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Il cinema. percorsi storici e questioni teoriche

Storia e critica del cinema SC (i) (Università degli Studi di Verona)

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DAL CINEMATOGRAFO AL CINEMA


Il fenomeno internazionale

• La nascita del cinema viene fatta comunemente risalire alla prima proiezione pubblica a
pagamento del Cinématographe Lumière nel 1895. In realtà la presentazione del dispositivo di
ripresa che i fratelli Lumière avevano inventato e brevettato è successiva ad altre invenzioni e
brevetti. L’avvento del cinematografo è un fenomeno internazionale, non riferibile a una sola
persona e neanche a una sola data.
• La diffusione di proiezioni collettive, accompagnate da musica e commenti dal vivo, segue una
serie di precedenti di visione individuale (ad esempio il kinetoscopio) e avviene in fiere ambulanti e
soltanto in seguito in sale deputate (definite nickelodeons). Il cinematografo è legato ad altri
spettacoli di intrattenimento e forme culturali (come la magia, il circo, la fotografia, il teatro).

Modi di rappresentazione

• Molti critici distinguono nettamente le rappresentazioni delle primissime fasi del cinema e quelle
successive.
• Ad esempio Noël Burch parla di Modo di rappresentazione primitivo (MRP) riguarda i primi anni
del cinematografo e non è legato a finalità narrative e un Modo di rappresentazione istituzionale
(MRI) che lavora invece sulla linearità del percorso narrativo.
• In generale i critici parlano di una prima fase in cui le rappresentazioni sono costruite su attrazioni
mostrative e una successiva in cui c’è un’integrazione narrativa. Il primo è in vigore dal 1895 al
1908 e il centro della sua rappresentazione non è l’interesse narrativo, e non c’è continuità. Le
inquadrature, sia unipuntuali (unica inquadratura) che pluripuntuali sono autonome, senza un
messaggio continuo. L’obiettivo è mostrare i singoli elementi e il loro potere attrattivo. Un esempio
è The Kiss prodotto dalla Edison: un bacio in piano ravvicinato, considerato osceno perché
ingrandito. Il piano ravvicinato ricorrerà spesso in una serie di film. Progressivamente si definiscono
generi ben determinati (gag comica, fantascienza, ecc.) e il racconto di fatti e storie grazie
all’integrità narrativa (a partire dal 1908 fino al 1914). Questa fase è intermedia, prima dell’assetto
classico del cinema che arriva nella seconda metà del decennio, dove il racconto è l’interesse
primario. Per questo scopo si aveva bisogno di raccordi tra inquadrature e una macchina da presa
mobile.
• Il cinema statunitense e Griffith furono essenziali nella formazione del cinema istituzionale,
mentre lo sviluppo di forme di produzione e rappresentazione nuove si deve al cinema europeo e
italiano. Un esempio è l’avvento del lungometraggio, prima in Europa e poi in America.

Il cinema muto italiano e Cabiria

• Il cinematografo si sviluppa in Italia nel 1896. Viene inserito in diverse attrazioni e spettacoli e
soltanto dopo come evento autonomo. Dal 1905 si diffondono le sale cinematografiche e nascono
società cinematografiche, come L’Alberini&Santoni (che diventerà poi Cines) che nello stesso anno
realizza La presa di Roma, considerato il primo film italiano a soggetto. Le varie case
cinematografiche si specializzano anche in generi o filoni. La Cines propone al pubblico film con
contenuti più colti: i film d’arte, che avevano soggetti storico-letterari. Un ulteriore cambiamento è
aumentare la lunghezza del film: nasce il lungometraggio nel 1911.
• Cabiria di Giovanni Pastrone: D’Annunzio sponsorizza questo kolossal (film epico e colossale)
attribuendosi il merito del film, quando invece ha soltanto firmato le didascalie e suggerito i nomi
dei protagonisti. Lo scopo era promozionale. Cabiria è un innovativo racconto storico di avventure
in cui ci sono momenti attrazionali autonomi ma anche in relazione all’ambiente, allo spazio. È

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molto importante la profondità e la tridimensionalità, data dall’uso del carrello. Questo film
fornisce un modello stilistico e narrativo per il cinema americano.

Le ricerche dei paesi nordici

• Il Nord Europa è un’area produttiva del cinema di inizio secolo. In Danimarca nasce nel 1906 la
Nordisk Film, casa di produzione che esporta film in tutto il mondo e che si specializza in trame
poliziesche e melodrammi. Entra in crisi dopo la Prima guerra mondiale, e l’unico autore che
continua a lavorarci è Carl Theodor Dreyer.
• In Svezia il cinema si sviluppa un po’ dopo, verso la metà degli anni Dieci con Victor Sjöström e
Mauritz Stiller.
• Sjöström era inizialmente un attore teatrale, che passa poi al cinema. Il suo primo film, Il
giardiniere, è censurato in Svezia a causa di una scena di suicidio. Inizialmente intraprende la strada
del realismo, che poi abbandona per intraprendere quella del racconto fantastico. Il carretto
fantasma è la storia di un uomo violento e alcolizzato (interpretato dallo stesso regista) che è
costretto a diventare uno spettro dopo la morte e cerca di redimersi. Il film apre al regista le porte
di Hollywood.
• Stiller è regista di opere dal tono solenne, epico. Una di queste è La leggenda di Gösta Berling, un
melodramma barocco e avventuroso. A differenza del primo regista, non troverà a Hollywood la
strada per il successo.

David W. Griffith

• Il regista è noto come padre del cinema. In un articolo del New York Dramatic Mirror pubblica un
annuncio autopromozionale in cui rivendica di aver fondato la tecnica moderna. Si attribuisce
molte intenzioni, non tutte riconducibili a lui, come le figure ingrandite in primo piano, le
inquadrature a distanza, la suspense ecc. Il suo scopo però non è rivendicare una proprietà di tipo
legale, ma artistica: una authorship in riferimento ai singoli film. Questo da al regista una funzione
precisa, prima invece era un ruolo vago.
• Il ruolo del regista necessita una funzione di supervisione e di organizzazione del lavoro. Ne
consegue spesso una divisione dei compiti, simile al modo di produzione hollywoodiano.
• L’importanza di Griffith riguarda soprattutto la nuova concezione stilistica e narrativa: Nel film
The Adventures of Dollie il regista dà a ogni singola inquadratura un senso solo se in relazione a
quella precedente e successiva. Ognuna di queste 13 inquadrature è ripresa da un’angolazione
diversa. Griffith stabilisce quindi la continuità dell’azione.
• Nel periodo in cui lavora alla Biograph produce moltissimi film e si interessa alla costruzione di
azioni parallele. Nel film The Lonely Villa la suspense è generata da due azioni contemporanee: i
ladri cercano di entrare in una casa, il protagonista cerca di tornare in tempo per salvare moglie e
figlia nella casa. Questa tecnica sarà poi detta montaggio alternato. Il film Enoch Arden segna il
passaggio dai film a un rullo a quelli a due rulli. Griffith sviluppa un’attenta composizione formale
dell’inquadratura e i personaggi sono sempre più messi a fuoco. Il primo piano porta gli attori a
cambiare in loro modo di recitazione teatrale. Oltre ad aumentare la durata aumenta anche la
componente spettacolare: molto diffusi i film western o dedicati alla guerra civile americana: ad
esempio The Massacre ha come tema un massacro dei bianchi a un villaggio di nativi americani e la
successiva vendetta indiana.
• Griffith non è un innovatore isolato nel cinema americano: ricordiamo anche Allan Dwan che
collaborerà con lui nel progetto Nascita di una nazione e Cecil B. DeMille che nel film The Squaw
Man inaugura la tradizione di girare nella zona allora semidesertica di Hollywood.

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La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer

• Tra le molte opere che chiudono idealmente la stagione del muto c’è La passione di Giovanna
d’Arco del regista danese Carl Theodor Dreyer. Il film rappresenta una vicenda nota, ma
rielaborata. Dreyer limita il dialogo tra Giovanna e i giudici, rende l’ambiente scarno (pareti bianche
e spoglie).
• Realizza i primi piani scorrevoli: movimento continuo della cinepresa che passa dal primo piano
ad un piano medio o generale. È un modo di rendere il piano generale come primo piano, con
assenza di profondità e prospettiva. Dreyer schiaccia la terza dimensione.
• Grazie al primo piano si sofferma sulle espressioni: quelle impaurite della protagonista e quelle
ostili dei giudici. La santa è quasi sempre in primo piano e la centralità della sua inquadratura
rimanda ad una centralità morale. Invece i giudici sono ripresi dal basso o decentrati. Le
inquadrature di Giovanna sono statiche, il movimento è del volto e degli occhi e trasmette allo
spettatore emozione. Invece le inquadrature dei giudici sono dinamiche, costituite da movimenti
nervosi. Il film più che storico è considerato un poema visivo.
• Il primo piano è qui fondamentale perché non è più legato al solo effetto di attrazione ma ha
delle esigenze grammatiche. Attraverso il primo piano emerge l’anima dei personaggi.
• La tecnica attoriale è pensata per il cinema e non è influenzata da caratteri teatrali.

La nascita del documentario

• Tra il 1913 e il 1918, l’esploratore americano Robert J. Flaherty gira con una cinepresa due
spedizioni nell’estremo Nord americano. Il tentativo di fare un film fallì, ma il regista ottiene da una
compagnia il permesso di realizzarne uno nuovo.
• Nasce quindi Nanuk l’eschimese, un film che negli Stati Uniti suscitò diffidenza del pubblico e
indifferenza della critica ma avrà successo in Europa. In questo film viene esaltata la natura dei
paesaggi ma anche dei gesti, dei riti sociali o culturali. Il regista è osservatore e narratore, e
nonostante il genere sia un documentario Flaherty sceglie di seguire una leggera linea narrativa
(data ad esempio dalla scelta di un protagonista).
• Moana è girato in Polinesia e dedicato ai riti di una comunità indigena. Qui la costruzione
romanzata è ancora più accentuata che in Nanuk (c’è un intreccio d’amore). Il film ha meno
successo: in Nanuk colpisce la lotta per la sopravvivenza, la sfida continua, mentre Moana sembra
essere ambientato in un paradiso terrestre, e non c’è quella stessa tensione.
• Il critico Grierson apre un dibattito sul documentario perché oltre che un’opera documentaristica
(è infatti il resoconto visivo della vita quotidiana di una giovane polinesiana) la definisce un’opera
con grande valore estetico, con una prospettiva pittorica, fotografica ed anche filosofica.

Thomas Alva Edison


Oltre ad essere l’inventore del fonografo e simbolo dell’American Dream (quindi del progresso e
dell’innovazione, nato povero muore celebre e miliardario) contribuisce alla nascita e allo
sviluppo del cinema. Comincia a lavorare con Dickson dal 1888 e dà una prima dimostrazione
pubblica del kinetoscopio: un apparecchio dedicato alla riproduzione di immagini. Proiettarono il
film Blacksmithing Scene che vede tre fabbri al lavoro. Questo tipo di proiezione era rivolta a un
singolo spettatore per volta, che si doveva chinare su una cassa di legno e guardare nel mirino.
Nascono diverse sali per i kinetoscopi.

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Lumière e Méliès
I primi lavori dei fratelli Lumière e quelli di Méliès (artista francese, mago di professione) sono
visti come diversi. I primi sono un modello del futuro cinema realista, il secondo è un modello
per la fiction e il racconto spettacolare. I Lumière avevano commercializzato il cinématographe,
macchina che si occupava di ripresa, stampa dei positivi e proiezione. Dunque gli spettatori sono
attratti dall’idea del movimento, dallo scorrere del tempo, dalle scene quotidiane, tanto che ogni
cosa diviene attrazione. Méliès si sofferma invece sullo spettacolo, la teatralità, la fantasticheria,
tanto che in alcuni film mette in scena illusionismi e numeri di magia uguali ai suoi spettacoli
teatrali.
Erich von Stroheim
Definito “autore maledetto” frequenta la scuola di Griffith e lo ritiene un modello. Da lui
riprende l’attenzione al dettaglio, il primo piano, la caratterizzazione dei personaggi femminili, il
carattere epico. Ambienta i suoi film nell’alta società europea, i personaggi sono solitamente
malvagi e corrotti. Il suo cinema è caratterizzato da un forte realismo e un’osservazione che
sfocia nel feticismo. La componente erotica va oltre il limite concesso dal codice di Hollywood.
Uno dei suoi capolavori è Femmine folli, un film molto costoso. Ricostruirono il Casino di
Montecarlo. La vicenda ruota attorno il ricatto di tre finti nobili per estorcere del denaro alla
moglie dell’ambasciatore americano.
The Great Train Robbery
Uno dei film statunitensi più interessanti dell’inizio 1900 è The Great Train Robbery (Assalto al
treno) di Edwin S. Porter. Ispirato a un fatto di cronaca, da un lato raccoglie temi in voga in quel
periodo (come l’interesse per il viaggio ferroviario o il mito selvaggio del West) dall’altro
inserisce elementi innovativi (il genere dell’inseguimento). Racconta una rapina a un treno e poi
la fuga e la cattura dei banditi. Il racconto procede con la descrizione di un’azione alla volta, con
singole riprese autonome per un’azione, per poi passare a un’altra, spesso contemporanea. La
ripresa che colpisce di più è quella del bandito che in primo piano spara verso l’obiettivo, quindi
verso lo spettatore.

Il serial
Tra i generi del cinema muto degli anni Dieci c’è il serial, un racconto in episodi di genere
melodrammatico e avventuroso. Il primo fu prodotto negli Stati Uniti, ed era intitolato What
Happened to Mary: racconta di una ragazza giovane ed orfana che deve affrontare situazioni
pericolose a New York. Erano dodici episodi, ognuno autonomo, e solo alla fine scopriamo che il
patrigno voleva prendere la sua eredità. Si diffonde il genere fino ad arrivare al modello
cliffhanger, dove ogni episodio doveva essere concatenato e terminare nel momento in cui
l’azione era al culmine (generalmente la protagonista donna si trovava in una situazione di
pericolo). Le protagoniste erano le serial queens, eroine coraggiose e indipendenti che riuscivano
a cavarsela in ogni situazione.

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PERCORSI DELL’AVANGUARDIA
Avanguardie
• Il sistema delle arti europeo nei primi del Novecento attuava una rivoluzione: ribaltava la cultura
tradizionale mettendone in discussione i principi. Il termine avanguardia indica una serie di
esperienze artistiche che hanno luogo nelle capitali europee (Mosca, Berlino, Milano…) Lo sfondo
storico è quello di un’epoca le quali tensioni sociali sfociano nella Prima guerra mondiale.
• C’è una crisi dell’arte mimetica e figurativa. Viene abbandonata l’arte con orientamento “realista”
per una nuova arte rivoluzionaria, in cui il ruolo dell’artista era quello di sperimentatore. Nelle arti
figurative cadono i canoni estetici basati sull’imitazione dei modelli del passato.
• Le avanguardie agiscono su due piani: il primo piano è il linguaggio. Il linguaggio è considerato
materia prima dell’espressione, comincia un lavoro sulla grafia, sul colore, sulla tela. L’influenza è
quella dell’irrazionalismo. Il secondo piano è quello dell’insufficienza dei singoli mezzi di
espressione: pittori, musicisti, fotografi e registi cominciano a condividere progetti comuni,
attuando opere d’arti “totali”.
• Molti artisti d’avanguardia si interessano quindi al cinema, al concetto di immagine in
movimento.

Italia
• Il poeta Marinetti lancia nel quotidiano francese Le Figaro il primo appello per la creazione di
un’arte nuova, ispirata al dinamismo della vita moderna.
• Troviamo la stessa esigenza di rinnovamento e lo stesso disprezzo per l’imitazione del passato nel
Manifesto dei pittori futuristi. I rapporti tra futurismo e cinema si saldano nel 1916 con il Manifesto
della cinematografia futurista. Il futurismo italiano diventa il primo delle avanguardie
cinematografiche europee.
• Boccioni (futurista) propone una diversa concezione del movimento, detta dinamismo universale.
Ogni oggetto ha un moto assoluto (sia in riposo che in movimento, è la potenzialità che ha
l’oggetto) e un moto relativo (relativo al suo spostamento in un ambiente). Il dinamismo è l’azione
simultanea dei due moti, deve considerare sia l’ambiente che l’oggetto.
• Bruno Corra nella Musica cromatica propone col fratello una ricerca di una forma di pittura intesa
come arte temporale e non spaziale, basata sull’incontro tra colore e ritmo musicale. Lo scopo è
superare la staticità pittorica.
• Ginna realizza collaborando con altri futuristi Vita futurista: film con una serie di episodi che
contiene scene interpretate dai futuristi stessi. Lo scopo dei fotogrammi è quello di innalzare il
ruolo del cinematografo da semplice riproduttore dalla realtà a mezzo di espressione artistico
elevato in grado di creare dinamismo e performatività.

Francia
• La prima tendenza è l’Impressionismo. La poetica impressionista vuole far provare allo spettatore
un’esperienza emotiva (punta infatti sulle impressioni, come il movimento pittorico). Questa
impressione però deve essere un’allusione o un’evocazione, più che una realtà esposta in modo
esplicito. Oltre alla produzione cinematografica l’Impressionismo si impegnerà anche nel dibattito
intellettuale sulla fotogenia*.
• Gli esponenti del Dadaismo (ad esempio Tristan Tzara) definiscono “dada” uno stato d’animo in
risposta allo smarrimento provocato dalla Prima guerra mondiale. Lo strumento privilegiato per
esprimersi era lo scandalo e la pura negazione: la rottura di ogni schema e certezza e la
provocazione (che si concretizza con Duchamp e i suoi ready-made*).
• Il simbolo del Dadaismo cinematografico è Entr’acte (René Claire, proiettato come intervallo
all’interno dello spettacolo Relâche di Satie e Picabia) consiste in una creazione avanguardista di

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gags comiche e grottesche, situazioni assurde, protagonisti artisti del tempo. il significato è quello
di superare le barriere tra l’arte e la vita.
• Il Surrealismo condivide con il Dadaismo lo spirito ribelle. Il carattere fondamentale è il dettato
automatico: dare voce all’ininterrotto flusso psichico. L’automatismo lascia libero l’inconscio di
parlare indipendentemente dal senso e dalle convenzioni. L’artista non deve imitare la realtà, non
deve negare totalmente, deve ascoltare la parola interiore. Un’altra caratteristica è quella delle
libere associazioni: gli oggetti tirati fuori dal loro uso solito e associati tra loro hanno un potere
evocativo e onirico (es. pittura surrealista di Dalì). L’avanguardia si ripercuote sul cinema: le storie
sono anomale, le narrazioni non lineari e la sessualità è più marcata.
• Tra i registi surrealisti ricordiamo Luis Buñuel (che crea nessi visivo-simbolici, ad esempio nel film
Un chien andalou accosta nuvola/luna e rasoio/occhio) e Fernand Léger (che nel Ballet mécanique,
film privo di trama, omaggia il personaggio Charlot e crea un balletto di oggetti animati e animati
che in realtà è un movimento illusorio per spiegare le grandi potenzialità del cinema)

Germania
• I tratti distintivi dell’avanguardia tedesca sono due: la riaffermazione di una dimensione
artigianale del fenomeno cinematografico e il ricorso all’astrazione antifigurativa.
• Viking Eggeling ebbe rapporti con il Dadaismo, il Costruttivismo e l’avanguardia astratta. Nel
Diagonal Symphonie sperimenta le immagini astratte come l’equivalente di una composizione
musicale. Vuole creare una lingua universale dell’arte che possa aoltrepassare il limite statico della
pittura, vuole invece che sia dinamica.
• Hans Richter invece si avvicina all’Espressionismo pittorico e in seguito al Dadaismo. La sua opera
più nota è il Gioco di cappelli, in cui grazie a una serie di trucchi, alcuni oggetti si ribellano contro il
loro banale impiego quotidiano.
• Walter Ruttman nell’opera Opus cerca di connettere visualità, movimento e astrazione sfruttando
modelli musicali. Sceglie il documentarismo sinfonico: immagini (stavolta reali) impiegate come
elementi di una sinfonia visiva.
• Oskar Fischinger invece lavora nei suoi Wachsexperiment, fogli di cera intagliati e sovrapposti che
creano effetti inediti, e Studien, forme geometrico-astratte su fondo nero si muovono al ritmo di
musica jazz o classica.
• Laszlò Moholy-Nagy unisce l’avanguardia con una vocazione didattica. Pubblica Pittura,
fotografia, film, ovvero il primo testo fondamentale della fotografia pubblicato dal Bauhaus, è una
riflessione sull’opera d’arte. In particolar modo l’artista studia la luce e nelle sue opere impiega
molti giochi di luce.

