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Maddalena Proti
1) Introduzione
Una delle più clamorose sconfitte subite dall’impero romano, la quale viene ricordata ancora oggi,
avvenne nel 9 d.C. nei pressi della selva di Teutoburgo. Il sito esatto della battaglia è tuttora
sconosciuto. Roma si trovava nel fiore dei suoi primi anni imperiali. Al comando del generale Publio
Quintilio Varo tre legioni romane vennero attaccate a sorpresa e completamente distrutte dalle
truppe germaniche guidate da Arminio, principe dei Cherusci. Teutoburgo ha una importanza
storica enorme: fu, infatti, il segnale chiaro e inequivoco – analogamente a Carre sessantadue anni
prima all'altro capo dell'impero - dei limiti oggettivi, e non valicabili se non con grande rischio, della
possibilità di espansione romana.
2) Testi Cassio Dione (il tradimento di Arminio e la disfatta di Teutoburgo)
BIOGRAFIA: Cassio Dione Cocceiano nasce intorno al 155 a Nicea in Bitinia. Rampollo di una
famiglia altolocata, riceve una solida educazione, comprendente anche studi di diritto che
influenzeranno lo stile delle sue opere. Svolge una brillante carriera al servizio dell’impero, venendo
nominato senatore in giovane età e due volte console. Muore a Nicea intorno al 230.
Questi due passi sono tratti dalla “Storia romana” di Cassio Dione. L’opera, a cui l’autore ha atteso
per più di trent’anni, segue il metodo annalistico ed è scandita per decadi e pentadi. E’ suddivisa in
ottanta libri che possediamo solo in parte e che coprono un arco temporale che va dall’arrivo di Enea
in Italia al 229 d.C., nel corso del principato di Severo Alessandro. All’interno del libro LVI da
capitolo 18 a 24 si narra di come Quintilio Varo venne sconfitto dai Germani e morì. Il primo brano
è tratto dal capitolo 19, il secondo dal capitolo 21.
ἦσαν δὲ οἱ μάλιστα συνομόσαντες καὶ ἀρχηγοὶ τῆς τε ἐπιβουλῆς καὶ τοῦ πολέμου γενόμενοι
ἄλλοι τε καὶ Ἀρμήνιος καὶ Σηγίμερος, συνόντες τε αὐτῷ ἀεὶ καὶ συνεστιώμενοι πολλάκις.
θαρσοῦντος οὖν αὐτοῦ, καὶ μήτε τι δεινὸν προσδεχομένου, καὶ πᾶσι τοῖς τό τε γιγνόμενον
ὑποτοποῦσι καὶ φυλάττεσθαί οἱ παραινοῦσιν οὐχ ὅπως ἀπιστοῦντος ἀλλὰ καὶ ἐπιτιμῶντος ὡς
μάτην αὐτοῖς τε ταραττομένοις καὶ ἐκείνους διαβάλλουσιν, ἐπανίστανταί τινες πρῶτοι τῶν
ἄπωθεν αὐτοῦ οἰκούντων ἐκ παρασκευῆς.
E coloro che diventarono complici assai incalliti e autori sia della congiura sia della guerra erano fra
gli altri Armenio e Sigimero, i quali lo (Varo) accompagnavano sempre e banchettavano spesso con
lui. Quando lui dunque ripose la propria fiducia (in loro), e non si aspettava niente di male, e poiché
non solo non si fidava di tutti coloro che sospettavano ciò che stava succedendo e (non si fidava di
tutti coloro che) lo esortavano a guardarsi le spalle, ma anche rimproverava loro persino il fatto di
creare del tutto inutilmente scompiglio e di calunniare quelli (i Germani), insorsero per primi alcuni
fra coloro che abitavano lontano da lui con premeditazione.
