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"La battaglia di Teutoburgo e il mito

politico di Arminio: l’ Hermannsdenkmal e


la strumentalizzazione della storia"

Maddalena Proti

Liceo Classico “Marie Curie” Meda


Classe 5AC
Anno scolastico 2020/2021

Elaborato per il colloquio orale dell’Esame di Stato


(O.M. Esami di Stato 2021, Art. 18, comma 1, lettera a)
INDICE
1) Introduzione
2) Testi di Cassio Dione
3) La battaglia
4) Testi di Svetonio e Tacito
5) Riscossa romana: Germanico e Arminio
6) Le radici di un mito controverso
7) L’Hermannsdenkmal
8) Arminio: un’interpretazione televisiva (“Barbari”
serie tv, 2020)
9) Moniti alla strumentalizzazione della storia (“1984”
by George Orwell)
10) Bibliografia

1) Introduzione
Una delle più clamorose sconfitte subite dall’impero romano, la quale viene ricordata ancora oggi,
avvenne nel 9 d.C. nei pressi della selva di Teutoburgo. Il sito esatto della battaglia è tuttora
sconosciuto. Roma si trovava nel fiore dei suoi primi anni imperiali. Al comando del generale Publio
Quintilio Varo tre legioni romane vennero attaccate a sorpresa e completamente distrutte dalle
truppe germaniche guidate da Arminio, principe dei Cherusci. Teutoburgo ha una importanza
storica enorme: fu, infatti, il segnale chiaro e inequivoco – analogamente a Carre sessantadue anni
prima all'altro capo dell'impero - dei limiti oggettivi, e non valicabili se non con grande rischio, della
possibilità di espansione romana.
2) Testi Cassio Dione (il tradimento di Arminio e la disfatta di Teutoburgo)
BIOGRAFIA: Cassio Dione Cocceiano nasce intorno al 155 a Nicea in Bitinia. Rampollo di una
famiglia altolocata, riceve una solida educazione, comprendente anche studi di diritto che
influenzeranno lo stile delle sue opere. Svolge una brillante carriera al servizio dell’impero, venendo
nominato senatore in giovane età e due volte console. Muore a Nicea intorno al 230.

Questi due passi sono tratti dalla “Storia romana” di Cassio Dione. L’opera, a cui l’autore ha atteso
per più di trent’anni, segue il metodo annalistico ed è scandita per decadi e pentadi. E’ suddivisa in
ottanta libri che possediamo solo in parte e che coprono un arco temporale che va dall’arrivo di Enea
in Italia al 229 d.C., nel corso del principato di Severo Alessandro. All’interno del libro LVI da
capitolo 18 a 24 si narra di come Quintilio Varo venne sconfitto dai Germani e morì. Il primo brano
è tratto dal capitolo 19, il secondo dal capitolo 21.

ἦσαν δὲ οἱ μάλιστα συνομόσαντες καὶ ἀρχηγοὶ τῆς τε ἐπιβουλῆς καὶ τοῦ πολέμου γενόμενοι
ἄλλοι τε καὶ Ἀρμήνιος καὶ Σηγίμερος, συνόντες τε αὐτῷ ἀεὶ καὶ συνεστιώμενοι πολλάκις.
θαρσοῦντος οὖν αὐτοῦ, καὶ μήτε τι δεινὸν προσδεχομένου, καὶ πᾶσι τοῖς τό τε γιγνόμενον
ὑποτοποῦσι καὶ φυλάττεσθαί οἱ παραινοῦσιν οὐχ ὅπως ἀπιστοῦντος ἀλλὰ καὶ ἐπιτιμῶντος ὡς
μάτην αὐτοῖς τε ταραττομένοις καὶ ἐκείνους διαβάλλουσιν, ἐπανίστανταί τινες πρῶτοι τῶν
ἄπωθεν αὐτοῦ οἰκούντων ἐκ παρασκευῆς.

E coloro che diventarono complici assai incalliti e autori sia della congiura sia della guerra erano fra
gli altri Armenio e Sigimero, i quali lo (Varo) accompagnavano sempre e banchettavano spesso con
lui. Quando lui dunque ripose la propria fiducia (in loro), e non si aspettava niente di male, e poiché
non solo non si fidava di tutti coloro che sospettavano ciò che stava succedendo e (non si fidava di
tutti coloro che) lo esortavano a guardarsi le spalle, ma anche rimproverava loro persino il fatto di
creare del tutto inutilmente scompiglio e di calunniare quelli (i Germani), insorsero per primi alcuni
fra coloro che abitavano lontano da lui con premeditazione.

