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Giacomo

INDICE

INTRODUZIONE..................................................................................................- 3 -
MONTANELLI VISTO DA VICINO..................................................................- 7 -
MONTANELLI: IL POMO DELLA DISCORDIA ....................................- 17 -
LA TRASCENDENZA DI MONTANELLI................................................- 29 -
CONCLUSIONE....................................................................................- 34 -
BIBLIOGRAFIA..................................................................................- 35 -
INTRODUZIONE
Dopo 92 anni, la gran parte dei quali dedicata al giornalismo, il 22 luglio 2001 è
morto Indro Montanelli. Era nato a Fucecchio, in Toscana, il 22 aprile 1909 da
componenti di famiglie “rivali”: Sestilio Montanelli e Maddalena Doddoli. Nei primi anni
di vita Indro fu istruito e formato soprattutto dalla madre e dalla famiglia di lei. Del
padre ha sempre parlato poco e malvolentieri. Durante gli anni dell’infanzia Montanelli
prese a modello “nonno” Bassi, vecchi amico di famiglia Doddoli, nonchè sindaco di
Fucecchio. Da lui Montanelli ereditò tutto il suo essere: la misantropia, l’attaccamento
alla borghesia “nobile”, l’amore per la letteratura e soprattutto l’anticonformismo. Nel
1922, anno dell’avvento di Mussolini, Montanelli era a Rieti, a seguito del padre
promosso preside del Regio Liceo, qui il piccolo Indro mosse i primi passi da giovane
Balilla. Laureatosi in Legge e in Scienze Politiche, emigrò in Francia, frequentò la
Sorbona, la più importante università francese, e venne assunto come cronista da Paris
Soir , in seguito passò all’agenzia statunitense United Press. Era il tempo della guerra
d’Africa e Montanelli partì volontario, come soldato ma, soprattutto, come cronista. Da
questa esperienza ne uscì, in seguito, il suo primo libro XX battaglione eritreo, che lo
lanciò nel mondo dei letterati. In Etiopia, vide le rappresaglie del generale Rodolfo
Graziani, esasperato da un attentato alla sua persona che probabilmente era stato
organizzato da ribelli eritrei e Montanelli ebbe il primo disincanto per il fascismo. Il
giovane inviato fu mandato, per conto del ::Messaggero;;, in Spagna, dove si stava
combattendo la guerra civile. Qui Montanelli rivelò tutto il suo anticonformismo, non
uniformandosi alle cronache propagandistiche che arrivavano dal fronte nel nostro
paese, ma scrivendo solo quello che vedeva, non una guerra ma “una lunga
passeggiata con un solo nemico: il caldo.”. Come conseguenze immediate ebbe il
licenziamento in tronco, la radiazione dall’albo dei giornalisti e la sospensione dal
partito fascista. Quindi si spostò in Estonia ad insegnare italiano. Un anno dopo gli
venne offerta un posto al ::Corriere della Sera;;, però, non fu possibile assumerlo per via
della radiazione dall’albo, in seguito grazie ad un ripiego, la sola collaborazione, riuscì a
entrare tra le firme del prestigioso quotidiano. E' in Germania quando il Terzo Reich
avanza verso Danzica e, a quanto dice, parla con Adolf Hitler in persona. Poco dopo,
Montanelli si trovava da alcuni giorni in un hotel di Helsinki, quando l’Unione Sovietica
aggredì la Finlandia. Montanelli, per la prima e non ultima volta, era al posto giusto nel
momento giusto e fece trepidare i lettori su quella lotta impari che opponeva un piccolo

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popolo al gigante russo, al contrario della propaganda giornalistica dei colleghi inviati,
che esaltavano il quasi alleato russo. L’Italia era legata, infatti, alla Germania dal patto
d’acciaio, quest’ultima aveva a sua volta stipulato il patto, di non aggressione, Molotov-
Ribbentrop con la Russia.
All’epoca della Repubblica di Salò, Montanelli accusato di antifascismo (per alcuni
ironici articoli sugli amori di Mussolini attribuiti erroneamente a lui) fu arrestato e
rinchiuso a San Vittore. Condannato a morte, fu salvato dal cardinal Schuster, in seguito
riuscì a evadere e passò in Svizzera.
Finita la guerra, Montanelli tornò al ::Corriere;; e riprese la sua vita da inviato di
lusso. Si ritrovò un'altra volta nel posto giusto, quando nel 1956 a Budapest arrivò in
città quasi contemporaneamente all’abbattimento della monumentale statua di Stalin
nella piazza principale della capitale ungherese. Qui diede “fiato” al suo spirito critico e
testimoniò che gli insorti non erano ribelli borghesi, ma “comunisti antistalinisti” cosa
che gli attirò le antipatie della sinistra. Nel 1973 lasciò il ::Corriere;; per dissidi con il
direttore Ottone, troppo “a sinistra” per il liberale Montanelli, e fondò ::Il Giornale
Nuovo;;, in seguito divenuto semplicemente il ::Giornale;;, iniziando la sua esperienza
come direttore. Vennero gli anni di piombo e Montanelli si ritrovò, letteralmente, tra il
fuoco incrociato delle Brigate Rosse. Il 2 giugno 1977, infatti, venne “gambizzato”
davanti alla sede del ::Giornale;;, a Milano. La sua vecchia "casa", il ::Corriere della Sera;;,
nel darne la notizia non lo nomina neanche, ma si limita a dedicargli un articolo di
spalla con l'indegno titolo di "Gambizzato un giornalista".
Dopo un bel avvio, il ::Giornale;;, con gli anni, incominciò a perdere copie
entrando in un’insanabile crisi economica. Montanelli fu costretto, quindi, a venderlo
“per quattro palanche” a Silvio Berlusconi, con un preciso accordo: l’imprenditore non
avrebbe dovuto interferire con l’orientamento politico della testata. Quando, però, nel
1994, Silvio Berlusconi “scende in campo” e impone una linea editoriale favorevole a
“Forza Italia”, il nuovo partito fondato dall’imprenditore, Montanelli non ci sta e lo critica
aspramente dalle pagine del ::Giornale;;. Il Maestro è costretto alle dimissioni. Pochi
mesi dopo, Montanelli riuscì a fondare un nuovo giornale, ::La Voce;;, espressione di
una destra liberale e anticonformista. Questa esperienza durò appena un anno,
schiacciato, a quanto pare, dalle pressioni del suo ex-capo salito a palazzo Chigi. Rientrò
al ::Corriere della Sera;; chiamato dal direttore Paolo Mieli e riebbe la ::Stanza;;, rubrica
giornaliera di lettere da parte dei lettori, che aveva già tenuto nella “Domenica del
Corriere”. Con “La Stanza” Montanelli riuscì a riaffacciarsi, in modo prepotente, nel
repertorio storico-politico dell’Italia di fine secolo.
Il grande giornalista, in seguito ad un malore, fu ricoverato nella clinica “La
Madonnina” di Milano, dove, operato, sembrava essersi rimesso dopo l’intervento

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perfettamente riuscito, ma non fu così: si spense domenica 22 luglio 2001 all'età di 92
anni. Memorabile è rimasto il suo necrologio-epitaffio dettato, pochi giorni prima della
morte, alla nipote giornalista Letizia Mozzi, nell’inconfondibile stile asettico che gli era
proprio quando parlava di se stesso, ma per questo altamente commovente. L’auto-
necrologio è stato pubblicato il 23 luglio 2001 in prima pagina dal ::Corriere della Sera;;
e ripreso nei giorni seguenti da quasi tutti i quotidiani nazionali. L’eco della notizia della
morte di Indro Montanelli è stato fragoroso.
La mia analisi si è svolta all’interno dei quotidiani nazionali dei tre o quattro giorni
successivi la morte (23-24-25-26 luglio 2001). Nella scelta delle testate a cui far
riferimento, ho spaziato nel trattare quotidiani di diversa idea politica-sociale: dai
quotidiani più moderati, come il ::Corriere della Sera;; di Milano e ::La Stampa;; di
Torino, a quelli più “schierati” a destra ::Il Giornale;; e a sinistra ::L’Unità;;. Riguardo al
giornale storico della Sinistra, devo denotare che, dal punto di vista grafico, è il peggior
quotidiano tra quelli da me analizzati. La mia lettura è stata spesso interrotta da bruschi
cambi di direzione degli occhi per catturare il seguito dell’articolo, cosa che accadeva
più raramente nelle altre testate. Anche dal punto di vista dei contenuti, si sa, d’altronde
è giornale di partito, è poco obiettivo e molto schierato. La lettura delle varie colonne è
molto difficile per molti riferimenti ad avvenimenti, ignoti ai più. Inoltre, dal mio punto di
vista e almeno per l’argomento e i giorni da me consultati, molti, quasi troppi, articoli
hanno un titolo che non è appropriato. Tutte e quattro le testate, da me consultate
(Corriere della Sera, Giornale, Stampa e Unità) , danno molto spazio alla notizia della
morte di Montanelli, riempiendo, in media, le prime quattro, cinque pagine per l’intero
arco di tempo da me preso in giudizio. Certamente i giornali più coinvolti, quelli in cui
militava o di cui aveva fatto parte, erano sicuramente il ::Giornale;; e il ::Corriere;;, che
hanno dedicato anche sei o sette pagine ogni giorno. Come si può facilmente notare
da alcuni titoli, la posizione, per esempio, dell’amore patrio del giornalista era trattato in
due modi diversi dal ::Corriere della Sera;; in “Un vero italiano” (B. Severgnini) e dal
::Giornale;; di Berlusconi, tenendo presente che nel frattempo era Presidente del
Consiglio, in “Un italianissmo anti-italiano”. (M.Veneziani)
Per quanto riguarda le altre due testate, ::Stampa;; e ::Unità;;, per il giorno
successivo all’evento dimostravano il necessario interesse occupando, le pagine dalla
prima fino alla terza del giornale per poi finire, nei giorni seguenti, quando l’interesse
calava e emergevano notizie più importanti, a relegare la morte di Montanelli in
trentesima pagina o nella sezione “Cultura”.
La mia relazione è composta da tre sezioni, che rappresentano una parte del
consistente “carico” di argomenti che ogni quotidiano “trasportava”. Nella prima
sezione, descrivo la figura di Indro Montanelli, riportando le parole usate dai giornalisti

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che gli erano, quasi tutti, amici e allievi. La seconda sezione è dedicata al burrascoso
rapporto del Maestro con la politica italiana e internazionale. La terza è dedicata, infine,
al rapporto, dell’ateo Montanelli, con la morte, con Dio e con il clero, insomma, con il
trascendente. Ho selezionato solo questi tre argomenti perché mi sembravano quelli
trattati con più dovizia di particolari. Ne ho esclusi alcuni, anche molto rilevanti, perchè
trattati in modo più superficiale. Ad esempio non ho affrontato Montanelli divulgatore
storico per due motivi: il primo perché non mi sembrava appropriato parlare di
divulgazione storica in una relazione per un corso di Storia Contemporanea; il secondo
motivo perché la mia ricerca non ha individuato abbastanza articoli per delineare
adeguatamente questo argomento. Il mio lavoro non si è soffermato inoltre sulla figura
del “Grande Inviato” o sul rapporto che egli ha intrattenuto con le città della sua vita:
Fucecchio e Milano.

