Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
DALL’IMPERO AUSTRO-UNGARICO
AL NATION BUILDING
DEL PRIMO DOPOGUERRA
La parabola della Repubblica cecoslovacca
(1918-2018)
a cura di
Romano Orrù - Francesca F. Gallo - Lucia G. Sciannella
Il presente volume è stato pubblicato con il contributo dei fondi «FAR-
DIB» (2019) dell’Università di Teramo.
Introduzione 7
Relazioni
Francesco Caccamo
Le parabole della Cecoslovacchia attraverso il secolo breve 13
Oliver Panichi
Genesi culturale e politica di uno scisma religioso: la Chiesa
nazionale cecoslovacca (1918-1920) 35
Fabrizio Politi
La nascita della Corte costituzionale austriaca e la tutela delle
libertà nella Costituzione austriaca del 1920 63
Mauro Mazza
La dissoluzione dell’impero austro-ungarico e la questione delle
nazionalità 81
Andrea Gratteri
Il principio proporzionale nelle Costituzioni del primo dopo-
guerra 115
Francesco Duranti
Il processo di Nation Building del primo dopoguerra nel con-
testo nordico: la Costituzione finlandese del 1919 137
Comunicazioni
Giulio M. Salzano
Immaginare la Nazione. Rappresentazioni dell’identità mu-
sulmana nella Jugoslavia socialista 151
Lorenzo Venuti
Le associazioni calcistiche ebree come fenomeno transnazionale
dopo la disgregazione dell’impero austro-ungarico: i casi
del Makkabi Brünn e dell’Hakoah Vienna 195
Alessandro Volpato
La Legione Cecoslovacca in Italia contro l’Austria-Ungheria:
genesi, sviluppo e contraddizioni 211
Fabrizio Rudi
La fine della Grande Guerra, l’Italia, il processo di edifica-
zione nazionale di Cecoslovacchi e Jugoslavi 225
Alessandro Tedde
Dentro e contro Weimar: corporativismo e privatizzazione del
conflitto sociale 259
Marco Rizzuti
Diritto di famiglia e Costituzione nella vicenda Fiume 283
Mattia Gambilonghi
Diritto del lavoro, consigli aziendali e democrazia economica
nell’opera di Hugo Sinzheimer 299
Fiore Fontanarosa
Il ruolo dei poteri statali nell’equilibrio costituzionale della Re-
pubblica Ceca 315
Il volume raccoglie gli atti del convegno “Tra storia e diritto: dal-
l’Impero austro-ungarico al Nation Building del primo dopoguerra.
La parabola della Repubblica cecoslovacca (1918-2018)”, organizzato
presso l’Università degli Studi di Teramo, il 26/27 novembre 2018, in
occasione della ricorrenza del centenario della nascita dello Stato ce-
coslovacco.
Ambizione degli organizzatori e curatori del volume è stata quella
di far dialogare storia e diritto sulle complesse questioni emerse dalla
dissoluzione dell’Impero austro-ungarico e dall’articolato ed esteso
processo di Nation Building, che ne è conseguito. Ne è risultato un
quadro di riflessioni e spunti assai ricco e stimolante: se la dimen-
sione storica ha consentito di contestualizzare, all’interno dei tor-
mentati decenni di primo Novecento e, in particolare, tra le due guerre
mondiali, le vicende che portano allo sfaldamento dell’Impero asbur-
gico e alla nuova configurazione geopolitica europea, le analisi gius-
comparatistiche focalizzano la comparsa delle così dette “Costituzioni
democratiche razionalizzate” cui si lega in prevalenza il riconosci-
mento dei diritti sociali nel più ampio orizzonte del pluralismo di
matrice democratica.
Il contributo di Francesco Caccamo, che apre il volume, rico-
struisce puntualmente la “parabola” della Cecoslovacchia durante la
sua esistenza – breve (poco più di otto decenni), ma significativa –,
che incarna uno dei più interessanti modelli di Nation Building del
primo Novecento, una sorta di «paradigma dei destini del vecchio
continente» e uno stimolo per i contemporanei.
Oliver Panichi analizza, invece, l’intricato rapporto, politico e di-
plomatico, della nascente nazione con la Santa Sede, sottolineando
l’incidenza della “religione nazionale” nella fase di costruzione del
nuovo Stato e le aspirazioni riformatrici di una parte non irrilevante
del clero cattolico secolare e regolare cecoslovacco, che lega a dop-
pio filo le proprie rivendicazioni al risveglio nazionale boemo fino a
sostenere l’istituzione, nel 1920, della Chiesa Nazionale Cecoslovacca.
H. Gordon Skilling, che con un’analisi per certi versi ancora insupe-
rata raffigurò la Primavera di Praga come il culmine dei tentativi di
riforma concepiti dai settori non conformisti interni al mondo socia-
lista2; l’inglese Timothy Garton Ash, testimone d’eccezione delle «ri-
voluzioni democratiche» del 1989, che negli avvenimenti cecoslovac-
chi individuava la manifestazione forse più emblematica del dramma
a lieto fine che aveva portato alla rimozione della cortina di ferro3.
Nonostante ciò, la dissoluzione pacifica della Cecoslovacchia a fine
1992 ha segnato una netta inversione di tendenza. La scomparsa del
paese è stata in effetti accompagnata da una sensibile diminuzione di
interesse nei confronti della sua esperienza storica, se non dalla sua
svalutazione. In maniera sintomatica in anni recenti se non l’unica,
quanto meno la principale studiosa che sul piano internazionale ab-
bia avuto l’ambizione di affrontare l’argomento nel suo complesso è
stata Mary Heimann, con una monografia sin dal titolo dai toni esa-
speratamente critici (Lo stato che ha fallito)4. Per conto loro, gli au-
tori cechi e slovacchi hanno manifestato la tendenza a privilegiare
narrazioni incentrate sulle rispettive vicende nazionali, nelle quali il
comune passato cecoslovacco, senza essere negato, viene ridimensio-
nato in maniera più o meno consapevole in conformità con le esi-
genze del presente5. Solo in occasione del centesimo anniversario della
2
H. Gordon Skilling, Czechoslovakia’s Interrupted Revolution, Princeton Uni-
versity Press, Princeton, 1976; Id., Charter 77 and Human Rights in Czechoslovakia,
George Allen & Unwin, London, 1981. Dello stesso si vedano anche le memorie,
The Education of a Canadian: My Life as a Scholar and Activist, McGill-Queen’s
University Press, Montreal, 2000 (pubblicate nell’edizione ceca col significativo ti-
tolo di Československo - můj druhý domov. Pamětí Kanad’ana, Prostor, Praha, 2001,
ossia Cecoslovacchia - la mia seconda patria. I ricordi di un canadese).
3
T.G. Ash, The Magic Lantern: The Revolution of 89 witnessed in Warsaw, Bu-
dapest, Berlin, and Prague, Random, New York, 1990.
4
M. Heimann, Czechoslovakia: The State that Failed, Yale University Press,
New Haven-London, 2009; inoltre, M. Clementi, Cecoslovacchia, Unicopli, Milano,
2007, e A. Marès (ed.), La Tchécoslovaquie sismographe de l’Europe au XXe siècle,
Institut d’études slaves, Paris, 2009.
5
Questa tendenza è ben rappresentata dalla monumentale e peraltro validissima
collana sulla storia dei Paesi della corona boema che ha visto la luce nella Repub-
blica Ceca dopo lo spartiacque del 1989-1992: Velké dějiny zemí Koruny české, Pa-
seka, Praha-Litomyšl, 1999-2014, 15 voll. in 19 tomi (cui sono da aggiungere alcuni
volumi tematici attualmente in corso di pubblicazione); inoltre J. Pánek, O. Tůma
et alii, Dějiny českých zemí, Karolinum, Praha, 2008; J. Klápště, I. Šedivý (eds.),
Dějiny Česka, Nakladatelství Lidové noviny, Praha, 2019. In ambito slovacco si rin-
via in primo luogo a Slovenské dejiny, Literarné informačné centrum, Bratislava,
2008, di cui sono stati pubblicati finora 5 volumi; inoltre D. Kováč, Dejiny Sloven-
ska, Nakladatelství Lidové noviny, Praha, 1998; D. Čaplovič, V. Čičaj, D. Kováč, L’.
Lipták, J. Lukačka, Dejiny Slovenska, Academic Electronic Press, Bratislava, 2000;
M.S. Ďuric, Dejiny Slovenska a slovákov, Lúč, Bratislava, 2007.
6
J. Dejmek a kolektiv, Československo. Dějiny státu, Libri, Praha, 2018. Per in-
ciso, proprio Dejmek è stato autore di una severissima recensione del citato volume
della Heimann, Modern History of the Czechoslovak State from a Revisionist Point
of View, in Český časopis historický, 2011, pp. 347-358.
7
O. Urban, Česká společnost 1848-1918, 2 voll., Svoboda, Praha, 1992; J. Kořalka,
Češi v Habsburské řiši a v Evropě, 1815-1914, Argo, Praha, 1996. Per quanto ri-
guarda gli slovacchi, si rinvia a P. Brock, The Slovak National Awakening, Univer-
University Park, 1994; A. Soubigou, Thomas Masaryk, Fayard, Paris, 2002; J. Dej-
mek, Edvard Beneš: politická biografie českého demokrata, 2 voll., Academia, Praha,
2006-2008; Z. Zeman, A. Klimek, The Life of Edvard Beneš 1884-1948: Czechoslo-
vakia in Peace and War, Clarendon Press, Oxford, 1997; A. Marès, Edvard Beneš:
un drame entre Hitler et Staline, Perrin, Paris, 2015; M. Kšiňan, L’homme qui par-
lait avec les étoiles. Milan Rastislav Štefánik, héros franco-slovaque de la Grande
Guerre, Eur’ORBEM Éditions, Paris, 2019.
9
A. Klimek, Boj o Hrad, 2 voll., Panevropa, Praha, 1996-1998; Z. Karník, Če-
ské země v éře první republice, 3 voll., Libri, Praha, 2000-2003; J. Kovtun, Repu-
blika v nebezpečném světě: éra prezidenta Masaryka, Torst, Praha, 2005; Id., Repu-
blika v obležení: první éra prezidenta Beneše, Torst, Praha, 2008.
10
D. Perman, The Shaping of the Czechoslovak State: Diplomatic History of the
Boundaries of Czechoslovakia, 1914-1920, Brill, Leiden, 1962; A. Toth, L. Novotný,
M. Štehlík, Národnostní menšiny v Československo 1918-1938, FF UK, Praha, 2012.
11
J. Rychlík, Češi a Slováci ve 20. století. Česko-slovenské vztahy 1914-1945,
Academic Electronic Press-Ústav T.G. Masaryka, Bratislava-Praha, 1997; C. Skalnik
Leff, National Conflict in Czechoslovakia. The Making and Remaking of a State,
Princeton University Press, Princeton, 1987; M. Zemko, V. Bystrickš (eds.), Sloven-
sko v Československo, Veda, Bratislava, 2004; M. Stehlík, Slovensko. Země probužená,
Academia, Praha, 2015; A. Bartlová, Andrej Hlinka, Obzor, Bratislava, 1991.
12
In tal senso da ultimo A. Orzoff, Battle for the Castle: The Myth of Cze-
choslovakia in Europe, Oxford University Press, New York, 2009. Una prospettiva
interessante, anche se inevitabilmente di parte, per esaminare gli sviluppi interni alla
Cecoslovacchia è offerta dalla diplomazia vaticana; la Santa Sede era infatti incline
ad assumere una posizione critica verso il nuovo stato non solo per la consistenza
delle tendenze laiciste e addirittura anticlericali della componente ceca, ma anche per
i legami che manteneva con i cattolici di altre nazionalità. Si vedano, in tal senso,
E. Hrabovec, Slovensko a Svätá Stolica 1918-1927 vo svetle vatikánskych prameňov,
Univerzita Komenského, Bratislava, 2012, e i primi tre volumi della raccolta Če-
skoslovensko a Svatý stolec, MÚ AV ČR, Praha, 2012-2015.
13
Oltre ai principali riferimenti sulla prima repubblica di cui alla nota 9, sulla
dimensione internazionale si rinvia alla citata biografia di Beneš opera di Dejmek;
inoltre A. Gajanová, ČSR a středoevropská politika velmoci (1918-1938), Academia,
Praha, 1967.
assicurò i voti dei due terzi dei tedeschi dei Sudeti e si impose come
la forza politica dotata del maggior consenso nell’intera Cecoslovac-
chia14. Nel contempo anche gli slovacchi mostravano segni di in-
quietudine, come indicavano i disordini verificatisi nell’ottobre 1933
durante le celebrazioni per il millecentesimo anniversario dell’erezione
della prima chiesa cristiana nella Grande Moravia e l’esplicita riven-
dicazione al loro indomani dell’autonomia da parte di Hlinka15.
Confrontata con la minaccia hitleriana, la Cecoslovacchia vide dra-
sticamente diminuire i suoi spazi di manovra. Alla fine del 1935 l’an-
ziano Masaryk rassegnò le dimissioni dalla Presidenza della repub-
blica per ragioni di salute, per spegnersi a due anni di distanza. Con
lui veniva meno il padre della patria, colui che aveva incarnato l’idea
cecoslovacca ed era riuscito a promuoverne la diffusione non solo tra
i cechi ma, entro certi limiti, anche tra gli slovacchi e le altre nazio-
nalità. Per quanto Masaryk si assicurasse una successione all’insegna
della continuità favorendo la candidatura del fido Beneš, questi era
dotato di minore carisma e di una minore carica empatica. Soprat-
tutto, il nuovo capo dello stato non riuscì a trovare formule in grado
di risolvere le sempre più gravi questioni di natura interna e inter-
nazionale all’ordine del giorno. Così il conferimento per la prima
volta della Presidenza del consiglio a uno slovacco, l’agrario Milan
Hodža, non fu accompagnata da serie misure in favore del decen-
tramento. Per altro verso, i tentativi di allargare il tradizionale sistema
di alleanze facente capo alla Francia e alla Piccola Intesa non pro-
dussero risultati, come indicava il fallimento dei progetti per la rea-
lizzazione di un patto danubiano o di un patto orientale; l’unica no-
14
R. Kvaček, Nad Evropou zataženo. Československo a Evropa 1933-1937, SNPL,
Praha, 1966. Tra i tanti lavori comparsi negli ultimi trent’anni sui rapporti ceco-te-
deschi e sulla questione dei Sudeti si segnalano V. Kural, Konflikt místo společen-
ství? Češí a němci v československém státě (1918-1938), ÚMV, Praha, 1993; J.W. Brü-
gel, Češí a němci 1918-1938, Academia, Praha, 2006; P.S. Majewski, Sudetští Němci
1848-1948. Dějiny jednoho nacionalismu, Conditio humana, Brno, 2014; si ricorda
inoltre il pionieristico lavoro di F. Leoncini, La questione dei Sudeti, 1918-1938, Li-
viana, Padova, 1976.
15
La vicenda risulta in grande evidenza nella documentazione della Santa Sede:
il nunzio a Praga, mons. Pietro Ciriaci, non si trattenne infatti dall’esprimere la sua
comprensione nei confronti di Hlinka e di conseguenza fu costretto a rinunciare al
suo incarico. Per maggiori dettagli si rinvia a E. Hajdinová, D. Hájková, P. Helan,
F. Caccamo, J. Jonová (eds.), Československo a Svatý stolec (vol. 4). Diplomatická
korespondence a další dokumenty 1928-1934. Výběrová edice, Ústav T.G. Masaryka
a Archiv Akademie věd ČR, Praha, 2020.
16
Oltre ai citati lavori di Kvaček, Nad Evropou zataženo, e Dejmek, Edvard
Beneš, si veda I. Lukeš, Czechoslovakia between Hitler and Stalin: The Diplomacy
of Edvard Beneš in the 1930s, Oxford University Press, New York-Oxford, 1996.
17
Tra i tanti studi sull’argomento, B. Čelovský, Mnichovská dohoda 1938, Tilia,
Ostrava, 1999; I. Lukeš, E. Goldstein (eds.), The Munich Crisis: Prelude to World
War II, Cass, London, 1999; sul ruolo svolto dall’Italia mussoliniana, F. Caccamo,
Un’occasione mancata. L’Italia, la Cecoslovacchia e la crisi dell’Europa centrale, 1918-
1938, in Nuova Rivista Storica, 2015, n. 1, pp. 111-157.
18
J. Gebhart, J. Kuklík, Druhá republika 1938-1939. Svár demokracie a totality
v politickém, společenském a kulturním životě, Paseka, Praha-Litomyšl, 2004.
uno dei duri del regime nazista come il generale delle SS Reinhard
Heydrich, stretto collaboratore di Himmler e tra gli ideatori della so-
luzione finale. In origine le autorità tedesche coltivavano ambiziosi
progetti di germanizzazione comportanti il trasferimento forzoso o
l’assimilazione di gran parte della popolazione ceca, ma lo scoppio
del secondo conflitto mondiale le indusse a privilegiare lo sfrutta-
mento delle risorse locali a sostegno dello sforzo bellico del Reich.
Per quanto le condizioni di vita fossero nel complesso meno dure ri-
spetto a quelle di altri paesi vittima dell’aggressione nazista, gli epi-
sodi di resistenza o anche di semplice dissenso furono repressi in ma-
niera spietata, mentre l’economia veniva integralmente subordinata
alle esigenze tedesche. Un discorso a parte meritava la minoranza
ebraica, che fu sottoposta a una rigida discriminazione per poi ca-
dere vittima delle pratiche genocidali naziste, con la morte di circa
100.000 persone19.
Come già durante la prima guerra mondiale, anche nella seconda
un ruolo fondamentale fu svolto dall’esilio. A cavallo tra il 1938 e il
1939 un considerevole numero di politici, diplomatici, militari e sem-
plici cittadini si rifugiò in Occidente; a loro volta i principali espo-
nenti comunisti trovavano riparo a Mosca, a partire dal segretario del
partito Klement Gottwald. Unitamente allo scoppio del conflitto mon-
diale, questi sviluppi offrirono a Beneš l’occasione per riprendere in
mano la fiaccola della causa cecoslovacca, rivendicare la carica di pre-
sidente e promuovere la formazione dapprima di un consiglio na-
zionale a Parigi e poi di un governo in esilio a Londra. Nonostante
che lui e le sue idee fossero inizialmente considerati con sufficienza
dagli alleati, Beneš seppe approfittare delle opportunità che gli si pre-
sentavano per proporsi come loro interlocutore e assicurarsi il loro
riconoscimento. In questo contesto determinante si rivelò la realiz-
zazione nel maggio 1942 dell’attentato contro il Reichsprotektor Hey-
drich da parte di alcuni militari cechi e slovacchi paracadutati in pa-
tria col sostegno britannico. Il prezzo pagato fu altissimo: i membri
19
Il testo di riferimento per il periodo del Protettorato è Jan Gebhart, J. Kuklík,
Velké dějiny zemí Koruny české, vol. 15, tomi 1 e 2, Paseka, Praha-Litomyšl, 2006-
2007; inoltre V. Mastny, The Czechs Under Nazi Rule: The Failure of National Re-
sistance, 1939-1942, Columbia University Press, New York-London, 1971; C. Bryant,
Prague in Black: Nazi Rule and Czech Nationalism, Harvard University Press, Cam-
bridge, 2007; P. Crowhurst, Hitler and Czechoslovakia in World War II: Domina-
tion and Retaliation, I.B. Tauris, London-New York, 2013.
20
Oltre ai volumi di cui sopra, C. McDonald, The Assassination of Reinhard
Heydrich: The True Story Behind Operation Anthropoid, London, 2007.
21
V. Bystrický, R. Letz, O. Podolec (eds.), Vznik Slovenského štátu. 14. marec
1939, AEPress, Bratislava, 2007; M. Fiamová, J. Hlavinka, M. Schvarc a kol., Slo-
venský štát 1939-1945. Predstavy a realita, Prodama, Bratislava, 2014; M. Syrný a
kol., Slovenské narodné povstanie. Slovensko a Evrópa v roku 1944, Múzeum SNP,
Banská Bystrica, 2014.
22
K. Kaplan, Československo v letech 1945-1948, SPN, Praha, 1991; B.F. Abrams,
The Struggle for the Soul of the Nation. Czech Culture and the Rise of Commu-
nism, Rowman & Littlefield Publishers, Lanham, 2004; M. Myant, Socialism and
Democracy in Czechoslovakia 1945-1948, Cambridge University Press, Cambridge,
2008; C. Brenner, “Zwischen Ost und West”. Tschechische politische Diskurse 1945-
1948, Oldenbourg, München, 2009.
23
Oltre ai testi già citati, si veda M. Douglas, Orderly and Humane. The Ex-
pulsion of the Germans after the Second World War, Yale University Press, New
Haven-London, 2012.
24
K. Kaplan, Nekrvavá revoluce, Sixtyeight Publishers, Toronto, 1985 (ed. ingl.
The Short March: The Communist Takeover in Czechoslovakia, Hurst, London,
1987); Id., Poslední rok prezidenta. Edvard Beneš v roce 1948, ÚSD AV ČR, Brno,
1993; Id., Pět kapitol o únoru, Doplněk-ÚSD AV ČR, Brno, 1997; V. Veber, Osu-
dové únorové dny 1948, Nakladatelství Lidové noviny, Praha 2008; J. Kocian, M.
Deváta (eds.), Únor 1948 v Československu. Nástup komunistické totality a proměny
společnosti, ÚSD AV ČR, Praha, 2011; per il contesto slovacco, M. Barnovský, Na
ceste k monopolu moci. Mocenskopolitické zápasy na Slovensku v rokoch 1945-1948,
Archa, Bratislava, 1993.
25
K. McDermott, Communist Czechoslovakia 1945-89. A Political and Social
History, Palgrave, London, 2015; F. Caccamo, La Cecoslovacchia al tempo del so-
cialismo reale. Regime, dissenso, esilio, Società editrice Dante Alighieri, Roma, 2017.
Per quanto riguarda i rapporti ceco-slovacchi, il testo di riferimento è J. Rychlík,
27
M. Blaive, Une déstalinisation manquée. Tchécoslovaquie 1956, Complexe,
Bruxelles, 2005; J. Pernes, Krize komunistického režimu v Československu v 50. le-
tech 20. století, Centrum pro studium demokracie a kultura, Brno, 2008; K. Kaplan,
Kronika komunistického Československa. Doba tání 1953-1956, Barrister & Princi-
pal, Brno, 2005.
28
K. Kaplan, Kořeny československé reformy, 2 voll., Doplněk, Brno, 2000-2002;
Id., Kronika komunistického Československa. Kořeny reformy 1956-1968. Společnost
a moc, Barrister & Principal, Brno, 2008; Id., Antonín Novotný. Vzestup a pád “li-
dového” aparátčíka, Barrister & Principal, Brno, 2011; M. Londák, S. Sikora, D.
Londáková, Predjarie. Politický, ekonomický a kuturní vývoj na Slovensko v rokoch
1960-1967, Veda, Bratislava, 2002.
29
Sulla Primavera di Praga esiste una grande quantità di lavori, dal già citato
classico di Skilling, Czechoslovakia’s Interrupted Revolution ai recenti M. Schulze
Wessel, Der Prager Früling. Aufbruch in eine neue Welt, Reclam, Ditzingen 2018, e
A. Laudiero, La Primavera e le sue stagioni, Viella, Roma, 2018; in ambito ceco tra
gli ultimi titoli si segnalano J. Hoppe, Opozice ’68. Sociální demokracie, Kan a K231
v období Pražského jara, Prostor, Praha, 2009; J. Vondrová, Reforma? Revoluce?
Pražské jaro 1968 a Praha, ÚSD, Praha, 2013; S. Sikora, Rok 1968 a politický vý-
voj na Slovensku, Pro Historia, Bratislava, 2008. Fondamentale risulta comunque la
raccolta di documenti Prameny k dějnám československé krize 1967-1970, ÚSD -
Doplněk, Praha-Brno, 1993-2018, di cui nell’arco di un quarto di secolo sono stati
pubblicati 11 volumi in 23 tomi.
30
M. Vaněk, P. Urbášek (eds.), Vitěžové? Poražení? Životopisná interview, 2 voll.,
Prostor, Praha, 2005; M. Vaněk (ed.), Mocní? A bezmocní? Politické elity a disent v
období tzv. normalizace, Prostor, Praha, 2006; M. Otáhal, Opoziční proudy v české
společnosti 1969-1989, ÚSD, Praha, 2011; L. Kalinová, Konec nádějiny a nová
očekávání. K dějinám české společností 1969-1989, Academia, Praha, 2012; M. Londák,
S. Sikora, E. Londáková, Od predjaria k normalizácia, Veda, Bratislava, 2016; inol-
tre la raccolta di saggi, dal sapore vagamente revisionista, M. Pullmann, P. Kolář, Co
byla normalizace? Studie o pozdním socialismu, NLN-ÚSTR, Praha, 2016. Sulla fi-
gura di Husák, solo con grande ritardo affrontata sul piano storico, si vedano gli
ampi profili biografici di S. Michálek, M. Londák a kol., Gustáv Husák. Moc poli-
tiky, politik moci, Veda, Bratislava 2013; Michal Macháček, Gustáv Husák, Výšeh-
rad, Praha, 2017. Tra la letteratura in lingua inglese, si segnalano P. Bren, The Green-
grocer and His TV. The Culture of Communism after the 1968 Prague Spring, Cor-
nell University Press, Ithaca, 2010; J. Bolton, Worlds of Dissent: Charter 77, The
Plastic People of the Universe and Czech Culture Under Communism, Harvard Uni-
versity Press, Cambridge, London, 2012.
31
M. Pullmann, Konec experiment. Přestavba a pád komunismu v Českosloven-
sku, Scriptorium, Praha, 2011.
32
J. Suk, Labyrintem revoluci, Prostor, Praha, 1998; B. Blehová, Der Fall des
Komunismus in der Tschechoslowakei, Lit, Wien, 2006; J. Krapfl, Revolution with a
Human Face: Politics, Culture, and Community in Czechoslovakia 1989-1992, Cor-
nell University Press, Ithaca-London, 2013; su Havel, D. Kaiser, Disident. Václav
Havel 1936-1989, Paseka, Praha-Litomyšl, 2009; J. Suk, Politika jako absurdní drama.
Václav Havel v letech 1975-1989, Paseka, Praha-Litomyšl, 2013; M. Žantovský, Ha-
vel; A Life, Atlantic Books, London, 2014.
33
J. Rychlík, Rozpad Českovenska. Česko-slovenské vztahy 1989-1992, Acade-
mic Electronic Press, Bratislava, 2002; K. Skalnik Leff, The Czech and Slovak Re-
publics: Nation Versus State, Westview Press, Boulder-Oxford, 1997; M. Kraus, A.
Stinger, Irreconcilable Differences? Explaining Czechoslovakia’s Dissolution, Rowman
& Littlefield Publishers, Lanham, 2000; A. Innes, Czechoslovakia: The Short Goodbye,
Yale University Press, New Haven-London, 2001.
1
Il documento è conservato presso l’Archivio Storico della Sezione per i Rap-
porti con gli Stati della Segreteria di Stato, Città del Vaticano [in seguito: S.RR.SS.],
fondo Archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari [in seguito:
AA.EE.SS.], Austria-Ungheria III, posizione [in seguito: pos.] 1320, fascicolo [in se-
guito: fasc.) 519, fogli [in seguito: ff.) 54-76, «Situazione politico religiosa nella Re-
pubblica Ceco-Slovacca». Il rapporto è contrassegnato dal numero di protocollo
88057 ma non è datato. Non ne viene indicata la datazione esatta nemmeno negli
indici dei protocolli delle comunicazioni ricevute dalla Segreteria di Stato, che ab-
biamo consultato presso l’Archivio Apostolico Vaticano. Ma leggendo tali indici si
può stabilire che il documento fu scritto di certo nel 1919 (cosa peraltro desumibile
anche dagli argomenti trattati dal testo). Inoltre, dalle datazioni dei numeri di pro-
tocollo immediatamente precedenti e successivi al numero 88057, si deduce che que-
sto pervenne in Segreteria di Stato fra il 27 marzo ed i primi giorni dell’aprile di
quell’anno.
2
Per un profilo biografico e bibliografico, si veda Noradino Eugenio Torricella,
in Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929), URL:
<www.pacelli-edition.de/Biographie/22000> (consultato il 11/6/2019). Riguardo al-
l’attività di Torricella nel Partito sturziano, si veda G. Laterza, I primi anni del Par-
tito Popolare a Bergamo (1919-1922), in Archivio Storico Bergamasco, 3, 2, 1983, pp.
265-343, URL: <http://www.archiviobergamasco.it/wp-content/uploads/2014/01/Ri-
vista-05.pdf> (consultato il 11/6/2019). Sull’attività di Torricella per gli emigrati ita-
liani ad Agen e sui rapporti contrastati col regime fascista in Italia, cenni in L. Teu-
lières, Immigrés d’Italie et paysans de France, 1920-1944, Presses universitaires du
Mirail, Toulouse, 2002, pp. 99-101, 146, 193. La figura di Torricella nel quadro della
società francese e dell’antifascismo in esilio resta ancora da studiare appieno, così
come rimangono da chiarire le circostanze della sua morte, pare ad opera del par-
tito comunista francese in clandestinità, secondo quanto riportato da P. Borruso, Or-
ganizzazione e ruolo delle missioni cattoliche italiane in Francia (1938-1945), in G.
Perona (ed.), Gli italiani in Francia 1938-1946 (“Mezzosecolo. Materiali di ricerca
storica”, 9), FrancoAngeli, Milano, 1993, pp. 105-120 (p. 109). Si veda anche A. But-
tarelli, Missionari bergamaschi in Francia: tra emigrazione e crisi bellica (1938-1946),
ibi, pp. 185-222.
3
Circa la storia di questa congregazione vaticana, delle sue competenze e del
suo funzionamento, si rimanda alla parte generale di L. Pettinaroli, Les sessioni de
la congrégation des Affaires ecclésiastiques extraordinaires: évaluation générale (1814-
1938) et remarques sur le cas russe (1906-1923), in Mélanges de l’École française de
Rome - Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, 122, 2, 2010, anche on-
line URL: http://journals.openedition.org/mefrim/585. doi: <10.4000/mefrim.585>.
4
Come si vede dalla prima nota di questo lavoro, lo scritto di Torricella si trova
in una posizione classificata ancora sotto la categoria Austria-Ungheria, sebbene la
monarchia asburgica fosse cessata già da alcuni mesi. La categoria Cecoslovacchia
nell’ordinamento di tale documentazione comparirà infatti solo a partire dal 1920,
con l’avvio delle relazioni diplomatiche fra Praga e Santa Sede inaugurate il 15 mag-
gio di quell’anno. Una recente sintesi in lingua italiana circa modalità e problemi
6
A Parigi, così come a Londra, durante la prima guerra mondiale i leader del
movimento cecoslovacco avevano trovato un luogo sicuro e favorevole ove intrec-
ciare rapporti con diplomatici, politici e giornalisti a sostegno dei propri scopi indi-
pendentisti. Fin dal 29 giugno 1918, la Francia aveva riconosciuto il Consiglio Na-
zionale Ceco-Slovacco come organo supremo degli interessi della propria nazione e
come base legittima di ogni suo futuro governo. Cfr. H. Hanák, France, Britain,
Italy and the Independence of Czechoslovakia in 1918, in N. Stone, E. Strouhal
(eds.), Czechoslovakia: Crossroads and Crises, 1918-88, Palgrave Macmillan-BBC
World Service, London, 1989, pp. 30-61 (pp. 54-55). Sugli anni della guerra, si veda
anche l’ancora utile L. Valiani, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Il Saggiatore,
Milano, 1966, pp. 194-236, 276-280, 291-293. La preoccupazione della Francia nel
primo dopoguerra verso la rinascita della Germania ed il suo investimento strate-
gico a supporto di una Cecoslovacchia “forte” viene trattata nella recente sintesi di
M. Heimann, Czechoslovakia. The State that Failed, Yale University Press, New
Haven-London, 2011 (ed. or. 2009), pp. 43-44, 58.
7
In un rapporto da Vienna, il generale Roberto Segre (presidente della Com-
missione militare interalleata esecutiva delle clausole dell’armistizio) oltre a citare la
presenza a Praga del diplomatico francese Clément Simon ed a trattare estesamente
delle condizioni economiche e militari della Cecoslovacchia, descriveva Praga stessa
come «presidiata da legionari francesi» e le vetrine dei negozi «abbondantemente or-
nate di ritratti di Foch e Poincaré; si vendono cartoline raffiguranti il legionario
czeco, il qual porta, naturalmente, la divisa francese; le agenzie giornalistiche non
mancano di giornali francesi […] Pare si stia impiantando una stazione radiotele-
grafica francese». Cfr. Archivio Storico del Ministero degli Esteri, Roma [in seguito:
ASMAE], Fondo della Direzione degli Affari Politici 1919-1930 [in seguito: AP 1919-
30], busta 932, fasc. Czecoslovacchi, Vienna, 26 gennaio 1919, f. 23.
8
Tali temi sono stati oggetto di studio anche recente. Un contributo di sintesi,
forte anche dell’uso di fonti italiane e cecoslovacche, è quello di uno degli autori
maggiormente esperti del tema, ovvero F. Caccamo, Un’occasione mancata. L’Italia,
la Cecoslovacchia e la crisi dell’Europa centrale, 1918-1938, in Nuova Rivista Sto-
rica, 1, 2015, pp. 111-156.
stenendo con una punta di sarcasmo che «Ad una pace perpetua, può
credere chi vuole…»9.
L’ecclesiastico bergamasco richiamava poi l’attenzione della Segre-
teria di Stato su un elemento cruciale nel processo che aveva portato
alla nascita della Repubblica cecoslovacca, qualcosa che si era svilup-
pato già a partire dal secolo precedente in un riverberarsi reciproco
fra rivendicazioni culturali e linguistiche, idee religiose e progetti po-
litici. Si trattava del mito di Jan Hus, il sacerdote e riformatore reli-
gioso boemo che nel 1415 fu condannato al rogo per eresia dal Con-
cilio di Costanza. A proposito della potenza di questo mito nei giorni
in cui scriveva, Torricella offriva la seguente sintesi:
«Il fatto, religiosamente non indifferente, che gli eroi nazionali della Boe-
mia, primo fra tutti Giovanni Huss[sic], sono anche i vessilliferi di una
nuova concezione religiosa, complica di molto la situazione in danno
della Chiesa. Teoreticamente e con alcune frasi eleganti si può scindere
l’uomo politico dal religioso: praticamente però, per la grande massa, ciò
è impossibile e Giovanni Huss rimane per i patrioti boemi il simbolo
delle rivendicazioni nazionali – simbolo che la Chiesa cattolico-romana
ha tentato un giorno – dicono essi – di annientare»10.
Ciò che Torricella non diceva era che l’elevazione della figura di
Hus a nume tutelare del movimento nazionale nelle terre ceche11 pro-
veniva dalla storiografia ottocentesca ed in particolare dall’opera di
František Palacký, intellettuale e politico di confessione Protestante
ed originario della Moravia, che fra il 1836 ed il 1867 aveva pubbli-
cato in più volumi una Storia della nazione Ceca in Boemia e Mo-
ravia che gli era valso l’appellativo di “padre della nazione”12. Nel-
9
S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1320, fasc. 519, ff. 61-63.
10
Ibi, ff. 65-66.
11
In questa sede si impiega la parola “ceco” per aggettivare ciò che riguarda la
Boemia, la Moravia e la Slesia. Tale era anche la scelta terminologica degli attivisti
nel movimento nazionale ceco ottocentesco, i quali insistevano in chiave di diritto
storico sulla antica unione di Boemia e Moravia sotto la medesima corona e sulla
necessità di riconoscere tale continuità istituzionale anche nel presente. La nostra
scelta terminologica si rifà a T. Kamusella, The Politics of Language and Nationa-
lism in Modern Central Europe, Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York, 2009,
p. 983.
12
Palacký iniziò le pubblicazioni di tale opera in tedesco (con il titolo Geschi-
chte von Böhmen) nel 1836. Dal 1848 in poi diede alle stampe i volumi dell’edi-
zione in lingua ceca (Dějiny národu českého v Čechách a v Moravě), modificata sia
per gli eventi trattati che per l’impostazione ideologica. Nella versione tedesca in-
fatti il focus adottato era quello geografico e costituzionale della Boemia, mentre l’o-
pera in lingua materna definiva la storia e l’identità della nazione ceca (gli slavofoni
di Boemia e Moravia) intesa in senso etnico. Per un profilo biografico dell’autore e
per la traduzione inglese di alcuni estratti dell’opera in ceco, si veda František Pa-
lacký: History of the Czech Nation in Bohemia and Moravia, in B. Trencsényi, M.
Kopeček (eds.), Discourses of Collective Identity in Central and Southeast Europe
(1770-1945). Texts and Commentaries: National Romanticism. The Formation of Na-
tional Movements, vol. 2, Central European University Press, Budapest-New York,
2007, pp. 50-56.
13
Tali dinamiche sono state analizzate in chiave generale (ad esempio notando
l’investimento valoriale nella figura di Arnaldo da Brescia da parte della storiografia
italiana ottocentesca) ed in chiave comparativa anche in relazione ad Hus, da M.
Baár, Heretics into National Heroes: Jules Michelet’s Joan of Arc and František Pa-
lacký’s John Hus, in S. Berger, C. Lorenz (eds.), Nationalizing the past. Historians
as Nation Builders in Modern Europe, Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York,
2010, pp. 128-148.
14
Ibi, p. 143; p. 145.
15
Riprendiamo qui l’interpretazione di T. Kamusella, The Politics of Language
and Nationalism in Modern Central Europe, cit., p. 504.
16
Ibi, pp. 488- 495.
17
F. Caccamo, I cechi dalla rinascita nazionale alla lotta per l’emancipazione, in
R. Tolomeo (ed.), Vecchie e nuove élites nell’area danubiano-balcanica del XIX se-
colo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2011, pp. 11-28.
18
Ibi, pp. 20-21.
dello stesso Palacký e dei suoi scritti Soffermarci brevemente sul pen-
siero di Masaryk relativo ad Hus ed alla storia ceca, a questo punto,
agevolerà la comprensione dei successivi sviluppi politici e religiosi
che qui si stanno analizzando.
Già nel 1896 Masaryk aveva pubblicato una raccolta di saggi sulla
figura di Hus, più volte ripubblicata in seguito. In un famoso di-
scorso del 1910 edito nel 1923, Masaryk compie un excursus su Hus
e sui successivi movimenti riformatori religiosi nelle «terre ceche».
Ciò che accomunava i predicatori ed i movimenti cechi più o meno
radicali a livello dottrinale erano il porre la Scrittura sopra al Papa
ed il richiamo alla moralità apostolica declinato anche in termini di
socialismo ante litteram. La Controriforma, asseriva Masaryk, era
stata perciò la reazione di una Chiesa assolutista e teocratica contro
gli aneliti dello spirito nazionale ceco ed aveva voluto interrompere
quella fase nella quale «l’intera nazione ceca, come un unico corpo,
sfidò Roma»19. Tale reazione sarebbe poi stata una causa di profondo
degrado per la nazione ceca20 in quanto avrebbe fatto prevalere la
Chiesa aristocratica contro la «democrazia religiosa». Il Papa e l’Im-
peratore, nell’ottica di Masaryk, avevano dunque rappresentato i due
assolutismi contro i quali la riforma ceca aveva tentato di far preva-
lere una religiosità che non si opponesse alla ragione, che fosse anti-
mistica (il misticismo era considerato da Masaryk come una “intos-
sicazione” del divino21) e che promuovesse il contatto fra l’uomo e
Dio senza l’intermediazione del clero22.
19
Citiamo dalla traduzione inglese del saggio, pubblicata con il titolo Hus and
Czech destiny, in G.J. Kovtun (ed.), The Spirit of Thomas G. Masaryk 1850-1937:
An Anthology, St. Martin’s Press-Masaryk Publications Trust, New York, 1990, pp.
85-95 (p. 91).
20
È stato messo in evidenza che sono pur esistiti altri giudizi più sfumati sulla
Controriforma nelle terre ceche, ad esempio mettendone in rilievo il contributo dato
dalla cultura barocca. Cfr. F. Caccamo, I cechi dalla rinascita nazionale alla lotta per
l’emancipazione, cit., p. 12.
21
Hus and Czech destiny, cit., p. 93.
22
Una recente e polemica sintesi in italiano del pensiero religioso di Masaryk è
quella di E. Hrabovec, La Rivoluzione russa e la genesi della Ceco-Slovacchia, in Qua-
derni di Scienze Politiche. Università Cattolica del Sacro Cuore, 13, 2018, pp. 57-81.
L’autrice sostiene che nell’uso degli argomenti religiosi da parte di Masaryk sarebbe ri-
scontrabile un certo grado di strumentalità. Quanto alle sue idee circa il passato ceco,
esse sarebbero state viziate da apriorismi e da arbitrarietà interpretative. Nelle idee re-
ligiose masarykiane, infine, l’autrice rintraccia «la sua appartenenza alla massoneria scoz-
zese impregnata dal pensiero deista e dall’umanesimo antropologico» (ibi, p. 63).
23
Hus and Czech destiny, cit., pp. 93-94.
24
Il passaggio dell’intervista, comparsa sul numero del 13 febbraio 1919 de Le
Temps, è citato da E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Priester und
die Entstehung der „Tschechoslowakischen Kirche“, in Römische Historische Mittei-
lungen, 2009, pp. 337-368.
25
Si tratta di un tema sul quale la storiografia internazionale ha continuato ad
applicarsi anche di recente. Si vedano lo studio specifico di A. Orzoff, Battle for the
Castle. The Myth of Czechoslovakia in Europe, 1914-1948, Oxford University Press,
Oxford-New York, 51, 2009 e la sintesi più generale di M. Heimann, Czechoslo-
vakia. The State that Failed, cit., un’opera – quest’ultima – il cui intento di deco-
struzione del mito nazionale cecoslovacco è stato da alcuni giudicato come a tratti
troppo severo. Si veda ad esempio la recensione di N. W. Wingfield, in Slavic Re-
view, 70, 2011, pp. 180-182 (doi: 10.5612/slavicreview.70.1.0180).
26
A. Orzoff, Battle for the Castle, cit. Liquidata come reazionaria e borghese
nel periodo di più rigida ortodossia comunista cecoslovacca dopo la seconda guerra
mondiale, l’esperienza della democrazia interbellica e l’opera di Masaryk e Beneš sa-
ranno poi rivalutate dapprima nel clima di relativa libertà degli anni Sessanta e poi
da parte dello scrittore e politico Václav Havel negli anni Ottanta. Cfr. F. Caccamo,
La Cecoslovacchia al tempo del socialismo reale. Regime, dissenso, esilio, Società Edi-
trice Dante Alighieri, Roma, 2017, p. 71, p. 187.
27
S. Bottoni, Un altro Novecento. L’Europa orientale dal 1919 a oggi, Carocci,
Roma, 2011, p. 35.
28
I tre milioni di tedeschi nei Sudeti costituivano il 23% della popolazione to-
tale; poi c’erano oltre 800.000 ungheresi, concentrati in Slovacchia e circa 700.000
fra polacchi, ebrei, rom e ruteni. Tali dati vengono citati ibidem. Gli slovacchi erano
circa due milioni.
29
«Si riproducono in questo piccolo Stato le condizioni di plurinazionalità esi-
stenti nell’ex monarchia»: così l’incaricato d’affari italiano Mario Lago scriveva da
Praga a Tommaso Tittoni, allora appena diventato ministro degli Esteri nel primo
governo Nitti. Cfr. ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Trattazione generale, Lago
a Tittoni, 22 giugno 1919. Il rapporto è anche edito in I documenti diplomatici ita-
liani [in seguito: DDI], Libreria dello Stato-Istituto poligrafico dello Stato, Roma,
1952-, serie VI, vol. 3, doc. 888.
30
S. Bottoni, Un altro Novecento, cit., p. 35, il quale rileva che laddove le mi-
noranze costituivano almeno il 20% della popolazione, esse avevano il diritto di uti-
lizzare la propria lingua nella scuola e nelle altre istituzioni pubbliche. Allo stesso
tempo, Bottoni nota che non mancarono forme di prevaricazione da parte statale,
quali la censura della stampa tedesca e ungherese critica verso le autorità.
31
A. Orzoff, Battle for the Castle, cit., p. 62. Sulla violenza iconoclasta verso i
simboli del governo asburgico, si veda N. Wingfield, Conflicting Constructions of Me-
mory: Attacks on Statues of Joseph II in the Bohemian Lands after the Great War, in
Austrian History Yearbook, 28, 1997, pp. 147-171 (doi: 10.1017/S0067237800016362).
32
Una sintesi della questione e della bibliografia in lingua slovacca in L. Hromják,
Benedetto XV e la Cecoslovacchia, cit.