τοῖς γὰρ πολεμίοις, ψιλοῖς τε τὸ πλεῖστον οὖσι καὶ τὴν ἐξουσίαν καὶ τῆς ἐφόδου καὶ τῆς
ἀναχωρήσεως ἀδεᾶ ἔχουσιν, ἧττόν που ταῦτα συνέβαινε. πρὸς δ' ἔτι αὐτοί τε πολὺ πλείους
γεγονότες (καὶ γὰρ τῶν ἄλλων τῶν πρότερον περισκοπούντων συχνοὶ ἄλλως τε καὶ ἐπὶ τῇ λείᾳ
συνῆλθον) καὶ ἐκείνους ἐλάττους ἤδη ὄντας (πολλοὶ γὰρ ἐν ταῖς πρὶν μάχαις ἀπωλώλεσαν) καὶ
ἐκυκλοῦντο ῥᾷον καὶ κατεφόνευον, ὥστε καὶ τὸν Οὐᾶρον καὶ τοὺς ἄλλους τοὺς λογιμωτάτους,
φοβηθέντας μὴ ἤτοι ζωγρηθῶσιν ἢ καὶ πρὸς τῶν ἐχθίστων ἀποθάνωσι (καὶ γὰρ τετρωμένοι
ἦσαν), ἔργον δεινὸν μὲν ἀναγκαῖον δὲ τολμῆσαι· αὐτοὶ γὰρ ἑαυτοὺς ἀπέκτειναν.

Ai nemici, a mio avviso, accadevano in misura minore questi inconvenienti, dato che per lo più erano
armati alla leggera e dato che avevano la possibilità sia di attaccare e di ritirarsi liberamente. Oltre a
ciò, quelli divenuti molti di più (e, infatti, fra i restanti che inizialmente stavano esaminando la
situazione numerosi, in un secondo momento, parteciparono allo scontro per il bottino) sia
circondavano facilmente sia massacravano quelli che erano già inferiori di numero (molti infatti
nelle prime battaglie erano morti), cosicché sia Varo e gli altri più illustri ufficiali, temendo di o
essere catturati vivi o di morire per mano dei loro più acerrimi nemici (infatti, erano anche stati
feriti), ebbero l’ardire di compiere un’azione terribile, ma necessaria: loro, infatti, si diedero la morte
da sé.

STILE: Cassio Dione usa uno stile accurato, ravvivato da numerosi artifici retorici, che si
concentrano soprattutto nelle scene drammatiche, ricche di pathos. La sua prosa è improntata a un
atticismo moderato che mostra di conoscere bene Demostene e Tucidide. Lo stile è vario in relazione
alle fonti usate: talora piano e semplice, talora, quando non riesce a riprodurre l’arditezza stilistica
dei modelli, oscuro. Si segnalano in particolare: antitesi, parallelismi, omoteleuti, participi
sostantivati, frequenti incisi e considerazioni personali.
3) La battaglia
Arminio era stato condotto a Roma sin dall'8 a.C. e lì educato e addestrato nell'ambito di quella
scuola militare «di eccellenza» che era l'esercito romano. Dal 4 al 6 d.C. fu tribunus militum e durante
la campagna di Tiberio contro i Germani combatté nei ranghi dell'esercito romano. Per i suoi meriti
in quelle campagne si guadagnò la cittadinanza romana e il rango equestre. L'ostilità di Arminio
contro i Romani venne maturando quando Quintilio Varo promosse una romanizzazione forzata
(nel campo del diritto innanzitutto) nell'ampia area germanica in quel periodo sotto controllo
romano. Il passaggio dall'altra parte fu dunque, nel caso di Arminio, un gesto che dal punto di vista
di Roma era un tradimento, dal punto di vista di una (ipotizzata) coscienza nazionale germanica un
atto di guerriglia e di liberazione nazionale.

