Sei sulla pagina 1di 51

Corso di Fondamenti di acustica degli strumenti e della voce

Fabrizio Francia

Conservatorio di Adria

Fondamenti fisici del ritmo


Si dicono periodici tutti quegli avvenimenti, naturali o dovuti all’uomo, che ricorrono
sempre uguali in tempi uguali, che riprendono cioè, dopo certi intervalli costanti di tempo, la stessa
posizione che avevano all’inizio. Sono avvenimenti periodici la rivoluzione della Terra e degli altri
pianeti intorno al Sole, l’alternarsi del giorno e della notte, le pulsazioni del cuore, il moto
dell’altalena, ecc…
Anche il ritmo è un fenomeno periodico dovuto ad una regolata successioni di accenti
distribuiti nel tempo (Platone definì: “Ritmo è ordine del movimento”).
Perché si possa percepire il ritmo è necessario che alcuni degli accenti che lo compongono
abbiano una certa prevalenza sugli altri in modo da fare avvertire alla nostra sensibilità la
successione regolata di identiche fasi: inizio, decorso e termine.
Lo slancio, detto arsi (dal greco Arsis=elevazione), è il punto di partenza ed ha carattere di
movimento; il riposo, detto tesi (da Thésis=pongo), è il punto verso cui converge il moto ed ha
carattere di stasi.
Fase, periodo, frequenza
Bisogna distinguere nel ritmo la fase, il periodo e la frequenza. La fase comprende un ciclo
completo degli avvenimenti fisici, dall’inizio al suo termine (l’anno solare, il respiro, il passo
dell’uomo, ecc…) Il periodo indica la durata di ogni fase, la frequenza il numero di fasi complete
contenute in dato tempo.
Considerato dal punto di vista puramente fisico il ritmo non implica suono, ma soltanto moto
e durata. Tuttavia la musica non può fare a meno del ritmo poiché costituisce uno dei suoi elementi
fondamentali.
Pendolo
La forma più semplice di ritmo regolare è data dalle oscillazioni del pendolo. Si chiama pendolo
semplice un corpo sospeso, mediante un filo non elastico, ad un punto fisso e abbandonato alle forze
di gravità e di inerzia che determinano le oscillazioni.
A

Pendolo semplice

C D
B

1
Si chiama oscillazione semplice ogni movimento di andata da C a D, o di ritorno da D a C.
Si chiama oscillazione doppia il movimento completo di andata e ritorno C-D-C.
Per ampiezza dell’oscillazione s’intende l’angolo C-A-D compreso fra le due posizioni
estreme raggiunte dal pendolo.
Le leggi delle oscillazioni pendolari sono le seguenti:
1. (detta legge di Galileo) Le oscillazioni di un pendolo sono isocrone (cioè mantengono
invariata la durata anche se diminuisce l’ampiezza)

2. Il periodo non dipende dalla forma, dalla materia o dal peso del pendolo, ma

3. è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza del pendolo. Se, per esempio, un
pendolo lungo 1 metro impiega 1 secondo nel compiere un’oscillazione, perché esso
impieghi 2 secondi nel compierla occorre che il pendolo sia lungo 4 metri; perché impieghi
3 secondi esso dovrà essere lungo 9 metri; ecc…

Naturalmente le oscillazioni del pendolo sono inesorabilmente attenuate fino all’arresto dall’attrito
del filo con il chiodo, o altro a cui è fissato, e dall’attrito con l’aria.

I vecchi metronomi ad asticella erano costruiti basandosi sulla III legge dell’oscillazione
pendolare, infatti era praticamente un pendolo (capovolto), mosso da un meccanismo a ricarica (che
fornisce l’energia sufficiente a compensare gli attriti del meccanismo e a permettere che non si
fermi il congegno), le cui oscillazioni possono essere regolate in velocità mediante lo spostamento
di un peso lungo l’asta del pendolo graduata da 40 a 208 (come se si allungasse od accorciasse il
pendolo). Questi numeri indicano il numero di oscillazioni semplici che il metronomo compie in un
minuto (quindi, per esempio, se lo regoliamo a 60 vuol dire un movimento al secondo).
L'orologiaio di Amsterdam, Dietrich Nikolaus Winkel, nel 1813 costruì un metronomo a
doppio pendolo, che non riproduceva battiti udibili, ma andava osservato, ed è considerato il vero
inventore del metronomo moderno.
Johann Nepomuk Mälzel nel 1816 brevettò lo strumento, modificandolo per ottenere un
battito anche sonoro e non solo visivo. Winkel gli fece causa e la vinse, tuttavia Mälzel continuò a
godere sia della fama che dei benefici economici dell'invenzione non sua.