33
La mancata concessione dell’autonomia, il “pragocentrismo” dello Stato e l’at-
tivismo del partito popolare slovacco guidato dal sacerdote cattolico Andrej Hlinka
concorrono a spiegare la genesi della proclamazione di indipendenza slovacca alla
fine degli anni Trenta, secondo F. Caccamo, La Cecoslovacchia al tempo del sociali-
smo reale, cit., pp. 223-224.
tro a Praga come ringraziamento per la fine della guerra dei Trent’anni
e per la salvezza della città. Due giorni prima oltre 300.000 persone
avevano tenuto un pellegrinaggio laico di orgoglio nazionale ed an-
tiasburgico presso la Montagna Bianca. Secondo un importante ec-
clesiastico locale, monsignor Sedlák, il vandalismo alla statua mariana
di Praga derivava dall’erronea ma evidentemente persuasiva convin-
zione da parte della folla che la statua stessa fosse stata costruita in
segno di disprezzo verso il popolo boemo34. Un altro sacerdote ce-
coslovacco, di cui il nunzio a Vienna Teodoro Valfrè di Bonzo però
non farà il nome, gli scriverà una lettera dal cui tono il diplomatico
vaticano avrà modo di persuadersi di quanto fosse disilluso in quel
momento lo stato d’animo degli ecclesiastici locali, consapevoli di
quanto la religione cattolica fosse ampiamente considerata come la
«ancilla Imperii». E quanto all’episodio della statua mariana, questo
sacerdote lo interpreterà come un atto di ribellione alla gerarchia ec-
clesiastica, più che come mero sfregio alla religione35.
L’avversione ai simboli cattolici, accompagnata ad una furia ico-
noclasta verso le tracce del passato asburgico36, non risparmierà gli
arredi sacri nelle chiese, i crocifissi nelle scuole ed altre statue della
Madonna e di San Giovanni Nepomuceno37, il cui culto veniva da
34
Jan Nepomuk Sedlák in quel momento era ausiliare di Praga durante l’assenza
forzosa dell’arcivescovo Huyn (si veda infra). Il suo resoconto, parte di un più am-
pio rapporto in latino inoltrato pochi giorni dopo i fatti al nunzio apostolico a
Vienna, Teodoro Valfrè di Bonzo, verrà reso noto alla Santa Sede in un dispaccio
che Valfrè stesso inviava il 25 novembre al cardinale Segretario di Stato, Pietro Ga-
sparri. Il documento è edito in M. Šmíd, M. Pehr, J. Šebek, P. Helan (eds.), Česko-
slovensko a Svatý stolec. vol. 3: Diplomatická korespondence a další dokumenty (1917-
1928). Výběrová edice, Masarykův ústav a Archiv Akademie věd ČR, v.v.i., Praha
2015 [in seguito: ČSS, vol. 3], doc. 6 (pp. 34-35).
35
«Dejectio statuae B.M.V. non erat tam signum odii contra cultum B.M.V. quam
signum odii contram Hyerarchicam servitutem Imperii»: il passaggio si trova nella
copia della lettera scritta da questo anonimo ecclesiastico cecoslovacco al nunzio Val-
frè, e da questi allegata al suo rapporto a Gasparri del 1° dicembre 1918. Cfr. S.RR.SS.,
AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1320, fasc. 519, ff. 24r-33r (f. 29v).
36
Wingfield, in polemica con Heimann, sostiene che la furia iconoclasta si sa-
rebbe scagliata meno contro i simboli cattolici e molto di più contro insegne in te-
desco ed aquile bicipiti asburgiche. Si veda la recensione citata alla nota 25.
37
In una sintesi retrospettiva, che è imprecisa almeno per quanto riguarda la data
del vandalismo contro la statua mariana (indicata nel 7 novembre invece che nel 3
novembre) un corrispondente anonimo dell’importante rivista romana dei gesuiti
identificherà con sarcasmo tali atti come «i primi frutti della libertà». Cfr. Ceco-Slo-
vacchia (Nostra corrispondenza), in La Civiltà Cattolica, quaderno 1698, 19 marzo
1921, pp. 563-569 (p. 567): «Nel seguente anno, 1919, furono depredate dei sacri ar-
redi più di trecento chiese, e circa cinquecento statue della Madonna e di S. Gio-
vanni Nepomuceno furono abbattute nottetempo; fu tolto il Crocifisso da circa 1600
scuole».
38
Fin dalle prime settimane dall’indipendenza, si era parlato di abolire la festa
del 16 maggio per San Giovanni Nepomuceno ed istituire la festa di Hus il 6 lu-
glio, anniversario del suo rogo. Ne dava notizia il nunzio Valfrè, chiedendosi ama-
ramente: «Tutto ciò avviene quando è ancora al potere la frazione cosiddetta degli
intellettuali; che cosa si potrebbe sperare se un giorno venissero al potere gli ele-
menti estremi?». Cfr. S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1320, fasc.
519, Valfrè a Gasparri, Vienna 8 dicembre 1918, ff. 34r-37v (f. 35v).
39
Tali eventi vengono descritti da Valfrè in un rapporto a Gasparri del 6 giugno
1919, edito in ČSS, vol. 3, doc. 20, p. 95. Nel 1921 il nunzio apostolico a Praga
Clemente Micara insisterà sull’accanimento verso le statue di San Giovanni Nepo-
muceno da parte degli «anticlericali», notando che gli autori degli atti vandalici erano
«gente che le autorità assicurano essere rimasta finora ignota». Tuttavia, notava il
nunzio, nella cattolicissima Slovacchia era di recente avvenuto un sollevamento po-
polare contro gli iconoclasti. Cfr. S.RR.SS., AA.EE.SS., Cecoslovacchia III, pos. 2,
fasc. 2, Micara a Gasparri, Praga 17 maggio 1921, ff. 34r-35v (f. 35r).
40
Sulla laicizzazione del culto di San Venceslao, prima della guerra, e sulle suc-
cessive conversioni di massa all’ortodossia da parte della brigata ceco-slovacca in
Russia nel 1916, con la quasi contestuale adozione di simboli ussiti ordinata nel 1917
dallo stesso Masaryk, si veda E. Hrabovec, La Rivoluzione russa e la genesi della
Ceco-Slovacchia, cit., pp. 70-74.
41
Nato a Brno (Brünn in tedesco) in Moravia, aveva studiato a Innsbruck e poi
alla Gregoriana a Roma. Tipico esponente dell’alto clero nelle terre ceche del pe-
riodo asburgico, il suo bilinguismo ceco-tedesco era stato considerato positivamente
in vista della proposta del suo nome alla Santa Sede da parte del governo austriaco
per l’arcidiocesi di Praga nel 1916. Cfr. A. Gottsmann, Rom und die nationalen
45
È la ricostruzione fornita da Valfrè dopo aver compiuto una inchiesta presso
il clero cecoslovacco. Cfr. ČSS, vol. 3, doc. 6, cit., pp. 33-34.
46
I pronunciamenti di Masaryk sul tema sono molteplici. Basterà qui citare il
suo messaggio del 15 novembre ’18 alla National Alliance of Bohemian Catholics di
Chicago, nella quale annuncia che la futura regolazione dei rapporti fra Cecoslo-
vacchia e Santa Sede avrà lo scopo di rimuovere «the Austro-Hungarian abuse of
religion by the State». Una copia del documento è conservata presso gli archivi va-
ticani ed è stata edita in ČSS, vol. 3, doc. 5.
47
L. Hromják, Benedetto XV e la Cecoslovacchia, cit., p. 823.
48
Si veda ad esempio la valutazione circa la religione utilizzata dal cessato Stato
asburgico «come mezzo per la sua politica», contenuta nel già citato rapporto di
Valfrè a Gasparri del 1° dicembre 1918, anche edito in ČSS, vol. 3, doc. 9, (p. 53).
49
L. Hromják, Benedetto XV e la Cecoslovacchia, cit., p. 824. Interessante a que-
sto proposito la valutazione ex post offerta da La Civiltà Cattolica nel 1922, par-
lando del secondo tentativo di ritorno dell’ex imperatore Carlo in Ungheria e del
mancato supporto dei cattolici cecoslovacchi: «La vecchia Austria-Ungheria non aveva
in realtà che una vernice di cattolicismo, ma non era cattolica nell’anima; la Chiesa
cattolica era pel governo di Vienna uno strumento politico pei suoi fini tra gli slavi,
a gravissimo danno della Chiesa». Certo, notava il redattore gesuita, nella nuova re-
pubblica «la Chiesa soffre e deve combattere, ma con ciò lo spirito cattolico si ri-
desta e si rinvigorisce». Cfr. Cecoslovacchia (Nostra corrispondenza), in La Civiltà
Cattolica, quaderno 1722, 18 marzo 1922, pp. 562-569 (p. 565).
50
S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1320, fasc. 519, cit., ff. 69-70.
51
Ibi, f. 74.
52
Ibi, f. 69
53
K. Skalický, The Vicissitudes of the Catholic Church in Czechoslovakia, 1918
to 1988, in N. Stone, E. Strouhal (eds.), Czechoslovakia: Crossroads and Crises, cit.,
pp. 297-324 (p. 299).
54
M. Trapl, Political Catholicism and the Czechoslovak People’s Party in Cze-
choslovakia, 1918-1938, Columbia University Press, New York 1995.
55
Il suo nome completo era Jednota českého katolického duchovenstva (Unione
del clero cattolico Ceco).
56
E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Priester, cit., p. 344.
57
La documentazione vaticana contiene molteplici riferimenti al fatto che i ve-
scovi locali avevano tollerato la rinascita di Jednota per evitare ulteriori ribellioni del
clero, sperando che ciò avrebbe moderato i riformatori. Cfr. ad esempio il dispac-
cio di Valfrè da Vienna a Gasparri dell’8 febbraio 1919 in S.RR.SS., AA.EE.SS., Au-
stria-Ungheria III, pos. 1351, fasc. 541, ff. 71r-74v (f. 72r). In una riunione dei ve-
scovi cecoslovacchi nel gennaio 1920, pochi giorni dopo lo scisma, i prelati chiesero
a monsignor Josef Doubrava, amministratore apostolico di Praga al tempo della rifon-
dazione di Jednota, come mai egli avesse consentito alla rifondazione stessa. Il re-
soconto della discussione dato dal futuro nunzio Micara è assai vivido: «[Doubrava]
assicurò, con le lacrime agli occhi, che si era ingannato e che era stato ingannato».
Cfr. ČSS, vol. 3, doc. 33, (p. 158).
58
Su tali aspetti, cfr. E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Prie-
ster, cit., pp. 341-349.
59
Accenni alla questione nei rapporti del nunzio a Vienna inviati al Segretario
di Stato Gasparri il 25 novembre ed il primo dicembre ’18. Cfr. rispettivamente ČSS,
vol. 3, doc. 6 (pp. 39-40) e doc. 9 (p. 53).
60
L’inviato diplomatico italiano a Praga, Mario Lago, era dell’opinione che la
condizione economica misera della quale il basso clero cecoslovacco si lamentava di-
pendeva «non tanto dalla scarsità delle prebende quanto dall’aumento vertiginoso del
carovivere». Cfr. ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Czecoslovacchi, Lago a Son-
nino, Praga 2 marzo 1919. Il ligure Mario Lago nel 1922 verrà nominato governa-
tore del Dodecaneso, carica che manterrà fino al 1936. Cfr. G. E. Visone, s.v. “Lago,
Mario”, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 63, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma 2004, URL: < http://www.treccani.it/enciclopedia/mario-lago_(Dizio-
nario-Biografico)/>.
61
E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Priester, cit., p. 344. Em-
blematico della chiave di lettura data da Valfrè è ancora il suo rapporto a Gasparri
dell’8 dicembre 1918: molti sacerdoti erano «tutti presi dal sentimento della nazio-
nalità, amanti della popolarità malsana, pronti ad accogliere tutto ciò che si presenta
loro sotto le spoglie di modernità e di progresso»; i vescovi ed il clero non rifor-
matore, scrive ancora Valfrè, devono «per motivi di prudenza, usare di una condotta
piena di dolcezza, di persuasione, di dissimulazione, affine di evitare una rottura do-
lorosa ed irreparabile che, però, le idee e la maniera di agire di quelli fanno temere
con sempre maggiore ragione». Cfr. S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos.
1320, fasc. 519, f. 36r.
62
Sacerdote e romanziere (Brodský era lo pseudonimo assunto in questa veste),
fra 1919 e 1924 operava anche come referente per la sezione ecclesiastica presso il mi-
nistero dell’Istruzione: in un rapporto a Valfrè, il canonico praghese Karel Kašpar (che
nel 1935 diventerà cardinale) faceva notare come il ministro che lo aveva nominato,
Gustav Habrman, fosse un «sommo nemico della Chiesa» (cfr. ČSS, vol. 3, doc. 17,
rapporto del 2 febbraio 1919, p. 81). Il fratello di Bohumil, Isidor Zahradník, era un
padre Premostratense, diventato ministro delle Ferrovie nel primo governo della re-
pubblica. Nel suo già citato rapporto, il generale Segre parlerà di quest’ultimo nei se-
guenti termini: «Versato in studi storici. Fu a lungo a Roma e parla correntemente ita-
liano». Cfr. ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Czecoslovacchi, cit., f. 7.
63
Quanto all’abolizione del celibato, Kašpar scriveva che lo chiedevano solo co-
loro «i quali non habent ordinarie bonam famam». Sulla preparazione culturale de-
gli ecclesiastici boemi, affermava che «il clero è da magna parte assai ignorante nelle
cose divine». Cfr. ČSS, vol. 3, doc. 12, Kašpar a Gasparri, 13 dicembre 1918, p. 61.
64
Cfr. la circolare inviata al clero cecoslovacco da Zahradník-Brodský, nella tra-
duzione realizzata da un informatore del nunzio Valfrè e da questi inviata in Vati-
cano il primo dicembre ’18. Cfr. S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos.
1320, fasc. 519, ff. 30r-33r (f. 32v).
65
Skirmunt, inoltre, riferiva il passaggio di un discorso del ministro Isidor Zah-
radník («la Chiesa Cattolica deve cambiare ed adattarsi al tempo nuovo. Essa non
deve essere un corpo estraneo ma un corpo nazionale») e, pochi giorni dopo, il me-
desimo con informatore paventava alla Santa Sede il rischio concreto di uno scisma.
Per i passaggi dei suoi rapporti del 30 gennaio e del 3 febbraio 1919, cfr. rispetti-
vamente S.RR.SS., AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1351, fasc. 541, f. 53r e e
56r. Nel secondo rapporto, scriverà icasticamente: «Si ripetono proprio i tempi di
Lutero e di Hus, ed abbiamo di nuovo il caso di una rivoluzione religiosa stretta-
mente unita ad un’altra.
66
E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Priester, cit., pp. 346-347.
67
ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Trattazione generale, Lago al ministero
degli Esteri, Praga 28 febbraio 1919.
68
Ibi, fasc. Czecoslovacchi, Lago a Sonnino, Praga 2 marzo 1919. Da una nota
apposta dai funzionari del ministero degli Esteri italiano in un foglio presente in
questa cartella, si apprende che tale rapporto (assieme ad altri sui medesimi temi)
giunse verosimilmente a conoscenza del Vaticano, essendo stato inoltrato al barone
Carlo Monti, direttore del Fondo per il Culto e tramite ufficioso in quegli anni fra
il Governo italiano e la Santa Sede, oltre che conoscente diretto per ragioni biogra-
fiche di Papa Benedetto XV.
Lago, poi, aveva avuto modo di parlare anche con Valfrè durante la
sua visita di questi a Praga. A giudizio del nunzio, il clero radicale era
meno numeroso di quanto sostenesse Masaryk. «Anche limitatamente
al clero di nazionalità ceca (circa i due terzi della totalità) egli [Valfrè]
calcola che i sacerdoti disposti alla ribellione non superino le poche cen-
tinaia»69. In quei giorni il diplomatico italiano seguiva con particolare
attenzione la vicenda. Da un suo successivo rapporto apprendiamo che
Valfrè aveva incontrato Isidor Zahradník e gli aveva detto che la Santa
Sede avrebbe preferito lo scisma, piuttosto che fare delle concessioni sul
celibato. Parlandone con Lago, Zahradník aveva poi paventato che «po-
trebbe accadere che, in un giorno determinato, alcune centinaia di sa-
cerdoti cecoslovacchi, contraggano matrimonio, e che il Governo li man-
tenga nell’esercizio del loro ufficio, mentre non verrebbe a mancar loro
il favore dei fedeli»70. Nel novembre ’19, prima dunque dello scisma,
Zahradník chiederà all’abate di Strahov (autorità del monastero Premo-
stratense del quale faceva parte) di venire ridotto allo stato laicale e di
poter contrarre matrimonio in chiesa. Dai rapporti spediti al cardinale
Gasparri da parte di monsignor Clemente Micara, da poche settimane
inviato della Santa Sede in Cecoslovacchia e poi nunzio dal settembre
192071, sappiamo che Zahradník il 23 dicembre ’19 contrarrà matrimo-
nio civile con la donna con la quale conviveva da tempo e che uno dei
testimoni della cerimonia era stato il generale francese Pellé. Un fatto,
69
Ibidem. Che l’incaricato d’affari del governo italiano avesse avuto uno scam-
bio di idee con un nunzio pontificio non era un fatto così scontato. Secondo le
istruzioni date dalla Santa Sede ai suoi rappresentanti all’estero nel 1888, richiamate
ancora nel 1922 dalla Segreteria di Stato, i nunzi dovevano ben guardarsi dallo strin-
gere «relazioni compromettenti» con gli inviati diplomatici italiani all’estero. I con-
tatti ufficiali dovevano essere evitati, «restringendo le relazioni private con essi nei
limiti del solo necessario». Cfr. Archivio Apostolico Vaticano [in seguito: AAV],
Arch. Nunz. Jugoslavia, busta 2, «Istruzioni per Monsignor Ermenegildo Pellegri-
netti, Arcivescovo tit. di Adana. Nunzio Ap. in Belgrado», f. 96r.
70
ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Czecoslovacchi, Lago a Sonnino, Praga
4 marzo 1919, f. 2.
71
Micara era stato inviato a Praga nell’ottobre ’19 in qualità di rappresentante della
Santa Sede presso l’episcopato cecoslovacco. Considerando che ancora non erano state
stabilite relazioni diplomatiche ufficiali fra Cecoslovacchia e Santa Sede, la presenza di
Micara testimoniava della rilevante importanza attribuita da parte di quest’ultima alla
situazione. Cfr. E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Priester, cit., pp.
361-362. Per un profilo biografico ed una bibliografia sul prelato, cfr. Clemente Mi-
cara, Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte Eugenio Pacellis (1917-1929), URL:
<www.pacelli-edition.de/gnd/101908865> (consultato il 11/6/2019).
72
La vicenda del matrimonio di Isidor Zahradník è documentata in S.RR.SS.,
AA.EE.SS., Austria-Ungheria III, pos. 1361, fasc. 546, ff. 44r-50v (citazione al f. 48r).
73
Su tale supporto governativo e più in generale sulla missione di Jednota a
Roma, maggiori dettagli in E. Hrabovec, Reformbestrebungen der tschechischen Prie-
ster, cit., pp. 353-355.
74
Ceco-Slovacchia (Nostra corrispondenza), in La Civiltà Cattolica, quaderno
1698, 19 marzo 1921, p. 567.
75
Sbagliando macroscopicamente valutazione, Lago informerà Nitti del fatto che
la Santa Sede era invece disposta a trattare sul celibato, grazie al particolare argomento
utilizzato da Jednota: quello cioè per cui con l’annessione alla Cecoslovacchia dei ter-
ritori abitati dai ruteni greco-cattolici, la presenza nel loro clero di sacerdoti sposati e
la convivenza nel medesimo territorio con i sacerdoti cattolici latini e celibi avrebbero
rinvigorito «la propaganda scismatica degli estremisti». Cfr. ASMAE, AP 1919-30, bu-
sta 932, fasc. Trattazione generale, Lago a Nitti, Praga 18 luglio 1919.
76
Per la citazione della lettera papale cfr. I recenti movimenti religiosi nella Czeco-
slovacchia, in L’Osservatore Romano, 18 febbraio 1920.
77
Valfrè esprime tali valutazioni nel suo rapporto a Gasparri del 6 giugno 1919,
edito in ČSS, vol. 3, doc. 20, (p. 94). Sulle intenzioni del governo di tutelare i sa-
cerdoti che si sarebbero staccati da Roma, si veda anche ASMAE, Archivio della Le-
gazione di Praga, busta 3 anno 1919, fasc. 202-b Questioni religiose in Cecoslovac-
chia, Lago a Sonnino, Praga 3 giugno 1919 (minuta).
78
Su questi temi all’interno della letteratura storiografica in lingua italiana ri-
mandiamo a E. Hrabovec, La Santa Sede, il governo cecoslovacco e gli slovacchi
(1918-1939) ed a L. Hromják, Il Kulturkampf in Cecoslovacchia alla luce della let-
tera pastorale dei vescovi slovacchi del 1924, entrambi in M. Valente (ed.), Santa Sede
ed Europa centro-orientale tra le due guerre mondiali. La questione cattolica in Ju-
goslavia e in Cecoslovacchia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011, rispettivamente pp.
243-272 e pp. 273-286.
79
ASMAE, AP 1919-30, busta 932, fasc. Trattazione generale, Lago a Nitti, Praga
15 settembre 1919.
80
ASMAE, Archivio della Legazione di Praga, busta 3 anno 1919, fasc. 202-b
Questioni religiose in Cecoslovacchia, il viceconsole Iginio Ugo Faralli al ministero
degli Esteri, Praga 6 novembre 1919 (minuta). Vi si legge anche che «una delle cause
più gravi di malcontento in Slovacchia è appunto il contegno sprezzamenre antire-
ligioso dei militari, dei funzionari e dei maestri cechi».
81
La valutazione era contenuta in un rapporto di Mario Lago, nel quale il di-
plomatico italiano rettificava quanto aveva scritto il 18 luglio a proposito della (ir-
reale) disponibilità della Santa Sede a trattare sul celibato ecclesiastico, spiegando
come monsignor Micara appena arrivato a Praga aveva fin da subito negato le voci
circa un presunto atteggiamento morbido da parte di Gasparri. Cfr. ibi, Lago a Nitti,
Praga 18 settembre 1919 (minuta). Circa l’ottimismo esagerato diffuso dai sacerdoti
tornati dalla missione a Roma, nelle parole di Micara stesso, cfr. AAV, Arch. Nunz.
Cecoslovacchia, busta 5, fasc. 19, «Relazione finale Missione Mgr. Micara», 9 giugno
1923, ff. 51-166 (f. 68).
82
La versione in italiano della lettera papale si trova in S.RR.SS., AA.EE.SS., Ce-
coslovacchia III, pos. 2, fasc. 2, ff. 6r-8r. Il testo in latino si trova in Acta Apostoli-
cae Sedis, 12, 1920, Typis Polyglottis Vaticanis, Roma, pp. 33-35.
83
Sulla fondazione della Chiesa Nazionale Cecoslovacca, molto dettagliato è il
resoconto inviato da Micara a Gasparri il 10 gennaio 1920, edito in ČSS, vol. 3, doc.
31, pp. 142-152.
84
Ibi, p. 148.
85
Ibi, pp. 149-150.
86
La citazione e la traduzione in italiano del documento rinvenuto negli archivi
cecoslovacchi si trova in L. Hromják, Benedetto XV e la Cecoslovacchia, cit., p. 826.
87
Decreto pubblicato in Acta Apostolicae Sedis, 12, 1920, Typis Polyglottis Va-
ticanis, Roma, p. 37.
88
A proposito di tale linea interpretativa, ci sembrano convincenti le argomen-
tazioni fornite da Emilia Hrabovec, da ultimo in un saggio pubblicato mentre il pre-
sente lavoro era in corso di stampa. Cfr. E. Hrabovec, La Santa Sede e la nuova
Cecoslovacchia: problemi e sfide nel contesto transnazionale, in M. Agostino (ed.),
Santa Sede e cattolici nel mondo postbellico 1918-1922. Raccolta di Studi nel cente-
nario della conclusione della Prima Guerra Mondiale, Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano, 2020, pp. 49-75. L’autrice afferma che nonostante la propria «autode-
finizione laica o laicista», il governo di Praga «cominciò subito ad arrogarsi gli stessi
diritti verso la Chiesa considerata un instrumentum regni sui generis» (cfr. p. 54: il
paragone viene compiuto in riferimento al periodo asburgico).
anche – come spesso avviene nei decisivi tornanti della storia – un’in-
fluenza non secondaria proprio del preesistente quadro normativo-co-
stituzionale come consolidatosi in particolare negli ultimi decenni del
diciannovesimo secolo. A tale proposito i più significativi documenti
costituzionali sono quelli ricompresi sotto la denominazione di De-
zemberverfassung (unitamente ad alcuni altri a questi antecedenti ed
intimamente legati) tramite i quali la monarchia asburgica dava (o aveva
cercato di dare) risposta, da un lato, alle istanze di autonomia prove-
nienti dai vari territori dell’Impero (in primis, ma non solo, l’Unghe-
ria) e, dall’altro lato, a quelle «domande di libertà» così care all’ideo-
logia liberale ottocentesca e che si concretizzavano nel riconoscimento
di una sfera di libertà individuali e della tutela giudiziaria dei diritti.
Con l’espressione Dezemberverfassung si indicano sei atti norma-
tivi di rango costituzionale (tutti denominati Grundgesetz, «leggi fon-
damentali»)1, redatti dal «Comitato costituzionale del Reichsrat au-
striaco» e adottati con un’unica «sanzione» da parte dell’imperatore
Francesco Giuseppe il 21 dicembre 18672.
La legge n. 141 del 21 dicembre 1867, Das Gesetz vom 21. De-
zember 1867, wodurch das Grundgesetz über die Reichsvertretung
vom 26. Februar 1861 abgeändert wird, era l’unica componente della
«Costituzione di dicembre» a non introdurre una «nuova legge», ma
apportava significative modifiche al Grundgesetz über die Reichsver-
tretung del 26 febbraio 1861 (c.d. Februarpatent) e proclamava il ri-
conoscimento dei diritti storici delle popolazioni dell’impero, confer-
mava l’impianto bicamerale del parlamento imperiale (Reichsrat) e ri-
conosceva potestà legislativa alle Diete territoriali (a vantaggio delle
quali operava anche il principio di residualità).
1
Le sei leggi fondamentali erano: 1) «Das Gesetz vom 21. Dezember 1867, wo-
durch das Grundgesetz über die Reichsvertretung vom 26. Februar 1861 abgeändert
wird»; 2) «Das Staatsgrundgesetz vom 21. Dezember 1867 über die allgemeinen Re-
chte der Staatsbürger für die im Reichsrathe vertretenen Königreiche und Länder»;
3) «Das Staatsgrundgesetz vom 21. Dezember 1867 über die Einsetzung eines Rei-
chsgerichts»; 4) «Das Staatsgrundgesetz vom 21. Dezember 1867 über die richterli-
che Gewalt»; 5) «Das Staatsgrundgesetz vom 21. Dezember 1867 über die Ausü-
bung der Regierungs- und Vollzugsgewalt»; 6) «Das Gesetz vom 21. Dezember 1867
über die allen Ländern der österreichischen Monarchie gemeinsamen Angelegenhei-
ten und die Art ihrer Behandlung» (Delegationsgesetz).
2
Sulla Dezemberverfassung v. P. Costanzo, 21 dicembre 1867-21 dicembre 2017.
L’ultimo colpo d’ali dell’imperial-regio governo Una Costituzione non «senza qua-
lità», in Consulta online, 2017.
3
Tale legge costituzionale sarà mantenuta in vigore nell’ordinamento repubbli-
cano da parte della Costituzione del 1920 (art. 149) e poi anche nella Costituzione
federale del 1929 e poi (in ragione del Verfassungs-Überleitungsgesetz del 1° maggio
1945) nelle fonti costituzionali austriache del secondo dopoguerra (e sarà abrogata
con la «legge federale di adeguamento della legge costituzionale» BGBl. I n. 2/2008,
approvata il 5 dicembre 2007, con la quale i testi della costituzione austriaca sono
stati oggetto di risistemazione). L’art. 149 dispone che «Devono essere considerate
come leggi costituzionali…
– la legge fondamentale del 21 dicembre 1867 sui diritti generali dei cittadini;
– la legge del 27 ottobre 1862 sulla tutela della libertà individuale;
– la legge del 27 ottobre 1862 sulla tutela del domicilio;
– la deliberazione dell’Assemblea nazionale provvisoria del 30 ottobre 1918;
– la legge del 3 aprile 1919 concernente l’esilio e la confisca dei beni della dina-
stia Absburgo-Lorena;
– la legge del 3 aprile 1919 sulla soppressione della nobiltà, degli ordini secolari
cavallereschi e femminili, e di determinati titoli e dignità;
– la legge dell’8 maggio 1919 sullo stemma e il sigillo di Stato…
– la sezione V della terza parte del trattato di Saint-Germain del 10 settembre
1919».
bilità di proporre ricorso per la tutela dei diritti elencati nella «legge
fondamentale n. 142».
Con la «legge fondamentale» n. 144, Staatsgrundgesetz über die
richterliche Gewalt, che affermava il principio di separazione tra po-
tere giudiziario e potere esecutivo, venivano garantite l’indipendenza
del potere giudiziario, l’oralità e la pubblicità delle udienze. Tale legge
fondamentale escludeva espressamente il potere dei giudici ordinari
di pronunciarsi sulla validità delle leggi.
Con la «legge fondamentale» n. 145, Staatsgrundgesetz über die
Ausübung der Regierungs- und Vollzugsgewalt, viene disciplinato il
ruolo costituzionale dell’imperatore con elencazione delle immunità
e dei poteri a questo riservati.
Con la legge fondamentale n. 146 (Gesetz über die allen Ländern
der österreichischen Monarchie gemeinsamen Angelegenheiten und die
Art ihrer Behandlung), denominata anche Delegationsgesetz, viene
consolidato il contenuto dell’Österreichisch-Ungarischen Ausgleich del
12 giugno 1867 (Gesetzesartikel XII), che aveva riconosciuto all’Un-
gheria (quale «unità statale») un’importante autonomia (con parla-
mento bicamerale e governo parlamentare).
L’assetto complessivo della Dezemberverfassung delineava dunque
un ordinamento costituzionale in cui al principio della sovranità del-
l’imperatore si accompagnavano, da un lato, l’affermazione di im-
portanti forme di autonomia ai vari territori dell’Impero e, dall’altro
lato, il riconoscimento ai cittadini di un catalogo di diritti fonda-
mentali unitamente alla proclamazione del principio di legalità e del-
l’indipendenza del potere giudiziario cui era affidata la garanzia della
tutela dei diritti ma anche delle forme di autonomia dei territori del-
l’Impero4.
4
P. Costanzo, op. ult. cit., sottolinea come le modifiche introdotte dalla De-
zemberverfassung abbiano inciso «sulla stessa natura della monarchia asburgica», giac-
ché «si passò […] da una monarchia unica per tutti i territori dinastici della casa
d’Austria ad una c.d. doppia monarchia basata sull’unione personale della Corona
imperiale austriaca e di quella regia ungherese in capo allo stesso Francesco Giu-
seppe (incoronato re magiaro nel 1867). Su un simile rimescolamento istituzionale,
si scommise in effetti nel tentativo di mantenere intatto il ruolo di Vienna nel con-
certo delle Potenze europee con l’eliminazione del più deleterio fattore di crisi in-
testina, ossia la vocazione centripeta dell’Ungheria. Tuttavia, l’intesa a due rinfocolò
le ambizioni anche delle altre nazionalità presenti: circostanza destinata a costituire,
dopo la sconfitta austriaca nella Prima Guerra Mondiale, la pietra tombale dell’im-
pero multietnico in nome del cd. diritto di autodeterminazione dei popoli messo al-
l’ordine del giorno al tavolo della pace».
5
L’art. 10 prevede le seguenti materie:
«I - Costituzione federale, in particolare, elezioni al consiglio nazionale; refe-
rendum in base alla costituzione federale; giurisdizione costituzionale;
II - Affari esteri, compresa la rappresentanza politica ed economica nei confronti
dell’estero, e in particolare la stipulazione di tutti i trattati internazionali; delimita-
zioni di frontiera; scambi di merci e di bestiame con l’estero; dogane;
III - Polizia di frontiera; immigrazione ed emigrazione; passaporti; espulsione dal
territorio federale, estradizione e transito di persone soggette ad estradizione;
IV - Finanze federali, in particolare entrate pubbliche, che siano esclusivamente
o parzialmente da percepire per la Federazione; monopoli;
V - Materie monetarie e creditizie, Borse e banche; pesi e misure, determina-
zione del titolo e punzonatura dei metalli preziosi;
VI - Rapporti di diritto civile, compresa la disciplina delle associazioni econo-
miche; diritto penale, con esclusione delle norme di diritto penale amministrativo e
di procedura penale amministrativa, nei casi che rientrino nella sfera di attività au-
tonoma delle regioni; amministrazione della giustizia; giustizia amministrativa; diritto
d’autore; stampa; espropriazione in quanto non riguardi materie rientranti nella sfera
di azione autonoma delle regioni; attività dei notai avvocati e professioni connesse;
VII - Diritto di associazione e di riunione;
VIII - Disciplina dell’industria e della produzione industriale; agenzie pubbliche
e intermediazione privata; repressione della concorrenza sleale; brevetti e tutela dei
modelli, marchi di fabbrica ed altri contrassegni di commercio; attività degli avvo-
cati in materia di brevetti; disciplina degli ingegneri e tecnici civili; camere di com-
mercio e industria;
alla Dieta» (dovendo essere soltanto eleggibili alla stessa) (art. 35)9.
Gli artt. 41 e seguenti disciplinano la procedura legislativa e l’art. 56
dispone il divieto di mandato imperativo per i membri sia del Na-
tionalrat che del Bundesrat e a questi ultimi è riconosciuta l’immu-
nità conferita ai membri della Dieta che li ha eletti. Gli artt. 60 e se-
guenti disciplinano l’elezione e le competenze del Presidente del Bund,
del governo federale (eletto dal Nationalrat) e del cancelliere federale.
Nella seconda parte della Costituzione (artt. 82 ss.) si rinviene la
disciplina della funzione giurisdizionale (assegnata al Bund) e si spe-
cifica (art. 89) che i giudici non possono «giudicare della validità delle
leggi» e che nel caso di «dubbi circa l’applicazione di una disposi-
zione a motivo della sua incostituzionalità» il giudice «deve sospen-
dere il procedimento e richiedere al Verfassungsgerichtshof la cassa-
zione di tale disposizione». Gli artt. 95 e seguenti disciplinano il po-
tere legislativo ed esecutivo dei Länder esercitati rispettivamente dalle
Diete e dal governo regionale (eletto dalla rispettiva Dieta) e guidato
da un governatore. Si prevede un controllo preventivo da parte del
governo federale delle «deliberazioni legislative della Dieta», ed il giu-
dizio negativo del governo federale è superabile con una nuova de-
liberazione da parte della Dieta medesima.
Infine la Costituzione (nel titolo «Garanzie della Costituzione e
dell’amministrazione»), disciplina, nell’ordine, la Verwaltungsgericht-
shof («Suprema Corte amministrativa», artt. 129 ss.)10 – chiamata a
giudicare dei ricorsi contro gli atti delle autorità amministrative – e
9
L’art. 37 (in parallelo con quanto previsto dall’art. 31 per il Nationalrat) di-
spone che «Per ogni deliberazione del Bundesrat è necessaria, a meno che nella pre-
sente legge non sia altrimenti disposto, la presenza di almeno un terzo dei suoi mem-
bri e la maggioranza assoluta dei votanti».
10
La Costituzione precisa che dinanzi alla Suprema Corte amministrativa può
intentare ricorso chi si affermi leso «nei propri diritti dal provvedimento ammini-
strativo per irregolarità» o quanti «avessero il diritto di partecipare alla procedura
preparatoria dell’atto e vi hanno effettivamente partecipato, qualora invochino un
motivo di nullità previsto dalla legge o la violazione di norme imperative, qualora
cioè affermino che il contenuto dell’atto è in contraddizione con una proibizione o
una condizione previste dalla legge, oppure che detto atto è giuridicamente impos-
sibile». È inoltre prevista la possibilità di impugnativa del provvedimento ammini-
strativo da parte del «ministro federale competente» … allorché il ministro ritiene
lesi dall’atto dell’autorità del Land gli interessi del Bund. Sono esclusi dalla compe-
tenza del Verwaltungsgerichtshof (art. 130) «le questioni che rientrano nella compe-
tenza del Verfassungsgerichtshof» e «le questioni la cui decisione è di competenza
dei tribunali ordinari».
11
Fin dall’antica Grecia abbiamo esempi di organi di controllo del potere legi-
slativo e di cui troviamo corrispondenza anche nell’Eforato proposto da Mario Pa-
gano nella costituzione napoletana del 1799!
12
Al riguardo v. J. Luther, Idee e storia di giustizia costituzionale nell’ottocento,
Giappichelli, Torino, 1989; è altrettanto noto che, a partire dagli inizi del dicianno-
vesimo secolo, a partire dalla sentenza Marbury v. Madison, negli Stati Uniti d’America
si afferma il controllo diffuso di costituzionalità. Per il dibattito dell’epoca v. G.B.
Ugo, Sulle leggi incostituzionali, Macerata, 1887 (e l’amplia bibliografia ivi citata). E
la dottrina da tempo ha sottolineato che l’affermazione del controllo giudiziario di
costituzionalità consegue al passaggio della nozione della costituzione da documento
politico (volto a porre il principio della limitazione del potere del monarca) a norma
14
S. Lagi, Kelsen e la Corte costituzionale austriaca: un percorso storico-politico
(1918-1920), in Giornale di storia costituzionale, 2006, I, p. 165 ss., sottolinea come
la contrapposizione fra Centro e Länder, che aveva rappresentato uno dei «trend»
della storia politica e costituzionale austriaca, venga ad esplodere nuovamente dopo
la fine della grande guerra; sul pensiero di Kelsen, v. S. Lagi, Il pensiero politico di
Hans Kelsen. Le origini di «Essenza e valore della democrazia», Genova, 2008. Nella
dottrina austriaca v. F. Ermacora, Österreichischer Föderalismus vom patrimonialen
zum kooperativen Bundesstaat, Brammüller, Wien, 1976.
15
C Mezzanotte, Corte costituzionale e legittimazione politica, Editoriale Scien-
tifica, Napoli, 2018, p. 2.
16
C. Mezzanotte, op. ult. cit., p. 3.
17
G. Bognetti, Teorie della Costituzione e diritto giurisprudenziale, in Associa-
zione Italiana dei Costituzionalisti, Annuario, 2002. Diritto costituzionale e diritto
giurisprudenziale, Cedam, Padova, 2004, p. 12 ss.
18
C. Mezzanotte, op. ult. cit., p. 3.
19
P. Ridola, Democrazia pluralistica e libertà associative, Giuffrè, Milano, 1987,
p. 160 s.
20
C. Mezzanotte, op. ult. cit., p. 4.
21
C. Mezzanotte, op. ult. cit., p. 4.
1
Cfr. G. Stourzh, The Multinational Empire Revisited: Reflections on Late Im-
perial Austria, in Austrian History Yearbook, 1992, 1 ss.; M. CornwallMark (ed.),
The Last Years of Austria-Hungary. A Multi-National Experiment in Early Twen-
tieth-Century Europe, University of Exeter Press, Exeter, 2002; P.M. Judson, “Where
our commonality is necessary…”: Rethinking the End of the Habsburg Monarchy,
in Austrian History Yearbook, 2017, 1 ss.; A. Ara, Crisi e declino della monarchia
asburgica, in P. Prodi, A. Wandruszka (cur.), Il luogo di cura nel tramonto della mo-
narchia d’Asburgo. Arco alla fine dell’Ottocento, il Mulino, Bologna, 1986 (Annali
dell’Istituto storico italo-germanico, Quaderni, n. 43), 323 ss.
2
Sulla questione delle nazionalità, v. F. Zwitter, J. Šidak, V. Bogdanov, Les pro-
blèmes nationaux dans la Monarchie des Hasbourg, Comité national yougoslave des
sciences historiques, Beograd, 1960; P. Hanák (ed., con l’assistenza di Z. Szász), Die
nationale Frage in der Österreichisch-Ungarischen Monarchie 1900-1918, Akadémiai
Kiadó, Budapest, 1966; R.C. Monticone, Nationalities Problems in the Austro-Hun-
garian Empire, in The Polish Review, 968, 110 ss.; A. Sked, The Nationality Pro-
blem in the Habsburg Monarchy and the Revolutions of 1848, in D. Moggach, G.
Stedman Jones (eds.), The 1848 Revolutions and European Political Thought, Cam-
bridge University Press, Cambridge, 2018, 322 ss.; L. Valiani, L’esordio della «poli-
tica delle nazionalità», in Id., La dissoluzione dell’Austria Ungheria, Il Saggiatore,
Milano, 1966, 139 ss.; A. Ara. Il problema delle nazionalità in Austria da Metter-
nich al dualismo, in Rivista storica italiana, 2004, 409 ss., e in U. Levra (cur.), Na-
zioni, nazionalità, stati nazionali nell’Ottocento europeo (atti del LXI Congresso di
storia del Risorgimento italiano, tenutosi a Torino dal 9 al 13-10-2002), Carocci,
Roma, 2004, 237 ss.
3
Österreichisch-Ungarischer Ausgleich. Si vedano L. Eisenmann, Le compromis
austro-hongrois de 1867. Étude sur le dualisme, Paris, Société nouvelle de librairie et
d’édition (Librairie G. Bellais), 1904; A. Vantuch, L. Holotík (eds.), Der österreichi-
sch-ungarische Ausgleich 1867, Verlag der slowakischen Akademie der Wissenschaf-
ten, Bratislava, 1971.
4
Sulle conseguenze della “magiarizzazione”, cfr. A.M. Stevens-Arroyo, Austria-
Hungary 1914: Nationalisms in MultiNational Nation-State, in Comparative Civili-
zations Review, 2015, 99 ss., spec. 108-110. Ivi l’autore osserva, tra l’altro, che
«Magyarization reserved influence and privilege to those with Hungarian names and
longstanding national identity» (v. 109).
5
Monarchie auf kündigung.
6
Le espressioni Cisleitania e Transleitania indicavano in maniera non ufficiale,
dopo l’Ausglech del 1867 (e sino al 1919), i territori rispettivamente al di qua e al
di là del fiume Leita, che segnava (a tratti) il confine tra Austria e Ungheria
7
V. lo studio seminale di G. Stuparich, La nazione czeca, Battiato, Catania, 1915,
seguito da S. Thomson, The Czechs as Integrating and Disintegrating Factors in the
Habsburg Empire, in Austrian History Yearbook, 1967, 203 ss., nonché J. Havránek,
The Development of Czech Nationalism, ivi, 1967, 223 ss.
8
A commento dei provvedimenti normativi, v. le notazioni di T. Kamusella, Si-
lesia and Central European Nationalisms. The Emergence of National and Ethnic
Groups in Prussian Silesia and Austrian Silesia, 1848-1918, Purdue University Press,
West Lafayette (Indiana), 2007, 216.
9
La frase virgolettata è nel saggio di A. Ara, Il tramonto della monarchia asbur-
gica, in Memorie dell’Accademia Roveretana degli Agiati, a. 252, 2002 [ma 2004], s.
II, v. V, t. I, 7 ss., ed ivi v. 13 [lo scritto è pubblicato anche in E. Capuzzo, E. Ma-
serati (cur.), Per Carlo Ghisalberti. Miscellanea di studi, ESI, Napoli, 2003, 297 ss.].
10
La Rutenia è oggi una regione dell’Ucraina, chiamata subcarpatica dagli ucraini
e transcarpatica dagli slovacchi. Si tratta di un luogo «dove confinano tutti i confini,
dove le frontiere si fronteggiano»; cfr. M. Zola, I Ruteni, il popolo dai mille confini,
in East Journal, 26-7-2011, www.eastjournal.net, e prima P.R. Magosci, The Rusyn
Question, in Political Thought, 1995, 221 ss., nonché, da ultimo, S. Földvári, The
Rusyn Question in the Frameworks of Ehnic Minorities, and of the International Di-
plomacy and Peace-Building. Rusyns in Different Positions in Ukraine, Slovakia and
Serbia, relazione presentata alla Fourth Annual Tartu Conference on Russian and
East European Studies, svoltasi dal 9 all’11-6-2019 presso l’Università di Tartu in
Estonia, sul tema generale Communities in Flux: Rethinking Sovereignty and Iden-
tity in an Era of Change. Al tempo della monarchia danubiana, gli austriaci deno-
minavano ruteni gli slavi dell’Est che non fossero russi o polacchi. In particolare,
sui ruteni d’Ungheria, v. M. Mayer, The Rusyns of Hungary. Political and Social De-
velopments, 1860-1910, Boulder (Col.), 1997 (East European Monographs, no. 490).
