare.

1.13 L’ARRUOLAMENTO DEI NULLATENENTI E LA FINE DELLA


GUERRA GIUGURTINA (112-105 a.C.)

Era evidente che vi fossero delle difficoltà nel reclutamento legionario,


limitato ai soli cittadini iscritti nelle classi censitarie: per ovviare al problema
era diminuito il censo minimo per l’attribuzione dei cittadini alla quinta
classe fino a cifre bassissime (in questo modo anche gli strati più poveri
avrebbero potuto essere coscritti).
Mario, bisognoso di truppe, aprì all’arruolamento dei capite censi, che erano
iscritti sui registri di censo per la loro sola persona, ma che erano nullatenenti.
Mario col suo nuovo esercito si mosse verso l’Africa, dove rimase per ben tre
anni: a causare la fine di Giugurta furono però le trattative diplomatiche.
Giugurta enne infatti catturato grazie al tradimento di Bocco, re di
Mauretania, che consegnò il genero e l’ex alleato al legato di Mario: Lucio
Cornelio Silla (105 a.C.).
Dopo la fine di Giugurta (deportato a Roma per sfilare durante il ‘’trionfo’’ di
Mario e qui morto), la Numidia orientale venne data ad un nipote di
Massinissa, mentre la parte rimanente del territorio venne assegnata a Bocco.
Mario venne rieletto console nel 104 a.C., dopo aver rivestito per alcuni anni
il proconsolato.

1.14 CIMBRI E TEUTONI; ULTERIORI TRASFORMAZIONI


NELL’ESERCITO

Due popolazioni germaniche, i Cimbri (originari della penisola dello Jutland,


Danimarca) e i Teutoni (originati dell’Holstein), cominciarono, negli anni in
cui Roma combatteva Giugurta, un movimento migratorio verso Sud.
Essi giunsero nella zona del Norico dopo aver superato il Dabubio: qui essi
vennero affrontati dal console Cneo Papirio Carbone, inviato a proteggere le
ricche miniere di ferro e oro della zona.
Nella battaglia di Noreia del 113 a.C. l’esercito romano venne completamente
distrutto da quello dei Germani, che nel 110 a.C. comparvero in Gallia, dove
sconfissero nuovamente l’esercito romano nella battaglia di Arausio (105
a.C.).
L’umiliante sconfitta ad Arausio accese a Roma la polemica sull’incapacità dei
generali di origine nobiliare, e allo stesso tempo aumentava il terrore che
Cimbri e Teutoni potessero invadere l’Italia.
Mario venne eletto console per cinque anni di fila, dal 104 al 100 a.C., di fatto
fino a quando perdurò il timore germanico: l’homo novus provvide alla
riorganizzazione dell’esercito (ogni legione venne articolata in dieci coorti di
seicento uomini, non più di trenta piccole unità).
Il suo lavoro consistette poi nell’addestramento individuale dei suoi uomini,
opera in cui venne coadiuvato anche dai suoi luogotenenti Lucio Cornelio
Silla e Quinto Sertorio.
Nel 103 a.C. Mario affrontò i Germani , che si erano divisi: prima sconfisse i
Teutoni nella battaglia di Acquae Sextiae, successivamente distrusse i Cimbri
nella battaglia dei Campi Raudii (forse presso l’odierna Vercelli o una
località omonima nel Veneto tra Rovigo e Ferrara).

1.15 ECLISSI POLITICA DI MARIO; SATURNINO E GLAUCIA

Mentre era impegnato sul fronte militare, Mario si avvalse dell’aiuto di Lucio
Apuleio Saturnino, un nobile allontanatosi dai conservatori del senato che
nel 104 a.C. l’avevano sostituito come quaestor Ostiensis usando come pretesto
l’aumento del prezzo del grano.
Nel 103 a.C. Mario l’aveva aiutato a farsi eleggere come tribuno della plebe, in
cambio Saturnino fece approvare una distribuzione di terre in Africa tra i
veterani dell’esercito mariano.
Saturnino aveva poi proposto anche una riforma frumentaria che riduceva il
prezzo proposto da Caio Gracco; molto importante fu anche la lex de
maiestate, che puniva il reato di lesione (maiestas) dell’autorità del popolo
romano.
Nel 100 a.C. Mario venne eletto al sesto consolato, mentre Saturnino venne
rieletto tribuno della plebe, riuscendo a far eleggere alla stessa carica anche
Caio Servilio Glaucia, pretore e suo compagno populares.
Grazie all’appoggio di Mario, Saturnino poté proporre una legge agraria che
prevedeva assegnazioni nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in
Sicilia, Acaia e Macedonia; egli fece poi approvare una clausola per cui i
senatori erano obbligati ad giurare di osservare la legge: solo Cecilio Metello
Numidico si rifiutò preferendo l’esilio.
Saturnino venne rieletto anche l’anno seguente, mentre Glaucia si candidò al
consolato: nelle votazioni scoppiarono però dei tumulti, nei quali Glaucia
venne assassinato.
Il senato a quel punto poté proclamare un senatus consultum ultimum, in modo
che fosse lo stesso Mario a dover agire contro i suoi alleati politici: dopo
Glaucia anche Saturnino venne assassinato.
Il prestigio di Mario ne risentì grandemente: ciò lo spinse ad intraprendere
una missione diplomatica presso Mitridate VI del Ponto.
1.16 PIRATI; SCHIAVI; CIRENAICA

L’installarsi di Roma in Anatolia fece sì che la nuova potenza egemone


dovesse confrontarsi con l’endemica presenza della pirateria nella zona della
Cilicia Tracheia (selvaggia, montuosa e sul mare; si distingue dalla Cilicia
Pediàs, verso Est, urbanizzata,pianeggiante e con Tarso come centro
principale).
Le baie profonde della Cilicia Tracheia favorivano l’attività dei pirati, che
minacciavano il commercio marittimo dall’Egeo a Cipro, passando anche per
la Siria e la Fenicia.
Sia i Seleucidi che gli Attalidi avevano dovuto confrontarsi con questa piaga,
che era stata contenuta soprattutto dall’attività di Rodi: tutte le potenze in
realtà si servirono dei pirati (Rodi per esempio li usò contro i Seleucidi).
Con la creazione del porto franco di Delo, che aveva grandemente
danneggiato il potere e l’influenza di Rodi, favorì l’attività dei pirati di
saccheggio e commercio di schiavi.
Roma, che negli anni in cui il problema riemergeva era impegnata nelle
guerre cimbriche, cominciò a comprendere la pericolosità dell’azione pirata
per gli affari dei negotiatores romani nei mari greci e nell’Egeo orientale.
Nel 102 a.C. venne inviato il pretore Marco Antonio (nonno omonimo del
futuro amante di Cleopatra), con il fine di distruggere le basi dei pirati ed
impadronirsene.
La campagna di Marco Antonio ebbe successo e portò alla costituzione della
provincia di Cilicia nel 102-101 a.C., che aveva come scopo quello di
proteggere il commercio d’Asia.
Nel 101-100 a.C. venne promulgata la lex de provinciis praetoriis (detta anche
lex piratica), il cui testo è conservato su un’epigrafe in greco a Delfi e da una
a Cnido.
Il duro impegno militare richiesto dalle guerre cimbriche costrinse Mario a
chiedere sempre più alleati italici e d’oltremare: Nicomede III re di Bitinia
declinò l’invito sostenendo che i suoi uomini fossero stati catturati dai pirati o
venduti in schiavitù per debiti.
Nonostante quelle di Nicomede fossero delle scuse, a Roma si decise di aprire
un’inchiesta affidata ai governatori provinciali.
In un primo momento si decise di rimettere in libertà numerose persone, ma
in seguito (a causa delle proteste dei possessori di schiavi) la misura venne
abbandonata.
Ciò porto a nuove rivolte servili: quella del 103 a.C. nelle miniere del Laurion
in Attica, una nuova rivolta in Sicilia (104-100 a.C.), che aveva a capo un tale
Salvio, poi proclamatosi re col nome di Trifone; alla morte di questo nel 102
a.C. gli succedette il cilicio Antenione.
Tra il 103 e il 102 a.C. i contingenti romani inviati a risolvere il problema non
riuscirono ad ottenere nulla: solo Manlio Aquilio, prima luogotenente di
Mario al tempo del confronto coi Teutoni, riuscì ad avere la meglio.
Nel 96 a.C Roma ricevette invece in eredità la Cirenaica, che venne donata ai
Romani dal faraone Tolemeo Apione, morto quello stesso anno: al lascito non
venne dato alcun seguito, venne infatti ripresa solo nel 75-74 a.C., quando
venne dedotta una provincia.

1.17 MARCO LIVIO DRUSO E LA CONCESSIONE DELLA


CITTADINANZA AGLI ITALICI

Il primo decennio del I secolo a.C. fu aperto da nuove tensioni politiche e


sociali, ma anche dal tentativo di rimediare ad esse tramite le leggi: nel 98
a.C. fu reso obbligatorio un intervallo di tre nundinae tra l’affissione di una
proposta di legge e la sua votazione.
Venne poi proclamata una lex satura, una disposizione che includesse più
argomenti non connessi tra loro.
I conflitti fra senatori e cavalieri per il possesso dei tribunali permanenti per i
processi di concussione continuarono: nel 92 a.C. una giuria equestre
condannò per malversazione Publio Rutilio Rufo, il legato Asia che aveva
tentato di contrastare lo strapotere dei publicani.
Rufo se ne andò in esilio a Smirne, ma disfunzioni del sistema erano ormai
evidenti a tutti: nel 95 a.C. una lex licinia aveva istituito una commissione per
verificare le richieste di cittadinanza romana, così da espellere ogni italico
illegalmente inserito nelle liste di censo.
La situazione legata alla cittadinanza si fece più tesa soprattutto dopo la
vicenda di Marco Livio Druso, figlio dell’omonimo oppositore di Caio
Gracco.
Egli portò avanti una politica di compensazione: promulgò provvedimenti di
natura popolare, come la fondazione di nuove colonie, e allo stesso tempo
restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione, ma propose poi
l’ammissione dei cavalieri in senato, che passò da trecento a seicento membri.
Infine egli volle anche proporre la concessione della cittadinanza agli alleati
italici: l’opposizione fu talmente ampia che i suoi oppositori riuscirono a
trovare un modo per dichiarare nulle tutte le sue leggi.
Druso morì in sostanze molto sospettose, quando ormai le aspettative degli
alleati italici erano già molto elevate.