τοῖς γὰρ πολεμίοις, ψιλοῖς τε τὸ πλεῖστον οὖσι καὶ τὴν ἐξουσίαν καὶ τῆς ἐφόδου καὶ τῆς
ἀναχωρήσεως ἀδεᾶ ἔχουσιν, ἧττόν που ταῦτα συνέβαινε. πρὸς δ' ἔτι αὐτοί τε πολὺ πλείους
γεγονότες (καὶ γὰρ τῶν ἄλλων τῶν πρότερον περισκοπούντων συχνοὶ ἄλλως τε καὶ ἐπὶ τῇ λείᾳ
συνῆλθον) καὶ ἐκείνους ἐλάττους ἤδη ὄντας (πολλοὶ γὰρ ἐν ταῖς πρὶν μάχαις ἀπωλώλεσαν) καὶ
ἐκυκλοῦντο ῥᾷον καὶ κατεφόνευον, ὥστε καὶ τὸν Οὐᾶρον καὶ τοὺς ἄλλους τοὺς λογιμωτάτους,
φοβηθέντας μὴ ἤτοι ζωγρηθῶσιν ἢ καὶ πρὸς τῶν ἐχθίστων ἀποθάνωσι (καὶ γὰρ τετρωμένοι
ἦσαν), ἔργον δεινὸν μὲν ἀναγκαῖον δὲ τολμῆσαι· αὐτοὶ γὰρ ἑαυτοὺς ἀπέκτειναν.
Ai nemici, a mio avviso, accadevano in misura minore questi inconvenienti, dato che per lo più erano
armati alla leggera e dato che avevano la possibilità sia di attaccare e di ritirarsi liberamente. Oltre a
ciò, quelli divenuti molti di più (e, infatti, fra i restanti che inizialmente stavano esaminando la
situazione numerosi, in un secondo momento, parteciparono allo scontro per il bottino) sia
circondavano facilmente sia massacravano quelli che erano già inferiori di numero (molti infatti
nelle prime battaglie erano morti), cosicché sia Varo e gli altri più illustri ufficiali, temendo di o
essere catturati vivi o di morire per mano dei loro più acerrimi nemici (infatti, erano anche stati
feriti), ebbero l’ardire di compiere un’azione terribile, ma necessaria: loro, infatti, si diedero la morte
da sé.
STILE: Cassio Dione usa uno stile accurato, ravvivato da numerosi artifici retorici, che si
concentrano soprattutto nelle scene drammatiche, ricche di pathos. La sua prosa è improntata a un
atticismo moderato che mostra di conoscere bene Demostene e Tucidide. Lo stile è vario in relazione
alle fonti usate: talora piano e semplice, talora, quando non riesce a riprodurre l’arditezza stilistica
dei modelli, oscuro. Si segnalano in particolare: antitesi, parallelismi, omoteleuti, participi
sostantivati, frequenti incisi e considerazioni personali.
3) La battaglia
Arminio era stato condotto a Roma sin dall'8 a.C. e lì educato e addestrato nell'ambito di quella
scuola militare «di eccellenza» che era l'esercito romano. Dal 4 al 6 d.C. fu tribunus militum e durante
la campagna di Tiberio contro i Germani combatté nei ranghi dell'esercito romano. Per i suoi meriti
in quelle campagne si guadagnò la cittadinanza romana e il rango equestre. L'ostilità di Arminio
contro i Romani venne maturando quando Quintilio Varo promosse una romanizzazione forzata
(nel campo del diritto innanzitutto) nell'ampia area germanica in quel periodo sotto controllo
romano. Il passaggio dall'altra parte fu dunque, nel caso di Arminio, un gesto che dal punto di vista
di Roma era un tradimento, dal punto di vista di una (ipotizzata) coscienza nazionale germanica un
atto di guerriglia e di liberazione nazionale.
Cassio Dione descrive punto per punto lo svolgimento della battaglia e i motivi per cui i Romani
sono stati sconfitti. All’inizio del capitolo 18 Cassio Dione sottolinea come l’impero, già prima del 9
d.C., non sia mai riuscito a conquistare completamente o comunque in maniera stabile l’intera
Germania. Il territorio che rimane escluso è la Germania magna a est del Reno. Inizialmente i Germani
vivono in pace con i Romani e perdono progressivamente le proprie tradizioni, omologandosi col
popolo nemico. Quando, però, Quintilio Varo promuove una romanizzazione forzata, i Germani si
ribellano. Questi, dopo aver convinto Varo a recarsi nella terra dei Cherusci, lo trattano in modo così
amichevole che lui stesso decide di distribuire i propri soldati alle tribù barbare che ne hanno
bisogno. In un secondo momento questo atto si rivela fatale. I soldati romani, una volta separati
dalle proprie legioni e resi in questo modo più vulnerabili, vengono uccisi. Gli altri Romani che sono
in viaggio si trovano in difficoltà a causa del terreno sconnesso, dei dirupi e della fitta vegetazione,
a cui si aggiunge il clima turbolento. Inoltre, non conoscendo il territorio, essendo numericamente
inferiori, con carri, bestie, donne e bambini al seguito, e procedendo in gruppi separati, vengono
facilmente raggiunti dai Germani. Questi, viceversa, conoscendo molto bene il terreno d’azione,
essendo numericamente superiori e armati alla leggera, accerchiano il nemico che ha serrato i ranghi
in un luogo angusto da cui è impossibile fuggire. Dopo di ciò, considerando la propria fine
imminente, molti Romani si uccidono o si fanno uccidere dai propri compagni.