I diritti nazionali dei ruteni non erano adeguatamente riconosciuti nell’Austria-Un-
gheria. Del resto, se è vero gli slovacchi faticavano ad affermare la propria identità
nazionale nei confronti non soltanto degli ungheresi ma anche dei cechi, la stessa
cosa valeva per i ruteni. Cfr. G. Lami, Le motivazioni all’origine dello Stato ceco-
slovacco dopo la prima guerra mondiale. Letture di ieri e di oggi, in A. Di Grego-
rio, A. Vitale (cur.), Il ventennale dello scioglimento pacifico della Federazione ceco-
slovacca. Profili storico-politici, costituzionali, internazionali, Maggioli, Santarcangelo
di Romagna (Rimini), 2013, 17 ss., e ivi v. spec. 19, testo e nt. 6 e 9.
11
Si cfr. L. Valiani, I movimenti nazionali centrifughi dal 1905 al 1914, in Id.,
La dissoluzione dell’Austria Ungheria, cit., 9 ss.
12
Sul tema, v. R.W. Seton-Watson, Southern Slav Question and the Habsburg
Monarchy, Constable, London, 1911.
13
Esattamente, Partito socialnazionale ceco (Česká Strana Národně Sociální), fon-
dato nel 1898.
14
Si vedano W. Vucinich, The Serbs in Austria-Hungary, in Austrian History
Yearbook, 1967, 3 ss.; D. DjordjeviÊ, The Serbs as an Integrating and Disintegra-
ting Factor, ivi, 1967, 48 ss.
15
Si cfr. C. Jelavich, The Croatian Problem in the Habsburg Empire in the Ni-
neteenth Century, in Austrian History Yearbook, 1967, 83 ss.; B. Krizman, The Croa-
tians in the Habsburg Monarchy in the Nineteenth Century, ibidem, 1967, 116 ss.
16
V. F. Zwitter, The Slovenes and the Habsburg Monarchy, in Austrian History
Yearbook, 1967, 159 ss.
17
Cfr. A. Ara, Gli italiani nella monarchia asburgica (1850-1918), in Rassegna
storica del Risorgimento, 1998, 435 ss.; Id., Austria e questione italiana, 1796-1915,
Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1997; K. Greenfield, The Ita-
lian Nationality Problem of the Austrian Empire, in Austrian History Yearbook, 1967,
491 ss.
18
Su questione e progetti di autonomia, si veda S. Benvenuti, L’autonomia tren-
tina al Landtag di Innsbruck e al Reichsrat di Vienna. Proposte e progetti 1848-1914,
Società di studi di scienze storiche, Trento, 1978.
19
Le identità, nello spazio del Litorale, si incontravano, scontravano e contami-
navano; cfr. M. Cattaruzza, Angelo Ara fra Nazione e Impero: biografia e storio-
grafia, in Studi Trentini. Storia, a. 90, 2011, 229 ss., spec. 233 ss., che evoca l’im-
magine dell’identità «multipla, frantumata, contraddittoria, fluida, comprendente l’io
ma anche l’altro, conviventi in equilibrio instabile nella stessa personalità». In pre-
cedenza, v. A. Ara, Italiani e sloveni nel Litorale austriaco, 1880-1918, in Rivista sto-
rica italiana, 2001, 397 ss.
20
Per cenni al Kronland Tirol della monarchia asburgica, v. R. Gismann, Una
notevole svolta. Lo sviluppo dei rapporti tra Tirolo e Trentino dal Dopoguerra al Mil-
rispetto a quello del Titolo»22. Inoltre, entrando ancora più nel det-
taglio delle posizioni politiche espresse dagli italiani d’Austria, alcune
correnti si collocavano nella cornica asburgica. I cattolici, infatti, fe-
cero propria l’identità sovranazionale dello Stato, mentre i socialisti
parteciparono intensamente al dibattito sulla sua riforma23.
Il quadro generale vedeva una crescente dimensione del dissenso24,
ma nello stesso tempo un lealismo ancora forte. Questo avveniva an-
che tra le nazionalità soggette, tale situazione essendo talvolta deter-
minata dagli antagonismi che dividevano i vari gruppi nazionali. Per
esempio, in molti ambienti croati la guerra contro la Serbia era po-
polare. E ancora, la dichiarazione di guerra dell’Italia avrebbe avuto
l’effetto di rafforzare la causa asburgica tra gli slavi meridionali. Sul
fronte dell’emigrazione politica, poi, vi erano intellettuali e attivisti
cechi, come Tomáš Masaryk25, che avevano come obiettivo la disso-
luzione dell’Austria-Ungheria26.
22
Cfr. A. Ara, Gli austro-italiani e la Grande Guerra: appunti per una ricerca,
in Id., Fra Nazione e Impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, prefazione di C.
Magris, Garzanti, Milano, 2009, 371 ss. (il brano riportato sopra nel testo si trova a
372).
23
V. A. Agnelli, Socialismo triestino, Austria e Italia, in L. Valiani, A. Wandru-
szka (cur.), Il movimento operaio e socialista in Italia e in Germania dal 1870 al
1920, il Mulino, Bologna, 1978, 221 ss.; E. Apih, Il socialismo italiano in Austria -
Saggi, Udine, Del Bianco, 1991; M. Cattaruzza, Socialismo adriatico. La socialde-
mocrazia di lingua italiana nei territori costieri della Monarchia asburgica: 1888-1915,
Licata, Manduria-Bari-Roma, 2001, 2ª ed.; Aa.Vv., I cattolici isontini nel XX secolo,
I-III, Gorizia, Le casse Rurali ed Artigiane della Contea di Gorizia-Istituto di Sto-
ria sociale e religiosa, 1981-1987, e ivi spec. N. Agostinetti, L’attività dei cattolici
isontini nel primo ventennio del novecento (1900-1919), 42 ss.; Aa.Vv., L’attività del
Partito cattolico popolare friulano negli ultimi venticinque anni (1894-1918), intro-
duzione e note al testo originale a cura di I. Santeusanio, Istituto di storia sociale e
religiosa, Gorizia, 1990 (ripr. anast. dell’ediz. orig., Unione cattolica popolare del
Friuli. Herold, 1919).
24
Cfr. P. Sugar, The Rise of Nationalism in the Habsburg Empire, in Austrian
History Yearbook, 1967, 91 ss.
25
Sostenitore del “cecoslovacchismo”, Masaryk divenne il primo Presidente della
Cecoslovacchia. Sulla figura e il pensiero di Tomáš Masaryk, v. P. Fornaro, Que-
stione nazionale e democrazia negli scritti di Masaryk del periodo 1893-1918, in Hu-
manities, gennaio 2012, 19 ss.; Id., (cur.), Costruire uno Stato. Scritti di Tomáš G.
Masaryk sull’identità nazionale ceca e la creazione della Cecoslovacchia, Le Lettere,
Firenze, 2011; Id., Un sorprendente interprete del pensiero mazziniano nell’Europa
centro-orientale: Tomáš G. Masaryk, in S. Bonanni (cur.), Pensiero e azione. Maz-
zini nel movimento democratico italiano e internazionale, Istituto per la Storia del
Risorgimento italiano, Roma, 2006, 483 ss.; G. Rutto, Il pensiero politico ceco con-
32
Sulla condanna della guerra e del nazionalismo da parte della Chiesa cattolica,
v. R. Morozzo della Rocca, Benedetto XV e la prima guerra mondiale, in Annali di
scienze religiose, 2015, 31 ss.
33
C.d. war aims.
34
Cfr. le approfondite analisi di A. Ara, L’Austria-Ungheria nella politica ame-
ricana durante la prima guerra mondiale, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1973; Id., Gli
Stati Uniti tra Italia e Austria dalla dichiarazione di guerra americana all’Austria-
Ungheria alla conferenza della pace, in Storia e politica, 1973, 477 ss.
35
Questo era il tenore letterale del decimo punto: «Ai popoli dell’Austria-Un-
gheria, il cui posto desideriamo vedere tutelato e garantito fra le nazioni, si dovrà
dare più largamente occasione per uno sviluppo autonomo». I 14 punti di Woodrow
Wilson sono consultabili in E. Collotti, E. Collotti Pischel (cur.), La storia contem-
poranea attraverso i documenti, Zanichelli, Bologna, 1974, 138-139 (sub La proposta
americana per la conclusione della prima guerra mondiale).
36
Su cui v. il profilo storico di F. Kaufmann, Sozialdemokratie in Österreich.
Idee und Geschichte einer Partei. Von 1889 bis zur Gegenwart, Amalthea, Wien-
München, 1978. Si trattava, in particolare, della corrente storica dell’austromarxismo,
analizzata da G. Marramao, Austromarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre,
La Pietra, Milano, 1977.
37
Si veda R. Löw, Otto Bauer und die russische Revolution, Europaverlag, Wien,
1980.
38
Quest’ultimo evento innescò una serie di proteste all’interno dell’esercito im-
perialregio; v. R.G. Plaschka, Cattaro-Prag. Revolte und Revolution. Kriegsmarine
und Heer Österreich-Ungarns im Feuer der Aufstandsbewegungen vom 1. Februar
und 28. Oktober 1918, Böhlau, Graz, 1963.
39
Sul ruolo centrale di Renner (inter alia Cancelliere dal 1918 al 1920 e nel 1945,
nonché Presidente della Repubblica austriaca dal 1945 al 1950), cfr. W. Rauscher,
Karl Renner. Ein österreichischer Mythos, Ueberreuter, Wien, 1995.
40
Cfr. A. Agnelli, Questione nazionale e socialismo. Contributo allo studio del
pensiero di K. Renner e O. Bauer, il Mulino, Bologna, 1969.
41
Sulla posizione teorica renneriana circa la questione delle nazionalità nell’Au-
stria-Ungheria, v. P. Loewenberg, Karl Renner and the Politics of Accommodation:
Moderation versus Revenge, in Austrian History Yearbook, 1991, 35 ss.
42
Più esattamente, i deputati cechi al Reichsrat e alle Diete di Boemia e Mora-
via.
43
Si veda H. Louis Rees. The Czechs during World War I. The Path to Inde-
pendence, Boulder (Col.), 1992 (East European Monographs, no. 339).
44
Cfr. A. Ara, Prolusione al Convegno Politica e Diplomazia. I Trattati di Pace
degli anni 1919-1920, tenutosi a Gorizia dal 18 al 19-11-1999 presso l’Auditorium
della Cultura Friulana, consultabile nel website dell’Istituto per gli incontri culturali
mitteleuropei-ICM (www.icmgorizia.it).
45
Verständigungsfriede, contrapposta alla Siegfriede (pace vittoriosa).
46
Cfr. L. Valiani, L’indipendentismo jugoslavo, cecoslovacco e ungherese (1915-
1916), in Id., La dissoluzione dell’Austria Ungheria, cit., 194 ss.
per la prima volta all’inizio del conflitto dagli Imperi centrali per in-
debolire la Russia.
La politica delle nazionalità era certamente sostenuta da cechi e
jugoslavi, ma anche dall’Italia. Non incontrava, per la verità, il favore
del Ministro degli Esteri Sidney Sonnino, ma era appoggiata dal Primo
Ministro Vittorio Emanuele Orlando, che sosteneva l’utilità dei rap-
porti con il fuoriuscitismo ceco e slavo-meridionale, nonché di una
più stretta collaborazione tra l’Italia e le opposizioni nazionali anti-
asburgiche. Il Ministro Sonnino, invece, temeva le mire jugoslave sui
territori italiani.
Si giunse quindi al Congresso delle nazionalità oppresse d’Austria-
Ungheria, tenutosi a Roma nell’aprile 191847. Il Congresso suscitò
l’attenzione dei governi dell’Intesa per i movimenti nazionali ceco e
jugoslavo. Gli americani si interessarono anch’essi al Congresso, pur
non partecipando allo stesso. Si registrò, sulla scia del Congresso ro-
mano, un mutamento complessivo dell’atteggiamento verso l’Austria-
Ungheria. La politica delle nazionalità, infatti, era considerata alla stre-
gua di uno strumento per vincere la guerra, sulla base dell’idea sem-
pre più diffusa di Impero “artificiale”. Ne derivava il sostegno alla
dissoluzione dell’Impero, adesso anche da parte degli Stati Uniti
d’America.
In ogni caso, la crisi della monarchia danubiana fu accelerata più
che da interventi esterni dallo scontento interno. I movimenti nazio-
nali chiedevano ormai esplicitamente l’indipendenza. Nel maggio 1918
si riunirono a Praga i rappresentanti di tutte le nazioni «soggette»
d’Austria-Ungheria, ufficialmente presenti nella capitale boema al li-
mitato scopo do celebrare l’anniversario della fondazione del teatro
47
I lavori congressuali, presieduti dal senatore Francesco Ruffini (eminente giu-
rista, già Rettore dell’Università di Torino), si svolsero in Campidoglio dall’8 al 10
aprile 1918. Il c.d. Patto di Roma, frutto del dibattito congressuale, faceva cadere
per l’Italia la tradizionale pregiudiziale anti-slava, ovvero meglio anti-jugoslava. Al
Congresso romano partecipò, infatti, una delegazione del Comitato di propaganda
per l’intesa italo-jugoslava. Cfr. L. Valiani, L’autodecisione dei popoli e il «Congresso
di Roma», in Id., La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., 344 ss. Dal “Patto di
Roma” originò, tra l’altro, la Legione ceca che combatté a fianco delle truppe ita-
liane nella riscossa del Piave. Su questa pagina rimasta a lungo trascurata dalla sto-
riografia, v. F. Leoncini (cur.), Il Patto di Roma e la Legione ceco-slovacca. Tra
Grande Guerra e Nuova Europa, Kellermann, Treviso, 2014; Aa.Vv., La legione
Ceco-Slovacca in Italia e la Grande Guerra (Raccolta di studi), Make That, Brati-
slava, 2016; L. Ferranti, La legione Ceco-Slovacca d’Italia nel processo di formazione
della Ceco-Slovacchia, Morlacchi, Perugia, 2018.
48
Durante il quale fu avanzata la richiesta di costituire i comitati di fabbrica (allo
scopo di ottenere dagli imprenditori la stipulazione di contratti collettivi).
49
Il Consiglio nazionale cecoslovacco proclamò l’indipendenza della Repubblica
cecoslovacca il 28 ottobre 1918 a Praga; v. A. Di Gregorio, Repubblica ceca, il Mu-
lino, Bologna, 2008, 20. A sua volta, il Consiglio nazionale degli sloveni, croati e
serbi (soggetti all’Austria-Ungheria), costituito a Zagabria, stabili il nuovo Stato (de-
gli sloveni, croati e serbi) il 29 ottobre 1918. Tale ultimo Stato si unì successiva-
mente, dal 1° dicembre 1918, con il Regno di Serbia e con quello del Montenegro,
dando vita al Regno dei serbi, croati e sloveni (Regno SHS), ovvero alla c.d. Prima
Jugoslavia (o Regno di Jugoslavia). Cfr. I. Pellicciari, Tre Nazioni, Una Costituzione.
Storia costituzionale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, (1917-1921), Rubbettino,
Soveria Mannelli, 2004; A. Becherelli, Il Regno dei Serbi Croati e Sloveni nell’Eu-
ropa di Versailles (1918-1921), prefazione di A. Vagnini, Aracne, Roma, 2017 (sul
Regno SHS, v. anche infra, nel paragrafo 3).
50
Cfr. S. Osuský, The Secret Peace Negotiations between Vienna and Washing-
ton, in Slavonic and East European Review, 1926, 657 ss.; M.P. Briggs, George D.
Herron and the European Settlement, Stanford University Press, Stanford, 1932. In
Italia, v. Leo Valiani, Nuovi documenti sui tentativi di pace nel 1917, in Id., La dis-
soluzione dell’Austria Ungheria, cit., 451 ss. La possibilità di un negoziato segreto
era stata preventivamente sondata presso Herron, per iniziativa di Meinl e Lamma-
sch (su quest’ultimo v. retro, nella nt. 29), dal pacifista tedesco Friedrich Wilhelm
Foerster, professore alle Università di Zurigo, Vienna e Monaco. Il prof. Foetser fu
oppositore del nazismo (scrisse l’opera dal titolo Mein Kampf gegen das militaristi-
sche und nationalistische Deutschland. Gesichtspunkte zur deutschen Selbsterkenntnis
und zum Aufbau eines neuen Deutschland, Stuttgart, «Friede durch Recht» Verlag,
1920).
federalizzazione della sola Austria51, costituì nulla più che una tar-
diva apertura alle nazionalità soggette, non idoneo ad arginare il pro-
cesso di disintegrazione da tempo in atto nell’Impero.
All’inizio di novembre, il governo magiaro proclamò a sua volta
l’indipendenza del Paese e la decadenza degli Asburgo, allo scopo di
evitare la dissoluzione della «grande Ungheria». Seguì il richiamo dal
fronte italiano delle truppe ungheresi per difendere i confini della pa-
tria dopo la dichiarazione d’indipendenza. Si verificò, allora, un caso
probabilmente unico nella storia, vale a dire che l’esercito imperial-
regio continuò a combattere sulla linea del Piave, senza però avere
più un Paese alle spalle.
Si può, dunque, affermare che la Conferenza della pace di Parigi
del 191952 non sancì la dissoluzione della duplice monarchia, ma si
limitò, per così dire, a legalizzare il collasso che era già avvenuto
spontaneamente negli ultimi mesi di guerra53. In ultima analisi, lo
Stato plurinazionale (Nationalitätenstaat) con forza di aggregazione
interna minore rispetto alle altre potenze belligeranti, in quanto ba-
sato su un fragile e precario equilibrio tra forze centripete e centri-
fughe, non resse all’acuirsi delle tensioni interne provocate dalla guerra.
51
L’ipotesi di ristrutturazione (o riorganizzazione) in senso federale era conte-
nuta nel Manifesto delle nazioni, datato 16 ottobre 1918.
52
In dottrina, v. A. Scottà (cur.), La Conferenza di pace di Parigi fra ieri e do-
mani (1919-1920) (atti del Convegno Internazionale di Studi Portogruaro-Bibione,
svoltosi dal 31-5 al 4-6-2000), Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003.
53
La tesi prospettata nel testo è stata sostenuta da V.S. Mamatey, Legalizing the
Collapse of Austria-Hungary at the Paris Peace Conference, in Austrian History Year-
book, 1967, 206 ss.
54
Cfr. A. Ara, L’irredentismo fra tradizione risorgimentale e nazionalismo, in Rö-
mische Hisdtorische Mitteilungen, 1982, 69 ss. L’illustre autore ivi scrive che l’irre-
dentismo italiano «è una corrente politica e di opinione quasi esclusivamente an-
tiaustriaca» (v. 69). In epoca risalente, v. la monumentale opera di A. Sandonà, L’ir-
redentismo nelle lotte politiche e nelle contese diplomatiche italo-austriache, I-III, Za-
nichelli, Bologna, 1932-1938, nonché R. Fauro, Trieste, Italiani e Slavi. Il governo
1
L’analisi della giurisprudenza della corte amministrativa dell’Impero Austro-un-
garico è stata possibile grazie ad una approfondita ricerca di archivio nella biblio-
teca del Verwaltungsgerichtshof, condotta nell’ambito della ricerca CoCEAL Com-
mon Core of European Administrative Law, finanziata dall’European Research Coun-
cil (ERC) con un Advanced Grant (Grant Agreement n. 694697), PI Prof. Giacinto
della Cananea.
2
Tutte le traduzioni nel presente saggio dal tedesco all’italiano sono state fatte
dall’autrice del contributo, non sono traduzioni ufficiali, eventuali errori sono di sua
diretta responsabilità.
3
Nel primo volume che raccoglie le prime sentenze del VwGH (pubblicato nel
1877), il curatore scrive nella premessa che all’epoca non vi era alcuna codificazione
del diritto amministrativo, molte leggi risalivano a più di cento anni addietro, e le
leggi più recenti contenevano lacune. Pertanto, era chiaro che l’importanza e la ri-
levanza delle sentenze del VwGH travalicavano il singolo caso deciso, in quanto at-
traverso le sentenze veniva definita la regola applicabile ai casi concreti. Cfr. Vorwort
alla «Sammlung der Erkenntnisse des k. k. Verwaltungsgerichtshofes. Zusammenge-
stellt auf dessen Veranlassung von Adam Freiherrn von Budwinski, k. k. Hofsek-
retär» Wien, 31 dicembre 1877.
4
T. Olechowski, Die Entwicklung allgemeiner Grundsätze des Verwaltung-
sverfharens, Wien, Linde Verlag, 2006.
5
T. Olechowski, Die Einführung der Verwaltungsgerichtsbarkeit in Österreich,
Wien, Manz’sche Verlag, 1999, 172 ss.
molti casi il legislatore ha codificato le soluzioni adottate dalla corte: «die Über-
nahme der Rechtsprechung durch das Gesetz behandelt«. F. Lehne, Aus dem le-
bendigen Erbe des k.k. Verwaltungsgerichtshofes, in Lehne, F., Loebenstein, E., Schi-
metschek, B., Die Entwicklung der österreichischen Verwaltungsgerichtsbarkeit, Sprin-
ger Verlag, Wien-New York, 1976, pp. 1 ss., la frase citata è a p. 8.
10
Sentenza n. 2263 del 24 ottobre 1884, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1884, pp. 493-495
11
Sentenza n. 8150 del 10 novembre 1894, «Sammlung der Erkenntnisse des k.
k. Verwaltungsgerichtshofes» del 1894, pp. 979-980.
12
Sentenza n. 11393 del 5 febbraio 1898, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1898, pp. 144-147.
13
Sentenza n. 2452 del 13 marzo 1885, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1885, pp. 164-167.
14
Sentenza n. 8686 del 22 maggio 1895, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1885, pp. 654-656.
15
Sentenza n. 11996 del 5 ottobre 1898, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1898, pp. 999-1000.
16
Sentenza 3212(F) del 3 gennaio 1905, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1905, pp. 3-4.
17
Sentenza n. 6218 del 22 ottobre 1908, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1908, pp. 1045-1046.
18
Sentenza n. 6837 del 26 giugno 1909, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1909, pp. 780-781.
19
Sentenza n. 3544 del 13 maggio 1905, «Sammlung der Erkenntnisse des k. k.
Verwaltungsgerichtshofes» del 1905, pp. 562-567.
20
Sul concetto generale di efficacia giuridica si veda A. Falzea, voce Efficacia
giuridica, in Enciclopedia del Diritto, vol. XIV, Giuffrè, Milano, 1965, pp. 432 ss.; e
in particolare per l’efficacia degli atti amministrativi si rinvia a G. Corso, L’efficacia
del provvedimento amministrativo, Giuffrè, Milano, 1969.
21
La frase citata è di Ernst von Plener, membro della Abgeordnete Haus, pro-
nunciata durante la seduta del 18 marzo 1875, riportata in P. Gautsch von Frankenthurn,
Die Gesetze vom 22. October 1875, R.G.B. Nr. 36 und 37, Jahrgang 1876 über den
Verwaltungsgerichtshof: mit Materialien, Wien, Manz’sche k.k. Verlag, 1876, pp. 170
ss. La frase citata è a p. 175 «keine Vorschriften, keine Normen für das administra-
tive Verfahren. Das administrative Verfahren unserer Behörden ist vollständig regel-
los, der reinen Willkür der Behörden überlassen».
22
H.R. Klecatsky, Der Verwaltungsgerichtshof und das Gesetz, in W. Dorazil, B.
Schimetschek, F. Lehne (a cura di), 90 Jahre Verwaltungsgerichtsbarkeit in Öster-
reich, cit., pp. 46 ss., afferma esplicitamente tale ruolo del Verwaltungsgerichtshof.
23
«Rechtswidrig ist nicht gleichbedeutend mit Gesetzwidrig. Rechtswidrig ist
auch das, was dem durch die Rechtsprechung ohne genau nachweisbare Grundlage
gefundenen Recht im Wiederspruche steht. Alles, was der Verwaltungsgerichtshof
unter Heranziehung der Natur der Sache, allgemeiner Rechtsgrundsätze […] zutage
gefördert hat, ist Recht«. F. Tezner, Die rechtsbildende Funktion der österreichischen
verwaltungsgerichtlichen Rechtsprechung, IV. Das österreichische Administrativver-
fahren. Systhematisch dargestellt auf Grund der verwaltungsrechtlichen Praxis, 2° ed.,
cit., p. 305.
1
Così in A. Brunialti, Libertà e democrazia, Treves, Milano, 1872, p. 47. Sul
tema della giustizia della rappresentanza proporzionale v. diffusamente anche A. Bru-
nialti, La giusta rappresentanza per tutti gli elettori, Cirelli, Roma, 1878 che – sotto
forma di esergo – recita: «La decisione alle maggioranze, la rappresentanza a tutti
gli elettori».
2
F. Genala, Della libertà e equivalenza dei suffragi nelle elezioni ovvero della
proporzionale rappresentanza delle maggioranze e minoranze, Vallardi, Milano, 1871,
pp. 9 e 22.
3
E. Bettinelli, All’origine della democrazia dei partiti, Ed. di Comunità, Milano,
1982, p. 12.
4
E. Naville, La Patrie et les partis, discours sur la réforme électorale prononcé le
15 février 1865, Ginevra, Georg 1865, rispettivamente pp. 41 s. e 14 s.
5
In proposito v. M.S. Piretti, La giustizia dei numeri - Il proporzionalismo in
Italia (1870-1923), il Mulino, Bologna, 1990, p. 19 ss.
6
Su questi aspetti rinvio diffusamente a A. Gratteri, La formula e il risultato,
Franco Angeli, Milano, 2019, p. 23 ss.
7
In proposito v. M. Volpi, Le riforme elettorali in Francia, Bulzoni, Roma, 1987,
p. 37 s.; M. Luciani, Il voto e la democrazia, Editori Riuniti, Roma, 1991, p. 22.
da parte del legislatore belga nel 1899. Una riforma epocale intro-
dotta con la prudenza propria della legga ordinaria che, in assenza di
un vincolo costituzionale, sarebbe stata facilmente modificabile in caso
di necessità. Colse appieno questo elemento Joseph Barthélemy che
sottolineò il successo di una soluzione dettata dalla saggezza del le-
gislatore belga che ha evitato «di dare tutto d’un colpo al problema
dell’elettorato la soluzione definitiva, dettata da pretesi principi su-
periori» ed ha compreso che «l’arte politica è dominata dalla regola
della relatività. Le soluzioni debbono variare, non soltanto con i co-
stumi, con gli ambienti, con i temperamenti delle razze, ma ancora
con altre mille circostanze, di cui la più importante è il tempo: l’i-
stituzione più perfetta è quella che conviene di più al momento. Così
le organizzazioni del diritto di suffragio hanno rivestito quasi sem-
pre, in Belgio, un carattere transitorio»8.
Fu quello il clima politico-istituzionale in cui il carattere “rivolu-
zionario” della formula d’Hondt si tradusse rapidamente in un ele-
mento di stabilizzazione, se non di conservazione. A fronte degli in-
convenienti di un sistema maggioritario incapace di reggere alle forti
divisioni elettorali fra cattolici e liberali, i più lungimiranti rappre-
sentanti del partito cattolico capirono che solo una legge elettorale
proporzionale avrebbe evitato la scomparsa del partito liberale che,
invece, era essenziale in funzione equilibratrice rispetto al crescente
partito socialista9.
Nel continente europeo, però, l’approccio gradualistico seguito in
Belgio rimase un’eccezione e, negli anni del primo dopoguerra, si dif-
fuse l’idea che il principio della rappresentanza proporzionale meri-
8
J. Barthelemy, L’organisation du suffrage et l’expérience belge, M. Giard et É.
Briére, Parigi, 1912, p. 747 nella traduzione presente in D. De’ Cocci, La legisla-
zione elettorale belga, Sansoni, Firenze, 1946, p. 7.
9
Sul punto v. D. De’ Cocci, La legislazione elettorale belga, cit., p. 20 ss., che
ricorda anche come nella vigenza del sistema maggioritario accadde talvolta che la
maggioranza dei seggi fosse assegnata (per lo squilibrio nelle circoscrizioni) al par-
tito minoritario e come poche centinaia di voti potessero costituire l’ago della bi-
lancia nelle maggiori circoscrizioni e, quindi, nell’intero paese. Nell’ampia letteratura
sul tema delle motivazioni degli attori politici nel promuovere la rappresentanza pro-
porzionale v., in questo senso, C. Boix, Setting the Rules of the Game: The Choice
of Electoral Systems in Advanced Democracies, in American Political Sciences Re-
view, 1999, p. 609 ss.; S. Rokkan, Citizens Elections Parties, D. Mckay, New York,
1970.
10
In proposito si rinvia ai testi pubblicati in F.R. Dareste, P. Dareste, Les Con-
stitutions modernes, Sirey, Parigi, IV ed., 1928, vol. 1: art. 5, Cost. Anhalt; art. 25,
Cost. Baden; art. 26, Cost. Baviera; art. 10, Cost. Brema; art. 14, Cost. Brunswick;
art. 3, Cost. Amburgo; art. 18, Cost. Assia; art. 22, Cost. Lubecca; Art. 27, Cost.
Meclemburgo-Schwerin; art. 6, Cost. Meclemburgo-Strelitz; art. 49, Cost. Olden-
burg; art. 9, Cost. Prussia; art. 6, Cost. Sassonia; art. 6, Cost. Turingia; art. 10, Cost.
Wurtemberg.
11
Sulla nascita della Costituzione di Weimar e del principio proporzionalistico v.
diffusamente G. Delledonne, Costituzione e legge elettorale - Un percorso comparati-
stico nello Stato costituzionale europeo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, p. 44 ss.
12
Così C. Mortati, La Costituzione di Weimar, Sansoni, Firenze, 1946, p. 36 s.
tuente, a partire dal proclama del consiglio dei commissari del po-
polo del 12 novembre 1918 che preannunciava come tutte le elezioni
dovessero svolgersi «secondo i principi elettorali proporzionalistici».
Non è marginale osservare che anche in Germania – come prima in
Belgio – il sistema proporzionale assunse da subito una duplice va-
lenza: rivoluzionario per alcuni e garante dello status quo per altri. Il
partito conservatore era infatti ben consapevole che solo la rappre-
sentanza proporzionale avrebbe salvaguardato le sue posizioni ormai
minoritarie13.
Inizialmente si utilizzò la formula d’Hondt per l’elezione del-
l’Assemblea costituente. Ma con l’entrata in vigore della nuova Co-
stituzione, si avviò la ricerca di un sistema capace di minimizzare le
distorsioni che più penalizzavano le liste minori. L’ordinamento elet-
torale tedesco fu così improntato, grazie a quel forte impulso dato
dalla Costituzione ad un criterio di riparto proporzionale puro, fi-
nalizzato a massimizzare la corrispondenza fra voti e seggi.
Fu la Costituzione del Baden del 21 marzo 1919 a presentare la
nuova soluzione che poi ispirò la legislazione elettorale weimariana.
L’art. 25 di quel testo costituzionale esplicita non solo il principio
proporzionalistico, ma anche la specifica formula del quoziente au-
tomatico: ad ogni lista è attribuito un seggio per ogni diecimila voti
ottenuti a livello circoscrizionale; i voti residui dopo il calcolo circo-
scrizionale sono computati al livello del Land con l’attribuzione di
ulteriori seggi, sempre in ragione di uno ogni diecimila voti; infine,
i resti possono essere utilizzati per l’assegnazione di un seggio se sono
superiori a 7.500 voti14.
La legge elettorale tedesca del 27 aprile 192015 seguì la medesima
impostazione, basata su una dimensione variabile dell’assemblea elet-
tiva. A livello circoscrizionale ad ogni lista è assegnato un seggio ogni
60.000 voti; i voti residui possono poi essere sommati o con quelli
delle liste collegate all’interno della circoscrizione (a condizione che
almeno una lista abbia ottenuto almeno 30.000 voti) o, a livello na-
zionale, con i voti residui della stessa lista nelle altre circoscrizioni,
13
In proposito v. S. Ortino, Riforme elettorali in Germania, Vallecchi, Firenze,
1970, p. 48 ss., che sottolinea che solo i cattolici avrebbero tratto un vantaggio dal
sistema maggioritario.
14
Sull’influenza del precedente del Baden v. in particolare R. Brunt, La Consti-
tution allemande du 11 aout 1919, Payot, Parigi, 1921, p. 128.
15
Poi modificata in alcuni aspetti di dettaglio dalla legge del 6 marzo 1924.
16
La legge del 1924 è tradotta in italiano in O. Borin (a cura di), La legge elet-
torale tedesca, Sansoni, Firenze, 1946, p. 17 ss. Per una descrizione della legge del
1920 v. S. Ortino, Riforme elettorali in Germania, cit., p. 51.
17
In questo senso v. R. Brunt, La Constitution allemande du 11 aout 1919, cit.,
129.
18
L’esperienza finlandese fu subito studiata con particolare interesse, M. Siotto
Pintor, Le riforme del regime elettorale e le dottrine della rappresentanza politica e
dell’elettorato nel secolo XX, Athenaeum, Roma, 1912, p. 25 s. le assegna la «palma
dell’ardimento nell’innovazione» in materia elettorale. È interessante rilevare che an-
cora oggi la legge vigente, pacificamente ricondotta al metodo d’Hondt, segue le me-
desime linee della legge del 1906 che è così descritta da Siotto Pintor: «Per determi-
nare la posizione effettiva dei candidati si assegna a quello di essi che in una asso-
ciazione di liste ha conseguito la cifra più alta di voti, la totalità dei voti toccati alle
liste associate; a quello che segue, la metà dei voti stessi, e poi via via il terzo, il
quarto, e via dicendo» (p. 27). Il medesimo criterio è previsto dalla legge elettorale
oggi vigente (Legge elettorale n. 714 del 1998) all’art. 89; in proposito v. una descri-
zione puntuale del sistema in A. Gratteri, Il ruolo dell’Eduskunta nella Costituzione
finlandese del 2000, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2002, p. 689 ss.
19
«Quando le circostanze locali rendono necessaria un’eccezione alla procedura
proporzionale, uno o più circondari […] possono essere costituiti in vista dell’ele-
zione di un solo deputato» (secondo la traduzione presente in C. Lavagna, La Co-
stituzione e il sistema elettorale finlandesi, Sansoni, Firenze, 1946, p. 93). La norma
si applicò in origine alla poco densamente popolata Lapponia dove fu istituito un
collegio uninominale.
20
Per una ricostruzione del ruolo di Carl Andrae nell’evoluzione dell’ordina-
mento danese e nel rapporto con Thomas Hare v. A. Gratteri, La formula e il ri-
sultato, cit., p. 27 ss.
21
J.B. Board, The Government and Politics of Sweden, Houghton Mifflin, Bo-
ston, 1970, pp. 31 e 79 afferma che la proporzionale fu introdotta a partire dal 1909
con un sistema basato su collegi plurinominali. Si trattava del sistema ideato dal ma-
tematico Phragmen come variante del metodo d’Hondt, caratterizzata per la possi-
bilità di presentare candidature comuni a più liste; la formula matematica di fondo
era la stessa del metodo d’Hondt ma la farraginosità del sistema suggerì ai com-
mentatori del tempo che «esso pare fatto apposta per mettere meglio in luce tutta
la praticità e la semplicità del d’Hondt», così G. Bandini, La riforma elettorale con
la rappresentanza proporzionale nelle elezioni politiche, Società libraria editrice na-
zionale, Roma, 1910, p. 356; una descrizione dettagliata del metodo Phragmen è pre-
sente anche in G. Schepis, I sistemi elettorali, Editrice Caparrini, Empoli, 1955, II,
p. 188 ss.
22
C. Kortmann, P. Bovend’Eert, The Kingdom of the Netherlands - An Intro-
duction to Dutch Constitutional Law, Kluwer, Deventer-Boston, 1993, p. 3.
23
Così il Consigliere nazionale Tissières durante il dibattito del giugno 1915 ci-
tato in W.E. Rappard, L’individu et l’État, Polygraphiques, Zurigo, 1937, p. 456 s.
24
In proposito v. W.E. Rappard, La Costituzione federale della Svizzera, Car-
minati, Locarno, 1948, p. 374 s.
25
Sulla revisione della Costituzione norvegese v. E. Jansen, H. Koht, The Con-
stitution of Norway, in Le Costituzioni degli Stati nell’Età Moderna, Sansoni, Fi-
renze, 1938, p. 222; sulla Costituzione del Lussemburgo v. N. Margue, Histoire de
la Constitution du Grand-Duché de Luxembourg, ivi, p. 194 s.
26
In proposito v. le considerazioni di G. Bandini, La riforma elettorale con la
rappresentanza proporzionale nelle elezioni politiche, cit., p. 324 ss.
27
G. Schepis, I sistemi elettorali, cit., II, p. 100 ss.
28
Sull’evoluzione della legislazione elettorale italiana in queste fasi storiche v. dif-
fusamente M.S. Piretti, La giustizia dei numeri - Il proporzionalismo in Italia (1870-
1923), il Mulino, Bologna, 1990.
29
Su questo aspetto definitorio v, L. Trucco, Democrazie elettorali e Stato costi-
tuzionale, Giappichelli, Torino, 2011, p. 18.
30
Il voto alternativo può essere classificato fra i sistemi di carattere proporzio-
nale solo con un certo grado di approssimazione; esso ha però la capacità di con-
tenere l’esclusione degli elettori estranei ai maggiori partiti dalla selezione degli eletti.
Il sistema australiano prevede che ogni elettore debba graduare le sue preferenze fra
tutti i candidati e che le seconde preferenze dei candidati meno votati siano ridi-
stribuite sino a che un candidato non raggiunga la maggioranza assoluta. Si attenua
così l’effetto maggioritario del sistema first-past-the-post utilizzato nel Regno Unito
dove, non a caso, il voto alternativo fu presentato come possibile base di una riforma
elettorale in occasione del referendum popolare del 2011 che, tuttavia, determinò la
conferma del sistema tradizionale, cfr. v. P. Whiteley, H.D. Clarke, D. Sanders, M.C.
Stewart, Britain Says No: Voting in the AV Ballot Referendum, in Parliamentary Af-
fairs, 2012, p. 301 ss.
31
Si ebbe un hung Parliament nelle due elezioni del 1910, nel 1923, nel 1929.
Nel 1929, inoltre, si determinò una distorsione casuale in virtù della quale il partito
laburista ottenne più seggi dei conservatori pur ottenendo meno voti.
32
Per una ricostruzione dettagliata di quelle vicende v. J. Hart, Proportional Re-
presentation - Critics of the British Electoral System 1820-1945, Clarendon Press,
Oxford, 1992, p. 178 ss.
33
Si trattava di tre collegi binominali corrispondenti all’Università di Cambridge,
all’Università di Oxford ed alle altre Università raggruppate fra loro (Birmingham,
Bristol, Durham, Leeds, Liverpool, Manchester, Sheffield e, dal 1928, Reading).
L’Università di Londra costituiva un collegio uninominale a sé stante.
34
Su questa specifica vicenda v. G. Perticone Jr., Il sistema elettorale inglese, San-
soni, Firenze, 1946, p. 21 ss.
35
Così avvenne anche in altri territori sotto il controllo britannico come il Sud
Africa, dove il voto singolo trasferibile fu applicato in virtù del South Africa Act del
1909 per l’elezione del Senato, e in alcune circoscrizioni in India (cfr. J. Hart, Pro-
portional Representation, cit., p. 200).
36
La legge elettorale irlandese del 1923 che dava applicazione al principio costitu-
zionale della rappresentanza proporzionale è pubblicata in G. Ambrosini, La legge
elettorale dell’Irlanda (Eire), Sansoni, Firenze, 1946, pp. 16 e 19 ss., dove si sottolinea
la scarsa proporzionalità del sistema in presenza di circoscrizioni di piccole dimen-
sioni, mentre si consegue l’obiettivo della rappresentanza delle minoranze. Un primo
embrione di quel sistema era già stato prospettato nel 1914 e sperimentato nella città
di Sligo nel 1919, in proposito v. J. Hart, Proportional Representation, cit., p. 176 ss.
37
In quella collana, pubblicata dall’editore Sansoni di Firenze nel 1946, figurano
volumi di grande interesse dedicati ai principali sistemi costituzionali ed elettorali del
tempo. In una elencazione non esaustiva, si possono ricordare: G. Perticone jr (a
cura di), Il sistema elettorale inglese; G. Ambrosini, La legge elettorale dell’Irlanda;
C. Mortati, La legge elettorale cecoslovacca; D. De’ Cocci, La legislazione elettorale
belga; G. Tupini, Il sistema elettorale danese; C. Lavagna, La Costituzione e il si-
stema elettorale finlandesi; P. Santarcangeli, La legge elettorale ungherese; T. Napo-
litano, Il sistema elettorale sovietico; U. Prosperetti, La Costituzione e il sistema elet-
torale della Nuova Zelanda.
38
Sul punto v. A. Gratteri, La formula e il risultato, cit., p. 166.
39
È emblematico il caso del Belgio dove, nel 1899, la proposta di una soglia di
sbarramento del dieci per cento fu respinta perché è «nella logica indiscutibile» del
sistema d’Hondt di ripartire tutti i seggi secondo una scala di quozienti decrescenti
«mentre un quorum è una barriera a questa degressione». L’espressione utilizzata dal
relatore Léger è tratta da G. Bandini, La riforma elettorale con la rappresentanza
proporzionale nelle elezioni politiche, cit., p. 507.
40
A. Brunialti, Libertà e democrazia, cit., p. 412 s. Il corsivo è nell’originale.
41
Nel 1919 in Belgio la legge elettorale fu modificata: in prima battuta si appli-
cava la formula del quoziente e solo per i resti – raccolti a livello provinciale – si
ricorreva alla formula d’Hondt, in proposito v. D. De’ Cocci, La legislazione elet-
torale belga, cit., p. 37. Nel 1921 fu modificata anche la legge comunale belga con
l’intento di introdurre un elemento di maggior selettività: su proposta di Pierre Im-
periali si rielaborò la serie dei divisori della formula d’Hondt e si introdussero i di-
visori 1; 1½; 2; 2½; 3; 3½; 4; 4½, ecc., sul punto (e sugli equivoci sorti a proposito
della formula Imperiali) v. A. Gratteri, La formula e il risultato, cit., p. 123 s.
42
A. Sainte-Laguë, La représentation proportionnelle et la méthode des moindres
carrés, in Annales scientifiques de l’École normale supériore, 1910, p. 529 ss. La for-
mula Sainte-Laguë, nella sua versione originaria, si basa sulla medesima tecnica del
divisore del metodo d’Hondt ma ricorre ad una serie di divisori diversi: l’assegna-
zione dei seggi è determinata dalla cifra elettorale di ogni lista divisa per la serie dei
numeri naturali dispari (1, 3, 5, 7 ecc.). Essa può essere rappresentata anche come
la serie 0,5, 1,5, 2,5, 3,5 ecc. e rispetto alla formula d’Hondt si caratterizza per una
maggiore proporzionalità del riparto a causa di una sorta di arrotondamento per ec-
cesso dei quozienti ottenuti da ciascuna lista. Un risultato uguale a quello determi-
nato dalla formula di base della legge elettorale di Weimar, con l’unica differenza del
numero di seggi complessivi dell’assemblea parlamentare che con il quoziente auto-
matico è variabile, mentre con la formula Sainte-Laguë è predefinito.
43
In proposito v. G. Cordini, Il voto obbligatorio, Bulzoni, Roma, 1988, p. 62 ss.
44
C. Mortati, La legge elettorale cecoslovacca, cit., p. 30.
45
Un esempio evidente di tali distorsioni è dato dalla legge lettone del 3 giugno
1923 che consentiva alla minoranza tedesca (pari a circa il tre per cento della po-
polazione) di eleggere sei dei cento deputati della Saeima, il parlamento unicame-
rale. In proposito v. l’apprezzamento per tale forma di tutela della minoranza in F.R.
Dareste, P. Dareste, Les constitutions modernes, cit., p. 115.
46
Legge 29 febbraio 1920, n. 123 modificata dalla legge 15 ottobre 1925, n. 205.
47
Il principale riferimento bibliografico è C. Mortati, La legge elettorale ceco-
slovacca, cit., dove è pubblicata in appendice la traduzione in italiano della legge del
1920 così come modificata nel 1925; in proposito v. anche Z. Peska, Aprés dix années.
Le développement de la constitution Tchécoslovaque. 1020-1930, in Revue de droit
public et de la science politique, 1930, p. 224 ss.
48
Così il relatore Meissner citato da G. Picot, Un essai de représentation pro-
portionelle intégrale: la législation électorale tchécoslovaque, in Revue politique et par-
lementaire, 1923, p. 435.
49
C. Mortati, La legge elettorale cecoslovacca, cit., p. 26.
50
F. Lanchester, Il voto obbligatorio da principio a strumento: un’analisi compa-
rata, in Il Politico, 1983, p. 46.
51
In occasione delle prime elezioni del 1920 fu rilevato che, con una partecipa-
zione del 90 per cento, solo il 2-3 per cento degli elettori non era in grado di pre-
sentare una adeguata giustificazione, in proposito v. G. Picot, Un essai de représen-
tation proportionelle intégrale, cit., p. 434 s.