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MONTANELLI VISTO DA VICINO

Dall’analisi che ho condotto sui quotidiani dei giorni successivi la morte di Indro
Montanelli si delinea una figura unica del panorama giornalistico dell’ultimo secolo.
Indro (vorrei chiamarlo anch’io così d’ora in poi, dato che anche i suoi lettori gli davano
del “tu”) si autodefiniva “reduce da tutto”. Attraverso le parole di affetto, riportate dai
colleghi, quasi tutti suoi allievi, soprattutto de “Il Giornale” e del “Corriere della Sera”, ne
esce l’immagine di un uomo sostanzialmente “contro”: controverso, controcorrente,
contro i poteri forti.
La prima parte della mia relazione vedrà parzialmente accantonato il quotidiano
“L’Unità”, poichè non evidenzia la figura umana di Indro Montanelli, ma si sofferma
maggiormente sui suoi rapporti con la politica (argomento discusso nella seconda parte
della relazione). In questa prima parte cercherò di mettere in evidenza i tre “volti” di
Indro Montanelli: il Maestro indimenticabile, un uomo dal carattere difficile e la sua vita
sempre controcorrente. Inizio analizzando la figura de “Il Maestro” e del peso che ha
avuto nel giornalismo dell’ultimo secolo, anche se “raccontare il giornalista Montanelli è
un po’ come affrontare i ::brevi cenni sull’universo;;, di cui parlava Gramsci”1.
Con Montanelli è scomparso il Novecento. “Addio Indro, il Novecento, il tuo secolo, ora
è davvero finito”2. Questo è il commiato del direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio
de Bortoli, nell’editoriale di prima pagina del 23 luglio, un articolo che “non ::gira;;, resta
tutto in prima pagina.”3, come direbbe Montanelli, un ultimo tributo al suo insuperabile
Maestro. “E’ uscito di scena il numero uno della stampa italiana e si avverte il senso di
un’epoca che si chiude”4, con la morte di Indro Montanelli si è chiuso davvero il secolo,
lui l’aveva percorso quasi tutto, raccontando con la sua prosa brillante “una sorta di
raffinatezza nella semplicità”5 gli avvenimenti e i personaggi di questo nostro “pazzo”
tempo. “Dove era passata la storia grande e piccola dello scorso secolo, lui era stato
presente, lui ne aveva scritto”6 si era recato nei luoghi più militarmente “caldi”, dal
fronte finlandese durante l’invasione russa alla Budapest 1956 della rivolta anti-
sovietica. Il grande giornalista era “un archivio storico vivente […] O forse, più
precisamente, una sorta di vivente memoria critica, spregiudicata”. Il direttore del

1
Giulio Nascimbeni, “Giornalista contro, ‹‹reduce da tutto››” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg 5
2
Ferruccio de Bortoli, “Addio a Montanelli, un Grande Italiano” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 1
3
ibidem
4
Alberto Papuzzi, “Una vita lontano dal palazzo” La Stampa, 23 luglio 2001, pg 3
5
Antonio Spinosa, “I saggi di un toscanaccio che scriveva come un inglese” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg 4
6
Giulio Nascimbeni, op. cit., pg 5

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quotidiano ::Libero;;, Vittorio Feltri, ingraziandosi i favori del Maestro anche dopo la sua
dipartita e esagerando un po’, come al solito, fa questo azzardato paragone:
“Montanelli stava al giornalismo come il Papa sta al cattolicesimo.”7 “Per quanti vollero
approfittarne, (Indro, n.d.a) fu […] un maestro, figura in via di estinzione nelle redazioni
dei quotidiani”8. Certo fu “non un grande giornalista: il più grande, non un grande
maestro: il Maestro.”9 e in molti cercarono di “imitarlo”, di seguirne le orme, “ma non
avrà allievi perché il mondo è cambiato”10. Però ha lasciato un’impronta, a quanto pare,
profonda, nel giornalismo e nell’editoria del nostro paese, come testimoniato dalle
parole della Federazione Nazionale della Stampa: ”È stato un grande maestro per tutti
noi, ci ha insegnato da avere la schiena diritta, a sapere dire di no ad editori e politici
che ci vogliono imporre il loro modo di fare informazione”11. Nell’articolo-intervista a
nove colonne, così lo ricorda Enzo Biagi, suo grande amico: ”Un maestro dal quale mi
dividevano le idee, ma sempre un maestro”12. Secondo Beppe Severgnini, uno degli
“allievi” che meglio è riuscito a ricalcare le sue orme, “Montanelli è stato il maestro delle
parole da non usare, dei libri da non scrivere, dei commenti crudeli da non fare, della
gente da non frequentare delle tentazioni cui resistere. Era uno stoico pratico.”13
Certamente più delle parole scritte erano i pensieri non scritti, quelli che Indro riusciva a
far trasudare dal testo, quelli che hanno infervorato i lettori e destabilizzato i potenti.
Montanelli nella scrittura “imitava nessuno, a parte se stesso.”14; ed è questo che lo ha
reso il più grande giornalista che l’Italia abbia mai conosciuto, aveva uno stile unico:
“inimitabile”. Qualcuno ha cercato di rifarsi al suo stile, riuscendo solamente a
scimmiottarlo malamente perché “il miglior modo per essere montanelliano è […] non
tentare di somigliargli nello stile e nei contenuti. Per somigliare davvero a Montanelli
bisogna essere inimitabili. Come lui.”15. “Missiroli diceva: ::Montanelli? Che talento! Fa
capire agli altri quello che non capisce nemmeno lui;;”16 questa salace battuta è di
Mario Missiroli, direttore del Corriere della Sera nella prima esperienza di Montanelli in
Via Solferino. “Montanelli è l’antichità del giornalismo, un classico della carta stampata;
era già un postero da vivo. Ma era più vivo di molti suoi posteri. Si avvertiva la musicalità

7
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
8
Paolo Granzotto, “Il re della notizia senza sudditi né padroni” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg 4
9
Roberto Gervaso, “Caro maestro, scrivi per noi dall’aldilà ” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg 5
10
‹‹Il Giornale›› dal ricordo di Eugenio Scalfari, fondatore della ‹‹Repubblica››
11
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
12
Cesare Medail, “Enzo Biagi: ‹‹Non aveva padroni. Se sbagliava chiedeva scusa››”, Corriere della Sera, 23 luglio
2001, pg.3
13
Beppe Severgnini, “Un vero italiano con un difetto: troppo coerente”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 4
14
Sergio Ricossa, “L’ufficio dove nascevano fondi leggendari” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg 4
15
Marcello Veneziani, “Indro, un italianissimo anti-italiano” Il Giornale, 24 luglio 2001, pg 1,4
16
Roberto Gervaso, op. cit, pg

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del testo mentre leggevi”17 era “l’antichità del giornalismo”? Certo era un giornalista
“vecchio stampo” ma credo che se gli attuali giornalisti fossero “antichi” come
Montanelli i nostri giornali non sarebbero i meno obbiettivi di tutta Europa, certo “ci
saranno, ci sono, chi lo sa, giornalisti più bravi di lui ma nessuno sarà quel che è stato
Montanelli.”18 Come prosegue Veneziani, parlando dei suoi famosi Incontri con le
personalità di spicco, era:”un po’ esagerato nelle testimonianze dirette (sembrava che i
grandi della Terra avessero consegnato a lui in tre minuti di colloqui il segreto della loro
vita). Ma sempre accattivante anche quando un po’ inventava o faceva reportage per
sentito dire: ma li scriveva in modo più veritiero di chi ci era stato”19 (quest’ultima frase è
sicuramente vera per quanto riguarda l’“anti-propaganda” fatta quando era inviato sul
fronte russo-finlandese). Sicuramente “Una luce si è spenta. Piacesse o no quella luce è
stata un punto di riferimento, un faro indispensabile per molti, direi per tutti, in un arco
di tempo che ha abbracciato gran parte del secolo scorso”20. Come dice uno dei suoi
più “riusciti” allievi, Enzo Bettiza ”Oggi, per tutti, Indro è diventato una sorta di guru
ecumenico del giornalismo nazionale”21. Però: “Domani, nei prossimi giorni, negli anni
che verranno – ha dichiarato il sindaco (di Milano, n.d.a.), Gabriele Albertini – potremo
dire quanto grande è stata la sua influenza sulla civiltà e l’umanità di questo nostro
Paese. Oggi preferisco affidare il mio pensiero al grande, immenso dolore per un affetto
che mi viene strappato e con me a tutti i milanesi e a tutte le persone che cercano ogni
giorno di essere coerenti e semplici. Questo era il suo essere ::controcorrente;;.”22
Gaetano Afeltra, un grande vecchio amico de “l’artigiano della pagina scritta”23,
ne riassume il rimpianto in queste semplici righe:” In queste prime ore dalla sua
scomparsa, i ricordi si accumulano l’uno sull’altro, quasi a tenere a bada il dolore,
sviandolo.”24.“Caro Indro, te ne sei andato, e con te se ne va un pezzo di me, tuo
vecchio amico, tuo non più giovane allievo.”25 così ne richiama alla memoria il ricordo
Roberto Gervaso, ma allo stesso modo la pensano tutti gli altri amici-allievi, più o meno
famosi, che hanno scritto un trafiletto su di lui: qualcosa di importantissimo che c’era e
adesso non c’è più. “Cerco di non farmi sopraffare – mentre butto giù queste righe –
dall’emozione e dal dolore: che mi suggerirebbero di tacere, per confidare soltanto al
cuore, e ai ricordi, i miei sentimenti. Ma ho il dubbio che questo sarebbe un gesto

17
Marcello Veneziani, op. cit., pg 1,4
18
Paolo Granzotto, op. cit., pg 4
19
Marcello Veneziani, op. cit., pg. 4
20
Mario Cervi, “Addio Indro” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg 1,3
21
Enzo Bettiza, “Indro il mostro sacro” La Stampa, 23 luglio 2001, pg. 5
22
Pierluigi Panza, “Ore 17.30, è morto Indro Montanelli” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg 2
23
Gaetano Afeltra, “Se n’è andato mentre veniva celebrata la messa per la madre” Corriere della Sera, 24 luglio
2001, pg 12
24
ibidem
25
Roberto Gervaso, op. cit, pg 5

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d’egoismo. Di lassù dove ormai si trova – con una abbagliante e indistruttibile Lettera
22 sulle ginocchia – Indro mi ammonirebbe: ::Mario, l’articolo viene prima di ogni altra
cosa;;. E allora eccolo non l’articolo, che suona male, non un necrologio solenne che
rievochi le vicende di una lunga, intensa, e straordinaria esistenza, ma una
dichiarazione d’affetto all’amico di mezzo secolo che se ne è andato”26. Così apre ::Il
Giornale;; del 23 luglio, il “suo” Giornale, con il ricordo dell’amico-collega, nonchè
direttore dell’ex foglio montanelliano: Mario Cervi, con lui Indro Montanelli aveva
firmato gli ultimi volumi della “Storia d’Italia” l’opera che più di tutte lo ha lanciato nel
mondo dei VIP. Quindi non “un articolo” ma “una dichiarazione d’affetto” così ho
interpretato tutti gli articoli che ho letto per documentarmi: solo “dichiarazioni
d’affetto”. Anche un articolo di cronaca, del suo ricovero e dell’improvvisa morte, è
diventato un commento alla sua dipartita in quanto l’articolista (come, ritengo, tutti i
“buoni” giornalisti italiani) non riesce a tenere separato il sentimento dai fatti. Così ogni
articolo soprattutto su giornali in cui “Il Maestro” ha militato, “Il Corriere della Sera” e “Il
Giornale”, diventa un ricettacolo di commenti, citazioni famose, aneddoti
sull’intramontabile Montanelli. Come continua Cervi: “tutti sentiamo che gli dovevamo
molto, sentiamo d’essere un po’ più poveri di quelle componenti della vita che si
chiamano cultura, genialità, umorismo.”27, Indro Montanelli era un mix di tutto questo,
soprattutto usava l’umorismo legato alla sua cultura, sfoggiando aneddoti salaci sui
personaggi da lui intervistati. Questo “gusto longanesiano (da Leo Longanesi un
maestro di Indro, n.d.a) della battuta: vera o non vera, non importa, purchè fulminante,
geniale, divertente e irriverente, almeno in apparenza.”28 Certamente qualche episodio
era puramente inventato, ma lo faceva in buona fede solo per far comprendere meglio
al lettore (“il suo vero padrone”29 e che lui reputava avere, come il cliente, “sempre
ragione”) la psicologia di questo o quel personaggio, ritenendo questo elemento
fondamentale per comprendere il fatto storico (anche per questa particolare
caratteristica era stato osteggiato dagli storici di professione). Montanelli, quindi, a volte,
inventava, d’altronde era pur sempre un toscanaccio “come Boccaccio o Cellini, che
diventavano matti per raccontare qualche tiro burlone, e ancora di più per inventarlo,
era nella realtà una persona gentile, spesso alle prese con un temperamento
malinconico”30. Enzo Biagi, dalla prima pagina del ::Corriere della Sera;; del 24 luglio
2001, pone una domanda: “Diceva qualcuno di Indro: ::Ma che cosa ha di speciale?;;. A
pensarci bene, niente. Scriveva degli articoli che erano letti e dei libri che si vendevano -
26
Mario Cervi, op. cit., pg 1,3
27
Mario Cervi, op. cit., pg 1,3
28
Marcello Veneziani, op. cit., pg 1,4
29
Cesare Medail, op. cit., pg.3
30
Enzo Biagi, “Un solitario di compagnia” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg 1