1.18 LA GUERRA SOCIALE

La differenza tra stato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latino-
italici non aveva suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo a.C.,
quando le differenze etniche e culturali erano ormai ridottissime, e questo
soprattutto dopo che l’Italia era penetrata in uno spazio mediterraneo.
La differenziazione era divenuta ormai inaccettabile, soprattutto perché essa
ormai era il mezzo per giustificare una diseguaglianza di trattamento che
però si manifestava in tutti gli aspetti della vita civica.
La condizione di cittadino romano era divenuta nel corso del tempo sempre
più vantaggiosa, cosa che aumentava l’irritazione degli Italici, consapevoli di
aver contribuito ai successi di Roma.
Delle distribuzioni agrarie e frumentarie beneficiavano i soli cittadini romani,
ma ne erano esclusi gli Italici, che vedevano poi riassegnati i terreni che a
lungo avevano utilizzato.
Inoltre essi aveva sempre un ruolo subalterno, a livello civile/economico/
militare, senza parlare del fatto che erano essi a pagare l’imposta per il soldo
delle reclute, da cui invece i cittadini erano dispensati.
L’assassinio di Druso fu dunque la goccia che fece traboccare il vaso, il
motivo che spinse i socii a ribellarsi contro il potere centrale.
Inizialmente a Roma non si comprese la pericolosità della faccenda, se non
quando ad Ascoli vennero massacrati tutti i Romani residenti nella città (90
a.C.); successivamente alla secessione si aggiunsero Piceni/Vestini/Marrucini/
Frentani/Lucani/Irpini/Sanniti/Marsi/Peligni ed in seguito anche Apuli e
Campani (non aderirono invece Etruschi, Umbri, le città latine e quelle della
Magna Grecia).
I Romani si trovarono a combattere contro gente armata come loro e che
utilizzava le stesse tecniche d’offesa e di difesa, spesso perfino contro ex
commilitoni.
Gli insorti si erano dati istituzioni comuni: una capitale, Corfinium nel Sannio,
ribattezzata poi Italica, e anche una monetazione propria.
I Romani furono costretti al massimo sforzo: a Nord venne inviato il console
Publio Rutinio Lupo , che aveva come legato Cneo Pompeo Strabone (il padre
del ‘’Magno’’); ed era supportato da Mario; a Sud venne invece inviato Lucio
Giulio Cesare (padre del futuro signore di Roma), che aveva tra i suoi
luogotenenti Silla.
Gli scontri furono durissimi: Rutilio Lupo perì mentre combatteva contro il
marso Quinto Poppedio Silone, costringendo Mario a sostituirlo.
Di fronte a quest’emergenza già nel 90 a.C. si cominciò a ricercare una
soluzione politica: inizialmente individuata nella possibilità di accordarsi coi
capi militari degli italici, a cui era promessa la cittadinanza per se’ e per il
proprio esercito.
Su proposta del console Lucio Giulio Cesare venne approvata la lex Iulia de
civitate, con cui era concessa la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e anche
a quegli Italici che si sarebbero arresi.
Nell’89 a.C. la lex Plautia Papiria (promossa dai tribuni Caio Papirio
Carbone e Marco Plauzio Silvano) estendeva la cittadinanza agli Italici che si
fossero registrati presso il pretore di Roma entro sessanta giorni.
Nello stesso anno Cneo Pompeo Strabone fece approvare la lex Pompeia, con
cui era attribuito il diritto latino agli abitanti a Nord del Po’.
Queste misure riuscirono a circoscrivere la rivolta, ma non ne ridussero la
forza, visto che nell’89 a.C. perì in battaglia Lucio Porcio Catone; solo Cneo
Pompeo Strabone (sotto cui combatteva il figlio, ma anche Cicerone e
Catilina) e Silla ottennero reali successi.
Nell’88 a.C. Silla, eletto console, conquistò la roccaforte di Nola; in seguito si
concesse la cittadinanza a tutta l’Italia fino alla Transpadana (i cittadini
furono inseriti solo in 8 delle 35 tribù esistenti).
Con la fine della Guerra Sociale (90-88 a.C.) l’Italia entrava in una nuova fase
della sua storia istituzionale, e così Roma: le aristocrazie italiche erano infatti
riuscite ad ottenere i presupposti per accedere alle magistrature e al senato.
Per esercitare i loro diritti i nuovi cittadini dovevano recarsi a Roma per
partecipare alle assemblee; non tutti avrebbero potuto farlo, ma gli interessi
di molto dopo il conflitto si trasferirono nell’Urbe.
2) I PRIMI GRANDI SCONTRI TRA FAZIONI IN ARMI

2.1 MITRIDATE VI EUPATORE

La situazione ad Oriente, durante il periodo della Guerra Sociale, era


divenuta sempre più allarmante per due motivi: l’espansione dei Parti, che
guidati dagli Arsacidi (la dinastia regnante) occuparono la Mesopotamia e
Babilonia e allo stesso tempo crearono un loro regno cliente in Armenia, che
venne posta sotto il comando di Tigrane.
L’altro motivo di preoccupazione era dato dall’ascesa al potere di Mitridate
VI Ευπατwρ (lett. ‘’di nobile stripe’’) re del Ponto (132-63 a.C.) nel 112 a.C.
(era sovrano sotto la tutela della madre Laodice dal 121 a.C.), uno dei molti
Stati ad Oriente della provincia d’Asia.
Mitridate, accordatosi con la Bitinia, riuscì a conquistare parte della Galazia e
della Paflagonia, poi fu il turno della Colchide e del Ponto Eusino (Crimea).
Dopo la morte di Saturnino e Glaucia Mario si era recato presso di lui, mentre
nel 92 a.C. era toccato a Silla, pretore della Cilicia, intervenire nelle vicende
pontiche per riporre sul trono di Cappadocia un re gradito ai Romani.
Mitridate al tempo della Guerra Sociale aveva ripreso la sua politica di
espansione, stavolta appoggiandosi a Tigrane re d’Armenia, che era divenuto
suo genero.
Mitridate conquistò la Bitinia, cacciandone il re Nicomede IV alleato di
Roma (90 a.C.), ma in seguito l’intervento di una delegazione romana guidata
da Manlio Aquilio rimise Nicomede IV sul proprio trono.
Le successive incursioni compiute da questo in territorio pontico spinsero
Mitridate a chiedere conto a Roma, che però non intervenne, cosa che spinse
il sovrano pontico alla guerra contro i Romani.
Il re del Ponto portò avanti un’efficace campagna propagandistica che faceva
di lui un filoelleno e un evergete (‘’protettore’’), mentre di Roma la nemica
della Grecia.
Sfruttando il malcontento diffuso in Asia nei confronti di Roma, Mitridate
occupò tutta l’Asia e in seguito ordinò il massacro di 80.000, tra Italici e
Romani, comprese donne e bambini; in seguito anche Delo e Atene
aderirono alla sommosa, mentre Rodi rimase fedele a Roma.
Nell’88 a.C. la Prima Guerra Mitridatica (89-85 a.C.) allargò il proprio
scenario alla Grecia, dove giunsero gli eserciti pontici attraversando la Tracia
e la Macedonia: essi ottennero l’appoggio della Beozia, del Peloponneso e di
Sparta.

2.2 IL TRIBUNATO DI PUBLIO SULPICIO RUFO E IL RITORNO DI


MARIO; SILLA MARCIA SU ROMA

A Roma si decise di affidare a Silla la campagna contro Mitridate, tuttavia


contro di lui bramava il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo, che voleva
rimuoverlo dall’incarico.
Rufo però si interessò anche alla problematica dei nuovi cittadini italici, che
preoccupavano molto il governo nobiliare, che voleva evitare di sconvolgere
gli equilibri preesistenti.
I comizi centuriati non erano un problema, in quanto la gerarchia italica era
simile a quella romana, mentre una problematica seria era rappresentata
dalla loro immissione nelle tribù.
Se essi si fossero trovati a Roma per votare, avrebbero avuto la maggioranza
in tutte le tribù, per questo motivo essi vennero posti solo in 8 delle 35 totali,
in questo modo i neocittadini avrebbero avuto la maggioranza solo in poche
tribù.
La Guerra Sociale aveva anche causato numerose problematiche economiche,
portando ad un impoverimento complessivo, tanto dello Stato quanto dei
singoli, anche nobili, che erano incapaci di saldare il debito coi creditori.
Sulpicio Rufo propose una soluzione a questo problema: il richiamo
dall’esilio di quanti perseguitati per aver sostenuto gli Italici; l’inserimento
degli Italici in tutte le 35 tribù; un limite di indebitamento di 2000 denari per
ciascun senatore.
Oltre a ciò fece approvare la sostituzione di Silla con Mario nel comando
della guerra mitridatica.
Di fronte a questa decisione Silla decise di marciare su Roma, un esito palese
della riforma mariana dell’esercito: i soldati, spinti anche dalla possibilità di
arricchirsi, si legavano di più al comandante che allo Stato.
Impossessatosi dello Stato, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici
pubblici: Sulpicio fu eliminato, mentre Mario fuggì in Africa.
Silla fece poi approvare alcune norme prima di andare in Oriente: ogni
proposta di legge avrebbe dovuto avere l’approvazione del senato prima di
essere sottoposta al voto popolare; i comizi centuriati divennero la sola
assemblea legislativa legittima.

2.3 SILLA E LA PRIMA FASE DELLA PRIMA GUERRA MITRIDATICA

Partito per la Grecia nell’87 a.C., Silla giunse in Epiro ed in seguito occupò la
Beozia, andando poi ad assediare Atene, che venne presa e saccheggiata.
Mossosi poi verso la Grecia centrale, Silla sconfisse le armate pontiche nelle
battaglie di Cheronea e Orcomeno (86 a.C.), dopo le quali Mitridate perse la
Grecia.