L’avanguardia sovietica
• Il cinema sovietico conosce negli anni Venti una fase di sviluppo. A una componente ideologica
(cinema come strumento di rivoluzione artistica) si aggiunge uno spiccato interesse per la tecnica
del montaggio.
• Lev Kulešov è scenografo e regista di Le avventure di Mr. West nel paese dei bolscevichi, una
commedia sulle disavventure di un ricco statunitense che visita l’Unione Sovietica. Scrive anche
molti scritti teorici sul cinema. A lui si deve l’elaborazione dell’effetto. Nel film accosta il volto
dell’attore in primo piano a tre inquadrature diverse: un piatto di minestra, una donna in una bara,
una bambina che gioca. Lo stesso volto sembra esprimere diversi sentimenti: fame, dolore, gioia. Il
registra dimostra come una sensazione che un’inquadratura trasmette è influenzata dalle
inquadrature che seguono.
• Vsevolod Pudovkin scrive una trilogia (La madre, La fine di San Pietroburgo, Tempeste sull’asia)
basata su contenuti sociali e spessore psicologico all’eroe. La madre, il giovane contadino e il

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cacciatore hanno un che di drammatico e epico e condividono lo stesso processo formativo che
termina con la presa di coscienza politica.
• Sergej Ejzenštejn vuole superare la tradizione artistica borghese e adottare un nuovo punto di
vista: quello del proletariato. Svolge un lavoro sul montaggio diverso da Kulešov. Secondo
Ejzenštein ci deve essere una comunicazione in grado di colpire lo spettatore e sottoporlo a shock
percettivi.
Ready-made
“Pronto per l’uso” normalmente designa qualcosa che esce dalla fabbrica senza il bisogno di
essere raffinata. Usato inizialmente come termine provocatorio dell’arte dada e surrealista da
Duchamp che descrive gli oggetti di uso comune, levati dal loro ambiente naturale e messi nel
contesto di un’esposizione artistica, così da fargli assumere tutt’altro significato. Questa
rivoluzione estetica voleva dare all’artista piena libertà espressiva. Il ready-made è usato anche
nel contesto di cinema e fotografia. Ad esempio Cornell realizza film prodotti con le shadow
boxes, scatole di oggetti comuni sistemati in composizioni allegoriche. Si sviluppa poi la formula
del found footage (montaggio trovato) che si concretizza in film di propaganda sovietici, film
allegorici o militanti (anche femministi). Il found footage è il riassemblaggio di filmati
preesistenti, per questo “ritrovati”.
Fotogenia
Secondo Jean Epstein la fotogenia è ogni aspetto delle cose che accresca la propria qualità
morale attraverso la riproduzione cinematografica. Una generazione di artisti dell’epoca si
preoccupa sul capire ciò che sia fotogenico o meno nel mondo. Inizialmente il termine viene
usato riferendosi alla capacità di alcuni oggetti di riuscire meglio sulla pellicola. In seguito viene
usato per indicare le qualità plastiche o luministiche delle immagini, o per descrivere il generale
senso di bellezza di qualcuno davanti allo schermo (volto senza difetti). Ci sono molte
interpretazioni, ma l’effetto della fotogenia deve essere quello di rendere cose ordinarie come
non sono mai state viste prima.
Espressionismo, Nuova oggettività, Kammerspielfilm
In Germania si distinguono tre correnti cinematografiche nel contesto delle avanguardie astratte:
o ESPRESSIONISMO: caratterizzato da deformazioni scenografiche, immaginario irreale e onirico,
prospettive alterate, illuminazioni contrastate (molte ombre), atmosfere inquietanti e
allucinatorie. o NUOVA OGGETTIVITA’: movimento principalmente pittorico, detto anche “Nuovo
realismo”. Fa del dramma individuale una rappresentazione universale di una condizione umana,
caratterizzata da una apatica disillusione e rassegnazione. o KAMMERSPIELFILM: corrente di
stampo psicologizzante. Gli intrecci sono drammatici, cast ridotti a pochi attori, scenografie
scarne, immersione in una realtà quotidiana solitamente piccolo-borghese.

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IL CINEMA CLASSICO HOLLYWOODIANO


Nascita di una istituzione
• A metà degli anni Dieci alle case di produzione più importanti (ad esempio la MPPC) si affiancano
distributori e produttori indipendenti.
• Nei primi anni Dieci le strutture produttive cominciano a spostarsi da New York alla West Coast, in
particolare nel distretto di Hollywood, sia per necessità delle troupe di lavorare in piena luce, sia
per avere ampi spazi e paesaggi naturali.
• Il pubblico comincia ad abituarsi a film di maggiore durata, a riconoscere e ad affezionarsi agli
attori.
• Adolph Zukor fonda la Famous Players in Famous Plays: punta ala creazione di prodotti di ampio
consumo. Fonde la propria compangia con quella di Jesse L. Lasky, formando la Famous Players-
Lasky Corporation. Secondo Zukor il cinema necessita di sale dedicate, su cui il produttore ha il
controllo. A controllare le altre sale sarà un sistema di block booking: noleggio di interi pacchetti di
film. È una strategia che consente alle grandi case di dominare il mercato. Le case iniziano a
investire anche sulla fase di promozione, per essere sicuri di rientrare coi costi di un
lungometraggio e degli stipendi sempre più alti delle star.
• Griffith e i suoi kolossal sono la figura del superamento del modello primitivo di film. In Nascita di
una nazione rievoca la guerra civile americana raccontando le vicende di due famiglie amiche, una
nordista e una sudista, separate dal conflitto. Il regista dà più complessità alla narrazione senza
compromettere la semplicità del racconto. Lo spettatore può immergersi nel racconto. Il film attira
polemiche per tesi razziste. Il regista “risponde” alle critiche con il film Intolerance, composto da
quattro storie separate tra di loro che poi si intrecciano: ci sono corrispondenze tra passato e
presente che riguardano l’immutabilità dell’intolleranza. Il finale del film evoca la fine di ogni
violenza, e questo attira accuse di pacifismo quando gli Stati Uniti stavano per entrare nel conflitto
mondiale. Queste polemiche più la durata del film (3 ore e mezza) lo resero un insuccesso
finanziario. Griffith fonda con Chaplin, Fairbanks e Pickford, la United Artists Corporation. La
volontà dei quattro era di innalzare la qualità artistica dei film e combattere per sostenere la libera
produzione e distribuzione dei film dei propri associati.
Il trionfo dello stile classico
• Dopo la Prima Guerra mondiale l’egemonia di Hollywood si rafforza. Aumenta il pubblico,
aumentano le sale e i capitali investiti. Le sale di prima visione sono dette “movie places”. Il cinema
fornisce miti, modelli sociali e le star diventano oggetto di culto, e talvolta di fanatismo.
• La macchina hollywoodiana è un complesso industriale solido, un potente strumento politico e
propagandistico capace al contempo di generare una produzione culturale. Questo equilibrio la
rende in qualche modo “classica”: dopo le tante sperimentazioni il cinema ha raggiunto una sua
stabilità.
L’importanza di Hollywood non è solo nei film realizzati, ma nel processo industriale e le strategie
che sono dietro. La cultura accademica è superata e lascia spazio all’entusiasmo di molti
intellettuali americani ed europei.
• Il sistema è un apparato dinamico, articolato. Il primo e più importante di questi sistemi è legato
ai modi di produzione e diffusione dei film: lo studio system. Hollywood è quindi sistema dal punto
di vista aziendale: le case di produzione combattono per il dominio del mercato, e si riuniscono in
monopoli. La MPPC sarà sciolta per alcune inchieste, ma le strategie di Zukor e la Famous Players-
Lasky non hanno lunga vita, perché anche queste violano alcune leggi antitrust.
• Le majors (Paramount, MGM…) sono le grandi case che possono aumentare i mezzi e crescere di
numero, passando da tre a cinque nel giro di dieci anni. Le majors stipulano contratti con i
lavoratori, da tecnici a star, e hanno strutture per la distribuzione nazionale ed estera, e un grande
numero di sale cinematografiche. Oltre alle majors ci sono anche le minors, società con capitali
ridotti (Warner Bros, Universal), alcune si espandono acquisendo più sale. Ci sono piccole società

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ancora minori dette Poverty Row che realizzano produzioni a bassissimo costo, e ci sono
indipendenti che puntano invece su un numero limitato di opere costose. Tra questi l’iniziativa di
Selznick di realizzare il film Via col vento.
• Via col vento: ispirato dal romanzo omonimo, narra le vicende travagliate d’amore della
protagonista mescolando a queste il racconto della guerra civile americana. Costato 4 milioni di
dollari, è uno dei più grandi investimenti per la Hollywood classica. Anche se per produrlo Selznick
si appoggiò alla major MGM, la paternità del film è attribuibile a lui (progetto, scenografia). La regia
è attribuita a Fleming, in realtà è affidata a più mani. Il film è il risultato di una catena di montaggio,
di un lavoro plurale.
• Casablanca (Curtiz) è un film frutto dello studio system, che testimonia l’alto grado di
professionalità di questo sistema. È realizzato in un momento di ristrettezze economiche (gli Stati
Uniti entrano in guerra dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor). Vengono riciclate scenografie
utilizzate in altri film.
• Definizione di stile: Ciascuna opera è caratterizzata da un’impronta che denota la casa di
produzione che l’ha generata. Questo aspetto è detto studio look, o house style.
• Il sistema dei generi: lo spettatore ha una serie di aspettative che il film deve soddisfare. Lo
spettatore inoltre sceglie il film soprattutto in base al nome e al volto sulle locandine. Per lo studio
ogni genere è una categoria in cui lavorano spesso le stesse persone, che vi si specializzano. Non
vuol dire che ogni divo sia per forza specializzato in un unico genere, o che i registi possano fare
solo film di un unico genere.
• Il sistema divistico: L’identità del divo acquista un significato autonomo. Il pubblico si aspetta un
certo personaggio quando sa che quel film prevede un divo piuttosto che un altro. Conosce le star e
il processo aumenta quando si diffondono le riviste specializzate che si dedicano a rubriche, foto,
curiosità e interviste sui divi. Gli spettatori possono così conoscere tutto dei loro idoli. Hollywood fa
del divo un oggetto di marketing.
• Il Codice di produzione: Una serie di scandali sulle vite private dei divi allarma il pubblico
(soprattutto quello religioso). Per prevenire la creazione di una censura federale, i più importanti
studios istituiscono una serie di misure che regolamentino il contenuto morale dei film. Iniziativa
che comincia nel 1922 e viene formalizzata nel 1934 in un Codice di produzione.
• Passaggio dal muto al sonoro: non crea sconvolgimenti come in altri paesi (ad esempio
nell’Unione sovietica), anzi, il passaggio tra i silent films ai talkies avviene in continuità e stabilità.
Naturalmente questo causa una modificazione di generi: l’introduzione del sonoro porta alla
nascita di alcuni generi, alla revisione di altri. Ad esempio c’è una dequalificazione del western nel
corso degli anni Trenta. Il genere più rappresentativo del passaggio al sonoro è il musical. Il primo
lungometraggio con dialoghi e brani musicati è Il cantante di jazz. Il film musical più rilevante invece
è Singin’ in the Rain. Spesso i musical del tempo sfociano nel fantastico, nella dimensione onirica, lo
sfarzo delle scenografie e costumi, numeri di danza, ecc.
• Continuity system: si diffondono molti espedienti con lo scopo di ottenere un effetto di realtà,
che permettono l’ingresso dello spettatore nel mondo della finzione. Queto sistema è noto come
continuity system e afferma il principio della narrazione come prima finalità in un film. Il montaggio
è il luogo dove si creano queste illusioni dunque secondo Bazin il découpage classico deve fondarsi
su tre caratteristiche: motivazione, chiarezza, drammatizzazione. Tra un’inquadratura e un’altra
deve esserci fluidità, scioltezza. Il film deve dare idea di realtà così che lo spettatore si scordi il
mondo che gli sta intorno e si immerga. Spesso il narratore utilizza un double plot (due linee
narrative, quella primaria è quella che definisce il genere del film, anche se talvolta non ce n’è una
primaria). Nonostante questi principi chiari e omogenei, ci sono comunque, sia nel cinema d’autore
che in film medi, modelli complessi dal punto di vista stilistico.
• Norma e scarto: Il cinema stabilisce una norma che non è un modello formale rigido, ma è
flessibile. Rispetto alle aspettative del pubblico, c’è uno scarto (da quelle che sono le opzioni

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ricorrenti) che funziona come forma di sorpresa, stimolazione, talvolta shock visivo. In molti casi, lo
scarto supera la norma. Il motivo è che Hollywood è costituita da un melting pot geografico e
culturale, composto da americani ma anche immigrati europei che portano influenze diverse (come
l’espressionismo in Germania che influenza i film horror o noir).

Il cinema americano del secondo dopoguerra: fine dell’era degli studios

• Nel dopo guerra c’è una crisi degli studios a causa delle leggi antitrust. Avendo l’accesso a sale più
grandi, anche gli studios minori cominciano a produrre film a alto budget e nel frattempo la
produzione indipendente si moltiplica. La crisi del modello hollywoodiano classico avviene per
diverse ragioni ma quella fondamentale è la concorrenza della televisione. Molte case di
produzione cominciano a collaborare con questa. Le realizzazioni dei film aumentano, e si
sperimentano nuovi formati di proiezione (dal classico 1,33: 1 si passa alle proporzioni panoramiche
2,35 : 1).
• La trasformazione colpirà anche lo star system: si sviluppa una nuova aristocrazia di attori che
seguono il metodo di recitazione (teoria di un regista russo). Gli attori del “metodo” (Marlon
Brando, Paul Newman) si identificano profondamente con il personaggio da imitare, si immergono
nella loro biografia e psicologia.
• Le storie diventano complesse e confuse, il racconto fa fatica a spiegare i conflitti della trama,
spesso è talmente contorto e inverosimile da risultare contraddittorio. Per quanto riguarda lo stile,
si fa uso di un “eccesso stilistico” che dovrebbe svelare ciò che la storia censura e non riesce a
rendere esplicito.
• I generi si modificano: il family melodrama e il noir trovano maggiore spazio. Il melodramma
hollywoodiano dà più importanza all’elemento emotivo rispetto a quello narrativo. Lo scopo è far
emergere lo stato emotivo del personaggio e dello spettatore. Si sviluppa anche il western, la
fantascienza in questi anni racconta i timori e le angosce dell’epoca metaforicamente (ad esempio
la paura del comunismo)

Persistenza del classico

• Il cinema della New Hollywood è noto come cinema postclassico. Questo tipo di cinema può
essere indie (independet) ovvero basato sulla descrizione di stati d’animo di personaggi borderline,
oppure blockbuster, in cui la componente spettacolare assume più importanza di quella narrativa.
• Il cinema americano contemporaneo può essere considerato sia in continuità che in
contrapposizione con quello classico. Si sviluppa un “classicismo eccessivo” e si manifesta in diversi
modi: con continue parentesi che deviano dalla trama, ostacolando la linearità del racconto
(Tarantino, Pulp Fiction) o creando film “a scatole cinesi” (Inception, Christopher Nolan), oppure
dilatando le sequenze spettacolari e aumentando gli effetti digitali. C’è una tendenza a sfumare la
soglia tra realtà e immaginazione, e una tendenza a aumentare la componente autoriflessiva. Dal
punto di vista stilistico la classicità eccedente è resa attraverso la intensified continuity (come la
chiama David Bordwell), una continuità intensificata: le tecniche di racconto del cinema sono
quelle, ma le pratiche sono più intense: aumentate, frammentate, accelerate ecc. Aumentano il
numero di inquadrature, la mobilità della macchina. Il carattere che si sviluppa è detto
manieristico: la narrazione più tortuosa e lo stile visivo pieno di sfide tecniche.

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Charlie Chaplin
Noto volto del cinema muto americano, ma si discosta da Hollywood. Sembra incarnare il self-
made man (dal nulla raggiunge la fama) ma spesso nei suoi film critica la società americana, la
sua storia, il capitalismo. Tacciato di comunismo fu allontanato dal paese. Gran parte del cinema
di Chaplin è incentrato sul tema del conflitto, presente nel personaggio Charlot: un tramp
(vagabondo) che si atteggia a signore, estraneo alla società e emarginato. Spesso il conflitto è
con le autorità (poliziotti) ma in generale tra lui e qualsiasi altro personaggio o oggetto che gli si
“rivolta contro”. Le gag non sono più un momento di sospensione dal racconto, ma il racconto in
sé. Chaplin oscilla tra il comico e il patetico e spesso i suoi film terminano in modo malinconico.
Dal muto passa al sonoro con Il Grande Dittatore.
Orson Welles
Regista che firma per la RKO un contratto che gli garantisce quasi completa autonomia. Realizza
con molte polemiche un film eversivo per i canoni hollywoodiani: Quarto potere. Welles è incline
alla provocazione, alla trasgressione di regole, ma rappresenta una fonte di successo sul piano
della qualità e dello stile. RKO ha molti tecnici, artisti, scenografi ma mancava di grandi attori,
scrittori, registi. Welles stilisticamente usa la profondità di campo e le riprese in continuità. Crea
una diversa funzione-partecipazione dello spettatore: spesso i personaggi sono inquadrati dal
basso verso l’alto, questo da una parte li ingigantisce, dall’altra li schiaccia con la presenza del
soffitto. In Quarto Potere la vita di Kane è raccontata a ritroso dopo la sua morte, da flashback di
chi lo conosceva. I temi sono la relatività della verità, l’impossibilità di giudicare un uomo, la
vanitas, la corruttibilità. È un regista molto audace rispetto allo stile classico e questo lo
condanna a una carriera ai margini di Hollywood.
Alfred Hitchcock
È tra i registi europei trasmigrati a Hollywood. Aderisce ai canoni classicisti solo in superficie.
Sarà il maestro del thriller e sarà sabotatore dello studio system. Nel film Sabotatori racconta
attraverso il genere spionistico, il suo stesso ruolo all’interno dell’industria. Il motivo del
sabotaggio è già al centro del film inglese. Tra i temi ritroviamo l’idea della colpa (dalla rigida
educazione cattolica): i suoi protagonisti sono lacerati da un conflitto morale o psichico. Il regista
fa del découpage uno strumento di manipolazione dell’immagine e dell’emozione spettatoriale.
Tra le sue caratteristiche stilistiche abbiamo il soffermarsi su un dettaglio e il dare al pubblico un
sapere maggiore rispetto a quello dei personaggi. Crea grande angoscia e tensione drammatica.
Clint Eastwood
Ha raccontato molti momenti significativi della storia d’America, dalla guerra di Secessione, a
quella in Iraq, ecc. È produttore dei suoi film, lavora ai propri progetti con autonomia e libertà
grazie ad accordi con le majors (soprattutto la Warner Bros), che distribuiscono i film che dirige.
Dal punto di vista tematico e ideologico, fu etichettato come “fascista” ma è difficile collocarlo in
una precisa visione politica e morale. La sua classicità è atemporale: usa tecniche classiche come
il découpage, nei suoi film non ci sono le intensified continuities. Allo stesso modo ci sono
ambiguità e complessità perché queste forme classiche sono utilizzate in funzioni spesso
differenti a quelle convenzionali.