Cassio Dione descrive punto per punto lo svolgimento della battaglia e i motivi per cui i Romani
sono stati sconfitti. All’inizio del capitolo 18 Cassio Dione sottolinea come l’impero, già prima del 9
d.C., non sia mai riuscito a conquistare completamente o comunque in maniera stabile l’intera
Germania. Il territorio che rimane escluso è la Germania magna a est del Reno. Inizialmente i Germani
vivono in pace con i Romani e perdono progressivamente le proprie tradizioni, omologandosi col
popolo nemico. Quando, però, Quintilio Varo promuove una romanizzazione forzata, i Germani si
ribellano. Questi, dopo aver convinto Varo a recarsi nella terra dei Cherusci, lo trattano in modo così
amichevole che lui stesso decide di distribuire i propri soldati alle tribù barbare che ne hanno
bisogno. In un secondo momento questo atto si rivela fatale. I soldati romani, una volta separati
dalle proprie legioni e resi in questo modo più vulnerabili, vengono uccisi. Gli altri Romani che sono
in viaggio si trovano in difficoltà a causa del terreno sconnesso, dei dirupi e della fitta vegetazione,
a cui si aggiunge il clima turbolento. Inoltre, non conoscendo il territorio, essendo numericamente
inferiori, con carri, bestie, donne e bambini al seguito, e procedendo in gruppi separati, vengono
facilmente raggiunti dai Germani. Questi, viceversa, conoscendo molto bene il terreno d’azione,
essendo numericamente superiori e armati alla leggera, accerchiano il nemico che ha serrato i ranghi
in un luogo angusto da cui è impossibile fuggire. Dopo di ciò, considerando la propria fine
imminente, molti Romani si uccidono o si fanno uccidere dai propri compagni.

4) Testi Svetonio e Tacito (la reazione di Augusto e la figura di Arminio)


BIOGRAFIA: Gaio Svetonio Tranquillo nacque forse dopo il 70 d.C. da una famiglia di rango
equestre di modesta condizione. Per un breve lasso di tempo svolse l’attività forense e dopo entrò a
corte in qualità di funzionario. Sotto Traiano fu preposto alla cura delle biblioteche pubbliche,
mentre sotto Adriano fu addetto all’archivio imperiale e alla corrispondenza del principe. La sua
brillante carriera burocratica si interruppe nel 122 quando cadde in disgrazia. Dopo
l’allontanamento da corte si persero le sue tracce e non si conosce la data della sua morte.

Questo passo è tratto dalla fine del capitolo ventitreesime dell’opera De Vita Caesarum, raccolta di
dodici biografie (da quella di Giulio Cesare a Domiziano) in otto libri completamente pervenutici,
eccettuati i capitoli introduttivi e la dedica. L’opera fu pubblicata per la prima volta tra il 119 e il 122.
Adeo denique consternatum ferunt, ut per continuos menses barba capilloque summisso caput
interdum foribus illideret, uociferans: "Quintili Vare, legiones redde!" diemque cladis quotannis
maestum habuerit ac lugubrem.

Riferiscono finalmente che (egli) ne prese tanta malinconia e dispiacere, che, lasciati crescere per
parecchi mesi di seguito la barba e i capelli, una volta si batteva il capo negli stipiti della porta,
gridando ad alta voce:” O Quintilio Varo, rendimi le (mie) legioni!”. Dicono anche che considerò
l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e di tristezza.

STILE: Il linguaggio è sobrio e asciutto, alieno dalle ricercatezze arcaizzanti e dai preziosismi
moderni, aperto ai modi colloquiali, ma senza rinunciare al decoro. Svetonio mantiene una scrittura
la cui vivacità narrativa è il pregio che maggiormente compensa i limiti dell’opera come la
superficialità dell’analisi storica e psicologica.

BIOGRAFIA: Publio Cornelio Tacito nasce intorno al 55, probabilmente in Gallia Narbonese da una
famiglia di condizione equestre. Nel 78 sposa la figlia di Gneo Giulio Agricola, autorevole statista e
generale che lo sostiene nella carriera politica. Riveste diverse cariche tra cui quella di consul suffectus
e di proconsole. Muore probabilmente nel 117.

Il brano è tratto dal capitolo 88 del II libro degli Annales. L’opera, divisa in 16 o 18 libri e composta
fra 110 e 117, narra dalla morte di Augusto fino al principato di Nerone. Il metodo utilizzato è quello
annalistico. Tacito inizia la narrazione da quando, secondo lui, è iniziato il principato, ovvero sotto
Augusto. Costui, infatti, si era posto come defensor rei publicae proponendo di restaurare la
repubblica: alla sua morte, quindi, formalmente si sarebbe dovuta ristabilire la repubblica. Così non
fu e da qui iniziò la crisi.

