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Nel 123 a.C. Caio Gracco venne nominato tribuno della plebe: nel corso di
questo e dei due mandati seguenti, egli proseguì l’opera del fratello,
perfezionando la riforma agraria.
Caio propose anche la fondazione di nuove colonie di cittadini romani in
Italia (Minervia presso Squillace e Neptunia presso Tatanto) e nel territorio
della distrutta Cartagine (Iunonia).
Una lex frumentaria venne poi proposta per calmierare il mercato ed evitare
la speculazione da parte dei detentori di frumento: con essa venne assicurata
una quota mensile di grano ad ogni cittadino residente a Roma.
Grandi granai pubblici appositamente costruiti (horrea Sempronia) dovevano
custodire le grandi quantità di cereale necessarie per le distribuzioni.
Caio volle poi limitare il potere del senato, integrando un gran numero di
cavalieri nell’albo da cui erano selezionati i giudici e riservando ad essi il
controllo dei tribunali permanenti per i reati di concussione e di estorsione da
parte dei magistrati provinciali (quaestiones perpetuae de repetundis del 149
a.C.).
In questo modo i senatori-governatori non erano giudicati solo da giudici-
governatori, ma anche dai cavalieri che prendevano in appalto le imposte e le
grandi operazioni commerciali nella provincia d’Asia.
Un altro provvedimento, destinato a sopravvivere per tutta l’età
repubblicana, prevedeva che il senato dovesse decidere prima dell’elezione
quali province dovessero essere considerate consolari (in modo tale che non
vi fossero ragioni personali o politiche ad influenzare la decisione).
Per risolvere il problema degli alleati, Caio propose di concedere ai Latini la
cittadinanza e il diritto latino agli Italici: una proposta che però venne
respinta.
L’oligarchia senatoria, approfittando dell’assenza di Caio (che si trovava in
Africa per seguire la costruzione di Iunonia con Fulvio Flacco), si servì di un
nuovo tribuno della plebe, Marco Livio Druso, per opporsi a questo.
Druso, che fece proposte smoderata (fondare dodici colonie), fece sì che le
proposte dei Gracchi perdessero appoggio popolare: così Caio, tornato a
Roma nel 122 a.C., si trovò in una situazione nuova, in cui non trovò spazio
(nel 121 a.C. egli non venne rieletto tribuno della plebe).
Per assestare un colpo definitivo a Caio e a Fulvio Flacco, si propose
l’abolizione della deduzione: i due triumviri si opposero con forza, cosa che
fece scoppiare disordini.
Per placare la situazione si fece ricorso ad un senatus consultum ultimum,
con cui era affidato ai consoli il compito di tutelare lo Stato; il console Lucio
Opimio ordinò il massacro dei graccani: Fulvio Flacco venne ucciso negli
scontri, mentre Caio si fece uccidere da un suo schiavo.
Mentre era impegnato sul fronte militare, Mario si avvalse dell’aiuto di Lucio
Apuleio Saturnino, un nobile allontanatosi dai conservatori del senato che
nel 104 a.C. l’avevano sostituito come quaestor Ostiensis usando come pretesto
l’aumento del prezzo del grano.
Nel 103 a.C. Mario l’aveva aiutato a farsi eleggere come tribuno della plebe, in
cambio Saturnino fece approvare una distribuzione di terre in Africa tra i
veterani dell’esercito mariano.
Saturnino aveva poi proposto anche una riforma frumentaria che riduceva il
prezzo proposto da Caio Gracco; molto importante fu anche la lex de
maiestate, che puniva il reato di lesione (maiestas) dell’autorità del popolo
romano.
Nel 100 a.C. Mario venne eletto al sesto consolato, mentre Saturnino venne
rieletto tribuno della plebe, riuscendo a far eleggere alla stessa carica anche
Caio Servilio Glaucia, pretore e suo compagno populares.
Grazie all’appoggio di Mario, Saturnino poté proporre una legge agraria che
prevedeva assegnazioni nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in
Sicilia, Acaia e Macedonia; egli fece poi approvare una clausola per cui i
senatori erano obbligati ad giurare di osservare la legge: solo Cecilio Metello
Numidico si rifiutò preferendo l’esilio.
Saturnino venne rieletto anche l’anno seguente, mentre Glaucia si candidò al
consolato: nelle votazioni scoppiarono però dei tumulti, nei quali Glaucia
venne assassinato.