LA MODERNITÀ E IL CINEMA
Il cinema, occhio del Novecento
Il 900 è definito il secolo della regia. Casetti parlerà del cinema come “occhio del Novecento”.
Secondo Casetti il cinema non è soltanto arte, ma anche medium: strumento di comunicazione in
un’epoca che diventa sempre più mediatica. Il cinema ha saputo cogliere questioni importanti del
proprio tempo, mostrarle a un grande pubblico e reinterpretarle. Sotto questo punto di vista si
sviluppano opinioni “pro” e “contro” che ne evidenziano rispettivamente vantaggi e rischi. Ad
esempio lo scrittore Maksim Gor’kij definirà il cinema un’invenzione che logora i nervi e porta lo
spettatore a una sorta di dipendenza. Lo stesso Pirandello parlerà dell’innovazione tecnica come un
nemico. Benjamin invece nei suoi saggi mette in luce le potenzialità di questa invenzione.

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La modernità del cinema


• Benjamin riflette sulla tecnica fotografica e cinematografica che consente nuove forme di
riproducibilità dell’immagine, di cambiare il carattere dell’arte e i modi percettivi di chi la guarda: è
un potente strumento interpretativo. Benjamin oppone l’idea di esperienza come Erfahrung
(acquisizione di capacità guadagnata nel tempo) a Erlebnis (vissuto immediato, il soggetto è quindi
plurale e transitorio). L’esperienza di un uomo è in stretto contatto con le masse cittadine, un
flusso continuo di stimoli nella metropoli. La folla della società moderna sarà soggetto e oggetto
della rappresentazione cinematografica.
• Simmel descrive l’esperienza quotidiana dell’individuo nella grande città come una successione di
avventure, scollegate tra loro, nel quale l’uomo (avventuriero) diventa un soggetto discontinuo,
plurale.

Modernità come stile


Dal punto di vista estetico i cambiamenti del cinema riguardano l’improvvisazione, il rifiuto della
spettacolarità, il predominio della regia sulla sceneggiatura, il predominio dell’inquadratura sul
montaggio, l’ambiguità interpretativa. Sarà definito un “cinema problematico”, “cinema del
dubbio”. Il cinema classico mostrava il procedere degli eventi attraverso l’azione dei personaggi e il
movimento, mentre il nuovo modo
rende confusionario capire qual è il vero e il falso, sin dalla scelta dei temi, o da tecniche come il
décadrages (tecnica che provoca il vuoto al centro dell’immagine) e falsi raccordi.

Il nuovo cinema internazionale


Con nuovo cinema internazionale intendiamo le esperienze cinematografiche dalla fine degli anni
50 ai primi anni 70 del 900 nate in diversi contesti geografici ma con una linea comune. La similarità
avviene su tre livelli:
• Il livello degli intenti: tutti rompono con il cinema passato e lo superano sia nei contenuti che
nelle forme.
• Il livello delle modalità operative: c’è un generale rinnovamento dei modi di produzione che
rifiuta lo studio system e promuove invece produzioni indipendenti. È un cinema libero, ma povero,
sovraffollato di film a basso costo in bianco e nero, ambienti naturali, piccole troupe.
• Il livello degli esiti: il risultato di questi movimenti della modernità è unire realismo documentale
e finzione, lo scopo è rivelare la realtà invece di riprodurla. Anche se c’è una linea comune tra i vari
movimenti ci sono affinità ma anche differenze. La differenza avviene soprattutto tra Europa
Occidentale e Orientale, sotto il controllo sovietico e quindi anche della censura.

Nouvelle Vague
• I film di questo nuovo movimento (la Nuova Onda, termine che comincia a comparire nel
dibattito francese a fine anni 50) cercano di tradurre l’inquietudine giovanile del tempo. Il
movimento è collettivo, anche se non unitario, comprende una cerchia di critici cinematografici,
altre personalità con esperienza negli ambienti letterari del Nouveau Roman, e una giovane
generazione di registi contro il cinéma de papa (cinema industriale e tradizionale). Promuovono
invece la politique des auteurs: una visione secondo la quale un film non coincide con la
sceneggiatura, la scenografia, gli attori, ma esclusivamente con la sensibilità di chi l’ha girato.
Spiccano due personalità in questo movimento: Truffaut e Godard.
• François Truffaut vuole rinnovare e arricchire il cinema commerciale. Ad esempio nel film Jules e
Jim ambientato nella Prima guerra mondiale, gioca con il cinema del passato: inserisce spezzoni
muti.

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• Jean-Luc Godard è più provocatorio. Nei suoi film notiamo l’alternanza di piani-sequenza e brevi
inquadrature, infrange le regole tradizionali con sguardi in macchina e falsi raccordi (uno stacco di
montaggio che lega tra loro due inquadrature uguali).

Free Cinema e Kitchen Sink


Nel contesto inglese si introducono due grandi movimenti spesso sovrapposti.
• Il Free Cinema riguarda soprattutto cortometraggi e documentari girati tra il 1956 e il 1959. La
tematica è sociale, si rivolge ad un pubblico popolare. I soggetti privilegiati da entrambi i movimenti
sono la società e la vita di tutti i giorni delle classi lavoratrici.
• Il Kitchen Sink (che vuol dire “lavello da cucina”) riguarda invece lungometraggi girati
successivamente, che vogliono esplorare la difficile quotidianità delle classi umili. In particolare
questo movimento ha come protagonisti umili proletari. Gli scenari sono squallidi (case popolari,
fabbriche).
• I movimenti si concentrano più sull’innovazione ideologica e tematica (piano del contenuto)
piuttosto che la sperimentazione (piano stilistico). Hanno vita breve, perché i registi inglesi si
interesseranno poi a ritrarre la swinging London e la subcultura mod (moda e musica rock).

Junger Deutscher Film


• Ovvero Giovane cinema tedesco, nasce nel 1962 quando 26 cineasti sottoscrivono un Manifesto
che dichiara la nascita di un cinema socialmente impegnato e libero dalla produzione commerciale.
Le tematiche predilette sono l’emarginazione, lo smarrimento generazionale, la mancata
integrazione sociale. Spesso i temi sono influenzati dal marxismo e dall’esistenzialismo. Le
personalità maggiori del Nuovo cinema tedesco sono Fassbinder, Werner Herzog e Wim Wenders.
• Fassbinder dirige 39 lungometraggi in 15 anni. Il suo cinema è segnato da una forte teatralità. I
personaggi sono spesso allo sbando (soprattutto i tormentati ritratti femminili) e le relazioni umane
sono viste come brutali rapporti tra vittime e carnefice.
• Werner Herzog è un regista più visionario, rifiuta la teatralità. Gli ambienti sono remoti,
incontaminati, con una natura ostile ma affascinante. I personaggi sono non convenzionali (es. il
soldato nazista in Segni di Vita)
• Wim Wenders è amante del rock e della cultura statunitense. Nel cinema ricerca la quotidianità
che imprigiona i suoi personaggi, soffermandosi sulla non significanza della vita e
sull’incomunicabilità.

Cinematografia dell’Europa Orientale


• Tarkovskij è la figura più significativa del cinema moderno che si sviluppa nell’Unione Sovietica.
Adotta tematiche introspettive e antimilitariste (L’infanzia di Ivan: le vicende di un orfano usato
come spia dall’esercito sovietico). Abbiamo molte riflessioni teoriche estetiche in cui si discosta
dalle teorie realiste.
• In Polonia i temi dei registi sono le conseguenze della guerra, le lacerazioni dell’individuo e il suo
senso di smarrimento. C’è anche un rinnovamento stilistico che si mostra più attento a confrontarsi
con il presente. Il regista Roman Polanski si affermerà a livello internazionale. Ancora più eccentrica
la personalità del regista Skolimowski, che ricorre a lunghi piani-sequenza, complessi movimenti di
macchina, protagonisti quasi sempre giovani solitari delusi dalla società che vagabondano senza
meta.
• Le tematiche della Nova Vlnà (Nuova Onda) cecoslovacca e ungherese sono la soggettività
dell’individuo e le contraddizioni storico-sociali.

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New American Cinema


New American Cinema
Dall’altra parte del mondo Anche paesi meno industrializzati come quelli nell’Estremo Oriente
elaborano la propria versione di modernità cinematografica. Ad esempio il Cinéma Nôvo
brasiliano, che è contro la produzione commerciale e affronta tematiche contro la cultura
coloniale, il capitalismo borghese, le masse contadine di regioni oppresse. Vuole descrivere
l’arretratezza del paese agli osservatori stranieri. (es. Rocha: Deus e o diabo na terra do sol: film
che mischia realtà, fantasia, cultura popolare, mitologia). In Giappone il cinema segue il modello
hollywoodiano fino agli anni 60, poi si diffonde la Nūberu bagu (nuova onda) ma predilige temi
erotici e perversi, gli spettatori diminuiscono.
• Il portavoce del New American Cinema è Jonas Mekas, che lotta contro l’industria
cinematografica hollywoodiana. Nella East Coast una generazione di cineasti si sviluppa a New York,
che cerca una continuità tra la letteratura beat e il cinema underground. Mekas è emigrato dalla
Lituania in guerra, è influenzato dalla Nouvelle Vague francese, diventa un cineasta e dirige una
rivista dove si dà visibilità alle opere di registi e alla distribuzione indipendente, nonostante molti di
loro producano opere diverse.
• Kenneth Anger è uno dei nomi più noti del cinema underground, ha uno stile onirico e surrealista,
spesso affronta tematiche omosessuali.
• Ken Jacobs utilizza spesso il found footage recuperando spezzoni di film e intervenendo
accelerandoli, zoomandoli ecc.
• Maya Deren è considerata la madre dell’underground, gira Meshes of the Afternoon, di cui è la
protagonista. Incarna una figura spettrale, con movimenti carichi di inquietudine e mistero.
Sperimenta film con tematiche di magia, danza, ritualità vodoo, opere considerate trance film.

Il pluristilismo del cinema moderno


La modernità cinematografica si sviluppa come un insieme di fenomeni diversi, un pluristilismo in
cui le esperienze delle nuove cinematografie internazionali (Nouvelle Vague, Nova Vlna ecc) si
fondono con il cinema d’autore e il cinema di genere. La modernità instaura un rapporto con la
tradizione superando le convenzioni e sperimentando nuovi linguaggi, tutto ciò in rapporto ai
cambiamenti generazionali e alle attese del pubblico. Sempre più importante è l’azione
cinematografica nell’istante in cui avviene l’azione reale. Talvolta la rappresentazione è mediata da
allucinazione, fantasticheria, irrealtà. Da una parte ci sono realistici piani sequenza, che rispettano
la temporalità concreta, dall’altra ci sono stacchi, frammentazione del montaggio. Questi nuovi stili
hanno uno sguardo moderno nel rappresentare nuovi oggetti: la “pazienza nel guardare” dello
spettatore si accorda con l’inazione dei personaggi moderni che cercano un loro posto nel mondo,
e lo sguardo moderno si riferisce anche all’indecifrabilità del reale, alla complessità del mondo che
porta a una continua esplorazione di luoghi.

L’antispettacolarità di Roberto Rossellini


• Affronta temi bellici o resistenziali, nell’immediato dopoguerra abbiamo la trilogia composta da
Roma città aperta, Paisà, Germania anno zero. Lo scopo del regista è quello di mostrare una realtà
autentica,
non mediata e non spettacolare, soffermandosi anche su eventi minimi e insignificanti del
quotidiano: la sua caratteristica è quindi l’antispettacolarità.
• Paisà ha molteplici opzioni stilistiche, unisce anche documentario e finzione e dà vita ad un
pastiche linguistico. Nel film è rappresentata la quotidianità di un paese sconosciuto.
• Roma città aperta presenta aspetti documentaristici fusi con elementi simbolici, gags, quindi
aspetti che riprendono lo spettacolo ed il cinema precedente. In tutti i suoi film vuole raccontare
un’Italia nuova, piena di tensioni ma anche di cambiamenti: c’è infatti una voglia di rinnovamento.

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L’altra caratteristica importante è la geografia neorealista: il regista attraversa luoghi e paesi


diversi, sceglie una Roma ancora non liberata dagli alleati, una Berlino distrutta dai
bombardamenti, un’Italia colpita e piena di macerie.

L’improvvisazione
• Per quanto riguarda il cinema documentario, si sviluppa in Francia il cinéma-vérité. Jean Rouch è il
principale esponente. I suoi documentari sono inizialmente corti e mediometraggi sulle popolazioni
africane e poi il film simbolo del cinéma-vérité: Cronaca di un’estate, girato per le strade di Parigi. È
un documentario/reportage in cui delle persone vengono intervistate su temi generali
dell’esistenza. I ruoli si invertono e anche gli intervistatori verranno intervistati. Non c’è
mediazione, è basato sull’autenticità e l’improvvisazione dei partecipanti. Anche le scelte stilistiche
sono innovative: vengono usate apparecchiature più leggere, la macchina a mano e le riprese svolte
en plein air.
• Negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Canada si sviluppa il cinema diretto. I due esponenti Perrault e
Brault usano la cinecamera 16 mm con magnetofono portatile, che rende possibile una vicinanza
diretta con i soggetti della rappresentazione. In America Leacock realizza Primary (trasmesso poi
dalla televisione), reportage sulla sfida tra Kennedy e Humphrey che competono per la presidenza
degli Stati Uniti. Questo cinema segue costantemente i personaggi, e spesso si sofferma su dettagli
inattesi.

Il dispositivo a nudo
• Godard è considerato il regista più radicale e sperimentatore, che per primo rivoluziona il
rapporto tra regia e tecnologia e dà il via ad una riflessione sul dispositivo. Sperimenterà con il
video, con il colore, i formati, ecc.
• Già dal suo primo lungometraggio, film manifesto della Nouvelle Vague, “Fino all’ultimo respiro”
vediamo in evidenza i meccanismi del montaggio. Inoltre vengono reintrodotte pratiche del cinema
muto, ma con una nuova potenzialità (ad esempio gli sguardi in macchina, soprattutto della
protagonista Jean).
• Il dispositivo è incorporato nel film e nell’ambiente, come se la macchina da presa fosse data per
scontata. Nei primi film avviene soprattutto in luoghi interni, poi anche nel paesaggio naturale.
• “Il disprezzo” è un adattamento all’Odissea in cui i protagonisti discutono di classicità, modernità.
La natura talvolta serve a riconoscere le piccolezze degli uomini moderni rispetto alle gesta degli
eroi antichi. I personaggi sono Paul e Camille (che spesso litigano) e l’unico personaggio classico è
Lang, simbolo di un equilibrio umano e di saggezza. Appare isolato agli angoli dell’inquadratura,
circondato dalla natura.

Pier Paolo Pasolini


• Esordisce nel cinema italiano a inizio anni 60, quand’era già scrittore e poeta affermato.
Trasferisce l’interesse per le borgate romane e il sottoproletariato dalla letteratura al cinema.
• Esordisce con Accattone, primo episodio della trilogia della borgata, seguito da Mamma Roma e
La ricotta. Nel cinema di borgata rappresenta varie periferie romane (Pigneto, Casal Bretone) e in
generale la vita popolare dei “morti di fame”, spesso interpretati da attori non professionisti.
• La Ricotta è un mediometraggio che narra la vicenda popolare dell’affamato proletario Stracci,
che fa la comparsa in un film sulla Passione, e alla fine muore d’indigestione in croce, interpretando
uno dei ladroni accanto a Cristo. Presenta caratteristiche nuove, ad esempio l’accostamento di
modelli e registri diversi: musica colta e twist, bianco e nero e il colore, la gravità di alcuni momenti
e invece l’ironia di altri (le corse accelerate di Stracci per procurarsi la ricotta, simili a quelle delle
comiche del muto). Il regista

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nel film è interpretato da Orson Welles, alter ego di Pasolini, personifica l’inquietudine dell’autore
che deve girare un film sulla Passione (Il vangelo secondo Matteo).
• Un tema che fa da fil rouge è quello della morte: La morte come liberazione da una situazione
difficile da sopportare (Accattone: nel film quando sta morendo dice “Aaaah… mo’ sto bene!), la
morte come condanna per il tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita (il giovane Ettore in
Mamma Roma) e la morte come unica possibilità del sottoproletariato di mostrarsi al mondo
(Stracci e la sua morte in croce nella Ricotta).
• La tensione verso la realtà ha poco a che fare con l’intento neorealistico, non vuole essere
documentaria o sociologica, non vuole mostrare le cose o denunciarle ma presentarle nel loro
aspetto epifanico e legato al sacro. I protagonisti sono personaggi simbolici, con un’aura sacrale,
presentati come martiri. C’è un aspetto sacrale anche nella scelta di che cosa riprendere, che lo
stesso regista definirà “sacralità tecnica”. Riguardo al cinema moderno, in parte si avvicina in parte
si discosta. La trilogia presenta spontaneità e uso di set naturali (come i film della Nouvelle Vague)
ma ci sono poche scene in continuità e più frammenti. Notiamo l’uso della panoramica che procede
fermandosi su personaggi e ambienti, isolando volti e particolari e l’uso dei carrelli (soprattutto a
retrocedere, anticipando le camminate dei protagonisti).

Michelangelo Antonioni
• Esordisce prima con cortometraggi negli anni 40, poi il lungometraggio Cronaca di un amore negli
anni 50, e poi gli anni 60 si aprono con il suo primo successo internazionale: L’avventura.
L’avventura inaugura la tetralogia dell’incomunicabilità (seguita da La notte, L’eclisse e Deserto
rosso). Sono film diversi tra loro, ma accomunati per le tematiche: alienazione dei personaggi,
luoghi simbolici della loro interiorità o dei loro stati d’animo. La costruzione del film è mobile,
disomogenea, sia dal punto di vista narrativo-temporale (ad esempio ci sono ellissi) sia dal punto di
vista visivo-sonoro. Inoltre i personaggi vivono una crisi esistenziale che ricorda quelle del cinema
d’autore europeo (ad esempio Luis Bunuel). Il cinema di Antonioni è stato definito di
dédramatisation, perché è un cinema sospeso, senza dramma, in cui i personaggi perdono la
bussola esistenziale e girano a vuoto. I paesaggi sono estranei, anonimi, senza coordinate.
• L’Avventura darà ad Antonioni l’etichetta di regista dell’incomunicabilità. Descrive la difficoltà di
comunicare dei personaggi, i luoghi inospitali in cui si trovano, l’incapacità di creare rapporti e
interagire, enfatizzata da lunghi silenzi. Claudia e Sandro cercano di ritrovare Anna, la donna
scomparsa, attraversando vari luoghi della Sicilia. La scomparsa di Anna viene accantonata: il tema
rilevante oltre al nuovo amore tra Claudia e Sandro è quello delle attese e inazioni dei personaggi. Il
film descrive l’inquietudine e la solitudine dell’uomo. Anche lo stile lo enfatizza: spesso cambia il
posizionamento della macchina da presa, che inquadra i personaggi di schiena.

