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Il Bellum Iugurthinum

Il Bellum Iugurthinum (La guerra giugurtina) è la seconda delle due monografie storiche scritte dallo storico
latino Sallustio. L'opera, suddivisa in 114 capitoli e dunque più lunga del De Catilinae coniuratione, narra le
vicende della guerra condotta dai Romani contro il re di Numidia, Giugurta, tra il 111 e il 105 a.C., e
conclusasi con la vittoria del console romano Gaio Mario.

L’opera illustra la manifestazione della rivalità tra l’oligarchia senatoria e il partito dei populares. Giugurta,
dopo aver usurpato il regno a danno dei cugini Aderbale e Iempsele, mise a dura prova la classe dirigente
romana, divisa tra l’intervento voluto dai ceti popolari e il consenso pagato dall’oro del re. Secondo
Sallustio tale vicenda dimostrava la corruzione e la debolezza del senato, ma vedeva l’esistenza di forze
sane per la civitas, come Gaio Mario, artefice della vittoria. Tuttavia, la condanna di Sallustio colpisce il mos
partium et factionum, la contesa tra fazioni in lotta che la guerra contro Giugurta aveva alimentato e
che sarebbe cresciuta fino a trasformare lo stato in un vero regime. Infatti, Sallustio si preoccupa di
affrontare la decadenza morale e sociale che portò al crollo della res publica romana e alla nascita
dell'Impero.

Struttura dell’opera
Anche se diluita in un testo più lungo, la tecnica narrativa si mantiene la stessa del De Catilinae
coniuratione, ovvero quella tipica della storiografia ellenistica. Infatti, dopo il proemio, il ritratto del
protagonista e gli antefatti che collegano la vicenda con la storia di Roma, lo storico comincia a narrare gli
eventi intervallandoli con digressioni e discorsi che segnano pause di riflessione ed offrono l'occasione per
sfoggi di retorica e giudizi storici particolarmente pregnanti. La struttura dell’opera alterna parti descrittive
a lettere e discorsi in cui i personaggi esprimono direttamente il loro pensiero.

Struttura del Bellum Iugurthinum

Capitolo/i Contenuti Argomenti trattati

1–4 Proemio Incipit: il corpo, l'anima, la virtus.

5 Introduzione Motivazione della scelta dell'argomento.

6–16 Antefatti della vicenda Avvenimenti tra il 120 e il 117 a.C. e ritratto del protagonista.

17–19 1° excursus Descrizione geografica e storica della Numidia.

20–40 Inizio della guerra Avvenimenti tra il 116 e il 110 a.C.

41–42 2° excursus Età dei Gracchi.

Svolgimento della
43–77 Avvenimenti tra il 109 e il 108 a.C.
guerra

78–79 3° excursus Ulteriore trattazione geografica.

80–114 Conclusione della guerra Avvenimenti tra il 107 e il 104 a.C.


Vicenda storica
Giugurta era un principe di Numidia, dallo zio Micipsa (rimasto dopo la morte dei fratelli unico re) ebbe
parte del regno insieme con i figli di lui, Iempsale e Aderbale (118 a. C.). Giugurta uccise Iempsale, e vinse
Aderbale, il quale si recò a Roma per chiedere aiuto. Il senato, per motivi di opportunità politica, decise un
intervento moderato, inviando una commissione senatoria, che procedette alla spartizione del regno. La
parte più ricca, confinante con la provincia romana, fu data a Aderbale; la più occidentale a Giugurta. I due
principi vennero presto in lotta: Aderbale fu vinto e ucciso. Roma dichiarò guerra e nel 111, riuscì a
ottenere la resa di Giugurta. Ma i cavalieri romani, ai fini di una loro penetrazione commerciale, volevano la
guerra, ed essa fu scatenata dopo che, mentre Giugurta era a Roma invitato a denunciare quei membri
dell'oligarchia che egli aveva corrotto col denaro, un pretendente al trono di Numidia fu misteriosamente
ucciso. Dopo i primi insuccessi, il senato mandò in Numidia nel 109 il console Quinto Cecilio Metello, detto
poi Numidico, accompagnato da Publio Rutilio e Gaio Mario: un'accanitissima battaglia presso il fiume
Muthul (108) finì con la vittoria dei Romani. Giugurta, intanto, si alleava con Bocco di Mauretania. Nel 107
Mario, eletto console, condusse la campagna con maggiore energia e nel 106, con una marcia audace,
arrivò ai confini della Numidia con la Mauretania; Bocco, intimidito o allettato dalle proposte romane, tradì
l'alleato consegnandolo all'inviato di Mario, Lucio Cornelio Silla. Giugurta, dopo essere stato trascinato in
catene nel trionfo di Mario (104), fu strozzato nel carcere Tulliano.