2.4 LUCIO CORNELIO CINNA E L’ULTIMO CONSOLATO DI MARIO

Uno dei due consoli dell’87 a.C., entrambi ostili a Silla, Lucio Cornelio Cinna,
riprese la proposta di distribuire gli Italici nelle 35 tribù.
Cacciato da Roma, egli si rifugiò in Campania, dove venne raggiunto da
Mario, che guidò una nuova marcia su Roma, durante la quale vennero
eliminati i principali sostenitori di Silla.
Mario venne eletto console per la settima volta nell’86 a.C. insieme a Silla, ma
morì l’anno successivo.
Un nuovo corpo di spedizione, guidato da Lucio Valerio Flacco e da Caio
Flaminio Fimbria, venne inviato contro Mitridate per sostituire Silla; nel
frattempo venne confermata la distribuzione nelle 35 tribù dei neocittadini
italici e venne fissato un nuovo rapporto tra moneta di bronzo e argento.
Alla fine dell’84 a.C. Cinna cercò di prepararsi all’imminente rientro di Silla
posizionandosi ad Ancona, tuttavia egli venne ucciso dai suoi stessi soldati.

2.5 CONCLUSIONE DELLA PRIMA GUERRA MITRIDATICA

Nell’86 a.C. le due armate romane in Grecia, quella di Silla e di Lucio Valerio
Flacco (assassinato e sostituito da Caio Flavio Fimbria) agirono in parallelo,
senza mai scontrarsi.
Una volta ricacciato in Asia Mitridate, Silla si affrettò a concludere con questo
la pace (sottoscritta a Dardano nell’85 a.C.): il re del Ponto avrebbe dovuto
consegnare la flotta e ritirarsi dai territori anatolici occupati (Nicomede IV
tornava così in Bitinia e Ariobazane in Cappadocia).
Dopo aver incorporato l’esercito di Fimbria, Silla invase l’Italia nell’84 a.C.
sbarcando a Brindisi, ma solo dopo aver riorganizzato Asia e Grecia.
La pace di Dardano non pose però fine agli scontri, infatti il nuovo
governatore d’Asia, Lucio Licinio Murena, compì scorrerie in territorio
pontico, forzando Mitridate alla guerra.
La Seconda Guerra Mitridatica (83-81 a.C.) si concluse con la sconfitta di
Murena e l’intervento personale di Silla, che riportò la situazione allo status
quo.
Intanto nell’83 a.C. la Siria seleucida, in preda ad una crisi dinastica, venne
occupata da Tigrane d’Armenia, che era stato chiamato dagli abitanti di
Antiochia.

2.6 LE PROSCRIZIONI; SILLA DITTATORE PER LA RIFORMA DELLO


STATO

Sbarcato a Brindisi, Silla venne raggiunto da Cneo Pompeo (figlio di Pompeo


Strabone) con tre legione assoldate privatamente nel Piceno: successivamente
Silla sconfisse i suoi avversari: nell’83 a.C. sconfisse Caio Mario il Giovane
(figlio adottivo di Mario) e l’anno seguente prese Roma e vinse gli avversari
rimasti nella battaglia di Porta Collina (82 a.C.), dove fu decisivo l’intervento
di Marco Licinio Crasso.
I mariani rimasti si rifugiarono in Africa, dove furono sgominati da Pompeo
(che assunse il titolo di Magnus) e in Spagna presso Sertorio.
Silla introdusse poi delle liste di proscrizione pubbliche in cui erano indicati
i nemici dello Stato: essi erano espropriati dei loro beni e chiunque poteva
ucciderli senza ripercussioni.
Questa misura portò all’eliminazione di numerosi cavalieri e senatori, cosa di
cui beneficiarono nuove grandi famiglie, che in precedenza avevano mai
avrebbero potuto aspirare a posizioni di potere.
Le proscrizioni continuarono fino all’81 a.C., mentre le comunità italiche che
avevano parteggiato per Mario (Etruria e Sannio su tutte) subirono confische
territoriali a favore dei veterani di Silla.
Entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti nel conflitto, cosa che indusse il
senato a nominare un interrex, il princeps senatus Lucio Valerio Flacco, che
nominò Silla dictator legibus scribundis et rei publicae costituendae, in
sostanza dittatore a tempo indeterminato; un incarico compatibile con il
consolato, che Silla ottenne nell’80 a.C.
Il vecchio ordinamento cadde sotto la spinta riformatrice del dittatore, che
confermò i provvedimenti emanati prima di partire per l’Oriente.
Il senato, dilaniato dalle guerre, venne elevato a seicento membri e di
trecento membri ed esponenti di municipi italici; la sua integrazione fu tolta
ai censori e si decise che anche i questori (aumentati a venti), alla fine della
carica, ne sarebbero entrati a far parte.
Il numero dei pretori fu alzato ad otto, così si poté far fronte al moltiplicarsi
dei tribunali permanenti, che vennero riservati nuovamente al senato e le cui
competenze vennero divise in base ai principali reati: estorsioni e concussione
(de repetundis), alto tradimento (de maiestate), appropriazione dei beni pubblici
(de peculatu), broglio e corruzione elettorale (de ambitu), assassinio e
avvelenamento (de sicariis et veneficiis), frode testamentaria e monetale (de
falsis) e lesioni alle persone (de iniuris).
Silla cercò poi di limitare le ostentazioni di ricchezza dell’aristocrazia,
rinnovando la legislazione che limitava le spese per banchetti e funerali.
Vennero regolamentati l’ordine successione alle magistrature e l’età minime
per accedervi: questura (30 anni), edilità (36), pretura (39), consolato (42);
nessuna carica avrebbe potuto essere iterata prima di un intervallo di dieci
anni.
Furono poi ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, di cui venne
limitato il diritto di veto e annullato quello di proporre leggi; inoltre chi
ricopriva il tribunato non avrebbe potuto accedere ad altre cariche.
Dopo aver esteso il pomoerium lungo una linea virtuale tra Arno e Rubicone,
Silla, completata la riorganizzazione dello Stato, si ritirò nel 78 a.C. in
Campania, dove morì l’anno dopo.

2.7 IL TENTATIVO DI REAZIONE ANTISILLANA DI LEPIDO

Nel 78 a.C. uno dei due consoli, Marco Emilio Lepido (padre del futuro
triumviro) cercò di ridimensionare l’ordinamento sillano, proponendo il
richiamo degli esiliati e la restituzione dei terreni agli espropriati.
L’opposizione al suo tentativo scatenò una rivolta in Etruria, dove erano
avvenute le espropriazioni più grandi: Lepido, che nel 77 a.C. era divenuto
console della Gallia Narbonese, si mise a capo della rivolta e marciò su Roma.
Il senato applicò contro di lui il senatus consultum ultimum, conferendo a Cneo
Pompeo Magno (106-48 a.C.) l’imperium senza che egli avesse rivestito alcuna
magistratura.
Lepido, sconfitto, fuggì in Sardegna dove morì da lì a poco; il luogotenente di
questo, Marco Perperna, scappò in Spagna da Sertorio.

2.8 L’ULTIMA RESISTENZA MARIANA; SERTORIO

Quinto Sertorio, governatore della Spagna Citeriore dall’82 a.C., si era


distinto durante le campagne di Mario contro Cimbri e Teutoni.
In Spagna egli creò una sorta di Stato mariano in esilio, dove riunì, oltre ai
sostenitori di Mario, anche Italici e cittadini fuggiti dalle purghe sillane.
Già Silla aveva tentato di sconfiggerlo, ma senza successo, in quanto Sertorio,
oltre ad una perfetta conoscenza del luogo, anche una grande abilità da
guerrigliero, cosa che esasperò le truppe del governatore dell’Ulteriore
(Quinto Cecilio Metello Pio).
Alla fine del 77 a.C. Perperna si unì a Sertorio, che intanto aveva organizzato
presso Osca (l’odierna Huesca) una capitale dotata di senato e di una scuola
per i figli dei capi iberici che volevano essere educati come dei Romani.
A Roma si cominciò addirittura a sospettare che Sertorio si fosse alleato con i
pirati e Mitridate: di fronte a quest’eventualità il senato decise di ricorrere
nuovamente a Pompeo, che venne inviato in Spagna nel 76 a.C. con un
imperium straordinario.
Inizialmente Pompeo venne ripetutamente sconfitto da Sertorio, mentre
Metello riuscì pian piano ad avanzare (75 a.C.); in seguito Pompeo inviò al
senato una lettera minacciosa in cui chiedeva maggiori risorse.
Una volta rimpolpati i suoi ranghi (74 a.C.), Pompeo cominciò ad addentrarsi
nel territorio di Sertorio, che, costretto a misure rigidissime e divenuto
impopolare, venne infine assassinato da Perperna, che venne fatto eliminare
eliminare nel 72 a.C. da Pompeo, che l’anno dopo sconfisse gli ultimi
sertoriani.

2.9 LA RIVOLTA SERVILE DI SPARTACO

Nel 73 a.C. si verificò la terza rivolta servile, questa volta scoppiata a Capua
in una scuola di gladiatori, che ribellatisi si asserragliarono sul Vesuvio.
Qui vennero raggiunti da altri gladiatori, schiavi fuggiti, nullatenenti,
scontenti, diseredati provenienti da tutta Italia: a capo di questi vi erano un
trace, Spartaco, e un gallo, Crisso.
La rivolta come detto si estese velocemente a tutto il Sud Italia, dove vennero
inviati alcuni pretori e i due consoli del 72 a.C.
Tra i ribelli mancavano delle idee chiare: Spartaco voleva valicare le Alpi e
permettere a tutti di rientrare in patria, mentre Crisso voleva continuare a
razziare.
Venne affidato un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso (115/114- 53
a.C.), che costrinse i ribelli (che avevano tentato di arrivare in Sicilia, ma
vennero traditi dai pirati) a forzare il suo blocco.
Crasso sconfisse Spartaco in Lucania (71 a.C.): il trace cadde in battaglia,
migliaia di prigionieri furono impiccati sulla via Appia, mentre i superstiti
furono massacrati da Pompeo di ritorno dalla Spagna.

2.10 IL CONSOLATO DI POMPEO E CRASSO E


LO SMANTELLAMENTO DELL’ORDINAMENTO SILLANO (70 a.C.)