Federico Fellini
• Il lavoro di Fellini racchiude alcune caratteristiche del cinema d’autore degli anni 60: tra queste
l’accentramento nella figura dell’autore del potere registico, e la dimensione autoriflessiva.
L’insieme dei suoi film e i rimandi tra l’uno e l’altro permettono di individuare uno stile “felliniano”.
• La dolce vita è un caso di “superspettacolo d’autore”, definito da un lato come film affresco,
dall’altro come film rotocalco. La prima definizione si riferisce alla capacità del film di rimandare al
contesto socioculturale del tempo e di anticiparne le tendenze, ma anche alla struttura del film,
fatta di riferimenti, episodi chiusi ma legati tra loro e con gli stessi personaggi. La seconda
definizione si riferisce al fatto che oscilla tra cronaca di alcuni avvenimenti e la loro narrazione. La
Dolce vita narra eventi divenuti fenomeni di costume: ricordiamo il bagno nella Fontana di Trevi
dell’attrice Anita Ekberg, il volo sui cieli di Roma dell’elicottero che trasportava la statua di Cristo,
ecc. La produzione del film è in linea parallela con la sua promozione, grazie alla stampa e agli
eventi culturali, quindi si diffonde un fenomeno di “dolce vita”. Il film di Fellini presenta figure

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moderne: il protagonista Marcello è un giornalista e scrittore fallito che intrattiene rapporti, spesso
come spettatore passivo, con figure sconfitte o problematiche, ad esempio la ricca e annoiata
Maddalena o la fidanzata ossessiva Emma

LA STAGIONE POSTMODERNA

Postmodernità
• Gli anni ’70 sono etichettati come postmoderni: questo indica una fase posteriore rispetto al
moderno, nel senso che il modo di rapportarsi a esso è diverso. La postmodernità è definita per
differenza e in negativo: la fine della modernità, la crisi dei suoi principi ideologici e la liberazione
dall’ortodossia modernista.
• Si sviluppa l’industria dei media: crescono rapidamente mezzi di informazione e comunicazione,
tra questi la televisione (televisioni commerciali e a pagamento, via cavo e via satellite) e cresce la
tecnologia informatica (i computer diventano un tipo di tecnologia leggera ed economica). La
conseguenza è una serie di cambiamenti sociali profondi. La società di questi anni è definita società
dell’informazione, postindustriale o postfordista. Si sviluppa quindi un nuovo paradigma sociale
dove le trasformazioni tecnologiche cambiano il modo in cui la conoscenza viene elaborata e
trasmessa. I mass media hanno creato una nuova “struttura del sentire”, un nuovo stile di vita
legato all’esplosione della popular culture, che elimina i confini tra cultura alta e bassa.
• Nella postmodernità le logiche spaziali e temporali moderne (definite in modo oppositivo:
vicino/lontano passato/presente) si indeboliscono. La spazialità è disorientante, composta da
frammenti uniti ma senza chiare distinzioni. La temporalità è fluida. Il soggetto stesso è
frammentato e disorientato da questa crisi. Cambia il rapporto tra individuo e mondo oggettivo,
perché quest’ultimo è sostituito da una realtà elettronica autonoma.
• Il soggetto della società occidentale entra in una condizione esistenziale, un’estasi della
comunicazione, dove il reale è plasmato con i mezzi di comunicazione. In quest’ottica senza
profondità e appiattita, il dominio è delle immagini: un flusso di immagini, di superfici che si
svuotano e appiattiscono (immagini pubblicitarie, televisive, cinematografiche…)

Il postmodernismo
• Il postmodernismo è la produzione culturale del tempo che contribuisce a dare forma e
sintetizzare lo spirito dell’epoca della postmodernità. Il postmodernismo nasce dal riconoscimento
che il moderno non può più andare oltre. Il passato deve essere rivisitato con ironia, non in modo
innocente. La crisi di non poter inventare niente di nuovo è consapevole e vissuta in modo ironico,
disimpegnato e divertito ma anche nostalgico. Quindi occorre rivisitare e reinventare il passato con
ironia, perché “già tutto è stato detto”. In quest’ottica nello stile postmoderno non ci sono limiti,
tutto è permesso.
• Il tempo è sottoposto a rotture, frammentazioni, moltiplicazioni. È aperto, irrisolto e non lineare e
ciclico. Il tempo sembra infatti essersi annullato in una forma di eterno presente.
• Un’altra caratteristica è il pluralismo stilistico: la pratica del pastiche, le citazioni, la
contaminazione di diversi stili. Tutto ciò comporta anche una pluralità di significati e
interpretazioni.

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Il blockbuster
Termine usato dopo la seconda guerra mondiale per indicare un prodotto che si impone sul
mercato. Solitamente hanno temi e narrazioni precisi e risultati economici eccellenti. Accanto
alle produzioni indipendenti e al cinema d’autore della New Hollywood, si sviluppano queste
nuove forme di cinema popolare di largo consumo. Secondo alcuni critici un prototipo
contemporaneo di blockbuster è il Padrino, con star riconosciute, ripreso da un romanzo di
successo, con utilizzo di temi gangster: tutto concorre al successo. Il prototipo è invece Lo Squalo
di Spielberg, perché frutto delle strategie produttive e distributive. Anche questo è tratto da un
romanzo, dunque poté sfruttare una campagna pubblicitaria televisiva. I blockbusters adottano
trame facilmente serializzabili, creazione di mondi complessi, prevalenza di genere
fantascientifico o fantasy, e effetti speciali. Uniscono plots poco elaborate con allusioni
complesse, ad esempio il riferimento alle dinamiche familiari in E.T L’extra-terrestre.
• C’è una separazione tra forma e contenuto, tra significante e significato, in cui la forma è
prevalente. Si dà maggiore importanza alla superficie. Questa arte della superficie promuove una
logica spettacolare e di emozioni, dove assumono importanza i sensi e lo shock percettivo, e una
ricerca di originalità, un piacere per l’eccesso.
• I cambiamenti industriali e dei media hanno conseguenze sulla “forma filmica”: un esempio è il
caso del blockbuster.

La fine dello studio system


• L’industria del cinema smette di operare come industria del film: passa all’intrattenimento
filmato, un business fondato sulla collaborazione con altri settori (musica, editoria, televisioni,
videogiochi). Vengono
valorizzati i mercati non-theatrical: mercati alternativi allo sfruttamento commerciale del film nelle
sale (mercato della televisione e dell’home video). L’industria del cinema si riduce quindi a pochi
grandi colossi mediali: subisce un’integrazione orizzontale. Così si conclude l’epoca dello studio
system.
• Il caso Paramount : Dopo una serie di flop, la casa di produzione Paramount viene acquistata dal
gruppo finanziario Gulf & Western Industries (ampio conglomerato industriale). Viene integrata ad
altri ambiti dell’industria culturale (editoria, televisione). Nel 1994 il gruppo viene acquisito dal
conglomerato Viacom, sviluppato soprattutto nel settore televisivo, radiofonico e homevideo.
Attualmente la Paramount (che raduna altri marchi come MTV e Nickelodeon) è parte di un
conglomerato internazionale. Oltre al caso Paramount, molte altre majors vengono acquisite da
conglomerati industriali: si sviluppano conglomerati mediali dedicati alla comunicazione e
all’intrattenimento. A partire dagli anni 80 si diffonde la trasposizione dei contenuti, sia in entrata
verso il settore cinematografico (es. un film tratto da un fumetto) sia in uscita (es. da un film si trae
una serie)
• Il caso Star Trek :I personaggi e le avventure della saga trovano luogo di espansione nel cinema
con la produzione di tre “serie” di film: The original series (composta da sei lungometraggi), the
next Generation (serie sviluppata in cinque film) e una terza serie di due film. Oltre alle avventure
televisive abbiamo produzioni di romanzi, fumetti, videogiochi, riviste. È un esempio di media
franchise dove diversi media agiscono coordinatamente attorno ad un prodotto e uno promuove
l’altro. Diverse sono le sinergie di marketing, come ad esempio la Paramount che distribuisce in
videocassetta Flashdance quando il film è ancora nelle sale. Il cinema utilizza inoltre la televisione
come promozione: vengono realizzati quattro video musicali (su MTV). Questo esperimento genera
un fenomeno che aumenta e perdura fino ai nostri giorni. Nascono e si sviluppano i videoclip,
convergenze tra cinema contemporaneo e popular music. Ci sono sia brani lanciati da film di
successo, che lungometraggi dedicati a band.

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Televisione e home video


• L’introdursi di questi mercati secondari provoca un progressivo allargamento nella televisione sia
di canali trasmessi (nascita di reti commerciali concorrenziali rispetto a quelle del servizio pubblico)
sia di tempi di trasmissione, sia di possibilità di consumo (TV pubblica, TV commerciale, pay-TV via
cavo o via satellite).
• La conseguenza è un ampliamento della domanda sui mercati nazionali e internazionali e la
sperimentazione di nuove forme di collaborazione, come la produzione di programmi che
sostengono l’uscita di un film nelle sale.
• La vera novità è l’home video, inizialmente ostacolato dall’industria cinematografica (i
videoregistratori potevano corrompere i ricavi del film) diventa alleato in grado di moltiplicare gli
incassi di un film. Entro la fine del decennio il 70% delle famiglie americane possiede un
videoregistratore: la novità si diffonde rapidamente anche in Europa. Crescono gli incassi dalla
vendita e dal noleggio delle videocassette. Il DVD sarà introdotto sul mercato nel 1994. Dopo
l’uscita del film nelle sale, il video veniva pubblicato, prima per essere noleggiato, poi per essere
venduto, poi il film passava alla televisione a pagamento, e poi a quelle nazionali.

Il postmodernismo cinematografico
• Il momento simbolico del cinema postmoderno è l’uscita nelle sale di Star Wars di George Lucas
(1977) perché unisce le due tendenze stilistiche principali del tempo: la prima il riutilizzo – come
citazione/omaggio – di elementi del passato della storia del cinema, la seconda l’aumento del
piacere fisico della visione dato da maggiori stimoli visivi e sonori (ad esempio effetti speciali).
Anche il film Star Wars è un blockbuster.
• Il postmodernismo cinematografico può essere visto come un nuovo sistema stilistico, una
produzione nuova e contemporanea, uno stile organico con la società occidentale del tempo. Nasce
negli Stati uniti per poi diventare internazionale. Lo stile postmoderno non è un sistema chiuso, ma
un insieme di strategie di narrazione, rappresentazione, comunicazione diffuse in particolar modo
nella cultura visiva degli anni 80 e 90.
• C’è una distinzione tra film postmodernisti e film della postmodernità. Nei primi si parla di
postmodernismo forte, quindi opere d’autore (Woody Allen, Tarantino, fratelli Coen) che con
coerenza e consapevolezza artistica si fanno interpreti di questo rinnovamento, nei primi si parla di
postmodernismo debole, dove questo rinnovamento è parziale o provvisorio, ci sono solo alcune
caratteristiche.

In dialogo con il passato


• Il cinema postmoderno dialoga con due tradizioni principali: il cinema classico hollywoodiano e il
cinema moderno europeo (italiano e francese). Spesso il dialogo è inteso come omaggio, quindi in
modo nostalgico e rispettoso da cinefili o storici del cinema. Può essere anche inteso come
omaggio misto a parodia, o citazione stessa (come quella di Tarantino che cita il cinema orientale
ed exploitation italiano ed americano). I modelli del passato sono quindi attualizzati, riscritti,
rinnovati tra rispetto e rifiuto, tra serietà cinefila e ironia.
• C’è quindi una postmodernità influenzata sul modello spettacolare del cinema classico (primato
della narrazione, divismo, appagamento emotivo) e una più “modernista” influenzata dal cinema
d’autore europeo (ricerca formale, manipolazione intellettuale dello spettatore). La novità sta nel
modo in cui queste due tradizioni interagiscono, che è sorprendente e talvolta contraddittorio.
• Velluto blu di David Lynch (1986) riprende elementi del cinema classico utilizzati però per rivelare
le contraddizioni, le zone d’ombra nascoste della continuità hollywoodiana. Il sistema classico viene
deformato, l’ordine del reale viene scardinato e viene sottolineata la dimensione misteriosa e
onirica. I riferimenti storici si appannano (il film sembra contemporaneamente ambientato negli

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anni 50 e negli anni 80) e la relazione causale tra gli eventi del plot e subplots, fino a produrre
quell’atmosfera caratteristica dei film di Lynch che non è né realtà né sogno, ma dreamlike.

Intertestualità e metalinguaggio
Nei film c’è l’atto stesso di dare corpo a un racconto cinematografico come contenuto. Questo
solleva altre questioni come lo statuto di verità delle immagini, e del potere analitico dello sguardo.
La postmodernità e l’impatto di nuove tecnologie di simulazione, sembrano eliminare la relazione
naturale tra immagine e realtà. Metalinguaggio e intertestualità nel cinema postmoderno si
traducono in tre caratteristiche principali:
• Spostamento dell’attenzione dal contenuto della comunicazione all’atto del comunicare • Azione
percettiva che mescola una lettura presente (seguire ciò che mostra il film) e un’azione memoriale
(riconoscere il già visto): l’intertestualità è un meccanismo di continua inclusione del passato nel
presente
• Partecipazione al testo che dipende dalle competenze dello spettatore: il suo occhio sarà più
consapevole se in grado di cogliere i collegamenti, gli omaggi, l’ironia.
Da metalinguaggio e intertestualità derivano fenomeni produttivi come la moltiplicazione di
pratiche come il sequel, il remake, la parodia. Nasce un’estetica della ripetizione dove c’è il
riferimento esplicito a uno o più antecedenti. Nascono anche opere di genere “metafilm” ovvero
che raccontano la lavorazione di un film. La comunicazione metalinguistica mette in rilievo non
quello che si intende mostrare ma piuttosto il fatto in sé del mostrare. Diverse strategie
sottolineano questa comunicazione, ad esempio dare del tu allo spettatore.

Le forme della narrazione


• In Velluto Blu si indebolisce la logica tra causa effetto, le soglie che alternano sogno e realtà, la
ricerca del personaggio principale manca di coerenza e i meccanismi psicologici non sono
facilmente decifrabili. Nella narrazione ci sono rallentamenti, digressioni. La narrazione mischia una
narrazione debole (personaggi e ambienti enigmatici e opachi, azioni e eventi incomplete o
provvisorie) e antinarrazione (sospensione, stasi, il tempo si dilata, gli eventi procedono a rilento e
la riflessione prende il sopravvento contro l’azione). I narratori postmoderni non sono più
onniscienti, spesso sono anche confusi, inaffidabili nel loro compito di riordinare la storia e
distinguere la realtà. La narrazione non è compromessa, perché mira comunque a soddisfare il
piacere e lo spettatore non si identifica più con il pesonaggio, ma con lo schermo, il cinema stesso,
in quanto luogo di finzione. Un esempio è il film Pulp Fiction, in cui l’andamento è spezzato e fasi di
azione (forti) si alternano a fasi di stasi (deboli)
• La narrazione del cinema postmoderno funziona in un regime di sovradrammaturgia, dominano le
tendenze della sovrasensazione (ad esempio il gusto per lo splatter o l’eccesso di violenza) e della
sovraimmagine (artifici visivi, effetti speciali).
• Nel cinema postmoderno la forma prende il sopravvento sul contenuto del racconto.
• Parallelamente si sviluppano tendenze classiciste di ritorno all’ordine, alla continuità. Si parla
però di una continuità intensificata, in cui le azioni di un personaggio principale (eroe) si svolgono in
un mondo chiaro e coerente. Ne sono un esempio i film di George Lucas e Steven Spielberg, in cui
torna la tradizione della grande avventura, il piacere dell’intrattenimento dato dalla spettacolarità e
dal coinvolgimento emotivo dello spettatore. La differenza sta nel nuovo rapporto tra cinema e
realtà: sembra non esistere altra realtà se non quella del cinema stesso, creatore di mondi e
emozioni. L’orizzonte della realtà è sostituito in questi film da quello del cinema: il dialogo realtà
cinema è ora un rapporto cinema-cinema oppure “realtà del cinema”.

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Le forme della messa in scena


• La messa in scena, quindi i modi dell’esposizione, ha un ruolo autonomo: fa storia a sé. Cambia la
visione del mondo e il modo di guardare: ad esempio prima i piano-sequenza avevano lo scopo di
osservazione lenta, aderenza alla realtà, spesso nel cinema post-moderno subiscono un
abbassamento, uno svuotamento. Lasciarsi colpire dall’immagine diventa più importante che
crederla vera.
• Cresce l’importanza dell’esibizione del lavoro della macchina da presa, aumenta la spettacolarità,
il virtuosismo, il trascinamento emotivo dello spettatore, questo grazie anche alla disponibilità di
nuove tecnologie (louma, steadycam, regia digitale).
• Il cinema postmoderno è immersivo: lo spettatore si immerge in un bagno di sensazioni visive e
sonore, è una sosrta di viaggio del corpo. Ritorna quella logica delle attrazioni associata solitamente
al cinema primitivo, grazie anche all’avvento del digitale.

IL CINEMA CONTEMPORANEO
I media
• Si diffonde il nuovo linguaggio digitale, e la nuova grammatica del network. Questi ridefiniscono i
concetti di informazione e conoscenza. Cresce l’importanza dell’individuo, ora in grado di agire nel
“cyberspazio”.
• La rivoluzione digitale si afferma a fine anni 90, ed è guidata da quattro fenomeni: la diffusione
mondiale di un nuovo medium – Internet – dal 2000, la digitalizzazione di tutti i tipi di informazione
(la loro rappresentazione numerica in sequenze di 0 e 1), potenziamento e semplificazione dei
software (Facebook nel 2004) e lo sviluppo tecnologico degli hard-ware (laptop, tablet…).
• L’esito di questi processi è la convergenza dei media. La disponibilità di un unico linguaggio (la
codifica digitale) per rappresentare informazioni di tipo diverso, permette un livello di integrazione
tra codici diversi.
• La nuova idea di medium è che nessun linguaggio aderisce a una soltanto di esse: posso guardare
un film non solo al cinema o in tv, ma anche sul computer, sul tablet, tecnologie mobili e
multifunzionali. I contenuti sono quindi liberi di migrare da un supporto all’altro, ne consegue un
fenomeno di rilocazione mediale.
• Nasce anche un nuovo spettatore, che può appropriarsi del contenuto, consumarlo nei media
environments che preferisce, organizzando in modo personalizzato i contenuti. Prima ad esempio
potevo vedere una serie tv in base ad appuntamenti fissi, ora posso vederla in streaming.
• Le tre caratteristiche del nuovo consumatore sono la personalizzazione del consumo, la
competenza tecnologica e l’interattività. Il “ricettore” può diventare produttore di contenuti (come
con Youtube, che riunisce iniziative create dall’audience) e può interagire e partecipare alla
produzione di contenuti. I vecchi consumatori erano considerati soggetti passivi, i nuovi sono
soggetti attivi.
• C’è un dialogo tra i media, in cui ogni medium influenza un altro e viceversa, creando una rete di
intermedialità.
• I linguaggi associati ai singoli media subiscono fenomeni di fusione semantica e riorganizzazione
sintattica: ci sono linguaggi che accomunano più media, non c’è un modo specifico in cui ogni
linguaggio deve presentarsi, ma tutto è possibile.

Il cinema in discussione
• Nasce una riflessione ontologica sul cinema a causa del processo di perdita di identità dei media.
La discussione è causata da questo “allarmismo”: la rivoluzione digitale mette in discussione alcune
caratteristiche del cinema. Il ruolo del cinema (mezzo di intrattenimento, dialogo con la realtà,
testimone di processi storici) sembra essere indebolito o in parte trasferito ad altri media.