Il senato a quel punto poté proclamare un senatus consultum ultimum, in modo
che fosse lo stesso Mario a dover agire contro i suoi alleati politici: dopo
Glaucia anche Saturnino venne assassinato.
Il prestigio di Mario ne risentì grandemente: ciò lo spinse ad intraprendere
una missione diplomatica presso Mitridate VI del Ponto.
1.16 PIRATI; SCHIAVI; CIRENAICA
La differenza tra stato giuridico e sociale tra cittadini di Roma e alleati latino-
italici non aveva suscitato grandi contestazioni agli inizi del II secolo a.C.,
quando le differenze etniche e culturali erano ormai ridottissime, e questo
soprattutto dopo che l’Italia era penetrata in uno spazio mediterraneo.
La differenziazione era divenuta ormai inaccettabile, soprattutto perché essa
ormai era il mezzo per giustificare una diseguaglianza di trattamento che
però si manifestava in tutti gli aspetti della vita civica.
La condizione di cittadino romano era divenuta nel corso del tempo sempre
più vantaggiosa, cosa che aumentava l’irritazione degli Italici, consapevoli di
aver contribuito ai successi di Roma.
Delle distribuzioni agrarie e frumentarie beneficiavano i soli cittadini romani,
ma ne erano esclusi gli Italici, che vedevano poi riassegnati i terreni che a
lungo avevano utilizzato.
Inoltre essi aveva sempre un ruolo subalterno, a livello civile/economico/
militare, senza parlare del fatto che erano essi a pagare l’imposta per il soldo
delle reclute, da cui invece i cittadini erano dispensati.
L’assassinio di Druso fu dunque la goccia che fece traboccare il vaso, il
motivo che spinse i socii a ribellarsi contro il potere centrale.
Inizialmente a Roma non si comprese la pericolosità della faccenda, se non
quando ad Ascoli vennero massacrati tutti i Romani residenti nella città (90
a.C.); successivamente alla secessione si aggiunsero Piceni/Vestini/Marrucini/
Frentani/Lucani/Irpini/Sanniti/Marsi/Peligni ed in seguito anche Apuli e
Campani (non aderirono invece Etruschi, Umbri, le città latine e quelle della
Magna Grecia).
I Romani si trovarono a combattere contro gente armata come loro e che
utilizzava le stesse tecniche d’offesa e di difesa, spesso perfino contro ex
commilitoni.
Gli insorti si erano dati istituzioni comuni: una capitale, Corfinium nel Sannio,
ribattezzata poi Italica, e anche una monetazione propria.
I Romani furono costretti al massimo sforzo: a Nord venne inviato il console
Publio Rutinio Lupo , che aveva come legato Cneo Pompeo Strabone (il padre
del ‘’Magno’’); ed era supportato da Mario; a Sud venne invece inviato Lucio
Giulio Cesare (padre del futuro signore di Roma), che aveva tra i suoi
luogotenenti Silla.
Gli scontri furono durissimi: Rutilio Lupo perì mentre combatteva contro il
marso Quinto Poppedio Silone, costringendo Mario a sostituirlo.
Di fronte a quest’emergenza già nel 90 a.C. si cominciò a ricercare una
soluzione politica: inizialmente individuata nella possibilità di accordarsi coi
capi militari degli italici, a cui era promessa la cittadinanza per se’ e per il
proprio esercito.
Su proposta del console Lucio Giulio Cesare venne approvata la lex Iulia de
civitate, con cui era concessa la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e anche
a quegli Italici che si sarebbero arresi.
Nell’89 a.C. la lex Plautia Papiria (promossa dai tribuni Caio Papirio
Carbone e Marco Plauzio Silvano) estendeva la cittadinanza agli Italici che si
fossero registrati presso il pretore di Roma entro sessanta giorni.
Nello stesso anno Cneo Pompeo Strabone fece approvare la lex Pompeia, con
cui era attribuito il diritto latino agli abitanti a Nord del Po’.
Queste misure riuscirono a circoscrivere la rivolta, ma non ne ridussero la
forza, visto che nell’89 a.C. perì in battaglia Lucio Porcio Catone; solo Cneo
Pompeo Strabone (sotto cui combatteva il figlio, ma anche Cicerone e
Catilina) e Silla ottennero reali successi.
Nell’88 a.C. Silla, eletto console, conquistò la roccaforte di Nola; in seguito si
concesse la cittadinanza a tutta l’Italia fino alla Transpadana (i cittadini
furono inseriti solo in 8 delle 35 tribù esistenti).