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e, come diceva Indro - ::adopero tutto quello che mi serve per catturare l’attenzione, la
simpatia di chi mi legge;;”31. Come dice Mieli, in un’intervista al ::Corriere della Sera;;,
riguardo al suo stile nello scrivere: “al retaggio “partigiano” dell’Ottocento (l’anti-
giolittismo) si aggiunge uno stile più anglosassone, più equilibrato. Montanelli eredita
queste due tradizioni in modo sapido, tipicamente toscano: unisce un finto stupore e
candore di fronte agli avvenimenti per poi assestare dei micidiali colpi che lasciano il
segno. Si presenta come un osservatore “ingenuo” e disarmato, in modo da
accompagnare il lettore comune con la chiarezza e con il fascino della sua prosa; poi
però, una volta chiarite le cose, ha la capacità di sferrare il suo attacco su aspetti che
magari sembravano marginali.”32. Un altro aspetto straordinario della sua scrittura è “la
brevità esemplare”33. Montanelli quando scriveva “non amava gli arzigogoli, le
decorazioni stilistiche e argomentative”34.
Come direttore, al suo ::Giornale;;: “Non ha mai tenuto chiusa la porta del proprio
ufficio (il più piccolo, il più angusto di tutto il giornale)”35 e chiunque poteva entrare
anche senza preavviso e senza essere annunciato, questo dimostra il carattere del
“Mostro”, come lo chiamavano nella redazione del “Giornale”, “lo spirito che lo ha
sempre contraddistinto quel misto di ruvidezza e sensibilità”36. “Forse nella sua
toscanità, poteva apparire rude. Invece era un grandissimo gentlemen.”37. Dalle pagine
del ::Corriere della Sera;;, Beppe Severgnini, uno dei pochi che ha sempre seguito
Montanelli (prima al ::Giornale;;, poi alla ::Voce;; e approdando infine al ::Corriere;;) e al
quale era molto legato sia dal rispetto che dalla storica amicizia, così esplicita le
sfumature del carattere del “Mostro” (che così “mostro” non era a quanto pare): ”Adesso
che ci penso: anche lui era un po’ sentimentale. Come gli inglesi e i gatti, non voleva
darlo a vedere […] aveva pianto per […] tutti gli amici che gli morivano intorno, e lo
facevano arrabbiare, perché lo lasciavano solo come un monumento […] Ecco: se
Montanelli sapesse che gli ho dato del sentimentale, si arrabbierebbe. Quindi, devo
continuare. Non era solo sentimentale, Indro: era buono. Spesso, negli ultimi anni,
scoprivo gente che aveva aiutato, incoraggiato, ricordato quando non se la ricordava
più nessuno.”38. Rilevante da questo punto di vista era la sincera preoccupazione del
Maestro che: “dall’avventura – e dallo spettacolare naufragio – della Voce (1994/5)

31
Enzo Biagi, “Un solitario di compagnia” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg 1
32
Paolo Di Stefano, “Mieli: col ritorno al ‹‹Corriere›› si cancellò una ferita” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg
15
33
ibidem
34
ibidem
35
Paolo Granzotto, op. cit., pg 4
36
Simonetta Bartolini, “ A Fucecchio lo attende l’unico ‹figlio›: una fondazione che porta il suo nome” Il Giornale,
24 luglio 2001, pg 3
37
Cesare Medail, op. cit., pg.3
38
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4

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qualcuno dei suoi ragazzi affogasse (professionalemente).”39, per scongiurarlo quindi si
attivò fin da subito (e per gli anni successivi) a dare il cosiddetto “posto fisso” ai suoi
“ragazzi” della ::Voce;;. “Aveva grande rispetto per le opinioni altrui e che io ricordi non
censurò mai un articolo che contrastava con i suoi giudizi.[…] Montanelli difendeva le
proprie opinioni, ma se non erano così convincenti da convertire l’intero uditorio,
passava di mano.”40 Indro aveva “una straordinaria generosità, una grande attenzione
verso tutto e tutti, una capacità di forti slanci.[…] In più era disinteressato, capace di
battersi con coerenza senza legami materiali.”41. “Sugli uomini sbagliava di rado. Aveva
un’intuizione quasi paranormale – femminile, dunque – per leggere nel cuore della
gente.”42 Anche di difetti ne aveva: “come molti uomini di qualità, era vulnerabile
all’adulazione”43, “era piacevolmente vanitoso: rileggeva i suoi pezzi, e quelli che
scrivevano su di lui”44 “aveva troppa stima dell’indipendenza di giudizio e dell’iniziativa
personale, per essere un buon caposquadra. Se fosse stato un ammiraglio, non ho
dubbi, si sarebbe congratulato con gli ammutinati”45; gli piaceva “dare ordini […]
sapendo di non essere obbedito. - per questo, continua Beppe Severgnini - Il più grande
giornalista che io abbia conosciuto è stato il capo più inefficiente che io abbia mai visto
all’opera”46 questo non vuol dire, però, “che non sapesse condurre (un giornale […]):
non sapeva comandare, che è un’altra cosa. L’unica volta – riferisce Severgnini – in cui
l’ho visto darmi un ordine con decisione è stato quando ho messo il sale sulla ricotta”47.
Come riferisce il direttore di ::Repubblica;;, Ezio Mauro, Montanelli ”era un uomo che ha
servito fino in fondo il mestiere di giornalista. Era più giornalista che direttore, come
tutti i grandi.”48 Montanelli era “un uomo intelligente che mangiava poco, beve meno e
fuma una sigaretta al giorno sarebbe stato perfetto e irritante come un teologo
luterano. Invece Montanelli aveva questi lampi di normalità: la piccola dimenticanza
voluta, l’occasionale finzione”49. “Tra tutti i suoi vezzi, il mio preferito – di Severgnini - era
l’occhio sgranato. Quando Montanelli sgranava gli occhi, era il segnale che era stato
colto in contropiede […] Celesti, grandissimi e abbaglianti: occhi che avrebbero dovuto
essere regolamentati dal codice della strada”50. Era da sempre timidissimo e restio a
buttarsi tra la folla, ma con il tempo, la sua timidezza mutò, almeno nei rapporti

39
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
40
Paolo Granzotto, op. cit., pg 4
41
Cesare Medail, op. cit., pg.3
42
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
43
ibidem
44
ibidem
45
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
46
ibidem
47
ibidem
48
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
49
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
50
ibidem

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professionali. “Una volta Leo Longanesi così disse di lui: “Stava in mezzo agli altri per
sentirsi anche più solo”. E aveva ragione Indro era un uomo solissimo.” 51 conviveva,
infatti, da sempre con la misantropia che lo caratterizzò fin dai primi anni della
giovinezza, senza riuscire però a frenare il suo spirito comunicativo che lo costrinse
anche a debuttare sia sul piccolo che sul grande schermo, rispettivamente come
“protagonista” e come autore. Per Montanelli:”La televisione – che usava con gigioneria,
insultandola ma frequentandola, come fosse un’amante volgare – serviva solo per
convincere qualcuno che valeva la pena leggerlo.”52 Sul rapporto tra la televisione e la
carta stampata “non ha mai tralasciato di mettere in guardia i colleghi dai pericoli di
appiattimento nei confronti del mezzo: ::Non fate che la stampa diventi succube della
tv, non pubblicizzate oltre misura la tv, offrendole spazio e attenzione”53. Il suo appello
è, purtroppo, caduto nel vuoto: ormai le notizie dei giornali sono ormai remake dei
notiziari televisivi. “Montanelli era un amico, un maestro, una sicurezza, un punto di
riferimento. Sebbene così esile era come una montagna.”54 questo è il ricordo di Alain
Elkann, amico dei tempi in cui Montanelli “teneva salotto” sugli schermi di TMC. Così
racconta il suo primo incontro, con l’allora direttore del Giornale, Sergio Ricossa: “Il tono
era paterno, incoraggiante, e io fui contento dell’incontro con un maestro che mi dava
del tu e al quale davo del tu”55. Indro era un punto di riferimento per l’intera redazione,
soprattutto del ::Giornale;;, non si stampava una sola pagina se Montanelli non l’avesse
rivista e corretta, e anche pochi secondi prima dell’accensione delle rotative, poteva
correggere un articolo o eliminare una foto.
Montanelli aveva una personale visione del mondo elaborata attraverso
“l’osservazione spietata e sincera di ciò che accade per arrivare a farsi un’idea precisa
delle cose non attraverso slogan o mode”56. Solo una semplice frase riesce, secondo il
parere di chi scrive, a rappresentare in pieno lo spirito di Indro Montanelli: “Non mi
faranno chiudere la bocca” queste furono le prime parole dopo la sua gambizzazione
ad opera delle Brigate Rosse. La bocca non la chiuse per il resto della sua vita, scrivendo
quello che tutti pensavano, ma non avevano voglia o coraggio di dire apertamente,
attirandosi contro molte malelingue e aspre critiche.
Commentando l’immensa folla che si raduna intorno al feretro del Maestro, Beppe
Gualazzini ragiona così: “Ma cos’è, allora, lo amavano, lo amiamo il maledetto toscano,

51
Cesare Medail, op. cit., pg.3
52
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
53
Aldo Grasso, “Quando Campanile stroncò i suoi ‹‹Incontri››” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg. 15
54
Alain Elkann, “Un uomo gentile” La Stampa, 23 luglio 2001, pg 2
55
Sergio Ricossa, op. cit., pg 4
56
Gian Guido Vecchi, “Martini: ‹‹Un laico che si comportava da cristiano››” Corriere della Sera, 24 luglio 2001,
pg.13

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l’anima controversa che nell’eleganza innata, collaudata dall’esporre si autoproclamava
un controcorrente ma era più prosaicamente un funambolico bastian contrario”57.
Certamente un po’ bastian contrario lo era: non stava mai con i “padroni”. Non saltava
mai sul “carro del vincitore”, ma non ci rimaneva neanche quando quello del perdente
entrava trionfalmente nelle stanze del Palazzo. Un esempio: basti pensare a quando e
quanto criticò aspramente il Craxi Primo Ministro, pur avendone lodato le
caratteristiche prima che prendesse il posto a Palazzo Chigi. Montanelli era un
personaggio controverso ha vissuto una vita “controcorrente”, per riprendere il titolo
della sua celeberrima rubrica sul ::Giornale;;. Infatti, dal 1974 al 1992, Montanelli scrisse
ogni giorno sul ::Giornale;; poche righe in corsivo sulla parte bassa della prima pagina
che si intolavano, appunto: Controcorrente. Questi “piccoli, micidiali ordigni quotidiani
erano il piacere e l’ossessione di Montanelli.”58 e condensavano in poche righe la sua
storia di anticonformismo e salace ironia. E’ stato sempre contrario al “partito preso”, per
esempio, quando navigò “controcorrente rispetto alle veline del Minculpop e a quelle,
secondo lui anche più detestabili, dei nostrani conformismi di sinistra e di destra sugli
avvenimenti di Budapest”59 per questo: era “odiato” dai potenti e amato dai suoi cari
lettori e, lui, contraccambiava volentieri entrambi. Talmente amato che furono in
centinaia a rendergli l’ultimo saluto nella camera ardente allestita nell’ospedale La
Madonnina, cosa che stupirebbe Indro Montanelli che forse direbbe: “Suvvia, è solo la
morte di un giornalista”60. Posto all’entrata della clinica, il registro delle firme è un
“testimone del cordoglio” per il Maestro che contiene dichiarazioni come: ”Bischero
d’un toscanaccio, simpatico egoista, te ne sei andato rubando un pezzo di cuore a tutti
noi”61 Indro, quasi sicuramente “scherzerebbe su questa ::corrispondenza d’amorosi
sensi;;; ma è una debolezza dei vivi che non si rassegnano a restare orfani”62. Davanti
alla bara personalità politiche, giornalisti di spicco ma, soprattutto, tanta gente comune:
i suoi affezionati lettori. C’erano tutti: dai suoi vecchi nemici forzisti ai suoi nuovi “amici”
diessini e tutti pronti a commentare la sua fine con una, più o meno, ipocrita parola
d’affetto. Sia chiaro non vedo niente di male in tutto questo, ma è una cosa strana,
sentir parlar bene di una colonna abbattuta quando, lo stesso, le inveiva contro mentre
ancora era in piedi. A rendere omaggio al grande Maestro vi era anche Franco Bonisoli,
uno dei tre ex brigatisti che furono la mano armata responsabile nel ’77 della

57
Beppe Gualazzini, “L’addio degli amici di una vita ‹‹Ormai Indro pesava 47 chili››” Il Giornale, 24 luglio 2001,
pg 2
58
Giulio Nascimbeni, op. cit., pg 5
59
Guido Vergani, “Fu il primo a Budapest Ma diceva: ‹‹Solo fortuna››” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg 4
60
Pierluigi Panza, “L’abbraccio dei lettori nella stanza di Montanelli” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg 12
61
Pierluigi Panza, “L’ultimo saluto di Milano, Indro torna a casa” Corriere della Sera, 25 luglio 2001, pg 10
62
ibidem