Reperio apud scriptores senatoresque eorundem temporum Adgandestrii principis Chattorum


lectas in senatu litteras, quibus mortem Arminii promittebat si patrandae neci venenum mitteretur,
responsumque esse non fraude neque occultis, sed palam et armatum populum Romanum hostis
suos ulcisci. Qua gloria aequabat se Tiberius priscis imperatoribus qui venenum in Pyrrum regem
vetuerant prodiderantque. Ceterum Arminius abscedentibus Romanis et pulso Maroboduo regnum
adfectans libertatem popularium adversam habuit, petitusque armis cum varia fortuna certaret, dolo
propinquorum cecidit: liberator haud dubie Germaniae et qui non primordia populi Romani, sicut
alii reges ducesque, sed florentissimum imperium lacessierit, proeliis ambiguus, bello non victus.
septem et triginta annos vitae, duodecim potentiae explevit, caniturque adhuc barbaras apud gentis,
Graecorum annalibus ignotus, qui sua tantum mirantur, Romanis haud perinde celebris, dun vetera
extollimus recentium incuriosi.

Presso gli scrittori e i senatori dei medesimi tempi trovo che fu letta in senato una lettera di
Adgandestrio, principe dei Catti, in cui prometteva la morte di Arminio, se gli fosse inviato il veleno
per eseguire l’uccisione, e che fu risposto che non con la frode né con mezzi occulti, ma apertamente
e con le armi in pugno il popolo romano prendeva vendetta dei suoi nemici. Per questo nobile gesto
Tiberio si eguagliava agli antichi comandanti, che avevano rifiutato il veleno contro il re Pirro e gli
avevano rivelato le trame a suo danno. Ma Arminio, allontanandosi i Romani e scacciato Maroboduo
(re degli Svevi), aspirando al regno, ebbe contro di sé lo spirito di libertà dei suoi connazionali e,
aggredito con le armi, combattendo con varia fortuna, cadde per il tradimento dei suoi congiunti.
Liberatore senza dubbio della Germania e tale che sfidò non gli inizi del popolo romano, come altri
re e condottieri, ma un impero al colmo della sua potenza, con alterna fortuna nelle battaglie, non
vinto in guerra, trascorse trentasette anni di vita, dodici al potere e ancor oggi è ricordato nei canti
presso i popoli barbari, ignoto agli annali dei Greci, che ammirano solo le proprie gesta, non
celebrato come meriterebbe neppure tra noi Romani, poco attenti ai fatti recenti, mentre esaltiamo i
fatti antichi.

STILE: Negli Annales lo stile di Tacito è conciso e austero. Nei libri precedenti al XIII si nota la
ricerca dello ‘straniamento’ che si esprime nella predilezione per forme inusitate, arcaiche e solenni,
ricche di potenza. E’ insistente l’uso della variatio che denota il gusto per l’inconcinnitas. Si fa largo
uso di frasi brevi e sentenziose, per conferire pathos e velocità alla narrazione tramite: espressioni
ellittiche, costruzioni asindetiche e brachilogie. Questo ha implicato una condensazione rispetto al
linguaggio tradizionale. Tacito riprende Sallustio accentuando la tensione fra gravitas arcaizzante e
pathos drammatico, oltre a essere influenzato dalla coloritura poetica virgiliana, lucanea e senecana.