52
H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, ed. orig. 1929, ora in H. Kel-
sen, La democrazia, il Mulino, Bologna, 1981, p. 82 ss.; per una puntuale ricostru-
zione del pensiero di Kelsen su questo tema v. N. Zanon, Il libero mandato parla-
mentare, Milano, 1991, p. 89 ss.
53
Sulla disciplina legislativa della clausola cecoslovacca v. C. Horáček, Le prin-
cipes du droit électoral tchécoslovaque, in Bulletin de droit tchécoslovaque, 1930-1932,
p. 24 ss. che specifica come essa non sia direttamente disciplinata dalla legge eletto-
rale.
54
N. Zanon, Il libero mandato parlamentare, cit., p. 112 s. In proposito v. an-
che R. Scarciglia, Il divieto di mandato imperativo, Cedam, Padova, 2005, p. 77 ss.
e, più di recente, A. Morelli, Rappresentanza politica e libertà del mandato parla-
mentare, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.
55
Sul punto v. Z. Peska, Aprés dix années, cit., p. 246. Per una complessiva va-
lutazione delle ipotesi di decadenza v. N. Zanon, Il libero mandato parlamentare,
cit., p. 110 ss.
56
C. Mortati, La legge elettorale cecoslovacca, cit., pp. 8 s. e 32.
57
Sulla capacità pratica del sistema di soddisfare tali premesse v. G. Picot, Un
essai de représentation proportionelle intégrale, cit., p. 429, che – sulla base dei ri-
sultati delle elezioni del 1920 – sottolinea la capacità del sistema di garantire l’uti-
lizzo efficiente della quasi totalità dei voti e di rispecchiare in termini fotografici il
rapporto percentuale fra voti e seggi di ogni lista.
58
In proposito v. ancora C. Mortati, La legge elettorale cecoslovacca, cit., p. 29.
La legge 12 luglio 1933, n 122 prevedeva in proposito un interessante soluzione di
lista semi-rigida, assai simile a quella adottata dal legislatore italiano con la legge n.
52 del 2015. L’elettore aveva a disposizione un voto di preferenza che tuttavia non
poteva incidere sulla posizione privilegiata del capolista e poteva modificare l’ordine
di presentazione dei candidati solo al raggiungimento di un quorum di efficienza.
59
Sul punto v. A. Gratteri, Il diritto straniero e la comparazione nelle motiva-
zioni della Corte costituzionale: il caso delle “sentenze elettorali”, in M. D’Amico,
F. Biondi (cur.), La Corte costituzionale e i fatti: istruttoria ed effetti delle decisioni,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, p. 229 ss.; P. Passaglia (a cura di), Liste bloccate
e voto di preferenza, in Studi di diritto comparato, novembre 2013 (in www.corte-
costituzionale.it).
60
In questo senso v. E. Broklová, La Cecoslovacchia nell’epoca di Tomáš G. Ma-
saryk, in P. Fornaro, La tentazione autoritaria, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004,
p. 61 ss.
1
J. Husa, The Constitution of Finland. A Contextual Analysis, Hart Publishing
PLC, Oxford, 2011, 12. Vd. anche M. Gobbo, Periodi, contesti e tradizioni giuridi-
che nell’evoluzione del diritto costituzionale europeo. Spunti per un percorso storico-
diacronico, in Dir. pub. comp. eur., numero speciale 2019, 295 ss.
2
I. Saraviita, Constitutional Law in Finland, Alphen, 2012, 5 ss.
3
Sullo Stato liberale, cfr. ora A. Di Giovine, Stato liberale, Stato democratico e
principio di laicità, in Dir. pub. comp. eur., numero speciale, 2019, 215 ss
4
G.F. Ferrari, La Costituzione della Finlandia, in R. Orrù, G. Parodi (cur.),
Codice delle Costituzioni, vol. II, Cedam, Padova, 2016, 222. A quest’epoca – defi-
nita ‘età Gustaviana’ – risalgono sia il bilinguismo che l’emergere di altri istituti poi
consolidatisi nel successivo sviluppo del costituzionalismo finlandese.
5
P. Kastari, The Historical Background of Finnish Constitutional Ideas, in Scand.
Stud. Law, vol. 7, 1963, 73 ss.
6
Così, efficacemente, M. Suksi, Common Roots of Nordic Constitutional Law?
Some Observations on Legal-Historical Development and Relations between the Con-
stitutional System of Five Nordic Countries, in H. Krunke, B. Thorarensen (eds.),
The Nordic Constitutions. A Comparative and Contextual Study, Hart Publishing,
Oxford, 2018, 25.
7
Lo Zar illuminato Alessandro I, Granduca di Finlandia nel periodo 1809-1825,
concede alla Finlandia un’ampia autonomia, dando vita così, di fatto, allo Stato fin-
landese. La Chiesa luterana mantiene la sua posizione di religione riconosciuta, così
come lo svedese rimane lingua ufficiale del paese. Nel 1812, Helsinki diviene la ca-
pitale della Finlandia e l’Università, fondata a Turku nel 1640, viene trasferita ad
Helsinki nel 1828. Il decreto linguistico emanato nel 1863 da Alessandro II segna,
poi, l’inizio del processo attraverso il quale il finlandese diviene lingua amministra-
tiva ufficiale del paese.
8
Nel corso di questo lungo periodo, le lacune ordinamentali derivanti dalla per-
durante vigenza del diritto svedese vengono, di conseguenza, colmate attraverso de-
creti dello Zar: cfr. G.F. Ferrari, La Costituzione della Finlandia, cit., 222.
9
Il capostipite della scuola pubblicistica finlandese è certamente Leo Mechelin,
autore dell’influente trattato Précis de droit public de Grande-Duché de Finlande
(1886).
10
La cancellazione del separatismo finlandese – una politica appunto nota anche
come «russificazione» – inizia durante la «prima era di oppressione» (1899-1905) e
continua durante la sua seconda fase (1909-1917). Ciò anche perché durante il re-
gno di Alessandro III (1881-1894) e poi di Nicola II (1894-1917) i circoli naziona-
listi in Russia acquisiscono una maggiore influenza politica. Il Granducato di Fin-
landia, parte dell’Impero russo ma con ampia autonomia, rappresenta un punto do-
lente per gli sciovinisti russi: la Finlandia è, infatti, uno stato all’interno di uno stato,
con il proprio Senato e la propria Dieta, i propri funzionari locali, una legislazione
speciale, l’esercito ed una propria moneta nazionale. Inoltre, per di più, la Finlandia
è separata dall’Impero da un confine geopolitico riconosciuto.
11
Sulle origini del controllo di costituzionalità preventivo, cfr. M. Hidén, Con-
stitutional Rights in the Legislative Process: The Finnish System of Advance Control
of Legislation, in Scand. Stud. Law, vol. 17, 1973, 95 ss.
12
Sulla singolare genesi di queste «leggi di eccezione costituzionale» – oggetto
di ulteriore analisi infra nel testo – cfr., in particolare, P. Kastari, The Historical Back-
ground of Finnish Constitutional Ideas, cit., 74-76.
13
P. Ihalainen, Transnational Constructors of Parliamentary Democracy in Swe-
dish and Finnish Constitutional Controversies 1917-1919, in Scandinavian Journal of
History, 2019, 213-235.
14
La guerra civile tra Bianchi e Rossi «could be characterised, from a constitu-
tional point of view, as a conflict between the pouvoir constituant of the Reds and
the pouvoir constitué of the Whites»: M. Suksi, Common Roots of Nordic Consti-
tutional Law?, cit., 27.
15
Sui dibattiti parlamentari e sui modelli costituzionali di riferimento, è di par-
ticolare interesse l’ampio volume di P. Ihalainen, The Springs of Democracy. Natio-
nal and Transnational Debates on Constitutional Reform in the British, German,
Swedish and Finnish Parliament 1917-1919, Finnish Literature Society, Helsinki, 2017,
465-502.
16
J. Husa, The Constitution of Finland. A Contextual Analysis, cit., 106.
17
«A compromise was reached. In the future republic the President would have
almost all of the powers that the monarchists had wanted to give to the King. Iro-
nically, the Finnish presidency grew in the direction of a strong powerful position
of the President, while in the Kingdom of Sweden, the equal prerogatives of the
Swedish Kings were gradually ‘parliamentarised’ and transferred to the Prime Mi-
nister of Sweden. The Constitution of Finland reflects the monarchical ideas for
strong position of the Head of State especially during political crises and exceptio-
nal circumstances»: così I. Saraviita, Constitutional Law in Finland, cit., 64.
18
«Without a shadow of doubt, those who drafted the final 1919 constitutional
document were not thinking any pouvoir neutre according to French constitutional
theory, but rather a strong governmental organ taking part in political life on con-
stant basis»: J. Husa, The Constitution of Finland. A Contextual Analysis, cit., 107.
19
Per una panoramica comparata sulle Carte pluritestuali, cfr. G. Morbidelli, Co-
stituzioni e costituzionalismo, in G. Morbidelli, L. Pegoraro, A. Rinella, M. Volpi,
Diritto pubblico comparato, Torino, V ed., 2016, 170.
20
Come rileva, ancora di recente, E. Smith, Judicial Review of Legislation, in H.
23
J. Husa, Guarding the constitutionality of Laws in Nordic Countries, in Amer.
Journ. Comp. L., vol. 48, 2000, 345.
24
J. Husa, The Constitution of Finland. A Contextual Analysis, cit., 238.
25
M. Hidén, Constitutional Rights in the Legislative Process: The Finnish System
of Advance Control of Legislation, cit., 99 ss.
26
Cfr., sul punto, J. Husa, Nordic Reflections on Constitutional Law. A Com-
parative Nordic Perspective, Franfurt-am-Main/New York, 2002, 143 ss.
1
Ustav Socijalističke Republike Bosne i Hercegovine in Službeni list SRBiH,
25.02.1974, n.4, pp. 90 e segg. La Jugoslavia del secondo dopoguerra nacque dall’u-
nione di sei repubbliche (Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia e
Montenegro) e cinque popoli-nazioni costituenti (sloveni, croati, serbi, macedoni e
montenegrini).
2
Enver Redžić, Prilozi o nacionalnom pitanju, Svjetlost, Sarajevo 1963; Salim Će-
rić, Muslimani srpsko-hrvatskog jezika (I musulmani di lingua serbo-croata), Svje-
tlost, Sarajevo 1968; Atif Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svje-
tlost, Sarajevo 1969; Muhamed Hadžijahić Od tradicije do identiteta. Geneza nacio-
nalnog pitanja Bosanskih Muslimana (Dalla tradizione all’identità. Genesi della que-
stione nazionale dei musulmani bosniaci), Svjetlost, Sarajevo 1974.
3
J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice There was a Country, Cambridge
University Press, Cambridge, 1996 (2000), pp. 65-66; Fikret Karčić, Opšti građan-
ski zakonik u Bosni i Hercegovini: kodifikacija kao sredstvo transformacije pravnog
sistema, in Zbornik Pravnog fakultet u Zagrebu, vol. 63, n. 5-6, 2013, pp. 1027-1036,
pp. 1027-1028.
4
M.R. Leto, Danica Ilirska i pitanje hrvatskoga Književnog jezika, in Slavica
Tergestina, 2004, pp. 163-188, p.181; J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there
was a Country, cit., pp. 39-50; Sulle diverse forme che assunse il fenomeno dell’Il-
lirismo si rimanda al testo di E. Ivetić, La Jugoslavia sognata. Lo jugoslavismo delle
origini, Franco Angeli, Milano, 2012, in particolare al capitolo terzo: «Dall’Illirismo
alla cultura jugoslava», pp. 91-126.
5
J.R. Lampe, Yugoslavia as History. Twice there was a Country, cit., pp. 58-60;
Egidio Ivetić, La Jugoslavia sognata…, cit., p. 116; William Klinger, A vent’anni
dalla dissoluzione della Jugoslavia: le radici storiche, in Fiume, rivista di studi adria-
tici, XXXII, n.1-6, 25, pp. 67-71. A Rački è attribuita la paternità del neologismo
Jugoslovjenstvo.
6
E. Hajdarpašić, Whose Bosnia. Nationalism and Political Imagination in the
Balkans, 1840-1914, Cornell University Press, Ithaca and London, 2015, pp. 9-11.
7
M.R. Leto, Il capolavoro imperfetto: forme narrative e percorsi culturali in «Vita
e avventure di Dositej Obradović», Liguori, Napoli, 2011.
8
Egidio Ivetić, op. cit., p. 101.
9
M. Melichárek, The Role of Vuk Karadžić in Histoy of Serbian Nationalism
(In the Context of Europen Linguistic in the First Half of 19TH Century), Serbian
Studies Research, vol. 6, n.1, 2015, pp. 55-74.
10
E.M. Despalatović, Ljudevit Gaj, panslavist i nacionalist, in Radovi: Radovi
Zavoda za Hrvatsku povijest Filozofskog Fakulteta Sveučilišta u Zagrebu, 1973, pp.
111-122.
11
J. Grbić, Etnografska građa u putopisima bosanskih franjevaca I.F. Jukića i G.
Martića (Mogučnosti istraživanja razvoja identita i međuetnickih odnosa), in Na-
rodna Umjetnost: Časopis za etnologiju i folkloristiku, 1995, pp. 109-126.
12
T. Markus, Društveni pogledi Ante Starčevića, in Časopis za suvremenu po-
vijest, 2009, pp. 827-848.
13
J. Čapo Žmegać, Antun Radić i suvremena etnološka istraživanja, in Narodna
Umjetnost, vol. 34/2, Institut za etnologiju i folkloristiku, Zagreb, 1997, pag. 9-33.
Antun Radić è considerato il padre dell’etnologia croata. È stato, inoltre, co-fonda-
tore, assieme al fratello Stjepan, del Partito Contadino Croato (HSS). L’attività in-
tellettuale di Radić fu intensa sia come scrittore che come editore della rivista Zbor-
nik za narodni život i običaje Južnih Slavena.
nei domini ottomani. Uno dei tratti che sembra accomunare gli autori
passati in rassegna, nonostane l’appartenenza a contesti storici e geo-
grafici eterogenei, era la convinzione che le popolazioni slave di fede
cristiana in Bosnia-Erzegovina, in larga parte serbi e croati, avrebbero
potuto riscattare la propria condizione di popoli oppressi solo attra-
verso la riconquista dei territori occupati e l’assimilazione dei musul-
mani slavofoni nelle rispettive compagini nazionali. I musulmani bo-
sniaci, infatti, secondo un’opinione ancora oggi diffusa in alcuni am-
bienti nazionalisti, erano considerati serbi o croati convertiti all’islam.
Ciò sarebbe bastato a giustificare qualsiasi iniziativa posta in essere dai
gruppi nazionali antagonisti per «ricondurre» i musulmani bosniaci
nelle rispettive culture di origine. Circa un secolo dopo, la storiogra-
fia comunista avrebbe rigettato certe pretese come espressione della
«borghesia serba e croata» e affermato, contestualmente, il diritto dei
musulmani, in linea di massima, di poter rivendicare la propria indi-
pendenza, l’autonomia e la sovranità nazionale e territoriale.
Alcuni tra gli elementi più frequenti e abusati della letteratura pa-
triottica per descrivere il «pathos collettivo» delle popolazioni autoc-
tone di fede cristiana, sui quali si sofferma a lungo l’indagine di Haj-
darpašić, sono riconducibili essenzialmente al tema generale della «sof-
ferenza» e alla sua evoluzione nel motivo letterario della «povera –
misera – Bosnia” (jadna Bosna). Uno dei primi testi che inaugurò
questa tendenza fu, secondo lo storico bosniaco, il breve e noto poe-
metto pubblicato nel 1835 dallo scrittore croato Mate Topalović, dal
titolo Tužna Bosna (la triste Bosnia). A questo primo esempio di let-
teratura «impegnata» seguì, qualche anno dopo, precisamente nel 1842,
Echoes from the Balkans, The Tears of the Bulgarian, Herzegovinian,
and the Bosnian Christians di Ognjeslav Utješenović (Ostrožinski),
funzionario del confine militare (Vojna krajina o Militärgrenze), di
origine serba, croato di adozione, che poteva vantare, tra le sue co-
siddette amicizie strette, il bano Jelačić e Ljudevit Gaj. Il breve poema
ottenne un successo inaspettato. Esso fu dapprima pubblicato in croato
con il titolo Jeka od Balkana, ili suze bugarskih, hercegovačkih i bo-
sanskih hristianah, quindi in tedesco, e successivamente tradotto in
francese e in italiano. Attraverso il lavoro di Utješenović, le dram-
matiche vicende della raja, ovvero le locali comunità cristiane, ini-
ziarono a circolare nei più importanti salotti europei14. La «soffe-
14
E. Hajdarpašić, op. cit., pp. 59-61. Il termine Raja era utilizzato all’epoca per
riferirsi alla popolazione cristiana di Bosnia.
15
J.R. Lampe, op. cit., pp. 52-53; Edin Hajdarpašić, op. cit., pp. 95-96; N. Stančić,
Problem ‹Načertanja› Ilije Garašanina u našoj historiografiji, Historijiski Zbornik,
21-22 (1968-1969), pp. 179-196.
16
E. Redžić, op. cit., p. 72.
nunciate nel 1839 con l’editto del sultano Abdülmecid I, furono ac-
colte con un certo scetticismo dalla rivista Danica Ilirska17. Il 16 mag-
gio 1866, su iniziativa dei funzionari ottomani, fu stampato il primo
numero del foglio Bosna. Questo progetto editoriale, presumibilmente
il primo del genere che vide la luce a Sarajevo, rappresentava chiara-
mente gli interessi della Sublime Porta. Bosna era uno dei mezzi adot-
tati dagli amministratori del sultano per sensibilizzare la componente
bosniaco-musulmana sui valori condivisi della tradizione islamico-ot-
tomana e «al progresso e ai doveri civili» contemplati dalle recenti
riforme. La rivista serba Zastava non tardò a manifestare il proprio
disappunto nei confronti della pubblicistica ottomana, considerata una
minaccia agli interessi strategici dei serbi in Bosnia-Erzegovina: «così
al posto della lingua serba, essi scrivono lingua ‘bosniaca’ e popolo
‘bosniaco’, ora essi vogliono distruggere la nostra appartenenza na-
zionale, il nostro patrimonio sacro, il nostro orgoglioî»18.
La pubblicistica ebbe un ruolo di primo piano nel sensibilizzare
e nel rendere edotte le élite locali sugli sviluppi delle politiche na-
zionali, anche attraverso un uso sapiente dell’apparato linguistico-
simbolico19. L’offerta l’offerta editoriale si ampliò notevolmente con
la pubblicazione di Sarajevski Cvjetnik (1868-1872, Sarajevo) del
giovanissimo editore Mehmed Šaćir Kutćehajić, in lingua turca e
nella variante jiekavica della lingua bosniaca, utilizzando in parte i
caratteri dell’alfabeto arabo e in parte quelli dell’alfabeto cirillico; la
Neretva (1876, Mostar) in cirillico e arebica20, il Bosanski Vjestnik
(1866-1867, Sarajevo) in cirillico e il Bosanski Prijatelji (1850-1870,
Zagabria), di Ivan Franjo Jukić, Ljudevit Gaj e Antun Knežević, in
croato, con i caratteri latini21. In epoca austriaca, l’attività editoriale
17
La rivista Danica Ilirska fu fondata da Ljudevit Gaj nel 1835, cfr. M.R. Leto,
Danica Ilirska i pitanje hrvatskoga Knji_evnog jezika, in Slavica Tergestina, 2004,
pp. 163-188.
18
E. Hajdarpašić, op. cit., pp. 165-166.
19
A. Sokol, Lingua e identità nazionale in Bosnia-Erzegovina. Dal multicultu-
ralismo all’esclusivismo linguistico, in Scienze e Ricerche, 2015, pp. 92-98.
20
Si tratta di un particolare utilizzo dei caratteri arabi e persiani nella scrittura
della lingua bosniaca.
21
In epoca austro-ungarica la lista dei periodici si ampliò con la pubblicazione
delle riviste Босанска Вила (Bosanska Vila) stampata in cirillico nella variante jieka-
vica della lingua bosniaca (1885-1914); Bošnjak, in bosniaco stampato con i caratteri
latini (1891-1910); Nada, la rivista edita dal governo territoriale austriaco della Bo-
snia-Erzegovina, stampata con i caratteri latini e cirillici, a cura di Kosta Hormann
(1895-1903) e Sarajevski list, in caratteri latini e cirillici (1878-1918). Per una pano-
e Mediterraneo, collana Temi di Storia, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 82-94 e
89-90.
26
F. Karčić, Opšti građanski zakonik u Bosni i Hercegovini: kodifikacija kao
sredstvo transformacije pravnog sistema, in Zbornik Pravnog fakultet u Zagrebu,
2013, pp. 1027-1036, p.1028; X. Bougarel, Survivre aux empires. Islam, identité na-
tionale et allégeances politiques en Bosnie-Herzégovine, Karthala, Paris, 2015, p.34;
27
E. Ivetić, op. cit., p. 68.
28
P. Purivatra, H. Muhamed. ABC Muslimana, Muslimanska Biblioteka, Sarajevo,
1990, p. 24.
29
Letteralmente “capo degli ulema”.
30
F. Giomi, Tra Istanbul e Vienna. I musulmani di Bosnia nel periodo austro-
ungarico (1878-1918): ricerca di identità fra tradizione islamica e suggestioni mitte-
leuropee, in D. Melfa, A. Melcangi, F. Cresti (cur.), Spazio privato, spazio pubblico
e società civile in Medio Oriente e in Africa del nord, Atti del Convegno di Cata-
nia della Società per gli studi sul Medio Oriente, 23-25 febbraio 2006, Collana del
Dipartimento di Studi politici, Università di Catania, pp. 459-480, p. 468.
31
D.T. Bataković, Prelude to Sarajevo: The Serbian Question in Bosnia-Erzego-
vina, 1878-1914, in Balcanica, 1996, p. 123. È interessante notare che Bataković, sto-
rico dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (SANU), a un anno dalla fine
della guerra in Bosnia-Erzegovina e dal trattato di Pace di Dayton (1995), poche ri-
ghe oltre, a proposito dell’identità musulmana bosniaca, dichiara: «L’intera teoria di
Kállay era una voce isolata dall’essere storicamente fondata: la maggioranza della no-
biltà bosniaca cessò di esistere dopo la conquista ottomana, e i Musulmani erano
prevalentemente discendenti di Serbi o Croati islamizzati (ogni famiglia musulmana
conosce le proprie origini)».
32
V. Gačinović, Smrt jednog heroja, Beograd, Pijemont, 1912; N. Malcom, Sto-
ria della Bosnia. Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano, 1994 (2000).
33
E. Hajdarpašić, op. cit., p. 153; R.J. Donia, Iconography of an assassin: Ga-
vrilo Princip from Terrorist to Celebrity, in Prilozi, 43, Sarajevo 2014, pp. 57-78; V.
Pavlović, Le reazioni interne in Bosnia-Erzegovina di fronte all’annessione del 1908,
in A. Basciani, A. D’Alessandri (cur.) Balcani 1908. Alle origini di un secolo di con-
flitti, Beit, Trieste, 2009, pp. 101-113 B. Aleksov, Forgotten Yugoslavism and Anti-
Clericalism of Young Bosnians, in Prilozi, 43, Sarajevo, 2014, pp. 79-87; V.Katz, Ideo-
logical use of Memorial Plaques dedicated to Gavrilo Princip in the upbringing and
education of generations of youth in Bosnia and Herzegovina, in Prilozi, 43, Sarajevo,
2014, pp. 99-111.
34
Organizzazione musulmana unita.
35
Cfr. A. Jahić, Vrijeme izazova. Bošnjaci u prvoj polovini XX stoljeća, Bošnjačka
nacionalna zajednica za Grad Zagreb i Zagrebačku županju, Zagreb, Bošnjački In-
stitut - Fondacija Adila Zulfikarpašića, Sarajevo, 2014, p. 85 ss.
36
M. Trogrlić, La vita, la morte e la politica in Dalmazia durante la Grande
Guerra, in S. Trinchese, F. Caccamo (cur.), Rotte adriatiche. Tra Italia, Balcani e
Mediterraneo, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 135; E. Ivetić, op. cit., p. 29.
della «soluzione jugoslava» così come gli era stata prospettata dallo
stesso Korošec durante un’incontro avvenuto a Sarajevo poco tempo
prima37.
Intanto, il 20 luglio 1917 si erano incontrati a Corfù i rappresen-
tanti del Comitato jugoslavo (Jugoslavenski odbor), presediuto dal
croato Ante Trumbić e da alcuni esponenti del governo serbo in esi-
lio. Nonostante le opinioni divergenti riguardo l’assetto che avrebbe
dovuto assumere il futuro stato jugoslavo, a Corfù furono comun-
que individuati i presupposti politici attorno ai quali i serbi, i croati
e gli sloveni avrebbero sancito la loro unione e affidato il loro de-
stino alla dinastia Karađorđević. Il successo di Corfù, nonostante «il
difficile avvicinamento tra il Comitato jugoslavo e il governo serbo
in esilio», fu tale che a maggio dell’anno seguente, secondo la testi-
monianza del generale croato dell’esercito austro-ungarico Stjepan
Sarkotić, gran parte della popolazione bosniaca era stata «infettata»
dall’idea jugoslava38.
All’interno della nuova compagine statale del Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni (Kraljevina SHS), la cui proclamazione avvenne for-
malmente il primo dicembre 1918, gli esponenti della comunità bo-
sniaco-musulmana tentarono di sviluppare un percorso politico au-
tonomo attraverso l’Organizzazione Musulmana Jugoslava (JMO) e
altre formazioni minori, tra cui il Partito popolare musulmano, il Par-
tito radicale musulmano e il Partito contadino musulmano39. In se-
guito alla riforma agraria del 1919, che ridimensionò innanzitutto la
posizione sociale ed economica delle famiglie musulmane più influenti
della Bosnia-Erzegovina, il JMO, nel tentativo di salvaguardare gli
interessi dei notabili musulmani e limitare l’ingerenza della classe di-
37
H. Kamberović, Hod po Trnju. Iz bosansko hercegovačke historije 20. stoljeća,
Posebna Izdanja, Institut za istoriju Sarajevu, Sarajevo, 2011, p.13; X. Bougarel, Fa-
rewell to the Ottoman Legacy? Islamic Reformism and Revivalism in Inter-War Bo-
snia-Herzegovina, in N. Clayer, E. Germain, Islam in Inter-War Europe, Hurst, pp.
313-343, 2008.
38
E. Ivetić, op. cit., pp. 28-29; J.R. Lampe, op. cit., p. 108. Il governatorato di
Sarkotić in Bosnia fu contrassegnato da una feroce repressione dell’elemento serbo.
Si trattò, secondo Lampe, di una «pulizia etnica» nei confronti dei serbi di Bosnia,
che contribuì ad aggravare le tensioni tra le comunità locali.
39
S. Ćerić, Muslimani Srpsko-Hrvatskog jezika, Svjetlost, Sarajevo, 1968, pp. 187-
188. L’Organizzazione Musulmana Jugoslava (Jugoslovenska Muslimanksa Organi-
zacija o JMO) fu fondata a Sarajevo nel febbraio del 1919. Il primo presidente eletto
fu Ibrahim Maglajić. Mehmed Spaho (1883-1939) subentrò alla guida dell’organiz-
zazione nel 1921.
40
E. Mutapčić, Pravno-historijski kontekst agrarne reforme u BiH posle Prvog
Svjetskog Rata, in Tranzicija/Transition, »asopis za ekonomiju i politiku tranzicije/Jour-
nal of economic and politics of Transition, Anno XIII, Tuzla-Travnik-Beograd-Buku-
rest, 2011, pp. 143-156.
41
Il Partito comunista jugoslavo fu fondato a Belgrado nel 1919.
42
A. Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svjetlost, Sarajevo,
1969, pp. 46-47; J.R. Lampe, op. cit., pp. 124-125.
43
A. Purivatra, M. Hadžijahić, op. cit., p. 31.
44
Ivi, pp. 31-32.
45
S. Ćerić, op. cit., p.197.
46
H. Kamberović, Mehmed Spaho (1883-1939). Politička biografija, Vijeće Kon-
gresa bošnjačkih intelektualca, Sarajevo, 2009, pp.69-70; R. Petrović, Il fallito mo-
dello federale della ex Jugoslavia, Rubettino, Catanzaro, 2005, p. 40; A. Purivatra,
M. Hadžijahić, op. cit., p. 32.
47
A. Purivatra, op. cit., p.48.
48
«Oslobođenje», 10 novembre 1968, anno XXV., n. 7343, A.Purivatra, Put do
51
D. Begić, Pokret za autonomiju Bosne i Hercegovine u uslovima Sporazuma
Cvetković-Maček, in Prilozi, Institut za Istoriju Radničkog Pokreta Sarajevo, vol. 2.,
1966, pp.177-191, p. 181; D. Bečirović, op. cit., p. 71.
52
M. Imamović, Historija Bošnjaka, Preporod, Sarajevo, 1997, pp. 519-521; Š.
Filandra, Bošnjačka politika u XX stoljeću, Šejtarija, Sarajevo, 1998, pp. 107-108.
53
«Oslobođenje», 11 novembre 1968, anno XXV, n. 7344, A. Purivatra, Put do
ravnopravnosti. Savez komunista Jugoslavije i nacionalno pitanje u Bosni i Herce-
govini do 1946. Godine; A. Purivatra, op. cit., p. 53.
4. Rat svih protiv sviju (La guerra di tutti contro tutti). – Nel-
l’ambito della narrativa storiografica socialista, la guerra di Libera-
zione ha rappresentato per lungo tempo il mito di fondazione della
«seconda» Jugoslavia, e, sul piano politico, la legittimazione del Par-
tito comunista alla guida della Repubblica Popolare Federativa di Ju-
goslavia (Federativna Narodna Republika Jugoslavija o FNRJ)55. È
anche corretto affermare che l’impalcatura ideologica, politica e am-
ministrativa della federazione jugoslava fu edificata in Bosnia-Erze-
govina durante le fasi più concitate della guerra56. La Resistenza ju-
goslava, coordinata dal Partito comunista, confluì presto nel movi-
mento popolare di Liberazione (Narodni Oslobodilački Pokret o
NOP), la cui ala militare era costituita dalle formazioni partigiane.
Tuttavia, la storiografia tradizionale di epoca socialista enfatizzò ol-
tremodo l’epopea di «Tito e i suoi compagni»57, oscurando di fatto
l’apporto prezioso, seppur indiretto, delle formazioni resistenziali non
inquadrate nel Movimento di Liberazione. Fu il caso, ad esempio,
delle bande musulmane autonome che operarono in Bosnia orientale,
i cui successi, nonostante i metodi di guerriglia a dir poco discuti-
bili, permisero ai partigiani di riconquistare ampie zone del Paese. La
54
Ivi, p. 55. L’aspetto semantico delle categorie utilizzate per definire i musul-
mani, nel secondo dopoguerra jugoslavo, fu oggetto, come vedremo, di accesi di-
battiti sia in ambito accademico che in quello politico.
55
Dal 1963 la FNRJ cambiò denominazione in Socialistička Federativna Repu-
blika Jugoslavia o SFRJ (Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia).
56
Con «prima Jugoslavia» ci si riferisce, solitamente al periodo monarchico tra
le due guerre (1918-1941). Il Consiglio popolare antifascista di Liberazione (AVNOJ)
si costituì in qualità di governo provvisorio e operò essenzialmente in Bosnia-Erze-
govina, dal novembre 1942 fino alla fine della guerra.
57
Il riferimento al recente lavoro di Jože Pirivijec, Tito e i suoi compagni, Ei-
naudi, Torino, 2015, in particolare al capitolo settimo, Djilas, Kardelj, Ranković.
58
M.A. Hoare, Bosnian Muslims in the Second World War: A History, C. Hurst
& Co., London, 2013.
59
Ivi, p. 7; cfr. E. Greble, Sarajevo la cosmopolita. Musulmani, ebrei e cristiani
nell’Europa di Hitler, Feltrinelli, Milano, 2012.
60
D. Bečirović, op. cit., pp. 85-89.
61
M.A. Hoare, op. cit., p. 64.
Spaho, il primo guida del JMO, l’altro reis ul ulema62. Del resto, fa
notare anche lo storico francese Xavier Bougarel «in certi momenti,
cetnici e partigiani combattevano insieme, e talvolta risultava difficile
distinguere gli uni dagli altri»63. Se a tutto ciò si aggiunge il diffuso
fenomeno delle conversioni religiose di massa, molto frequente du-
rante i primi anni di guerra, tanto da essere regolato da una serie di
dispositivi di legge, il concetto di «appartenenza» e quello di identità
assumono ulteriori sfumature. Tra aprile e ottobre del 1941 non meno
di duemila ebrei, il venti per cento della comunità sefardita di Sa-
rajevo, si convertirono in parte al cattolicesimo e in parte all’islam,
con la speranza (vana) di evitare le persecuzioni degli agenti ustaša64.
Negli stessi mesi, stando ai rapporti delle autorità croate, si registra-
rono frequenti casi di conversione anche tra i serbi di confessione or-
todossa, che nell’inutile tentativo di sfuggire ai loro aguzzini decide-
vano di dichiararsi, secondo le necessità del momento, musulmani o
cattolici. La pratica della conversione, nella provincia bosniaca, ri-
guardava spesso interi villaggi o gruppi famigliari molto estesi. A Mali
Gradac, un villaggio con qualche centinaio di anime, 19 persone di
fede “greco-orientale” chiesero e ottennero il permesso di convertirsi
alla fede cattolica65.
Sia la base ideologica della Resistenza che le strategie politiche
delle forze d’occupazione contenevano molti elementi attinti dall’ar-
ticolato patrimonio della cultura tradizionale nazionalista, che i di-
versi gruppi della regione avevano portato in dote all’appuntamento
con la guerra. Le teorie sulla nazione, che si affermarono nel corso
dell’Ottocento, durante l’occupazione ottomana e asburgica, trovava-
rono piena applicazione nelle pratiche ideologiche del regime dello
Stato Indipendente di Croazia.
L’occupazione dei territori bosniaci da parte dell’NDH aveva com-
portato l’assimilazione della popolazione musulmana ad un presunto
patrimonio biologico-culturale croato. L’elemento distintivo dell’ap-
partenenza nazionale croata, infatti, all’epoca dell’NDH, non era ri-
62
Fehim Spaho, fratello di Mehmed, leader del JMO, ricoprì la carica di reis ul
ulema dal 1938 al 1942. Il reis Spaho si dichiarava musulmano di nazionalità croata.
63
X. Bougarel, op. cit., p. 99.
64
E. Greeble, op. cit., p. 107.
65
HR-DAZG, Nezavisna Državna Hrvatska, (Mup-NDH, 21378/41) K. 45, 46,
53, Ministarstvo Pravosudja i Bogoštovlja, n. 1626-B-1941. Mali Gradac selo, «vje-
rozakonski prijelaz stanovnika grčko istočne vjere na rimo-katoličku». Zagreb, 9.
rujna, 1941.
66
N. Kisić Kolanović, Islamska varijanta u morfologiji kulture NDH 1941-1945,
in Časopis za suvremenu povijest, vol. 39, n. 1, 2007, p. 64.
67
Hrvatski Narod. Zagreb, anno 3, nr.71, 23 aprile 1941, p.5; Xavier Bougarel,
op. cit., p.105.
68
Zemaljski Antifašističko Vijeće Narodnog Oslobođenja Bosne i Hercegovine.
69
Службени лист Федералне Босне и Херцеговине, anno I, n.1, 20 giugno 1945,
Резолуција Земалјиског Антифашистичког Бијећа Нaродног Ослобођења Босне и
Херцеговине, Сарајево, 20 novembre 1943, p.2. Nel testo originale “Srbi, Hrvati i
Muslimani”. Secondo le regole ortografiche del serbo-croato-bosniaco, i sostantivi di
nazionalità si scrivono con l’iniziale maiuscola. Nel nostro caso, «Musliman» si ri-
ferisce alla (presunta) nazione musulmana, mentre «musliman» è il termine con il
quale ci si riferisce al seguace della religione islamica; una differenza non di poco
conto se consideriamo le implicazioni che comportava, nella forma scritta, l’uso del-
l’uno o dell’altro termine. In una sorta di preambolo alla Costituzione della SRBiH
del 1963, il termine Muslimani fu usato, per la prima volta in un documento del ge-
nere, nella sua accezione di «componente etnica» (Cfr. “Ustav Sočijalističke Repu-
blike Bosne i Hercegovine”, Službeni list NRBiH, XIX, n.14, 11 aprile 1963, vol. I,
p. 153).
70
Antifašitičko Vijeće Narodnog Oslobođenja Jugoslavije.
71
Дekларација другог заседанја антифашистичког већа народног ослобођенја
Југославије (29.XI.1943), in Службени лист демократске федеративне Југославије, 1
febbraio 1945, Београд, n. 1, anno I, p.4; Marko Attila Hoare, op. cit., pp.183-184.
La nascita della «seconda» Jugoslavia, per il Partito comunista, avvenne proprio in
occasione della seconda sessione dell’AVNOJ, il 28 novembre 1943 a Jaice, in Bo-
snia-Erzegovina.
72
X. Bougarel, op. cit., p.120.
73
A. Omerika, The Role of Islam in Academic Discourses on the National Iden-
tity of Muslims in Bosnia Herzegovina, 1950-1980, in Islam and Muslim societies: A
Social Science Jurnal, vol. 2, n. 2, New Delhi, 2006, pp. 351-376, p 352.
74
M.A. Hoare, op. cit., p. 287; Xavier Bougarel, op. cit., p. 127.
75
Устав Народне Републике Босне и Херцеговине, in Службени лист Народне
Републике Босне и Херцеговине, 8 gennaio 1947, n.1, anno III, pp. 2-18.
76
Nel 1952, in occasione del VI Congresso del Partito comunista jugoslavo a
Zagabria (dal 2 al 7 novembre), la denominazione del Partito cambiò in Lega dei
comunisti jugoslavi (Savez Komunista Jugoslavije o SKJ).
77
Cfr. V. Katz, Društveni i ekonomski razvoj Bosne i Hercegovine 1945.-1953.,
Institut za Istoriju, 2011.
78
Federativna Narodna Republika Jugoslavija (Repubblica Popolare Federativa
di Jugoslavia).
79
Службени лист Федералне Босне и Херцеговине, год. I, бр. 1, 20.6.1945, стр.
5, Одлука Земалјског Антифашистичког Вијећа Народног Ослобођенја Босне и
Херцеговине.
80
A. Omerika, op. cit., p. 352.
81
Ustav Islamske Vjerske Zajednice u Federativnoj Narodnoj Republici Jugosla-
viji, Vrhovno Islamsko Stariješinstvo u FNRJ, Sarajevo, 1947.
82
A. Zulfikarpašić, Bosanski pogledi, nezavisni list muslimana Bosne i Hercego-
vine u iseljeništvu. 1960-1967, Zurich, STAMACO, 1984, p. 422.
83
F. Karčić, op. cit., p. 1034.
84
Antifašistički Front Žena o AFŽ.
85
Službeni list narodne NRBiH, anno VI, n. 32, 272, Zakon o zabrani nošenja
zara i feredže.
86
Il rituale del pellegrinaggio alla Mecca dalla prospettiva dei rapporti diploma-
tici jugoslavi è stato oggetto di un mio recente contributo dal titolo Viaggiare per
fede. Il pellegrinaggio alla Mecca e la politica estera jugoslava (1949-1961), in Dia-
cronie, Studi di Storia contemporanea, 36, 4/ 2018.
87
S. Jaliman, Politički osuđenici u kazneno-popravnom domu u Zenici 1945-1954
Godina, in Dru_tvena istra_ivanja, »asopis Pravnog fakulteta Univerziteta u Zenici,
Rivista della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Zenica; n. 2, anno II; Zenica
2008, pp. 13-27; Suđenje organizatorima i rukovodiocima terorističke organizacije
“Mladi Muslimani”, in Oslobođenje, Organ Izvršnog Odbora Narodnog Fronta Bo-
sne i Hercegovine, anno VI, n .865, p. 2.
88
N. Žutić, Protokol Jugoslavije i Vatikana iz 1966. Godine, in Istorija 20. Veka,
1/2013, pp. 135-156; M. Akmadža, Pregovori Svete Stolice i Jugoslavije i potpisivanje
protokola iz 1966. Godine, in »asopis za suvremenu povijest, 36(2), pp. 473-503.
89
I. Lučić, Making the “Nation” Visible: Socialist Census Policy in Bosnia in the
early 1970s, in The Ambiguos Nation, Case Studies from Southeastern Europe in the
20th Century, Oldenbourg Verlag München, 2013, pp. 423-448, p. 426.
90
Federativna Narodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evi-
denciju. Konačni rezultati popisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga V,
Stanovništvo po pismenosti, Beograd, 1955, p. XI.
91
Federativna Narodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evi-
denciju. Konačni rezultati popisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga I,
Stanovništvo po polu i domaćinstva, Beograd 1951, p. LXXII; Federativna Narodna
Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za statistiku i evidenciju. Konačni rezultati po-
pisa stanovništva od 15 marta 1948 godine, Knjiga IX, Stanovništvo po narodnosti,
Beograd, 1954, pp.128-129; Nacionalni Sastav Stanovništva SFR Jugoslavije, knjiga
I, podacima po naseljima i opštinama, Savezni zavod za statistiku, Beograd, 1991,
p.11. Oltre ai principali gruppi nazionali jugoslavi (serbi, croati, sloveni, macedoni e
montenegrini), nel 1948, in Bosnia-Erzegovina, furono censite piccole comunità di
bulgari, cechi, slovacchi, russi, russo-ucraini, albanesi, ungheresi, tedeschi, rumeni,
valacchi, italiani, turchi e cigani.
92
Cfr. Kraljevina Jugoslavija. Definitivni rezultati popisa stanovništva od 31 marta
1931 godine. Knjiga II. Prisutno stanovništvo po veroispovesti. Državna štamparija,
Beograd, 1938.
93
«Il termine musliman designa l’appartenenza alla confessione musulmana e non
ha nessun rapporto con la questione nazionale», M. Pijade, O popisu stanovništva,
Borba, vol. XVIII, n. 20, 21 gennaio 1953, riportato in M. Pijade, Izabrani spisi,
tomo 1, libro 5. Beograd: IIRP, 1966, pp. 946-949, citato da M. A. Hoare, op. cit.,
p. 132; Popis stanovništva 1953, libro I, Vitalna i Etnička Obeležja, Federativna Na-
rodna Republika Jugoslavija, Savezni Zavod za Statistiku, Beograd, 1959, p. XXXIV.
94
«Jugosloveni neopredjeljeni».
95
E. Ivetić, op. cit., pp. 9-12. Ivetić mette in guardia sul significato del termine
jugoslavenstvo (croato)/jugoslovenstvo (serbo): «Non è semplice cogliere il corri-
spettivo italiano (e in altre lingue) di jugoslavenstvo/jugoslovenstvo, poiché a seconda
della circostanza del dicorso, del libro o del saggio di riferimento, esso potrebbe es-
sere tanto la jugoslavità, cioè l’essere jugoslavi (popoli o culture), quanto lo jugo-
slavismo nel senso di ideologia o progetto politico».
96
Nacionalni Sastav Stanovništva SFR Jugoslavije, knjiga I, podacima po na-
seljima i opštinama, Savezni zavod za statistiku, Beograd, 1991, p. 11.
97
Cfr. G. Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Einaudi, Torino, 2002, pp.
15-21.
98
Uno strumento prezioso per ricostruire le attività «diplomatiche» della Co-
munità religiosa islamica è la rivista Glasnik Vrhovno Islamskog Starješinstva u Fe-
derativnoj Narodnoj Republici Jugoslaviji (abbreviato: Glasnik VIS-a)
99
Glasnik VIS-a, XIII (XXV), 1-3/1962, p. 54. Da quel momento in poi, di-
versamente dal passato, le istanze d’espatrio per il pellegrinaggio alla Mecca, in as-
senza di particolari impedimenti, sarebbero state tutte autorizzate indipendentemente
dal numero delle richieste.
100
Popis stanovništva 1961, libro I, Vitalna, etnička i migraciona obeležja, Sočija-
listčka Federativna Republika Jugoslavija, Beograd, 1970, pp. XVIII-XIX. Popis sta-
novništva, domaćinstava i stanova u 1961. Godini. Nacionalni sastav stanovništva
FNR Jugoslavije, podaci po naseljima i opštinama, Vol. III. Savezni Zavod za Stati-
stiku, Beograd, 1994, p. 5; Demografska Kretanja i karateristike stanovništva jugo-
slavije prema nacionalnoj pripadnosti, Belgrade, IDN, 1978, p. 15, citato in X. Bou-
garel, op. cit., p. 142.