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“gambizzazione” di Montanelli, che gli lasciò un toccante messaggio sul registro dei
visitatori: “Grazie Indro. Grazie di cuore, di tutto. Con affetto, Franco Bonisoli”63. Come
ricorda Andrea Pasqualetto, da un piccolo articolo incastonato all’interno di una pagina
del ::Giornale;; stracolma di commenti accorati, il “gambizzatore” di Montanelli “ha
voluto ringraziarlo ::per quel perdono, per la sua coerenza, per il coraggio e l’aiuto che
mi ha dato. Nonostante tutto;;”64. L’ex terrorista, infatti, aveva chiesto perdono per il
gesto sciagurato, e Indro glielo aveva concesso, commentando che in una “guerra”
tutto era possibile e che alla fine, che si vinca o si perda, all’avversario va reso “l’onore
delle armi”; Indro l’aveva oltretutto aiutato a cercare di riprendersi la sua vita dopo
l’esperienza traumatica della prigione.
Davanti alla bara del “Maestro”, sfilavano tutti quanti assorti in un silenzio assoluto
sperando di strappargli per l’ultima volta “un commento salace, il ritratto istantaneo e
graffiante di una delle centomila realtà di quest’Italia che lui, in poche righe, riusciva a
rivoltare come un calzino.”65 Montanelli era “un italiano vero. Solo la coerenza, il
coraggio, la sintesi e la statura non erano proprio italiane. Ma cosa ci volete fare:
nessuno è perfetto.”66. “Maltrattò l’Italia e spesso mostrò disgusto per gli italiani, fustigò i
suoi vizi e i suoi vezzi”67. L’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, dalle
pagine del ::Corriere;; del giorno successivo alla morte del Maestro, nella sezione
dedicata all’ultima “Stanza di Montanelli” ricorda il Maestro come ”spietato ma
appassionato giudice di un paese che amava sopra ogni altra cosa al mondo.”68 Da
italiano Montanelli era “gonfio di un amore sconsolato per l’Italia, si lagnava che ::non
siamo affidabili neanche nell’inaffidabilità;;69. Diceva: ”Ho smesso di credere all’Italia – a
un popolo che – tra tutti i popoli occidentali è quello che meno conosce la propria
storia, forse perché non è un popolo, ma un agglomerato”70. Si era rassegnato ad un
Paese, il nostro, destinato, probabilmente, a tornare ::dolcemente, in stato di anestesia,
ad essere quella “terra di morti, abitata da un pulviscolo umano” che Montaigne aveva
descritto tre secoli or sono;;. Indro aveva molte passioni: il ciclismo, il calcio, con
particolare interesse per la “sua” Fiorentina, era un fan sfegatato di Rui Costa, aveva da
sempre la passione per le lunghe passeggiate, prima alle Vedute di Fucecchio e in
seguito a Milano, accontentandosi del surrogato propostogli da lunghe sgambate nei

63
Pierluigi Panza, “L’abbraccio dei lettori” op. cit., pg 12
64
Andrea Pasqualetto, “‹‹Grazie di cuore›› dall’uomo che gli sparò” Il Giornale, 24 luglio 2001, pg 2
65
Gabriele Villa, “Crematemi e riportatemi nella mia Toscana” Il Giornale, 24 luglio 2001, pg 3
66
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
67
Marcello Veneziani, op. cit., pg 1,4
68
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
69
Gian Antonio Stella, “Indro e il potere, la lezione di uno spirito libero” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 6
70
Paolo Franchi, “Storico quasi per caso, fu Dino Buzzanti a convincerlo” Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 6

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parchi cittadini. Come dice Biagi, però, “credo che nella sua esistenza ci sia stata una
sola passione esclusiva: il giornalismo.”71
“Ora ti lascio. Non voglio farti perdere tempo. So che domani debutterai sul
::Corriere del cielo;; con una nuova ::Stanza;; (la rubrica quotidiana di risposte ai lettori
che teneva sul Corriere della Sera, n.d.a). Peccato non poterla leggere. Mettimela da
parte.”72.
Chi scrive si accoda a quest’ultimo saluto.

71
Enzo Biagi, op. cit., pg 1
72
Roberto Gervaso, op. cit, pg 5

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MONTANELLI: IL POMO DELLA DISCORDIA

C’era una volta… uno “Stregone” senza Re e un Cavaliere con molti sudditi che
ingaggiarono un’epica battaglia. Lo “Stregone senza Re” è ovviamente Montanelli, il
termine è ripreso dal titolo di una biografia della prima parte della sua vita (in
bibliografia, n.d.a). Il curioso titolo è suggerito dalla lettera indirizzata dall'ex ministro
Grandi a Montanelli nell'estate 1963: "Tu sei riuscito a fare di questa storia (la
rievocazione della figura del suo ministero, n.d.a) che dal punto di vista giornalistico
non è più originale una cosa originalissima piena di novità e scoperte, scoperte anche a
me stesso su cose che feci e che pensai e delle quali mi ero dimenticato e che tu hai
ricordato e scoperto senza che alcuno te le dicesse. Sei uno stregone davvero".
Nei quotidiani successivi la morte di Indro Montanelli, si analizza la sua figura di
“stregone”, il suo talento nell’essere sempre al posto giusto nel momento giusto, e dalla
narrazione dei suoi famosi reportage (in Spagna, Finlandia e Ungheria) si revisiona
quella “tempesta” di umori che aveva generato nel panorama politico italiano e
internazionale. Nei giornali da me analizzati, in numerosi articoli, si riprende, anche, la
discussione sulla celeberrima “rottura” di Indro Montanelli con il “suo” ::Giornale;; e con
il proprietario della testata, Silvio Berlusconi, per partire ad analizzare il rapporto
burrascoso del “Grande giornalista” con la politica italiana post caduta degli opposti
estremismi.
Schizogeno. Era lungimirante Sestilio Montanelli, padre del nostro, quando gli
affibbiò il quarto nome: Schizogeno, ovvero, dal greco, “generatore di discordie”. Certo
che Indro di “discordie” ne creò moltissime, con destra e sinistra indiscriminatamente. A
prova di ciò, riprendendo le parole del ::Foglio;; sulle diatribe tra lui e Berlusconi, il
::Corriere della Sera;; fa il punto così : ”E’ certamente vero, come scrisse Il Foglio […] che
il nostro ::bisnonno della patria;; aveva ::vissuto e oltrepassato da fascista la caduta del
fascismo (cosa che non sembra comprovata dalle parole di Indro, che disse di aver
smesso di essere fascista nel 1937, n.d.a), da anti-fascista la crisi dell’anti-fascismo, da
conservatore liberale il terrorismo rosso, da anticomunista il crollo del comunismo, da
democristiano la fine della DC, da anti-democristiano la crisi della prima repubblica, da
sinistra la vittoria della destra nel ’94 e da agnostico la vittoria della sinistra nel ‘96;;. Ma
sempre da uomo libero. Mosso da un carattere fumantino forse, ma mai dallo spirito del
cameriere. Convinto davvero che la virtù del grande giornalista, […] sia quella d’essere

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sempre equi-distante. Ma equi-vicino.”73. Negli ultimi anni Indro è stato anche l’illuso
“cantore di una borghesia che non c’era”74. Che, come dichiarava in una intervista del
’98, era: “la solita bruciante delusione […] Non cambia mai, è sempre la stessa: la più vile
di tutto l’Occidente. Gente portata a correr dietro a chi alza la voce, a chi minaccia, al
primo manganello che passa per la strada. Questo sono i nostri borghesi: tutti fascisti
sotto il fascismo, poi tutti antifascisti fin dall’indomani. […] Ai tempi del terrorismo,
amoreggiavano con gli estremisti nella speranza che quelli – andati al potere – gli
risparmiassero la villa e il portafoglio. E ora che il comunismo non c’è più, si scoprono
tutti anticomunisti, questi sedicenti liberaloni… - sedicenti – perché il loro eroe è sempre
chi brandisce il manganello. Ieri, il manganello vero. Oggi, quello catodico delle
televisioni. Il liberalismo vero l’hanno sempre tradito, anzi non hanno mai saputo che
cosa sia. Non vogliono regole, detestano le leggi, vogliono avere le mani libere per fare
quello che li pare, in nome della loro cosiddetta “efficienza”.”75
Montanelli era amato dai lettori per il suo essere “controcorrente. Era soprattutto
questo opporsi al pensiero dominante che piaceva. Montanelli non si è mai adagiato
sulla vulgata politicamente corretta: mentre altri colleghi cercavano consensi e
prebende, lui sembrava tagliato fuori. Ma sapeva che chi sposa le mode rimane presto
vedovo.”76. Questo atteggiamento, allo stesso tempo, però, gli regalò l’inimicizia, di
numerosi Potenti e di “leccatori” di Potenti (come vedremo analizzando la vicenda del
::Giornale;;), ma la sua dipartita ha ipocriticamente appianato le discordie così “mentre
chi un tempo lo chiamava fascista ora si affanna a rendergli onore”77. Questo astio tra
lui e molti politici, e probabilmente anche queste ultime “lacrime di coccodrillo”, non gli
avrebbero impedito comunque di entrare in trincea ed esprimere le sue opinioni, che
potevano essere giuste o sbagliate, ma sempre coerenti con la sua personalissima
“regola del salmone”. Questi suoi punti di vista assonometrici e spietati hanno permesso
al giornalista “armato unicamente di Lettera 22 – di esercitare anche - senza volerlo, o
almeno senza inizialmente proporselo, un’influenza culturale e anche politica che
nessun giornalista ha eguagliato, e che ritengo nessun altro eguaglierà. L’ha potuta
esercitare, quell’influenza, anche per la sua allergia a onori ufficiali e a prebende
clientelari o partitiche”78
Il suo essere ::controcorrente;; in politica, e la sua notorietà tra il pubblico, ebbero
inizio quando il ::Messaggero;; gli affidò “un reportage sulla guerra di Spagna, a causa

73
Gian Antonio Stella, op. cit., pg. 6
74
Pierluigi Panza, “L’ultimo saluto …”, pg 10
75
Marco Travaglio, “Montanelli e il Cavaliere Storia di un grande e di un piccolo uomo”, Garzanti, 2004, pg.386
76
Michele Brambilla, “In migliaia si scoprono orfani di Montanelli” Corriere della Sera, 25 luglio 2001, pg. 11
77
Citazione dalla prima pagina de ‹‹Il Giornale›› del 24 luglio 2001
78
Mario Cervi, op. cit., pg 1,3

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della quale il Regime lo aveva espulso dalla sua professione. Punizione severa per un
reato raro, di quei tempi: nell’era della propaganda, Montanelli non aveva fatto
propaganda. Si era limitato a raccontare la verità, non nascondendo una sconfitta
militare ma raccontando esattamente una vittoria, senza fronzoli che erano graditi
quando si tendeva a fare di ogni scaramuccia una battaglia campale”79. Prosegue in
Finlandia con testimonianze al limite dell’anti-stalinismo, cosa molto problematica per
l’Italia post-trattato Molotov-Ribbentrop; continuando con la rivolta montanelliana nella
Rivoluzione ungherese. “Indro con i suoi pezzi dall’Ungheria divenne un punto di
riferimento non solo per i liberal-conservatori ma anche per la sinistra italiana, per i
comunisti critici rispetto l’Urss che poi sarebbero usciti dal partito”80. Certamente Indro
diede fiato alle ubbie della sinistra, attirandosi contro, anche, molti sguardi maligni.
Tutte queste malignità portarono all’attentato da parte delle Br. E si arriva, negli anni
’90, alla rottura con la destra, la ::sua;; destra.
Incomincio la mia analisi facendo il punto della situazione sui prologhi della “rottura”
tra Montanelli e il Cavaliere. Montanelli era direttore del ::Giornale;; dal giugno 1974,
quando nel ‘77 la testata si ritrovò in una grave crisi economica e il direttore fu costretto
a venderla “per quattro palanche” a l’imprenditore Silvio Berlusconi. Montanelli e il
Cavaliere però avevano stipulato un patto “verbale”: l’imprenditore non avrebbe dovuto
interferire nella linea politica del giornale, in quanto Montanelli, nell’editoriale del primo
numero de ::Il Giornale Nuovo;;, rimarcò con lettere “cubitali” la linea di condotta da
dare al quotidiano. Scrisse, infatti, così: “Chi sarà (il nostro, n.d.a) lettore noi non
sappiamo perché non siamo un giornale […] di partito […] In compenso, sappiamo
benissimo chi non lo sarà. Non lo sarà chi dal giornale vuole soltanto la ::sensazione;;:
l’assassinio della mondana all’Idroscalo sarà debitamente registrato, ma non avrà
l’onore delle sette colonne in prima pagina e la precedenza sul viaggio di Nixon a
Mosca. […] Non ci contentiamo di dar vita a un giornale: ce ne sono fin troppi. Vogliamo
creare, o ricreare, un certo costume giornalistico di serietà e di rigore.”81
Il rapporto, tra i due “liberi professionisti”, rimase idilliaco per quasi dieci anni: “un
miracolo, se solo si considera la tendenza irresistibile di Berlusconi a occuparsi di ogni
minuzia del suo impero. Un miracolo, se solo di considera la tutela gelosa di Montanelli
nei confronti della sua creatura, e il sarcasmo sottile di un grande giornalista che certo
non aveva propensione a nascondere o edulcorare le sue eventuali antipatie […] Quel
sodalizio resse per tutto il periodo in cui Montanelli e Berlusconi sapevano di avere un
79
Alberto Pasolini Zanelli, “Inviato di guerra dalla prosa illuministica” Il Giornale, 23 luglio 2001, pg. 5
80
Paolo Di Stefano, “Mieli: col ritorno al ‹‹Corriere›› si cancellò una ferita” Corriere della Sera, 24 luglio 2001, pg
15
81
Editoriale di Indro Montanelli per il primo numero de ‹‹Il Giornale Nuovo›› riportato dal quotidiano il 23 luglio
2001, pg 3