5) Riscossa romana: Germanico contro Arminio


La narrazione degli Annales inizia dalla morte di Augusto, sopraggiunta nel 14 d.C. Pur esponendo
fatti successivi al 9 d.C., la battaglia di Teutoburgo viene richiamata in causa nel corso del primo e
del secondo libro dell’opera. Dalla metà del primo libro Tacito rievoca quei tragici eventi per
l’impero, introducendo la figura di Germanico, colui che sarà il vendicatore della disfatta di
Teutoburgo. Inizialmente si delinea il rapporto di alleanza che intercorre fra Germanico e Segeste,
suocero di Arminio, e di come Segeste abbia tentato sei anni prima di avvisare Varo dell’inganno
ordito dai Germani, ma sia rimasto inascoltato. Da questi capitoli si inizia a comprendere la
personalità di Germanico, il cui ritratto, contenuto nel capitolo 73 del libro II, ne fa emergere ancora
più compiutamente la personalità. Infatti, dimostra clemenza verso la moglie di Arminio, figlia di
Segeste. Questa, molto più simile al marito che al padre e quindi profondamente ostile ai Romani,
non viene danneggiata in alcun modo, dopo essere stata catturata. Un atteggiamento diverso lo
riscontriamo in Arminio, il quale, dopo essere venuto a conoscenza della prigionia della moglie,
convince i Germani ad allearsi con lui e non con Segeste facendo leva sul sentimento di libertà e
dipingendo la sottomissione a Roma come una schiavitù infamante. Dalla sua parte si schierano
diversi popoli e suo zio, Inguiomero, da tempo autorevole presso i Romani. A questo punto i due
generali, Germanico e Arminio, coi rispettivi eserciti si mettono in marcia. Il primo arriva nella
località della disfatta romana e, trovate ancora le ossa delle legioni distrutte dissepolte, rende loro
gli estremi onori. La rabbia per quanto capitato sei anni prima esplode negli animi dei Romani. A
questo punto i due eserciti si fronteggiano l’uno contro l’altro. Inizialmente Arminio sembra avere
la meglio, ma grazie alla tattica di Germanico durante il primo scontro non ci sono né vincitori né
vinti. Durante i successivi attacchi tutto sembra a sfavore dei Romani: il pantano in cui non sono
abituati a combattere, le armature pesanti. I Germani sono avvantaggiati dall’alta statura e dalle
armi che possiedono, più adatte di quelle del nemico. Per la fortuna dei Romani il combattimento
viene interrotto dall’arrivo della notte. Nel corso di questa guerra vi sono numerosissimi momenti
critici. Uno di questi è il pericolo scampato da Cecina presso i pontes longi. Cecina, legato di
Germanico nella Germania inferior, sorpreso con le proprie legioni nella campagna del 15, durante
l'attraversamento dei cosiddetti pontes longi nelle zone acquitrinose tra il fiume Ems ed il Weser,
rischia di venire annientato da un attacco improvviso dei Germani. Prudentemente però egli, a
differenza di Varo, fa costruire un accampamento trincerato durante la sosta delle truppe, per cui
può respingere con successo l'attacco e successivamente allontanarsi. Altri due momenti
fondamentali sono la battaglia di Idistaviso e del Vallo angrivariano. Prima dei due scontri Arminio
ha la possibilità di parlare col fratello Flavo, alleato dei Romani sul fronte opposto della battaglia. Il
secondo sottolinea la grandezza di Roma, la clemenza di Germanico e il trattamento tutt’altro che
ostile riservato alla moglie e al figlio di Arminio. Il primo ricorda il valore dell’antica libertà e della
fedeltà alla patria. Anche da questi discorsi si evince quale sia il valore principale per Arminio: la
libertà. Dopo i faticosissimi scontri, i Romani riescono a vendicare la disfatta di Teutoburgo e
Germanico recupera due delle tre aquile legionarie perdute dai romani nella disfatta.