Questo passo è tratto dalla fine del capitolo ventitreesime dell’opera De Vita Caesarum, raccolta di
dodici biografie (da quella di Giulio Cesare a Domiziano) in otto libri completamente pervenutici,
eccettuati i capitoli introduttivi e la dedica. L’opera fu pubblicata per la prima volta tra il 119 e il 122.
Adeo denique consternatum ferunt, ut per continuos menses barba capilloque summisso caput
interdum foribus illideret, uociferans: "Quintili Vare, legiones redde!" diemque cladis quotannis
maestum habuerit ac lugubrem.
Riferiscono finalmente che (egli) ne prese tanta malinconia e dispiacere, che, lasciati crescere per
parecchi mesi di seguito la barba e i capelli, una volta si batteva il capo negli stipiti della porta,
gridando ad alta voce:” O Quintilio Varo, rendimi le (mie) legioni!”. Dicono anche che considerò
l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e di tristezza.
STILE: Il linguaggio è sobrio e asciutto, alieno dalle ricercatezze arcaizzanti e dai preziosismi
moderni, aperto ai modi colloquiali, ma senza rinunciare al decoro. Svetonio mantiene una scrittura
la cui vivacità narrativa è il pregio che maggiormente compensa i limiti dell’opera come la
superficialità dell’analisi storica e psicologica.
BIOGRAFIA: Publio Cornelio Tacito nasce intorno al 55, probabilmente in Gallia Narbonese da una
famiglia di condizione equestre. Nel 78 sposa la figlia di Gneo Giulio Agricola, autorevole statista e
generale che lo sostiene nella carriera politica. Riveste diverse cariche tra cui quella di consul suffectus
e di proconsole. Muore probabilmente nel 117.
Il brano è tratto dal capitolo 88 del II libro degli Annales. L’opera, divisa in 16 o 18 libri e composta
fra 110 e 117, narra dalla morte di Augusto fino al principato di Nerone. Il metodo utilizzato è quello
annalistico. Tacito inizia la narrazione da quando, secondo lui, è iniziato il principato, ovvero sotto
Augusto. Costui, infatti, si era posto come defensor rei publicae proponendo di restaurare la
repubblica: alla sua morte, quindi, formalmente si sarebbe dovuta ristabilire la repubblica. Così non
fu e da qui iniziò la crisi.
Presso gli scrittori e i senatori dei medesimi tempi trovo che fu letta in senato una lettera di
Adgandestrio, principe dei Catti, in cui prometteva la morte di Arminio, se gli fosse inviato il veleno
per eseguire l’uccisione, e che fu risposto che non con la frode né con mezzi occulti, ma apertamente
e con le armi in pugno il popolo romano prendeva vendetta dei suoi nemici. Per questo nobile gesto
Tiberio si eguagliava agli antichi comandanti, che avevano rifiutato il veleno contro il re Pirro e gli
avevano rivelato le trame a suo danno. Ma Arminio, allontanandosi i Romani e scacciato Maroboduo
(re degli Svevi), aspirando al regno, ebbe contro di sé lo spirito di libertà dei suoi connazionali e,
aggredito con le armi, combattendo con varia fortuna, cadde per il tradimento dei suoi congiunti.
Liberatore senza dubbio della Germania e tale che sfidò non gli inizi del popolo romano, come altri
re e condottieri, ma un impero al colmo della sua potenza, con alterna fortuna nelle battaglie, non
vinto in guerra, trascorse trentasette anni di vita, dodici al potere e ancor oggi è ricordato nei canti
presso i popoli barbari, ignoto agli annali dei Greci, che ammirano solo le proprie gesta, non
celebrato come meriterebbe neppure tra noi Romani, poco attenti ai fatti recenti, mentre esaltiamo i
fatti antichi.