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vitale bisogno l’uno dell’altro”82. Fu un rapporto, anche, di amicizia fino al 1983,
quando salì a Palazzo Chigi un politico molto amico di Silvio Berlusconi: Bettino Craxi.
Montanelli, fedele al suo spirito controcorrente, pur apprezzando l’uomo Craxi, non
tentò di fermare la sua lingua biforcuta, lanciando anatemi contro il neo premier. Indro
lo bacchettava perché lo reputava “privo della ::stoffa del capo;; ma dotato di ::quella
del boss, del padrone, anzi del padrino;; e circondato da una ::corte dei miracoli
sconvolta dal culto dell’imano;; , coi suoi ::officianti, i muezzin e il parco cammelli e
l’harem;;”83 tutte le persone adulanti che avvolgevano Bettino Craxi, prima e durante il
suo mandato. Insomma quella che Rino Formica battezzò “corte di nani e ballerine”. Per
queste critiche Montanelli venne rimbeccato immediatamente dall’editore Berlusconi,
prima in modo blando e poi in modo sempre più deciso, ma Indro non si fece
spaventare e continuò a “sparlare” del governo Craxi. Fu questa scaramuccia la scintilla
che incendiò il “pagliaio” Indro. Il rapporto tra i due, Berlusconi e Montanelli, cominciò
qui a incrinarsi. Nell’estate 1990, fu votata e approvata la legge Mammì. Essa
introduceva, oltre ad una disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, anche
una norma sul pluralismo dell’informazione che impediva di prendere posizioni
dominanti contemporaneamente nell’editoria e nella televisione. Silvio Berlusconi, per
questa norma fu costretto a vendere il quotidiano al fratello Paolo Berlusconi. Il
::berluschino;;, come Montanelli chiamava il suo nuovo editore, rimaneva comunque
un semplice “paravento” per l’azione del fratello maggiore, che rimase di fatto l’Editore
del ::Giornale;;. La goccia che fece traboccare il vaso fu, però, la decisione del Cavaliere
di “scendere in campo” formando un nuovo partito. Montanelli alla discesa nell’agone
politico dell’imprenditore era fortemente contrario, e lo fece capire chiaramente con
degli editoriali al vetriolo contro Berlusconi. Indro ammirava la figura del Berlusconi
grande imprenditore, anche se aveva molti dubbi sulla provenienza dei suoi capitali, ma
deprecava la sua decisione di fare il politico perché, era convinto, che fosse un’impresa
al di fuori delle sue indiscusse qualità manageriali. Questa posizione del Maestro fu
duramente criticata dal mondo di destra. I “cortigiani” di Berlusconi, per esempio, dalle
reti Fininvest fecero di tutto per screditare Montanelli agli occhi dei telespettatori.
Vittorio Sgarbi, futuro sottosegretario ai Beni Culturali nel 2001 sotto il governo
Berlusconi, quotidianamente nella sua rubrica di Canale 5 Sgarbi quotidiani , attaccava
Montanelli alacremente, sguainando molto spesso la parola “fascista” che è un pezzo
forte del repertorio del critico d’arte. Emilio Fede, il più grande portavoce del Cavaliere,
arrivò perfino a dedicare mezz’ora del TG4 delle venti, ad un monologo in cui chiedeva

82
Pierluigi Battista, “L’invasione di campo di Silvio l’editore” La Stampa, 24 luglio 2001, pg. 31
83
Gian Antonio Stella, op. cit., pg. 6

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le dimissioni di Montanelli. Fede chiese l’allontanamento, mi si scusi il mio commento
personale, senza aver nessun ruolo per poterlo fare. Infine, arrivò, improvvisato
(dichiarò: “passavo per caso”) quanto attesissimo, il “blitz” di Silvio Berlusconi nelle
stanze della redazione a promettere ai redattori investimenti e promozioni, solo se ::Il
Giornale;; avesse appoggiato, facilitandone l’ascesa, il suo nuovo partito Forza Italia.
Montanelli non ci sta. Abbandonò “il suo unico figlio”, non lo fece, sbattendo le porte
(come scrissero molti giornalisti), non era nel suo stile, lasciò la redazione con le lacrime
agli occhi, mestamente. Subito venne rimpiazzato. In via Gaetano Negri, sulla poltrona
del direttore, salì Vittorio Feltri, già della cerchia di Berlusconi. Questa scelta e le
dichiarazioni del Cavaliere, un “comunicato fatto fare al fratello Paolo in cui Vittorio
Feltri […] veniva definito ::un Indro più efficace;;”84, sono, secondo alcuni, denigratorie
per il ruolo determinante che, il Grande Vecchio, svolse per anni nella sede del
quotidiano milanese. Come confermato, nel 2001 dalle parole di Mario Cervi, appena
licenziatosi dalla direzione del ::Giornale;;: “Piango il mio amico Indro, e piango anche il
primo direttore di questo giornale che spezzò – sotto la guida del borghese Montanelli
– i conformismi e le viltà d’una certa borghesia grassa e paurosa.”85. Dopo aver
concluso l’esperienza del ::Giornale;;, Indro Montanelli, “all’età in cui altri vanno in
pensione”, fondò ::La Voce;;, giornale che ebbe una vita breve, poco più di un anno.
Marco Travaglio, nel suo libro “Montanelli e il Cavaliere”, ipotizza, dandone anche le
prove, una specie di eutanasia per la ::Voce;;, provocata dall’interruzione di flusso di
capitali, ad opera del Cavaliere con l’aiuto del nuovo manager finanziario del
quotidiano: Gianni Locatelli. Quando si chiude l’esperienza della ::Voce;; “Montanelli
scrive un congedo intitolato: ::Uno straniero in Italia;;”86 per rimarcare la sua lontananza
da Berlusconi e dalla sua Italia. Le polemiche con la destra di Berlusconi, non finirono
qui, anzi, andarono avanti fino a pochi mesi prima della morte. Riaccendendosi, più forti
che mai, in occasione delle elezioni, delle “illecite” epurazioni dalla Rai dei “denigratori”
di Silvio Berlusconi, di esternazioni “illecite” da entrambe le parti, che sfociavano in
dibattiti “scritti” ma assai “urlati”. Uno dei più accalorati fu quello sul presunto conflitto di
interessi del Cavaliere. L’argomento fu attizzato dalla pubblicazione del libro “L'odore
dei soldi. Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi” di Marco Travaglio, ma
soprattutto dalla successiva intervista con l’autore da parte di Daniele Luttazzi a nella
trasmissione Satyricon, programma pungente di Rai Due, e dal conseguente dibattito
sull’argomento nel “salotto televisivo” di Michele Santoro. Riguardo al “conflitto di
interessi” Montanelli rimproverava al Cavaliere di non aver fatto, parole sue, ::una scelta

84
Gian Antonio Stella, op. cit., pg. 6
85
Mario Cervi, op. cit., pg 3
86
Alberto Papuzzi, op. cit., pg 3

- 21 -
coerente;; come quella di vendere le sue imprese, investendone il ricavato in Buoni del
Tesoro. Scelta che, a quanto pare, aveva fatto oltreoceano Rockefeller, imprenditore del
petrolio, che per essere eletto vice-presidente degli Stati Uniti, fu “costretto” a vendere le
sue attività.
Per quanto riguarda il rapporto di Montanelli con il potere, egli, come
giornalista, è stato sempre dalla parte dell’elettore e del paese; infatti “ha sempre
pensato all’edicola e mai alle stanze del potere”87 e “quando vedeva lo strapotere di
certi personaggi, si è sempre battuto cercando di rappresentare la voce di quelli che
non potevano parlare”88 ma anche dicendo agli elettori che leggevano i suoi articoli nel
’76 di “turarsi il naso e votare DC” , monito che evitò il previsto sorpasso del Pci di
Berlinguer ai danni della DC di Zaccagnini. Questo episodio è visto “oggi” dall’::Unità;;
come: ”una spallata a qualsiasi proposito di rinnovamento del paese”89 invece era la
solita montanelliana scelta del meno peggio. Girando lo sguardo verso destra, del
rapporto di Montanelli con il fascismo, per esempio, ne riassume molto bene i termini,
Enzo Biagi: ”Il destino di un uomo è il suo carattere: e difficilmente si sfugge agli effetti
di quelli che pomposamente si chiamano gli eventi. Ma lui non ha mai avuto un
dittatore preferito. Lo dimostrò persino nel suo rapporto con Mussolini, quando
sbagliava, sapeva ricredersi. E non è da tutti.”90. “Per lui il mestiere contava più di tutto e
non era scambiabile con onori, compromissioni, conformismi e altri vizi italiani del
potere”91. Certamente “ogni tanto cambiava opinione: non per calcolo ma per slancio.
Non si aggregava, e non mutava gabbana: sempre la stessa. Cambiava itinerario,
perché gli pareva più giusto.”92. “Un impegno, quello di praticare l’::estraneità;; al
potere, che […] mantiene fino all’ultimo. Con rare eccezioni, fra le quali c’è Cossiga”93,
uomo, quest’ultimo, che Indro ammirava molto e con il quale divise per anni, fino
all’ultimo, una profonda amicizia. Il 19 maggio 1991, Francesco Cossiga, eletto
Presidente della Repubblica, propone a Indro Montanelli la nomina di senatore a vita,
non per la sua amicizia con il Maestro, ma per quello che Montanelli significa ed ha
significato nella storia del giornalismo. Montanelli, già dai primi anni di attività, se avesse
voluto “avrebbe potuto sedere in Parlamento quanto Andreotti, ma ha capito che certi

87
Cesare Medail, op. cit., pg.3
88
ibidem
89
Oreste Pivetta, “A Enzo Biagi che lo va a trovare, dice: Ma non poteva venirmi un colpo?” L’Unità, 23 luglio
2001, pg.10
90
Cesare Medail, op. cit., pg.3
91
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
92
Enzo Biagi, op. cit., pg 1
93
Marzio Breda, “Quel ‹‹no›› all’amico Cossiga che lo voleva senatore a vita” Corriere della Sera, 25 luglio 2001,
pg. 11

- 22 -
compromessi con la propria coscienza cominciano così”94. Montanelli, quindi, chiede al
Presidente, con una lettera, di riconsiderare l’offerta, scrivendo: ”Ti ringrazio di tutto
cuore […] ma […] ti prego di rinunziare a questo proposito per non mettere me nella
spiacevole condizione di un rifiuto, che potrebbe apparire come segno di spregio o di
tracotanza […] niente di più lontano dal mio animo”95.Questo “passo indietro è in
perfetta coerenza con il suo modello di giornalista ::assolutamente indipendente, anzi
estraneo al Palazzo che;; scrive (Indro, n.d.a) al Quirinale, ::per sessant’anni ho
perseguito e, spero, realizzato;;”96. Indro si sentì in quei giorni imbarazzato dalla
proposta, dicendo che l’avrebbe vissuta come un modo di “imbrancarsi” e come un
“tradimento” nei confronti dei suoi lettori i suoi “unici padroni”; e confessa: “in questo
mondo dove tutti si scannano per ficcarsi in, io sono nato out, e out devo restare”97.
Quindi Montanelli rimane coerente con se stesso, restando solo “un giornalista e basta,
che guarda, racconta, e resta indipendente… - continuando a parlare di se stesso, Indro
dice – Vorrei che mi venissero riconosciute poche cose. Una è questa. L’altra è che ho
sempre tenuto a debita distanza i politici e i privilegi della politica”98. Pochi mesi dopo
quell’eclatante rifiuto Cossiga incomincia a “terremotare” la politica italiana dal suo
“rifugio”. Sono giorni inquieti, in cui l’unico a parlare con lui e a comprendere la
“profezia” delle sue esternazioni, è Indro Montanelli. Con l’attuale senatore a vita, il
nostro condivideva oltre “a qualche diagnosi sulla società italiana, un identico senso di
ironia e un modo ruvido ma leale di confrontarsi – e, come ricorda Cossiga nel
momento del commiato all’amico di sempre - Piango la perdita di un amico, alle cui
critiche e ai cui rilievi pubblici e privati devo molto più che non alle sue parche lodi”99.
Di Montanelli “dicevano che era un liberale o un conservatore: ma se aveva
qualche simpatia era per gli anarchici. Quelli veri”100; questo è il commento di Enzo
Biagi.
Chi scrive non ha conosciuto Montanelli, come, di sicuro, lo ha conosciuto Biagi,
ma da quel poco che ho potuto sapere, e per il mio quasi irrilevante parere: Indro era si
vicino agli anarchici, ma con un metodo tutto suo: da osservatore. Infatti, se per
anarchici intendiamo quelli che “credono nella capacità naturale dell'uomo di
autoregolarsi in società”101 e vogliono l’abolizione dell’autorità imposta, però, che sia
chiaro, “l'esistenza di regole e convenzioni sociali nell'anarchia non è esclusa a priori a

94
Mario Cervi, op. cit., pg 3
95
Marzio Breda, op. cit., pg. 11
96
ibidem
97
Citazione di Indro Montanelli da: Marzio Breda, op. cit, pg. 11
98
ibidem
99
Marzio Breda, op. cit., pg. 11
100
Enzo Biagi, op. cit., pg 1
101
Citazione da Wikipedia: l’enciclopedia libera, voce: Anarchia.