Con la fine della Guerra Sociale (90-88 a.C.) l’Italia entrava in una nuova fase
della sua storia istituzionale, e così Roma: le aristocrazie italiche erano infatti
riuscite ad ottenere i presupposti per accedere alle magistrature e al senato.
Per esercitare i loro diritti i nuovi cittadini dovevano recarsi a Roma per
partecipare alle assemblee; non tutti avrebbero potuto farlo, ma gli interessi
di molto dopo il conflitto si trasferirono nell’Urbe.
2) I PRIMI GRANDI SCONTRI TRA FAZIONI IN ARMI
Partito per la Grecia nell’87 a.C., Silla giunse in Epiro ed in seguito occupò la
Beozia, andando poi ad assediare Atene, che venne presa e saccheggiata.
Mossosi poi verso la Grecia centrale, Silla sconfisse le armate pontiche nelle
battaglie di Cheronea e Orcomeno (86 a.C.), dopo le quali Mitridate perse la
Grecia.
Uno dei due consoli dell’87 a.C., entrambi ostili a Silla, Lucio Cornelio Cinna,
riprese la proposta di distribuire gli Italici nelle 35 tribù.
Cacciato da Roma, egli si rifugiò in Campania, dove venne raggiunto da
Mario, che guidò una nuova marcia su Roma, durante la quale vennero
eliminati i principali sostenitori di Silla.
Mario venne eletto console per la settima volta nell’86 a.C. insieme a Silla, ma
morì l’anno successivo.
Un nuovo corpo di spedizione, guidato da Lucio Valerio Flacco e da Caio
Flaminio Fimbria, venne inviato contro Mitridate per sostituire Silla; nel
frattempo venne confermata la distribuzione nelle 35 tribù dei neocittadini
italici e venne fissato un nuovo rapporto tra moneta di bronzo e argento.
Alla fine dell’84 a.C. Cinna cercò di prepararsi all’imminente rientro di Silla
posizionandosi ad Ancona, tuttavia egli venne ucciso dai suoi stessi soldati.
Nell’86 a.C. le due armate romane in Grecia, quella di Silla e di Lucio Valerio
Flacco (assassinato e sostituito da Caio Flavio Fimbria) agirono in parallelo,
senza mai scontrarsi.
Una volta ricacciato in Asia Mitridate, Silla si affrettò a concludere con questo
la pace (sottoscritta a Dardano nell’85 a.C.): il re del Ponto avrebbe dovuto
consegnare la flotta e ritirarsi dai territori anatolici occupati (Nicomede IV
tornava così in Bitinia e Ariobazane in Cappadocia).
Dopo aver incorporato l’esercito di Fimbria, Silla invase l’Italia nell’84 a.C.
sbarcando a Brindisi, ma solo dopo aver riorganizzato Asia e Grecia.
La pace di Dardano non pose però fine agli scontri, infatti il nuovo
governatore d’Asia, Lucio Licinio Murena, compì scorrerie in territorio
pontico, forzando Mitridate alla guerra.
La Seconda Guerra Mitridatica (83-81 a.C.) si concluse con la sconfitta di
Murena e l’intervento personale di Silla, che riportò la situazione allo status
quo.
Intanto nell’83 a.C. la Siria seleucida, in preda ad una crisi dinastica, venne
occupata da Tigrane d’Armenia, che era stato chiamato dagli abitanti di
Antiochia.
Nel 78 a.C. uno dei due consoli, Marco Emilio Lepido (padre del futuro
triumviro) cercò di ridimensionare l’ordinamento sillano, proponendo il
richiamo degli esiliati e la restituzione dei terreni agli espropriati.
L’opposizione al suo tentativo scatenò una rivolta in Etruria, dove erano
avvenute le espropriazioni più grandi: Lepido, che nel 77 a.C. era divenuto
console della Gallia Narbonese, si mise a capo della rivolta e marciò su Roma.
Il senato applicò contro di lui il senatus consultum ultimum, conferendo a Cneo
Pompeo Magno (106-48 a.C.) l’imperium senza che egli avesse rivestito alcuna
magistratura.
Lepido, sconfitto, fuggì in Sardegna dove morì da lì a poco; il luogotenente di
questo, Marco Perperna, scappò in Spagna da Sertorio.
Nel 73 a.C. si verificò la terza rivolta servile, questa volta scoppiata a Capua
in una scuola di gladiatori, che ribellatisi si asserragliarono sul Vesuvio.