Contenuto

Come anche il De Catilinae coniuratione,il Bellum Iugurthinum si apre con un proemio che esula dalla
vicenda storica narrata nell'opera, ma che mette in luce l'ideologia dell'autore riguardo alla natura umana:
l'essere umano, infatti, è costituito da corpo e anima, ma soltanto il solido possesso della virtù è garanzia di
gloria eterna. L'uomo deve dunque esercitare l'anima più del corpo, poiché i beni del corpo sono effimeri e
destinati a scomparire, mentre quelli dell'anima permettono di avere il reale controllo della propria vita, e
portano alla grandezza immortale. Sallustio - anche per motivazioni autobiografiche - ribadisce che la fama
presso i posteri si può conseguire, nel clima di corruzione dilagante della vita pubblica, dedicandosi alle
attività intellettuali, come quelle storiografiche (capitoli 1-4).

Dopo aver introdotto la narrazione storica vera e propria, Sallustio racconta, affinché l'insieme degli
avvenimenti risulti più chiaro e comprensibile, la storia del regno di Numidia: una descrizione degli eventi
precedenti allo scoppio vero e proprio delle ostilità. La Numidia era stata alleata di Roma dai tempi della
seconda guerra punica (218-202 a.C.), quando Massinissa si era schierato apertamente contro Cartagine
durante la campagna di Scipione in Africa. Micipsa, successore di Massinissa, aveva due figli, Aderbale e
Iempsale. Insieme a questi aveva educato nella sua reggia anche il nipote Giugurta, figlio di suo fratello
Mastanabale. Giugurta, dotato di molte qualità, si guadagna ben presto le simpatie del popolo; Micipsa,
temendo per la successione al trono dei figli, manda il nipote a combattere al fianco di Scipione Emiliano
nella guerra di Numanzia, sperando nella sua morte in combattimento. Ma le cose vanno diversamente.
Giugurta viene apprezzato per le sue qualità dallo stesso Scipione, e il giovane numida scopre pure il
carattere corrotto della nobiltà romana. Pochi anni dopo allora, Micipsa, sul letto di morte, convoca i suoi
figli assieme a Giugurta, e designa tutti e tre come suoi eredi, raccomandando loro di governare in armonia.
I tre eredi disattendono subito le raccomandazioni ricevute: dividono tra loro il tesoro dello Stato e si
spartiscono le zone d'influenza; in particolare, però, nascono dei forti contrasti tra Giugurta e Iempsale.
Quest'ultimo, di natura molto orgogliosa, tenta di mettere il cugino in secondo piano, ma Giugurta, in
risposta, lo fa uccidere. Aderbale, sconfitto in battaglia, fugge a Roma cercando l'appoggio del senato
romano. Giunto nell'Urbe, Aderbale può tenere un lungo discorso in Senato: per sensibilizzare l'uditorio
cerca di far leva sul rapporto di amicizia e di fides che lega Roma alla dinastia numida, sottolinea la
scelleratezza delle azioni di Giugurta e si rappresenta come infelice e sventurato. I problemi sorgono
quando gli emissari del senato, corrotti da Giugurta, favoriscono il nipote di Micipsa in ogni modo, si
limitano, dunque, ad inviare in Numidia una commissione, che assegna la zona confinante con la provincia
romana d'Africa a Aderbale, e quella, più fertile, al confine con la Mauretania a Giugurta.

Dopo un veloce excursus di natura geografica sulla Numidia (capitoli 17-19), Sallustio riprende la narrazione
degli eventi. Giugurta, vedendo che la sua opera di corruzione aveva avuto esito positivo, attacca di nuovo
Aderbale e uccide il cugino, compiendo anche un massacro indiscriminato dei mercanti italici che avevano
aiutato il re sconfitto nella difesa della città. Di fronte a un simile eccidio e alle inevitabili proteste dei
tribuni della plebe, il senato è costretto a mandare un esercito in Numidi. L'armata romana, corrotta
dall'oro di Giugurta, subisce una vergognosa sconfitta e viene addirittura costretta a passare sotto il giogo. I
capitoli dal 20 al 40 decrivono così gli eventi che vanno al 116 al 110 a.C.

Tra il capitolo 41 e 42 si apre un secondo excursus storico dedicato all'epoca dei Gracchi. Secondo una
lettura moraleggiante più accentuata che nell’opera precedente, Sallustio vede nel declino dei costumi la
causa principale della crisi della Repubblica: al tempo delle origini dello Stato a Roma vigeva la pace sociale,
dal momento che non c'erano molte ricchezze e la città era minacciata da nemici potenti (è la teoria del
cosiddetto metus hostilis, il “timore del nemico” che stimola il valore). Ma dopo la vittoria nelle guerre
puniche e l'afflusso di ingenti ricchezze nelle casse romane, la nobiltà secondo l’autore è caduta preda
dell'avidità, mentre il popolo si è impoverito a causa della lunghezza del servizio militare. La ricostruzione
del periodo dei Gracchi vuole così rintracciare le radici dello scontro intestino (il mos partium et factionum)
che condiziona l’andamento della guerra contro Giugurta.