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patto che le regole e le convenzioni vengano liberamente determinate e accettate dalla
comunità interessata e non rappresentino un'imposizione derivante dal maggiore
potere di alcuni rispetto agli altri.”102. Se teniamo conto di tutto questo, alla “Idea
anarchica” Montanelli avrebbe potuto anche accostarsi in modo netto, ma Indro era,
soprattutto, realista e quindi, a mio parere, credo che abbia capito che questa “idea” era
solamente un’utopia, e come tutte le utopie: irrealizzabile. Come dice un giornalista
dalle pagine del ::Corriere della Sera;;: “per lui poteva valere la frase di Kennedy: sono
::un idealista senza illusioni;;”103 che ricercava, almeno negli anni ’70, “una specie di
utopia: spostare l’opinione moderata verso un voto ::utile;;, non ideologico, e […]
impedire degenerazioni volta per volta considerate peggiori, aiutare il meno peggio”104.
Scrive Veneziani, dalle pagine del ::Giornale;;: ”lievemente qualunquista e
meteorologicamente ondivago, sempre all’opposizione ma poi sempre governativo per
fatalismo, intransigente per tigna ma accomodante per pessimismo. Fu il tipico italiano,
virtuosamente provinciale, fascista e frondista, femminiero e vanitoso, sempre
protagonista anche quando non lo era. Individualista e anarchico come tutti gli italiani,
ma conservatore e centrista come loro. Ribelle ma ammiratore dei potenti e del loro
cinismo […] aveva per esempio una cotta per Andreotti”105. Questo esempio Veneziani,
secondo il mio parere, lo ha mancato completamente, a meno che Montanelli accecato
dalla “cotta” per il Senatore, non avesse perso il lume della ragione quando scrisse:
“Sempre più si diffonde sulla nostra stampa il brutto vezzo di chiamare Andreotti col
nome di Belzebù. Piantiamola. Belzebù potrebbe anche darci querela”. Inoltre, l’articolo
del giornalista de ::Il Giornale;;, sembra “coniato” apposta per rinverdire le dichiarazioni
di Berlusconi, sul rendiconto dei fatti della “rottura” con Montanelli, fatte solo pochi
mesi prima, allo scoppio del caso Satyricon, la già citata trasmissione di Luttazzi che
sparava a “palle incatenate” contro il Cavaliere. Veneziani dicendo che Indro era un
“italianissimo anti-italiano” mette in secondo piano, secondo il parere di chi scrive, il
fatto che Montanelli nella fase del governo Berlusconi avesse patteggiato per la sinistra.
Scrivendo “italianissimo” non intende forse addossare, all’ormai defunto (quindi privo
del potere di ribattere) Indro Montanelli tutti i “vizi” di noi italiani? E con “anti-italiano” il
fatto che avesse votato contro il motto forzista e quindi contro il bene del popolo
italico?
Montanelli era, da sempre, di destra e anticomunista, nei confronti dei comunisti
aveva un modo tutto suo di pensarla. Su Fausto Bertinotti, attuale Presidente della

102
Citazione da Wikipedia: l’enciclopedia libera, voce: Anarchia.
103
Cesare Medail, op. cit., pg.3
104
Vincenzo Vasile, “Il suo testamento: ‹‹Questa destra mi fa paura››” L’Unità, 23 luglio 2001, pg. 11
105
Marcello Veneziani, op. cit., pg 1,4

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Camera, per esempio, diceva:”Non è un comunista. È un populista della più dozzinale
varietà demagogico barricatiera, fantocci di cui il Pci si serviva quando gli faceva
comodo agitare la piazza ma a cui si guardava bene del concedere posto nella
Nomenklatura”106. Poi, con l’avvento del berlusconismo, Indro si convinse che:” la
destra, la ::sua;; destra in nome della quale si era fatto sparare dalle Brigate Rosse, fosse
inaffidabile. E aveva preso a spararle addosso a costo di deludere perfino tanti
lettori”107. Quei lettori di destra che si erano abituati ad un Montanelli schierato dalla
loro parte. Il direttore dell’Unità, Furio Colombo, vorrebbe prendere ad esempio “la sua
intransigenza, lui uomo di destra, ma non disposto ad accettare qualunque destra”108
Al capo del partito guida, Forza Italia, nonché dell’intera coalizione “rinfacciava di
avere ::dissepolto paure e odii che hanno spaccato il Paese;;, d’essere un vanesio che
::ai matrimoni e ai funerali vorrebbe essere rispettivamente la sposa e il morto;;, di avere
::una voluttuaria e voluttuosa propensione alle menzogne;;, di essere uno che ::non
delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine la dice sempre;;”109. Sugli altri
partiti della coalizione aveva le idee molto chiare. Della Lega, o meglio del suo
personaggio di spicco, l’onorevole Umberto Bossi, “pensava che […] fosse ::un
troglodita;;”110. Del leader di AN, Gianfranco Fini che: ”usasse ::il linguaggio del peggior
squadrismo”111. In conclusione dell’Italia berlusconiana, Montanelli pensava e diceva
che fosse “la peggiore delle Italie che io ho mai visto. E dire che di Italie brutte nella mia
lunga vita ne ho viste moltissime. L’Italia della marcia su Roma, becera e violenta,
animata però forse anche da belle speranze. L’Italia del 25 luglio (quando Mussolini fu
arrestato e venne sostituito dal generale Badoglio, n.d.a ), l’Italia dell’8 settembre, e
anche l’Italia di piazzale Loreto (dove fu esposto, appeso, il cadavere di Mussolini, n.d.a),
animata dalla voglia di vendetta. Però la volgarità, la bassezza di questa Italia qui non
l’avevo vista né sentita mai. Il berlusconismo è veramente la feccia che risale il pozzo”112.
Montanelli era preoccupato per il futuro dell’Italia sotto Berlusconi, anche se, come
diceva: ”Che vuole, alla mia età preoccuparsi per i rischi del futuro fa quasi ridere.”113
Del Cavaliere sceso nel campo della politica, in un intervista su ::Repubblica;; del marzo
2001, Montanelli dice: “Io voglio che vinca, faccio voti e faccio fioretti alla Madonna
perché lui vinca, in modo che gli italiani vedano chi è questo signore. Berlusconi è una
malattia che si cura soltanto con il vaccino, con una bella iniezione di Berlusconi a

106
Gian Antonio Stella, op. cit., pg. 6
107
ibidem
108
Citazione da L’ultima “Stanza di Montanelli”, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg. 7
109
Gian Antonio Stella, op. cit., pg. 6
110
ibidem
111
ibidem
112
Marco Travaglio, “Montanelli e il Cavaliere Storia di un grande e di un piccolo uomo”, Garzanti, 2004, pg. 386
113
ibidem

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Palazzo Chigi, Berlusconi anche al Quirinale, Berlusconi dove vuole, Berlusconi al
Vaticano. Soltanto dopo saremo immuni. L’immunità che si ottiene col vaccino.”114 Le
previsioni di Indro Montanelli, che non era poi una così brava Cassandra, si riveleranno
infondate? Berlusconi tornerà a Palazzo Chigi nel giugno 2001, il paese viene
“vaccinato”, come sentenziò Indro, ma il Cavaliere rimane nelle camere del potere,
attraverso un Berlusconi Bis, per l’intera legislatura. Nel 2006 va al governo la Sinistra, e
negli anni avvenire fino a fine legislatura o al crollo del governo dell’Ulivo, si parlerà dei
danni della sinistra e di un ritorno di Berlusconi. Se le previsioni si riveleranno fondate i
casi sono due: o il vaccino non ha funzionato, perché l’aria era troppo satura di batteri,
o Montanelli non era così lungimirante. Vedremo. Questa avversione per una destra
giudicata “volgare”, portò inevitabilmente alla scelta di Indro di “schierarsi” a sinistra
negli ultimi anni della sua vita, la cosiddetta “svolta” a sinistra di Montanelli dell’era post-
discesa in campo del Cavaliere. Racconta in modo esauriente le tappe di questo
avvicinamento ::L’Unità;; del 23 luglio 2001:” Alla fine di passo in passo, conosciuti
insieme con Andreotti anche Forlani e De Mita, visto all’opera Craxi, sperimentata da
vicino tangentopoli, incappato in Berlusconi editore del “Giornale” e poi politico
all’esordio, la grande svolta: trovarselo amico (della sinistra, n.d.a), sullo stesso fronte,
bandiera di una nostra battaglia. Una sorpresa.”115 A questo proposito, nella sezione del
::Corriere della Sera;;, dedicata all’encomio dei suoi lettori; una lettrice, Arianna Marsico,
infligge una virtuale bacchettata sulle dita a Rutelli “che non ha perso occasione per
scrivere che ::Montanelli scelse nettamente l’Ulivo;;, omettendo – ricorda la lettrice –
che il grande giornalista parlò del centrosinistra come di un ::male minore;;”116. Uno dei,
tanti, leader della sinistra ha manipolato la solita scelta di Indro del “meno peggio”, per
pubblicare una sorta di “volantino di propaganda post elezioni”. Come dice un
giornalista del ::Giornale;;: ”questo è il Paese nostro […] nel giro di ventiquattro ore,
voltagabbana dei sentimenti non soltanto delle idee e delle ideologie, sepolcri
imbiancati del cordoglio a gettone”117 e quindi si può sentire, qualche persona, non
importa se di destra o di sinistra “oggi definirlo voce della libertà. Allora era la voce della
maggioranza silenziosa. Leggo oggi che fu il paladino dell’indipendenza. Allora leggevo
che era il servo dei padroni.”118. Secondo il parere di chi scrive, per quanto riguarda il
rapporto storico di Montanelli con la sinistra, molto significativa è la frase collocata il 23
luglio 2001 in prima pagina dall’::Unità;;.L’epigrafe era scritta subito sotto al titolo, posta
all’interno di un rettangolo rosso vermiglio, corredata da una miniatura del Maestro e
114
Marco Travaglio, op. cit., pg. 386
115
Oreste Pivetta, op. cit., pg.10
116
Michele Brambilla, op. cit., pg. 11
117
Tony Damascelli, “L’abbraccio di quelli che ieri lo chiamavano fascista” Il Giornale, 24 luglio 2001, pg. 3
118
Tony Damascelli, op. cit., pg. 3

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recitava così: “::Abbiamo opinioni e orientamenti politici diversi. Ci unisce la
preoccupazione comune per le sorti dell’Italia e per la qualità della sua classe dirigente;;.
Indro Montanelli all’Unità, sabato 12 maggio 2001”. Nel quotidiano storico della sinistra,
si fa molte volte riferimento all’unica esperienza in comune (ma non “comunista”) di
Indro con i “compagni rossi”: il quotidiano ::La Voce;;. Un giornale fondato da
Montanelli ma “che aveva più lo stile del Manifesto (giornale di estrema sinistra, n.d.a)
che quello del Corriere (“nave scuola” del nostro, n.d.a)”119. Sono da riportare le parole
dell’::Unità;;: ”Montanelli ci è rimasto vicino rimanendo in trincea – aggiungendo un
commento leggermente acido che potevano anche risparmiare – comoda, malgrado
tutto, molto comoda la scrivania del Direttore per stare in trincea”120. Continuando a
scrivere, e giustificando questa defaiance come: “un’immagine che può rendere un
poco giustizia al combattente che abbiamo conosciuto in tanti anni e su tanti fronti.
Perché credo questa fosse la prima impronta caratteriale […] di Indro Montanelli, prima
di una sua identità politica, che lui si appioppò sempre di grande coerenza, ma che era
coerente soprattutto in un altro verso, non quello dell’appartenenza, ma quello per così
dire della disobbedienza.”121. Infatti “dalla ::Voce;; Montanelli ha continuato a dare
battaglia non per la sinistra ma contro l’involgarimento della politica, di certa politica”
con allusione esplicita alla politica di Berlusconi, ghettizzata da Indro, cosa che
comunque, di sicuro, non dispiaceva ai “compagni”. Tirando l’acqua al proprio mulino
Pivetta, giornalista dell’::Unità;;, ricorda: “Invecchiando spesso si dà il meglio e, questa è
una consolazione per noi, forse invecchiando Montanelli ha dato il meglio per coraggio
morale (e ce ne volle molto, n.d.a) e per lucidità politica.”122. Sulla sua presunta
conversione al comunismo, Montanelli “un po’ ne sorride: ::Passato per una ventina di
anni per “fascista”, e negli ultimi dieci per “comunista”, me la rido di entrambe le
etichette;;”123. Per evidenziare gli ultimi anni di rapporto con la sinistra, la ::Stampa;;
scrive: “Montanelli, fino agli ultimi giorni, è sembrato gradire la nuova compagnia della
sinistra, a fianco per esempio di Michele Santoro, pur di ferire con uno sberleffo una
destra che non amava”124. Il giornalista citato si riferisce, sicuramente, alla
partecipazione di Montanelli al talk-show di Rai Due Il Raggio Verde condotto da
Santoro. Nella puntata suddetta, che dibatteva il caso Satyricon (vedi sopra, n.d.a), però
Indro intervenne solo telefonicamente e di malavoglia, aveva già rifiutato l’offerta di
presenziare di persona, per controbattere alle dichiarazioni filoberlusconiane di Vittorio