STILE: Negli Annales lo stile di Tacito è conciso e austero. Nei libri precedenti al XIII si nota la
ricerca dello ‘straniamento’ che si esprime nella predilezione per forme inusitate, arcaiche e solenni,
ricche di potenza. E’ insistente l’uso della variatio che denota il gusto per l’inconcinnitas. Si fa largo
uso di frasi brevi e sentenziose, per conferire pathos e velocità alla narrazione tramite: espressioni
ellittiche, costruzioni asindetiche e brachilogie. Questo ha implicato una condensazione rispetto al
linguaggio tradizionale. Tacito riprende Sallustio accentuando la tensione fra gravitas arcaizzante e
pathos drammatico, oltre a essere influenzato dalla coloritura poetica virgiliana, lucanea e senecana.
Al termine del secondo libro degli Annales Tacito, prima della descrizione della morte di Arminio,
inserisce anche un ritratto di Germanico, quasi a voler suggerire un confronto, sebbene non esplicito.
Nel capitolo 71 del secondo libro l’autore parla della morte del condottiero romano. Questo, dopo
la sfolgorante carriera in Germania, viene inviato da Tiberio in Siria. Poco dopo il proprio arrivo,
Germanico cade malato ad Antiochia e muore il 10 ottobre dopo lunghe sofferenze; prima di spirare,
lo stesso Germanico confessa la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone,
governatore della regione, e dalla moglie di lui Plancina e rivolge un'ultima preghiera ad Agrippina
e ai propri amici affinché vendichino la propria morte. Officiati i funerali, dunque, Agrippina
Maggiore torna con le ceneri del marito a Roma, dove grandissimo è il compianto di tutto il popolo
per il defunto. Tiberio, tuttavia, evita di manifestare pubblicamente i propri sentimenti e non
partecipa neppure alla cerimonia in cui le ceneri di Germanico vengono riposte nel mausoleo di
Augusto. Germanico potrebbe essere deceduto di morte naturale, ma subito si manifesta il sospetto,
alimentato dalle parole pronunciate da Germanico morente, che sia stato Pisone a causarne la morte
avvelenandolo. Si diffonde, poi, anche la voce di un coinvolgimento dello stesso Tiberio, quasi fosse
il mandante del delitto di Germanico, avendo scelto personalmente di inviare Pisone in Siria.
Quando lo stesso Pisone viene processato, accusato anche di aver commesso numerosi reati in
precedenza, l'imperatore tiene un discorso particolarmente moderato, in cui evita di schierarsi a
favore o contro la condanna del governatore. A Pisone non può comunque essere imputata l'accusa
di veneficio, che appare, anche agli accusatori, impossibile da dimostrare. Il governatore, tuttavia,
certo di dover essere condannato per gli altri reati commessi, decide di suicidarsi prima del verdetto.
Nel dare conto del funerale di Germanico tenutosi ad Antiochia, Tacito, nel capitolo 73 del libro II,
riferisce le lodi dell’«opinione pubblica» nei confronti del condottiero romano, suggestionata
dall’analogia fra la sua sorte e quella di Alessandro Magno morto a 33 anni, il cui mito è radicato nel
mondo ellenistico. Ne scaturisce una sorta di sýnkrisis (in greco «confronto») Germanico-Alessandro,
del tipo utilizzato da Plutarco nelle sue Vite parallele. Tacito è interessato all' ethos di Germanico
(«buono verso gli amici, misurato nei piaceri, sposato una sola volta e con figli legittimi»: Annales
II, 73, 3). Se fosse stato sovrano, egli sarebbe stato migliore del Macedone, perché guerriero
paragonabile a quello, ma superiore a lui in clemenza e moderazione. Egli ha rinunciato al potere, il
che per Tacito è la caratteristica di chi veramente ha le qualità per regnare. Il secondo libro, però, si
conclude con l’annuncio della morte di Arminio, un barbaro. Da un lato, Tacito non può nascondere
una certa ammirazione per gli uomini che hanno tanto a cuore la libertà, valore piuttosto marginale
nella Roma imperiale -non dimentichiamo che Tacito esalta Nerva e Traiano come coloro che hanno
saputo coniugare libertas e principatum-, ma che aveva reso grande Roma alle sue origini. Dall’altro,
pur senza mettere in dubbio la legittimità del potere di Roma, è anche pronto a denunciarne la
durezza: la durezza, però, è forse insita in qualunque tipo di potere, giacché se ai barbari tocca il
duro romanum imperium, ai Romani stessi toccava in quei tempi il principato, ineludibile necessità
storica.