101
S. Mrdjen, Narodnost u popisima. Promjenljiva i nestalna kategorija, in «Sta-
novništvo», 1-4, 2002, pp. 77-103, p. 80.
102
Nei documenti amministrativi, il termine Musliman, nella sua funzione di et-
nonimo, era riportato con l’iniziale maiuscola, mentre musliman, con l’iniziale mi-
nuscola, continuava a essere utilizzato per riferirsi ai seguaci dell’islam.
103
E. Hajdarpašić, op. cit., pp.18-20. Nel caso dei volumi pubblicati in lingua
italiana, narod è stato tradotto sia come «nazione» che «popolo». Nel volume di
Jože Pirjevec, Tito e i suoi compagni, pubblicato da Einaudi nel 2015 (titolo origi-
nale: Tito in tovariši) l’aggettivo narodni è stato tradotto a volte come «popolare»
altre come «nazionale» e a volte con il sostantivo «Stato».
104
Il termine narodnost veniva solitamente impiegato per indicare le entità na-
zionali non costituenti che avevano i propri «riferimenti etnici» fuori dai confini ju-
goslavi: a quei tempi in Jugoslavia ci si riferiva, ad esempio, agli albanesi, ai tede-
schi, agli italiani e alle altre minoranze nazionali presenti nel territorio federale.
105
A. Purivatra, op. cit., p. 59. Purivatra, a tal proposito scrive: «In base a ciò è
opportuno ricordare che l’individualità etnica dei Musulmani bosniaco-erzegovesi
nella maggior parte dei documenti del partito della guerra di Liberazione nazionale
e della rivoluzione popolare si esprime con il concetto di narod».
106
Savezni Zavod za statistiku, Nacionalni sastav stanovništva SFRJ po naseljima
i opštinama, Beograd: SZS, 1991; H. Kamberović, op. cit., pp. 59-81, p.61; A. Puri-
vatra, op. cit., pp.32-34. SR BiH sta per Socijalistička Republika Bosna i Hercego-
vina.
107
K. Boeckh, Vjerski progoni u Jugoslaviji 1944.-1953.: staljinizam u titoizmu,
in Časopis za suvremenu povijest, anno 38, n. 2, dicembre 2006, pp. 373-716. OZNA
è l’acronimo di Odeljenje za Zaštitu Naroda (Dipartimento per la difesa del po-
polo). Dopo la riorganizzazione del 1946, l’OZNA cambio denominazione in Uprava
Državne bezbednosti o UDB-a (Amministrazione per la sicurezza dello Stato).
108
Sull’uso del termine «liberale» e «conservatore» nell’ambito della politica ju-
goslava di epoca socialista si fa riferimento all’uso che propone Sabrina P. Ramet:
«Per liberale, nel contesto jugoslavo intendo qualcuno che favorisce la riduzione del
controllo del partito centrale e una minore supervisione del partito sulla società. Per
conservatore, nel contesto jugoslavo intendo qualcuno che favorisce un forte con-
trollo del partito centrale e uno stretto controllo del partito sulla società». Cfr. S.P.
Ramet, The Three Jugoslavias. State-Building and Legitimation, 1918-2005, Woo-
drow Wilson International Center Press, Washington, D.C. 2006, p. 211.
109
I. Štiks, Nations and Citizens in Yugoslavia…, cit., p. 69.
110
(ABH) ACKSKBiH, K. 7, Aktivnost Saveza Komunista povodom pojava na-
cionalizma, šovinizma, djelovanja konzervatnih snaga poraženih na IV plenum CK
SKJ i drugih vidova neprijateljske djelatnosti. Sarajevo, marta 1968. Nell’inchiesta del
Comitato Centrale della Lega dei comunisti bosniaci, condotta nelle città di Neve-
sinje, Stolac e Kiseljak, emersero frequenti e preoccupanti casi di violenza di matrice
nazionalista. A Nevesinje, l’anno successivo la caduta di Ranković, se ne contarono
27. «Qui – si legge nel rapporto – non sono rare le canzoni su Ranković […] ci
sono sempre più casi di esaltazione dell’atteggiamento cetnico e grande-serbo». Ranko-
viÊ veniva costantemente celebrato dai gruppi pro-cetnici come il «più grande figlio
della Serbia».
111
Il documento fu una chiara denuncia all’Accordo di Novi Sad del 1954 in
occasione del quale fu dichiarata l’unità linguistica “serbo-croata” o “croato-serba”
come uno dei simboli più evidenti dell’unità jugoslava. La Dichiarazione del 1967
fu considerata come una preoccupante manifestazione di nazionalismo dai vertici del
Partito comunista croato e dallo stesso Tito.
112
H. Kamberović, op. cit., p. 275. Per avere un’idea del complesso dibattito sulla
questione nazionale musulmana, in particolar modo in ambito accademico, è op-
portuno fare riferimento alla rassegna bibliografica curata da Muhamed Hadžijahić
e Atif Purivatra, pubblicata dalla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Sa-
rajevo nel 1971, con il titolo: Građa za bibliografiju o nacionalnoj problematici Bo-
snaskih Muslimana. Prilog studijskom projektu „Međunacionalni odnosi u Jugoslaviji
i problemi federalizma“ Instituta društvenih nauka u Beogradu. (Materiale per la bi-
bliografia sulla problematica nazionale dei musulmani bosniaci. Contributo al pro-
getto di studio «relazioni tra le nazioni in Jugoslavia e il problema del federalismo»
dell’Istituto di Scienze sociali di Belgrado).
113
“Oslobođenje”, 30 maggio 1968, godina XXV, n. 7178, p. 4. Demokratsko
dogovaranje o politici nacionalne ravnopravnosti; “Oslobođenje”, 31 maggio 1968,
Anno XXV, n. 7179, pp. 4-5. Platforma Ćosić i Marjanovića je nacionalistička, ne-
samoupravna i birokratska. Clanovi Centralnog komiteta oštro osudili stavove Do-
brice Ćosića i Jovana Marjanovića o ravnopravnosti među narodima i narodnostima.
In seguito alle polemiche sollevate nei confronti del partito, Ćosić e Marjanović fu-
rono esautorati delle loro funzioni politiche.
del SIV, Avdo Humo, funzionario del CK SKJ, Džemal Bijedić, pre-
sidente dell’Assemblea parlamentare della Bosnia-Erzegovina114.
Una prima e importante svolta politica nella questione nazionale
musulmana si ebbe nel primo semestre del 1968. Durante i lavori
della XVII e della XX seduta del CK SKBiH, convocate rispettiva-
mente per gennaio e maggio, i comunisti bosniaci espressero in ma-
niera inequivocabile la posizione del partito riguardo la componente
bosniaco-musulmana. «L’esperienza ha mostrato i danni delle diverse
forme di espressione e insistenze del passato, quando all’inizio i mu-
sulmani venivano classificati, dal punto di vista nazionale, come serbi
o croati, poiché oggi si è dimostrato, e lo conferma l’attuale prassi
socialista, che i musulmani sono una nazione distinta». Questa di-
chiarazione in particolare, riportata nei verbali del Comitato Centrale
e pubblicata il 18 maggio su Oslobođenje, è stata considerata da di-
versi autori la chiave di volta del nuovo impianto politico della Lega
dei comunisti riguardo l’annosa questione nazionale musulmana115.
Affermando ufficialmente l’esistenza della nazione musulmana, per la
prima volta dalla fine della guerra, i comunisti bosniaci rigettarono
definitivamente le pretese territoriali sulla Bosnia-Erzegovina e le pres-
sioni sulla comunità musulmana avanzate negli anni dai nazionalisti
serbi e croati.
Ad ogni modo, ad accelerare la risoluzione della questione mu-
sulmana, nonostante l’opposizione degli ambienti conservatori interni
114
Centralni Komitet Saveza Komunista Bosne i Hercegovine o CKSKBiH (Co-
mitato Centrale della Lega dei comunisti della Bosnia-Erzegovina); Savezno izvršno
Vijeće o SIV (Consiglio esecutivo federale); Centralni Komitet Saveza Komunista Ju-
goslavije o CK SKJ (Comitato Centrale della Lega dei comunisti jugoslavi).
115
“Zaključci o idejno političkim zadacima komunista Bosne i Hercegovine u
daljem ostvarivanju samoupravnosti naroda i narodnosti i razvijanju međurepubličke
saradnje” in Oslobođenje-Nedjelja, anno XXV, n.7166, 18 maggio 1968, p. 6. «Praksa
je pokazala štetnost raznih oblika pritisaka i insistiranje iz ranijeg perioda da se Mu-
slimani u nacionalnom pogledu opredjeljuju kao Srbi odnosno kao Hrvati, jer se i
ranije pokazivalo, a to i današnja socijalistička praksa potvrđuje da su Muslimani
poseban narod». Iva Lučić, Stavovi Centralnog Komiteta Saveza Komunista Jugo-
slavije o nacionalnom identitetu Bosanskih Muslimana/Bošnjaka. Između afirmacije,
negacije i konfesionalne artikulacije, in Rasprave o nacionalnom identitetu BošnjakaÉ,
cit., pp. 97-115, p.106; Höpken W., Die Jugoslawischen Kommunisten und die bo-
snischen muslime, in Die muslime in der Sowjetunion und in Jugolsawien: Identität,
Politik, Widerstand, Colonia 1989, citato da Noel Malcom, Storia della Bosnia, Bom-
piani, 2000, p. 266; Atif Purivatra, Nacionalni i politički razvitak Muslimana, Svje-
tlost, Sarajevo, 1969, p. 30.
116
“Oslobođenje”, 31 maggio 1968, anno XXV, n. 7179, p. 5; “Oslobođenje”,
24 novembre 1968, Anno XXV, n. 7357, p. 1.
117
(ABH) ACKSKBiH 1968 str. Pov. […] a intervenciji u ČSR, NN. Strogo
Povjerljivo 221, Centralni Komitet Saveza Komunista Jugoslavije, str. Pov. 03-14/1,
6 septembra 1968. god. Materijale sa zajedničke sednice Predsedništva i Izvršnog Ko-
miteta Centralnog Komiteta SKJ održane 2 septembra 1968. godine, p. 18; ABH
ACKSKBiH, K. NN, Strogo Povjerljivo […] o intervenciji u ČSR, CKSKJ, Strogo
pov. br. 03-14/1, 6 septembar 1968. god. Beograd. Materijal sa zajedničke sednice
Predsedništva i Izvršnog Komiteta Centralnog Komiteta SKJ održane 2.septembra
1968. godine. Beleška o prijemu sovjetskog ambasadora kod Predsednika Tita, 30.
avgusta 1968, pp. 1-18, Brioni 31 avgusta 1968. Ad un punto del discorso, Tito, ri-
volgendosi all’ambasciatore russo, disse: «I popoli della Jugoslavia hanno combat-
tuto contro il fascismo. La Jugoslavia ha avuto un milione e settecentomila vittime.
Siamo pronti anche oggi al sacrificio se si mette in pericolo la nostra indipendenza
e la nostra via autonoma per l’edificazione del socialismo. Qualora la Jugoslavia fosse
minacciata, come da Oriente così da Occidente, essa si difenderà risolutamente. Se
l’attacco alla Jugoslavia arrivasse da Occidente, così come da Oriente, la Jugoslavia
combatterà risolutamente per la difesa della sua indipendenza. Su questo non si può
dubitare».
118
Socijalistički savez radnog naroda Jugoslavije (Lega socialista del popolo la-
voratore della Jugoslavia)
119
AJ KPR 2-4-b/45 27. I-18. VII 1970. br. 762/1 9. II 1971, Pripreme za po-
pis stanovništva i stanova u 1971. godini.
120
H. Đozo, Islam i Musliman, in Glasnik Vrhovnog islamskog starješinstva u
SFRJ, XXXIII/5-6, maggio-giugno 1970, pp. 201-206, p.205. Sulla vita di Husein
Đozo si rimanda alla biografia di E. KariÊ, Husein Đozo, Dobra Knjiga, Sarajevo,
2010.
121
La scelta della denominazione da utilizzare per la componente nazionale mu-
sulmana fu il risultato di lungo dibattito che vide schierarsi da una parte i sosteni-
tori del termine Musliman e dall’altra coloro favorevoli all’alternativa Bošnjak. Nel
1971 la scelta cadde quindi sull’etnonimo Musliman. Nel 1993, il Bošnjački sabor (il
consiglio dei bošnjaci) decise di abbandonare l’etnonimo Musliman/Muslimani a fa-
vore di Bošnjak/Bošnjaci. Cfr. X. Bougarel, Od ‘Muslimana’ do ‘Bošnjaka’, pitanje
126
E.J. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi dal 1870. Programma, mito e realtà,
Einaudi, Torino, 1991 (2002), pp. 12-13.
127
A.D. Smith, Le origini etniche delle nazioni, il Mulino, Bologna, 1998, p. 422.
128
S. P. Ramet, op. cit., p. 212.
129
B. Anderson, Immagined comunities. Refelctions on the Origin and Spread of
Nationalism, Verso, London-New York, 1983, 2nd edition, 1991 (ed. it. Comunità
immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Laterza, Bari-Roma, 2018, p. 5).
130
M. Snježana, Narodnost u popisimia. Promjenljiva i nestalna kategorija, Bi-
blid, 0038-982X 1-4, pp. 77-103, p. 82.
131
The referendum on Indipendence in Bosnia-Herzegovina, February 29-March
1, 1992, Commission on Security and Cooperation in Europe, 102nd Congress, Ist
Session, p. 10.
1
Cfr. A. Handler, Blood libel at Tiszaeszlar, Columbia UP, Boulder, 1980.
2
J. Katz, From prejudice to destruction. Anti-Semitism, 1700-1933, Harvard UP,
Cambridge, 1980, p. 55.
3
Sui limiti mostrati dalla Rivoluzione del 1848 nei confronti degli ebrei cfr. G.
Barany, Magyar Jew or Jewish Magyar? Reflections on the question of assimilation,
in B. Vago, G.L. Mosse (ed by), Jews and non-jews in Eastern Europe, Israel UP,
New York-Toronto, 1974.
4
J. Katz, From prejudice to destruction, cit., p. 230.
5
Sulla crisi cfr. I. T. Berend, Storia economica dell’Ungheria dal 1848 ad oggi,
Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 24.
6
Su Istóczy e la sua figura cfr. A. Handler, An Early Blueprint for Zionism.
Gyızı Istóczy’s Political Antisemitism, Columbia UP, Boulder, 1989.
7
V. Pinto, Un ebreo nuovo. Alle origini del sionismo (1881-1920), Free ebrei,
Torino, 2017, p. 78.
8
S. A. Riess, Antisemitism and sport in Central Europe and United States c.
1870-1932, in L.J. Greenspoon (ed.), Jews in the Gym: Judaism, Sports and Athle-
tics, Perdue UP, West Lafayette, 2012, p. 107.
9
Cfr. R. S. Wistrich, Max Nordau and the Dreyfus Affair, in The Journal of
Israeli History, vol. 16 (1995), n. 1, pp. 1-17.
10
Cfr. V. Pinto, Un ebreo nuovo, cit., p. 72.
11
Discorso di Nordau al congresso di Basilea (1902), cit. da A. Marzano, Sto-
ria dei sionismi. Lo Stato degli ebrei da Herzl a oggi, Carocci, Roma, 2017, p. 45.
12
Cit. da V. Pinto, Un ebreo nuovo, cit., p. 76. In generale sul pensiero di Nor-
dau e sul muskeljudentum cfr. T. D. Presner, Muscular Judaism. The Jewish body
and the politics of regeneration, Routledge, London-New York, 2007.
13
Sul Turner cfr. G. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo poli-
18
A. Geró, Német-osztrák identitás a századforduló Monarchiában, in H. Z.
Biró, T. P. Nagy (cur.), Zsidóság - tradicionalitás és modernitás. Tisztelgö kötet
Karády Viktor 75. születésnapja alkalmából, Wesley Jubileumi Kötetek, Budapest,
2012, p. 505.
19
Questo è il caso, ad esempio, del celebre giocatore e poi allenatore Béla Gutt-
mann, cfr. D. Bolchover, The Greatest Comeback: From Genocide to Football Glory.
The Story of Béla Guttman, Biteback Publishing, London, 2017.
solo nel 1896 fra gli atleti della MAC e della BTC (Budapest Torna
Club, club ginnico di Budapest)20, la popolarità del pallone doveva
già essere ampia, considerando il fatto che la prima proposta di ban-
dire il gioco arrivò ad inizio Novecento21. L’intensa rivalità fra le
squadre e la dimensione internazionale raggiunta immediatamente
(1897) portarono all’organizzazione di una Federazione calcistica ma-
giara (MLSz, Magyar Labdarúgó Szövetség) e di un campionato di
Budapest (1901). Competizione alla quale la MTK prese regolarmente
parte dal 1903.
L’identificazione dei principali grund, i terreni dove i giovani gioca-
vano al popolare sport, proprio nei quartieri attorno alla sinagoga, fa-
vorì innegabilmente la componente, numericamente sopra rappresentata
nel nascente mondo del pallone magiaro22. Uno sviluppo che provocò
un’abbondanza di talenti ebrei, di fatto protagonisti del campionato e
della nazionale di Budapest, che fra il 1900 e il 1918 vide trenta gioca-
tori ungheresi “di fede israelita” vestire la maglia della Válogatott23.
Nella fase finale dell’Ottocento vide la luce in Ungheria anche il
primo club espressamente sionista, la VAC (Vívó és Atlétikai Club,
associazione di scherma e atletica) fondata da Lajos Döményi (1898).
Malgrado il club non avesse né i colori, né una denominazione che
richiamasse alla tradizione biblica24, aveva un sistema di riferimento
valoriale ben diverso dalla MTK come risulta dal diverso modo di
incitare gli atleti da parte dei tifosi: al grido dei secondi «forza un-
gheresi!», i primi replicavano con «avanti israeliani»25.
Malgrado il caso della VAC di Budapest sia poco noto fuori dal-
l’Ungheria, il suo contributo all’emergere di uno sport sionista fu cer-
tamente decisivo26. Ad esempio, fu proprio la formazione magiara ad
ispirare la nascita dell’Hakoah Vienna, dopo una partita giocata da-
gli ungheresi nella capitale imperiale contro la Vienna Cricket und
20
Ivi, p. 28.
21
P. Szegedi, Az elsö Aranykor. A magyar foci a 1945-ig, Akadémia Kiadó, Bu-
dapest, 2016, p. 145.
22
A. Handler, From the Ghetto to the games. Jewish athletes in Hungary, Co-
lumbia UP, New York, 1985, p. 53.
23
Ivi, pp. 51-55.
24
M. Kálmán, Cutting the Way into the Nation: Hungarian Jewish Olympians
in the Interwar Era, cit., p. 131.
25
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig. A Makkabi Brno az elsö vilá-
gháború után, in Múlt és, p. 70.
26
A. Handler, From the Ghetto to the games, cit., p. 43.
27
Cfr. S. A. Riess, Antisemitism and sport in Central Europe, cit., p. 104 e J. S.
Gurock, Pride and Priorities: American Jewry’s Response to Hakoah Vienna’s U.S.
Tour of 1926, in E. Mendelsohn (ed. by), Jews and the sporting life, Oxford UP,
New York, 2008, p. 19.
28
W. D. Bowman, Hakoah Vienna and the International Nature of Interwar
Austrian Sports, in Central European History, vol. 44 (2011), n. 4, pp. 642-668.
29
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., p. 70.
30
I. H. Koerner, How the Hakoah was Founded, in The Sentinel, 11 giugno
1926.
31
M. Brenner, Breve storia degli ebrei, Donzelli, Roma, 2008, p. 248.
32
Sul caso polacco cfr. D. Blecking, Jews and Sports in Poland before the Se-
cond World War, cit., pp. 19-24.
33
I. H. Koerner, How the Hakoah was Founded, cit.
34
J. Bunzl, Hakoah Vienna: Reflections on a Legend, in M. Brenner, G. Reu-
veni (ed.), Emancipation through muscles. Jews and sports in Europe, University of
Nebraska Press, Lincoln-London, 2006, pp. 108-109.
35
S. A. Riess, Antisemitism and sport in Central Europe, cit., p. 105.
36
Su questo cfr. T. Stark, La legislazione antiebraica in Ungheria dal 1920 al
1944, in A. Capelli, R. Broggini (cur.), Antisemitismo in Europa negli anni Trenta.
Legislazioni a confronto, FrancoAngeli, Milano, 2001.
37
Cit. da F. Foer, How Soccer Explains the World, HarperCollins, New York,
2004, p. 73.
38
A. Riess, Antisemitism and sport in Central Europe, cit., p. 106.
39
J. S. Gurock, Pride and Priorities, cit., p. 79.
40
Ibid.
41
F. Foer, How Soccer, cit., p. 75.
42
Cfr. D. Bowman, Hakoah Vienna, cit., p. 653.
43
In generale sul rapporto fra Regime nazista e paesi occupati sul piano calci-
stico cfr. R. Oswald, Nazi Ideology and the End of Central European Soccer Pro-
fessionalism, 1938-1941, in M. Brenner, G. Reuveni (ed.), Emancipation through mu-
scles, cit., pp. 156-168.
44
P. Bučka, From the history of football of Slovak population of Hungarian na-
tionality, in Hadtudományi szemle, vol. 7 (2014), n. 2, pp. 10-15.
45
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., p. 71.
46
Ibid.
47
P. Dietschy, Storia del calcio, Paginauno, Vadano al Lambro, 2014, p. 137.
48
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., p. 73.
49
Ibid.
guito alla rotonda vittoria del Makkabi contro il Rapid Vienna (4-
1), il corriere sportivo «Sporthírlap» scrisse:
Tutti sanno, dovunque giochi il Makkabi, che i membri della squadra
ceco-tedesca sono ungheresi, e che in tedesco o in ceco sanno probabil-
mente solo cosa significa Sokol50.
50
A Makkabi teplitzi és bécsi sikere, in Sporthírlap, 15 novembre 1923.
51
A csehek a cionisták ellen, in Magyarság, 21 maggio 1924.
52
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., p. 76.
53
A futballváros, in Nemzeti Sport, 12 febbraio 1923.
54
P. Szegedi, A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., p. 76.
55
L’allenamento della squadra nazionale, in Corriere della Sera, 5 maggio 1924.
56
P. Szegedi, Az első, cit., p. 236.
57
Id., A cionizmustól a futballgazdaságig, cit., pp. 77-82.
1
«Il signor Edvard Beneš Segretario Generale del Consiglio Nazionale dei Paesi
czechi, che ho veduto oggi, mi ha chiesto il consenso del R. Governo di arruolare
i prigionieri di nazionalità czeca che si trovano in Italia per inviarli in Francia a far
parte del corpo separato czeco di cui ha ottenuto la costituzione in Francia. Ho ri-
sposto al signor Beneý che la questione era già stata sollevata altre volte e che ad
essa mi ero recisamente dichiarato contrario, come lo ero tuttora, sia perché ciò non
era conforme alle norme del diritto internazionale, sia perché ci saremmo esposti a
gravi rappresaglie da parte dell’Austria-Ungheria a danno dei soldati italiani che ca-
dessero in suo potere. Il caso della Francia era diverso non avendo essa prigionieri
austro-ungarici né prigionieri propri in mano all’Austria-Ungheria: così quello della
Russia poiché il trattamento reciproco dei prigionieri era già talmente cattivo che
non poteva peggiorare.» In: I Documenti Diplomatici Italiani (DDI), Quinta Serie,
Vol. IX, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1983, T.Gab. R. 167 del 04/09/1917
di Sonnino a Boselli, Orlando, Giardino ed altri, p. 6.
2
Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), Fondo E5.
3
Vojenský Historický Archiv (VHA), Československý Dobrovolnický Sbor Fond.
4
«Accadde una volta, durante una delle mie visite nei campi di prigionia, che in
un campo di concentramento i nostri radicali del Corpo effettuavano un vero e pro-
prio reclutamento militare. Venendo meno al principio della volontarietà, semplice-
mente arruolavano nell’esercito i prigionieri senza riguardo per la loro volontà. Tra-
scinavano quindi gli arruolati al giuramento. C’era un gruppo di non volontari, in
maggioranza slovacchi, che si rifiutavano di andare a giurare. I nostri radicali vole-
vano obbligarli con la violenza fisica. Ero arrivato al campo proprio in quel mo-
mento e il comandante, colonnello Gusberti, mi stava informando di un episodio
che aveva a che fare con le sue istruzioni in merito alla volontarietà. Fermai con la
rivoltella in pugno l’orda dei nostri radicali davanti agli alloggiamenti dove i non
volontari slovacchi, come cristiani nelle catacombe, si erano assembrati e cantavano
una canzone di Natale. Cacciai via i radicali con la minaccia che avrei sparato, e
presi i non volontari sotto la mia protezione, facendoli trasferire in un altro campo
in cui avevamo cinque sezioni e nel quale i nostri emissari-soldati, anche ufficiali,
eseguivano la rieducazione. Nella quinta sezione vi erano gli oppositori dell’esercito.
Nella quarta e nella terza sezione vi erano i prigionieri neutrali, sui quali era con-
centrata la propaganda degli emissari, i quali si accontentavano di essere trasferiti
nella sezione due, nella quale arrivavano quelli che erano d’accordo ad essere inclusi
nelle compagnie di lavoro che costruivano le strade nelle retrovie. Di questi poi quelli
che si decidevano per l’esercito arrivavano alla prima sezione, dalla quale fluiva la
corrente dei volontari.» In, J. Šeba, Paměti legionáře a diplomata [Memorie di un
legionario e diplomatico], Historický Ústav, Praha, 2016, p. 83 (traduzione dal ceco
a cura dell’autore del presente articolo).
5
V. Hanzal, «Boj Piavského praporu a bitva na Doss Altu» [«Il combattimento
del battaglione del Piave e la battaglia di Dosso Alto»], Vojensko-historický sborník,
roč. I, sv. 1, 1932, p. 4.
6
«Nel campo non c’è concordia, e il lavoro di concetto è impossibile, cosicché
alcuni si registrano [per il lavoro] fuori dal campo per avere pace. La colpa è dei
volontari, che si pongono in maniera aspra nei confronti degli autori dell’appello,
perché hanno opinioni diverse da quelle di coloro i quali, secondo la loro opinione
consolidata, non possono averne di diverse dalla decisione di entrare nell’esercito
ceco. […]. Non siamo di quell’opinione secondo cui l’esercito ceco sarebbe l’unico
strumento per raggiungere gli obiettivi nazionali stabiliti, ma, secondo le parole del
suo ideatore intellettuale, prof. Masaryk, essa deve avere solo uno scopo dimostra-
tivo e non quello di conseguire quella vittoria dell’Intesa che quest’ultima finora non
è riuscita a ottenere.» In J. Fučík, Doss Alto - mýtus a skutečnost. Československá
legie na italské frontě 1918 [Dosso Alto - mito e realtà. La Legione cecoslovacca sul
fronte italiano], Epocha, Praha, 2014, p. 29 (traduzione dal ceco a cura dell’autore
del presente articolo).
7
«Non ci rivolgiamo a voi per invitarvi a chissà quale movimento rivoluziona-
rio. Allo stesso modo neanche ci viene in mente di obbligare nessuno a fare alcun-
ché. Al contrario sottoponiamo a voi l’intera nostra situazione, ponendo l’attenzione
sulla condizione militare degli imperi centrali, sui nostri successi politici e sul no-
stro futuro, nonché sul nostro futuro ritorno in patria. Neppure abbiamo mai co-
stretto nessuno a compiere alcun atto antiaustriaco, alcuna proclamazione o manife-
stazione o a prendere parte al nostro movimento, e neppure, infine, ad entrare nel-
l’esercito dei volontari. Non lo abbiamo fatto e non lo faremo mai. La decisione per
un tale atto è una questione individuale, una questione che riguarda l’amor di pa-
tria di ognuno e una questione che riguarda le proprie condizioni personali. Tutto
quello che chiediamo a voi oggi, in Francia e in Italia, è che nessuno tra di voi la-
vori per l’Austria, non dimostrandosi un buon Ceco nell’anima e nel pensiero.» In,
J. Kretší, Vznik a vývoj československé legie v Itálii [L’origine e lo sviluppo della le-
gione cecoslovacca in Italia], Nákladem vlastním, Praha, 1928, p. 53 (traduzione dal
ceco a cura dell’autore del presente articolo).
8
«Allo scopo di attrarre verso il nostro paese le simpatie delle popolazioni czeco-
slovacche dell’Austria-Ungheria, proporrei di stabilire […] che siano immediatamente
costituiti reparti czeco-slovacchi in Italia con le limitazioni indicate dal Comando
Supremo, escludendo cioè che possano essere impiegati in combattimenti e che pos-
sano essere arruolati nell’esercito nazionale czeco organizzato in Francia». In: I Do-
cumenti Diplomati ci Italiani (DDI), Quinta Serie, Vol. VIII, Roma, Istituto Poli-
grafico dello Stato, 1980, T. 11822 del 30/08/1917 di Sonnino a Boselli e Giardino,
pp. 681-682.
9
Oltre alle fonti primarie degli archivi AUSSME di Roma e VHA di Praga, di
una certa utilità appare in proposito V. Hanzal, Il 39° Reggimento esploratori ceco-
slovacco sul fronte italiano, in P. Crociani (cur.), Roma, Stato Maggiore dell’Esercito
Ufficio Storico, 2009, traduzione e parziale rielaborazione del volume S výzvědčíky
od švýcarských ledovců až po moře adriatické, Praha, 1928. Scritta da un ex legio-
nario, pur trattandosi di un’opera datata e non completamente obiettiva (glissa su
contraddizioni e criticità), possiede tuttora una certa affidabilità in quanto a infor-
mazioni e dati.
10
L. Pivko, Proti Avstriji, Maribor, Klub Dobrovoljcev v Mariboru, 1923-1928
(trad.it. Abbiamo vinto l’Austria-Ungheria: la Grande Guerra dei legionari slavi sul
fronte italiano, LEG - Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2011).
11
Si veda, C. Pettorelli Lalatta, L’occasione perduta, Mursia, Milano, 1967.
12
I numeri in proposito sono spesso riferiti in maniera inesatta o confusa. Il rap-
porto di Jan Šeba, inviato alla sede romana del Consiglio Nazionale il 26 giugno
1918 riferisce: per quanto riguarda la 6ª Compagnia esploratori dislocata sul Mon-
tello 36 morti e 9 prigionieri giustiziati dagli austro-ungarici (oltre a 5 prigionieri
riusciti in un secondo momento a fuggire e a rientrare tra le linee italiane); per quanto
riguarda il I Battaglione del 33° Reggimento impiegato presso Fossalta di Piave 9
morti, 107 feriti e 18 prigionieri (quasi tutti poi impiccati dagli austro-ungarici). Vedi:
Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), Fondo E5, busta
263, documento 4.38.
13
Sulla parte strettamente attinente alle operazioni militari della Legione, oltre
naturalmente agli archivi AUSSME e VHA per le fonti primarie, utili tra le poche
opere edite: T. Bertè, Arditi e Alpini sul Dosso Alto di Nago, Rovereto, Museo Sto-
rico Italiano della Guerra, 2005, saggio circoscritto alle azioni sul Dosso Alto di
Nago; G.C. Gotti Porcinari, Coi legionari cecoslovacchi al fronte italiano ed in Slo-
vacchia (1918-1919), Roma, Ministero della Guerra, Comando del Corpo di S.M.,
Ufficio Storico, 1933, stringato libello datato e metodologicamente non attuale, ma
che offre una griglia di informazioni e dati comunque validi.
14
Le fonti in tal senso sono difformi ed è estremamente difficile avere un ri-
scontro preciso. Lo Stato Maggiore del Regio Esercito riferisce di 52 morti e 239
feriti, il che non solo non include evidentemente i caduti dei reparti esploratori an-
tecedentemente alla formazione della Legione, ma denota discrepanze anche con i
dati presenti nei singoli rapporti a cura della sezione italiana del Consiglio Nazio-
nale combinati con i rapporti italiani dei singoli episodi bellici. La discrepanza è nel-
l’ordine delle decine in ogni caso e il computo totale più realistico è nell’ordine, ap-
prossimativamente, di un centinaio di morti. Del resto alcuni lavori riportano cifre
che appaiono evidentemente eccessive, nell’ordine delle diverse centinaia, forse in al-
cuni casi includendo per errore anche i caduti della missione in Slovacchia. Per ci-
tarne alcuni a titolo di esempio: P. Helan, La Legione Cecoslovacca in Italia, in F.
Leoncini (cur.), Il Patto di Roma e la Legione Ceco-Slovacca: tra Grande Guerra e
nuova Europa, Kellermann, Vittorio Veneto, 2014, p. 76; K. Pichlík, B. Klípa, J. Za-
bloudilová, Českoslovenští legionáři (1914-1920), Mladá Fronta, Praha, 1996 (trad.it.
I legionari cecoslovacchi (1914-1920), Museo Storico in Trento, Trento, 1997), p. 224.
Rispettivamente, nel primo caso sono riportati 725 tra caduti in combattimento e i
46 giustiziati dagli austro-ungarici, e nel secondo 355 tra caduti in combattimento,
giustiziati dagli austro-ungarici e morti per le ferite riportate. In entrambi i casi non
sono indicate le fonti primarie a sostegno.
15
«Tutta questa azione a Fossalta, non preparata dall’inizio e poi malamente con-
dotta, era dunque finita con un’ecatombe, attribuita di nuovo ai barbari austriaci.
Ciò doveva oscurare la responsabilità dei rappresentanti politici e militari a Roma e
a Parigi e il fallimento dei comandanti italiani, e questo tanto nell’addestramento,
quanto nella preparazione e nella conduzione del combattimento, quantomeno a li-
vello di battaglione. Pressoché ogni cosa era lontana dalla realtà, persino, ad esem-
pio, nel maneggiamento delle bombe a mano italiane i comandanti di plotone cechi
impiegavano fino a un quarto d’ora, dall’estrazione all’attacco, per la dimostrazione
ai loro tiratori. Davanti a un tribunale italiano venne poi mandato come responsa-
bile solo l’ultimo nella gerarchia, l’inefficiente comandante della compagnia mitra-
gliatrici assegnata al battaglione I/33. Del tutto immacolato uscì dal grattacapo l’in-
capace comandante del battaglione I/33, maggiore Sagone, e intoccato naturalmente
rimase anche il comandante della divisione cecoslovacca, generale Graziani». In J.
Fučík, Doss Alto - mýtus a skutečnost. Československá legie na italské frontě 1918,
cit., pp. 42-43 (traduzione dal ceco a cura dell’autore del presente articolo).
16
Riferendosi al già citato I battaglione del 33° Reggimento, impegnato sul basso
Piave nel giugno 1918 e pesantemente falcidiato, così scrive Šeba in uno di questi
rapporti, quello già menzionato nella nota 12: «Sono stato con questo battaglione
ed ho visto che non è abbastanza preparato, ed ho domandato al comando dell’ar-
mata di non mandarlo più al combattimento isolato ma di incorporarlo di nuovo
nella divisione nostra». Ed aggiunge ancora più avanti nel medesimo rapporto: «Gli
ufficiali nostri sono, però, in gran parte senza esperienza e non all’altezza della
truppa». In: Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito (AUSSME), Fondo
E5, busta 263, documento 4.38. Vedi anche, dello stesso fondo: busta 232, docu-
mento 12.18. E ancora, in un altro rapporto inviato a Štefánik relativo ai medesimi
combattimenti: «Della divisione ha preso parte ai combattimenti un battaglione che
ci ha procurato una citazione nel bollettino d’armata, nel bollettino ufficiale, ma ha
fatto anche da cavia, perché la truppa non è addestrata.» In J. Fučìk, Doss Alto -
mýtus a skutečnost. Československá legie na italské frontě 1918, cit., p. 44 (tradu-
zione dal ceco a cura dell’autore del presente articolo).
17
Andrea Graziani (1864-1931), generale del Regio Esercito e, in seguito, Luo-
gotenente Generale della MVSN fascista. Fu accusato spesso di brutalità verso i sot-
toposti. Tra gli episodi precedenti al comando della 6ª Divisione Cecoslovacca, par-
ticolarmente noto fu l’episodio della fucilazione, il 03/11/1917 a Noventa Padovana,
dell’artigliere Alessandro Ruffini, reo di averlo salutato militarmente con il sigaro in
bocca.
18
J. Fučík, Doss Alto - mýtus a skutečnost. Československá legie na italské frontě
1918, cit., pp. 37-38.
1
Effettivamente, secondo quanto riportato dall’ambasciatore italiano a Londra, mar-
chese Guglielmo Imperiali, Lloyd George, durante il discorso del 5 gennaio 1918,
avrebbe detto quanto segue: «Per gli stessi motivi noi consideriamo come vitale la sod-
disfazione delle legittime esigenze degli italiani per l’unione con quelli della loro razza
e lingua. Intendiamo pure spingere perché sia fatta giustizia agli uomini di sangue e
lingua romena nelle loro legittime aspirazioni». Per ciò che atteneva, in generale, al-
l’Austria-Ungheria, Lloyd George, senza mai, in effetti, far riferimento ai Boemi e agli
Slavi del Sud, si limitava a scrivere: «Similmente, benché concordiamo con il Presi-
dente Wilson sul fatto che la disgregazione dell’Austria-Ungheria non sia parte dei no-
stri obiettivi di Guerra, noi sentiamo che, salvo che non sia concessa un’autentica au-
tonomia [a genuine self-government] basata su principi democratici a quelle naziona-
lità dell’Austria-Ungheria che l’hanno lungamente desiderata, è impossibile sperare nel-
l’eliminazione di ogni causa di inquietudine in quella parte dell’Europa che ha così per
lungo tempo minacciato la sua pace generale». L’Austria-Ungheria, quindi, doveva sod-
disfare queste condizioni e queste richieste, perché, continuando a comportarsi quale
propaggine militare della Prussia, la sua fine sarebbe stata sicura, perché inevitabile.
Per ciò che attiene, invece, al mondo, slavo, era la Polonia libera ciò che poteva ga-
rantire una certa stabilità nell’Europa occidentale. Il marchese Guglielmo Imperiali
avrebbe commentato questo passo del discorso in questi termini: «Con questa dichia-
razione appare evidente che i desiderata separatisti dei boemi e degli jugoslavi non
rientrano negli scopi di guerra dell’impero britannico». Documenti Diplomatici Italiani
(d’ora in poi DDI), Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 37, Imperiali a Sonnino, Londra,
6 gennaio 1918, ore 23,30 (per ore 9,40 del 7). Sul discorso di Lloyd George vedasi
anche D. R. Woodward, The Origins and Intent of David Lloyd George’s January 5
War Aims Speech, in The Historian, XXXIV, 1971, 1, 22-39. Vedere anche: J.W. Whee-
ler-Bennet, Brest-Litovsk, the Forgotten Peace: March 1918, New York, W. W. Nor-
ton & Company, 1971; G. J. Ikenberry, Dopo la vittoria. Istituzioni, strategie della
modernizzazione e ricostruzione, traduzione italiana di Stefano Galli (Titolo originale:
After Victory. Institutions, strategic restraint and the rebuilding of order after mahor
wars, 2001), Milano, Vita e Pensiero, 2003; L. W. Martin, Peace without Victory. Woo-
drow Wilson and British Liberals, New Haven, Yale University Press, 1958. Piuttosto
importante è infine il saggio di Ch. Seton Watson, Czechs, Poles and Yugoslavs in
London, 1914-1918, in L’èmigration politique en Europe aux XIXe et XXe siècles, Ac-
tes du colloque de Rome (3-5 mars 1988), Rome, Publications de l’École Française de
Rome, 1991, CLVI, 277-293; A. Zorin, American Policy Towards Czechoslovakia, 1918-
1945, in Great Power Policies Towards Central Europe, 1945, edited by A. Piahanau,
Bristol, E- International Relations Publishing, Bristol, 2019, 107-127.
2
È comunque da ricordare che il discorso di Lloyd George insisteva maggior-
mente sulla necessità di imporre una battuta d’arresto alle operazioni degli Imperi
Centrali – in esso si fa sovente riferimento alla Prussia, non già all’Impero germa-
nico! – ma poneva più vaghe prospettive a proposito di popoli non turchi – e non
arabi – soggetti dell’Impero ottomano. Cfr. J. Grigg, Lloyd George: War Leader,
London, 2002, 385-387.
3
«Alcuni si sentono poi perduti nella politica adottata verso di essi, e, cioè, in-
vece di radunarli in un fascio contro l’Austria, constatano invece che l’Intesa li ha
svalorizzati e non sfruttati e poi abbandonati quando le cose, per fatale conseguenza,
si sono rivolte alla peggio». DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 158, Cusani Vi-
sconti a Sonnino, Roma, 27 gennaio 1918 (per il 28).
4
S. Sonnino, Diario, a cura di P. Pastorelli, Bari, Laterza, 1972, 3 voll., III, 9 gen-
naio 1918, 250. Di questa scontentezza Sonnino e il primo ministro Vittorio Ema-
nuele Orlando fecero rappresentazione anche all’ambasciatore statunitense a Roma,
Thomas Nelson Page: «Prime Minister Orlando left last night suddenly for London
supposedly to urge on Lloyd George personally Italy’s asserted right to possession
of Trieste and eastern coast of Adriatic. Italian press discussing warmly, even criti-
cally, since Lloyd George’s speech to workmen, omission of reference to Italy’s ri-
ghts. It says that omission repeated becomes commission. They speak as if Italy’s ri-
ghts are unquestioned and could be got for the asking. Baron Sonnino said to me
Saturday in informal conversation that President’s reference to Italy, to satisfy Italy’s
imperative requirements for security, ought to be extended to include Italy’s geo-
graphically defensive frontier». Foreign Relations of the United States (d’ora in poi
FRUS), 1918, Supplement 1, The World War, Vol. I, N. 20, Nelson Page to Lansing,
Rome, January 21, 1918, noon. In un documento americano dello stesso giorno, si
può riscontrare, sin da quel momento, il timore di un possibile tradimento da parte
francese e inglese sull’esecuzione del Patto di Londra: «I learn from an intelligent Ita-
lian general of standing just arrived from the front, who has been always most friendly
to Allies, that the Italian Army is asking now, “What are we fighting for if Trent
and Trieste are not to be Italy’s?” He says that the Army is ready to fight to the
end for these, which are watchwords like Alsace-Lorraine, but will stop if this hope
and inspiration be taken away; for they will consider Italy betrayed by England and
France». Ivi, n. 21, Nelson Page to Lansing, Rome, January 21, 1918, 9 p.m.
5
Per gli atti del Comitato Jugoslavo, e, in generale, della emigrazione sloveno-croato-
serba in tutto il mondo, si veda, a titolo d’esempio Dokumenti o postanku kraljevine
Srba, Hrvata i Slovenaca, 1914-1919, sabrao ih [a cura di] F. Šišić, Zagreb, Naklada “Ma-
tice Hrvatske”, 1920. In generale, si vedano anche: I. Banac, The National Question in
Yougoslavia: Origins, History, Politics, Ithaca, New York, 1984; M. Paulová, Jugoslo-
venski odbor, Zagred, Prosvjetna Nalkadna Zadruga, 1925; M. Marjanović, Londonski
ugovor iz 1915. Prilog povijesti borbe za Jadran 1914-1917, Zagreb, Jugoslavenska Aka-
demija Znanaosti i Umjetnosti, 1960; J. Evans, Great Britain and the Creation of You-
goslavia, London, New York, 2008; New Perspectives on Yougoslavia. Key Issues and
Controversies, eds. D. Djokić e J. Ker-Lindsay, London, Routledge, 2019.
6
Cfr. D. Deschênes, Rupture ou équilibre: les options de la Realpolitik française
face à l’Autriche-Hongrie lors de la Première Guerre mondiale, in Études internatio-
nales, XXX, 1999, 2, 521-545; H. Hanák, France, Britain, Italy and the Independence
of Czechoslovakia in 1918, in Czechoslovakia: Crossroads and Crises, 1918-88, edited
by N. Stone and E. Strouhal, London, Palgrave Macmillian, 1989, 30-61. Furono i Ro-
meni coloro che maggiormente si avvalsero di queste riunioni per la loro causa nazio-
nale. Cfr. J.-N. Grandhomme, La Roumanie en guerre et la mission militaire Italienne
(1916-1918), in Guerres mondiales et conflits contemporains, LVIII, 2006, 4, 15-33.
7
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 215, Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 12
febbraio 1918.