Al termine del secondo libro degli Annales Tacito, prima della descrizione della morte di Arminio,
inserisce anche un ritratto di Germanico, quasi a voler suggerire un confronto, sebbene non esplicito.
Nel capitolo 71 del secondo libro l’autore parla della morte del condottiero romano. Questo, dopo
la sfolgorante carriera in Germania, viene inviato da Tiberio in Siria. Poco dopo il proprio arrivo,
Germanico cade malato ad Antiochia e muore il 10 ottobre dopo lunghe sofferenze; prima di spirare,
lo stesso Germanico confessa la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone,
governatore della regione, e dalla moglie di lui Plancina e rivolge un'ultima preghiera ad Agrippina
e ai propri amici affinché vendichino la propria morte. Officiati i funerali, dunque, Agrippina
Maggiore torna con le ceneri del marito a Roma, dove grandissimo è il compianto di tutto il popolo
per il defunto. Tiberio, tuttavia, evita di manifestare pubblicamente i propri sentimenti e non
partecipa neppure alla cerimonia in cui le ceneri di Germanico vengono riposte nel mausoleo di
Augusto. Germanico potrebbe essere deceduto di morte naturale, ma subito si manifesta il sospetto,
alimentato dalle parole pronunciate da Germanico morente, che sia stato Pisone a causarne la morte
avvelenandolo. Si diffonde, poi, anche la voce di un coinvolgimento dello stesso Tiberio, quasi fosse
il mandante del delitto di Germanico, avendo scelto personalmente di inviare Pisone in Siria.
Quando lo stesso Pisone viene processato, accusato anche di aver commesso numerosi reati in
precedenza, l'imperatore tiene un discorso particolarmente moderato, in cui evita di schierarsi a
favore o contro la condanna del governatore. A Pisone non può comunque essere imputata l'accusa
di veneficio, che appare, anche agli accusatori, impossibile da dimostrare. Il governatore, tuttavia,
certo di dover essere condannato per gli altri reati commessi, decide di suicidarsi prima del verdetto.
Nel dare conto del funerale di Germanico tenutosi ad Antiochia, Tacito, nel capitolo 73 del libro II,
riferisce le lodi dell’«opinione pubblica» nei confronti del condottiero romano, suggestionata
dall’analogia fra la sua sorte e quella di Alessandro Magno morto a 33 anni, il cui mito è radicato nel
mondo ellenistico. Ne scaturisce una sorta di sýnkrisis (in greco «confronto») Germanico-Alessandro,
del tipo utilizzato da Plutarco nelle sue Vite parallele. Tacito è interessato all' ethos di Germanico
(«buono verso gli amici, misurato nei piaceri, sposato una sola volta e con figli legittimi»: Annales
II, 73, 3). Se fosse stato sovrano, egli sarebbe stato migliore del Macedone, perché guerriero
paragonabile a quello, ma superiore a lui in clemenza e moderazione. Egli ha rinunciato al potere, il
che per Tacito è la caratteristica di chi veramente ha le qualità per regnare. Il secondo libro, però, si
conclude con l’annuncio della morte di Arminio, un barbaro. Da un lato, Tacito non può nascondere
una certa ammirazione per gli uomini che hanno tanto a cuore la libertà, valore piuttosto marginale
nella Roma imperiale -non dimentichiamo che Tacito esalta Nerva e Traiano come coloro che hanno
saputo coniugare libertas e principatum-, ma che aveva reso grande Roma alle sue origini. Dall’altro,
pur senza mettere in dubbio la legittimità del potere di Roma, è anche pronto a denunciarne la
durezza: la durezza, però, è forse insita in qualunque tipo di potere, giacché se ai barbari tocca il
duro romanum imperium, ai Romani stessi toccava in quei tempi il principato, ineludibile necessità
storica.