Qui vennero raggiunti da altri gladiatori, schiavi fuggiti, nullatenenti,
scontenti, diseredati provenienti da tutta Italia: a capo di questi vi erano un
trace, Spartaco, e un gallo, Crisso.
La rivolta come detto si estese velocemente a tutto il Sud Italia, dove vennero
inviati alcuni pretori e i due consoli del 72 a.C.
Tra i ribelli mancavano delle idee chiare: Spartaco voleva valicare le Alpi e
permettere a tutti di rientrare in patria, mentre Crisso voleva continuare a
razziare.
Venne affidato un comando eccezionale a Marco Licinio Crasso (115/114- 53
a.C.), che costrinse i ribelli (che avevano tentato di arrivare in Sicilia, ma
vennero traditi dai pirati) a forzare il suo blocco.
Crasso sconfisse Spartaco in Lucania (71 a.C.): il trace cadde in battaglia,
migliaia di prigionieri furono impiccati sulla via Appia, mentre i superstiti
furono massacrati da Pompeo di ritorno dalla Spagna.
Quando rientrò a Roma nel 62 a.C., Pompeo si aspettava che il senato gli
accordasse tutto quando lui avesse chiesto e che riconoscesse i provvedimenti
da lui presi in Asia.
In realtà i suoi avversari in senato, Lucullo e Catone su tutti, lo umiliarono
negandogli ogni velleità: per questo motivo egli decise di stringere un
accordo privato e segreto, noto come ‘’primo triumvirato’’, con Crasso e Caio
Giulio Cesare (100-44 a.C.), emergente patrizio in preda alle difficoltà
economiche (la famiglia era decaduta a causa dell’appoggio dato a Mario, che
aveva sposato la zia di Cesare, Giulia).
Il termine ‘’primo triumvirato’’ viene utilizzato in senso improprio, in quanto
fino al 43 a.C. (al secondo triumvirato) non esisteva questa carica nel mondo
repubblicano.
Gli accordi prevedevano la nomina di Cesare a console nel 59 a.C., che
avrebbe varato una legge favorevole ai veterani di Pompeo e una a favore dei
cavalieri e degli appaltatori amici di Crasso; l’accordo venne ribadito tramite
il matrimonio tra Crasso e Giulia, figlia di Cesare.
Eletto console nel 59 a.C. Cesare cedette ai veterani di Pompeo tutto l’ager
publicus rimanente in Italia eccetto la campagna, in questo vennero poi
insediati cittadini nullatenenti padri di famiglia.
Vennero poi ratificate le azioni di Pompeo in Asia e ridotto di un terzo il
canone d’appalto delle imposte della provincia d’Asia (come voleva Crasso);
venne approvata anche una lex Iulia de repetundis, che migliorava la
precedente legislazione sillana in materia.
Il tribuno della plebe Publio Vantinio fece votare un provvedimento che
attribuì a Cesare il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico,
assieme con tre legioni e il diritto di fondare colonie e legati.
Prima di partire per la Gallia (58 a.C.), Cesare riuscì a far nominare un suo
uomo tribuno della plebe, in modo tale da controllare il senato.
Venne così eletto Publio Clodio Pulcro, un ex patrizio coinvolto in un maxi-
scandalo nel 62 a.C.: per questo motivo egli si era fatto adottare da una
famiglia plebea, in modo tale da potersi candidare al tribunato della plebe.
Clodio, appena eletto, andò a ripristinare il potere dei censori (che venne
ridimensionato).
Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche
adducendo come pretesto dei presagi sfavorevoli; vennero poi legalizzati
nuovamente i collegia (associazioni private religiose e di mutuo soccorso
soppressi nel 64 a.C.).
Clodio sfruttò queste associazioni, disseminate per tutta la città, come bande
private al proprio servizio.
Le distribuzioni frumentarie ai cittadini romani residenti a Roma divennero
poi completamente gratuite.
Veniva poi introdotto l’esilio per tutti coloro che avevano messo a morte il
popolo senza aver potuto invocare la provocatio al popolo: tra questi vi era
anche Cicerone, che venne abbandonato da Pompeo.
Catone venne allontanato da Roma e inviato a conquistare l’isola di Cipro:
Tolemeo di Cipro venne sconfitto nel 56 a.C. e scelse poi la via dei suicidio.
Quando Cesare arrivò in Gallia, egli si trovò coinvolto nelle vicende di una
popolazione alleata di Roma: gli Edui, che vennero minacciati dagli Elvezi
(stanziati nell’odierna Svizzera).