8
Sull’impegno italiano per la creazione delle legioni cecoslovacche, si veda: La Guerra
italiana - cronistoria illustrata degli avvenimenti, a cura di E. Mercatali e G. Vincen-
zoni, Milano, Sonzogno, 1915-1919, 6 voll. Vedansi anche Ministero della Difesa - Stato
Maggiore dell’Esercito, L’esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918) Volume V,
tomo 1°, Le operazioni del 1918 (Gli avvenimenti dal gennaio al giugno - narrazione),
Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito (d’ora in avanti USSME), 1980; idem,
tomo 1 bis, Le operazioni del 1918 (gennaio-giugno - documenti), Roma, USSME, 1980;
idem tomo 1ter, Le operazioni del 1918 (gennaio-giugno - Carte e schizzi), Roma, US-
SME, 1980; idem tomo 2°, Le operazioni del 1918 (La conclusione del conflitto - nar-
razione), Roma, USSME, 1988; idem tomo 2° bis, Le operazioni del 1918 (La conclu-
sione del conflitto - documenti), Roma, USSEME, 1988; idem tomo 2° ter, Le opera-
zioni del 1918 (La conclusione del conflitto - Carte), Roma-Bari, 1988. Infine, la seguente
“importante” importanti monografia: L. Ferranti, La legione ceco-slovacca d’Italia nel
processo di formazione della Ceco-Slovacchia, Perugia, Morlacchi Editore, 2018.
9
Esso aveva sede a Parigi, ove era stato fondato, in rue Bonaparte 18. Cfr. DDI,
Serie V, 1914-1918, Vol. VIII, N. 445, Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 23 giugno 1917.
10
Cfr. M. G. Salzano, Il campo di concentramento per prigionieri di guerra di
Fonte d’Amore e la formazione della Legione cecoslovacca (1916-1918), in Storia e
problemi contemporanei, LXXI, 2016, 139-160.
11
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. IX, N. 173, Sonnino a Corfù, Roma, 8 febbraio
1917. Piuttosto importante sono, a tal proposito, i seguenti saggi: L. Tavernini, Pri-
gionieri austro-ungarici nei campi di concentramento italiani, 1915-1920, in I forti
austroungarici nell’Alto Garda, Atti del convegno al Forte Superiore di Nago 27 feb-
braio-2 marzo 2002, D. Riccadonna (cur.), Museo Civico di Riva del Garda, Qua-
derni di Storia n. 1, 2003, 70-81; A. Tortato, La prigionia di guerra in Italia, 1915-
19, Milano, Mursia, 2004. Per una panoramica generale dei campi di prigionia in Ita-
lia, si veda R. Anni, C. Perrucchetti (eds.), Voci e silenzi di prigionia. Cellelager,
1917-1918, Roma, 2015.
12
Le richieste in questione erano «l) se siano tenuti separati dai prigionieri di
a1tre nazionalità e 2) se si consentirebbe che venissero ad essi distribuiti opuscoli
czechi di propaganda antiaustriaca». DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VII, N. 151, Bo-
selli a Sonnino, Roma, 24 gennaio 1917. Gli opuscoli di propaganda antiaustriaca,
in effetti, sarebbero stati distribuiti senza troppi problemi, in seguito all’assenso dato
dal governo italiano a tale iniziativa. Ivi, N. 176, Sonnino a Boselli, Roma, 30 gen-
naio 1917, ore 16.
la fine della guerra, prese questa decisione allo scopo di non avere
problemi diplomatici di sorta13.
Invero, il barone Sonnino si era dichiarato contrario, almeno for-
malmente, a una simile iniziativa per un duplice ordine di ragioni:
perché ciò non era conforme al diritto internazionale e, soprattutto,
perché l’Italia si sarebbe esposta a gravi e temute rappresaglie da parte
dell’Austria-Ungheria, «specialmente a danno dei soldati italiani che
cadessero in suo potere». A tal proposito, Sonnino soggiungeva che
la Francia poteva permettersi di fare questa richiesta proditoria, dal
momento che non aveva in propria mano prigionieri della periclitante
Duplice Monarchia.
Le preoccupazioni di Sonnino, tuttavia, non concernevano soltanto
le rappresaglie austro-ungariche. Da Washington, ove operava l’am-
basciatore Vincenzo Macchi di Cellere, giungeva notizia per cui l’e-
migrazione croata di Pittsburg e Cleveland – e dietro di essa anche
quella serba, slovena e montenegrina – già dal 1915 si organizzava in
federazioni e organizzazioni nazionalistiche, riunite alla Hrvatska
Bratska Zajednica, sulla base dei precedenti sokoli, ossia le società
ginniche sorte in Austria-Ungheria nella seconda metà del XIX se-
colo, atte a fondare un’opera capillare di propaganda jugoslava il cui
scopo risultava essere, «sotto l’apparenza di un interesse slavo con-
cordante con quello della pace e della civiltà propugnato dalle Po-
tenze dell’Intesa, di diffondere anche presso l’opinione pubblica ame-
ricana quello ch’è in sostanza un programma essenzialmente antita-
liano»14. Questo tipo di movimenti, pure, non si esauriva al solo am-
13
Cfr. C. Paoletti, L. Vannacci, The Czech Army Corps in the Italian Royal
Army in 1918, presentato al congresso National Formations In The Great War: From
An Imperial Mobilization Policy To Armies Of Independent Nation State, Tallinn -
Museo Estone della Guerra e Tartu - Baltic Defence College, 25-26 aprile 2017. Il
seguito dei contenuti di questa conferenza è poi apparso in: Id., Ead., Z ziemi wlo-
skiej… Korpus Broń w armii wloskiej podczas I wojny swiatowej, [Dalla terra ita-
liana… il Corpo cecoslovacco nell’esercito italiano durante la prima guerra mondiale]
in «Broń i amunicija», III, 2018, 12; Id., Ead., Maly czeski drapiezca. Udzial jedno-
stek Korpusu Czechoslowackiego i włoskiej kadry dowódczej w dzialaniach mili-
tarnych kształtujących granice I Republiki Czechoslowackiej (1918- 1919) [Un pic-
colo contingente ceco. La partecipazione del Corpo Cecoslovacco e i comandanti ita-
liani alle operazioni militari che modellarono i confini della I Repubblica Cecoslo-
vacca], in «Broń i amunicija», IV, 2019, 1. Vedere anche C. Polita, La Grande Guerra
degli ultimi: “Di qua e al di là del Piave”, Venezia, Mazzanti Libri, 2015.
14
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VII, N. 283, Macchi di Cellere a Sonnino, Wa-
shington, 12 febbraio 1917. Ci siamo già ampiamente occupati del tema in F. Rudi,
Da Cleveland a Corfù. L’azione dei comitati jugoslavi in Europa e nel mondo nella
corrispondenza diplomatica italiana (1915-1917), in fase di pubblicazione sulla «Nuova
Rivista Storica». Tra gli organizzatori di questo movimento vi erano, oltre che il suo
capo ispiratore, Don Niko Gršković, di Spalato, anche il medico Ante Biankini e lo
scienziato serbo Mihailo Pupin. Cfr. V. Holjevac, Hrvat izvan domovine, Zagreb,
Matica Hrvatska, 1967; I. Čizmić, Povijest Hrvatske bratske zajednice, Zagreb, 1994.
15
Cfr. J. Jahelka, The Role of Chicago Czechs in the Struggle for Czechoslovak
Independence, in Journal of the Illinois State Historical Society, XXXI, 1938, 4, 381-
410.
16
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VII, N. 283, Macchi di Cellere a Sonnino, Wa-
shington, 12 febbraio 1917;
17
Ivi, N. 324, Paulucci de’ Calboli a Sonnino, Berna, 17 febbraio 1917. Vedi an-
che ivi N. 421, Carlotti a Sonnino, Pietroburgo, 6 marzo 1917, ore 11 (per ore 22).
18
Ivi, N. 589, Porro a Sonnino, Comando Supremo, 27 marzo 1917, ore 21. Tra
i libri più importanti sulle Legioni cecoslovacche in Russia vi è il seguente: K.V. Sa-
charov, Češcije legiony v Sibiri: češskoe predatel’stvo, Berlin, Globus 1930; A. Ko-
tomkin, O Čechoskovackich Legionerah v Sibiri, Vospominanija i dokumenty, Paris,
Imprimerie d’Art Voltaire, 1930.
19
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. IX, N. 8, Sonnino a Boselli, Orlando, Giardino,
Del Bono, Dallolio e Comandini, Roma, 4 settembre 1917. Il Comitato Nazionale
ceco venne creato sotto i buoni auspici dei due influentissimi giornalisti e pubblici-
sti britannici Henry Wickham Steed e Robert William Seton-Watson, attivi anche e
soprattutto per la causa nazionale jugoslava. Vedasi a tal proposito, R.W. Seton-Wat-
son and His Relations with the Czechs and Slovaks, Documents, 1906-1951, J. Ry-
chlik, T.D. Marzik and M. Bielik (eds.), Bratislava, Banská Bistrica, 1995-1996, 2 voll.
20
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. IX, N. 720, Sonnino a Morrone, Roma, 14 aprile
1917.
21
Ivi, N. 843, Sonnino a Morrone, Parigi, 27 aprile 1917.
22
Ibidem.
23
Ivi, Vol. VIII, N. 101, Sonnino a Sonnino, Parigi, 26 maggio 1917.
24
Ivi, N. 484, Tommasini a Sonnino, Stoccolma, 29 giugno 1917, ore 17.15; N.
497, Tommasini a Sonnino, Stoccolma, 30 giugno 1917, ore 17,45; N. 500, Tomma-
sini a Sonnino, Stoccolma, 30 giugno 1917. Sui tre delegati alla conferenza di Stoc-
colma si vedano: J.-P. Mousson-Lestang, Le parti social-démocrate et la politique
étrangère de la Suède, Paris, Publications de la Sorbone, Série internationale 1988,
pp. 381-382; G. V. Strong, Seedtime for Fascism: Disintegration of Austrian Political
Culture, 1867-1918, London and New York, Routledge, 1988; B. Marušič, F. Roz-
man, Stocklomska spomenica Henrika Tume, Ljubljana, Zgodoviski Inštitut Milka
Kosa ZRS SAZU, 2011, pp. 28 ss.
25
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VIII, N. 713, Tommasini a Sonnino, Stoccolma,
22 luglio 1917, Allegato I, Appunti di Dudan.
26
Ivi, Vol. IX, N. 24, Il Ministro della Guerra, Giardino, alla Commissione Pri-
gionieri di Guerra, Roma, 8 settembre 1917.
27
Ivi, Vol. VIII, N. 415, Salvago Raggi a Sonnino, Parigi, 20 giugno 1917.
28
Ivi, Vol. IX, Sonnino a Boselli, Orlando, Giardino, Del Bono, Dallolio e Co-
mandini, Roma, 15 settembre 1917, ore 16.
29
Ivi, N. 107, Giardino a Sonnino, Roma, 23 settembre 1917.
30
Ivi, N. 117, Sonnino a Giardino, Roma, 25 settembre 1917.
31
Ivi, N. 157, Giardino a Beneý, Roma, 5 ottobre 1917; N. 171, Sonnino a Car-
lotti, Roma, 8 ottobre 1917.
32
Ivi, N. 241, Sonnino a Giardino, Roma, 19 ottobre 1917.
33
Ivi, N. 243, Tommasini a Sonnino, Stoccolma, 19 ottobre 1917, ore 18.10.
34
«Essi [gli Alleati] dimenticano però che fallirebbero lo scopo comune della
guerra se la liberazione delle nazionalità, oggi sostenuta quasi esclusivamente dall’Italia,
rimanesse un voto platonico. Essi dimenticano altresi che per fiaccare il germane-
simo è necessario scomporre l’Austria-Ungheria e che anche strategicamente su que-
st’ultima si devono concentrare gli sforzi per la più sollecita fine della guerra». Ivi,
N. 253, Carlotti a Sonnino, Pietrogrado, 20 ottobre 1917, ore 18.10.
35
Per maggiori informazioni su di lui, vedasi N. Labanca, Paolo Antonio Spin-
gardi, in Dizionario Biografico degli Italiani, XCIII, 2018, ad vocem.
36
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. IX, N. 292, Spingardi a Sonnino, Roma, 24 feb-
braio 1918.
37
ASMAE, Gabinetto Politico Ordinario, 1915-1918, busta 50, Telegramma in
partenza N. 47078, Il Ministero della Guerra, Commissione per i Prigionieri di
Guerra al Ministero degli Affari Esteri, Roma, 25-10-1917. Vedere, a tal proposito,
anche H. Hanák, France, Britain, Italy and the Independence of Czechoslovakia in
1918, in Czechoslovakia: Crossroads and Crises, 1918-88, cit., 50-51.
38
ASMAE, Gabinetto Politico Ordinario, 1915-1918, busta 50, Telegramma in
partenza N. 47078, cit.
39
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. IX, N. 292, Spingardi a Sonnino, Roma, 24 feb-
braio 1918.
40
Ivi, N. 258, Carlotti a Sonnino, Pietrogrado, 21 ottobre 1917, ore 20.
41
Ivi, N. 699, Macchi di Cellere a Sonnino, Washington, 13 dicembre 1917, ore
20; N. 731, Sonnino a Macchi Di Cellere, Roma, 17 dicembre 1917, ore 23.
3. Gli Stati Uniti protettori degli Slavi. – È ben noto che i Quat-
tordici Punti di Wilson potevano dare origine non solo a potenziali
antinomie di ordine applicativo, ma anche fondare vere e proprie con-
flittualità con tempi di latenza non troppo lunghi. Mentre era assai
difficile, in seguito al processo di slavizzazione delle coste liburniche
e dalmate alla fine del XIX secolo per impulso del governo di Vienna,
procedere ad una rettifica delle frontiere italiane «secondo linee di
demarcazione riconoscibili» (punto IX del Programma), offrire un
«libero e sicuro accesso al mare» alla Serbia, una volta che essa fosse
stata evacuata assieme al Montenegro (punto XI del Programma) non
avrebbe certo giovato alla sicurezza italiana nell’Adriatico se il go-
verno di Roma non avesse trovato un’intesa duratura e salda con gli
Slavi del Sud – e sappiamo che il punto XI del Programma sarebbe
stato disatteso nella sua applicazione a lungo termine, per la fine che
avrebbe fatto in seno al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni43. Ma pre-
sto si vedrà che persino il punto X del Programma di Wilson avrebbe
potuto andare a detrimento dell’Italia non solo nell’Adriatico, ma an-
che nel confine settentrionale.
È altresi da ricordare che a partire dal 13 febbraio 1918 il Trat-
tato di Londra non era praticamente più segreto: il deputato nazio-
nalista Giuseppe Bevione lo rendeva noto, leggendone il testo, alla
Camera dei Deputati44. Nel suo discorso, dunque, in riferimento ai
«popoli oppressi dalla dominazione tedesco-magiara» dell’Austria-Un-
gheria, egli ragionò sul cambiamento di disposizione collettiva spe-
42
Ivi, N. 284, Fasciotti a Sonnino, Jassy, 25 ottobre 1917.
43
Sul punto vedansi: F. Caccamo, Il Montenegro negli anni della prima guerra
mondiale, Roma, 2008; A. Sbutega, Storia del Montenegro, Soveria Mannelli, 2006;
A. Becherelli, Montenegro Betrayed: The Yougoslav Unification and the Controver-
sal Inter-Allied Occupation, in Balkan Studies, LI, 2016, 71-104; J. Leadbatter, The
End of Montenegro, 1914-1920, in The South Slav Journal, XIV, 1991, 3-4, 55-66.
44
Atti parlamentari, Camera dei Deputati, CCXCIX, Tormata di mercoledì 13
febbraio 1918, pp. 15585-15598. Bevione, nel suo discorso, aggiunse queste parole
circa l’uscita della Russia dalla guerra e le trattative di pace di Brest-Litowsk, e dei
vantaggi che ne avrebbe tratto la Germania, padrona di tutta l’Europa orientale e
caucasica: «Brest-Litowsk apre un periodo nuovo, non solo nel corso della guerra,
ma nella storia del mondo. È vano cercare di chiudere gli occhi all’imponenza dei
fatti senza precedenti che si vanno svolgendo». Ivi,15592.
45
Ivi, 15595.
46
Ibid. Forse non casualmente, Nelson Page non fece riferimento a tutto que-
sto in un suo dispaccio a Robert Lansing del giorno dopo, se egli, in merito al fer-
vente discorso di Bevione scrisse soltanto questo: «Bevione, member of League for
Prosecuting War, read in the Chamber of Deputies yesterday secret treaty of April
26, 1915, hitherto unpublished in Italy. He declared Italy’s claims to round out na-
tionality and defensive frontier indisputable but recognized change in the situation
touching other claims [regarding] colonial expansion. Publication generally applau-
ded. Press generally approves President’s message but Idea Nazionale criticises it».
FRUS, 1918, Supplement 1, The World War, Vol. I, N. 62, Nelson Page to Lansing,
Rome, February 14, 1918, 4 p.m. Il Dipartimento di Stato, pure, reagì in tutt’altra
maniera.
47
Scrive Bonin Longare a tal proposito: «Pubblicazione avvenuta in tal punto
coincide con la riunione socia1ista preparatoria della conferenza di Londra nella quale
seguitano a dominare i noti pregiudizi a proposito del nostro preteso imperialismo».
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. N.255, Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 18 febbraio
1918, ore 14,10.
48
Ivi, Vol. N.239, Macchi di Cellere a Sonnino, Washington, 15 febbraio 1918.
49
Cfr. ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 179, Telegramma
in arrivo N. 229, Sforza a Sonnino, Corfù, 26 gennaio 1918; N. 238, Sforza a Son-
nino, Corfù, 27 gennaio 1918.
50
L’ambasciatore russo a Roma, Michail Nikolaevič Girs, figlio di Nikolaj Kar-
lovič, ministro degli Esteri russo di dello zar Alessandro III e in minima parte di
Nicola II, dal 1882 al 1895, espresse la propria indignazione verso la firma di quella
pace in questi termini: «Je crois devoir affirmer de la façon la plus catégorique que
jamais la Russie ne saurait être liée par cet indigne subterfuge. Le peuple russe ne
pourra ne pas voir le piège qui lui a été tendu par des individus auxquels le senti-
ment de patriotisme est étranger; il comprendra qu’il a été trahi et par la force même
des choses, la Russie, une et indivisible, rentrera en lice pour continuer, au flanc de
ses Alliées, la lutte contre l’ennemi commun». DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, N.
352, Giers a Sonnino, Pietrogrado, 8 marzo 1918.
L’uscita della Russia dalla guerra, quindi, significava una cosa sola:
che i fronti in Europa da quattro sarebbero divenuti tre, quello franco-
tedesco, quello macedone e quello italo-austriaco, fra i rimanenti quello
più vulnerabile, per il mantenimento del quale Francesco Saverio Nitti,
allora Ministro del Tesoro, raccomandava un sostegno militare, ed
economico, da parte statunitense sicuro e sincero53.
Sonnino, quindi, dovette procedere nel senso auspicato dal presi-
dente Wilson, e un primo passo fu fatto il 7 marzo 1918 con l’ac-
cordo verbale stretto fra Ante Trumbić, presidente del Comitato ju-
goslavo e capo carismatico della causa slava meridionale fino alla firma
del Trattato di Rapallo, e il deputato e giornalista de’ Il Messaggero
Andrea Torre54. Auspici di questo accordo furono i maggiori sosteni-
tori, nonché patrocinatori, della causa slavo-meridionale e occidentale,
Wickham Steed e Seton-Watson: sul Manchester Guardian, uno dei
principali quotidiani attraverso i quali essa causa veniva più diffusa-
mente promossa, Sir Arthur Evans salutava l’accordo, che doveva ri-
51
Vedere, in particolare: A. Roshwals, Ethnic Nationalism and the Fall of Em-
pires: Central Europe, the Middle East and Russia, 1914-23, London, 2002; A. Sam-
martino, The Impossible Border: Germany and the East, 1914-1922, Ithaca, 2010.
52
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 332, Tomasi della Torretta a Sonnino,
Pietrogrado, 3 marzo 1918.
53
FRUS, 1918, Supplement 1, The World War, Vol. I, N. 101, Nelson Page to
Lansing, Rome, March 14, 1918, 10 p.m; N. 122, Nelson Page to Lansing, Rome,
March 28, 1918, 12 a.m.
54
Si veda, a tal proposito, l’interessante saggio di V. De Sanctis, La propaganda
italiana in Gran Bretagna durante la prima guerra mondiale tra nazionalismo e po-
litica delle nazionalità (1917-1918), in Eunomia, VI, 2017, 2, 327-350.
55
FRUS, 1918, Supplement I, The World War, Vol. I, N. 800, Nelson Page to
Lensing, Rome, April 9, 1918.
56
Sul punto si veda, fra gli altri, L. Monzali, Il sogno dell’egemonia. L’Italia, la
questione jugoslava e l’Europa centrale (1918-1941), Firenze, Le Lettere, 2010, pp.
8-14. Sul punto di vista statunitense FRUS, Supplement 1, The World War, Vol. I,
N. 801, Nelson Page to Lansing, Rome, April 12, 1918, 7 p.m.
57
ASMAE, Ambasciata Italiana a Londra, N. 459, Telegramma in arrivo, N. 626,
Imperiali a Sonnino, 11 marzo 1918.
58
G. Imperiali, Diario 1915-1919, Soveria Mannelli, Rubbettino (Senato della Re-
pubblica, Archivio Storico), 2006, Lunedì, 11 marzo 1918.
59
Esiste, del congresso, una memoria coeva: P. Santamaria, Il Patto di Roma,
Roma, 1918. Sul Patto di Roma si veda anche A. Tamborra, L’Europa centro-orien-
tale (1800-1920), Milano, 1971, 401-404, e, più nello specifico: F. Leoncini (ed.), Il
Patto di Roma e la Legione Ceco-Slovacca, Vittorio Veneto, 2014; A. Carteny, Il
congresso di Roma, per le “nazionalità oppresse dell’Austria-Ungheria (1918), in A.
Carteny, S. Pelaggi (eds.), Stato, Chiesa e Nazione in Italia. Contributi sul Risorgi-
mento italiano, Roma, 2011, 163-187; Id., Oppressed Nationalities in Warfare, 1918,
in A. Carteny, G. Motta, A. Vagnini (eds.), Al fronte. La Grande Guerra fra inter-
ventismo, cronaca e soccorso, Roma, 2018, 205-220. Fondamentali rimangono i giu-
dizi figuranti in G. Volpe, Ottobre 1917, Milano, Roma, 1930, 209-211, e in L. Va-
liani (ed.), La dissoluzione dell’Austria-Ungheria V. L’autodecisione dei popoli e il
“Congresso di Roma”, in Rivista Storica Italiana, LVII, 1965, 3, 512-584. Per il te-
sto completo del Patto: G. Amendola, Il Patto di Roma e “la polemica”, in G.
Amendola, G.A. Borghese, U. Ojetti e A. Torre (eds.), Il Patto di Roma, e “la po-
lemica”, in Il Patto di Roma, Firenze, 20-21. Per opere più generali, dove lo svol-
gimento del Congresso è comunque affrontato, cfr., R. Vivarelli, Il dopoguerra in
Italia e l’avvento del fascismo (1918-1922), Napoli, 1967, pp.157-175; R. De Felice,
Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, 1995 (prima ed. 1965), 381-385. Per i
verbali dei colloqui si veda G. Salvemini, Carteggio 1914-1920, a cura di E. Taglia-
cozzo e S. Bucchi, Roma-Bari, 1984, 2 voll. II, 563-570.
60
Ma in un colloquio privato, Sforza chiese a Trumbić se l’applicazione delle
formule votate a Roma, con conseguente abbandono di terre abitate in quel mo-
mento da Slavi non avesse creato dissensi entro il Comitato «da parte di quei mem-
bri che temessero il passaggio delle loro terre natali all’Italia»; l’avvocato spalatino
rispose che, dinanzi all’importanza di un evento quale la creazione di uno stato ju-
goslavo, ogni sacrificio territoriale sarebbe figurato come di entità minima in con-
fronto. Cfr. DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, Sforza a Sonnino, Corfù, 15 maggio
1918.
61
Archivio Centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Carte Orlando,
busta 73, Registro copialettere N. 2, Telegramma N. 2170, Orlando a Macchi di Cel-
lere, 16 agosto 1918.
62
Ivi, Telegramma N. 2171, Imperiali a Orlando, 18 agosto 1918.
63
DDI Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 765, Macchi di Cellere a Sonnino, Wa-
shington, 30 maggio 1918 (per ore 14). Si leggano attentamente, infatti, questi punti:
«6. How America could aid this movement (suggestions made by Colonel Baker
and Colonel _tefánik): (a) By a public announcement by the Government that the
movement was approved of by the American Government; (b) By the appointing
of an American representative to the propaganda committee located here; (c) By a
vigorous propaganda in the United States among the Czechs, Jugo-Slavs, Poles, and
Servians now in the United States Army; (d) By the formation in the United Sta-
tes of special legions of these nationalities and sending these legions to join the Czech
forces now being organized on this front; (e) By the appointing in due course of
time of an American liaison officer to duty with the Czech troops here; (f) By an
enthusiastic reception in the United States of the Czech, Jugo-Slav units who are
supposed to be en route now in Siberia». FRUS, 1918, Supplement I, The World
War, Volume I, N. 804, Nelson Page to Lansing, Rome, May 3, 1918, 1 p.m.
64
Ivi, N. 805, Nelson Page to Lansing, Rome, May 7, 1918, 7 p.m.
65
Ivi, N. 808, Nelson Page to Lansing, Rome, May 18, 1918, 7 p.m.
66
«Les Gouvernments alliés ont pris note avec plaisir de la déclaration faite par
le Secrétaire d’Etat du Gouvernement des Etats-Unis et désirent s’y associer, en ex-
primant leur vive sympathie aux peuples tchéco-slovaques et yougo-slaves dans leur
lutte pour la liberté et la réalisation de leurs aspirations nationales». DDI Serie V,
1914-1918, Vol. XI, N. 7, Consiglio Supremo di Guerra, Sesta sessione, Terza Se-
duta, Versailles, 3 giugno 1918, ore 15.
67
Dopo un iniziale decreto di riconoscimento da parte del Governo francese,
del dicembre 1917, vennero formati i seguenti corpi: il XXI Reggimento Fucilieri a
Cognac, accorpato alla LIII Divisione di Fanteria francese; il XXII Reggimento Fu-
cilieri, accorpato alla CXXXIV Divisione fanteria. Cfr. S. Tazzer, Sergio, Banditi o
eroi? M.R. Stefanik e la Legione Ceco-slovacca, Vittorio Veneto, 2003; K. Pichlìk,
B. Klipa, J. Zabloudilovà, I legionari cecoslovacchi (1914-1920), Trento 1997.
68
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, N. 1255, Pe-
trozziello ad Aldrovandi Marescotti, Roma, 6 maggio 1918, Annesso, Convenzione
fra il Governo Italiano e il Consiglio Nazionale dei Paesi Czeco-Slovachi, Roma, 21
aprile 1918. Vedi anche DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 581, Roma, 21 aprile
1918.
69
Cfr. C. Paoletti, L. Vannacci, The Czech Army Corps in the Italian Royal
Army in 1918, cit.
70
La Divisione divenne la VI di Fanteria, le Brigate la XI e la XII, i Reggimenti
il XXXI, XXXII, XXXIII e XXXIV. Si può vedere, a tale proposito: C. Moretti,
Considerazioni sulla divisione della Cecoslovacchia, in Rivista di Studi Politici In-
ternazionali, LXXXI, 2014, 2 (332), 205-212.
71
DDI Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 117, Macchi Di Cellere a Sonnino, Wa-
shington, [24] giugno 1918 (per il 25).
72
Ivi, Vol. XI, N. 38, Bonin Longare a Orlando, Parigi, 10 giugno 1918.
73
Ivi, N. 178, Sonnino a Macchi di Cellere, Parigi, 4 luglio 1918. Sul ruolo dei
Cecoslovacchi in Russia vedansi:; J. Kalvoda, Czechoslovakia’s Role in Soviet Stra-
tegy, Washington DC, 1981; V. M. Fic, The Bolsheviks and the Czechoslovak Le-
gion. The Origin of Their Armed Conflict, March-May 1918, New Delhi, 1978; S.
McNeal, The Secret Plot to Save the Tsar, New York, 2002. E infine: A. Graziosi,
77
Ivi, N. 461, Zupelli a Orlando, Roma, 29 agosto 1918.
78
Ivi, N. 463, Orlando a Zupelli, Roma, 31 agosto 1918.
79
Ivi, N. 465, Sonnino a Zupelli, Roma, 1° settembre 1918; N. 527, Zupelli a
Sonnino, Roma, 16 settembre 1918.
80
FRUS, 1918, Supplement I, The World War, Volume I, N. 832, Lansing a
Morris, Washington, 3 settembre 1918.
81
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, Telegramma in
arrivo N. 1671, Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 25 agosto 1918; Telegramma in
arrivo, N. 1604, Imperiali a Sonnino, Londra, 15 agosto 1918. Nella versione defi-
nitiva della convenzione, all’articolo 9, i Cecoslovacchi erano definiti con il signifi-
cativo sintagma di “alien friends”. Ivi, Telegramma in arrivo N. 1698, Imperiali a
Sonnino, Londra, 2 settembre 1918, ore 22. Il testo della convenzione del 3 settem-
bre 1918 può essere letto in Digest of International Law, by Green Haywood
Hackworth, Washington, United States Government Printing Office, 1940, Volume,
I, Chapters I-V, 204-205. Per l’azione della diplomazia inglese a sostegno dei Ceco-
slovacchi durante la Grande Guerra, si veda L. Novotný, The British Legation in
Prague: Perception of Czech-German Relations in Czechoslovakia between 1933 and
1938, Oldenbourg, 2019, 14-15.
82
Ancora al principio di settembre la Commissione per i Prigionieri di Guerra
raccomandava che gli intenti non fossero ancora impiegati in combattimento, ma
solo per necessità agricole, salvo poi decidere «tenuto conto […] del numero ingente
dei prigionieri czeco-slovacchi (circa 15.000) e del danno non trascurabile che ne de-
riverebbe ai lavori specialmente agricoli per il loro allontanamento, ed anche della
convenienza di avere qualche elemento di esperienza nel funzionamento dei reparti
stessi, questo Ministero determina che la loro costituzione avvenga gradualmente e
per ora vi sia impiegato un primo nucleo di circa un migliaio di Czeco-Slovacchi».
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, Telegramma in arrivo
N. 10509-G, Il Ministero della Guerra alla Commissione Prigionieri di Guerra e al
Ministero degli Affari Esteri, Roma, 8 settembre 1918.
83
DDI Serie V, 1914-1918, Vol. X, N. 507, Sonnino a Bonin Longare, Macchi
Di Cellere e Borghese, Roma, 13 settembre 1918.
84
Ivi, N. 556, Paulucci De’ Calboli, Berna, 21 settembre 1918 (per il 26).
85
Ivi, N. 674, Sonnino a Imperiali, Bonin, Macchi Di Cellere e Sforza, Roma,
15 ottobre 1918
86
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 128, N. 12588, Stric-
tly Confidential, the Chief of the Information Service of the Supreme Command of
the Italian Army in Washington, Marchetti, to the Italian Foreign Ministry, Turin,
October 17th, 1918, Annex: La Serbie, Journal politique hebdomadaire, Year III, N.
36, Geneva, October 14th, 1918, Monday.
reparti lungo il fronte del Brenta e del Piave87. Nel medesimo nu-
mero de’ La Serbie era un altro breve articolo che suscita il nostro
interesse per altre ragioni: affrontando la questione relativa alle rela-
zioni italo-serbe, lo scrittore britannico M. George Herron, premet-
tendo che gli Stati Uniti nutrivano sentimenti di genuine simpatia nei
riguardi dell’Italia specialmente dopo il Patto di Roma, non poteva
dissimulare un certo sentimento di diffidenza nell’opinione pubblica
americana per ciò che concerneva gli incipienti disaccordi fra l’Italia
e il mondo jugoslavo
Car il faut vous dire, en Amérique la cause serbe a trouvé des amis dé-
voués et convaincus. Mais aussi du point de vue de l’intérêt propre ita-
lien, c’était une erreur de ne pas embrasser immédiatement la cause de
la Serbie et de la Yougoslavie dès le commencement de la guerre. Sans
les Yougoslaves, sans les Serbes, l’ennemi le plus vicieux, le plus traître,
la Bulgarie, s’installerait sur l’Adriatique, la Bulgarie qui espérait absor-
ber la Serbie et l’Albanie et disputer à l’Italie la domination dans l’Adria-
tique…
Ciò, in altre parole, risulta sufficiente a fugare ogni dubbio sul de-
stino dell’Europa centrale, ora sotto stretto controllo dell’influenza
degli Stati Uniti, e non più sotto quello tedesco. Mentre le terre ce-
coslovacche avevano cessato di far parte della Duplice Monarchia, il
29 ottobre 1918 veniva proclamata a Zagabria. Due giorni dopo, l’u-
nione personale della Corona ungherese a quella austriaca fu procla-
mata decaduta dal primo ministro ungherese Mihály Károlyi88. Po-
chi giorni prima, Gyula Andrassy il Giovane, l’ultimo ministro de-
87
L’Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), cit., V, Le operazioni del
1918, Tomo II bis, La conclusione del conflitto, N. 179, the Command of the Ita-
lian IV Field Army to the Supreme Command and to the Chief of the General
Staff, War Zone, October 7th, 1918; N. 223, Strictly Confidential,the Supreme Com-
mand of the Italian Royal Armee, Office for Operations, to the Commanders of
III, IV, VI, VIII, X, and XII Field Army, War Zone, October 21th, 1918.
88
Cfr.: Z.A.B. Zeman, The break-up of the Habsburg empire, 1914-1918. A study
in national and social revolution, London, 1961; L. Freiherr von Flotow, November
1918 auf dem Ballhausplatz. Erinnerungen Ludwigs Freiherrn von Flotow des let-
zen Chefs des Österreichisch-Ungarischen Auswärtigen Dienstes 1895-1920, Herau-
sgabe und Bearbeitung von Erwin Matsch, Graz, 1985. See also: G. M. Sangiorgi,
L’Ungheria dalla repubblica di Károly alla reggenza di Horthy, Bologna, 1927; G.
Romanelli, Nell’Ungheria di Béla Kun e durante l’occupazione militare romena. La
mia missione (maggio-novembre 1919), edited by A. Biagini, Roma, Ufficio Storico
dello Stato Maggiore dell’Esercito, 2002.
89
Cfr. R. Neck, V. Oldenbourg (eds.), Österreich im Jahre 1918. Berichte und
Dokumente, München, 1968.
90
Sulla storia e sul funzionamento del Narodno Vijeće, vedasi Z. Matijević, Na-
rodno vijeće Slovenaca, Hrvata i Srba u Zagrebu. Osnutak, djelovanje i nestanak
(1918-1919), in Narodno vijeće Slovenaca, Hrvata i Srba u Zagrebu (1918-1919: iza-
brani dokumenti, Hrvatski državni arhiv, Zagreb, 2008, 35-66.
91
Dokumenti o postanku kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca, 1914-1919, cit. N.
139, Protesta dell’Assemblea Nazionale al presidente Wilson contro l’occupazione
italiana Pribićević e Pavelić, Zagabria, 4 novembre 1918.
92
Cfr. ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, Telegramma
in arrivo N. 2297, Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 11 novembre 1918. Vedansi an-
che: A. C. Davidonis, The American Naval Mission in the Adriatic, 1918-1921, Wa-
shington D.C., 1943; I.J. Lederer, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, New
Haven, 1963; D.R. Živojnović, America, Italy and the Birth of Yugoslavia, 1917-
1919, New York, 1972. Non si sottolinea mai abbastanza che sin dall’inizio il Co-
mitato Jugoslavo di Londra “fissava” i confini etnici italiani in questo modo: «1°)
Nella provincia di Gorizia la riva destra dell’Isonzo, con Monfalcone e il suo porto;
2°) Trieste porto franco sotto sovranità italiana, ma al di fuori delle tariffe italiane;
3°) In Istria la parte occidentale, con Capo d’Istria, Rovigno, Pola, all’estuario del-
l’Arsa; 4°) Fiume (ora indipendente con governatore ungherese) porto franco sotto
la bandiera del Regno Unito dei Jugoslavi; 5°) Dalmazia ai Jugoslavi eccetto per con-
siderazioni militari l’isola di Losin (Lusson piccolo) l’isola di Lissa e finalmente Val-
lona; 6°) Abolizione delle fortezze di Sebenico e Cattaro, e la costa Dalmata consi-
derata neutrale». ASMAE, Gabinetto Politico Ordinario 1915-1918, busta 180, N.
41785, Il Ministero dell’Interno, Direzione Generale della P.S., Ufficio Riservato,
Roma, 26 ottobre 1915, Nota N. 1, Londra, ottobre 1915.
93
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, N. 8776/268,
Riservatissimo, personale, Bollettino Speciale Interno dell’Ufficio del Capo di Stato
Maggiore della Marina, Roma, 7 dicembre 1918. In effetti, questo tipo di unione,
fino al tempo della rivoluzione di febbraio, sarebbe potuta essere favorita dalla Rus-
sia. Scriveva, infatti, a tal proposito, l’allora ambasciatore italiano a Pietrogrado, An-
drea Carlotti: Delegazione Società Russo-Serba ricevuta dal Ministro degli Affari
Esteri ha esposto seguenti desiderata: l) che gli alleati facciano una dichiarazione uf-
ficiale al Governo serbo: sulla ricostituzione del reame e sulla rifusione danni sof-
ferti durante guerra come fu fatto per il Belgio; 2) che tale dichiarazione contenga
affermazione che non si vedano ostacoli né politici, né religiosi alla riunione in un
solo regno dei serbi, croati e sloveni; 3) che alleati dichiarino desiderabile che nuovi
due Stati indipendenti serbo e czeco slovacco abbiano una frontiera comune; 4) che
alleati dichiarino necessità sopprimere Stato Austria Ungheria poiché riunione alla
confederazione germanica di altri otto milioni di tedeschi non presenta pericolo men-
tre invece presenta molti vantaggi soppressione di un amalgama di nazionalità per-
petuamente alleate al militarismo prussiano». DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VII, N.
421, Carlotti a Sonnino, Pietrogrado, 6 marzo 1917, ore 11.
94
ASMAE, Gabinetto Politico e Ordinario 1915-1918, busta 50, N. 8776/268,
cit.
95
Ibid.
96
Ibid.
97
Ibid.
98
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. VII, N. 421, Carlotti a Sonnino, Pietrogrado, 6
marzo 1917, ore 11.
99
«The Swiss Legation has been good enough to communicate to the Ministry
of Foreign Affairs under the dates of December 13th and 16th two communications
from the Government of German Austria. The first of these notes is in the form
of a protest against the alleged intention of the powers of the Entente to place in
subjection to the Czecho-Slovak state the Germans of Bohemia and of Moravia. In
this note it is affirmed that the Germans in question are desirous of separating them-
selves from the Czecho-Slovak state and a plebiscite is proposed at an early date
for the purpose of clearing up the situation. In the second note it is proposed to
submit to arbitration all questions relating to the frontiers between German Austria
and both the Czecho-Slovak and the Jugo-Slav states». FRUS, 1918, Supplement 1,
The World War, Vol. II, N. 306, Eduard Beneý to Lansing, Paris, December 20,
1918, Enclosure, Copy of the Reply of the French Government to the Government
of German-Austria, Communicated Through the Swiss Legation, signed Pichon, Pa-
ris, on 19th of December 1918.
100
DDI, Serie V, 1914-1918, Vol. XI, N. 213, Sonnino a Imperiali, Rome, 18 no-
vembre 1918.
101
Ivi, N. 491, Sonnino ad Orlando, Roma, 7 dicembre 1918.
102
DDI, Serie VI, 1918-1922, Vol. II, N. 109, Sonnino al Ministero degli Esteri,
Parigi, 26 gennaio 1919.
103
Ivi, N. 141, Badoglio a Orlando, Sonnino e Barzilai, Roma, 28 gennaio 1919.
104
Per il punto di vista italiano, vedere in particolare: G.Marsico, Il problema
dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Milano, 1983
105
ASMAE, Affari Politici, 1919-1930, busta 1303, Telegramma in arrivo N. 71,
Tacoli a Sonnino, Budapest, 5 marzo 1919.
Nella fase storica compresa tra la fine del XIX secolo e la grande
crisi economica del 1929, la lotta di classe assunse sempre più le forme
di una lotta per il diritto, indotta da una riorganizzazione antagoni-
stica del lavoro con la rifondazione di un’associazione internazionale
di partiti operai4, nella quale il Partito Socialdemocratico di Germa-
1
Il periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la fine del Novecento è stato
così denominato da R. Dahrendorf, La libertà che cambia, Laterza, Bari-Roma, 1994.
Cfr. C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2012; Id., The Parabola of
Working Class Politics, in A. Gamble, T. Wright (cur.), The New Social Democracy,
Blackwell, Oxford, 1999.
2
A. Negri, Dal Capitale ai Grundrisse, in La forma Stato. Per la critica dell’e-
conomia politica della costituzione, Milano, Feltrinelli, 2012, pp. 33.
3
A. Negri, Dentro/contro il diritto sovrano: dallo stato dei partiti ai movimenti
della governance, Ombre corte, 2010, Padova, p. 128.
4
Nel 1889 ad opera di Friedrich Engels, che non a caso fissò la sede al di fuori
del Vecchio continente, nella città di New York, quale antitesi dialettica al comin-
ciamento del processo di globalizzazione dell’economia capitalistica, cioè di un avan-
8
Ibid.
9
La formula richiama direttamente quella di «uso operaio del capitale e del po-
tere» coniata dall’operaismo italiano negli anni ’60 del XX secolo, cfr. M. Tronti,
Sull’autonomia del politico, Feltrinelli, Milano, 1977.
10
A. Giardiello, Operaismo: la disfatta di un’utopia letale, in Falcemartello, 2015,
p. 51.
11
S. Bologna, Composizione di classe e teoria del partito alle origini del movi-
mento consiliare, cit., p. 45.
12
K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista (1848), A.C. Editoriale,
Milano, 2010.
13
Perché, appunto negli stessi anni di Weimar, l’Europa assistette ad un tenta-
tivo rivoluzionario di uso operaio dello stato capitalistico, durante il periodo della
Nuova Politica Economica (NEP) di Lenin.
14
S. Bologna, Composizione di classe e teoria del partito alle origini del movi-
mento consiliare, cit., pp. 26 s.
15
Ivi, p. 42.
16
«In effetti non si spiega altrimenti la tempestività e la decisione con cui pa-
droni e partito socialdemocratico si mossero dopo il 1918, né il violento risentimento
antisindacale dei quadri consiliari; durante la guerra il sindacato aveva gestito e ga-
rantito in fabbrica il supersfruttamento, aveva denunciato alla polizia gli operai ri-
belli», cfr. S. Bologna, Composizione di classe e teoria del partito alle origini del mo-
vimento consiliare, cit., p. 42 s.
17
E. Bussi (1948). Evoluzione storica dei tipi di stato, Milano, Giuffrè, 2002, p.
80 s.
18
Cioè di un hegeliano «individuo storico». Ricorda, a proposito, M. Löwy, Il
giovane Marx e la teoria della rivoluzione, Massari, Bolsena, 2001, p. 246 s., che
«intimamente persuaso del proprio ruolo messianico di ‘Grande Liberatore’ degli
operai, Lassalle concentra nelle proprie mani tutti i poteri dell’Associazione; mette
in piedi una struttura organizzativa ultracentralizzata, autoritaria, antidemocratica,
quasi dittatoriale, che toglie qualsiasi facoltà di iniziativa o di autonomia ai membri
delle sezioni locali».
19
Prima dell’incontro con il marxismo, le organizzazioni operaie tedesche erano
cresciute sulla base della dottrina di Lassalle, il cui socialismo era del tutto antite-
tico a quello di Marx, come aveva potuto appurare quest’ultimo nel luglio-dicem-
bre 1862 in occasione della visita del primo a Londra. Scrivendo ad Engels il 7
agosto, egli chiosava in questo modo: «politicamente non concordiamo in nulla
fuor che in alcuni scopi finali alquanto distanti», cfr. K. Marx, Lettera a Engels
del 7 agosto 1862, in Opere complete, XLI, 303. Sul punto delle diverse concezioni
di rivoluzione v. M. Löwy, Il giovane Marx e la teoria della rivoluzione, cit., 2001,
246 s.
20
Al socialismo scientifico e materialista di Marx, Lassalle opponeva un sociali-
smo messianico calato dall’alto «per intervento di un Salvatore», a suo tempo iden-
tificato in Bismarck, al cui governo Lassalle aveva fatto appello affinché accogliesse
la sua «parola d’ordine della ‘creazione di cooperative di produzione con l’aiuto dello
Stato’», cfr. M. Löwy, Il giovane Marx e la teoria della rivoluzione, Massari, Bol-
sena, 2001, p. 246 s.
21
In seguito, nel 1875, Marx avrebbe criticato il lassallismo del Programma di
Gotha della socialdemocrazia tedesca, che sarebbe stato sostituito dal Programma
di Erfurt del 1891 scritto da Bernstein, Kautsky e Bebel, cfr. M. Löwy, op. cit.,
p. 245.
22
Tale il loro ruolo secondo la definizione classica di Engels, cfr. S. Bologna,
Composizione di classe e teoria del partito alle origini del movimento consiliare, cit.,
p. 33.