Pompeo si attribuì il merito della vittoria su Spartaco celebrando il trionfo e


presentando la propria candidatura al consolato per il 70 a.C., questo
nonostante non avesse fatto la trafila delle cariche; anche Crasso si candidò
al consolato: entrambi vennero eletti consoli.
I due cooperarono allo smantellamento dell’ordine sillano, a cui aveva già
messo mano nel 75 a.C. il console Caio Aurelio Cotta, che aveva abolito il
divieto per chi raggiungeva il tribunato della plebe di ottenere altre
magistrature.
Nel 73 a.C. era stata approvata una legge frumentaria, lex Terentia Cassia,
che ripristinò le distribuzioni a prezzo politico del grano (aumentato a causa
delle azioni piratesche e delle guerre); Pompeo e Crasso restaurarono i poteri
del tribuno della plebe: essi poterono di nuovo proporre leggi all’assemblea
popolare e opporre il veto alle iniziative degli altri magistrati.
Vennero rieletti i censori, che depurarono il senato dei suoi membri indegni e
condussero un censimento che fece registrare 900.000 cittadini.
Il pretore Lucio Aurelio Cotta, fratello del console nel 75 a.C., fece modificare
la composizione delle giurie dei tribunali permanenti: tolse l’esclusiva ai
senatori e la ripartì tra questi, cavalieri e tribuni aerarii, una categoria molto
vicina ai cavalieri.
Al tempo della riforma di Cotta risale anche il processo di Cicerone contro
Caio Verre, pro-pretore della Sicilia tra il 73-71 a.C., un processo che si era
trasformato in una denuncia contro il malgoverno senatorio.

2.11 POMPEO IN ORIENTE; OPERAZIONI CONTRO I PIRATI; NUOVA


GUERRA MITRIDATICA

Tra l’80 e il 70 a.C. in Oriente riemersero il problema dei pirati e la minaccia


rappresentata da Mitridate.
I pirati si erano rafforzati grazie all’endemica serie di conflitti: la loro attività
era in qualche modo tollerata da Roma, visto che essa alimentava i traffici di
mano d’opera schiavile verso la penisola.
Le basi principali di questi erano in Cilicia, nelle cui baie si nascondevano le
loro piccole e agili navi.
Nel 78-75 a.C. si tentò di rafforzare la presenza romana in Cilicia tramite le
campagne di Publio Servilio Vatia, che si spinse all’interno dell’Isauria (tra
Pisidia, Licaonia e Panfilia) catturandone tutte le fortezze piratesche.
Vatia, che si meritò l’appellativo di ‘’Isaurico’’, venne sostituito poi nella
guerra coi pirati da Marco Antonio (padre dell’omonimo triumviro) preferì
concentrarsi sull’isola di Creta, che venne catturata da Quinto Cecilio
Mettelo (detto poi ‘’Cretico’’) solo nel 69 a.C., dopo che la Cirenaica venne
dedotta in provincia.
Per quanto riguarda invece la vicenda di Mitridate, dopo la fine della
Seconda Guerra Mitridatica si arrivò ad un ennesimo motivo di tensione: nel
74 a.C. il re Nicomede IV di Bitinia morì lasciando il regno ai Romani (il suo
testamento fu forse oggetto di contraffazioni).
Con la Bitinia, Roma entrava nello scacchiere del Mar Nero turbandone però
gli equilibri: per questo motivo Mitridate invase la Bitinia dando inizio alla
Terza Guerra Mitridatica (73-64 a.C.).
Il comando venne affidato ai due consoli del 74 a.C., Marco Aurelio Cotta e
Lucio Licinio Lucullo, a cui vennero affidati poteri straordinari sulla Cilicia e
la provincia d’Asia.
Mitridate venne sconfitto ripetutamente fino al 67 a.C., quando Lucullo riuscì
a cacciarlo dal Ponto e a rifugiarsi presso Tigrane re d’Armenia (71 a.C.), che
venne a sua volta sconfitto da Lucullo nei pressi di Tigranocerta, la capitale
che aveva fatto costruire sull’Eufrate (69 a.C.).
Si spinse ancora più a Nord , raggiungendo l’antica capitale armena di
Artaxata nel 68 a.C.; la sua marcia venne fermata da un duplice malcontento
causato sia dalla rivolta dei soldati, sia dalle preoccupazioni dei finanzieri
romani, che erano scontenti dai provvedimenti presi per alleviare la
situazione economica della provincia d’Asia.
I suoi comandi vennero così rievocati, cosa che permise a Tigrane e
soprattutto a Mitridate di rioccupare le loro posizioni (67 a.C.).
Nello stesso anno il tribuno della plebe Aulo Gabinio propose misure
drastiche contro i pirati, che comportavano in primo luogo la concessione a
Pompeo di un imperium infinitum, che venne accordato nonostante i timori
del senato.
Pompeo sconfisse ripetutamente i pirati e li cacciò dal Mediterraneo
occidentale, andando poi ad occupare le loro basi in Cilicia: i pirati catturati
vennero deportati in quelle comunità rurali, orientali soprattutto, che
avevano subito uno spopolamento.
Nel 66 a.C. il tribuno delle plebe Caio Manilio propose che venisse esteso a
Pompeo il comando nella guerra contro Mitridate: a favore della lex Manilia
si schierò anche Cicerone, che scrisse una famosa orazione.
Pompeo, ottenuto il comando, riuscì a sconfiggere Mitridate e a cacciarlo dal
Ponto: l’acerrimo nemico di Roma si rifugiò nel Bosforo Cimmerio, dove
elaborò un’invasione dell’Italia da Nord.
Egli venne però tradito dal figlio Farnace, che gli si rivoltò insieme all’esercito
costringendolo al suicidio (63 a.C.).
Pompeo confermò Tigrane sul trono d’Armenia, scontentando il re Fraate dei
Parti (che negli anni prima aveva tenuto impegnato Tigrane in accordo con
Pompeo).
Tigrane venne privato della Siria (64 a.C.), da cui vennero cacciati anche gli
ultimi Seleucidi (nacque così la provincia di Siria); successivamente Pompeo
entrò a Gerusalemme e costituì uno Stato autonomo e tributario aggregato
alla provincia di Siria (63 a.C.).
Dopo aver riorganizzato le conquiste fino all’Eufrate, aver riunito Bitinia e
Ponto in un’unica provincia, aver ampliato la Cilicia fino ai confini della
Siria, regolati i rapporti con re vassalli e città libere, Pompeo rientrò a Roma
carico di bottino e vittorie.
Egli era certo che il senato avrebbe approvato i suoi provvedimenti e che gli
avrebbe permesso di ricompensare i suoi veterani; inizialmente gli venne
decretato il trionfo.
2.12 IL CONSOLATO DI CICERONE E LA CONGIURA DI CATILINA

Mentre Pompeo si trovava in Asia, Roma venne travolta da un pericolo


potenzialmente mortale: la congiura ordita dal nobile Lucio Sergio Catilina,
un aristocratico caduto in disgrazia che si era candidato al senato nel 65 a.C. e
nel 63 a.C.
I soldi che Catilina aveva ottenuto al tempo degli eccidi sillani erano stati
dilapidati dalle campagne elettorali, in cui era stato sostenuto anche da
Marco Licinio Crasso e da Giulio Cesare.
Nel 63 a.C. a trionfare fu un homo novus, Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.),
che denunciò i comportamento immorale di Catilina.
Nel 62 a.C. Catilina si presentò nuovamente per il consolato, presentando un
programma basato sulla cancellazione dei debiti e rivolto agli aristocratici
rovinati economicamente.
Abbandonato dai suoi antichi sostenitori, Catilina venne nuovamente
sconfitto alle elezioni, ma riuscì ad organizzare una grande congiura per
impadronirsi della città.
Il piano venne però scoperto e sventato da Cicerone, che spinse il senato a
ricorrere al senatus consultum ultimum, ma solo dopo aver accusato
gravemente Catilina (Prima Catilinaria).
Catilina si rifugiò dai suoi sostenitori in Etruria, mentre Cicerone riuscì a
catturare cinque tra i capi della cospirazione: Marco Porcio Catone (nipote del
Censore) spinse il senato alla condanna a morte, solo Cesare optò per il
carcere a vita.
Dopo l’esecuzione dei prigionieri, si marciò contro Catilina: quest’ultimo
venne sconfitto nella battaglia di Pistoia, dove trovò la morte.

2.13 EGITTO; CIPRO; CIRENAICA

Le relazioni amichevoli e la distanza tennero a lungo l’Egitto tolemaico


lontano dalle attenzioni di Roma, che solo a partire dalla fine del II secolo a.C.
cominciò ad interessarsi dell’area.
I tre nuclei del Regno, a partire dal II secolo a.C., erano stato uniti sotto un
unico re o addirittura erano stati retti da tre sovrani differenti.
Alla morte di Tolemeo VIII Evergete II (116 a.C.) si scatenarono delle contese
che spinsero i successori a rivolgersi ai Romani.
In questa fase della storia egiziana molto importanti e discussi furono i
testamenti, che legarono sempre di più il Regno allo Stato romano, forse per
semplici ragioni strumentali; in questo modo nel 96 a.C. venne ceduta la
Cirenaica a Roma.
Anche Tolemeo X Alessandro I, in lotta con il fratello Tolemeo IX Soter II, a
causa di circostanze bellico-finanziarie complesse legò per testamento
l’Egitto ai Romani.
Questo atto viene spesso attribuito al figlio Tolemeo X Alessandro II, che era
stato prigioniero di Mitridate a Cos (88 a.C.) riuscendo a scappare presso
Silla.
Tornato nell’80 a.C. in Egitto, egli era salito al trono sposando la cugina
Cleopatra Berenice III, che fece assassinare: egli venne in seguito ucciso dagli
Alessandrini in rivolta; questa situazione di emergenza l’avrebbe spinto a
redigere un testamento (oggi attribuito al padre).
Nell’80 a.C. solo due Tolemei erano rimasti, i figli di Tolemeo IX: Tolemeo
XII detto l’Aulete e Tolemeo re di Cipro.
L’Aulete, che era il maggiore, ebbe come scopo principale quello di farsi
riconoscere tra i re e gli amici del popolo romano: vi riuscì solo nel 59 a.C.
grazie all’appoggio di Cesare.
Nel 64-63 a.C. il problema romano divenne attuale: Pompeo infatti, dopo
aver ridotto a provincia la Siria, si era affacciato al Mar Rosso.
Dopo un tentativo poco chiaro (65 a.C.), probabilmente voluto da Crasso,
venne emanata una legge agraria proposta dal tribuno della plebe Publio
Servilio Rullo che includeva l’Egitto in un grosso progetto di assegnazioni
fondiarie.
Nel 58 a.C. Roma arrivò a rivendicare Cipro, che venne velocemente annessa;
nel medesimo anno Tolemeo XII, cacciato dall’Egitto, si rifugiò a Roma sotto
la protezione di Pompeo (nel 55 a.C. il governatore pompeiano della Siria
Aulo Gabinio, corrotto dall’Aulete, lo riportò ad Alessandria con la forza).
3) DAL ‘’PRIMO TRIUMVIRATO’’ ALLE IDI DI MARZO