Di fronte alla possibilità di minacciare anche il territorio romano, Cesare fu
costretto a combattere gli Elvezi sconfiggendoli nella battaglia di Bibracte (58
a.C.).
In seguito la popolazione germanica degli Svevi, condotti dal loro re
Ariovisto, che era giunto chiamato dai Sequani, di cui poi avrebbero voluto
occupare parte del territorio.
Su richiesta degli Edui l’esercito romano venne incontro ad Ariovisto, che si
ritirò, cosa che gli valse il titolo di re amico e alleato del popolo romano.
Cesare marciò sulla capitale dei Sequani, Vesonzio (l’odierna Besançon),
riuscì a sconfiggere Ariovisto, costringendolo a riattraversare il Reno (58
a.C.).
Cesare ritornò poi in Cisalpina, lasciando delle truppe nei pressi di Visenzio;
la presenza romana cominciò però a preoccupare la tribù dei Belgi, che però
vennero sconfitti velocemente da Cesare, che sconfisse e occupò il territorio
della riottosa popolazione dei Nervi (57 a.C.).
Un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso (figlio maggiore di Marco), riuscì
intanto ad occupare Bretagna e Normandia nel 57 a.C.
I successi di Cesare si possono spiegare in due modi: l’abitudine di Cesare a
condividere la vita e i rischi dei militari, e anche l’incapacità dei Galli di agire
insieme.
Alla fine del 57 a.C. Cesare comunicò a Roma che la Gallia era pacificata,
anche se la parte centro-occidentale del paese rimaneva inesplorata dalla
parte romana.
La notizia dei successi di Cesare venne accolta con grande entusiasmo:
vennero celebrate cerimonie di ringraziamento di ben quindici giorni.
Mentre Crasso era in Siria, Pompeo era rimasto solo a Roma: nel 54 a.C.
vennero meno i legami familiari con Cesare, era infatti morta di parto la
moglie di Pompeo, Giulia, figlia del conquistatore della Gallia.
Nel 52 a.C., un anno dopo la morte di Crasso, Pompeo cominciò ad
avvicinarsi sempre di più alla fazione ottimata e anticesariana; nel frattempo
violenza e caos dilagavano a Roma: nel 53 a.C. i disordini impedirono di
eleggere i consoli, mentre l’anno seguente le bande di Clodio (candidato alla
pretura) e Milone (candidato al consolato) si affrontarono sulla via Appia.
Pompeo venne così dichiarato console senza collega: vennero votate leggi
repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che
consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento dell’ordine.
I nemici di Cesare nel frattempo avevano cominciato a tramare contro di lui,
in quanto la fine della sua carica si avvicinava: egli sarebbe tornato privato
cittadino nel 50 o al massimo nel 49 a.C., e in quelle vesti si sarebbe potuto
condannarlo per il modo con cui aveva condotto la guerra e sulla stessa
legittimità di questa.
Cesare voleva dunque ottenere il consolato, per il quale aveva ottenuto la
possibilità di presentare la candidatura anche se assente da Roma (la legge
era stata votata dai tribuni della plebe nel 52 a.C.).
Nel 52 a.C. Pompeo aveva però introdotto una legge per cui sarebbe servito
un intervallo di cinque anni tra una magistratura e una promagistratura; una
norma indirizzata contro gli arrivisti, che si indebitavano per ottenere pretura
e consolato.
Cesare a questo punto si trovava in una posizione complessa, infatti anche
ottenendo il consolato sarebbe divenuto privato cittadino l’anno dopo;
Pompeo invece si era fatto esentare da questa legge e si fece prorogare di
cinque anni il proconsolato in Spagna (pur potendo restare a Roma), non gli
riuscì invece di togliere a Cesare l’esenzione della candidatura a distanza.
Dal 51 a.C. cominciò una lotta fatta di cavilli tecnici e legali tra Cesare, che
voleva l’estensione del suo comando sino al 49 a.C (per potersi candidare
nel 48 a.C.), e i suoi nemici, che volevano invece sostituirlo già nel 50 a.C.
Con le nuove norme Cesare, divenuto console, avrebbe perso il controllo
della provincia a favore di qualcuno che aveva esercitato una magistratura
cinque anni prima; con le vecchie norme la Gallia sarebbe stata provincia
consolare e Cesare l’avrebbe potuta controllare.
Esisteva però anche una terza fazione in senato, quella di chi, come Caio
Scribonio Curione, proponeva (50 a.C.) che entrambi i proconsoli
deponessero le loro cariche: una posizione che divenne maggioranza in
senato.