119
Oreste Pivetta, op. cit., pg.10
120
ibidem
121
ibidem
122
ibidem
123
Marco Travaglio, op.cit., pg. 411
124
Pierluigi Battista, “L’icona della destra affascina la sinistra” La Stampa, 23 luglio 2001, pg. 5

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Feltri e appoggiare le dichiarazioni, favorevoli al Maestro, di Marco Travaglio. Indro
pensava che il centro-sinistra targato Ulivo fosse: “pieno di magagne e io l’ho scritto e
non perdo occasione di scriverlo, è un’armata Brancaleone, si decompone a ogni svolta
di strada, è balbuziente come me: quindi, per carità, è pieno di difetti, però non fa
paura, mentre questa destra mi fa paura (la destra targata CdL, n.d.a)”125
Di una cosa sono sicuro, ovunque Montanelli sia adesso, e chiunque manovri il
timone della “zattera” Italia: “Credo che ora quegli occhi (sgranati e azzurrissimi, n.d.a),
da qualche punto del cielo, stiano guardando in basso, preoccupati”126

125
Marco Travaglio, op.cit., pg. 435
126
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4

- 28 -
LA TRASCENDENZA DI MONTANELLI
I giornali da me consultati riprendevano la recente polemica di Montanelli,
lanciata qualche mese prima dalle pagine del “Corriere della Sera”, sull’accanimento
terapeutico e sull’eutanasia per riferirsi al burrascoso rapporto del Maestro con la chiesa
cattolica, con il Papa e più in generale con la Religione. Indro apertamente laico, anzi,
“un cardinale del laicismo professato”127, e formalmente ateo, si approcciava al rapporto
con i numerosi preti, vescovi, cardinali o Papi con il solito spirito da “toscanaccio” che lo
ha sempre caratterizzato, entrando in calorosa polemica con il clero, mantenendo
sempre, però, un certo rispetto per la loro carica ma, soprattutto, per la loro irriducibile
fede in Dio. Aveva grande rispetto per chi aveva Fede ma “quali fossero i rapporti con
Dio di Montanelli, escludo che lo sapesse lui stesso”128. Per esempio, quando, nel 1999,
si ritrovò a festeggiare i suoi novant’anni nella natia Fucecchio, si sentì un po’ a disagio,
da ateo dichiarato, ad occupare il pulpito della Chiesa cittadina la quale fu aperta
appositamente per accogliere tutti i numerosissimi concittadini intervenuti per rivederlo
e applaudirlo. Nell’intervista al cardinal Martini pubblicata sul ::Corriere della Sera;;, sua
eminenza parla così del rapporto con la fede di Montanelli: “Almeno dal mio punto di
vista personale, c’è una morale o un comportamento laico (nella vita di Indro, n.d.a) che
ha molto di cristiano e di autentico; anche se non contiene la risposta completa alle
aspirazioni umane. Qualcosa di molto importante e valido…”129 alla domanda del
giornalista che gli chiede un ricordo di Montanelli, il cardinale risponde: “tra noi c’era
una grande diversità di pensiero, di impostazione, e ho l’impressione che inizialmente
avesse qualche diffidenza nei miei riguardi. Lo disse, anche.”130. I rapporti tra Montanelli
e il cardinal Martini migliorarono notevolmente quando quest’ultimo rivelò all’ignaro
Montanelli che, a salvarlo dalla condanna a morte per anti-fascismo, fu una
intercessione del cardinal Schuster. Montanelli, infatti, non si riusciva a spiegare come
sia avvenuto il “miracolo” dell’annullamento della condanna a morte e quando lo
seppe, riferisce sua eminenza: “mi colpì l’emozione con cui me ne parlò, la commozione
sincera. Questo in qualche modo ci avvicinò, imparai ad apprezzarne la sincerità e lo
spirito d’indipendenza. E penso che anche lui potè comprendere meglio il significato
del mio servizio nella Chiesa e nella società”131. L’eminenza “pubblica” apprezzò molto
anche la sincerità dell’intervento del grande giornalista sul dibattito che ebbe con

127
Giorgio Torelli, “Quell’attesa d’una telefonata da Dio” Il Giornale, 24 luglio 2001, pg 1-5
128
ibidem
129
Gian Guido Vecchi, op. cit., pg.13
130
ibidem
131
ibidem

- 29 -
Umberto Eco su fede ed etica (::In cosa crede chi non crede?;;). Montanelli intervenne
scrivendo una specie di ::dichiarazione di fallimento;; dove, appunto, dichiarava di
cercare la fede senza riuscire a trovarla. Montanelli, in questo saggio, ci regala una
lucida visione del suo rapporto con la religione, dicendo: “Lo confesso: io non ho vissuto
e non vivo la mancanza di fede con la disperazione di un Prezzolino (suo insuperabile
maestro, n.d.a) […] Ma l’ho sempre sentita e la sento come una profonda ingiustizia che
toglie alla mia vita, ora che ne sono al rendiconto finale, ogni senso. Se è per chiudere
gli occhi senza aver saputo di dove vengo, dove vado, e cosa sono venuto a fare qui,
tanto valeva non aprirli”132. Martini, esprimendo la sua opinione su questa dichiarazione
dice: “non vi leggo tanto un’accusa, quanto la nostalgia, il desiderio di un senso più
profondo. Come poi l’abbia potuto raggiungere, questo è ovviamente nel mistero di
Dio – in un altro punto descrive Montanelli come - un uomo che aveva a cuore il senso
della vita, anche se per educazione e cultura era rimasto un po’ bloccato e non sapeva
in che modo esprimerlo – poi, prosegue il cardinale – ho apprezzato la sua sincerità nel
confessarsi come impreparato davanti al senso ultimo della vita.[…] (nella vita di Indro,
n.d.a) c’è un comportamento laico che ha molto di cristiano e di autentico”133. Quindi:
Indro non era agnostico. Come dice Giorgio Torelli dalla prima pagina del ::Giornale;;
del 24 luglio 2001: “Non è che Indro pensasse Dio non c’è e dunque è vano ragionarne,
tanto non si verrebbe a capo di nulla. Niente affatto. Dio lo insospettiva al punto di
alzare un lamento generico che però conteneva un profondo sospiro: :: Purtroppo, non
ho la fede. Magari, ne fossi toccato.;;. Se la cavava così, tagliando corto sul tema ed
esprimendosi come un utente della Creazione a cui non fosse mai arrivato il pacco-
dono con la scritta d’ufficio ::contiene la fede cristiana;;”134. Come dice il cardnal Tonini:
“Gli atei veri si compiacciono della lontananza dalla fede, Montanelli al contrario era
addolorato per la sua incapacità di aderire completamente a qualcosa che sentiva
muoversi dentro di sé […] nel suo percorso interiore c’erano contraddizioni, slanci e
perplessità come accade a chiunque non si adagi sulle altrui certezze”135.
Un altro tema trattato spesso in questo contesto era il rapporto con la morte.
Montanelli, a riguardo, diceva: “Io ho paura di morire ma non della morte. C’è una
differenza, anche se sottile.”136. Montanelli infatti “non aveva paura di guardare in faccia
la realtà, qualsiasi realtà, però temeva le sofferenze, i dolori della morte”137. Egli aveva

132
Gian Guido Vecchi, op. cit., pg.13
133
ibidem
134
Giorgio Torelli, op. cit., pg 5
135
Giacomo Galeazzi, “Grande laico in cerca di fede (intervista al cardinale Ersilio Tonini)” La Stampa, 24 luglio
2001, pg.31
136
Ferruccio de Bortoli, op. cit., pg. 1
137
Gian Guido Vecchi, op. cit., pg.13

- 30 -
paura di “una vita dimezzata” del deperimento fisico ma, soprattutto, di quello mentale
che poteva affacciarsi con l’approssimarsi della “Oscura Mietitrice”. Come dice Mario
Cervi: ”La sorte ce l’ha tolto, e per questo mi vien voglia d’odiarla. Ma la sorte gli ha
risparmiato la decrepitezza. La testa è rimasta fino all’ultimo splendidamente lucida, la
voce è rimasta forte, lo sguardo penetrante […] Indro ci ha lasciati alla Indro, senza
consentire che l’età l’umiliasse”138. “Avrebbe voluto […] scegliere come morire. Non è
stato possibile - invece per sua fortuna (o sfortuna?) - il caso (o un’altra mano?, anche il
laico Montanelli qualche volta ci pensava) ha fatto si che non ci fosse alcun
accanimento terapeutico.”139 “L’amore per la vita […] lo portava a parlare spesso della
morte. Forse per sfidarla in un duello dall’esito scontato […] Vorremmo dire, da colleghi,
per intervistarla, guardandola in faccia. Con la solita impertinenza.”140
In una delle sue ultime interviste: rispondendo alla domanda di Giorgio Soavi che
gli chiedeva se non era stufo, Montanelli risponde:” Proprio stufo marcio […] Non mi
diverto più. E quando vado a spasso ai giardinetti sotto casa non sto più a pensare
all’inizio dell’articolo che scriverò tra due ore. Non mi va. Non mi va più niente. E quella
dichiarazione sull’eutanasia, che mi sembra regolare, logica, leale verso me e verso tutta
la mia natura di condannato a vivere, è semplicemente una virgola in più.”141
“Montanelli proseguì la battaglia per l’eutanasia. L’ultima battaglia. Dalla Chiesa molti lo
invitarono a riflettere (::Vogliono riportarmi nel gregge, ma non ci sono mai stato;;
disse)”142
Nel necrologio “scritto di suo pugno”, pochi giorni prima di morire, oltre a
“esprimere un desiderio, quello di essere ricordato con un solo titolo onorifico:
giornalista.”143, Indro ricorda di non gradire ::nè cerimonie religiose né
commemorazioni civili;;, ma i parenti, prima della cremazione, hanno chiesto a un
sacerdote di dargli, in forma privata, l’estremo saluto. Montanelli ha comunicato
attraverso il necrologio “sia di essere cremato, sia che gli fossero risparmiate da morto
certe ::smancerie ed orpelli;; mai digeriti da vivo – non avrebbe permeso a nessuno di –
attardarsi per alcun discorso ufficiale o ufficioso. Solo il silenzio. Indro può avere
ragione. Esso magari consente maggiore concentrazione e può essere più eloquente di
mille discorsi di circostanza.”144 Su questo argomento, il cardinale Carlo Maria Martini,
dalle pagine del ::Corriere;; dice: “Montanelli non amava i complimenti, le etichette, le

138
Mario Cervi, op. cit., pg 3
139
Ferruccio de Bortoli, op. cit., pg. 1
140
ibidem
141
Dal colloquio di Giorgio Soavi con Indro Montanelli, Corriere della Sera, 23 luglio 2001, pg.2
142
Marco Neirotti, “‹‹Una morte dignitosa›› L’ultima campagna” La Stampa, 23 luglio 2001, pg 5
143
Carlo Brambilla, “E’ morto Montanelli, giornalista” L’Unità, 23 luglio 2001, pg. 10
144
Beppe Gualazzini, “Un prete benedice la bara di Montanelli” Il Giornale, 25 luglio 2001, pg 9

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cose che suonavano false. […] le commemorazioni potevano avere il senso
dell’encomio, della lode postuma, e tutto ciò non gli sarebbe piaciuto, gli sarebbe
suonato inautentico.”145. Avrebbe detto “il cordoglio universale, che bischerata”146.
“Quando scriverai tra le nuvole. Perché ti chiederanno di farlo, stai sicuro. Dio ama
chi l’ha cercato, e poi è un talent-scout straordinario. E tu (Montanelli, n.d.a) sei troppo
bravo perché possa lasciarti tranquillo.”147 Montanelli era fondamentalmente laico. Alle
domande: esiste una religiosità laica? Ha ragione Severgnini quando dice che “Dio ama
chi lo cerca”? Sua eminenza il cardinal Martini risponde: “Si, io credo che in effetti dietro
l’espressione “morale laica” si può intendere anzitutto quel bisogno di onestà, di lealtà,
di coerenza, di rispetto delle persone e delle istituzioni che poi prelude alla vera libertà
di parola”148. Il cardinale, secondo il parere di chi scrive, si limita a eludere la seconda
domanda, anche se, sia chiaro, quello che dice è sacrosanta verità; ma, rispondendo io,
alla domanda del giornalista, posso permettermi di risponde di si, dato che Dio ama tutti
i suoi figli, perché avrebbe dovuto escludere quel “toscanaccio” di Montanelli, tuttalpiù
che, da sue dichiarazioni, ha “invidiato” e rispettato profondamente chi è riuscito a
trovare la Fede.
Riguardo ai cattolici praticanti diceva: iniziando il ragionamento con un
condizionale “se Dio ci fosse, e io credessi in Lui – continuandolo con una, seppur
velata, accusa - voi cattolici non me la contate. Fate la giostra attorno al Firmatario del
Cosmo (se ha davvero un indirizzo) e prendete eccessi di confidenza con quel che è più
smisurato, ci andate a braccetto, fate perfino le giaculatorie pappa e ciccia. No, cari
cristiani della domenica. Se davvero io dovessi diventare dei vostri – Dio mi scampi –
vorrei volgermi verso la più radicale delle testimonianze: prendere i voti perpetui e farmi
frate trappista, claustrale, vegetariano e penitente. Diverrei uomo di preghiera e di
digiuni nel succedersi dei giorni e delle notti;;”149. A costo di sembrare blasfemo, riporto
una citazione su Montanelli, secondo il mio parere, azzeccata: ”A due sole divinità
Montanelli è rimasto devoto per tutta la vita: il mestiere e l’Italia.”150
Montanelli, nel rapporto con l’organigramma ecclesiastico “dichiarava il massimo
rispetto per i missionari”151 ; Indro “passava per un anticlericale. Ma oggi (25 luglio
2001, n.d.a) un sacerdote italiano che sta a Buenos Aires da 40 anni […] manda via e-
mail: ::Sempre ho seguito Montanelli. Lo rimpiango, e lo ricorderò nella Santa Messa;;.