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• Un altro cambiamento è il passaggio da procedure analogiche (uso della pellicola) e digitali. La


procedura analogica è basata su un rapporto di dipendenza del dispositivo cinematografico da una
realtà effettiva posta davanti alla macchina da presa. Con il digitale invece il cinema si trasforma in
un’arte virtuale, una ripresa non impressa in fotogramma su una striscia di pellicola, ma codificata
in una sequenza numerica. Inoltre nasce anche la possibilità di realizzare film dal computer.
• Il cinema si sottopone a una “deterritorializzazione” in cui si passa da cinema al cinematografico,
quindi un insieme di elementi ancora riferibili a un modo cinematografico dell’immagine, ma non
più dipendenti da un ambiente mediale specifico. Secondo la posizione di Lev Manovich il cinema è
stato un modello per i media, possiamo infatti notare l’approccio cinematografico al mondo. La
conseguenza è una seconda giovinezza del cinema, non più visto come dispositivo specifico per
produrre un film, ma come linguaggio comune e familiare.

Esperienza, dispositivo, discorso


• L’idea di esperienza, data da un’audience creativa e performativa, è la moltiplicazione dei luoghi e
momenti in cui possiamo vedere un film. Questa non preclude il rinnovarsi di un’esperienza
pienamente cinematografica.
• L’idea del dispositivo nella relazione tra testo e spettatore è sottovalutata. Per dispositivo
intendiamo una specifica modalità di esposizione fondata sulla compresenza di un film e uno
spettatore fisicamente e psichicamente orientato a guardare una proiezione. Eppure il cinema
riesce ancora oggi a esercitare i suoi “compiti” di soddisfare lo spettatore, fargli sperimentare
mondi che non conosce, dargli un pensiero critico sul mondo contemporaneo.
• Il cinema dà un’esperienza diversa rispetto ai nuovi media. Alla leggerezza e all’astrazione digitale
si oppone il peso del cinema del suo durare, la densità dei suoi racconti, la successione temporale: il
cinema è un’esperienza partecipativa che mobilita le facoltà psichiche, cognitive, corporee, emotive
dello spettatore.
• Il cinema è parte del contemporaneo ma non vi appartiene fino in fondo, non vi si confonde: c’è
una leggera sfasatura tra i due che permette però al cinema di accogliere il contemporaneo,
metabolizzarne le caratteristiche. Rimane tuttavia l’unico mezzo in cui c’è un rapporto attivo tra
spettatore, immagine e realtà.

I caratteri del cinema contemporaneo


• Il digitale causa cambiamenti che si percuotono sul piano della forma filmica. Il digitale però non è
l’elemento caratterizzante del cinema contemporaneo, ma solo un mezzo a cui si deve aggiungere
la capacità del cinema di essere contemporaneo e di raccontare e elaborare l’universo sociale che
lo circonda, tramite usi particolari grazie alle potenzialità tecnologiche e digitali.
• Nasce un dibattito internazionale che vede scontrarsi due modelli di esperienza e
rappresentazione della realtà: uno segnato dalla tecnologia, l’altro che prevede un ritorno della
storia. Si ripercuote nella scissione di una cittadinanza digitale e una cittadinanza effettiva, tra
dimensione virtuale e reale. Si sviluppano due modi di produzione: uno che enfatizza il ruolo della
tecnologia, l’altro che riafferma un contatto immediato con la realtà, quindi un realismo basato sul
principio dell’attrazione e un altro sui principi dell’attenzione. In entrambi i casi lo scopo è afferrare
un reale autentico, contemporaneo.

Società digitale
• Si diffonde il cinema supereroico (Spider-Man, Iron Man, Superman) a evidenziare il ruolo che ha
assunto la tecnologia: quello di modellare, agli occhi dello spettatore, una vera e propria esperienza
digitale. La logica del blockbuster è ora quella di creare mondi e esperienze in cui la progettazione
informatica ha un ruolo di permanente trasformazione della realtà. In questi film l’archetipo è il
passaggio da una condizione di vita normale e quotidiana a una “super” (ampliamento delle facoltà

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ordinarie grazie a protesi, travestimenti, modificazioni genetiche). La digitalizzazione ha il ruolo di


potenziare la realtà e crearne un suo doppio virtuale. Si accentua la dimensione attrazionale, a
discapito della concretezza, della consequenzialità narrativa. Protagonista di questo cinema è uno
sguardo digitale, in cui l’identificazione dello spettatore. Rispetto alla continuità queesto è un
regime di postcontinuità.
• Il contrasto tra vita analogica e digitale è tema di Oblivion di Joseph Kosinski: l’ultimo abitante
della Terra, Jack Harper, è nostalgico nell’immaginare di dover lasciare il pianeta. Ha ricordi visivi
che si accendono in modo intermittente (ricorda la preapocalisse a New York, una donna, una
felicità vaga) e ricordi tattili in forma di archivio analogico (in un angolo che solo lui conosce c’è la
musica in LP , le fotografie, oggetti veri e concreti). A un passato di concretezza e calore si
contrappone un nuovo mondo dove tutto è messo in discussione, anche l’originalità e l’identità
della sua persona (scoprirà di essere “nessuno, un clone infinitamente ripetuto). I temi sono
l’animazione digitale della realtà, l’autenticità dell’esperienza e della memoria, l’analisi di un reale
tecnologico che “elimina” l’umano.
• David Lynch in L’impero della mente mostra apertamente che il film è stato girato in digitale,
quindi vuole sfruttare la risorsa estetica dell’immagine digitale, che rappresenta un filtro, un
medium, un veicolo dello sguardo, quindi un modo nuovo di guardare. Nell’estetica digitale si
mischiano realtà, allucinazione, sogno ecc. Nel piano stilistico dell’estetica digitale abbiamo in
alcuni film la coabitazione di diversi formati di immagine che svalutano la profondità e la
prospettiva. Il linguaggio nuovo è aperto e deformato, più fragile per quanto riguarda i criteri di
spazio e tempo. Il cinema contemporaneo sembra essere in grado di elaborare un discorso che
testimonia questo aggiornamento tecnologico e esprimere un pensiero legato a questa società
digitale.

Di fronte alla realtà


• Accanto al cinema digitale si sviluppa un movimento parallelo e opposto, analogico: vuole
riaffermare il legame tra cinema e realtà, un cinema che testimonia la concretezza e l’immanenza
del reale. Una sorta di realismo attivo che vuole far sentire la realtà e renderci sensibili nei suoi
confronti. Questo realismo è inaugurato dallo shock storico dell’attentato alle Torri gemelle. Molti
registi danesi firmano il manifesto
Dogma95, movimento che mira alla ricerca della realtà. Si diffonde un cinema dell’accadere, come
quello di Dancer in the Dark di Lars von Trier, dove la videocamera insegue l’azione, passando da
un’angolazione a un’altra, a inquadrature vuote e confuse, tagli che rendono la dinamica
dell’accadere, del presente. Non si tratta di riprese amatoriali o improvvisate, ma della tecnologia
con il preciso ruolo di essere reale, impressionare lo spettatore.
• Nasce il CCC, Contemporary Contemplative Cinema, lontano dai modelli classici si concentra
nell’incontro tra lo sguardo e la realtà. Figura emblematica è quella di Gus Van Sant, influenzato dal
regista ungherese Béla Tarr nella tetralogia della morte – Gerry, Elephant, Last Days, Paranoid Park.
In Gerry la rappresentazione vuole cogliere intensivamente lo scorrere del tempo e i corpi in
movimento. I due Gerry protagonisti camminano, corrono, si dividono, si ritrovano. L’altro corpo
presente è quello della natura (vento, sabbia, nuvole). Il film è un’avventura del corpo in
movimento nel tempo e nello spazio. Il regista vuole così ristabilire una relazione attiva tra realtà e
rappresentazione.
• Il nuovo ruolo del cinema è una centralità sociale e culturale e il recupero del rapporto attivo tra
immagine e reale. Redacted di Brian de Palma ricostruisce un episodio reale (lo stupro di una
ragazza irachena poi uccisa da alcuni militari statunitensi) a partire da fonti mediali che riorganizza
dando alla storia un punto di vista e una morale. Si diffonde quindi questo “fare archivistico” in cui
materiali già presenti vengono riorganizzati. In particolar modo i Media collage, i quali temi
principali sono gli attentati dell’11 Settembre e il secondo conflitto iracheno. Sono film che

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assemblano riprese amatoriali o registrazioni autovisive di cittadini o giornalisti. Formano una


connettività sociale, intrecciano le testimonianze e poi danno loro un ordine e un senso (processo
di autenticazione intermediale).
• Le ripercussioni dell’11 Settembre investono in Occidente tutti i settori, compresi i media e il
cinema. Vengono rielaborati gli eventi dal cinema statunitense. Questi eventi hanno già le
caratteristiche di un film, in tutta la loro angosciante tragicità. Il lavoro fu anzitutto di propaganda,
ad esempio nella proiezione del cortometraggio The spirit of America: montaggio di sequenze di
celebri film americani in cui si mostra la determinazione degli eroi di fronte alle avversità.
L’elaborazione del lutto si compie con questi instant movies (con tematiche e finalità evidenti) ma
anche con film che hanno rapporti indiretti o simbolici: topos della cattura aliena (evocazione
dell’attentato). Si diffondono le traumatic narratives derivanti appunto dal trauma dell’11
settembre.
• Zero Dark Thirty di Kathryn Bigelow ha come tema principale gli attacchi terroristici e la cattura e
l’uccisione di Bin laden. All’inizio del film appare la scritta che descrive il film come ricostruzione
fedele e basata su documenti. Il film inizia oscurando l’inizio della storia (l’attentato alle Torri):
rende una tragedia su uno schermo nero, luttuoso, cieco, lasciando allo spettatore soltanto l’audio.
Segna luoghi e date degli eventi. L’ordine del discorso trova il suo luogo nel fatto che gli eventi
siano visti dall’unico punto di vista di Maya. Maya giunge in Pakistan da Washington e soltanto
dopo aver guardato e riconosciuto il corpo di Bin Laden morto l’azione si conclude. Da qui lei, come
lo spettatore, come i cittadini americani possono scoppiare in un pianto liberatorio e cominciare
una nuova storia.

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AUTORE
Il concetto di autore non è ben definito: è una nozione che ha una storia, uno sviluppo lungo e
contrastato. Dobbiamo anzitutto differenziare il cinema europeo da quello americano. Il primo ha
privilegiato spesso una relazione diretta con il pubblico piuttosto che l’autonomia dei registi
hollywoodiani.

Diritto d’autore
In questo senso l’autore è colui che detiene la proprietà intellettuale dell’opera, in questo caso del
film. Lo statuto dell’autore ha però subito modifiche e ha contorni incerti.

Autore come ruolo professionale


Con la progressiva istituzionalizzazione del cinema c’è anche il progressivo definire nel cinema ruoli
professionali specifici. Il cinema comincia ad avere un prodotto, il film, che funziona come oggetto
autonomo artistico. A questo corrisponde un’intenzione d’autore. L’autore è un soggetto non
facilmente individuabile a causa del processo di differenziazione dei ruoli professionali della
produzione cinematografica. Oltre le diatribe tra sceneggiatori e registi, durante gli anni Dieci a
essere chiamati autori spesso sono stati anche scenografi, attori, case di produzione. Un esponente
della prima avanguardia francese, Louis Delluc introduce il termine cinéaste (cineasta) a indicare
chiunque sia coinvolto nell’attività cinematografica, compresi critici e teorici. Solo dagli anni 30,
quando autore e regista si legano, il termine assume questa valenza.

Autore come ruolo estetico


In questo senso l’autore è il soggetto responsabile dell’intenzione d’autore, di una volontà autoriale
che ha generato l’opera. L’ascesa del regista è parallela al diffondersi di una nozione di autore
inteso come artista, artefice, unico responsabile del valore estetico del film. In Francia si sviluppa
nei primi anni Venti la prima avanguardia. Secondo gli esponenti se era necessaria una rivoluzione
estetica, i suoi promotori dovevano essere i responsabili ultimi della creazione artistica (quindi gli
autori). Abel Gance è considerato l’autore di La decima sinfonia, opera fondativa della prima
avanguardia. Fu il primo film d’autore della cinematografia francese. Il primo film d’autore francese
fu in realtà americano (I prevaricatori, di Cecil B. DeMille).

L’autore come regista


La definizione a livello internazionale di autore come figura professionale del regista è debitrice
della prima avanguardia francese. Percorsi analoghi avvengono anche nel cinema tedesco e
sovietico. Già a metà degli anni Venti l’indentificazione tra autore e regista sembra diffusa. Le
discussioni si concentrano piuttosto sul ruolo che l’autore deve avere: sociale, politico, estetico.
Secondo la politique des auteurs, così definita da Truffat, l’identificazione non è più biunivoca:
l’autore non può essere che regista, ma non tutti i registi sono autori. Secondo i critici di questa
politica, il soggetto del film è la sua messa in scena. Inoltre l’opera di un autore si collega ad un
insieme più grande di testi e rispetto a quest’insieme va giudicato.

L’autore come brand


La caratteristica del periodo postmoderno è la disintegrazione dell’autore, che viene “assorbito”
all’interno del prodotto culturale. Il cinema d’autore postmoderno (come ad esempio quello di
Tarantino o Wes Anderson) ha come questione fondamentale costruire sé stessi all’interno del film.
La preoccupazione dei registi è costruire sé stessi come autori e come “marchi di fabbrica”. Nel
nuovo assetto dei media audiovisivi anche figure non tradizionalmente autoriali possono assumere
il ruolo di autore: si diffonde la produzione cooperativa, e riscritture. Riguardo al ruolo del regista,
prendiamo come esempio Kill Bill Vol. 1 e Vol. 2 di Tarantino. Il regista lavora

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sulla costruzione di sé stesso all’interno del film. Se qualcuno lo rappresenta nel film, questo è Bill:
ha il ruolo di colui che ha organizzato tutto e colui a cui tutto ritorna. Dunque l’interesse dello
spettatore si sposta dal racconto narrato in sé al modo in cui la vicenda è narrata. Inoltre lo
spettatore ha anche una serie di aspettative, date anche dal nome del regista, o dal genere. Il
regista è consapevole che troverà concorrenza con prodotti analoghi ai suoi, dunque ritiene
necessario lo sfruttamento di un marchio. Già questo presuppone aspettative nei confronti del film.
La presenza di un carattere fisso, di un elemento che etichetti il prodotto rientra nella logica del
brand: a garantire sicurezza allo spettatore è il fatto che si faccia leva su una marca nota (un regista
noto).

GENERE

Ripetizione e variazione
• Barry K. Grant definisce i film di genere come lungometraggi commerciali che, attraverso la
ripetizione e la variazione, raccontano storie note con personaggi noti in situazioni note. I generi
permettono di produrre in economia, raccontando “sempre la stessa storia” con variazioni.
Risparmiano così su materiali narrativi e talvolta su set e costumi. Anche i divi, sono specializzati in
un certo numero di generi, stabilendo un rapporto privilegiato con un determinato pubblico (ad
esempio il bellico per gli uomini, il melodramma per le donne). Il cinema ha ereditato i generi dal
teatro e dalla letteratura. Dato che un film di genere è “un film che abbiamo già visto”, il genere è
legato a fenomeni come il remake e il sequel.
• La ripetizione: Ci sono elementi ricorrenti, ovvero un musical ha numeri di canto e ballo, un
horror eventi spaventosi. Alcuni generi sono caratterizzati dalla collocazione spazio-temporale: un
fantasy narra una storia collocata in un Medioevo fantastico. Altri si definiscono in base alla
narrazione (la commedia romantica narra una storia d’amore a lietofine) all’ambientazione sociale
(i gangster movies narrano le vicende di malviventi in un contesto criminale di una grande città) o
allo stile (il noir è caratterizzato dal racconto a flashback e l’illuminazione contrastata).
• La variazione: I film dello stesso genere subiscono delle variazioni e delle trasformazioni. Ad
esempio i film di fantascienza degli anni 50 e 60 sono film di serie B per un pubblico senza pretese,
con effetti speciali economici, dove mostri o alieni distruggono le metropoli. A fine anni 60 il film
2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick è a metà tra kolossal e cinema sperimentale, il genere
diventa di serie A. I film di un genere possono essere classificati in base a un’infanzia, un’età adulta
e una decadenza, ma non necessariamente in ordine cronologico.
• Nei generi ci sono tendenze diverse, in rapporto al cambiamento dei gusti del pubblico. I
produttori possono sì riutilizzare soluzioni già sperimentate, ma hanno anche l’esigenza di novità, di
rappresentare un film diverso da quello dei concorrenti. I produttori ragionano in termine di ciclo
piuttosto che di genere. Il genere è un’etichetta ampia che riunisce prodotti di case di produzione
diverse, mentre il ciclo è una serie di film più piccola, confinata a un’unica casa di produzione. Un
esempio di ciclo all’interno del genere spionistico è quello di James Bond. Un ciclo non deve avere
necessariamente lo stesso personaggio (come nel caso di Bond, che ricorre anche se gli attori
cambiano) ma la stessa tipologia di eroe, temi, situazioni.
• Oltre a trasformarsi, i generi si ibridano tra di loro: un esempio è la parodia, dove un film comico
mette in ridicolo i codici di un film serio. La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock sembra un giallo.
Racconta dell’indagine di un fotografo, costretto in casa dalla gamba rotta, che spiando i vicini per
ingannare il tempo scopre che uno di loro ha ucciso la moglie. Con l’aiuto della sua ragazza farà
giustizia. La seconda linea narrativa è la storia d’amore tra i due, contrastata dalla differenza di
classe: il fotoreporter giramondo non vuole sposare una donna talmente elegante e raffinata. La

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prima linea narrativa finisce con l’arresto del criminale, la seconda finisce come una tipica
commedia romantica: la donna invece dei soliti vestiti eleganti si mette un paio di jeans (sembra
essersi arresa allo stile di vita di lui) ma quando lui si addormenta, sfoglia una rivista di moda (finale
in cui i giochi si riaprono).

Il western: cinema americano per eccellenza


Nasce in America dalla precedente tradizione di storie e leggende sulla conquista delle terre
selvagge dell’Ovest (presenti sia nella letteratura che nelle ballate folk). Nasce nel periodo muto. Il
primo western può essere considerato The great train robbery, di Edwin S. Porter, che narra la
rapina a un treno da parte di un
gruppo di banditi, affine ai film che narrano la malavita delle grandi città. Il western diventa un
genere solo negli anni Dieci, con film come I pionieri di James Cruze. Con l’arrivo del sonoro il
western subisce un’involuzione. Negli anni 30 si presenta come un genere di serie B (il cui
principale sottogenere è il western musicale). Negli anni 40 invece diventa un genere di prima
grandezza, soprattutto grazie a Ombre rosse di John Ford. Fino agli anni 70 rimane un genere
portante del cinema hollywoodiano, sviluppa temi e situazioni drammatiche (rapina, vendetta,
duello) personaggi tipo (sceriffo, cow-boy, indiano, prostituta) e convenzioni stilistiche (panoramica
del paesaggio immenso, musica dei tamburi che indica l’attacco indiano). Un film western narra una
vicenda ambientata nella parte occidentale del Nord America. È stato definito il genere americano
per eccellenza, perché narra il mito di fondazione della nazione. Negli anni 40 e 50 però iniziano a
diffondersi film pro indiani, che narrano il lato oscuro e brutale della conquista imperialista e lo
sterminio di un popolo. Gli eroi diventano tristi, stanchi e fallibili. Il periodo classico vede western
con personaggi al di sopra del nostro livello di azione mentre in quello della New hollywood la
capacità di azione è simile alla nostra, è più realistica. Alcuni temi e personaggi propri del western
sfociano in altri generi, come quello di avventura. Dagli anni 80 in poi il genere western cessa di
esistere, anche se ci sono dei casi isolati (Django Unchained di Tarantino).