3.1 IL RITORNO DI POMPEO E IL COSIDDETTO ‘’PRIMO


TRIUMVIRATO’’

Quando rientrò a Roma nel 62 a.C., Pompeo si aspettava che il senato gli
accordasse tutto quando lui avesse chiesto e che riconoscesse i provvedimenti
da lui presi in Asia.
In realtà i suoi avversari in senato, Lucullo e Catone su tutti, lo umiliarono
negandogli ogni velleità: per questo motivo egli decise di stringere un
accordo privato e segreto, noto come ‘’primo triumvirato’’, con Crasso e Caio
Giulio Cesare (100-44 a.C.), emergente patrizio in preda alle difficoltà
economiche (la famiglia era decaduta a causa dell’appoggio dato a Mario, che
aveva sposato la zia di Cesare, Giulia).
Il termine ‘’primo triumvirato’’ viene utilizzato in senso improprio, in quanto
fino al 43 a.C. (al secondo triumvirato) non esisteva questa carica nel mondo
repubblicano.
Gli accordi prevedevano la nomina di Cesare a console nel 59 a.C., che
avrebbe varato una legge favorevole ai veterani di Pompeo e una a favore dei
cavalieri e degli appaltatori amici di Crasso; l’accordo venne ribadito tramite
il matrimonio tra Crasso e Giulia, figlia di Cesare.

3.2 CAIO GIULIO CESARE CONSOLE

Eletto console nel 59 a.C. Cesare cedette ai veterani di Pompeo tutto l’ager
publicus rimanente in Italia eccetto la campagna, in questo vennero poi
insediati cittadini nullatenenti padri di famiglia.
Vennero poi ratificate le azioni di Pompeo in Asia e ridotto di un terzo il
canone d’appalto delle imposte della provincia d’Asia (come voleva Crasso);
venne approvata anche una lex Iulia de repetundis, che migliorava la
precedente legislazione sillana in materia.
Il tribuno della plebe Publio Vantinio fece votare un provvedimento che
attribuì a Cesare il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico,
assieme con tre legioni e il diritto di fondare colonie e legati.

3.3 IL TRIBUNATO DI PUBLIO CLODIO PULCRO

Prima di partire per la Gallia (58 a.C.), Cesare riuscì a far nominare un suo
uomo tribuno della plebe, in modo tale da controllare il senato.
Venne così eletto Publio Clodio Pulcro, un ex patrizio coinvolto in un maxi-
scandalo nel 62 a.C.: per questo motivo egli si era fatto adottare da una
famiglia plebea, in modo tale da potersi candidare al tribunato della plebe.
Clodio, appena eletto, andò a ripristinare il potere dei censori (che venne
ridimensionato).
Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche
adducendo come pretesto dei presagi sfavorevoli; vennero poi legalizzati
nuovamente i collegia (associazioni private religiose e di mutuo soccorso
soppressi nel 64 a.C.).
Clodio sfruttò queste associazioni, disseminate per tutta la città, come bande
private al proprio servizio.
Le distribuzioni frumentarie ai cittadini romani residenti a Roma divennero
poi completamente gratuite.
Veniva poi introdotto l’esilio per tutti coloro che avevano messo a morte il
popolo senza aver potuto invocare la provocatio al popolo: tra questi vi era
anche Cicerone, che venne abbandonato da Pompeo.
Catone venne allontanato da Roma e inviato a conquistare l’isola di Cipro:
Tolemeo di Cipro venne sconfitto nel 56 a.C. e scelse poi la via dei suicidio.

3.4 CESARE IN GALLIA

Quando Cesare arrivò in Gallia, egli si trovò coinvolto nelle vicende di una
popolazione alleata di Roma: gli Edui, che vennero minacciati dagli Elvezi
(stanziati nell’odierna Svizzera).
Di fronte alla possibilità di minacciare anche il territorio romano, Cesare fu
costretto a combattere gli Elvezi sconfiggendoli nella battaglia di Bibracte (58
a.C.).
In seguito la popolazione germanica degli Svevi, condotti dal loro re
Ariovisto, che era giunto chiamato dai Sequani, di cui poi avrebbero voluto
occupare parte del territorio.
Su richiesta degli Edui l’esercito romano venne incontro ad Ariovisto, che si
ritirò, cosa che gli valse il titolo di re amico e alleato del popolo romano.
Cesare marciò sulla capitale dei Sequani, Vesonzio (l’odierna Besançon),
riuscì a sconfiggere Ariovisto, costringendolo a riattraversare il Reno (58
a.C.).
Cesare ritornò poi in Cisalpina, lasciando delle truppe nei pressi di Visenzio;
la presenza romana cominciò però a preoccupare la tribù dei Belgi, che però
vennero sconfitti velocemente da Cesare, che sconfisse e occupò il territorio
della riottosa popolazione dei Nervi (57 a.C.).
Un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso (figlio maggiore di Marco), riuscì
intanto ad occupare Bretagna e Normandia nel 57 a.C.
I successi di Cesare si possono spiegare in due modi: l’abitudine di Cesare a
condividere la vita e i rischi dei militari, e anche l’incapacità dei Galli di agire
insieme.
Alla fine del 57 a.C. Cesare comunicò a Roma che la Gallia era pacificata,
anche se la parte centro-occidentale del paese rimaneva inesplorata dalla
parte romana.
La notizia dei successi di Cesare venne accolta con grande entusiasmo:
vennero celebrate cerimonie di ringraziamento di ben quindici giorni.

3.5 GLI ACCORDI DI LUCCA E LA PROSECUZIONE DELLA


CONQUISTA DELLA GALLIA

Concluso il proprio tribunato, Clodio tornò privato cittadino, ma non smise


di utilizzare le bande che aveva costituito l’anno precedente.
I suoi avversari però ebbero modo di rialzare il capo e di eleggere un nuovo
tribuno della plebe, Tito Annio Milone, che utilizzò le stesse strategie da
strada introdotte da Clodio.
Uno dei principali bersagli di quest’ultimo era divenuto Pompeo, che,
pentitosi di non aver fatto nulla per l’esilio di Cicerone e preoccupato dai
successi di Cesare in Gallia, favorì il rientro del vincitore di Catilina (57
a.C.).
Tornato Cicerone a Roma, Pompeo si trovò in un complesso scacchiere
politico: egli non voleva impegnarsi apertamente nel conflitto e negli scontri
fra le fazioni.
Scegliere una fazione significava infatti esporsi al pericolo di veder diminuito
il proprio prestigio; in seguito egli però accetto un nuovo incarico che lo
tenne impegnato diversi anni: ottenne poteri straordinari per cinque anni
per provvedere all’approvvigionamento della città (cura annonae).
Si tratta di un mandato reso necessario dal fatto che la popolazione di Roma
era nell’ultimo secolo almeno raddoppiata; Pompeo svolse l’incarico con
grande precisione, procurandosi grande popolarità.
Contro Cesare veniva invece richiesto che si revocasse la legge sull’agro
campano, e nel 55 a.C. uno dei candidati alle elezioni consolari, Lucio
Domizio Enobarbo, propose di revocare il proconsolato di Cesare in Gallia.
I triumviri a questo punto si incontrarono nuovamente a Lucca nel 56 a.C.
per accordarsi nuovamente: Pompeo sarebbe stato eletto console nel 55 a.C.,
Cesare si sarebbe visto prolungare di altri cinque anni il proconsolato (e le
legioni a sua disposizione sarebbero divenute dieci).
Inoltre Pompeo dopo il consolato avrebbe ricevuto le due Spagne, mentre
Crasso la Siria; le cose andarono esattamente in questo modo.
Rientrato in Gallia, Cesare si trovò ad affrontare la rivolta della Bretagna: egli
fu costretto a costruire una piccola flotta per affrontare i grandi vascelli
oceanici degli avversari (decisivo fu l’intervento di Decimo Bruto, che costruì
navi con uncini taglienti capaci di abbordare le navi nemiche).
Cesare a quel punto si rivolse contro le popolazioni germaniche degli Usipeti
e dei Tencteri, che avevano compiuto delle scorrerie nel territorio dei Treveri:
Cesare compì una spedizione punitiva nel 55 a.C. al di là del Reno.
Nello stesso anno compì anche una spedizione intimidatoria in Britannia, a
cui fece seguito nel 54 a.C. una campagna militare condotta con cinque
legioni: Cesare raggiunse il Tamigi ottenendo la sottomissione delle
popolazioni locali.
Nel 53 a.C. tornò in Gallia per reprimere delle rivolte scoppiate nelle regioni
settentrionali (fu poi necessario passare nuovamente il Reno).
Nel 52 a.C. scoppiò un’enorme rivolta, capeggiata da Vercingetorìge re degli
Arverni, il principale responsabile del massacro dei Romani e degli Italici di
Cenabum (Orléans).
La rivolta si estese a tutto il territorio compreso tra la Loira e la Garonna,
costringendo Cesare a giungere in Arvernia: qui egli venne sconfitto
nell’assedio di Gergovia (Clermont-Ferrand), dopo il quale persino gli Edui
defezionarono.
Cesare si diresse allora verso Nord per ricongiungersi al suo legato Tito
Labieno, che aveva sconfitto le popolazioni riunite presso Lutetia Parisorum
(odierna Parigi).
I due cinsero d’assedio la roccaforte gallica di Alesia, dove si era rinchiuso
Vercingetorìge in attesa di rinforzi; Cesare fece invece costruire due muri, uno
interno e uno esterno, per circondare la fortezza.
Dopo aver sconfitto i rinforzi gallici, Cesare ottenne la resa di Vercigetorìge
(egli venne fatto sfilare a Roma nel 46 a.C. ed infine decapitato in cima al
Campidoglio); le ultime resistenze galliche furono infine domate nel 51 a.C.,
cosa che permise a Cesare (senza l’approvazione del senato) di dare un primo
ordinamento alla neonata provincia della Gallia Comata.