Dal capitolo 43 riparte la narrazione degli eventi, che occupa ora il periodo che va dal 109 al 108 a.C.
(capitoli 43-77) e dal 107 al 104 a.C. (capitoli 80-114). A Roma viene nominato come nuovo console
Metello, che riesce a ottenere alcune vittorie minori contro Giugurta. Durante queste azioni militari il
luogotenente Gaio Mario si mette favorevolmente in mostra di fronte all'esercito e al popolo. Originario di
Arpino, proveniente da una famiglia di contadini, Mario viene descritto come l’antitesi dei nobili corrotti
che hanno prolungato la durata della guerra per i loro guadagni privati. Ottenuto il consolato pur essendo
un homo novus, Mario è il vero eroe del Bellum Iugurthinum; egli tiene un lungo discorso davanti al popolo,
che Sallustio riporta per intero seguendo una tradizione storiografica che trae origine da Tucidide. In questo
discorso Mario critica i nobili, che si reputano importanti solo per il fatto di avere antenati illustri, ma non
facendo essi stessi nulla per essere grandi quanto loro. Al contrario è con l’impegno e con imprese nobili
che si può ottenere le cariche politiche più elevate.

Nel frattempo, Giugurta si allea con il re di Mauritania Bocco, mentre Mario arriva in Africa con i rinforzi
arruolati a Roma. Dopo una vittoria di Mario, il suo luogotenente Silla persuade Bocco a tradire Giugurta; il
re numida viene così catturato e condotto a Roma in catene durante il trionfo di Mario. Morirà poi
strangolato in carcere.

L'opera si conclude con la veloce descrizione dell'invasione dell'Italia da parte dei Cimbri e dei Teutoni. In
seguito a una pesante sconfitta dell'esercito romano, il senato decide di concedere nuovamente il
consolato a Mario, anche se questa è una pratica contro la legge. Il nuovo console sconfigge i Cimbri e i
Teutoni, salvando Roma dall'invasione di queste pericolose popolazioni germaniche.

I Personaggi
Aderbale: dopo la morte di Iempsale, Aderbale rimane da solo a contrastare le mire espansionistiche di
Giugurta. Viene più volte sconfitto sul campo dal cugino, senza dare prova di particolari doti tattiche. Infatti,
Sallustio attribuisce il merito della resistenza di Cirta agli italici, sminuendo dunque il ruolo di Aderbale
anche in quella circostanza. Egli appare dunque ingenuo ed inesperto se paragonato al rivale Giugurta, che
ha già avuto modo di fare esperienze. Importanti le parole che Aderbale pronuncia rivolto ai senatori: il
numida cerca infatti di ricevere l'aiuto di Roma facendo leva su alcuni degli ideali, in primo luogo quello
della fides, riconducibili al mos maiorum: esse rimangono inascoltate proprio a causa della corruzione e
dell'avidità della nobilitas e della crisi morale di Roma. Allo stesso modo, Aderbale segnala anche come gli
atti di Giugurta costituiscano un'offesa alla maiestas romana, ma il senato rifiuta comunque di intervenire
in suo favore, convinto dai doni dello stesso Giugurta.

Giugurta: giovane dalle ottime virtù ma corrotto dal contatto con la nobiltà romana, ed abile nello sfruttare
le proprie ricchezze per corrompere la classe senatoria. Nel “ritratto” del principe numida emerge una
personalità complessa, affascinante nella sua mescolanza di pregi e malvagità, virtù e perdizione. Giugurta è
quindi un personaggio affine a Catilina nel suo essere un eroe tragico, ma con una sostanziale differenza: se
nel nobile romano la corruzione è innata, in Giugurta viene instillata proprio dal contatto con i suoi futuri
nemici.

Iempsale: Il suo ruolo nel Bellum Iugurthinum è del tutto secondario, sebbene sia proprio il suo
comportamento a fornire la causa occasionale per l'inizio delle ostilità tra Giugurta e Aderbale. Egli, infatti,
particolarmente orgoglioso per natura, disprezza Giugurta, poiché egli è il figlio di una concubina, e tenta in
ogni modo di umiliarlo, schierandosi anche a favore dell'abolizione dei provvedimenti presi da Micipsa
dopo l'associazione del nipote al trono. Dimostra così di essere privo di quell'intelligenza politica, propria,
invece, di suo padre, e compie atti avventati senza prevederne le conseguenze. Giugurta, infatti, mosso
dall'ira e dalla paura, decide di farlo uccidere, e manda alcuni dei suoi uomini nell'abitazione in cui si trova:
Iempsale, piuttosto che tentare onorevolmente di difendersi, muore rifugiatosi vilmente nella capanna di
una schiava, e la sua testa, mozzata, viene portata a Giugurta.

Il console Metello: da un lato è uno dei pochi nobili ancora capaci di agire per il bene della patria, ma che
dall’altro si rivelerà meschino nel difendere i propri privilegi dimostrandosi contrario alla candidatura al
consolato di Mario.

Gaio Mario: figura chiave del racconto, incarna la virtù che ha reso grande Roma e che forse è ancora
presente negli strati non aristocratici della popolazione, da cui Mario proviene. Egli diventa infatti il vero
salvatore della patria non solo in occasione della guerra contro Giugurta, ma soprattutto nell'episodio
conclusivo del conflitto contro i Cimbri e i Teutoni, dove non è in gioco solo il controllo degli interessi
romani in Africa, ma la sopravvivenza stessa della città.

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