Confini
Il western europeo e italiano (spaghetti western) ha una storia più autonoma, legata alla tradizione
di un singolo paese. Alcuni, riguardanti la storia e la cultura di un solo paese, ottengono comunque
successo sul mercato internazionale, dunque vengono imitati da concorrenti stranieri. Ad esempio
Intolerance di Griffith è costruito sul modello dei film storici italiani sulla romanità. Anche lo
spaghetti western non è propriamente inventato da Sergio Leone, ha una storia più lunga basata
dalla mitologia del Far West. Lo stesso Tarantino in Django Unchained riprende lo spaghetti
western e lo ibrida con quello americano.

Cinema di genere / Cinema d’autore


Se l’autore plasma la sua opera a propria immagine, il rispetto delle regole di un genere diventa un
limite, una costrizione. Per questo le filmografie di molti autori, soprattutto europei, non danno
importanza alla nozione di genere (è difficile etichettare ad esempio La dolce vita di Fellini). Eppure
non sempre autore e genere sono termini in contrasto. Si è sempre pensato che fare arte sia
collegato a rispettare regole e canoni (Classicismo), solo con il Romanticismo nasce il fare arte
originale e innovativa. In questa visione, arte e merce sono agli antipodi, dunque un film di genere
non può essere un film d’autore. Tuttavia autore e genere non necessariamente si escludono a
vicenda: ci sono generi che “nascono” da film d’autore, come il Decameron di Pasolini dà il via al
filone boccacesco della commedia erotica italiana, e Salon Kitty di Tinto Brass è il modello dei nazi
exploitation movies (film di serie B con effetti sanguinolenti, dove i nazisti stuprano e torturano i
prigionieri). Lo stesso cinema d’autore potrebbe essere letto come un genere, dal forte prestigio
culturale, che attira il pubblico.

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STILE

La difficoltà di definizione di stile


L’aforisma di Leclerc de Buffon “lo stile è l’uomo” è una nozione vaga, ambigua, multiforme. La
prima aporia dello stile è la sua oscillazione tra individuale e collettivo. Ovvero da un lato abbiamo
l’emergere di un tocco personale, uno stile inconfondibile di un’artista, dal lato il riconoscimento di
una scuola o un’epoca, di una cultura o di una nazione. Lo stile interseca tantissimi campi
dell’attività umana: l’arte, la sociologia, l’antropologia, la moda. Occorre per definirlo o
“purificarlo” oppure limitarsi a descrivere il suo uso corrente. Per stile intendiamo i “procedimenti
espressivi della lingua tra cui scegliere”. Per quanto riguarda il cinema, occorre considerare un
insieme di variabili economiche, produttive, tecnologiche, storiche. Le questioni di stile possono
anche essere legate all’autore, alla recitazione, al sistema produttivo, al genere. Infatti secondo
Giulia Carluccio da un lato tutto è stile (tecnica, regia, narrazione) dall’altro nessuno di questi
aspetti è in sé esclusivamente stile. Lo stile ha una serie di significati differenti.

Lo stile e gli studi sul film


L’inserimento degli studi sul film nel campo accademico (anni 60 e 70) è parallelo all’uscita dello
stile dalle questioni teoriche nella letteratura e nella critica culturale. Il cinema fa il suo ingresso
nelle università mentre la stilistica è considerata superata da paradigmi come strutturalismo,
semiologia, psicoanalisi. L’analisi dello stile filmico ha inizialmente riguardato soltanto i codici visivi
(movimenti di macchina, montaggio) tralasciando aspetti narrativi e di recitazione. Limitato al
visivo, era una caetgoria formalizzata. Si sviluppa poi una rinnovata attenzione alla nozione di stile
(soprattutto negli studi di David Bordwell) che coincide con il riaffermarsi della storiografia.

Stile, tecnologia, forma


Per quanto riguarda la classicità come sistema stilistico, l’analisi dello stile nel The Classical
Hollywood Cinema di Bordwell, Staiger e Thompson è affiancata a quella del modo di produzione.
Principi stilistici e norme produttive viaggiano in parallelo e definiscono la fase classica del cinema
americano, che i tre studiosi collocano tra il 1917 e il 1960. C’è una stretta intraprendenza tra stile,
tecnologia ed economia. Lo stile funziona come un paradigma, una costante tensione tra norma e
scarto, automatismo e invenzione individuale. A Bordwell si lega lo sviluppo del modello d’analisi
del problem solving, in cui la scelta stilistica emerge come soluzione di regia. Esplora il rapporto tra
stile e narrazione individuando tre modi di sviluppo: art cinema (film d’autore europeo, anni 50 60),
historical-materialist (ricerche sul montaggio nel cinema sovietico degli anni 20) parametric (casi
isolati di autori e film). Barry Salt propone la statistical style analysis, che studia la ricorrenza di
figure di linguaggio e procedimenti tecnici in determinati periodi storici. Il limite di questo
approccio è il rischio di piattezza.

Stile, cultura, discorso


Nell’ambito del cinema delle origini, si sviluppa un nuovo modo di intendere la storiografia del
cinema (dal 1978) riguardo i film prodotti dal 1900 al 1906, che risente della Nouvelle histoire
francese. Per comprendere il linguaggio del primi film dobbiamo metterli in relazione all’orizzonte
che precede la creazione di un’istituzione cinematografica, separato dalla storia del cinema
tradizionale, dove è anzitutto l’idea di spettatore a essere messa in discussione. La questione dello
stile è in relazione a teoria, storia, analisi. Più che analizzare lo stile di regia, si tratta di analizzare lo
sviluppo storico e culturale. Lo stile come cultura, il collegamento tra storia del cinema e storia
culturale. Il New Historicism insiste più che sulla coincidenza tra i due, sulla frattura tra arte e
società, tra testo e contesto. Si supera l’idea di un rispecchiamento tra film e

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società anche nei Visual Studies dove l’interpetazione delle immagini porta alla ricostruzione di
un’intera cultura, con i suoi meccanismi e i suoi conflitti. Nell’ambito del cinema italiano Vincenzo
Buccheri analizza il rapporto tra stile, modernità e identità italiana nel cinema degli anni 30, dove lo
stile diventa una forma di discorso sociale.

Lo stile del cinema moderno


La nozione di stile nel cinema moderno si basa soprattutto sulla tradizione critica francese degli
scritti di Bazin, che vede lo stile come vocazione realistica del linguaggio cinematografico, quindi
occorre limitare trucchi e manipolazioni e trasformare l’atto delle riprese da atto esecutivo a atto
conoscitivo. Il moderno funzione come un’ideologia. Il tema di una responsabilità morale del film
non riguarda più solo soggetti e temi ma anche scelte stilistiche. Ricordiamo la polemica di Kapò
(film di Gillo Pontecorvo) che ricostruisce le vicende dei campi di concentramento. Il film è stato
condannato da Rivette nel Cahiers du Cinéma perché il movimento della macchina è ritenuto
immorale: spettacolarizza la morte. Il cinema moderno è stato pensato con accenti religiosi, come
ricorda Buccheri il cinema è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal
punto di vista della redenzione. La redenzione si lega anche a un progetto estetico e politico, come
utopia di risolvere la sintesi, attraverso lo stile, tra cultura alta e di massa, tra comunicazione e arte.

Conclusioni
Lo stile può essere visto come risposta alle contraddizioni sociali, all’elaborazione di un’identità
nazionale, al rapporto tra arte, élite borghesi e cultura di massa. Diventa catalizzatore di conflitti,
contraddizioni, mutamenti sociali. Buccheri suggerisce la necessità di elaborare un modello di stile
inteso non più come sistema statico ma dinamico, che di volta in volta si stabilizza nel momento in
cui gusti e modelli socioculturali trovano un equilibrio. Leonardo Quaresima parla di unità di stile,
ovvero quei temi e motivi ricorrenti all’interno della storia del cinema. Tuttavia lo stile resta un
luogo teorica instabile.

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TECNOLOGIA

Tra scienza e idealismo


Secondo Barry Salt il cinema non potrebbe esistere senza il pensiero razionale, quindi senza il
Realismo scientifico. Invece secondo André Bazin, il cinema è un fenomeno idealista che non deve
quasi nulla allo spirito scientifico (si parla di Realismo integrale). Jean Baudrillard vede nella
perfezione realistica dell’immagine proprio la responsabile della perdita della sua forza di illusione.
Il cinema nasce per rispondere ad un bisogno idealista di restituire in modo credibile ciò che è
fotografabile e rappresentabile. Preoccuparsi dunque di produrre un “realismo irresistibile” in
modo che non sia più possibile distinguere il vero dal falso, in modo di illudere e attrarre lo
spettatore. Il cinema nasce come fotografia animata, che rappresenta la vita nel suo lato
quotidiano (come La sortie des usines dei Lumière) ma anche nel suo lato fantasioso e magico
(come nelle opere di Méliès).

La pelle delle immagini


Il film è una piccola pelle (pellicola): una striscia composta da una sostanza plastica (nitrato di
cellulosa o celluloide) che possiede una lunghezza varia e contiene per ogni metro di pellicola 54
immagini semitrasparenti. C’è quindi continuità tra cinema e fotografia, tuttavia il cinema non può
essere fruito nell’immediato, ma dopo un processo tecnologico (la proiezione). Il digitale sostituisce
la vecchia pellicola con il sensore o trasduttore (CCD o CMOS) posizionato subito dietro l’obiettivo.
È composto in silicio e costituito da minuscoli elettrodi, di forma e dimensione uguale, sistemati in
ordine geometrico su una griglia bidimensionale divisa in celle (corrispondente nell’immagine finale
ai pixels). Le immagini in pellicola non appaiono finte come quelle digitali perché i granuli di
alogenuro di argento sono irregolari e disposti in ordine caotico nello spazio (configurazione simile
a quella della retina dell’occhio umano). La fedeltà al reale crea molte problematiche, a partire dal
cinema in bianco e nero basato su una codificazione sul piano della scala di grigi, che traducono
toni e sfumature della realtà. Nel 1922 viene introdotta dalla Kodak la pellicola pancromatica (tutte
le colorazioni possibili). L’invenzione del colore nel cinema muto stabilisce un codice cromatico: ad
esempio al giallo corrispondono scene diurne, al blu notturne, al rosso pericolose. Si passa poi alla
colorazione policroma a pochoir e infine al Pathécolor e più avanti al Technicolor. Anche per quanto
riguarda il suono, è una scrittura della luce a incidere sulla pellicola positiva la colonna sonora.
L’immagine digitale ha una duplice articolazione: fotonumerica (sistemi lens-based come
videocamere) e infografica (realizzate al computer).

La trasparenza del mondo


La pratica cinematografica iniziale necessita della luce del sole: le scene vengono riprese in esterni,
così che la luce naturale possa essere la principale fonte di illuminazione. La luce illumina ogni cosa,
e dà una visibilità altrimenti inaccessibile all’occhio empirico. L’altra parola chiave è la trasparenza,
attraverso la quale la luce agisce. La pellicola cinematografica positiva, grazie alla sua
semitrasparenza si lascia attraversare dalla luce. Trasparenza e luce sono anche alla base dei primi
effetti visivi (ad esempio il rotoscoping ideato dai fratelli Fleischer: la trasparenza di un foglio di
celluloide posizionata sul vetro permette di proiettare fotogrammi e ricalcare a mano le immagini
di una controfigura umana. Lo scopo è quello di creare movimenti realistici e naturali).

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Black Box
• Con questo termine, camera oscura, si intende il dispositivo della cinepresa. La macchina da presa
del cinématographe Lumière è un oggetto fondato sull’impiego di una pellicola larga 35 mm,
azionabile manualmente, ogni due giri provoca lo scorrimento di 16 fotogrammi al secondo.
• A metà degli anni 20 la macchina da presa effettua i primi visual effect, ottenuti riavvolgendo e
reimpressionando il negativo. Dal punto di vista esteriore gli apparecchi sono uguali a quelli
fotografici HD e super HD.
• Dagli anni 20 in poi si sviluppano dispositivi leggeri e compatti (handycams).
• L’avvento del sonoro limita la mobilità degli apparati da ripresa: per neutralizzare il ronzio la
cinepresa doveva essere messa all’interno di vani insonorizzati, che anche se dotati di ruote
impedivano le carrellate (ne conseguono quindi brevi panoramiche: inoltre gli attori dovevano
muoversi innaturalmente e scandire le loro battute).
• Negli anni 30 si diffonde la Arri della Arriflex, una macchina leggera fatta apposta per le riprese a
mano, insieme ad altre simili.
• Il postmoderno impone la ricerca di immersività e le innovazioni tecnologiche permetteranno il
sistema Dolby (inaugurato da Star Wars) e sistemi come la louma (gru in cima alla quale è fissato il
mezzo di ripresa, munito di controllo a distanza) o i droni che consentono punti di vista impossibili
con i tradizionali carrelli e dolly. Si sviluppa anche il sistema del video-assist (forma di
videosorveglianza: una microcamera si incorpora nella macchina da presa così che il regista può
vedere su un monitor quello che viene inquadrato). Andando avanti nascono dispositivi innestabili
sul corpo umano come la GoPro e la steadycam (brevettata negli anni 70 consente di correggere e
ammorbidire le imperfezioni della tradizionale macchina a mano, permettendo movimenti fluidi.
Nasce poi la virtual camera, impiegata sia nei videogiochi che nel cinema “sintetico”, un sistema
che simula i movimenti di macchina in ambienti costruiti dal computer, sganciata da qualunque
dispositivo fisico, riceve comandi azionati da un operatore che vede su un monitor il suo lavoro
(così è stato realizzato il film Avatar di James Cameron).
• Un’altra tipologia di black box è il 3D, tecnica impiegata soprattutto negli anni 50, che vede un
revival negli anni 70 e 80. Segna il trionfo del fotorealismo, ovvero la capacità di falsificare
l’immagine fotografica e garantisce immersione nella visione.
• Garantisce immersione anche lo zoom, risalente agli anni 30 e 40, simula senza alcuno
spostamento fisico della macchina da presa avvicinamenti o allontanamenti.
• Può essere considerato black box anche il computer, l’impatto della tecnologia informatica sulla
cinematografia è stato radicale, nell’ambito dei visual effects e dell’editing (passaggio dal
montaggio lineare in pellicola a quello numerico, introdotto da software come Final Cut).
Un altro caso di black box è proprio la sala cinematografica, come spazio pubblico, movie house.
“Dispositivo” che subisce una rivoluzione, un’inversione del rapporto tra pubblico e spettacolo: non
è più il primo a doversi muovere verso il secondo, ma è il secondo che si installa nei dispositivi
personali di ognuno. D’altra parte nella sala può anche essere proiettato su schermo non solo un
film, ma eventi in diretta legati a sport e spettacolo.

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POPOLARE

Introduzione
Eric Hobsbawn, storico britannico, scrive La fine della cultura. Lo definisce un libro su quello che è
accaduto all’arte e alla cultura della società borghese dopo la generazione post 1914. Questo è un
anno cardine nella storia del cinema: esce Cabiria, film di Pastrone. Con le sue spettacolari
scenografie, i divi, i capitali economici investiti, le didascalie dannunziane è considerato un
monumento funebre del cinema muto italiano. Quella che era un’industria basata su modi di
produzione artigianali era comunque in grado di realizzare prodotti all’avanguardia esportabili, ma
dopo la guerra conosce una caduta. Tra gli ammiratori di Cabiria c’è Griffith, che lavorava alla
Nascita di una nazione, film criticato per la rappresentazione della storia razzista. A distinguere i
due film è il ritmo, sia in senso visivo che in senso narrativo: differiscono i modi di produzione.
Griffith utilizza il cinema per dare forma alla concezione del mondo di un paese in ascesa, dinamico,
multietnico, capitalista. Il cinema è mezzo per raccontare la presa del potere di una nazione e del
suo popolo, la borghesia, ma in parte anche il proletariato, che appare come massa ignorante e
inconsapevole.

Il film d’arte e l’arte del film


Notiamo che i quattro grandi nomi della United Artists (Chaplin, Pickford, Griffith e Douglas)
venivano da famiglie e situazioni economiche problematiche. Pastrone veniva da una famiglia
borghese e, educato ai principi della cultura classica tradizionale, chiese a D’Annunzio l’aiuto per
rendere un film “un’opera d’arte” e accreditarsi l’audience nazionale, sia borghese che popolare.
Anche negli Stati uniti c’erano differenze tra la cultura alta e cultura bassa popolare. Negli Stati uniti
nascono luoghi come teatri d’opera, teatri di prosa, musei… luoghi finanziati frequentati da persone
colte che hanno capitale economico/simbolico per aspirare allo status di élite. Freeburg studia le
esigenze del mercato cinematografico, in quanto il cinema necessita di capitali, e di riferirsi ad un
pubblico popolare. Questa linea sarà seguita da Panofsky che sostiene che le potenzialità
commerciali e artistiche possono andae di pari passo: un oggetto è tanto più vivo, quanto più è
commerciabile.
• Il teatro di Minnie (film di Frank Capra) narra di un celebre attore di Broadway che in un viaggio
entra a far parte di una compagnia teatrale di provincia. Si trasferiscono a NY dove ottengono
successo in termini comici: diventano una parodia di sé stessi. Rifiuteranno questo successo e
preferiranno tornare al loro pubblico, rozzo ma appassionato. Il film di Capra è emblematico perché
individua il rapporto inscindibile tra un prodotto culturale e il suo pubblico. Quel tipo di teatro
elementare è pensato per quel tipo di pubblico poco sofisticato, ma non per questo meno degno,
né inferiore, come invece è percepito dal pubblico elitario che si sente in diritto di ridere, è come se
compiesse una violenza simbolica dei confronti di altri spettatori. I due tipi di audience si
differenziano in modo diverso rispetto alla tradizione europea: la differenza non è tra pubblico
colto e pubblico di cafoni, ma tra pubblico che vuole divertirsi e intrattenersi e pubblico che è
“fermo” alla tradizione provinciale. Emerge una sorta di lotta di classe tra un pubblico e l’altro.
• I dimenticati di Struges è una satira in cui un regista diventa ricco grazie a commedie
hollywoodiane. Insoddisfatto per la frivolezza di quel cinema, Sullivan decide di realizzare una
messa in scena per denunciare le condizioni della popolazione segnata dalla Grande Depressione.
Vuole conoscere lo stile di vita delle persone che vuole mettere in scena nel film, quindi vivrà una
serie di avventure che lo cambieranno: si renderà conto che un film impegnato non porterà alcun
beneficio, mentre un film di intrattenimento può portare conforto e comunicare qualcosa,
intrattenerli per alleviare la loro fatica quotidiana

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Nel nome del popolo italiano


La storia ufficiale del cinema italiano prende forma sulla base di una prospettiva istituzionale. Le
opere dei maestri hanno ampio spazio mentre quelle etichettate di genere o commerciali sono “ai
margini”. Eppure tutti i film sono commerciali perché sono prodotti tramite un investimento che si
spera di recuperare attraverso gli incassi, e tutti i film possono essere considerati di genere, dunque
deduciamo che questi film sono considerati meno importanti perché meno belli o rivolti a un
pubblico meno intelligente. Nascono comunità che senza intaccare i presupposti della storiografia e
della critica pretendono uno spazio nelle istituzioni culturali, nelle riviste, nei blog, dove parlano di
produzione di genere e commerciale. In questo modo si ampliano le conoscenze relative al cinema
e al tempo stesso i film di cui parlano entrano nei festival e acquisiscono importanza. A proporre un
primo studio sul cinema in quanto rappresentazione sociale è Spinazzola. Il cinema viene visto in
sala da un ampio numero di componenti di una società, quindi la sua analisi parte dal dato relativo
agli incassi. Non è certo un indicatore assoluto, perché dipende da molti fattori, però è quello da cui
parte. Ovviamente non va tralasciata qualsiasi considerazione etica o estetica. Il successo di un film,
la sua popolarità, non è una variabile indipendente: ha sempre le sue ragioni, specie se si tratta di
un filone (un trend) e non di una singola opera. Il pubblico se rifiuta qualcosa ha le sue ragioni, è un
agire sociale dotato di senso.