3.6 CRASSO E I PARTI

Giunto in Siria nel 54 a.C., Crasso volle immediatamente inserirsi nel


complesso scacchiere politico orientale, in particolar modo nella vicenda della
successione al trono partico.
Alla morte del re Fraate III infatti, i suoi due figli contesero il trono: a
spuntarla fu Orode (poi re Orode II), mentre Mitridate ottenne l’appoggio di
Crasso, che nel 53 a.C. invase la Mesopotamia assieme al figlio Publio (inviato
da Cesare con della cavalleria gallica).
Crasso decise di attraversare la steppa, nonostante sia il re d’Armenia sia i
suoi stessi legati glielo sconsigliassero, anche perché non aveva informazioni
sui Parti, il loro esercito e il loro territorio.
I Romani vennero travolti nella battagli di Carre (53 a.C.), dove la cavalleria
pesante partica (i catafratti) e i loro tiratori a cavallo distrussero l’esercito
romano: lo stesso Crasso morì nella ritirata (si dice che gli venne versato oro
fuso in gola).
Dopo Carre Roma non perdeva solo le aquile di sette legioni e uno dei
triumviri, ma vedeva ridotto il proprio prestigio (vendicare la disfatta sarebbe
divenuto un imperativo della politica romana, da Cesare, ad Antonio fino ad
Ottaviano).

3.7 POMPEO CONSOLE UNICO; GUERRA CIVILE TRA CESARE


E POMPEO

Mentre Crasso era in Siria, Pompeo era rimasto solo a Roma: nel 54 a.C.
vennero meno i legami familiari con Cesare, era infatti morta di parto la
moglie di Pompeo, Giulia, figlia del conquistatore della Gallia.
Nel 52 a.C., un anno dopo la morte di Crasso, Pompeo cominciò ad
avvicinarsi sempre di più alla fazione ottimata e anticesariana; nel frattempo
violenza e caos dilagavano a Roma: nel 53 a.C. i disordini impedirono di
eleggere i consoli, mentre l’anno seguente le bande di Clodio (candidato alla
pretura) e Milone (candidato al consolato) si affrontarono sulla via Appia.
Pompeo venne così dichiarato console senza collega: vennero votate leggi
repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che
consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento dell’ordine.
I nemici di Cesare nel frattempo avevano cominciato a tramare contro di lui,
in quanto la fine della sua carica si avvicinava: egli sarebbe tornato privato
cittadino nel 50 o al massimo nel 49 a.C., e in quelle vesti si sarebbe potuto
condannarlo per il modo con cui aveva condotto la guerra e sulla stessa
legittimità di questa.
Cesare voleva dunque ottenere il consolato, per il quale aveva ottenuto la
possibilità di presentare la candidatura anche se assente da Roma (la legge
era stata votata dai tribuni della plebe nel 52 a.C.).
Nel 52 a.C. Pompeo aveva però introdotto una legge per cui sarebbe servito
un intervallo di cinque anni tra una magistratura e una promagistratura; una
norma indirizzata contro gli arrivisti, che si indebitavano per ottenere pretura
e consolato.
Cesare a questo punto si trovava in una posizione complessa, infatti anche
ottenendo il consolato sarebbe divenuto privato cittadino l’anno dopo;
Pompeo invece si era fatto esentare da questa legge e si fece prorogare di
cinque anni il proconsolato in Spagna (pur potendo restare a Roma), non gli
riuscì invece di togliere a Cesare l’esenzione della candidatura a distanza.
Dal 51 a.C. cominciò una lotta fatta di cavilli tecnici e legali tra Cesare, che
voleva l’estensione del suo comando sino al 49 a.C (per potersi candidare
nel 48 a.C.), e i suoi nemici, che volevano invece sostituirlo già nel 50 a.C.
Con le nuove norme Cesare, divenuto console, avrebbe perso il controllo
della provincia a favore di qualcuno che aveva esercitato una magistratura
cinque anni prima; con le vecchie norme la Gallia sarebbe stata provincia
consolare e Cesare l’avrebbe potuta controllare.
Esisteva però anche una terza fazione in senato, quella di chi, come Caio
Scribonio Curione, proponeva (50 a.C.) che entrambi i proconsoli
deponessero le loro cariche: una posizione che divenne maggioranza in
senato.
Questi sono anche gli anni in cui Cicerone parla di concordia, del consenso
della gente dabbene (consensum bonorum) e di un mediatore super partes nel
ruolo di princeps, nei suoi De republica e De legibus.
Poco importante se Cicerone pensasse a Pompeo, o a se’ stesso, quello che
conta è che si avverta a Roma la necessità di una pace sociale nel nome della
legge.
All’inizio del 49 a.C. Cesare si mosse verso i suoi quartieri invernali a
Ravenna, dove inviò una lettera al senato in cui diceva che avrebbe deposto il
suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto.
Sostenuto da due tribuni (tra cui Marco Antonio), contro Cesare venne
proclamato il senatus consultum ultimum: Pompeo e i due consoli vennero
posti a tutela dello Stato.
Cesare decise allora di valicare il Rubicone, il confine tra Gallia Cisalpina e
territorio civico di Roma, dando inizio alla guerra civile; Pompeo scappò
invece in Oriente.
Cesare si diresse verso Roma, ed in seguito cercò di raggiungere Pompeo, che
però era già passato in Grecia partendo da Brindisi: da qui egli sperava di
potere impoverire l’Italia e ottenere l’appoggio dei suoi sostenitori.
Sostato per poco a Roma, Cesare si mosse subito verso la Spagna per
sconfiggere i sostenitori di Pompeo lì presenti (sulla strada espugnò
Marsiglia, rimasta pericolosamente neutrale): nella battaglia di Ilerda (49
a.C.) Cesare ottenne la prima grande vittoria.
Tornato a Roma sul finire dell’anno, Cesare ottenne la dittatura grazie al
pretore Marco Emilio Lepido; egli aveva solo lo scopo di convocare i comizi
elettorali (dictator comitiorum hebendorum causa), riuniti nel 48 a.C.
Pompeo aveva nel frattempo stabilito la sua base operativa in Tessaglia,
inviando invece la sua flotta a controllare l’Adriatico per impedire lo sbarco
di Cesare, che riuscì comunque a portare sette legioni a Durazzo, che venne
assediata senza successo.
Cesare si mosse dunque verso la Tessaglia inseguito da Pompeo: nella
battaglia di Farsalo (Agosto 48 a.C.) le truppe pompeiane vennero spazzate
via da quelle cesariane.
Pompeo scappò in Egitto, dove sperava di trovare rifugio presso i figli di
Tolemeo XII l’Aulete: tuttavia nel paese erano in corso dei conflitti dinastici
tra il giovane Tolemeo XIII e la sorella Cleopatra VII (che l’Aulete aveva
indicato come erede).
I consiglieri di Tolemeo XIII convinsero il sovrano che sarebbe stato troppo
rischioso dare rifugio a Pompeo, che venne ucciso a Pelusio; quando Cesare
giunse ad Alessandria ebbe modo di conoscere la misera fine del rivale.
Cesare rimase in Egitto un anno (48-47 a.C.), cercando di risolvere la contesa
fra i due fratelli: tuttavia egli venne assediato ad Alessandria dai sostenitori
di Tolemeo XIII, che vennero sbaragliati all’arrivo dei soldati cesariani (nella
fuga verso il Nilo anche il faraone perse la vita).
Cleopatra VII, che diede a Cesare un figlio di nome Tolemeo Cesare, venne
confermata sul trono egiziano assieme al giovane fratello Tolemeo XIV.
Nel frattempo il figlio del grande Mitridate, Farnace, cercò di approfittare
della confusione per rioccupare i territori paterni: Cesare lo affrontò nella
battaglia di Zela (47 a.C.), dove Farnace venne distrutto.
Nell’autunno del 47 a.C. Cesare si fermò brevemente a Roma (i soldati videro
così venire meno la possibilità del congedo), ed in seguito si mosse verso
l’Africa, dove i pompeiani avevano trovato l’appoggio di Giuba re della
Numidia.
Cesare sconfisse i nemici nella battaglia di Tapso (46 a.C.), dopo la quale
Giuba si tolse la vita e la Numidia divenne provincia romana (l’Africa nova).
I superstiti si riorganizzarono intorno ai due figli di Pompeo, Cneo e Sesto,
che si stabilirono in Spagna: qui vennero raggiunti da Cesare, che distrusse il
loro esercito nella battaglia di Munda (45 a.C.), alla quale Sesto Pompeo
riuscì a sopravvivere.