145
Gian Guido Vecchi, op. cit., pg.13
146
Salvatore Scarpino, “La strada di Indro porta al ‹‹Giornale››” Il Giornale, 25 luglio 2001, pg. 1
147
Beppe Severgnini, op. cit., pg. 4
148
Gian Guido Vecchi, op. cit., pg.13
149
Giorgio Torelli, op. cit., pg 5
150
Salvatore Scarpino, op. cit., pg. 9
151
Giorgio Torelli, op. cit., pg 5

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Ed Emanuele Bresciani rivela: ::Il mio padre spirituale, don Narciso, mi ha spinto sulle
tue (di Montanelli, n.d.a) tracce sin dal 1982;;”152. Certo alcuni avvenimenti
ridimensionano queste testimonianze. Un esempio: racconta Torelli, sul ::Giornale;;, che
al ricevimento di un dono, un Vangelo da comodino, da parte delle monache Orsoline
di Milano,Montanelli “aveva tratto il volume e letto forte il nome dei traduttori, sempre
più sorpreso, sempre più contraddetto: ::Matteo, tradotto da Nicola Lisi; Marco, tradotto
da Corrado Alvaro; Luca, tradotto da Diego Valeri; Giovanni, tradotto da Massimo
Bontempelli;;. Il gesto successivo era diventato inequivocabile. Indro accantonava il
volume con un sonoro: ::Figurarsi se mi fido!;;”153. Il giornalista, allora prova a
domandarsi “di chi si fidava Montanelli al momento di tirare in ballo […] la Rivoluzione,
Gesù, il Crocifisso, la Risurrezione? – e provando a darsi una risposta diceva - nessuno in
particolare […] anche se Montanelli aveva conosciuto molti preti e di solito li
disattendeva.”154. Indro Montanelli, nella sua lunga carriera, aveva avuto modo di
conoscere e di intervistare numerosi “papi, futuri papi, cardinali d’ogni spessore, vescovi
e abati. I più gli erano rimasti indifferenti. Qualcuno gli era sembrato un ::pesce lesso;;.
Altri gli apparivano maschere di una commedia interpretata da dilettanti.”155. Montanelli
fu il primo giornalista ad intervistare un Papa, Giovanni XXIII, il ::Papa buono;;. Di Papa
Wojtyla, Giovanni Paolo II, il “suo” ultimo Papa, Indro fu apertamente impressionato,
dopo aver trascorso, nel 1993, una cena in Vaticano. Durante la visita “caduti pudori e
diaframmi disse al Papa: “Quando sarò davanti a Dio gli chiederò perché non mi ha
dato la fede”156. A popolare l’insonnia di Indro fu, però, un semplice padre, Olinto
Marella (1882-1969), suo vecchio professore di filosofia, ingombrando con domande
persistenti le sue notti agitate: “chi mai aveva ispirato quel coltissimo valent’uomo,
diventato sacerdote, a sedersi d’inverno fuor dei cinema di Bologna per invocare –
cappello da prete in mano – l’elemosina per una schiera di ragazzi in malora? Chi mai
gli diceva e ridiceva di farlo? E perché? I santi erano forse come padre Olinto?”157

152
Michele Brambilla, op. cit., pg. 11
153
Giorgio Torelli, op. cit., pg 5
154
ibidem
155
ibidem
156
Giacomo Galeazzi, op. cit., pg.31
157
Giorgio Torelli, op. cit., pg 5

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CONCLUSIONE
Alla fine della mia relazione vorrei fare delle precisazioni: la prima parte di questa
tesina ha poco contraddittorio. Ogni evento luttuoso livella ogni divergenza, quindi,
anche gli articoli sulla morte di Indro Montanelli sono pieni di lodi postume e, se
permettete, alcune molto ipocrite.
Nella seconda e nella terza parte, invece, sono riuscito, credo, a doppiare la voce
di tutte le parti e a regolarizzare alcuni, esempi, episodi, aneddoti che mi sembravano
errati, riuscendo a “riscriverli” chiarendo come, secondo me, le cose sono andate
esattamente.
Con questa mia relazione sono riuscito a scoprire un grande giornalista, ma a
quanto pare, anche un grande uomo. Ho imparato ad amarlo come se fossi stato un
suo assiduo lettore. Ho imparato che l’indipendenza è la carta più potente da giocare,
l’asso nella manica. Narrando dell’ultima battaglia, quella più dura, quella con il Destino,
di uno “Stregone” allergico al podio e fedele alla Buca del Suggeritore, un posto
privilegiato per guardare e riferire, ma anche per indirizzare lo scorrere degli eventi, ci si
imbatte in frasi vividamente attuali. Una di queste frasi è stata da me scelta per chiudere
la mia relazione: “Allo specchio, cioè al bilancio della propria vita, prima o poi ci si arriva.
E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al
potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito. Tenendo bene a mente il
motto degli hidalgos spagnoli: ::La sconfitta è il blasone delle anime nobili;;.” (Indro
Montanelli, ::Corriere della Sera;;, 31 dicembre 1997)

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BIBLIOGRAFIA

Per documentare la mia relazione ho consultato, letto e studiato, analizzando e


riportandone alcune citazioni, quattro volumi: una biografia completa di Indro
Montanelli, scritta da un suo allievo, Paolo Granzotto; il libro di Travaglio del 2004 che
tratta in modo dettagliato e puntiglioso, le origini e gli avvenimenti successivi alla
“rottura” di Montanelli con il “Giornale” berlusconiano; inoltre ho consultato un libro
sulla Storia del giornalismo dello storico Gozzini e un libro su “Come si legge un
giornale” di Murialdi, grande esperto di giornalismo.

BIOGRAFIE DI INDRO MONTANELLI


− Travaglio, M., 2004, Montanelli e il Cavaliere: storia di un grande e di un piccolo
uomo, prefazione di Enzo Biagi, Milano, Garzanti, 494 p.
− Montanelli, I., 2002, Soltanto un giornalista, testimonianza resa a Tiziana Abate,
Milano, Rizzoli, 357 p.
− Gerbi, S., Liucci, R., 2006, Lo stregone: la prima vita di Indro Montanelli, Torino,
Einaudi, 391 p.
− Montanelli, I., 2002, Caro Indro…: dialoghi di Montanelli con il direttore di Oggi:
1993-2001, il meglio di una rubrica di successo durata otto anni, Milano, RCS,
125 p.
− Orlando, F., 2001, Fucilate Montanelli: dall’assalto al Giornale alle elezioni del 13
maggio, Roma, Editori riuniti, 125 p.
− Orlando, F., 1995, Il sabato andavamo ad Arcore : la vera storia, documenti e
ragioni, del divorzio tra Berlusconi e Montanelli, Bergamo, Larus, 255 p.
− Geron, G., 1975, Montanelli, il coraggio di dare la notizia, Milano, La Sorgente,
148 p.
− Giglio, T., 1981, Un certo Montanelli, Milano, Sperling & Kupfer, 270 p.
− Torelli, G., 2006, Il Padreterno e Montanelli, Milano, Ancora, 150 p.
− Soavi, G., 2002, Indro: due complici che si sono divertiti a vivere e a scrivere, con
una scelta di lettere di I. Montanelli, Milano, Longanesi, 158 p.
− Mazzuca, G., 1995, Indro Montanelli: la mia Voce, Milano, Sperling & Kupfer, 128
p.
− Delpino, M., Riceputi, P., 1999, Indro Montanelli: un cittadino scomodo e
un’analisi sulla stampa italiana, prefazione di Raffaello Uboldi, atti della Giornata

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di studi su Indro Montanelli, Santa Margherita Ligure, Tigullio-Bacherontius, 102
p.
− Granzotto, P., 2004, Montanelli, Bologna, Il Mulino, 222 p.
− Bertorello, S., 2003, Indro Montanelli…Un’assenza cui è difficile rassegnarsi,
Milano, Silvia, 40 p.
− Staglieno, M., 2002, Montanelli. Novant’anni controcorrente, Milano, Mondadori,
495 p.
− Mauri, C., 1982, Montanelli l’eretico, Milano, SugarCo, 163 p.
− Elkann, A., 2003, MoMo, Milano, AsSaggi Bompiani, 59 p.
− Scurani, A., 1971, Indro Montanelli: contro e pro, Milano, Letture, 119 p.
− Mutarelli, D., 1992, Indro Montanelli visto da vicino, Milano, Ediforum, 139 p.
− Montanelli, I., 1999, La stecca nel coro : 1974-1994 : una battaglia contro il mio
tempo, Milano, Rizzoli, 552 p.

COME LEGGERE IL GIORNALE


− Sorrentino, C., 2007, Tutto fa notizia. Leggere il giornale e capire il giornalismo,
Roma, Carocci, 160 p.
− Della Casa, M., Parenti, G., 1980, Facciamo (e leggiamo) il giornale: guida
all’analisi e alla costruzione della “notizia”, Torino, Paravia, 205 p.
− Calabrese, O., 1980, I giornali : guida alla lettura e all'uso didattico, Roma,
L'Espresso, 183 p.
− Sincero, V., 1980, Guida al giornale : come nasce e come si legge, Torino, Paravia,
61 p.
− Ottone, P., 1987, Il buon giornale : come si scrive, come si dirige, come si legge,
Milano, Longanesi, 294 p.
− Gensini, S., 1984, Leggiamo il giornale, Milano, Angeli, 77 p.
− Braga, G., Cipolli, C., 1981, Accostarsi al quotidiano : organizzazione del giornale
e analisi sociologica, semiologica e psicosociale del messaggio stampato, Torino.
Nuova ERI, 179 p.
− Arpino, G., 1979, Come leggere i giornali?, Torino, La Stampa, 70 p.
− Murialdi, P., 1986, Come si legge un giornale, Roma Bari, Laterza, 310 p.
− Bianucci, P., 1974, La verità confezionata: come leggere un giornale, Torino,
Paravia, 254 p.
− Parisi, P., 1911, Il giornale: storia, evoluzione, tecnica, curiosità, Milano, SELGA,
224 p.

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STORIA DEL GIORNALISMO
− Farinelli, G., 1997, Storia del giornalismo italiano: dalle origini ai giorni nostri,
Torino, UTET libreria, 522 p.
− Capecchi, V., Rivolsi, M., 1971, La stampa quotidiana in Italia, Milano, Bompiani,
381 p.
− Murialdi, P., 1986, Storia del giornalismo italiano: dalle prime gazzette ai
telegiornali, Torino, Gutenberg 2000, 283 p.
− Murialdi, P., 2006, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Il Mulino, 360 p.
− Niro, M., 2005, Verità e informazione. Critica del giornalismo contemporaneo,
Bari, 310 p.
− Scandaletti, P., 2004, Storia del giornalismo e della comunicazione, Napoli, Ellissi,
174 p.
− A.A.V.V, 2005, Giornali e tv negli anni di Berlusconi, a cura di Giancarlo Borsetti e
Mauro Bonocote, Venezia, Marsilio, 184 p.
− A.A.V.V., 1999, Giornali. L’informazione dov’è?, a cura di D. Antiseri e
G.Santambrogio, Catanzaro, Rubbettino, 202 p.
− Bergamini, O., 2006, La democrazia della stampa: storia del giornalismo, Roma,
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− A.A.V.V, 1976, “Lacerba”, “La voce” (1914-1916), a cura di Gianni Scalia, Torino,
G.Einaudi, 647 p.
− Mangano, A., 1998, Le culture del Sessantotto: gli anni Sessanta, le riviste, il
movimento, Pistoia, CDP, 280 p.
− Bellocci, U., 1974-1980, Storia del giornalismo italiano, Bologna, Edizioni Edison,
8 vol
− Gozzini, G., 2000, Storia del giornalismo, Milano, B. Mondadori, 316 p.

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