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INDRO MONTANELLI E IL SUO QUARTO TEMPO

Nella mia disordinata biblioteca c'è un libro, che reputo tra i più preziosi. E' un
bellissimo romanzo, che può star degnamente accostato al Gilles di Drieu La
Rochelle. Quando lo scrisse, il suo autore aveva appena 27 anni ed era già
impregnato di quella toscanità selvatica dei nativi di Fucecchio.
Il romanzo si chiama Primo Tempo ed il suo autore si chiama Indro Montanelli.
In quel libro c'è il Montanelli più vero, più "interiore", quello di una generazione
che all'epoca della Marcia su Roma, "quando l'uva bollì nei tini", aveva appena
tredici anni e, non avendo vissuto in pieno le spedizioni della Disperata, si sentiva
legittimata a trasbordare la vecchia mentalità "squadrista" negli anni del Fascismo-
Regime. Il libro è dedicato, non a caso, a Berto Ricci "uomo nuovo di Mussolini"
(oltre che a Brocchi, Bilenchi, Comis, Bianchini, vale a dire ai fascisti antiborghesi
che spaziavano dall'Universale al Selvaggio).
Sono pagine che racchiudono una critica spietata verso coloro che avevano
riposto nel baule dei ricordi le camicie nere delle "squadracce" per indossare orbaci
e calcare aquiloni, che avevano dimenticato la Rivoluzione strapaesana per
accomodarsi sui sofà della buona borghesia cittadina, che avevano rimosso dalla
testa e dal cuore i grandi perchè dell'umana avventura. Il giovane scapestrato
Giannetto, rivolto al ex-squadrista Valerio, diventato un pezzo grosso del Partito,
ad un certo punto dice: "Perchè viviamo? Per trovare una risposta a questa
domanda hanno fatto una guerra e una rivoluzione. Ma noi, noi vogliamo una
parola nuova e universale. Risolvere un problema nazionale sarebbe una troppa
piccola cosa. Noi vogliamo un'idea cosmica". Giannetto (Indro) vuole il massimo.
Egli incarna la quintessenza dell'intransigentismo nero che vuole manifestarsi in
ogni tempo o contro ogni tempo. Montanelli, infatti, spiega nella breve prefazione
che "nel Primo Tempo più che del formarsi di una coscienza si narra di uno stato
d'animo; e gli stati d'animo sono "storia dell'animo" e variano, e niente più di una
guerra vale a superarli". Il Secondo Tempo è invece per lui "la definitiva formazione
di un'anima e di un carattere in clima fascista" aggiungendo "lo racconterò dopo la
guerra, se a Dio piaccia".
Si riferisce alla Guerra d'Etiopia, dopo la quale in lui, duro e puro sino al midollo,
totalitario per vocazione, cominciano i primi dubbi sulla coerenza del suo essere
verso l'esperienza fascista. Sappiamo come si concluse il Secondo Tempo, con una
visita a Berto Ricci e la confessione che si accingeva a cambiare campo, e tempo.
Il Terzo Tempo montanelliano è quello della gran carriera giornalistica, penna
rinomata, paludata, riverita dai benpensanti meneghini che leggono il Corrierone.
Sono gli anni in cui egli diventa una Firma, se non La Firma, per eccellenza. La sua
statura è quella di una specie di maitre-a penser della carta stampata, il Portavoce
efficacemente scorbutico del girondinismo liberale del Nord. Ma in ogni essere
umano il ricordo della giovinezza, di una primavera di bellezza non scompare mai
del tutto. Ed il "primo tempo" quell'irruente e ribelle "stato dell'animo" ritorna nel
cuore di Indro quando vede che il giornalone di piazza Solferino salta la Gironda per
unirsi al robespierrismo d'accatto della Crespi, intenta a flirteggiare con la barba di
Mario Capanna. Ritorna in lui l'antica e mai sopita audacia del selvaggio toscano e
rompe i ponti con tutta l'intelligentzia trinariciuta degli Anni Settanta. Ricomincia
l'avventura del capitano di ventura. E nasce Il Giornale.
La funzione politica della nuova impresa montanelliana apparve subito
chiarissima. Quella di essere il punto di riferimento di tutti coloro che non si
riconoscevano nel processo di compromesso storico che stava verificandosi in
vaste aeree del potere. Con una direzione controcorrente ai "tempi nuovi", l'uomo
di Fucecchio riprese il suo stile graffiante e riuscì a catalizzare l'attenzione verso il
suo Giornale di quello che oggi chiamano "polo moderato", che andava, allora, dal
MSI a certi settori socialdemocratici. Fu un terzo tempo di grande rilievo, in cui
Montanelli riuscì ad esprimere una maturità politica, non priva di cinismo, quel
cinismo che gli fece consigliare agli italiani di "turarsi il naso" e votare ancora per la
DC.
Ma, come insegna Esiodo, all'età del bronzo succede quella del ferro. E come