6) Le radici di un mito controverso


Fin qui la storia di Arminio non è particolarmente edificante. Il principe dei Cherusci, cittadino
romano appartenente all’esercito, viola il sacramentum militiae (giuramento dei soldati) e appare
come il traditore di Roma. Viene spontaneo chiedersi come la figura di Arminio sia diventata il
simbolo di un nazionalismo esasperato. Tutto o quasi, si può dire, cominciò nel 1523 quando il
letterato e polemista Ulrich von Hutten (1488-1523) pubblica, a imitazione degli antichi, “Arminio”,
un dialogo «dove un uomo amatissimo della patria celebra l’elogio della Patria». Il contesto è quello
della Riforma luterana, di cui l’autore è tra i fautori più accesi. L’eroe, che egli descrive come «il più
libero, il più invitto, il più tedesco degli uomini», diventa così il campione della rivolta contro la
Chiesa romana: questa, dunque, la pietra miliare del nazionalismo tedesco. Arminio, dopo secoli di
oblio torna in auge grazie anche al significato del proprio nome che è una variante latinizzata del
germanico Irmin, "grande". Anche il nome Hermann (cioè "uomo dell'esercito" o "guerriero"), fu
utilizzato nel mondo germanico come equivalente di Arminio al tempo della Riforma per farne un
simbolo della lotta dei popoli germanici contro Roma. L’antica lotta tra Germani e Romani torna
d’attualità sotto la spoglia della rivolta “tedesca” contro la “corte papale”, e il nuovo Varo – detestato
illo tempore per via della sua politica esosa – diventa il Pontefice, esattore dell’odiato obolo per
l’edificazione della basilica di San Pietro. Di nuovo viene ripresentato il mito della rilassatezza dei
costumi romani – stavolta incarnati dalle gerarchie ecclesiastiche, più attente ad accrescere e gestire
il proprio potere economico e politico che a badare alla cura d’anime e alla diffusione del messaggio
evangelico – contrapposto alla tempra morale e al vigore pratico germanico. Eroe dell’intera nazione
tedesca, che vedeva in lui l’emblema mitico delle proprie più alte virtù, Arminio dalla metà del
Settecento – in accordo con la riscoperta delle identità nazionali portata avanti con ardore dal
Romanticismo – diventa protagonista di moltissime opere letterarie, oggi per lo più dimenticate
anche perché in maggior parte di assai scarso valore poetico. Nel 1871 la Germania di Bismarck e di
Guglielmo I sconfiggeva la Francia di Napoleone III ottenendo, grazie al Trattato di Francoforte,
l’Alsazia e la Lorena, ribattezzate «terre d’impero» e poste sotto la diretta sovranità dell’imperatore
tedesco. Il trionfo tedesco nella guerra franco-prussiana fu celebrato, nel 1875, con l’inaugurazione
a Detmold, non lontano dal luogo della battaglia di Teutoburgo, del gigantesco monumento in rame
– alto oltre 50 metri – donato dalle acciaierie Krupp. Se è vero che, come scrisse il poeta romantico
Heinrich Heine (1797-1856), «Hermann vinse la battaglia,/i Romani vennero scacciati,/Varo fu
sconfitto con le sue legioni,/e noi siamo rimasti tedeschi», lo è altrettanto che il Nazionalsocialismo,
col suo voler individuare negli antenati germani i più fulgidi esemplari della razza ariana, non
poteva restare insensibile alla possente figura di Arminio dalla chioma bionda e dall’occhio ceruleo.
Del resto, la Grande Guerra l’aveva sfruttata come collante della nazione e anche Hitler poteva
servirsene con lo stesso scopo. Sarebbe lungo citare tutta la casistica: basti dire che le stesse SS,
durante le feste comandate del Reich, come in quella del raccolto o del sole, si schieravano travestiti
da guerrieri di Arminio per sfilare davanti ad un carro che trasportava la ruota del sole. E forse non
è un caso – anche in considerazione dell’ormai acclarato legame tra il nazismo e l’esoterismo – se
Heinrich Himmler, “inventore” di questo corpo paramilitare, scelse come luoghi simbolo il castello
di Wewelsburg e le Externsteine, entrambi non troppo distanti dal luogo della battaglia di
Teutoburgo. L’oggettistica di quegli anni, del resto, sfrutta spesso – e non senza cadere nel Kitsch –
l’immagine di Arminio/Hermann per supportare le idee nazionaliste del Reich. Vengono usati come
veicoli di diffusione, ad esempio, stampe e cartoline postali, quali quelle in cui Hitler in uniforme e
col braccio disteso, in primo piano, replica il gesto della statua di Arminio di Detmold sullo sfondo.
Il risultato di questo nazionalismo esasperato, di cui Arminio è diventato il simbolo, è stato il
dimenticarsi completamente di questa figura dopo il 1945. Solo negli ultimi tempi si è cominciato a
scrivere una storia il più possibile veritiera sulla battaglia di Teutoburgo e su Hermann. Nel maggio
2009, Angela Merkel ha inaugurato una mostra sulle 50 tribù germaniche, nel luogo in cui si suppone
la battaglia si svolse. In giugno, è stata rappresentata da 400 comparse una ricostruzione della
battaglia. Con un problema, però: tutte volevano fare i romani, nessuno il barbaro.

7) L’Hermannsdenkmal
L’Hermannsdenkmal è un monumento, realizzato fra 1838 e 1875 da Ernst von Bandel, che celebra
la figura di Arminio e la vittoria sui romani. E’ situato nella parte meridionale della foresta di
Teutoburgo a Detmold. I materiali utilizzati sono pietra arenaria, tubi di ferro e lastre di rame.
L’opera ha un’altezza complessiva di 53,46 metri, di cui 26,89 di basamento e 26,57 di statua. Il
monumento a Ermanno voleva essere il simbolo dell’eterna forza giovanile della Germania e ancor
oggi l’eroe si erge, sguainando la spada, pronto a dare battaglia in qualsiasi momento; il massiccio
piedistallo che lo sorregge stava a simboleggiare la forza del barbaro vincitore delle legioni romane.
Il piedistallo della statua ha una sagoma vagamente piramidale, molto usata da chi voleva dare
l’impressione di forza massiccia. Il paesaggio in cui l’opera è collocata esalta il suo significato
simbolico e forma un tutt’unico con la statua che domina una collina nella foresta di Teutoburgo. I
nazisti non amarono questo monumento perché eclettico, mal proporzionato e realizzato in stile
gotico considerato da Hitler inadatto per i tempi moderni che dovevano, invece, essere rappresentati
da un’arte classica. L’Hermannsdenkamal, però, colpì il Fϋhrer per la propria monumentalità e per
il modo in cui ne fu possibile la realizzazione. Bandel, ossessionato dalla costruzione di quest’opera
ma non avendo i fondi necessari per realizzarla, scrisse al migliore scolaro di ogni scuola superiore
tedesca per sollecitarlo a raccogliere il denaro per questo “fatto nazionale”. L’appello riscosse
successo e una parte dell’immediata popolarità che arrise al monumento può essere attribuita al
fatto che una larga porzione della gioventù tedesca aveva contribuito alla costruzione. Bandel, allora,
sorpreso dell’attiva partecipazione, affermò con orgoglio che l’”Hermannsdenkmal è il primo
monumento nazionale eretto da tutto il popolo tedesco”. L’attiva partecipazione del pubblico fu
l’obiettivo precipuo della politica di Hitler. Egli stesso aveva commissionato in quel periodo la
costruzione di un immenso auditorium, per la realizzazione del quale si servì dello stesso metodo
di Bandel, ma al contrario di quale non aveva alcun bisogno di denaro. Aveva, invece, intenzione di
instillare negli animi dei giovani un nazionalismo esasperato portato agli estremi dalla larga
adesione a esso.