Codificare e decodificare un film


Stuart Hall analizza il rapporto tra produttore e destinatario del prodotto. Il suo schema è
applicabile nel quadro della televisione e del cinema. Il presupposto da cui parte è che un prodotto
circola sempre in forma discorsiva (un film è un discorso audiovisivo) e viene distribuito a diversi
tipi di pubblico. Il discorso deve poi essere tradotto in pratiche sociali affinché possa assumere un
significato, e ci possa poi essere consumo. Senza significato, non può esserci un consumo. La
fruizione di prodotti culturali non coincide dunque con il puro intrattenimento. Il rapporto tra
produttore e consumatore non è chiuso e lineare ma complesso e aperto. Il messaggio codificato,
deve essere decodificato ed essere tradotto in pratiche sociali: intrattenere, istruire, persuadere. Il
consumatore ha tre opzioni a sua disposizione: decodificare il messaggio con il codice egemonico-
dominante, decodificarlo con codice negoziato, o seguire il codice oppositivo. Dunque il film non ha
un senso intrinseco ma lo acquisisce attraverso la cooperazione tra mittente e ricevente. Secondo
Stuart Hall è ancora possibile parlare di cultura popolare quando i modi in cui un prodotto culturale
viene decodificato rientrano nel quadro di ciò che ironicamente definiamo lotta di classe. Un film,
un libro, una canzone può essere usato come strumento di lotta sociale, per rivendicare un
riconoscimento, o dei diritti. La fine del cinema popolare dunque coinciderebbe con la fine della
possibilità per il cinema di essere politico.

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SPETTATORE

Introduzione
Emilie Altenloh nella sua tesi di dottorato espone i risultati della sua ricerca sul profilo sociale degli
spettatori che negli anni 10 affollano le sale di una città tedesca. I risultati sono basati su
questionari. La sua ricerca è una novità perché è una ricerca sul campo, a carattere non speculativo,
come quelle negli Stati uniti e anche perché non riguarda tanto lo spettatore dentro la sala e
davanti allo schermo, ma la relazione tra lo spettatore, il suo ambiente di vita, la sua classe sociale,
e l’andare al cinema. L’esito della ricerca è positivo perché emerge un’immagine attiva dello
spettatore.

Classical Views
Il modello di spettatore affermato nel processo di istituzionalizzazione del cinema (con la creazione
delle sale) è quello di uno spettatore mesmerizzato, che si immerge nei mondi fittizi che i film
costruiscono. Il cinema è visto a volte come strumento di persuasione e manipolazione, con
spettatori passivi in balia dei film, soprattutto bambini, donne, o immigrati. I Payne Fund Studies
raccolgono un volume sugli effetti deleteri del consumo di cinema nei bambini e negli adolescenti,
in generale dei mezzi di comunicazione. Nei successivi anni si sviluppano due linee di ricerca sulle
audience: le ricerche empiriche sul pubblico (ampiezza, composizioni, frequenza, abitudini di
consumo) e quelle di carattere teorico che molti classificheranno come speculative, dove il
sondaggio punta a guidare investimenti e scelte delle majors (anni 40). Dagli anni 60 ci sarà un
“ritorno del rimosso”: il superamento della censura (che comprometteva le ricerche sulla
spettatorialità) e la rilevanza della psicoanalisi con cui si esamina l’esperienza dello spettatore. La
storiografia individua due nuclei sul dibattito dell’esperienza di visione: gli studi sull’apparato
(condizioni di produzione e fruizione) e gli studi sul dispositivo (strategie di coinvolgimento dello
spettatore). Entrambe danno l’immagine di uno spettatore modellato dalle condizioni della visione,
indotto a identificarsi con i mondi che i film rappresentano. Le teorie del dispositivo sono
nostalgiche del tipo di cinema in cui l’esperienza visiva era intensa e coinvolgente: ora non lo è più
a causa della trasformazione degli spazi di fruizione e la crisi dei testi.

Vedere oltre
Le teorie cine-psicoanalitiche stabiliscono un nesso tra la visione e i processi di costituzione della
soggettività. L’esperienza visiva innesca un processo regressivo in cui lo spettatore rivive fasi del
suo percorso soggettivo. In questo modo il film coinvolge e immerge lo spettatore, ma diventa
anche parte della sua identità. La teoria dello spettatore posizionato ribadisce quindi il ruolo del
cinema nella costruzione dell’identità. Nasce quindi questo dibattito sulla responsabilità del cinema
che si lega con la critica femminista. Quest’ultima pensava che la lotta per l’emancipazione
femminile non si doveva condurre solo nelle piazze, ma anche attraverso l’industria culturale. Gli
studi di Laura Mulvey parlano del cinema come costruttore di un’identità nello spettatore,
compresa l’identità di genere. Il cinema hollywoodiano sembrava infatti promuovere interessi
patriarcali in cui il portatore dell’azione aveva tratti maschili mentre i personaggi femminili erano
assenti o passivi, avevano solo il ruolo di oggetto del desiderio. Dunque la donna non poteva
immedesimarsi se non nel personaggio maschile, negando la sua soggettività di genere. Dopo
questi studi nasce una figura più complessa: lo spettatore esuberante, che vede due modelli
principali: Lo spettatore complice: gli approcci cognitivisti, alternativi alle teorie psicoanalitiche,
pensano che l’esperienza di fruizione sia razionale e cognitiva, non irrazionale e inconscia. Il
capofila di questo approccio è Bordwell, che sostiene il ruolo attivo dello spettatore: lo spettatore

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stesso deve completare il senso del film attingendo a una serie di competenze che gli garantiscono
esperienze uniche e originali. Il soggetto è in questo senso complice col testo filmico.
Lo spettatore resistente: anche questo spettatore è attivo e ha un bagaglio di conoscenze, ma si
presenta ostile verso il film, giudicandolo ideologicamente compromesso. Spesso avviene nelle
comunità disomogenee rispetto a quelle dominanti (omosessuali, donne, gruppi etnici). Il modo di
visione si trasforma ancora una volta a inizio anni 90 con le tecnologie (internet, dvd,
videoregistratori). Si diffonde un nuovo idealtipo di spettatore, con una capacità potenziata, che
sarà infatti definito “iper-spettatore” o “spettatore aristocratico”. Con la fine del 900 le ricerche
sugli spettatori si fermeranno, perché l’attenzione si concentrerà sui diversi dispositivi di
comunicazione (televisione ecc).

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SERIALITA’

Introduzione
Per serialità intendiamo da un lato la forma produttiva di tipo fordista, quindi legata alla
produzione identica di ogni pezzo grazie alla catena di montaggio, dall’altro alla capacità di
scomporre una materia narrativa in diversi nuclei tematici riproponendo situazioni e personaggi ma
inserendo man mano novità per rinnovare l’attenzione del pubblico. In ambito prima
cinematografico e poi televisivo, nasce per ragioni economiche, per poi rendersi conto che
serializzare i racconti mantiene vivo l’interesse degli spettatori, curiosi di sapere cosa succederà
dopo, affezionati ai personaggi.

Le origini della serialità


A metà 800 la serialità si afferma in letteratura con la stagione del feuilleton (ospita romanzi a
puntate). Negli anni Dieci del 900 nascono opere con struttura episodica, che si interrompevano
proprio in momento di tensione, e riproponevano stessi ambienti, personaggi, situazioni. Questo
permette di limitare alcuni costi (riciclo set, uso stessi attori) ma anche di inserire novità e
invenzioni (episodi speciali, omaggi).

Serialità in televisione
Comincia a partire dagli anni 80 con la serie Hill Street giorno e notte, narrazione “multistrand”,
quindi multilineare, che affronta più vicende contemporaneamente. Inizialmente il concetto di
serie era quello di episodi autoconclusivi uniti solo da personaggi fissi. Il nuovo modello invece
coincide con la sospensione della narrazione e la flessibilità dei personaggi tipica delle soap opera.
Negli anni Duemila il concetto di serie è ibrido: alcune questioni si risolvono nel singolo episodio
(anthology plot: storia centrale con autonomia), altre invece si prolungano per più episodi o per
tutta la stagione (running plot) che sfruttano il potenziale drammatico e il coinvolgimento
spettatoriale.

Serialità nel cinema


Il cinema è influenzato da alcune modalità del racconto televisivo. La serialità cinematografica degli
anni 80 consisteva in un gruppo di film in cui gli episodi erano indipendenti ma c’erano dei rimandi
e solitamente restava fisso il personaggio principale (Rambo, Rocky). C’è un rapporto tra un film e
l’altro della serie, ma non sono uno la continuazione dell’altro: sono piuttosto una nuova storia, e
possono essere visti in ordine non cronologico. A metà degli anni 80 si diffondono due tipi di
serialità: uno in cui ogni episodio è una risoluzione parziale del precedente, concludendosi in modo
aperto rimanda all’episodio successivo (Ritorno al futuro) e uno in cui la narrazione è “un unico
film” distribuito in due puntate concatenate, cronologicamente ordinate (Kill Bill). A queste formule
aggiungiamo l’insieme di riuso dei nuclei: sequels, remakes, spin-offs, crossovers, reebot. Un caso
particolare è quello di Star Wars di Lucas: saga di fantascienza iniziata nel 1977. Composta da una
trilogia a cui ha fatto seguito una seconda serie di tre film (posti come prequel) e a cui seguirà
un’altra trilogia e uno spin-off.

Sequel: storie con personaggi già noti al pubblico ma con vicende cronologicamente successive a
quelle già narrate. (Il Padrino)
Remake: l’originale viene utilizzato come materia prima della narrazione, ma adattato a un nuovo
contesto culturale e a nuovi spettatori, che sono sedotti da trame soltanto apparentemente attuali.
(King Kong)
Spin-off: l’utilizzo di un personaggio secondario di una serie come protagonista di un nuovo
prodotto. (Angel: spin off di Buffy l’ammazzavampiri)

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Crossover: sovrapposizione di due personaggi che appartengono a prodotti diversi (Alien vs.
Predator)
Reebot: Il pubblico attirato da altre forme di entertainment (videogiochi, web, 3D) perde interesse
dai prodotti inizialmente di buon successo, così questi vengono adattati alla nuova audience
riscrivendo eventi già raccontati in altre sequenze di racconti (fumetti, film, serie) come Batman
Begins di Nolan che riscrive il personaggio di Batman ignorando la saga precedente di Tim Burton.

Dal cinema alla televisione e ritorno


Un altro caso è quello di film ispirati a serie TV e serie TV ispirate a film. Nel primo caso il piacere
dello spettatore è di ritrovare qualcosa di già noto, dandogli un episodio nuovo, spesso un prequel.
(I segreti di Twin Peaks). Nel caso opposto la conoscenza del film non è necessaria: i personaggi e gli
ambienti vengono ripresi. Ricordiamo anche che questo modello della serialità si è diffuso anche sul
web con webseries a low budget (Freaks!) oppure produzioni grassroots (nate in modo amatoriale
e non finanziate dall’industria dell’entertainment)

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ATTORE

L’attore cinematografico sin dagli albori del medium è stato una costante: la presenza di interpreti
incaricati di sostenere una rappresentazione ha qualificato ampia parte dei prodotti
cinematografici. Gli interpreti sono istruiti al fine di produrre personaggi, parte imprescindibile
della narrazione. Il cinema è in grado di produrre una narrazione a prescindere dell’intenzionalità
degli interpreti (un neonato, un animale: il grado di intenzionalità dei soggetti è variabile in base
alla loro consapevolezza). Secondo Edgar Morin il cinema esalta i personaggi nello stesso momento
in cui distrugge l’autore.

Corpi e macchine
L’introduzione di tecnologie di riprese implica una centralità della dimensione corporea. Al corpo si
associa la riscoperta di una soggettività. Secondo Bresson si tratta di cogliere un elemento di senso
generato inconsapevolmente da un corpo, a prescindere dalla sua coscienza o intenzionalità
psicologica. L’ipotesi alternativa è il corpo-macchina: secondo alcuni studiosi tra i quali Lev Kulesov
abbiamo bisogno di mostri: persone eccezionali che ottengono la completa padronanza della loro
costruzione meccanica. Inoltre il corpo-macchina è un tema diffuso nella cultura moderna e
postmoderna (lo dimostrano le molte figure robotiche nei film). Notiamo rispetto alla
rappresentazione teatrale che quella cinematografica ha frammentazione e autonomia
dell’immagine: la ripresa può concentrarsi su singole parti del corpo per valorizzarle, dettagli (occhi,
mani…) e possono prodursi personaggi sintetici combinando inquadrature di parti corporee di
diversi attori, oltre la pratica di stuntmen e controfigure. Per quanto riguarda la valorizzazione, la
più importante è quella del volto in primo piano. Il primo piano dà un’identità ai personaggi, li
rende verosimili, sembra che in loro si inneschino processi psicologici che giustificano le loro azioni.
Si afferma quindi un’idea di personalità del personaggio, fatto di pensieri ed emozioni. La
prossimità del primo piano allo spettatore implica una recitazione attenuata, non come quella dei
teatri di posa.

Le forme dell’attore cinematografico


L’attore può variare in base alle trasformazioni storiche, estetiche, produttive della
rappresentazione. Il cinema attrazione dei primi tempi seguiva il modello della recitazione di teatro
di prosa, danza, circo, dove erano importanti i codici della gestualità e della mimica: a un gesto o a
una posa corrisponde uno specifico significato. Questa recitazione durò di più nel cinema europeo,
mentre a Hollywood nasceva il divismo e l’idea di un personaggio con tratti psicologici, morali. Lo
star system permette di identificare il prodotto attraverso il nome dell’attore a cui è associato e
aumentare la domanda. Il modello di star come personalità non è l’unico: la scuola di montaggio
sovietico individua attore come materiale costruttivo, attore come macchina, attore come corpo
generatore di senso. Il cinema hollywoodiano identifica anche la star come professionista
(esecutore della parte) e star come performer (l’interpretazione è il valore aggiunto della
produzione). La svolta del digitale inoltre può trasformare l’attore con cambiamenti estetici e
tecnologici (Avatar).

Lo specchio a quattro facce


Il fenomeno dell’attore può essere visto sotto quattro punti di vista:
• La prospettiva iconologica: la presenza umana nella rappresentazione per essa come viene
figurata, l’attore come motivo visivo. Questa prospettiva funziona particolarmente nel cinema
muto, in cui c’erano motivi visivi dominanti, come recitazione antimimetica o posture esasperate.

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L’attore Gian Maria Volontè su questo piano offre due modelli di interpretazione: quella eccentrica
e eccessiva e quella contenuta. Si alternano profili esuberanti e altri rigidi.
• La prospettiva della storia dello spettacolo: considera l’autore nell’ampio sistema dello
spettacolo, privilegia il suo mestiere e tiene conto dell’influenza di altre forme spettacolari nel
lavoro attoriale (sistema teatrale). Volonté ha diverse eredità attoriali, la prima formazione
riguarda il sapere sul teatro italiano all’antica, poi la coscienza politica del lavoro di attore diffuso
nella cultura italiana del secondo 900. La sua versatilità interpretativa è maturata da molte
esperienze teatrali, televisive, cinematografiche.
• La prospettiva del modo di produzione: si concentra sull’organizzazione e la realizzazione, e sulle
esigenze culturali. Ad esempio la divisione professionale dello studio system hollywoodiano dove ci
sono diverse categorie attoriali tra interpreti, e la distinzione dei prodotti in generi.
• La prospettiva del divismo: richiede attenzione allo star system e alla singola stella, le sue
apparizioni filmiche ed extrafilmiche (interviste, biografie, blog) in che modo sono letti dai membri
delle diverse classi,ecc. Volonté può essere considerato una star, grazie alla sua coerenza tra le
parti interpretate e al suo discorso critico sulle condizioni sociali e politiche, e la sua competenza
performativa. Come divo vuole distruggere modelli e stereotipi, e lottare contro tipologie di
impiego passivo degli attori. Volonté è un attore attivo, che rifiuta determinati ruoli, è vicino
politicamente alla sinistra del PCI, può essere considerato un divo minoritario ma celebrato.

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CRITICA

Introduzione
Da tre decenni stanno diminuendo spazi di quotidiani e settimanali dedicati alle recensioni dei film,
e le copie vendute delle riviste di cinema specializzate sono sempre meno. Nell’epoca di Internet
infatti la critica diventa sempre più a portata di mano, ed è pieno di recensioni, siti di argomento
cinematografico, dibattiti sui social network.

Dai primi passi al consolidamento istituzionale


In Italia e in Francia nei primi dieci anni del 900 la produzione discorsiva sul cinema è legata alla
promozione delle trame dei film, alla pubblicità di novità tecniche per gli addetti ai lavori, alla
diffusione di giornali, gazzette. In Italia nascono alcune riviste di cinema e l’uso di affidare a
letterati le rubriche cinematografiche. In Francia la stampa cinematografica si espande. Il primo
ruolo di critico vero e proprio è quello di Louis Delluc. Delluc si sofferma soprattutto sul concetto di
fotogenia e il ruolo dell’attore. Predilige il cinema americano, ma è attento anche a generi minori
come il documentario, e il suo giudizio è indipendente dalla promozione commerciale. Nel periodo
tra gli anni 30 e 40 in Italia si consolidano istituzioni cinematografiche sotto il controllo del fascismo
(LUCE). Nascono al contempo discorsi sul cinema americano, il divismo, il rapporto tra cinema e
cultura di massa. Sono per lo più intellettuali di formazione umanistica a svolgere il ruolo di critici
sui grandi giornali. Tra questi ricordiamo “Cinema” redatto da Vittorio Mussolini e poi da Gianni
Puccini, è un tipo di rivista “di fronda” (iniziativa che dall’interno del regime si oppone a questo
intaccandone principi). Le riflessioni si incentrano sul rapporto tra cinema italiano, paesaggio e
identità nazionale, sull’importanza della tradizione letteraria italiana, e su una nuova idea di cinema
che anticipa il Neorealismo. Nel dopoguerra francese c’è un boom editoriale di riviste, in più il
successo di ciné-clubs. Tra i critici del tempo Astruc scrive riguardo ad un dibattito sul realismo, e
definisce il cinema come caméra-stylo: è un linguaggio che permette all’artista di esprimere i suoi
pensieri attraverso la macchina, come un saggista con la sua penna. Bazin distingue invece tre
diverse forme di realismo (tecnico, ontologico, psicologico).

La critica cinematografica moderna in Francia


Nasce la politica degli autori con l’articolo di Truffaut “Alì Baba e la politica degli autori”. La
politique applica la categoria di autore su terreni inediti, dove si vedeva inizialmente soltanto
mercato, industria (come nel cinema hollywoodiano). Anche artisti europei sono al centro del
dibattito, tra questi Becker (Truffaut prende le difese di un suo film minore). Espone le
caratteristiche della politique:
1. Il volontarismo dell’amore: si basa sulla visione ripetuta del film e l’intimità con il film. Il film va
amato, e
per farlo occorre seguire una procedura: bisogna guardarlo più volte, a distanza ravvicinata allo
schermo, e poi discuterlo a fine proiezione. Non bisogna provare piacere per alcuni film, ma farseli
piacere.
2. Il dovere di seguire l’opera nel suo farsi: l’oggetto da amare non è il solo film, il solo
apprezzamento estetico, ma anche tutto il lavoro che c’è dietro. Inoltre occorre considerare il
corpus delle opere, e non il singolo film, quindi occorre considerare l’autore stesso. 3. Il concetto di
messa in scena: il contenuto del film non ha un valore assoluto. La messa in scena è un linguaggio
comune, una lingua in grado di superare le differenze specifiche tra culture, uno strumento
espressivo universale.