dicono i testi indù, arriva sempre il Kali-yuuga, l'Età Oscura, il Quarto Tempo. E non
arriva solo per i cicli cosmici, ma anche per quelli umani, personali, esistenziali.
Dopo mezzo secolo di omaggi e vilipendii, Indro si considera non un protagonista
della storia del giornalismo, ma Il Protagonista. Ed è quì che commette i suoi grandi
errori, che lo portano a identificare una battaglia politica con sè stesso, fisicamente
inteso, sino al punto di credere che qualunque cosa lui possa dire o pensare, i suoi
lettori lo avrebbero seguito.
Se Il Giornale ha infatti avuto un ruolo di primordine negli Anni Settanta, non è
stato dovuto al fatto che Montanelli è una Penna eccezionale. O, almeno, non solo a
questo. Il successo editoriale del Giornale trovava consistenza principalmente
perchè la linea politica che seguiva trovava audience presso i suoi lettori che, in
massima parte, se la ridevano degli archi costituzionali ed avevano relegato
l'antifascismo tra il ciarpame degli utili idioti. Per crearsi un'autonomia totale dal
capitalismo lombardo, ricordiamolo, Montanelli decise che la sua creatura fosse
gestita da una specie di cooperativa di giornalisti, a lui fedeli. Ma durò poco, perchè
lui, liberal-liberista, non aveva fatto i conti con le leggi del mercato. E così si
consegnò (finanziariamente) ai Berlusconi. I quali, da imprenditori della nuova leva,
lasciarono ad Indro fare tutto ciò che a Indro piaceva fare. Ma fino ad un certo
punto, vale a dire fino al punto in cui, scrivendo Indro ciò che a Indro piaceva ma
non piaceva a Silvio, costui Berlusconi cominciò a credersi un marito cornuto che
paga l'albergo affinchè la moglie possa giocherellare con l' amante di turno. E
patatrac.
Montanelli, forte di una sconfinata autofiducia, cambia nuovamente rotta,
facendo cambiar rotta alla sua creatura di carta. Si è stufato del giornale di centro-
destra e, grazie anche al suo consigliori Federico Orlando, lo trasforma in un
mezzomegafono del centro-sinistra. O, meglio, della sinistra-centro, inseguendo le
giravolte vertiginose del suo nuovo amore di nome Mariotto. Vale a dire un
personaggio ridicolmente ambizioso, che si presenta come anti-sinistra, dopo aver
fatto votare tutti i sindaci di sinistra nel ballottaggio elettorale e che vuole
escludere antifascisticamente il MSI da possibili intese. Un turlupinatore patentato.
A questo punto l'editore Berlusconi vede un giornale che non è più quello di
prima anche perchè non lo tratta bene, consta che perde lettori in modo
incredibile, che perde pubblicità, che gli fa perdere una barca di soldi in
continuazione e, per di più, vede che sulla stessa piazza prende il volo
L'Indipendente di Feltri, il cui merito è quello di aver ripreso, con più aggressività, i
vecchi temi montanelliani. Che deve fare? Tenersi Montanelli sino alla sua morte,
vale a dire per altri vent'anni? Fino al fallimento definito del Giornale? O fino al
punto di vedere il signor Occhetto sedersi sulla poltrona di palazzo Chigi?
Indro non deve far la vittima. E, ad onor del vero, non la fa. Non è nello stile del
personaggio. Si è andato a cercare nuovi sponsors (o ce li aveva già?). Uno,
Consoli, è un comunista dichiarato, amico di D'Alema. L'altro, Benetton, senatore
repubblicano desnudo, è il top di quell'ambientaccio salottiero ed amorale che il
Montanelli del Primo Tempo avrebbe volentieri messo al muro. Il suo Quarto
Tempo, Montanelli lo sta consumando sottobraccio ai suoi peggiori avversari del
Primo Tempo.
La verità su Indro la disse Beppe Niccolai, poco prima di morire, quando a
Modugno lo definì "uno che non crede a niente". Anche Marcello Veneziani è dello
stesso avviso. Dalle pagine de L'Italia gli ha affettuosamente detto: "Tu non sei
passato da una fede ad un'altra, ma da una fede allo scetticismo". Dalla fede del
Primo Tempo allo scetticismo degli ultimi due. Dal fascismo all'afascismo. Da una
"idea cosmica" all'indrospezione. Ecco perchè, quarant'anni fa, Montanelli scrisse
sul Borghese una sorta di testamento spirituale : "So benissimo che di bandiere
non posso averne altre e l'unica che seguiterà a sventolare sulla mia vita è quella
che disertai, prima che cadesse".
Quella bandiera, caro Indro, noi ce l'abbiamo ancora in pugno. Il nostro Primo
Tempo non è ancora finito.

Pino Tosca

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Meridiano Sud
Secolo d'Italia

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