3.8 CESARE DITTATORE PERPETUO

Mentre si trovava in Egitto (nell’Ottobre del 48 a.C.), Cesare era stato


nominato dittatore per un anno; nel 46 a.C. era divenuto console per la terza
volta; a metà del 46 a.C. gli venne conferita la dittatura per dieci anni per
riformare lo Stato (rei publicae constituendae); nel 45 a.C. ricoprì il quarto
consolato e nel 44 a.C. il quinto, a cui si aggiunse il titolo di dittatore a vita
(dictator perpetuus).
A queste cariche si aggiungeva poi un numero enorme di poteri straordinari:
dopo Tapso era divenuto praefectus moribus con l’incarico di vigilare sui
costumi e di controllare le liste dei senatori (competenze dei censori).
Gli fu riconosciuta poi la facoltà di sedere tra i tribuni della plebe, assegnata
la potestà tribunizia (otteneva l’inviolabilità e il diritto di veto) e il potere di
fare trattati di pace e di dichiarare la guerra senza consultare senato o popolo.
Gli vennero poi offerti gli onori del primo posto in senato, il titolo di
imperator (ovvero detentore dell’imperium) a vita e di quello di padre della
patria (parens patriae).
Nel 49 a.C. Cesare aveva cominciato a mettere mano ad un insieme vasto di
riforme: vennero perdonati gli esuli e i condannati politici, facilitata la
condizione dei debitori, esteso il diritto di ottenere la cittadinanza romana
agli abitanti della Transpadana (ma di ciò beneficiarono anche alcune
comunità di Spagna, Gallia e Africa).
Tra il 46 e il 44 a.C. il senato fu portato a novecento membri (vennero
immessi numerosi cesariani), fu aumentato il numero dei pretori (da venti a
quaranta), degli edili (da quattro a sei) e dei pretori (da otto a sedici).
In questo modo venivano garantite migliori possibilità politiche ai suoi
sostenitori; vennero anche abbassate le qualifiche censitarie per l’ammissione
all’ordine equestre.
I tribunali permanenti furono nuovamente ripartiti equamente tra cavalieri e
senatori, fu regolamentata la durata dei governatorati (limitata ad un anno
per i pretorie e due per i proconsoli).
Fu poi promulgata una legge suntuaria per limitare lo sperpero di ricchezza
e fu vietato ai cittadini tra i venti e i sessant’anni di rimanere assenti dal paese
per più di tre anni consecutivi (i figli dei senatori si potevano allontanare solo
per incarico dello Stato).
Vennero sciolte le associazioni popolari che avevano permesso i disordini
degli anni precedenti e vennero poi riportati i collegia alle funzioni iniziali di
corporazioni religiose.
Furono confermate le distribuzioni gratuite di grano, ma il numero dei
beneficiari, che passò da 320.000 a 150.000 tramite la cancellazione degli
abusivi e l’introduzione di un numero chiuso di aventi diritto.
Per ‘’decongestionare’’ Roma e l’Italia fu realizzato un vasto programma di
colonizzazione e distribuzione delle terre per i numerosissimi veterani di
Cesare e per 80.000 cittadini meno abbienti, in parte in Italia e soprattutto
nelle province.
A ciò si aggiunse la ristrutturazione urbanistica ed edilizia di Roma; venne
poi combattuta la disoccupazione tramite l’obbligo per i proprietari di
impiegare nei pascoli non meno di un terzo di uomini liberi.
Con una legge apposita, la lex Iulia municipalis, furono poi riordinate e
raccordate le norme di governo e amministrazione pubblica dei municipi.
Seguì poi una riforma del calendario civile (che era in ritardo di tre mesi
rispetto a quello astronomico), compiuta grazie all’assistenza dell’astronomo
alessandrino Sosigene (46 a.C.).
L’opera, perfezionata nel 1582 da papa Gregorio XIII, regola ancora oggi
l’alternarsi di anni ordinari e bisestili.
3.9 LE IDI DI MARZO

L’eccessiva concentrazione dei poteri, il moltiplicarsi di onori, atteggiamenti


che parvero inclinare alla regalità (Cleopatra l’aveva raggiunto a Roma con il
figlio): tutto ciò finì per creare allarme sia tra gli storici oppositori che tra i più
stretti collaboratori di Cesare.
Nei primi mesi del 44 a.C. egli aveva anche preparato una campagna contro i
Parti, che aveva sia uno scopo simbolico sia uno strategico (restaurare
l’egemonia romana in Oriente).
A Roma venne messo in giro ad arte un oracolo secondo cui i Parti sarebbero
potuti essere sconfitti solo da un re, cosa che andò a rinforzare i sospetti su
Cesare.
Fu a quel punto che venne ordita una congiura ai danni di Cesare (a capo vi
erano Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto): alle idi di
Marzo (15 Marzo) del 44 a.C., alla vigilia della partenza verso Oriente, egli
cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori nella curia di Pompeo (nel Campo
Marzio), dove doveva presiedere una seduta del senato.
4) AGONIA DELLA REPUBBLICA

4.1 L’EREDITÀ DI CESARE; LA GUERRA DI MODENA

I cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare i principali collaboratori del


defunto: Marco Emilio Lepido, console nel 46 a.C., e Marco Antonio, console
assieme a Cesare nel 44 a.C.
Questi riuscirono a riorganizzarsi immediatamente dopo la morte di Cesare,
mentre i cesaricidi erano totalmente privi di un progetto a lungo termine (essi
trovarono a Roma un’accoglienza fredda e preferirono nascondersi in
Campidoglio).
Antonio favorì una politica di compromesso, proponendo l’amnistia per i
congiurati, il mantenimento dei provvedimenti proposti da Cesare e i funerali
di Stato per questo.
Fu stabilito che, dopo il consolato, ad Antonio sarebbe spettata la Macedonia,
dove si trovavano le truppe raccolte per la campagna contro i Parti; nel
frattempo Antonio si era entrò in possesso dei documenti e del testamento di
Cesare.
I documenti di Cesare furono i mezzi usati da Antonio per far passare una
serie di progetti di legge che gli garantirono una certa popolarità e di porsi
come erede spirituale di Cesare.
Alla lettura del testamento si scoprì che Cesare aveva lasciato i tre quarti del
suo patrimonio al pronipote (Giulia, sorella di Cesare, era sua nonna) Caio
Ottavio; la parte restante spettava invece a due parenti: Lucio Pinario e
Quinto Pedio.
Al momento della morte di Cesare, Caio Ottavio si trovava ad Apollonia,
dove stava raggiungendo le truppe in Macedonia (il padre adottivo avrebbe
voluto farlo magister equitum).
Ottavio si mosse verso l’Italia e raggiunse Roma accompagnato dal consenso
e dall’appoggio dei veterani di Cesare stanziati in Campania.
Ottavio reclamò la propria eredità, ed entratone in possesso onorò il lascito di
Cesare e tutelò la memoria del padre individuando nella vendetta il primo
vero obiettivo politico personale.
In questo modo raccolse il consenso dei cesariani più radicali e dei veterani,
mentre buona parte del senato (Cicerone su tutti) cominciò a scorgere in lui
un mezzo per arginare lo strapotere di Antonio.
Per poter controllare più da vicino l’Italia, Antonio (alla fine del consolato) si
fece assegnare al posto della Macedonia per ottenere la Gallia Cisalpina e
quella Comata per cinque anni (fece anche spostare qui cinque legioni).
Quando però Antonio si mosse verso la Cisalpina, il governatore nominato in
origine, Decimo Bruto, si rifiutò di cederla e si rinchiuse a Modena.
La vicenda della ‘’guerra di Modena’’ (43 a.C.) fu molto rapida: Antonio
venne raggiunto dai consoli del 43 a.C., Aulo Irzio e Caio Avidio Pansa, che lo
sconfissero anche grazie all’appoggio di Ottavio, che aveva reclutato
un’armata privata in Campania.
Sconfitto, Antonio fu costretto a muoversi verso la Gallia Narbonese, dove
voleva unire e sue forze a quelle di Lepido; Irzio e Pansa morirono per le
ferite.

4.2 IL TRIUMVIRATO COSTITUENTE (COSIDDETTO ‘’SECONDO


TRIUMVIRATO’’); LE PROSCRIZIONI; FILIPPI

Entrambi i consoli erano scomparsi, per questo motivo Ottavio chiese al


senato il consolato per se’ e ricompense per i suoi soldati: quando ciò gli
venne negato decise di marciare su Roma (43 a.C.).
Nell’Agosto di quell’anno venne eletto console insieme al cugino Quinto
Pedio: essi revocarono l’amnistia e istituirono un tribunale per deporre gli
assassini di Cesare.
Ottavio fece poi ratificare la sua adozione dai comizi centuriati: da quel
momento si fregiò del nome di Caio Giulio Cesare (il cognome Ottaviano,
non lo usò mai).
In Gallia Antonio si era invece congiunto con Lepido, ottenendo l’appoggio
anche di altri governatori della Gallia e della Spagna; Decim Bruto, isolato e
abbandonato, venne ucciso mentre tentava di raggiungere Cassio e Bruto.
Nel 43 a.C., dopo che il provvedimento senatorio che aveva reso Antonio
nemico pubblico venne annullato, Ottavio si incontrò nei pressi di Bologna
con Lepido e Antonio.
Qui i tre stipularono un accordo fatto sancire da una legge votata dai comizi
tributi (lex Titia): venne così legalmente istituito legalmente il ‘’secondo
triumvirato’’ per riorganizzare lo Stato (rei publicae constituendae) per la
durata di cinque anni, dunque fino al 38 a.C.
In esso si sanciva che i triumviri avrebbero potuto convocare il senato ed il
popolo, promulgare editti e designare i candidati alle magistrature.
Antonio conservò il governatorato della Gallia Cisalpina e di quella Comata,
Lepido avrebbe tenuto la Gallia Narbonese e le due Spagne, mentre Ottavio
ottenne l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica.
Senza dubbio venne sfavorito Ottavio, che vedeva le sue aree minacciate da
Sesto Pompeo, che aveva ottenuto il controllo della flotta al tempo della
guerra di Modena (egli aveva riunito intorno a se’ sbandati, diseredati,
omicidi).
Vennero poi reintrodotte le liste di proscrizione, in cui vennero ovviamente
inseriti i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici del triumvirato: centinaia
di senatori e cavalieri vennero uccisi e i loro beni confiscati (Cicerone, nemico
acerrimo di Antonio, finì in queste liste e venne ucciso).
I triumviri si rivolsero poi verso Oriente, dove si erano rifugiati Bruto e
Cassio, che avevano reclutato un esercito numeroso.
Prima di muovere contro di essi però, Ottaviano si preoccupò della
divinizzazione di Cesare (42 a.C.) e all’istituzione del suo culto, ma a
beneficiarne fu soprattutto Ottaviano, che divenne così Divi filius (figlio di un
Dio).
Lo scontro con i cesaricidi avvenne nello stesso anno: nella battaglia di
Filippi (in Tessaglia), in cui Bruto ebbe la meglio su Ottaviano, mentre
Antonio ebbe la meglio su Cassio.
Sconfitto e credendo l’alleato morto, Cassio si suicidò, mentre Bruto, sconfitto
da Antonio, lo seguì poco dopo.
Le proscrizioni e lo scontro a Filippi avevano decimato i senatori più
conservatori: molte famiglie della più antica aristocrazia scomparvero
definitivamente.
Il loro posto venne preso da una nuova aristocrazia, composta dalle classi
dirigenti municipali italiche e da uomini di fiducia dei triumviri.
Si realizzò così un mutamento radicale nella composizione e nella mentalità
delle elité di governo, assai più inclini a rapporti di dipendenza politica e
personale.
4.3 CONSOLIDAMENTO DI OTTAVIANO IN OCCIDENTE; LA
GUERRA DI PERUGIA; SESTO POMPEO; GLI ACCORDI DI BRINDISI,
DI MISENO E DI TARANTO; NAULOCO