23
Contraddicendo, appunto, Lenin (citato da S. Bologna, Composizione di classe
e teoria del partito alle origini del movimento consiliare, cit., p. 33).
24
Sul lassallismo della moderna socialdemocrazia tedesca ha scritto Karl Schmidt
(membro del comitato direttivo della Spd), in un articolo per il centesimo anniver-
sario del Partito apparso su Le Monde, il 29 maggio 1963.
25
S. Bologna, Composizione di classe e teoria del partito alle origini del movi-
mento consiliare, cit., p. 26 s.
26
Ivi, p. 42.
27
Ivi, p. 22, 28.
28
A. Negri, Dentro/contro il diritto sovrano: dallo stato dei partiti ai movimenti
della governance, cit., p. 128.
29
E. Bussi (1948), op. cit., p. 84 s.
30
Ibid.
31
Un’eco del lassallismo, come si può intuire leggendo M. Löwy, op. cit., p. 246
s., secondo il quale, divenuto un vero e proprio dominus dell’Associazione generale
degli operai tedeschi, Lassalle tradusse la propria concezione riformistica di un «so-
cialismo ‘dall’alto’, per intervento di un Salvatore» in un pubblico sostegno profuso
al governo reale e, nel segreto delle trattative condotte con Bismarck, nella promessa
del «sostegno dell’Associazione in cambio di un intervento ‘sociale’ dello Stato prus-
siano».
32
A. Negri, Dentro/contro il diritto sovrano: dallo stato dei partiti ai movimenti
della governance, cit., p. 128.
33
«Negli ultimi giorni del suo impegno in Quaderni rossi, Tronti credeva che
[l’integrazione dei sindacati] rappresentasse la minaccia più grave alla lotta contro il
capitale», cfr. S. Wright, L’assalto al cielo: per una storia dell’operaismo, Ed. Alegre,
Roma, 2008, p. 99.
34
G. Arrigo, Teorie e ideologie politiche e sindacali nella Repubblica di Weimar.
Dalla ‘democrazia consiliare’ alla ‘democrazia economica’, in Rivista di Studi politici
S. Pio V, 2018, p. 105.
35
R. Cavallo, Hermann Heller e lo stato sociale di diritto, in M. Gambilonghi, A.
Tedde (cur.), Percorsi della democrazia sociale, in corso di pubblicazione, p. 4 s. datt.
36
F. L. Neumann, Behemoth, Oxford University Press, New York, 1944, pp.
53 ss.
37
G. Arrigo, op. cit., p. 89.
38
S. Romano, Lo Stato moderno e la sua crisi, Giuffré, Milano, 1969 (ried.), pp.
12 ss.
39
L’Art. 165 così statuiva: «Gli operai ed impiegati debbono collaborare con gli
imprenditori per la determinazione delle condizioni di impiego e di lavoro e per lo
sviluppo economico complessivo delle energie produttive. Le organizzazioni delle
due categorie ed i contratti da esse stipulati sono giuridicamente riconosciuti. Gli
operai ed impiegati, per la tutela dei loro interessi sociali ed economici, dispongono
di una rappresentanza legale nei consigli operai di azienda e nei consigli operai di
distretto, formati secondo la ripartizione delle regioni economiche, nonché nel con-
siglio operaio del Reich. I consigli operai di distretto e quello del Reich per l’a-
dempimento dei generali compiti economici e la collaborazione all’attuazione delle
leggi di socializzazione, formano, insieme ai rappresentanti degli imprenditori e con
gli altri ceti interessati, dei consigli economici di distretto, ed un consiglio econo-
mico del Reich. Questi consigli devono essere organizzati in modo che vi siano rap-
presentati i gruppi di mestiere importanti ed in misura proporzionale al loro rilievo
economico e sociale. I progetti di legge in materia sociale ed economica di più rile-
vante importanza devono essere, prima della loro presentazione, a cura del governo
del Reich, sottoposti al parere del consiglio economico del Reich. Il consiglio eco-
nomico ha il diritto di formulare proposte di legge nella materia stessa, ed il go-
verno del Reich è obbligato a presentarle al Reichstag, anche se non consenta ad
esse. Il consiglio economico può incaricare uno dei suoi membri di sostenere in-
nanzi al Reichstag il progetto da esso proposto. I poteri di controllo e di ammini-
strazione possono essere trasferiti ai consigli dei lavoratori ed a quelli economici nel-
l’ambito territoriale loro spettante. Appartiene alla competenza esclusiva del Reich
di regolare l’organizzazione e le attribuzioni dei consigli operai ed economici ed i
loro rapporti con altri enti sociali autonomi».
40
È esattamente su questa considerazione che Mario Tronti concepisce la tesi
dell’autonomia del politico: «Con l’autonomia del politico, l’operaismo scopriva l’uso
operaio del capitale e del potere. La classe operaia era potere: secondo Tronti, l’er-
rore della socialdemocrazia non era quello di pensare che si potesse gestire la mac-
china statale capitalista, ma quello di essere subalterna alla sua iniziativa», cfr. A.
Giardiello, op. cit., p. 51.
41
F. Engels, Antidühring, Ed. Riuniti, Roma, 1971.
42
D. Mack Smith, Storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 466. La carta è
edita in A. Aquarone, L’organizzazione dello stato totalitario, Einaudi, Torino, 19782,
pp. 477-481.
43
A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa: dal medioevo all’età contem-
poranea, il Mulino, Bologna, 2007, p. 602.
44
D. Mack Smith, Storia d’Italia, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 457 s.
45
B. R. Lopuchov, Il fascismo italiano, in R. De Felice, Il fascismo, Laterza, Mi-
lano, 1998, p. 496 s.
46
Ivi, p. 498
47
Ibid.
48
Ibid.
49
A Dalmine, dal 17 marzo 1919, in risposta al licenziamento di uno dei di-
pendenti.
50
B. R. Lopuchov, op. cit., p. 503.
51
Ivi, p. 502.
52
Ivi, p. 501 s.
53
Ivi, p. 503.
54
Secondo il progetto del nazionalista Rocco, ministro della Giustizia dal gen-
naio 1925, nel 1926 fu istituito il nuovo ministero delle Corporazioni e nel 1930 fu
data teoricamente vita a un Consiglio nazionale delle corporazioni con funzioni di
assemblea deliberante e nel quale erano rappresentati, sempre in teoria, tutti i lavo-
ratori del paese attraverso le rispettive organizzazioni corporative. Per ogni catego-
ria il fascismo consentì il riconoscimento di un solo sindacato e di una sola asso-
ciazione padronale, imponendo loro l’adesione al regime» con la legge 3 aprile 1926,
n. 563, mentre sciopero e serrata furono vietati e sanzionati penalmente, cfr. D. Mack
Smith, op. cit., p. 457 s.; A. Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa: dal me-
dioevo all’età contemporanea, p. 601 s.
55
A. Aquarone, op. cit., p. 3; cfr. A. Padoa Schioppa, op. cit., p. 601 s. All’art.
III della Carta si affidava al sindacato di categoria legalmente riconosciuto il potere
di «stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli appartenenti alla
categoria». All’art. VI si affermava che le corporazioni, in cui sono presenti il sin-
dacato dei lavoratori e l’associazione di categoria dell’impresa, «costituiscono l’orga-
nizzazione unitaria della produzione e ne rappresentano legalmente gli interessi». La
Carta dei diritti acquistò formalmente valore di legge solo nel 1941, quando si stava
completando la redazione del nuovo codice civile.
56
A. Padoa Schioppa, op. cit., p. 601s.
57
Sebbene propagandata come una novità da Mussolini, «ansioso di dimostrare
che il fascismo non aveva un carattere meramente conservatore, ma era ricco di idee
nuove e feconde» D. Mack Smith, op. cit., p. 457 s.
58
In verità, vi sarebbe il precedente, per quanto effimero, della Carta del Car-
naro.
59
Secondo una delle massime del regime che campeggiava in forma di aforisma
sulle pareti esterne delle case (cit. in D. Mack Smith, op. cit., p. 477).
60
S. Gambino, Stato sociale e Stato socialista in Costantino Mortati, Marco, Co-
senza, 2002, p. 89; cfr. C. Mortati, Lezioni sulle forme del governo, Cedam, Padova,
1973, p. 48.
61
«Nel 1933 [Mussolini] promise che il Consiglio nazionale delle corporazioni
avrebbe sostituito un giorno la camera dei deputati. Sottolineò come questa camera
non fosse mai stata di suo gusto, fosse diventata anacronistica persino nel nome e
fosse un istituto estraneo all’ideologia fascista, dato che presupponeva una pluralità
di partiti che ormai non esisteva più. Due anni più tardi assicurò impudentemente
al Consiglio stesso che esso era la più importante assemblea della storia d’Italia. Fi-
nalmente nel 1939 venne creata la Camera dei fasci e delle corporazioni per sosti-
tuire l’antico sistema parlamentare, che finì così di nome oltre che di fatto. Per quanto
la denominazione di questo nuovo istituto potesse sembrare suggestiva, sta di fatto
che le corporazioni erano più un’aspirazione che una realtà concreta, e Salvemini le
definì giustamente un esempio di complicata truffa. La macchina corporativa era
estremamente costosa, e ciò portò al clientelismo e alla corruzione, e con essa venne
creata in sostanza una nuova organizzazione elefantiaca che duplicava (e quindi osta-
colava) le operazioni svolte dai pubblici uffici preesistenti. Nel marzo 1936 Musso-
lini affermò davanti al Consiglio delle corporazioni che egli non desiderava buro-
cratizzare l’intera economia della nazione; ma in pratica l’estensione dell’attività go-
vernativa a tutti i settori della vita del paese creò una struttura organizzativa quanto
mai macchinosa, lenta, poco reattiva, priva di contatti con la gente comune», cfr. D.
Mack Smith, op. cit., p. 457 s.
62
«I rispettivi quadri erano naturalmente nominati dall’altro, in parte perché si
richiedevano posti ben retribuiti per i fascisti più eminenti. Quanto ai lavoratori co-
muni, non avevano che da pagare la loro quota d’iscrizione e fare quel che veniva
loro ordinato, ché invece d’esser cittadini indipendenti, titolari di determinati diritti,
essi non erano ormai che parti di un ingranaggio con una determinata funzione da
svolgere», cfr. D. Mack Smith, op. cit., p. 457 s.
63
B. R. Lopuchov, op. cit., p. 503.
64
Ibid.
65
Ibid.
66
M. Persiani, Diritto sindacale, Cedam, Padova, 2011, p. 22.
67
A. Negri, Il lavoro nella Costituzione (1964), in La forma Stato. Per la critica
dell’economia politica della costituzione, cit., pp. 46-48.
68
Corte Costituzionale, sent. 26 gennaio 2004, n. 35.
69
Corte Costituzionale, sent. 26 luglio 1979, n. 83.
70
Il lavoro, infatti, inteso quale «attività lavorativa», non è «l’unico bene costi-
tuzionalmente garantito» (cfr. Corte Costituzionale, sent. 10 dicembre 1981, n. 185),
ma cionondimeno, anche su questo piano oggettivo, il fatto che il lavoro sia posto
a fondamento della stessa forma di Stato afferma «la preminenza di ogni attività la-
vorativa nel sistema dei diritti-doveri spettanti ai cittadini» (cfr. Corte Costituzio-
nale, sent. 4 aprile 1967, n. 60). Sulla questione, una disamina specifica è nella voce
enciclopedica di R. Bonanni, Lavoro. Principi Costituzionali, Treccani, Milano, 2019.
71
In molta parte della dottrina vige un’interpretazione riduzionista del principio
lavorista. G. Zagrebelsky, Fondata sul lavoro. La solitudine dell’art. 1, Einaudi, To-
rino, 2013, pp. 20 s., ad esempio, afferma che «il lavoro a cui si riferisce la formula
costituzionale non costituisce una ‘prerogativa della classe lavoratrice’, poiché è da
intendere nel senso di ‘lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni’, come precisa
anche la disposizione di cui all’art. 35 Cost., ed assume valore unitario ed inclusivo,
rappresentando ‘un titolo di appartenenza alla comunità nazionale, alla cittadinanza’».
A questa puntualizzazione fa riferimento anche R. Bonanni, Lavoro. Principi Costi-
tuzionali, Treccani, 2019, e vi si conformano varie altre (ad esempio, L. Nogler, Cosa
significa che l’Italia è una Repubblica ‘fondata sul lavoro’ e che ‘riconosce a tutti i
cittadini il diritto al lavoro’, in C. Casonato (cur.), Lezioni sui principi fondamentali
della Costituzione, Giappichelli, Torino, 2010). Tuttavia, questa posizione in tutt’uno
con l’affermazione di Zagrebelsky appare contraddittoria. Il lavoro è consustanziale
alla classe lavoratrice e, al contempo, rappresenta anche un carattere universale del-
l’uomo: per ciò tanto la classe lavoratrice non può che essere anche classe univer-
sale. Ed è proprio in considerazione di questa capacità inclusiva della classe lavora-
trice come «classe universale» che il lavoro è «un titolo di appartenenza alla comu-
nità nazionale, alla cittadinanza».
72
C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, in Diritto del lavoro, 1954, p. 153.
73
Non solo tale principio non è confinato in un preambolo, ma esprime il suo
pieno valore normativo nel rapporto tra i due inscindibili commi dell’articolo 1 e
tra questi ed il resto delle disposizioni costituzionali, cfr. D. Quaglioni, La sovra-
nità nella Costituzione, in C. Casonato (cur.), op. cit.
74
Come osserva R. Selucky, Marxism, socialism, freedom: towards a general
democratic theory of labour-managed systems, St. Martin Press, New York, 1979,
p. 63: «lo stesso concetto di democrazia suggerisce che la dittatura del proleta-
riato deve essere la regola della maggioranza», sicché la vera democrazia, «in
quanto espressione della volontà della maggioranza, in una società divisa in classi
appare come la dittatura della maggioranza proletaria della popolazione»: è in
virtù di questa concezione che, ne La guerra civile in Francia, il suffragio uni-
versale è indicato «come una riforma politica piena di potenzialità rivoluzionarie
[che] consente di sostituire alla dittatura della minoranza (la borghesia) la ditta-
tura della maggioranza (il proletariato)». La vera democrazia è, dunque, una forma
di dittatura che usa la forza coercitiva della volontà della stragrande maggioranza
della popolazione per modificare i rapporti di produzione e superare il capitali-
smo (cfr. R. S. Gottlieb, Marxism, 1844-1990: Origins, betrayal, rebirth. Psycho-
logy Press, 1992, p. 36). Il termine dittatura «in questa locuzione non deve es-
sere inteso come definiens di un forma di governo, di un tipo di governo totali-
tario», perché tale concetto, ai tempi di Marx, «non veniva inteso nel senso di ti-
rannia totalitaria che gli attribuiamo oggi, bensì nel senso che aveva nell’antica
Roma, cioè come istituzione di una autorità elettiva temporanea finalizzata al per-
seguimento di certi obbiettivi politici o militari eccezionali» H. Draper, Marx and
the Dictatorship of the Proletariat, Études de marxologie, 6, 1962 (Cahiers de
l’ISEA, 129), tant’è che «ogni forma di governo antidemocratico, di intimidazione
sui cittadini, di restrizione delle libertà, di dominio dei leader, è in contrasto con
questa concezione della dittatura» (cfr. R. S. Gottlieb, op. cit., p. 36). Sulle im-
plicazioni democratiche del concetto di «dittatura del proletariato» v. H. Draper,
Marx and the Dictatorship of the Proletariat, Études de marxologie, 6, 1962
(Cahiers de l’ISEA, 129); R. N. Hunt, The political ideas of Marx and Engels,
vol. I, Marxism and totalitarian democracy 1818-1850, Londra, Macmillan, 1975,
cap. 9; J. Elster, Making sense of Marx (Vol. 4), Cambridge, Cambridge Univer-
sity Press, 1985. Sul tema, v. E. Screpanti, Le basi teoriche di un approccio marxi-
sta alla democrazia radicale, in N. Bellanca, E. Screpanti (cur.), Democrazia ra-
dicale, Il Ponte, LXIII, 2007.
75
È un «principio direttivo per tutti i marxisti, compreso Lenin, [che] la de-
mocrazia repubblicana è la forma specifica entro cui prende corpo la dittatura del
proletariato» cfr. E. Screpanti, Ibid., che cita Storia del Partito Comunista (bol-
scevico) dell’URSS, Società Editrice L’Unità, Roma, 1945, pp. 459 s. Proprio il
capo bolscevico ammetteva, senza alcuna difficoltà: «l’idea fondamentale che at-
traversa, come un filo ininterrotto, tutte le opere di Marx: la repubblica demo-
cratica è la via più breve che conduce alla dittatura del proletariato», cfr. V. I. Le-
nin, Stato e rivoluzione, in Le opere, Editori Riuniti, Roma, 1968, p. 905. Texier
ha dimostrato che «il ricorso alla tattica insurrezionale, anche di tipo giacobino,
è teorizzato da Marx ed Engels per i paesi nei quali non esistono le condizioni
per la conquista democratica del potere. Ma ha anche dimostrato che il metodo
insurrezionale non è ritenuto necessario da Marx ed Engels per i paesi, come la
Gran Bretagna, la Svizzera e gli USA, dove esistono dei sistemi relativamente de-
mocratici in cui la conquista del potere proletario può assumere la forma della
lotta per l’estensione della democrazia e dei diritti politici e civili» (E. Screpanti,
Le basi teoriche di un approccio marxista alla democrazia radicale, in N. Bellanca,
E. Screpanti (cur.), Democrazia radicale, Il Ponte, LXIII, 2007; cfr. J. Texier, Ré-
volution et démocratie chez Marx et Engels, PUF, Parigi, 1998). «In una demo-
crazia partecipativa come la Comune Marx osserva che la regola della maggio-
ranza viene usata per rivoluzionare la società e l’economia. Mentre la minoranza
borghese usa lo Stato per consolidare il suo dominio di classe, la maggioranza
proletaria usa la democrazia per abolire le classi e liberare i produttori dal do-
minio del capitale», cfr. E. Screpanti, Le basi teoriche di un approccio marxista
alla democrazia radicale, cit.
di diritto moderni [sia] vista dal movimento operaio non come punto
di arrivo», piuttosto come «un punto di partenza della rivoluzione
comunista»76, cioè come «la forma compiuta entro cui si può svol-
gere un atto decisivo della lotta di classe», perché solo «nel momento
in cui si conquista la democrazia repubblicana può iniziare la ditta-
tura del proletariato»77, cioè «la più ampia democrazia politica»78.
È, questo, uno dei maggiori lasciti dell’esperienza di Weimar: la
conferma dell’an dell’intuizione marxiana dell’esistenza di uno Stato
operaio di transizione al socialismo retto sul principio della rivolu-
zione in permanenza, che «mira quasi sempre, nonché al cambia-
mento dell’ordine giuridico e politico dello Stato, anche ad una tra-
sformazione della società»79, sebbene differisca riguardo al quomodo
della trasformazione integrale, individuando nella rivoluzione von oben
un succedaneo della Volks-Revolution80.
La conseguenza giuridica del riconoscimento costituzionale del la-
voro come «elemento fondamentale dell’ideologia politica informa-
trice dell’intero assetto statale», nonché «costitutivo del tipo di re-
gime»81, cioè «della comunità statuale e pertanto dei fini e dei com-
piti istituzionali della persona statale»82 è la legittimazione della classe
lavoratrice all’esercizio im-mediato della funzione di direzione della
politica nazionale, iuxta propria principia, cioè secondo le forme che,
in origine, la classe operaia poteva esercitare esclusivamente «fuori e
contro lo Stato»83, tentando di
«stabilire un potere, una sovranità, non solo di fatto ma di diritto, e
come unica fonte di ogni diritto sociale […] contrapponendo la propria
autorità e funzione, come quella del solo ente sociale di sovranità au-
tentica, a quella dello Stato; e considerando quindi quest’ultima come ar-
tificiosa sia nella misura giuridica che nella podestà politica[,] dunque
uno Stato nello Stato: una sovranità che vuol considerarsi effettivamente
superiore allo Stato»84.
81
C. Mortati, Il lavoro nella Costituzione, cit., p. 163.
82
V. Crisafulli, Appunti preliminari sul diritto del lavoro nella Costituzione, in
Rivista giuridica del lavoro, 1951, p. 163.
83
Questa dualità dello Stato è esemplificativa della sua ambivalenza, che è di-
mostrata dalla radice «-sta» che deriva dal verbo greco histemi, origine dell’antico
termine stasis, e dunque portatore di un doppio e opposto significato: immobilità,
stabilità e mantenimento dello status quo da un lato; sedizione, rivolta e infine ri-
volgimento politico dall’altro, cfr. G. Agamben, Stasis. La guerra civile come para-
digma politico, Bollati-Boringhieri, Torino, 2015.
84
Autorità e diritto senza controllo, il Giornale d’Italia, 19 luglio 1902.
85
Anch’esso a segnalare come non potesse aversi ordinamento antifascista senza
un rigetto anche delle norme corporative.
86
Il modello costituzionale guardava alla «situazione sindacale nel biennio dei
lavori dell’Assemblea costituente», la quale «era caratterizzata, com’è noto, dalla pre-
95
Per quanto riguarda l’attività principale dei sindacati, cioè l’azione collettiva
tesa «al fine di tutelare i comuni interessi degli associati, principalmente partecipando,
in veste di rappresentante degli iscritti, alla stipulazione dei contratti collettivi, cioè
accordi intercorrenti tra un sindacato dei lavoratori e un datore di lavoro – o un
sindacato di datori di lavoro – che stabiliscono il trattamento minimo garantito (ad
es. i livelli retributivi) e le condizioni di lavoro (ad es. l’orario di lavoro) alle quali
devono conformarsi i singoli contratti di lavoro» (cfr. A. Celotto, Costituzione ra-
gionata, Nel diritto, Roma, 2013, p. 82).
96
M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2004, 21.
97
Affinché fosse possibile la stipula di contratti collettivi aventi efficacia erga
omnes, la pluralità dei sindacati doveva avere accesso a rappresentanze unitarie in
modo proporzionale, tali da definire una centrale sindacale: le condizioni, minime,
erano l’adozione di un ordinamento interno di tipo democratico e la registrazione
presso pubblici uffici con il conseguente acquisto della personalità giuridica, cfr. M.
Persiani, op. cit., p. 21 s.
98
Ma esistevano anche motivi inter-sindacali, cioè la volontà di alcuni sindacati
di «evitare di ‘contarsi’ (infatti nelle ‘rappresentanze unitarie’ essi verrebbero rap-
presentati in proporzione ai rispettivi iscritti)», cfr. R. Bin, G. Pitruzzella, op. cit., p.
520: il meccanismo previsto dall’art. 39, se fosse stato attuato, avrebbe sancito for-
malmente il dato della minoritarietà delle confederazioni sindacali distaccatesi dalla
CGIL, assegnando a quest’ultima il comando delle operazioni contrattuali, cfr. Giu-
seppe Pera intervistato in P. Ichino, Intervista a Giuseppe Pera, in Riv. it. dir. lav.,
2006, p. 107.
99
«Ove si fosse verificato un dissenso tra i sindacati registrati con riguardo alla
congruità o no del contratto collettivo da stipulare, due erano le possibili soluzioni:
o si adottava il metodo della maggioranza o quello dell’unanimità. Nel primo caso
– nonostante l’esplicito richiamo nella norma costituzionale al numero degli iscritti
– si ritenne che sarebbe stata attentata la libertà del sindacato registrato dissenziente,
ancorché minoritario; nel secondo caso, si sarebbe resa impossibile di fatto, la sti-
pulazione del contratto collettivo», cfr. M. Persiani, op. cit., p. 28 s.
100
Ivi, p. 27 s.
101
Ivi, p. 28.
102
A. Celotto, op. cit., p. 82.
103
Le associazioni sindacali «paventavano la possibilità di un controllo di me-
rito, e non solo di legittimità, [e] temevano che lo stesso controllo di legittimità –
per la difficoltà di individuare i criteri di valutazione e per l’uso che ne poteva es-
ser fatto – potesse comunque consentire agli organi pubblici preposti alla loro regi-
strazione ingerenze limitatrici della loro libertà», cfr. M. Persiani, op. cit., p. 28.
104
«Con la conseguenza che tali contratti hanno effetto vincolante solo per gli
associati alle organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato (non possono, pertanto,
in via di principio, produrre effetti nei confronti dei soggetti non iscritti ai sindacati
stipulanti)», cfr. A. Celotto, op. cit., p. 82.
105
R. Bin, G. Pitruzzella, op. cit., p. 520.
106
Generalmente composta dai dai datori di lavoro appartenenti alla stessa cate-
goria, che si estrinseca nel riconoscimento del diritto a «costituire una pluralità di
associazioni sindacali per ogni categoria economica e professionale e del diritto di
scegliere se aderire o meno ad un sindacato o a quale sindacato aderire» (cfr. A. Ce-
lotto, op. cit., p. 82).
del movimento sindacale, nel quale si è sempre più fatta strada l’i-
potesi di un ritorno al modello di contrattazione collettiva dotata di
efficacia erga omnes secondo la previsione dell’art. 39 della Costitu-
zione, al fine di superare l’impasse. Poiché la rinuncia ad una rile-
vanza pubblicistica dei contratti collettivi è stata, di fatto, dovuta alla
rottura dell’unità sindacale nei primi tornanti della storia repubbli-
cana, perciò nel dibattito è ritornato il tema dell’unità sindacale (che
taluno ha voluto leggere come unicità sindacale).
Sono dunque maturi i tempi per un ritorno al modello giuspub-
blicistico, ma conflittuale, cioè dentro ma anche contro il modello di
Weimar?
Sebbene sia diffusa la vulgata che il meccanismo di registrazione
e riconoscimento della personalità giuridica per i sindacati, su cui
si regge il modello costituzionale di regolazione pubblicistica del
conflitto sociale, avrebbe potuto introdurre un controllo dello Stato
non limitato ad aspetti formali e capace di riproporre surrettizia-
mente un modello corporativo, non è solo questo il limite da su-
perare per introdurre un modello di relazioni industriali adeguato
alle modifiche intervenute nel mercato del lavoro dopo la crisi eco-
nomica del 2007-2008.
Oltre ad essere stata spesso avanzata da parte delle organizzazioni
datoriali (in primis, Confindustria), la necessità di introdurre un nuovo
modello di relazioni industriali per controbilanciare la sempre più ac-
centuata tendenza alla disintermediazione presente tanto da parte dei
datori di lavoro quanto del Governo nazionale, con particolare rife-
rimento al platform capitalism, è discussa dal movimento sindacale
nazionale, il quale, però, dimentica il fatto che, essendo depotenziata
la forza di agitazione sindacale, essendo venuti meno i riferimenti al-
l’interno del Parlamento ed essendo notevolmente diminuita tanto la
capacità di intervento dello Stato (meglio: del governo) a causa dei
vincoli sovranazionali, quanto la capacità di negoziazione con alcuni
attori, come appunto le multinazionali ovvero le piattaforme digitali,
le dimensioni del movimento sindacale non sono comunque suffi-
cienti a garantire una forza contrattuale effettiva, che in effetti po-
trebbe essere esclusivame dello Stato inteso quale «capitalista collet-
tivo ideale».
Ma, se tale è la prospettiva nel capitalismo del mercato mondiale
e se si vogliono evitare i ritorni all’organicismo populista e sovrani-
sta, non si può tralasciare l’opportunità della risocializzazione della
funzione di direzione dello sviluppo ordinamentale e conseguente-
107
«Da questo punto di vista la prassi socialdemocratica vede anche la necessità
di un controllo politico sull’azione sindacale», pur nel rispetto delle reciproche au-
tonomie, cfr. A. Negri, Dentro/contro il diritto sovrano: dallo stato dei partiti ai mo-
vimenti della governance, cit., p. 129.
108
G. Zagrebelsky, Giustizia costituzionale, il Mulino, Bologna, 2012.
1
In questa sede seguiamo il testo più propriamente giuridico di A. de Ambris,
che prima di dedicarsi alla vita del rivoluzionario di professione aveva frequentato
per due anni una facoltà di legge, e non quello poetico di G. D’Annunzio. Entrambi
sono reperibili in www.dircost.unito.it/cs/paesi/italia.shtml.
2
Tradizioni autonomistiche municipali fiumane risalgono alle vicende sia del pe-
riodo medievale, quando la città si collocava agli incerti confini del Ducato di Me-
rania, estrema propaggine sudorientale del Sacro Romano Impero, sia soprattutto di
quello moderno, con la sua erezione in Corpus Separatum nell’ambito della parte
ungarica della monarchia asburgica. L’indipendenza de facto della Repubblica, o Reg-
genza Italiana, del Carnaro, proclamata l’8 settembre 1920 in seguito alle vicende
della spedizione dannunziana che aveva raggiunto la città liburnica dal 12 settembre
1919, sarebbe però durata ben poco, sino al “Natale di sangue” del 1920. In seguito,
l’indipendenza internazionalmente riconosciuta dello Stato Libero di Fiume, istituito
sulla base delle previsioni del Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, sarebbe du-
rata sino al Trattato di Roma del 27 gennaio 1924. Non ebbero invece alcun esito i
tentativi del suo Presidente in esilio, R. Zanella, e degli altri autonomisti di chie-
derne la restaurazione ai vincitori della seconda guerra mondiale, i quali ne decreta-
rono invece l’annessione alla Jugoslavia comunista, dopodiché alla stragrande mag-
gioranza degli abitanti della città non sarebbe rimasta che la via dell’Esodo. Non è
questa la sede per tentare di fornire indicazioni bibliografiche esaustive sulla celebre
vicenda: ci limiteremo a rinviare, anche per ogni ulteriore riferimento, ad alcuni re-
centi studi che, nel contesto delle riflessioni suscitate dai centesimi anniversari, hanno
rivisitato sia il contesto della “vittoria mutilata” (R. Pupo (cur.), La vittoria senza
pace. Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra, Laterza, Roma-
Bari, 2014; R. Gerwarth, The Vanquished: Why the First World War Failed to End,
7
Tra i primi provvedimenti presi da Lenin nel 1918 vi furono le leggi, dirom-
penti rispetto al contesto sociale della Russia zarista, che introdussero l’eguaglianza
tra i sessi ed una piena libertà di divorzio, poi assai ridimensionata in epoca stali-
niana (cfr. M.D. Berger, Soviet Divorce Laws and the Role of the Russian Family,
in BYU Law Review, 1986, 3, pp. 821-833; W.Z. Goldman, Women, the State and
revolution: Soviet family policy and social life, 1917-1936, Cambridge, 1993). Non ci
sembra del tutto irrilevante ricordare che la Russia sovietica, anch’essa all’epoca priva
di riconoscimenti internazionali ed impegnata in una guerra civile dall’esito assai in-
certo contro le Armate Bianche appoggiate dai vincitori del conflitto mondiale, sim-
patizzava per la Reggenza dannunziana.
8
L’art. 119 della Costituzione tedesca del 1919 proclamava che il matrimonio
“beruht auf der Gleichberechtigung der beiden Geschlechter” (nella traduzione di C.
Mortati, La Costituzione di Weimar, Sansoni, Firenze 1946: “è fondato sull’ugua-
glianza dei due sessi”), mentre in forza del successivo art. 121 “Den unehelichen
Kindern sind durch die Gesetzgebung die gleichen Bedingungen für ihre leibliche,
seelische und gesellschaftliche Entwicklung zu schaffen wie den ehelichen Kindern”
(nella citata traduzione: “Ai figli illegittimi sono dalla legge garantite le stesse condi-
zioni dei legittimi, onde assicurare il loro sviluppo corporale, spirituale e sociale”). Cfr.
M. Mouton, From Nurturing the Nation to Purifying the Volk. Weimar and Nazi
Family Policy, 1918-1945, Cambridge MA, 2007.
9
L’emancipazione femminile rappresentò infatti una delle linee fondamentali del
progetto riformatore laicista e repubblicano, portato avanti negli Anni Venti da M.
Kemal, e culminato con l’abolizione radicale del diritto islamico e l’introduzione di
una codificazione occidentalizzante (Türk Medeni Kanunu del 1926).
10
Il contesto socioeconomico sul cui sfondo vanno collocate tali vicende è, come
noto, rappresentato da una crescita del ruolo sociale della donna, dovuto dalla ine-
ludibile necessità, in tempo di guerra, di sopperire in tutte una serie di attività pro-
duttive e sociali all’assenza degli uomini impegnati al fronte. Pertanto, in vari Paesi
occidentali, specie in quelli che già nel periodo subito precedente avevano conosciuto
lo sviluppo di movimenti di emancipazione, una volta concluso il conflitto non fu
più possibile negare il suffragio femminile: valgano per tutti gli esempi delle riforme
approvate in Gran Bretagna, Belgio, Germania e Stati Uniti fra il 1918 ed il 1920.
Ciò nondimeno, tale svolta non implicò necessariamente anche la riforma del diritto
di famiglia, che in buona parte dei casi sarebbe seguita solo a notevole distanza,
dando luogo al paradosso di una donna elettrice ed eleggibile dal punto di vista del
diritto pubblico, ma, al tempo stesso, soggetta a potestà da quello del diritto pri-
vato. In Italia, in questa fase, non si ebbe nemmeno l’estensione dell’elettorato, ma
13
Il generale principio di eguaglianza «senza distinzione di sesso» di cui all’art.
3, comma 1, Cost., subiva una pesante attenuazione in ambito coniugale, in quanto
l’art. 29, comma 2, Cost. consentiva di limitarlo «a garanzia dell’unità familiare»
sino a svuotarne la portata concreta (cfr. F. Santoro Passarelli, Il governo della fa-
miglia, in Iustitia, 1953, p. 377 ss.; F. Carnelutti, La parità dei coniugi e l’ordina-
mento giuridico italiano, in Riv. dir. civ., 1961, p. 115 ss.; G.B. Ferri, Le «egua-
glianze» tra coniugi, in Aa.Vv., Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, Jovene,
Napoli, 1975, pp. 335-347). Analogamente, l’art. 30, comma 3, Cost. riconosceva ai
figli extramatrimoniali solo quella misura di tutela che risultasse “compatibile con i
diritti dei membri della famiglia legittima”.
14
In tal senso si era espressa la cattolicissima Costituzione irlandese del 1937, il
cui art. 41, comma 3, proibiva l’introduzione del divorzio, nonché il riconoscimento
dei divorzi stranieri, mentre il relativo comma 1 qualificava la famiglia “as the na-
tural primary and fundamental unit group of Society, and as a moral institution pos-
sessing inalienable and imprescriptible rights, antecedent and superior to all positive
law”, ed il comma 2 sanciva l’impegno dello Stato a garantire il ruolo domestico
della donna e quindi a fare sì che “mothers shall not be obliged by economic neces-
sity to engage in labour to the neglect of their duties in the home”. Un’ispirazione
nella sostanza analoga animava una parte non irrilevante dei nostri Costituenti, ma
l’esito compromissorio finale fu nel senso del silenzio circa l’indissolubilità, mentre
l’art. 37 Cost. non considera quella della “donna lavoratrice” come un’ipotesi pato-
logica da evitare, pur prescrivendo che le condizioni di lavoro debbano comunque
“consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare”. Tuttavia, l’art. 7,
comma 2, Cost., con formulazione quasi identica a quella dell’art. 8 del Progetto di
Costituzione per la R.S.I. del 1943, aveva costituzionalizzato il riferimento ai Patti
Lateranensi, il che avrebbe poi consentito ad alcuni giudici di dubitare della costi-
tuzionalità della l. 1° dicembre 1970, n. 898, introduttiva del divorzio, per violazione
dei vincoli concordatari, prospettazione rigettata però, in un contesto sociale e cul-
turale ormai nettamente mutato, da una serie di decisioni della Consulta (cfr. ex mul-
tis Corte Cost., 8 luglio 1971, n. 169, in www.giurcost.org).
15
Si allude ad un filone che risale quantomeno alle proposte di Platone, La Re-
pubblica, 457d, e Id., Timeo, 18d, ma anche di altri pensatori dell’antichità (cfr. D.
Dawson, Cities of the Gods: Communist Utopias in Greek Thought, Oxford Univer-
sity Press, Oxford, 1992); P. von Möllendorff, Stoics in the ocean: Iambulus’ novel as
philosophical fiction, in M.P. Futre Pinheiro, S. Montiglio (a cura di), Philosophy and
the Ancient Novel, Groningen 2015, pp. 19-33), favorevoli ad una comunione delle
donne e dei figli, poi fatte proprie da ribelli ed eretici in ambito sia islamico (cfr. P.
Crone, The Nativist Prophets of Early Islamic Iran: Rural Revolt and Local Zoroa-
strianism, Cambridge MA, 2012, pp. 391-438) sia cristiano (basti pensare ai Dolciniani
resi celebri da U. Eco, Il nome della rosa, Milano, 1980) sino a T. Campanella, per
quindi conoscere un moderno revival, anche sulla base delle note ricostruzioni antro-
pologiche a proposito della promiscuità primitiva di L.H. Morgan, Ancient Society or
Researches in the Lines of Human Progress from Savagery through Barbarism to Ci-
vilization, Chicago, 1877, e F. Engels, Der Ursprung der Familie, des Privateigenthums
und des Staats, Zurich, 1884, ed arrivare ai teorici del “poliamore” (cfr. C. Fourier, Le
Nouveau Monde Amoureux, Paris, 1816, ma inedito sino al 1967; nonché D.M. Ana-
pol, Love Without Limits. The Quest for Sustainable Intimate Relationships. Respon-
sible Nonmonogamy, San Rafael CA, 1992; E.F. Emens, Monogamy’s Law: Compul-
sory Monogamy and Polyamorous Existence, in New York University Rev. of L. &
Social Change, 2004, p. 277 ss.; E. Grande, L. Pes, a cura di, Più cuori e una capanna.
Il poliamore come istituzione, Giappichelli, Torino, 2018).
16
Si possono leggere in P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, cit., p.
219, testo e nt. 5, i riferimenti alle idee espresse da F.T. Marinetti in un manifesto-
programma del settembre 1918, in «Roma futurista. Giornale del partito politico fu-
turista», che riecheggiavano temi della coeva rivoluzione bolscevica e che sarebbero
state riprese per l’appunto da G. D’Annunzio durante la Reggenza, quando i due
ebbero anche occasione di incontrarsi a Fiume (cfr. S. Bragato, «Figlio di una tur-
binae di D’Annunzio»: Marinetti edipico?, in Archivio D’Annunzio, 2018, pp. 61-
78. D’altronde, le aspirazioni rivoluzionarie, e poi totalitarie, a plasmare un Uomo
integralmente Nuovo, e ad emancipare la donna dai pesi della maternità, si sareb-
bero potute realizzare solo col trasferimento ad organismi pubblici delle funzioni di
cura dei figli sin dalla più tenera età.
17
Nella Fiume dannunziana il libero amore venne ampiamente praticato, in quello
che molti interpreti avrebbero poi visto come una sorta di Sessantotto ante litteram
nel segno della fantasia al potere (cfr. C. Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti
e libertari con D’Annunzio a Fiume, il Mulino, Bologna, 2008). Va peraltro ricor-
dato che, secondo M. Ledeen, The First Duce. D’Annunzio at Fiume, Baltimore-
London, 1977, pp. 59-60, il porto adriatico, per il suo stile di vita e per l’entusia-
smo che vi regnava, era una città già dannunziana anche prima dell’arrivo del Vate.
18
Neanche sul fascismo delle origini è ovviamente possibile fornire in questa sede
indicazioni bibliografiche adeguate, e pertanto, pure a questo proposito, ci si limiterà
a rinviare, anche per ogni ulteriore riferimento, a qualche volume appena pubblicato
a cent’anni dal diciannovismo: M. Franzinelli, Fascismo anno zero. 1919: la nascita dei
Fasci italiani di combattimento, Mondadori, Milano, 2019; E. Gentile, Quando Mus-
solini non era il duce, Milano, 2020. Con specifico riferimento al nostro tema occorre,
ad ogni modo, considerare che, come osservato da M. Cattaruzza, L’Italia e il confine
derivante non dalla volontà contrattuale ma dal carattere necessario del gruppo, e
pertanto da esercitare discrezionalmente nell’interesse del gruppo stesso. Com’è noto,
tale concezione conobbe un notevole successo sotto il Fascismo, essendo pienamente
funzionale alla strumentalizzazione del diritto di famiglia per il raggiungimento de-
gli obbiettivi politici di incremento demografico e, più avanti, anche di difesa della
razza (cfr. P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, cit., pp. 220-232), ma
occorre pur sempre tenere presente che la sua formulazione iperpubblicistica non fu
mai del tutto egemone nella dottrina dell’epoca (cfr. F. Vassalli, Lezioni di diritto
matrimoniale, Padova, 1932, p. 79; A. Ravà, Lezioni di diritto civile sul matrimonio,
Cedam, Padova, 1935, p. 390).
22
Una piena statalizzazione della famiglia, ancorché di segno del tutto inverso
rispetto al libertarismo fiumano, la ritroviamo nell’art. 71 del Progetto di Costitu-
zione per la R.S.I. del 1943, in base al quale “La Repubblica considera l’incremento
demografico come condizione per l’ascesa della Nazione e per lo sviluppo della sua
potenza militare, economica, civile”, mentre l’art. 72 precisava che “La politica de-
mografica della Repubblica si svolge con tre finalità essenziali: numero, sanità mo-
rale e fisica, purità della stirpe”. A siffatte disposizioni si ricollegava dunque il suc-
cessivo art. 73: “Presupposto della politica demografica è la difesa della famiglia, nu-
cleo essenziale della struttura sociale dello Stato. La Repubblica la attua proteggendo
e consolidando tutti i valori religiosi e morali che cementano la famiglia, e in parti-
colare: col favore accordato al matrimonio, considerato anche quale dovere nazionale
e fonte di diritti, perché esso possa raggiungere tutte le sue alte finalità, prima: la
procreazione di prole sana e numerosa; col riconoscimento degli effetti civili al sacra-
mento del matrimonio, disciplinato nel diritto canonico; col divieto di matrimonio di
cittadini italiani con sudditi di razza ebraica, e con la speciale disciplina del matri-
monio di cittadini italiani con sudditi di altre razze o con stranieri; con la tutela della
maternità; con la prestazione di aiuti e assistenza per il sostenimento degli oneri fa-
miliari. Speciali agevolazioni spettano alle famiglie numerose”. D’altronde, benché
l’art. 29 Cost. abbia poi riaffermato il carattere “naturale”, nel senso di libero dal-
l’etero-determinazione statuale, del rapporto familiare, alcune di queste formulazioni
riecheggiano in quelle dell’art. 31 Cost. circa il favor nei confronti delle famiglie nu-
merose, e quindi anche nel connesso, tuttora assai vivace, dibattito (cfr. F. Farri, Un
fisco sostenibile per la famiglia in Italia, Padova, 2018).
23
Occorre ricordare che Fiume dopo il compromesso austroungarico del 1867
rientrava nella Transleithania, e quindi per il profilo che qui interessa non era sog-
maste in vigore sia durante la breve fase della Reggenza sia poi nello
Stato Libero24, allo scopo di sottrarsi a quell’assoluta impossibilità di
scioglimento del vincolo matrimoniale che si prospettava come una
caratteristica sempre più peculiare del nostro ordinamento interno25.
Alla giurisprudenza italiana si pose quindi il problema della loro ri-
conoscibilità secondo le regole del diritto internazionale privato, e la
questione divenne assai dibattuta, in tutta una ricca casistica, con
getta all’ABGB austriaco, che pure ammetteva il divorzio anche se solo per i non
cattolici, ma alla ancor più liberale legge matrimoniale ungherese n. XXXI del 1894,
che lo consentiva invece a tutti.
24
La vicenda dei “divorzi fiumani” durò dunque ben oltre la fine del periodo
dannunziano, e conobbe anzi una sorta di impennata finale dopo la stipula del men-
zionato Trattato di Roma che poneva fine all’esistenza dello Stato Libero: a quanto
pare proprio il 16 marzo 1924, ultimo giorno di vigenza della legge ungherese a
Fiume, vennero pronunziate ben centosettanta sentenze di scioglimento (cfr. P. Un-
gari, Storia del diritto di famiglia in Italia, cit. p. 218, nt. 3). La chiusura definitiva
della questione si ebbe quando con il r.d. 20 marzo 1924, n. 352, il diritto matri-
moniale italiano fu esteso alle Nuove Province e venne così eliminata ogni deroga
alla regola dell’indissolubilità, con un significativo anticipo rispetto alla generale
uniformazione del diritto privato, che si sarebbe avuta solo col r.d. 4 novembre 1928,
n. 2325, e che avrebbe comunque lasciato in vigore, in via più o meno transitoria,
vari istituti propri dell’ordinamento abrogato, pure in altri ambiti del diritto di fa-
miglia. Peraltro, ancora nel secondo dopoguerra vi fu chi arrivò a paventare che il
problema si riproponesse con ipotizzabili divorzi conseguiti nel costituendo, ed in-
vero mai costituito, Territorio Libero di Trieste previsto dal Trattato di Parigi del 10
febbraio 1947 (cfr. E. Ranieri, F. József, Divorzio degli italiani in Ungheria in rela-
zione alle recenti leggi ungheresi in materia matrimoniale e con riguardo alle even-
tuali leggi sul divorzio nello Stato Libero di Trieste, Roma, 1947).