7) L’Hermannsdenkmal
L’Hermannsdenkmal è un monumento, realizzato fra 1838 e 1875 da Ernst von Bandel, che celebra
la figura di Arminio e la vittoria sui romani. E’ situato nella parte meridionale della foresta di
Teutoburgo a Detmold. I materiali utilizzati sono pietra arenaria, tubi di ferro e lastre di rame.
L’opera ha un’altezza complessiva di 53,46 metri, di cui 26,89 di basamento e 26,57 di statua. Il
monumento a Ermanno voleva essere il simbolo dell’eterna forza giovanile della Germania e ancor
oggi l’eroe si erge, sguainando la spada, pronto a dare battaglia in qualsiasi momento; il massiccio
piedistallo che lo sorregge stava a simboleggiare la forza del barbaro vincitore delle legioni romane.
Il piedistallo della statua ha una sagoma vagamente piramidale, molto usata da chi voleva dare
l’impressione di forza massiccia. Il paesaggio in cui l’opera è collocata esalta il suo significato
simbolico e forma un tutt’unico con la statua che domina una collina nella foresta di Teutoburgo. I
nazisti non amarono questo monumento perché eclettico, mal proporzionato e realizzato in stile
gotico considerato da Hitler inadatto per i tempi moderni che dovevano, invece, essere rappresentati
da un’arte classica. L’Hermannsdenkamal, però, colpì il Fϋhrer per la propria monumentalità e per
il modo in cui ne fu possibile la realizzazione. Bandel, ossessionato dalla costruzione di quest’opera
ma non avendo i fondi necessari per realizzarla, scrisse al migliore scolaro di ogni scuola superiore
tedesca per sollecitarlo a raccogliere il denaro per questo “fatto nazionale”. L’appello riscosse
successo e una parte dell’immediata popolarità che arrise al monumento può essere attribuita al
fatto che una larga porzione della gioventù tedesca aveva contribuito alla costruzione. Bandel, allora,
sorpreso dell’attiva partecipazione, affermò con orgoglio che l’”Hermannsdenkmal è il primo
monumento nazionale eretto da tutto il popolo tedesco”. L’attiva partecipazione del pubblico fu
l’obiettivo precipuo della politica di Hitler. Egli stesso aveva commissionato in quel periodo la
costruzione di un immenso auditorium, per la realizzazione del quale si servì dello stesso metodo
di Bandel, ma al contrario di quale non aveva alcun bisogno di denaro. Aveva, invece, intenzione di
instillare negli animi dei giovani un nazionalismo esasperato portato agli estremi dalla larga
adesione a esso.
10) Bibliografia
• Cassio Dione, Storia Romana, libro LVI, BUR Rizzoli, 2019
• Tacito, Annali libro I e II, Arnoldo Mondatori Editore, 1944
• Svetonio, Le vite dei dodici Cesari vita di Augusto, Editoriale Romana, 1944
• George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Società editrice il Mulino, 1974
• Luciano Canfora, Quello slancio nazionalistico che resiste nei secoli: dalla selva di
Teutoburgo alle guerre moderne, Corriere della Sera, 27 giugno 2012
• Taino Danilo, Arminio: l'eroe germanico che imbarazza i tedeschi, Corriere della Sera, 9
settembre 2009
• Pasquale Martino, Germanico e Arminio. Ritratti paralleli in Tacito, da Tacito: Antologia di
passi tratti dalle opere storiografiche e dal Dialogus de oratoribus, G. D’Anna, Messina-
Firenze, 2008
• Elena Percivaldi, Un mito controverso – “Hermann”, 15 luglio 2013,
https://studiahumanitatispaideia.wordpress.com/2013/07/15/un-mito-controverso-
hermann/
• Alessio Palazzo, 1984 di George Orwell ha condannato l’abuso politico e sociale della storia,
Il Superuovo ,15 gennaio 2021
• George Orwell, 1984, Mondadori, 2017
• Gian Biagio Cont,e Emilio Pianezzola, Lezioni di letteratura latina 3, Le Monnier Scuola, 2010
• Antonietta Porro, Walter Lapini, Claudio Bevegni, Letteratura greca 3, Loescher Editore,
2012