La vittoria sui cesaricidi aumentò il prestigio di Antonio, che si presentava


ora come il triumviro più forte: egli si riservò, oltre alle Gallie (la Cisalpina
nel 42 a.C. smise di essere provincia), il comando sull’Oriente.
A Lepido venne assegnata l’Africa, mentre ad Ottaviano le Spagne e la
riorganizzazione dell’Italia; quest’ultimo doveva però vedersela anche con
Sesto Pompeo, che si era impossessato della Sicilia e impediva l’arrivo dei
rifornimenti in Italia.
Il compito di Ottaviano era senza dubbio il più complesso, tuttavia egli era
dei tre quello più vicino a Roma, centro del potere e sede degli organi di
Stato.
L’assegnazione delle terre ai veterani era una questione più complessa, in
quanto consisteva nell’espropriare terreni vicini a diciotto delle città destinate
a questo scopo.
Venivano colpiti soprattutto gli interessi di piccoli e medi proprietari terrieri:
le proteste scatenarono una rivolta aperta guidata dal console Lucio Antonio
(fratello di Antonio) e dalla moglie del triumviro e vedova di Clodio Fulvia.
I due si asserragliarono coi loro sostenitori a Perugia, che però venne presa e
saccheggiata da Ottaviano; Fulvia si rifugiò presso Antonio, mentre Lucio
Antonio venne risparmiato.
La ‘’guerra di Perugia’’ (41-40 a.C.) segnò una nuova svolta: grazie agli esuli
perugini Sesto Pompeo rimpolpò i suoi ranghi e riuscì ad occupare Sardegna
e Corsica.
Dopo che Ottaviano riuscì ad occupare le Gallie, dove era morto il legato di
Antonio, la situazione sembrò degenerare di nuovo: Ottaviano infatti temeva
una possibile alleanza tra Sesto Pompeo e Antonio.
Per questo motivo Ottaviano sposò Scribonia, sorella di Lucio Scribonio
Libone, suocero di Sesto Pompeo.
Furono due mediatori, Caio Asinio Pollione (antoniano) e Caio Licinio
Mecenate (consigliere di Ottaviano) a riavvicinare i due triumviri: a Brindisi
venne sottoscritto un nuovo accordo (40 a.C.).
Antonio ottenne l’Oriente e sposò Ottavia (sorella di Ottaviano), mentre
Ottaviano ottenne l’Occidente.
La situazione venne complicata però dall'insoddisfazione di Sesto Pompeo,
che ricominciò a bloccare le scorte di grano dirette verso l'Italia.
Antonio ancora una volta fu costretto a rientrare dalla Grecia (39 a.C.) per
sottoscrivere gli accordi di Miseno, per cui Sesto Pompeo avrebbe ricevuto la
Sicilia, la Sardegna e il Peloponneso.
Inoltre il figlio del Magno ottenne anche il titolo di àugure e il consolato per
l'anno successivo; gli esuli che erano con lui ottennero invece l'amnistia.
Nel momento in cui però Antonio non gli consegnò il Peloponneso, Sesto
Pompeo ricominciò con le razzie (38 a.C.).
Ottaviano ripudiò allora Scribonia e sposò Livia Drusilla, moglie divorziata
di Tiberio Claudio Nerone, appartenente all'antica nobiltà (ella aveva già un
figlio, Tiberio, e ne aspettava un altro, Druso).
Sesto perse velocemente la Sardegna, ma Ottaviano inizialmente non fu in
grado di strappargli la Sicilia; ancora una volta il figlio adottivo di Cesare
richiese l'intervento di Antonio.
Venne concluso con lui un nuovo accordo a Taranto (37 a.C.), con cui vennero
rinnovati per cinque anni gli accordi tra i triumviri.
Ottaviano ricevette da Antonio 120 navi per combattere Sesto Pompeo,
mentre Antonio avrebbe ricevuto 20.000 legionari per la sua campagna
contro i Parti.
Marco Vipsanio Agrippa, amico d'infanzia di Ottaviano e console nel 37 a.C.,
aveva addestrato una possente flotta, con cui sconfisse Sesto due volte nel 36
a.C., nelle battaglie di Milazzo e Nauloco; Sesto fuggì in Oriente, dove morì
l'anno dopo.
Lepido aveva preso parte alle operazioni, e per questo pretese di avere per se'
la Sicilia; tuttavia le sue truppe lo abbandonarono e per Ottaviano fu facile
impossessarsi dell'Africa.
Lepido mantenne il titolo di pontefice massimo e visse nella sua villa presso il
Circeo, lontano dalla politica, fino alla morte nel 12 a.C.
Ritornato a Roma Ottaviano fu ricolmato di onori: ricevette l'inviolabilità dei
tribuni della plebe, ed in seguito aggiunse anche l'imperium (le due basi su
cui avrebbe poi costruito il principato).
Ottaviano aveva ora tutto il controllo dell'Occidente, ma gli mancava la gloria
militare, che ottenne grazie a due campagne contro gli Illiri in Pannonia (35-
34 a.C.), nelle quali venne assistito da Agrippa.

4.4 ANTONIO IN ORIENTE

Dopo Filippi, Antonio ebbe finalmente modo di concentrarsi sull'Oriente e


sulla campagna contro i Parti, che l’avrebbe reso il vero erede di Cesare.
Le prime necessità furono però quelle finanziarie: egli impose dei pesanti
tributi pesanti alle comunità d'Asia, accusate di aver favorito i cesaricidi.
Antonio ottenne poi l'appoggio di alcuni sovrani orientali, in primo luogo di
Cleopatra VII (madre di Tolemeo Cesare), che venne convocata a Tarso in
Cilicia nel 41 a.C.
La regina convinse Antonio a passare l'inverno del 41-40 a.C. in Egitto: dalla
loro unione nacquero due gemelli.
Nella primavera del 40 a.C. i Parti invasero la Siria e dilagarono in Asia
Minore e in Giudea; Antonio non poté intervenire in quanto trattenuto dalle
vicende di Perugia.
Dopo gli accordi di Brindisi Antonio si trattenne a lungo in Italia, fino alla
metà del 39 a.C., poi tornò ad Atene con Ottavia, sorella di Ottaviano.
Alla fine del 39 a.C. il generale Publio Ventidio Basso riuscì a respingere i
Parti dai territori romani; nel 38 a.C. Basso, divenuto governatore della Siria,
cacciò i Parti al di là dell'Eufrate.
Nel 37 a.C. nel Regno partico si aprì una crisi dinastica, di cui però Antonio
non poté approfittare in quanto a Taranto per il rinnovo del triumvirato.
Dopo Taranto, Antonio, che lasciò Ottavia in Italia, tornò in Oriente e
cominciò a riorganizzare i territori; nello stesso anno egli rivide Cleopatra e
riconobbe i due gemelli come figli suoi.
All'Egitto Antonio attribuì la Celesiria, parte della Fenicia e della Cilicia e
forse anche Cipro: mosse che non riscossero grande popolarità a Roma.
Nella primavera del 36 a.C. Antonio diede inizio alla campagna partica
invadendo la Mesopotamia da Nord.
Antonio riuscì a porre l'assedio a Fraaspa, nella Media Atropatene: tuttavia
egli non riuscì a prendere la città in quanto egli aveva perso le macchine
d'assedio (distrutte dai Parti).
Nel 35 a.C. venne organizzata una seconda campagna partica, che si concluse
con la conquista dell'Armenia nel 34 a.C.
Nel 35 a.C. si consumò anche la rottura definitiva tra i due triumviri rimasti,
causata in primo luogo a causa delle beffe che Ottaviano fece ai danni di
Antonio.
Il primo restituì al secondo solo 70 delle 120 navi prestate e inviò solo 2000
uomini dei 20.000 promessi; Antonio invece decise di rimandare in Italia
anche Ottavia e i soldati di Ottaviano.
Quest’ultimo in questo modo divenne la vittima, in quanto sua sorella era
stata ripudiata ufficialmente in favore di una donna straniera, Cleopatra.
Antonio in risposta celebrò il proprio trionfo ad Alessandria e non a Roma
(34 a.C.), e successivamente decise di attribuire alcuni territori a Cleopatra.

4.5 LO SCONTRO FINALE; AZIO

Con il complicarsi dei rapporti con Ottaviano, Antonio dovette abbandonare


il progetto di invadere nuovamente il territorio dei Parti.
Nel 32 a.C. il triumvirato conobbe la sua scandenza naturale; nello stesso
anno i due consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio proposero la ratifica
delle decisioni prese da Antonio in Oriente.
Ottaviano ovviamente si oppose a questo provvedimento, così entrambi i
consoli (assieme a trecento senatori) decisero di abbandonare l'Italia per
rifugiarsi presso Antonio, che rispose inviando a Ottavia un atto formale di
ripudio.
Antonio fece poi redigere un testamento in cui chiese di essere sepolto ad
Alessandria vicino a Cleopatra e attribuiva ai figli i regni avuti con la regina.
Ottaviano ottenne invece che il triumviro venisse privato dei suoi poteri, e
poi anche del consolato del 31 a.C.
Ottaviano si presentò dunque come il difensore di Roma e dell'Italia contro
una regina avida e infida, capace di corrompere un grande generale romano.
Ottaviano ottenne la fedeltà di tutta l'Italia e di tutte le province occidentali: si
venne così a delineare una sorta di guerra tra l'Occidente e l'Oriente; nella
pratica in effetti, la guerra venne dichiarata contro Cleopatra.
Lo scontro decisivo avvenne nella battaglia navale di Azio (Settembre del 31
a.C.) presso il golfo di Ambracia sulle coste dell'Epiro: a prevalere fu la flotta
di Ottaviano, guidata dal fidato Agrippa.
Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto per preparare un'ultima
resistenza, ma quando Ottaviano penetrò con le sue truppe in Alessandria (30
a.C.) prima Antonio e poi Cleopatra si suicidarono.
L'Egitto fu infine dichiarato provincia romana; Tolemeo Cesare, figlio
naturale di Cesare e Cleopatra, venne ucciso.

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