25
Nella storia moderna d’Italia il divorzio era stato vagheggiato da umanisti anti-
papali e turcofili, che propugnavano il ripristino del ripudio romano ed ammiravano
quello islamico (cfr. M. Cavina, Maometto Papa e Imperatore, Roma-Bari, 2018, p. 52),
ma aveva conosciuto solo un’effimera vigenza durante la parentesi napoleonica (cfr. S.
Solimano, Amori in causa. Strategie matrimoniali nel Regno d’Italia napoleonico (1806-
1814), Torino, 2017); P. Mastrolia, L’ombra lunga della tradizione. Cultura giuridica e
prassi matrimoniale nel Regno di Napoli (1809-1815), Torino, 2018. Nei primi decenni
del Novecento l’eccezionalità della Penisola era ormai evidente, come può dimostrare
un’importante voce enciclopedica degli Anni Trenta in cui si dava atto di come il di-
vorzio fosse vigente in tutta Europa con le sole eccezioni del Portogallo e dell’Italia (A.
Parrella, N. Festa, P. De Francisci, G. Ermini, A. Vitti, Divorzio, in Enciclopedia Ita-
liana, 1932), e l’isolamento sarebbe forse apparso ancora più totale prima dell’abolizione
salazarista dell’istituto nell’ordinamento lusitano, oltre che alla luce della vigenza dello
stesso anche nella gran parte dei diritti extraeuropei, nelle progredite forme nordameri-
cane o in quelle arcaiche del ripudio maritale, tanto che M. Weber, Economia e società,
III Sociologia del diritto, Tübingen, 1922, trad. it., Torino, 2000, p. 44, utilizzava pro-
prio il caso del nostro Paese per discutere il problema della libertà di divorzio.
26
Si possono vedere, da una parte, App. Casale, 30 giugno 1920, per un caso in
cui veniva negato l’exequatur in Italia di un divorzio fiumano, ravvisandosi nella
condotta dei coniugi un’ipotesi di frode alla legge, e, dall’altra, App. Milano, 24 no-
vembre 1920, per un caso in cui invece lo si concedeva, richiamando la ratifica, con
la l. 7 settembre 1905, n. 523, della Convenzione dell’Aja del 12 giugno 1902 in ma-
teria di divorzio e separazione, che avrebbe fatto venir meno il contrasto con l’or-
dine pubblico delle sentenze straniere di divorzio: entrambe le decisioni sono ri-
portate in Foro it., 1921, c. 209 ss., con nota di A. Cavaglieri. Tra le personalità più
note che fecero ricorso al divorzio fiumano va ricordato l’economista V. Pareto (cfr.
V. Pareto, Epistolario 1890-1923, a cura di G. Busino, Roma, 1973, 1, II, p. 1137).
27
Rispetto agli “eccessi” della Rivoluzione, che aveva conosciuto fermenti pro-
tofemministi e la proclamazione dell’eguaglianza fra tutti i figli, il Code Napoléon si
presentava già piuttosto involuto, anche per effetto di certi diretti interventi del Bo-
naparte, influenzato forse dalle sue “turqueries juridiques”, cioè dalla simpatia per
l’autoritario diritto di famiglia islamico conosciuto durante la campagna d’Egitto (P.
Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, cit., p. 99), e senz’altro da una forma
mentis militarista e gerarchica, per cui «le mari doit avoir un pouvoir absolu et le
droit de dire à sa femme: “Madame, vous ne sortirez pas, vous n’irez pas à la comé-
die, vous ne verrez pas telle ou telle personne”» (cfr. L. Saada, Les interventions de
Napoléon Bonaparte au Conseil d’État sur les questions familiales, in Napoleonica,
2012, 2, p. 46), ma tale tendenza sarebbe stata ulteriormente accentuata allo scopo
di adattare la codificazione al contesto italiano, anzitutto proprio con l’eliminazione
del divorzio.
28
Alcune questioni intensamente dibattute si erano già poste allorché si trattò di
applicare il Codice Civile del 1865 al Lombardo-Veneto, sino ad allora soggetto al-
l’ABGB austriaco del 1811 che, nonostante vari aspetti effettivamente premoderni,
dal divieto dei matrimoni interreligiosi alla disciplina di maggioraschi e fedecom-
messi, era però da altri punti di vista un Codice liberale più avanzato, promulgato
quando anche la monarchia asburgica subiva a sua volta l’influenza napoleonica, e
per di più aveva alle spalle l’esperienza delle riforme giuseppine. Si pensi anzitutto
all’autorizzazione maritale, che in province dove non aveva avuto vigore, né sotto
l’ABGB né prima ancora sotto gli ordinamenti della Serenissima, che avevano rap-
presentato durante l’Ancien Régime una delle poche isole giuridiche in cui la mo-
glie poteva “far carta et sigurtade et alienation sì come li piace, etiam sine consensu
viri” (cfr. P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, cit., p. 56), finì per es-
208; C. Valsecchi, Padri presunti e padri invisibili. Filiazione e ricerca della paternità
nel diritto italiano tra Otto e Novecento, in O. Fumagalli Carulli, A. Sammassimo
(cur.), Famiglia e matrimonio di fronte al sinodo. Il punto di vista dei giuristi, Mi-
lano, 2015, pp. 491-512; C. Valsecchi, La ricerca della paternità deve essere ammessa.
La civilistica postunitaria e le riforme del diritto di famiglia. Questioni di diritto tran-
sitorio, in Italian Review of Legal History, 2015, 1, pp. 1-17). Per quanto riguarda
invece il problema degli abusi della patria potestà, su cui il Code Napoléon in ori-
gine taceva del tutto, il Codice italiano con l’art. 233 c.c. preferì discostarsi dal con-
sueto modello ed avvicinarsi alla soluzione dell’ABGB, che aveva ripreso, come an-
che altri ordinamenti preunitari, dalla tradizione dello ius commune, in cui il pro-
blema era stato particolarmente sentito dato che la potestà durava usque ad mortem
patris, specifiche sanzioni al riguardo, e tendeva anzi ad una efficace protezione della
libertà nelle scelte di vita del figlio minore (cfr. M. Cavina, Il potere del padre, Mi-
lano, 1995, I, p. 152 e pp. 210-229).
29
Beninteso, anche prima del loro incremento quantitativo consentito dalla vi-
cenda fiumana, tentativi più o meno riusciti di far riconoscere divorzi conseguiti al-
l’estero si erano già verificati, specie in seguito alla già ricordata ratifica della Con-
venzione dell’Aja del 12 giugno 1902, com’era del resto inevitabile in ragione dell’i-
solamento dell’Italia sul punto. Analoghe operazioni continuarono quindi ad essere
praticate pure in seguito, da coniugi che miravano ad esempio direttamente all’ac-
quisto della cittadinanza ungherese (cfr. E. Ranieri, F. József, Divorzio degli italiani
in Ungheria, cit.), o cercavano comunque altri canali per conseguire i “divorzi di
contrabbando”, come li troviamo sprezzantemente qualificati sia in una pubblica-
zione cattolica che approvava la legislazione del regime ma criticava le aperture dot-
trinali e giurisprudenziali nei confronti di tale fenomeno (G.B. Migliori, Per una più
attiva difesa giudiziale della famiglia, in Aa.Vv., Difendiamo la famiglia, Roma, 1943),
sia poi in un’interrogazione parlamentare presentata, in data 28 ottobre 1948, dallo
stesso G.B. Migliori divenuto deputato democristiano. Anche dopo che, spezzando
la logica delle “due chiese”, la legge Fortuna-Baslini del 1° dicembre 1970, n. 898,
ebbe introdotto il divorzio in Italia, la previsione di tempi piuttosto lunghi e di pe-
netranti interventi giudiziari ha fatto sì che il fenomeno continuasse a presentarsi, e
forse anzi ad incrementarsi, avvantaggiato dallo sviluppo del diritto dell’Unione Eu-
ropea che agevola il riconoscimento di atti e provvedimenti provenienti da altri Paesi
membri, ed innesca quindi meccanismi di concorrenza tra ordinamenti. Probabil-
mente, infatti, è stata anche la constatazione dello sviluppo di un fiorente mercato
del turismo divorzile, specie in Romania, a favorire le recenti svolte legislative in fa-
vore di uno scioglimento del vincolo degiurisdizionalizzato (d.l. 12 settembre 2014,
n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162) ed abbreviato (l. 6 maggio 2015,
n. 65), o anche immediato nelle unioni civili e nei contratti di convivenza (l. 20 mag-
gio 2016, n. 76), mentre la prassi giurisprudenziale interna, nonostante la proclamata
natura costituiva delle pronunzia del divorzio, di fatto attribuisce ormai al giudice
la funzione di dichiarare il venir meno del rapporto familiare, rimesso ad un’insin-
dacabile intollerabilità soggettiva della convivenza (cfr., ex multis, Cass., 29 aprile
2015, n. 8713, in www.altalex.com), con il tentativo di conciliazione ridotto a mera
formalità, e di risolvere gli eventuali conflitti relativi alla gestione dei figli e/o ai pro-
fili patrimoniali. Frattanto, persino l’ordinamento canonico sembra aver risentito in
qualche modo di tali fenomeni di concorrenza ordinamentale, ed il Motu proprio
“Mitis Judex Dominus Jesus” del 15 agosto 2015, ha introdotto quello che a livello
giornalistico è stato chiamato “l’annullamento breve”.
30
In un mondo globalizzato fenomeni del genere non riguardano certamente
solo il nostro Paese: basti pensare, ad esempio, all’importanza che ha assunto a Ci-
pro l’afflusso delle coppie che raggiungono l’isola per contrarre un matrimonio in-
terreligioso, o comunque civile, che sarebbe impossibile secondo gli ordinamenti di
Israele, Libano o altri Paesi mediorientali di provenienza. Con riferimento all’Italia
il profilo più rilevante negli anni recenti è stato quello dei matrimoni same-sex ce-
lebrati all’estero e dei dubbi sulla loro riconoscibilità, specie finché nell’ordinamento
interno non esisteva una regolamentazione dei rapporti familiari omosessuali (cfr.
Cass., 15 marzo 2012, n. 4184, in Dir. fam. pers., 2012, 2, p. 696), ed oggi semmai
su quella che parrebbe una loro necessaria conversione in unioni civili ai sensi del
d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7 (cfr. O. Lopes Pegna, Riqualificazione del matrimonio
same-sex estero in unione civile «italiana»: una soluzione irragionevole, in Principi,
regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore
di G. Furgiuele, cit., II, pp. 95-103).
31
Anche l’odierno mercato della procreazione assistita presenta un carattere in-
trinsecamente globale, che è spesso ineludibile se non altro per ragioni economiche,
come ad esempio nel caso in cui occorra porre in relazione committenti di Paesi ric-
chi, non soltanto occidentali, e gestanti surrogate di quelli più poveri. Con più spe-
cifico riferimento all’Italia, il turismo procreativo ha conosciuto, com’è noto, un no-
tevole incremento in seguito all’entrata in vigore delle numerose restrizioni previste
dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40, alcune delle quali, nonostante la riscrittura giudizia-
ria cui tale disciplina è stata sottoposta, sono ancora in vigore, di talché la nostra
giurisprudenza di legittimità ha avuto recenti occasioni per pronunziarsi su modi e
limiti della riconoscibilità degli status di figli nati in seguito al ricorso alla maternità
surrogata da parte di una coppia omosessuale maschile (Cass., Sez. Un., 8 maggio
2019, n. 12193, in www.articolo29.it) o alla fecondazione post mortem da parte di
una vedova (Cass., 15 maggio 2019, n. 13000, in www.personaedanno.it) in Paesi ove
tali pratiche sono legali. Oltre alle questioni di inizio-vita vanno poi considerate
quelle di fine-vita che possono dar luogo a vicende in un certo senso analoghe: ba-
sti pensare al noto caso di M. Cappato, con riferimento alle complesse problemati-
conoscibilità degli effetti alla stregua della indefinibile formula del co-
siddetto ordine pubblico32, più o meno costituzionalmente orientato33,
con cui tuttora ci confrontiamo, e che al tempo stesso dobbiamo
combinare con gli analoghi problemi che viene sempre più spesso a
prospettare agli interpreti il contatto con i modelli familiari «alieni»,
tipici dei contesti di provenienza dei flussi migratori34.
che che pone il ricorso al suicidio assistito in un Paese straniero (cfr. Corte Cost.,
22 novembre 2019, n. 242, in www.cortecostituzionale.it).
32
La letteratura sull’indefinibile formula dell’ordine pubblico è vastissima, per
cui, senza pretese di completezza, ci limiteremo a menzionare: G. Badiali, Ordine
pubblico e diritto straniero, Milano, 1963; L. Paladin, Ordine pubblico, in Noviss.
Dig. It., Torino, 1965, XII, p. 130 ss.; G. Barile, I principi fondamentali della co-
munità statale ed il coordinamento fra sistemi (l’ordine pubblico internazionale), Ce-
dam, Padova, 1969; G.B. Ferri, Ordine pubblico, buon costume e la teoria del con-
tratto, Milano, 1970; A. Guarneri, L’ordine pubblico e il sistema delle fonti nel di-
ritto civile, Cedam, Padova, 1974; N. Palaia, L’ordine pubblico internazionale, Ce-
dam, Padova, 1974; P. Benvenuti, Comunità statale, comunità internazionale e or-
dine pubblico internazionale, Milano, 1977; G. Panza, Ordine pubblico. Teoria ge-
nerale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, p. 1 ss.; L. Lonardo, Ordine pubblico e
illiceità del contratto, Napoli, 1993; F. Mosconi, Qualche considerazione sugli effetti
dell’eccezione di ordine pubblico, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, pp. 5-14; C.F.
Emanuele, Prime riflessioni sul concetto di ordine pubblico nella legge di riforma del
diritto internazionale privato italiano, in Dir. fam., 1996, p. 326 ss.; F. Angelini, Or-
dine pubblico e integrazione costituzionale europea, Cedam, Padova, 2007; O. Fe-
raci, L’ordine pubblico nel diritto dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 2012; V.
Barba, L’ordine pubblico internazionale, in G. Perlingieri, M. D’Ambrosio, a cura
di, Fonti, metodo e interpretazione, Napoli, 2017, p. 409 ss.; P. Perlingieri, Libertà
religiosa, principio di differenziazione e ordine pubblico, in Principi, regole, interpre-
tazione. Contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore di G. Fur-
giuele, cit., I, p. 355 ss.; G. Perlingieri, G. Zarra, Ordine pubblico interno e inter-
nazionale tra caso concreto e sistema ordinamentale, ESI, Napoli, 2019.
33
Non ci convince appieno la tesi restrittiva estrema, enunciata per impostare la
soluzione di una celebre causa in materia di omogenitorialità da Cass., 30 settembre
2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, p. 181, con nota di G. Ferrando, in base alla
quale si avrebbe violazione dell’ordine pubblico solo in caso di contrasto con i va-
lori costituzionali primari, inderogabili anche per il legislatore interno e sottratti alla
stessa possibilità di revisione costituzionale. Ciò nondimeno, è chiaro che nel vigente
assetto ordinamentale non possono che essere i principi costituzionali, assieme con
quelli internazionali sovraordinati, a rappresentare, magari non l’unico, ma certo un
fondamentale punto di riferimento per la delimitazione di che cosa sia davvero “d’or-
dine pubblico”.
34
Si tratta di problematiche in gran parte nuove per un Paese come il nostro,
tradizionalmente di emigranti più che di immigrati, ma in prospettiva suscettibili di
assumere una rilevanza quantitativa e sociale anche maggiore di quella delle que-
stioni cui si è fatto cenno nelle note che precedono, e che alle stesse peraltro si ri-
connettono, in quanto è già accaduto che dall’apertura alle unioni omosessuali si sia
tentato di trarre argomenti in favore di quelle poligamiche, mentre la degiurisdizio-
nalizzazione del divorzio pone in nuova luce il tema del ripudio. Si possono vedere
al riguardo, anche per ulteriori riferimenti: M. Rizzuti, Il problema dei rapporti fa-
miliari poligamici. Precedenti storici e attualità della questione, Napoli, 2016; M. Riz-
zuti, Patti prematrimoniali, divorzi privati e multi-coniugalismo, in S. Landini, M.
Palazzo (cur.), Accordi in vista della crisi dei rapporti familiari, in Biblioteca della
Fondazione Italiana del Notariato, 2018, 1, pp. 337-354; G. Perlingieri, In tema di
rapporti familiari poligamici, in Dir. succ. fam., 2018, 3, pp. 821-849; M. Rizzuti, Or-
dine pubblico costituzionale e rapporti familiari: i casi della poligamia e del ripudio,
in Revista de Actualidad Jurídica Iberoamericana, 2019, num. spec. Derecho Privado
y Constitución, pp. 604-627. Per una recentissima vicenda giudiziaria relativa alla que-
stione della riconoscibilità degli effetti del talaq (il ripudio islamico), non ancora de-
cisa nel merito, cfr. Cass., ord. 1° marzo 2019, n. 6161, in www.dirittifondamen-
tali.it.
1
G. Vardaro, Il diritto del lavoro nel “laboratorio Weimar”, in G. Arrigo, G.
Vardaro (cur.), Laboratorio Weimar. Conflitti e diritto del lavoro nella Germania pre-
nazista, Edizioni Lavoro, Roma, 1982, p. 18.
la cui necessità era invocata da più parti, sia da quei settori più schiet-
tamente progressisti del mondo liberale – pensiamo a Weber, che parla
di fine irreversibile della “santità” che aveva fino a quel momento ca-
ratterizzato l’istituto della proprietà, o Naumann, che in sede di As-
semblea costituente teorizza apertamente il bisogno di far convergere,
combinare e portare a mediazione visioni del mondo e progetti di
società radicalmente antitetici2 – sia dalla SPD (anche detta in quella
fase, “socialdemocrazia maggioritaria” per via degli scissionisti radi-
cali dell’USPD, socialdemocrazia “indipendente”), che nella costru-
zione del Volksstaat, del nuovo “Stato popolare”, sceglie di far pro-
prio un elevato sincretismo, al fine cioè di definire un’originale po-
sizione mediana e terza tanto rispetto alle esperienze statuali borghesi
del liberalismo classico, quanto rispetto al socialismo sovietico e ter-
zinternazionalista, considerato come dispotico. Vista questa tensione
quasi strutturale al compromesso e all’amalgama tra interessi e visioni
alternativi, non è un caso se uno tra i maggiori intellettuali e scien-
ziati sociali formatisi in quell’epoca, Otto Kirchheimer, abbia quali-
ficato quella weimariana come una “costituzione senza decisione”3 e
“senza sovrano”. Con questo appellativo il politologo tedesco inten-
deva sottolineare la paralisi e l’incapacità di agire e governare i pro-
cessi sociali che avrebbe caratterizzato la giovane repubblica, e la cui
origine era da rintracciare proprio in quella codificazione costituzio-
nale dell’equilibrio fra le differenti classi sociali in lotta e i loro in-
teressi (oltre che tra la concezioni ideologiche che ne ispiravano l’a-
zione politico-sociale). La democrazia contrattata weimariana vede in-
somma come proprio elemento strutturale la dislocazione su più piani
e livelli del cosiddetto “principio di parità”4.
2
S. Mezzadra, Lavoro e Costituzione nel laboratorio Weimar. Il contributo di
Hugo Sinzheimer, in Scienza&Politica, 2000, pp. 22 ss.
3
O. Kirchheimer, Weimar, e poi? (1929), in A. Scalone (cur.), O. Kirchheimer,
Potere e conflitto. Saggi sulla Costituzione di Weimar, Mucchi, Modena, 2017.
4
G. Rusconi, La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia, Einaudi,
Torino, 1977, pp. 5-74.
5
M. Prospero, Il costituzionalismo e il lavoro, in Democrazia e diritto, 2008, p.
135.
6
A. Scalone, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi, Franco An-
geli, Milano, 1996.
7
M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Rivista di diritto co-
stituzionale, 1996, pp. 160-161.
8
G. Arrigo, Teorie ideologie politiche e sindacali nella Repubblica di Weimar.
Dalla “democrazia consiliare” alla “democrazia economica”, in Rivista di Studi Po-
litici “S. Pio V”, 2018, p. 103.
9
E. Frankael, Democrazia collettiva, in G. Arrigo, G. Vardaro (cur.), Laborato-
rio Weimar, cit.
10
P. Schmitter, Ancora il secolo del corporativismo?, in M. Maraffi (cur.), La so-
cietà neocoporativa, il Mulino, Bologna, 1984.
11
E. Weissel, L’internazionale socialista e il dibattito sulla socializzazione, in
Aa.Vv., Storia del marxismo, vol. 3/I, Einaudi, Torino, 1980.
12
Si veda, a tal proposito, C.M. Herra, Hermann Heller, constitutionnaliste so-
cialiste, in C.M. Herrera (cur.), Les juristes de gauche sous la République de Wei-
mar, Éditions Kimé, Paris, 2002; R. Cavallo, Hermann Heller e lo Stato sociale di
diritto, in M. Gambilonghi, A. Tedde (cur.), Tra Stato, economia e sovranità popo-
lare. Momenti e percorsi della democrazia sociale, in corso di pubblicazione; O.
Jouanjan, Hermann Heller: penser l’État de droit démocratique et social en situation
de crise, in Civitas Europa, 2016, pp. 11-25.
13
G. Vardaro, Il diritto del lavoro nel “laboratorio Weimar”, cit., p. 13.
14
S. Mezzadra, Lavoro e Costituzione nel laboratorio Weimar, cit., p. 31.
15
C. M. Herrera, Constitution et social-démocratie à Weimar. Pour une periodi-
sation, in Id., (cur.), Les juristes de gauche sous la République de Weimar, Éditions
Kimé, Paris, 2002, p. 37.
16
H. Sinzheimer, La democratizzazione del rapporto di lavoro (1928), in G. Ar-
rigo, G. Vardaro (cur.), Laboratorio Weimar,cit., p. 68.
17
Ivi, p. 61.
18
A. Cantaro, La costituzionalizzazione del lavoro. Il secolo lungo, in G. Casa-
dio (cur.), I diritti sociali e del lavoro nella Costituzione italiana, Ediesse, Roma,
2006.
19
H. Sinzheimer, La democratizzazione del rapporto di lavoro, cit., p. 62.
20
Ivi., p. 63.
21
Ivi., p. 66.
22
Ivi., p. 64.
23
H. Sinzheimer, La crisi del diritto del lavoro, cit., p. 84.
24
G. Arrigo, Teorie e ideologie politiche e sindacali,cit., p. 101.
25
Ivi.
26
Ibid.
27
H. Sinzheimer, L’Europa e l’idea di democrazia economica (1925), in Quaderni
di azione sociale, 1994, p. 73.
28
Ivi.
29
H. Sinzheimer, La democratizzazione del rapporto di lavoro, cit., p. 78.
30
H. Sinzheimer, La crisi del diritto del lavoro, cit., p. 86.
31
Ivi.
32
Per i termini di questo dibattito, si rimanda a M. Telò, Teoria e politica del
piano nel socialismo europeo tra Hilferding e Keynes, in Aa.Vv., Storia del marxi-
smo, vol. 3/II, Einaudi, Torino, 1981.
33
S. Mezzadra, Lavoro e Costituzione nel laboratorio Weimar, cit., pp. 37 ss.
34
G. Vardaro, Il diritto del lavoro nel “laboratorio Weimar”, cit., pp. 22-24.
1
M. Brunclík, Problem of early elections and dissolution power in the Czech Re-
public, in Communist and Post-Communist Studies, 2013, p. 217.
2
La Costituzione del 1920, unica nel suo genere nell’Europa centro-orientale di
quel tempo, ‘riprende’, seppur con diversi meccanismi di razionalizzazione, la forma
di governo della III Repubblica francese.
3
Sul punto v. M. Ganino, Presidenti e governi nell’evoluzione costituzionale del-
l’Europa dell’Est (Polonia, Romania, Ungheria e Russia), in Nomos, 1997, pp. 81 ss.
4
A. Di Gregorio, I tormenti della forma di governo ceca tra profili europei e
rimescolamenti interni, in federalismi.it, 2010, p. 2 ss. In merito alla fine della ditta-
tura comunista ed alla graduale introduzione di un regime liberal-democratico nello
Stato ceco v. le considerazioni espresse da M. Troisi, Le elezioni europee 2014 in Re-
pubblica ceca: a dilagare è l’astensionismo, in federalismi.it, 2014.
5
M. Troisi, op. cit., p. 2.
6
M. Brunclík, op. cit., p. 221.
7
M. Brunclík, op. loc. cit.
8
La Camera bassa è composta di 200 deputati, è eletta con un sistema propor-
zionale per una durata di quattro anni, mentre il Senato, costituito da 81 senatori,
eletti con metodo maggioritario in collegi uninominali, si rinnova ogni sei anni (ma
un terzo dei componenti si rinnova ogni due).
9
L’asimmetria del sistema parlamentare ceco risulta anche dal fatto che, in confor-
mità all’art. 33 della Costituzione, qualora sia stata sciolta la Camera dei deputati, il
Senato può approvare le leggi, fatta eccezione per alcune materie (legge elettorale,
trattati internazionali, bilancio dello Stato, ecc.), realizzando così la c.d. legislazione
di sostituzione o di emergenza.
10
Questa pratica è in netto contrasto con il parlamentarismo positivo, in cui il
parlamento deve approvare, con voto positivo, il nuovo governo che viene sempli-
cemente nominato dal Capo dello Stato.
11
Se il nuovo esecutivo non riesce ad ottenere tale fiducia, allora il Presidente
della Repubblica nomina un nuovo governo, il quale deve seguire la medesima prassi
appena descritta. In caso di fallimento anche di questo secondo governo, il Presi-
dente deve nominare, come Primo ministro, la persona indicata dal Presidente della
Camera dei deputati. Se anche questa nomina fallisce, il Capo dello Stato può scio-
gliere il parlamento e indire nuove elezioni.
12
C. Nikolenyi, Coordination problem and grand coalition: the puzzle of the go-
vernment formation game in the Czech Republic, 1998, in Communist and Post-
Communist Studies, 2003, p. 334.
13
M. Brunclík, op. cit., p. 222.
14
M. Brunclík, op. loc. cit.
tale): si pensi che dal 1992 al 2013 nel Paese si sono succeduti 12 go-
verni, la cui durata media non ha superato i due anni15. Nei para-
grafi che seguono si tenterà di ricostruire le principali ragioni che
hanno determinato questa situazione di debolezza ed instabilità go-
vernativa.
15
M. Brunclík, op. loc. cit.
16
C. Nikolenyi, op. cit., p. 327; M. Brunclik, op. cit., p. 221.
17
Il numero medio effettivo di partiti è di 3.86.
18
M. Brunclík, op. loc. cit.
19
L. Kopeček, Dealing with the communist past: Its role in the disintegration of
the Czech Civic Forum and in the emergence of the Civic Democratic Party, in
Communist and Post-Communist Studies, 2010, p. 199 s.; D. Hough, V. Handl, The
post-communist left and the European Union. The Czech Communist Party of Bohe-
mia and Moravia (KS»M) and the German Party of Democratic Socialism (PDS), in
Communist and Post-Communist Studies, 2004, p. 320 ss.
20
L. Kopeček, op. cit., p. 200.
21
M. Brunclík, op. loc. cit. Sul punto v. L. Kopeček, P. Pšeja, Czech Social De-
mocracy and its “cohabitation” with the Communist Party: The story of a neglected
affair, in Communist and Post-Communist Studies, 2008, p. 318, i quali ricordano
come nei Paesi dell’Europa centro-orientale i partiti di sinistra rappresentano, spesso,
i successori degli ex partiti comunisti, con una importante eccezione: il partito so-
cialdemocratico ceco segue la tradizione storica della socialdemocrazia sin dal pe-
riodo pre-comunista ed è diventato il principale partito della sinistra
22
V. Havlík, A breaking-up of a pro-European consensus: Attitudes of Czech po-
litical parties towards the European integration (1998-2010), in Communist and Post-
Communist Studies, 2011, p. 133.
23
M. Brunclík, op. loc. cit.
24
S. Benvenuti, Sviluppi costituzionali e della forma di governo nella Repubblica
ceca alla luce delle elezioni della Camera dei deputati dell’ottobre 2017. Il persistere
di difficoltà storiche e loro rilevanza europea nell’attuale contesto storico, in Nomos,
2018, p. 4 s.
25
In tema v. M. Mazza, La crisi politico-istituzionale nella Repubblica ceca: pro-
fili costituzionalistici, in dpceonline.it, 2017, p. 544.
26
M. Mazza, op. loc. cit.
27
M. Mareš, Czech extreme right parties an unsuccessful story, in Communist
and Post-Communist Studies, 2011, p. 295; C. Williams, Problems of transition and
the rise of the radical right, in S.P. Ramet (cur.), The Radical Right in Central and
Eastern Europe since 1989, The Pensylvania State University Press, University Park,
Pennsylvania 1999, pp. 29 ss.
28
M. Mareš, op. loc. cit.
29
M. Mareš, op. loc. cit. Sul punto v. J. Smolík, Far right-wing political parties
in the Czech Republic: heterogeneity, cooperation, competition, in Slovak Journal of
Political Sciences, 2011, p. 108, (consultabile al Link: www.revue.kpol.ff.ucm.sk/roc-
nik-11/cislo-2/smolik_studia.pdf), secondo il quale il numero di elettori maschi gio-
vani elettori tradizionali è diminuito a causa dei cambiamenti demografici, il che po-
trebbe aver inciso, in negativo, sull’avanzamento dei partiti di destra.
30
M. Mareš, op. cit., p. 295 s., secondo il quale allo stato attuale si possono solo
fare congetture circa i possibili sviluppi dei partiti di destra: in primis, essi potreb-
bero rimanere nella loro posizione attuale, completamente marginale, a causa delle
continue metamorfosi organizzative; in secondo luogo, l’elettorato di estrema destra
potrebbe “spostarsi” verso altri movimenti estremisti, creati ad hoc per intercettare
tali voti; l’estrema destra potrebbe acquisire maggiore presenza in alcune regioni,
eventualmente diffondendosi anche a livello nazionale, ma questo potrebbe avvenire
solo in un momento di crisi accentuata; infine, un nuovo movimento sovranista po-
trebbe imporsi quale espressione della nuova destra populista, insediandosi così a li-
vello parlamentare, mentre l’estrema destra dogmatica potrebbe rimanere confinata
in una posizione marginale al suo fianco.
31
S. Benvenuti, op. cit., p. 3.
32
Si rammenti che dal 1996, anno delle prime elezioni successive alla dissolu-
zione della Cecoslovacchia, fino alle elezioni del 2013, il partito civico democratico
(ODS, centro-destra liberale) e il partito socialdemocratico (ČSSD) sono stati sta-
bilmente i principali partiti del Paese.
33
In tal senso S. Benvenuti, op. cit., p. 5.
34
M. Mazza, op. loc. cit.
35
M. Mazza, op. cit., p. 545.
36
A. Di Gregorio, op. cit., p. 5.
37
A. Di Gregorio, op. cit., p. 24.
38
A. Di Gregorio, op. cit., p. 26.
39
A. Di Gregorio, op. cit., p. 25.
40
C. Nikolenyi, op. cit., p. 327.
41
Il sistema proporzionale non riguarda il Senato, per le cui elezioni si applica
il principio maggioritario; tra l’altro, il governo non è comunque legato da un rap-
porto di fiducia al Senato.
42
S. Benvenuti, op. cit., p. 8.
43
S. Benvenuti, op. cit., p. 9.
44
C. Nikolenyi, op. loc. cit.
45
A. Di Gregorio, op. cit., p. 3.
46
A. Di Gregorio, op. cit., p. 25.
47
In tema v. M. Stegmaier, K. Vlachová, The parliamentary election in the Czech
Republic, May 2010, Notes on Recent Elections, in Electoral Studies, 2011, pp. 238 ss.
48
S. Benvenuti, op. cit., p. 10.
49
S. Benvenuti, op. loc. cit.
50
M. Brunclík, op. cit, p. 218.
51
M. Brunclík, op. loc. cit.
52
I Paesi che hanno conservato la monarchia parlamentare, quale forma di go-
verno, non hanno dovuto affrontare il problema dell’individuazione di quali poteri
assegnare ai Capi di Stato. In questi Paesi, il potere del monarca è stato sempre più
vincolato da convenzioni costituzionali: si pensi al Regno Unito ed alla Norvegia,
nonché alle ‘nuove’ Costituzioni, quali quelle della Svezia o della Danimarca. In
molti Stati, il monarca possiede solo un potere simbolico, essendo il suo potere si-
gnificativamente ridotto. In tema v. M. Brunclik, op. loc. cit.
53
Il parlamentarismo classico, accolto dalla Costituzione cecoslovacca del 1920,
era stato ovviamente sostituito, durante il periodo socialista, dal modello sovietico
di rappresentanza popolare, pur se con alcune particolarità, quali specialmente la fi-
gura istituzionale del Capo dello Stato monocratico, in luogo della Presidenza col-
legiale tipica dei regimi socialisti. Dopo la conclusione dell’esperienza socialista, la
forma di governo della Repubblica Ceca ha nuovamente assunto le caratteristiche
del parlamentarismo, ricollegandosi idealmente alla tradizione costituzionale del te-
sto del 1920.
54
S. Benvenuti, op. cit., p. 7.
55
In ogni caso, la collaborazione del Capo dello Stato con altri organi, Senato
e Camera dei deputati in primis, è necessaria per l’esercizio di gran parte delle com-
petenze non controfirmate. Sul punto v. S. Benvenuti, op. loc. cit.
56
La vaghezza di certe disposizioni costituzionali, che potrebbero avere decli-
nazioni maggiormente favorevoli al Capo dello Stato, è confermata dal frequente in-
tervento della Corte costituzionale, chiamata a dettare la corretta attribuzione di pre-
rogative contese tra governo e Presidente della Repubblica. Talvolta la Corte costi-
tuzionale si è espressa in senso favorevole al Presidente, come nel caso della nomina
del presidente della Banca centrale, mentre altre volte ha dato ragione al governo o
ad altri organi, come nel caso della revoca dei giudici. Sul punto v. A. Di Gregorio,
op. cit., p. 3 s.
57
J. Sawicki, Le elezioni europee nella Repubblica Ceca, in federalismi.it, 13-Spe-
ciale “Elezioni europee 2004”, p. 2.
58
Sul punto v. A. Di Gregorio, op. cit., p. 4.
59
A. Di Gregorio, op. loc. cit.
60
M. Brunclík, op. cit., p. 222.
61
In tal senso A. Di Gregorio, Repubblica ceca: sui tentativi di protagonismo del
capo dello Stato prevale la volontà dei partiti, in Quaderni costituzionali, 2013, p.
994. Sul punto v. anche A. Di Gregorio, I tormenti della forma di governo ceca, cit.,
p. 26, la quale sottolinea come il secondo Presidente ceco, eletto per il suo primo
mandato nel 2003, anche se inizialmente sembrava che avesse accettato la concezione
del ruolo presidenziale limitato secondo una logica strettamente parlamentare, col
tempo, sconfessando una prassi che egli stesso aveva contribuito a creare quando era
Primo ministro (tra il 1992 e il 1997) opponendosi a tutti i tentativi di protagoni-
smo di Havel, ha cercato di imporre una visione diversa del proprio ruolo. Nello
specifico il Presidente Klaus si è rifiutato di nominare un ministro che non gli era
gradito (quello dell’industria, con la scusa che non conosceva l’inglese), ha proce-
duto a nomine di giudici costituzionali non gradite al Senato, ha fatto un uso attivo
ed ideologico del veto legislativo, ha fatto spesso ricorso alla Corte costituzionale
(che ha dovuto più volte porre dei freni al suo interventismo), ha fatto anche ri-
corso alla possibilità di non firmare una legge adottata dal parlamento.
62
M. Brunclík, op. loc. cit.
63
La Costituzione del 1920 non fornì al Presidente forti poteri formali, ma il
potere e l’influenza politica complessiva superarono ampiamente il ruolo che era
stato inizialmente assegnato al Presidente dalla Costituzione. Il Capo dello Stato re-
pubblicano godette di grande prestigio, in parte ereditato dai monarchi nel periodo
precedente al 1918, in parte rafforzato dal rispetto che venne attribuito ai Presidenti,
i quali furono protagonisti della lotta per la Cecoslovacchia indipendente durante la
Prima guerra mondiale. Sul punto v. M. Brunclik, op. cit., p. 221 s.
64
M. Brunclík, op. cit., p. 222.
65
M. Brunclík, op. loc. cit.
66
A. Di Gregorio, Repubblica ceca: sui tentativi di protagonismo, cit., p. 994, la
quale rammenta come in caso di crisi politiche che provocano debolezza dell’esecu-
tivo il Capo dello Stato possa comunque ingerirsi nel gioco politico, cosa che ha
sempre fatto, a prescindere dall’elezione diretta.
67
S. Benvenuti, op. cit., p. 17; M. Brunclík, M. Kubát, The Czech Parliamen-
tary Regime After 1989: Origins, Developments and Challenges, in Acta Politologica,
2016, p. 5; M. Kubát, J. Kysela, L’élection du Président au suffrage direct en Répu-
blique tchèque: beaucoup de paroles, peu d’arguments, in Revue Est Europa, 2013,
pp. 231-245; J. Kudrna, The Question of Conducting Direct Elections of the Presi-
dent of the Republic in the Czech Republic, in Jurisprudencija-Jurisprudence, 2011,
p. 1313.
68
M. Brunclík, M. Kubát, op. cit, p. 19 s.
69
S. Benvenuti, op. cit., p. 17 ss.
70
M. Brunclík, op. cit., p. 217.
71
S. Benvenuti, op. cit., p. 11.
72
S. Benvenuti, op. loc. cit.
73
Secondo C. Nikolenyi, op. cit., p. 341 s., il caso ceco insegna che anche un
leader di Stato formalmente debole può svolgere un ruolo molto importante nel pla-
smare il risultato finale del gioco di formazione governativa. In virtù del decidere
quale gruppo di parti invitare a partecipare al processo di formazione del governo,
il Presidente è stato in grado di eliminare un certo numero di risultati che, in teo-
ria, potevano emergere come possibili equilibri.
74
S. Benvenuti, op. loc. cit.
75
Si tratta, nella sostanza, di un caso di scuola che evidenzierebbe un conflitto
inter-organico e solo in due occasioni tale termine è stato superato di pochi giorni.
Sul punto v. S. Benvenuti, op. cit., p. 12.
76
In un primo caso, si pensi al primo governo Topolánek, il quale, dopo la man-
cata fiducia nell’ottobre 2006, è rimasto in carica con funzioni di ordinaria ammini-
strazione per altri tre mesi, fino alla nomina del nuovo governo di coalizione, an-
ch’esso guidato da Topolánek. In un secondo caso si può ricordare il governo Ru-
snok, il quale, dopo la mancata fiducia nell’agosto 2013, è rimasto in carica sino alle
elezioni anticipate dell’ottobre ed oltre, a causa delle difficoltà di formazione del
nuovo governo Sobotka (che sarebbe entrato in carica solo nel gennaio successivo);
dunque, il governo, al quale la Camera aveva precedentemente negato la fiducia, è
rimasto in carica per oltre sei mesi. Sul punto v. S. Benvenuti, op. cit., p. 13.
77
S. Benvenuti, op. loc. cit.
78
S. Benvenuti, op. cit., p. 14.
79
In tal senso S. Benvenuti, op. loc. cit.
80
M. Brunclik, op. loc. cit.
81
Invero, in alcune Repubbliche parlamentari, con Capi di Stato eletti in via di-
retta o indiretta, il diritto di scioglimento parlamentare è concepito esclusivamente
come valvola di sicurezza. In questi Paesi, i governi possono influenzare lo sciogli-
mento parlamentare solo indirettamente, in situazioni di crisi, tramite gruppi parla-
mentari, mentre in Ungheria, Macedonia, Repubblica Ceca e Polonia ciò può avve-
nire tramite la c.d. “auto-dissoluzione” del parlamento
82
M. Brunclik, op. cit., p. 223.
83
S. Benvenuti, op. cit., p. 16.
84
M. Brunclik, op. cit., p. 223.
85
Così M. Brunclik, op. cit., p. 217.
86
S. Benvenuti, op. cit., p. 7.
87
M. Brunclik, op. cit., p. 221.
88
S. Benvenuti, op. cit., p. 6.
89
M. Brunclik, op. cit., p. 223.
90
M. Brunclik, op. cit., p. 217 ss.
91
M. Brunclik, op. loc. cit.
92
In tema v. A. Roberts, Czech democracy in the eyes of Czech political scien-
tists, in East European Politics, 2017, p. 566; M. Brunclik, op. cit., p. 218.
93
S. Benvenuti, op. cit., p. 13.
94
In tema v. S. Benvenuti, op. cit., p. 21.
95
Anche la Corte costituzionale (C. cost. Rep. Ceca, sent. del 9 febbraio 2010),
ha più volte affermato la natura parlamentare della forma di governo.
96
A. Di Gregorio, op. ult. cit., p. 996.
97
S. Benvenuti, op. cit., p. 6.
98
S. Benvenuti, op. cit., p. 15 s.
99
V. amplius S. Benvenuti, op. cit., p. 16.
100
M. Mazza, op. cit., p. 549.
101
S. Benvenuti, op. loc. cit.
102
L. Rovná, Constitutionalizing The European Union: The Lisbon Treaty And
The Czech Republic A Complicated Story With An open ending, in L’Europe en for-
mation, 2011, p. 102.
103
L. Rovná, op. cit., p. 106.
104
P. Drulák, National and European identities in EU enlargement: views from
Central and Eastern Europe, Institute of International Relations, Praga, 2001, p. 15.
105
P. Bugge, České vnímání perspektivy členství v EU - Havel versus Klaus
(Czech Perception of the Perspective of Eu Membership), in Politologická revue, 1998,
p. 103.
106
Sul punto v. S.L. Wolchik, Czechoslovakia in transition: Politics, economics
and society, Pinter Publishers, London, 1991.
107
L. Rovná, op. cit., p. 104.
108
In occasione di tale discorso il Presidente Havel propose la creazione di una
Costituzione europea, idea che fu accolta con grande calore dai membri del Parla-
mento europeo.
109
K. Šafaříková, Václav Havel ve Štrasburku opět navrhl některé změny Evro-
pské Unie (Václav Havel again Suggested Some Changes of the EU), in Lidové no-
viny, 17 febbraio 2000, p. 3; L. Rovná, op. loc. cit.
110
J. Sawicki, Repubblica ceca elezioni europee 2009: alla ricerca della ragione
nell’instabilità, in federalismi.it, 2009, p. 2.
111
P. Bugge, op. loc. cit.
112
L. Rovná, op. loc. cit.
113
Il calo dell’affluenza alle urne è stato del 10 % rispetto al dato, pur basso,
manifestatosi in occasione delle elezioni europee del 2009.
114
Sul punto v. amplius M. Troisi, op. cit., p. 9.
115
Sul punto v. L. Rovná, The European Union as an External factor of the De-
mocratization Process in the Czech Republic, in D. Berg-Schlosser, R. Vetik (cur.),
Perspectives on Democratic Consolidation in Central and Eastern Europe, Columbia
University Press, New York, 2001.
116
S. Benvenuti, op. cit., p. 22.
117
In tal senso S. Benvenuti, op. loc. cit.
118
M. Brunclik, op. cit., p. 225.
119
M. Brunclik, op. loc. cit.
120
Cfr. F. Clementi, Garante o governante?, La figura del Capo dello Stato nella
recente esperienza dei Paesi dell’Unione europea a regime repubblicano, in Dir. pubbl.
comp. eur., 2016, p. 634.
121
In tal senso F. Clementi, op. cit., p. 635 e p. 637 ss.
122
Cfr. F. Clementi, op. cit., p. 637.
123
M. Brunclik, op. loc. cit.
124
M. Brunclik, op. loc. cit.
125
M. Brunclik, op. loc. cit.
126
S. Benvenuti, op. cit., p. 2.
127
M. Mazza, op. cit., p. 543.
128
M. Mazza, op. cit., p. 546.
129
M. Mazza, op. cit., p. 550.
130
S. Benvenuti, op. cit., p. 20.
131
A. Di Gregorio, op. ult. cit., p. 995; S. Benvenuti, op. cit., p. 6.
132
M. Brunclik, op. loc. cit.
133
S. Benvenuti, op. cit., p. 20.
134
A. Di Gregorio, Riforme costituzionali e integrazione europea: il caso dei nuovi
membri dell’Est, in Dir. pubbl. comp. eur., 2004, p. 2070.