Questi sono anche gli anni in cui Cicerone parla di concordia, del consenso
della gente dabbene (consensum bonorum) e di un mediatore super partes nel
ruolo di princeps, nei suoi De republica e De legibus.
Poco importante se Cicerone pensasse a Pompeo, o a se’ stesso, quello che
conta è che si avverta a Roma la necessità di una pace sociale nel nome della
legge.
All’inizio del 49 a.C. Cesare si mosse verso i suoi quartieri invernali a
Ravenna, dove inviò una lettera al senato in cui diceva che avrebbe deposto il
suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto.
Sostenuto da due tribuni (tra cui Marco Antonio), contro Cesare venne
proclamato il senatus consultum ultimum: Pompeo e i due consoli vennero
posti a tutela dello Stato.
Cesare decise allora di valicare il Rubicone, il confine tra Gallia Cisalpina e
territorio civico di Roma, dando inizio alla guerra civile; Pompeo scappò
invece in Oriente.
Cesare si diresse verso Roma, ed in seguito cercò di raggiungere Pompeo, che
però era già passato in Grecia partendo da Brindisi: da qui egli sperava di
potere impoverire l’Italia e ottenere l’appoggio dei suoi sostenitori.
Sostato per poco a Roma, Cesare si mosse subito verso la Spagna per
sconfiggere i sostenitori di Pompeo lì presenti (sulla strada espugnò
Marsiglia, rimasta pericolosamente neutrale): nella battaglia di Ilerda (49
a.C.) Cesare ottenne la prima grande vittoria.
Tornato a Roma sul finire dell’anno, Cesare ottenne la dittatura grazie al
pretore Marco Emilio Lepido; egli aveva solo lo scopo di convocare i comizi
elettorali (dictator comitiorum hebendorum causa), riuniti nel 48 a.C.
Pompeo aveva nel frattempo stabilito la sua base operativa in Tessaglia,
inviando invece la sua flotta a controllare l’Adriatico per impedire lo sbarco
di Cesare, che riuscì comunque a portare sette legioni a Durazzo, che venne
assediata senza successo.
Cesare si mosse dunque verso la Tessaglia inseguito da Pompeo: nella
battaglia di Farsalo (Agosto 48 a.C.) le truppe pompeiane vennero spazzate
via da quelle cesariane.
Pompeo scappò in Egitto, dove sperava di trovare rifugio presso i figli di
Tolemeo XII l’Aulete: tuttavia nel paese erano in corso dei conflitti dinastici
tra il giovane Tolemeo XIII e la sorella Cleopatra VII (che l’Aulete aveva
indicato come erede).
I consiglieri di Tolemeo XIII convinsero il sovrano che sarebbe stato troppo
rischioso dare rifugio a Pompeo, che venne ucciso a Pelusio; quando Cesare
giunse ad Alessandria ebbe modo di conoscere la misera fine del rivale.
Cesare rimase in Egitto un anno (48-47 a.C.), cercando di risolvere la contesa
fra i due fratelli: tuttavia egli venne assediato ad Alessandria dai sostenitori
di Tolemeo XIII, che vennero sbaragliati all’arrivo dei soldati cesariani (nella
fuga verso il Nilo anche il faraone perse la vita).
Cleopatra VII, che diede a Cesare un figlio di nome Tolemeo Cesare, venne
confermata sul trono egiziano assieme al giovane fratello Tolemeo XIV.
Nel frattempo il figlio del grande Mitridate, Farnace, cercò di approfittare
della confusione per rioccupare i territori paterni: Cesare lo affrontò nella
battaglia di Zela (47 a.C.), dove Farnace venne distrutto.
Nell’autunno del 47 a.C. Cesare si fermò brevemente a Roma (i soldati videro
così venire meno la possibilità del congedo), ed in seguito si mosse verso
l’Africa, dove i pompeiani avevano trovato l’appoggio di Giuba re della
Numidia.
Cesare sconfisse i nemici nella battaglia di Tapso (46 a.C.), dopo la quale
Giuba si tolse la vita e la Numidia divenne provincia romana (l’Africa nova).
I superstiti si riorganizzarono intorno ai due figli di Pompeo, Cneo e Sesto,
che si stabilirono in Spagna: qui vennero raggiunti da Cesare, che distrusse il
loro esercito nella battaglia di Munda (45 a.C.), alla quale Sesto Pompeo
riuscì a sopravvivere.