8) Come la figura di Arminio è vista oggi (Barbari, serie tv)


Arminio è descritto come un guerriero feroce, incline al tradimento e odiatore dei Romani. Il
personaggio di Netflix appare in principio molto diverso, più riflessivo e non certo ostile a Varo e ai
legionari, tant’è che la sua convinzione vacillerà quando verrà elevato al rango equestre.

9) Moniti alla strumentalizzazione della storia (“1984” by George Orwell)


In this work published in 1948, George Orwell wants us to reflect on the dangerous effects that the
alteration of the past can produce. “Who controls the past, controls also the future” says the author.
The main character of the book, Winston Smith works at the Minitrue, in which every kind of
information is controlled by Big Brother. Winston’s duty is to rewrite the past and to change it in the
interest of the party: in fact, one day he has to write that the main enemy of the nation is Eurasia,
while another day is Eastasia. This manipulation can be possible thanks to doublethink, in which
telling the truth knowing that is false and other way round is the same thing. Doublethink is the
instrument thanks to which the Big Brother (the dictatorship) maintains the control. Another way in
which the party controls people is Newspeak. This is a new language in which are used few words:
in this way a person, can’t create a lot of thoughts because he/she can use only few words and
consequently can’t think of a society different from the one he/she is living in. Controlling the past
and doublethink are related. The past can become a weapon and be dangerous for the present if it is
used in a bad way. Because of these actions, no one, neither the main character of the book is able
to escape from the control of Big Brother. Orwell’s message is evident: if a dictatorship wants to be
stable, it has to use the past in order to create consensus among the population. This theme is
connected to Nazism, in particular to Shoah. This dictatorship tried to create a brainwashing of the
mind, making the information about the lager and about the killing of the Jews inexistent.

10) Bibliografia
• Cassio Dione, Storia Romana, libro LVI, BUR Rizzoli, 2019
• Tacito, Annali libro I e II, Arnoldo Mondatori Editore, 1944
• Svetonio, Le vite dei dodici Cesari vita di Augusto, Editoriale Romana, 1944
• George L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Società editrice il Mulino, 1974
• Luciano Canfora, Quello slancio nazionalistico che resiste nei secoli: dalla selva di
Teutoburgo alle guerre moderne, Corriere della Sera, 27 giugno 2012
• Taino Danilo, Arminio: l'eroe germanico che imbarazza i tedeschi, Corriere della Sera, 9
settembre 2009
• Pasquale Martino, Germanico e Arminio. Ritratti paralleli in Tacito, da Tacito: Antologia di
passi tratti dalle opere storiografiche e dal Dialogus de oratoribus, G. D’Anna, Messina-
Firenze, 2008
• Elena Percivaldi, Un mito controverso – “Hermann”, 15 luglio 2013,
https://studiahumanitatispaideia.wordpress.com/2013/07/15/un-mito-controverso-
hermann/
• Alessio Palazzo, 1984 di George Orwell ha condannato l’abuso politico e sociale della storia,
Il Superuovo ,15 gennaio 2021
• George Orwell, 1984, Mondadori, 2017
• Gian Biagio Cont,e Emilio Pianezzola, Lezioni di letteratura latina 3, Le Monnier Scuola, 2010
• Antonietta Porro, Walter Lapini, Claudio Bevegni, Letteratura greca 3, Loescher Editore,
2012

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