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Dal dopoguerra alla politicizzazione


Nel dopoguerra italiano emergono sui quotidiani nuove firme, che stanno al passo con i tempi
(critica cinematografica militante) e seguono un dibattito che discute il rapporto tra pratica filmica
e pratica rivoluzionaria. In Francia il dibattito è tra dispositivo, tecnica e ideologia, ed è influenzato
dal marxismo e dalla psicoanalisi. La rivista “Cahiers” si politicizza in senso radicale negli anni 70,
ma cerca di conciliare la critica dell’ideologia con la necessità di continuare a studiare ed amare il
cinema classico. A metà degli anni 80 aumentano le pubblicazioni, ci sono nuovi editori e collane di
cinema, il cinema entra nelle università. Tuttavia la critica sui grandi giornali e quotidiani comincia
ad andare in crisi.

Metodo: critica, interpretazione


La critica si basa talvolta su regole stabili di funzionamento. David Bordwell pensa che la critica
funziona come un’attività di problem solving: il ruolo dell’interprete per risolvere un problema,
quello di reperire significati non immediatamente individuabili nel film analizzato. Individua quattro
tipi di significati: quelli referenziali ed espliciti (comprensione di situazioni comunicate in modo
diretto, non mediato) quelli impliciti e sintomatici (necessitano di un’interpretazione, elementi
simbolici non immediatamente evidenti). Il critico oltre a questo deve risolvere altri sottoproblemi,
che sono sempre quattro: l’appropriatezza (deve dimostrare al lettore che è appropriato parlare del
film in questione) la corrispondenza (interpretazione supportata da prove) l’originalità (si deve
differenziare da ciò che è già stato detto) e plausibilità (deve rendere credibile il proprio discorso).
Un critico, come ogni oratore, organizza il suo discorso in una struttura (dispositio) e in uno stile
(elocutio). Lo stile riguarda il registro discorsivo adottato, delle scelte lessicali, mentre la dispositio
riguarda il modo di scrivere (scritto accademico, saggio, recensione). In particolare le recensioni
possono essere mini-recensioni (settimanali e periodici) recensioni standard (quotidiani e riviste), o
recensioni lunghe (rivista specializzata)

La critica nella cultura digitale


Nascono blogger e critici del web. La conseguenza è una commistione di tipologie discorsive, e una
disarticolazione della dispositio tradizionale, nascono modelli nuovi (lista, elenco, finta
conversazione) e le scelte lessicali sono basse e colloquiali (forma diaristica). Viene inoltre ridefinita
la nozione di gusto, e si ridefinisce il ruolo dell’expertise (dell’esperto). Su siti come Amazon e
MYMovies ci sono recensioni di utenti comuni e critici non professionisti ma anche di expertise
tradizionali. Questo processo consiste in una deistituzionalizzazione della critica, tanto che alcuni
scettici la credono scomparsa, mentre per altri il lato positivo è che il web ha generato
l’avvicinamento di tanti utenti al discorso critico.

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SONORO

Il suono
Anche se il film è percepito come un medium visivo, il 50% dell’esperienza cinematografica è
uditiva. È più evidente per lo spettatore moderno, grazie al Dolby System e al THX, ma lo è anche
per uno spettatore del 1905 che è accolto in una sala chiassosa, che ascolta le parole di un
imbonitore e la musica di orchestre o pianisti di sala. La componente sonora è stata sempre più
coinvolta poi dalle modificazioni tecnologiche. Il sonoro si è subito imposto come una componente
fondamentale della politica del blockbuster e la personalità dei sound designers si è fatta sempre
più importante. Inizialmente con il cinema muto, si pensava che il primato del film fosse visivo. Si
ha poi un cambio di prospettiva quando si diffonde la concezione di esperienza filmica come
audioviewing. Nel cinema moderno ogni battuta di dialogo è manipolata o registrata
successivamente, ci sono microfoni più sensibili ecc.

Immagine e suono
La dimensione musicale appare come componente più esterna e autonoma rispetto all’immagine.
Per certi versi la musica nel film ha facilitato il volgere d’attenzione al suono filmico.
L’emancipazione del suono dall’immagine in termini di autonomia fa sì che nascono questioni
teoriche e manifestazioni volte alla limitazione del suono e della parola rispetto all’immagine.
Talvolta immagini e suono esprimono significati paralleli del film, altre volte invece il suono si pone
come contrappunto al visivo. Spesso il parallelismo è adottato nel cinema classico mentre
l’opposizione in quello moderno (Le iene di Tarantino dà il ritmo di Stuck in the Middle with you alla
macabra scena del taglio dell’orecchio, o in Arancia Meccanica l’utilizzo contrappuntistico di
Beethoven). Il contrappunto indica anche un’autonomia di suono e immagine, ciascun elemento ha
una propria individualità. Ricordiamo l’impiego della musica di Pasolini, che in Accattone mette
passaggi della Passione secondo Matteo di Bach, il contrappunto è ironico ma anche una proiezione
sacrale della piccola tragedia.

Lo spazio del suono


Il suono abita uno spazio che è quello dell’immagine, pur interferendo con essa. Il suono
contribuisce inoltre a guidare lo spettatore in un’esplorazione visiva dell’immagine in qui uomo e
voce sono al centro e i rumori e la musica hanno una funzione narrativa. Oltre all’ascolto
visualizzato, ossia i suoni in, sincronizzati a una sorgente sonora che l’inquadratura sta mostrando
in contemporanea, il vero regno del suono è fuori campo. Il fuori campo diviene attivo grazie al
suono, rende lo spettatore consapevole dei limiti del suo sguardo e nasce in lui il desiderio di
superarli, soprattutto quando il suono è off (fuori quadro) e sta per far apparire la sorgente nella
prossima inquadratura. I suoni over invece provengono da una sorgente esclusa dal campo visivo
dello spettatore: parliamo quindi della voce di un narratore (ad esempio la voce maschile nitida in
Jules et Jim di Truffaut, oppure in Rapina a mano armata di Kubrick dove la voce orienta lo
spettatore in una serie di flashback e sequenze parallele) oppure della musica. Le inquadrature
sonore (definite talvolta suoni on) sono illusioni: il suono non può letteralmente essere inquadrato.
L’inquadratura sonora è risultato di montaggio con l’immagine che porta ad associarla o meno a un
oggetto.
La riflessione si sposterà su un ruolo di suono e immagine in cui le due componenti si condizionano
reciprocamente. Eppure il suono filmico eccede l’immagine, è inafferrabile, sfugge, e spesso la voce
filmica ha un potere misterioso e ipnotico.

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Ambiente e paesaggio
La rivalutazione del suono e la consapevolezza di incapacità di cogliere la relazione audiovisiva
portano a un riesame dello statuto del suono e del rapporto che ha con l’immagine, e a una
considerazione che riguarda la posizione dello spettatore e dell’ascolto (presa consapevolezza della
complessità e sfuggevolezza della componente sonora). La questione del sonoro non riguarda una
semplice registrazione, ma è una questione di resa: la parola deve riuscire comprensibile e nitida
anche attraverso un urlo o un sussurro, un rumore. L’evoluzione tecnologica ha permesso più
facilmente la resa del suono. Aumenta pian piano la consapevolezza dell’autonomia del suono dal
visivo, e nascono anche tentativi in cui il suono non è “mediato” ma è identico al reale, risultando
assordante e sovrastando qualsiasi altra forma di percezione. A partire dal cinema moderno il
suono diventa protagonista e oggetto privilegiato del sound designer. Alcuni artisti come Tarantino
inseriscono nel CD del soundtrack alcuni dialoghi estratti dai film. Si conquista il ruolo di oggetto
sonoro, sganciato dal visivo dell’immagine e dal primato del visuale. I film Sound Studies daranno
una dimensione prioritaria al suono, consapevoli che a differenza del visivo che si limita allo
schermo, il suono ci circonda e immerge, dandoci un’esperienza totalizzante. Questa percezione
sarà amplificata dai canali surround (altoparlanti ai lati e alle spalle dello spettatore) e moderni
sistemi audio dei low-frequency effects spesso esaltati da subwoofers (vibrazioni intense che
colpiscono dall’interno lo spettatore). Dunque non si parla più soltanto di sonoro o colonna sonora
ma di ambiente sonoro, come spazio unico e tridimensionale tra lo spettatore e l’ambiente
circostante.

TEORIA

Il cinema si presenta dalla sua nascita accompagnato da molti brevi interventi occasionali: questi
testimoniano da un lato il suo immediato radicamento, dall’altro l’esigenza di dare un senso
socialmente condiviso a questo nuovo oggetto di esperienza. Può trattarsi di interventi che
affrontano interessi pratici, oppure testimonianze dei primi spettatori, soprattutto di giornalisti e
scrittori.

Discorsi
Dagli anni Venti in poi nascono interventi di giornalisti, organizzatori culturali, scrittori e registi nella
riflessione sul cinema. Questo perché nasce la forma del lungometraggio, viene accolto in sale
attrezzate per la proiezione e quindi acquisisce maggiore visibilità sociale. Inoltre viene riqualificata
la figura ottocentesca dello studioso o del letterato nel nuovo ruolo di “intellettuale”. Soprattutto
Futurismo e Surrealismo incideranno sulla teoria del cinema. Le riflessioni di questo tempo sono
considerate moderniste, perché esaltano la capacità del cinema di riformulare il reale attraverso le
moderne tecnologie della percezione. Le forme del discorso sono quelle di articoli su quotidiani o
riviste, alcuni volumi in riviste specializzate, i temi possono essere riassunti in tre linee principali:
1. La prima ondata di studi è caratterizzata dall’annettere il cinema nel campo estetico,
legittimandolo quindi come forma d’arte. Alcuni sostengono che sia in grado di conciliare arti
plastiche con musica, altri che il cinema è una forma d’arte a sé, con caratteristiche proprie,
un’esperienza inedita. Un primo gruppo di studiosi si concentra sul fatto che il cinema esternalizza
e rende oggettivi movimenti interni e soggettivi della coscienza e del pensiero. Un secondo gruppo
invece compie studi “rivelazionisti” e pensa che assistere all’esperienza filmica è assistere a

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un’esteriorizzazione epifanica di aspetti segreti e invisibili del mondo reale. In entrambi i casi il
cinema coinvolge i sensi, l’intelletto, le emozioni dello spettatore, è visto come un dispositivo
artificiale che regola rapporti tra soggetto e oggetto.
2. la seconda ondata di studi si concentra sul fattore estetico: il cinema ha un linguaggio dotato di
regole, norme, grammatiche specifiche. Per la scuola dei formalisti russi il film assume la piatta
realtà fotografica delle immagini e la manipola con procedimenti artificiali di carattere tecnico-
stilistico. Si oppone alla teoria rivelazionista perché non è il reale che si rivela attraverso
l’inquadratura, ma il linguaggio cinematografico che esprime il reale attraverso il montaggio.
3. la terza ondata di studi si distacca sia dalla preoccupazione estetica che da quella linguistica, ma
si concentra sul ruolo del cinema nella società, il suo statuto sociale e di mezzo di comunicazione.
Secondo Walter Benjamin il cinema va distinto tra dispositivo tecnologico e medium. Per medium
intende condizioni storiche, culturali, tecnologiche che determinano l’esperienza percettiva dei
soggetti sociali.

Discipline
Il secondo dopoguerra è caratterizzato da due fenomeni principali: il cinema che riflette su sé
stesso e sulle proprie capacità di riproduzione del reale e sul tipo di piacere che suscita, e la
riflessione sul cinema che si istituzionalizza all’interno di università e centri di ricerca.
1. Nel primo caso il gruppo di teorici e critici è quello del Cahiers du cinéma. Il fondatore, Bazin,
esalta il rapporto privilegiato del cinema con il reale rispetto alle altre arti.
2. Nel secondo caso nasce la filmologia, tentativo di inserire il cinema tra gli oggetti di studio
accademici. La filmologia coinvolge psicologi, psicoanalisti, sociologi, antropologi. La riflessione sul
cinema si definisce nel dialogo con una rete di nuove discipline o di discipline rinnovate: semiotica,
sociologia, psicoanalisi, filosofia politica. Ad esempio sul versante della critica ideologica l’influsso
principale proviene dalla revisione di Marx. Il cinema è visto come macchina di produzione e
riproduzione di ideologie, per i contenuti che veicola e per la sua natura di prodotto della
tecnologia capitalista. A questi studi si aggiungono i Feminist Studies (ad esempio gli studi della
Mulvey). Riguardo al
dibattito anglosassone negli anni 80 si sviluppano gli studi culturali che si dedicano particolarmente
al ruolo della cultura pop, dei media e del cinema. La figura di spettatore risente delle
determinazioni culturali, c’è un nuovo interesse per lo spettatore in quanto soggetto sociale e per
la sua esperienza.

Pensieri
Negli anni 90 del 900 si conferma la natura istituzionale della ricerca, evidenziata dallo
spostamento dei Film Studies dalla teoria alla filosofia del film, e ritorna un interesse per
l’approccio estetico del cinema. Inoltre il cinema “sparisce” come istituzione determinata e
riconoscibile con i nuovi devices digitali (film visti non solo al cinema, anche in tv, a casa). La
conseguenza è l’individualità dell’oggetto film e la relazione che lo spettatore ha con esso. I tre
punti principali del dibattito contemporaneo sono:
1. La definizione del cinema, i criteri che lo definiscono nell’universo dei media contemporanei. Da
un lato il cinema nelle nuove culture digitali è visto come un segno positivo perché il cinema ha
trasmesso molte delle sue componenti, dall’altro si pensa che il digitale trasformi l’esperienza dello
spettatore.
2. La relazione tra cinema e corpo: importante è la riflessione di Deleuze. Il cinema classico pone al
centro le relazioni cronologiche e causali tra le immagini, la percezione legata all’azione si
manifesta nel movimento. Il cinema moderno va oltre questo modello e il nesso tra percezione e
azione è rotto, si parla di passati, presenti, futuri molteplici. Deleuze afferma che il film va
considerato in quanto corpo, è un oggetto/soggetto in grado di rappresentare sé stesso e svolgere

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un’esperienza percettiva. Anche lo spettatore è un corpo che svolge un’esperienza percettiva e la


esprime a sua volta. Dunque nella visione di un film sono coinvolti due soggetti attivi.
3. La teoria del cinema, la sua storia. Dalla fine degli anni 70 cominciano a essere compilate
antologie di teoria e critica del cinema. Dagli anni 90 nasce una riflessione sulla teoria del cinema. I
testi più recenti abbandonano la ricostruzione storica del dibattito e privilegiano una ricostruzione
archeologica e una valutazione delle teorie del passato.

CINEFILIA

Definizione
La cinefilia è amore per il cinema, per la storia del cinema e il mito del cinema. La conoscenza della
storia del cinema distingue il cinefilo dal semplice simpatizzante, e presuppone una competenza. Il
mito del cinema inteso come il cinema come mezzo espressivo unico, un’arte del tutto originale.
L’enciclopedia del Cinema di Canova definisce cinefilo una persona appassionata di cinema
talmente tanto da considerare la visione di un film come l’esperienza più alta in termini estetici e
intellettuali. La cinefilia è una pratica primariamente estetizzante. Il termine cinéphile secondo
Antoine de Baecque è l’invenzione di uno sguardo e la storia di una cultura. La definisce poi
invenzione di una cultura. Ciò che distingue la cinefilia dal semplice piacere di andare al cinema è
guardare in film con passione, consapevolezza (critica e storica).

Cinefilia classica
Delluc a fine anni 10 acquisisce il titolo di primo vero cinefilo. La sua idea era quella del cinema
come un’arte da valorizzare, che merita quindi una critica, una divulgazione, una promozione
culturale. È considerato anche il padre della critica e il padre simbolico della generazione “Cahiers
du cinéma”, creatore di una sorta di première vague, anticipatrice della Nouvelle Vague.

Cinefilia moderna
A partire dal secondo dopoguerra nascono e si divulgano sale cinematografiche, cineclub, riviste
specializzate, distribuzioni di film americani prima inediti causa censura. L’interesse verso il cinema
si diffonde e dagli anni 40 svanisce l’idea di cinema come mezzo veicolo di idee sociali, morali,
religiose. La cinefilia di Truffaut prevede proprio una liberazione del cinema dai vincoli del
contenuto, per fondare invece il primato della messa in scena. Per meritarsi la qualifica di cinefili
occorre dimostrarsi competenti e apprezzare i film giusti. Le posizioni intorno ai film si polarizzano,
non c’è un giudizio bilanciato. La cinefilia e la critica però non sempre coincidono: la cinefilia vive
anche senza la critica.

Cinefilia militante
Dagli anni 60 in poi c’è una politicizzazione della cinefilia. È difficile individuare un percorso unitario
nella comunità cinefila perché questa si è allargata dalla Francia a tutto il mondo. I “giovani turchi”,
indifferenti o ostili alle politiche culturali del Partito comunista francese, si trovano costretti a
schierarsi date le contrapposizioni ideologiche del tempo. Molti di questi come Godard si
affiancano all’ideologia marxistaleninista, che inseriscono anche nella produzione cinematografica;
altri invece abbracciano generalmente l’esperienza del cinema diretto, del cinema politico. In Italia,
la rivista Ombre rosse (di Goffredo Fofi) mescola l’amore per il western hollywoodiano alla
militanza politica: credendo imminente una rivoluzione proletaria, il suo interesse va al cinema

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popolare e al cinema del Terzo Mondo. Il cinema è interpretato in questi casi come mezzo
discorsivo necessario alla lotta politica.

Cinefilia magnetica
Le novità provenienti dal sistema televisivo e dei videoregistratori, dalla diffusione delle nuove
tecnologie, comporta l’ingresso del linguaggio del cinema nelle scuole, della sensibilità per il cinema
d’autore. Lo spettatore casalingo diventa il principale consumatore di cinema. La cinefilia appare in
questo periodo spiazzata. Tuttavia il cinema non appare più come medium principale, si avverte da
una parte un declino del cinema, da una parte una sua culturalizzazione. Nuove generazioni di
cinefili possono formarsi grazie alle rassegne televisive o alle videocassette. La nuova cinefilia
segnata dal rapporto culturale dello spettatore con i film fuori dalla sala (ad esempio il
collezionismo casalingo).

Cinefilia postmoderna
Il 1995 è una data simbolica sia perché è il centenario della storia del cinema, sia perché è uno
spartiacque per la cinefilia. Cresce la consapevolezza che grazie al lavoro di storici, università,
nuove tecnologie, la storia del cinema è emersa in modo completo. Eppure il medium
cinematografico è ora al margine, lascia spazio ad altri medium digitali. La cinefilia è quindi
impegnata più che altro ad amministrare il passato. Tra le novità c’è una tendenza internazionale a
rivalutare il cinema popolare, un repertorio che può essere chiamato in diversi modi (trash,
stracult, ecc).

Nuova cinefilia
Gli anni Duemila mettono a disposizione nuovi luoghi, virtuali, per spartire la pratica cinefila (social
network, blog, forum per la condivisione di idee). Nasce anche il movimento New Cinephilia, che
rinuncia a difendere la sala cinematografica come unico luogo (rimane privilegiata). Praticano il
peer-to-peer per scambiarsi lungometraggi e filmografie (tramite ad esempio Youtube)

Distribuzione proibita | Scaricato da Ivan Leonardo (dr.h92@hotmail.it)

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