Origine e propagazione del suono


Il suono per esistere ha bisogno di una sorgente, cioè di un corpo vibrante e di un mezzo
elastico di propagazione in cui le onde possano viaggiare. Aria, acqua, legno, alcuni metalli e
perfino il vetro possono vibrare e propagare le onde sonore.
Quindi all'origine del suono c'è un corpo vibrante, il quale, vibrando, trasmette le proprie
vibrazioni al mezzo che lo circonda (normalmente l'aria).
L'energia sonora, quindi, è una forza meccanica che, partendo dalla sorgente, si irradia verso
tutte le direzioni (come una sfera che si espande) sotto forma di onde attraverso il mezzo di
propagazione fino all'ascoltatore.
Nel caso degli strumenti musicali, però, l'irradiazione maggiore è verso una direzione
preferenziale determinata dalla forma dello strumento.
2
Non c'è suono senza il mezzo di propagazione perché non ci sarebbero molecole da
muovere. Se le vibrazioni della sorgente non si trasmettono a nulla, si esauriscono nel punto di
origine e non arrivano a un eventuale ascoltatore, quindi non c'è suono nel vuoto (a differenza delle
onde elettromagnetiche, come la luce, le onde radio, ecc… che non hanno bisogno di un mezzo e si
propagano anche nel vuoto assoluto).

Il mezzo di propagazione può essere un qualsiasi elemento in grado di vibrare. Il suono si


propaga nell'aria e in tutti i gas, ma anche nell'acqua e anche in sostanze solide che siano almeno
leggermente elastiche.

Il moto vibratorio prodotto da un corpo sonoro non si propaga nell’aria all’infinito: esso
raggiunge un certo limite, esaurendosi a poco a poco la forza iniziale a causa degli attriti e delle
resistenze passive.
Il movimento delle onde però potrebbe trarre in inganno:
l’aria vibra, rimanendo tuttavia ferma allo stesso punto.
Un esempio che lo dimostra è la Ola (termine spagnolo che significa: onda) che i tifosi creano allo
stadio: sembra che un’onda corra sugli spalti, mentre i tifosi semplicemente si alzano e si abbassano
in sequenza.

Nella propagazione del suono è da notare quanto segue:

1. L’intensità del suono percepito è inversamente proporzionale al quadrato delle distanze: a


distanza doppia il suono è quattro volte meno forte, a distanza tripla è nove volte più debole,
ecc…

2. L’intensità del suono è soggetta a modifiche dall’agitazione dell’aria e dalla direzione del
vento: quando c’è vento il moto è più intenso nella direzione del vento che in senso
contrario.

3. La densità dell’aria influisce notevolmente sull’intensità del suono: in alta montagna, ove
l’aria è rarefatta, i suoni ed i rumori si odono molto attenuati; per esempio un colpo di fucile
si percepisce molto indebolito.

4. Suoni acuti e suoni gravi si propagano con la stessa velocità.

Il suono non si propaga istantaneamente. La sua velocità di trasmissione nell’aria, a


temperatura di 20°, è 344 metri/secondo (1238 km/ora) ed è quindi influenzata dalla temperatura (la
velocità del suono cresce di circa 60 cm per ogni grado di temperatura in aumento) e dalla densità
del mezzo, mentre è indipendente dalla pressione atmosferica e dalla frequenza.
Essa è dunque di molto inferiore a quella della luce (300.000 km/secondo).

Le molecole d'aria sono relativamente separate le une dalle altre, e quindi il suono si muove
più lentamente nell'aria che in un mezzo più denso come l'acqua: in genere più il mezzo è denso più
il suono lo attraversa velocemente.

Nell’acqua a 20° il suono si propaga con velocità circa quattro volte maggiore di quella
dell’aria, circa 1500 metri/secondo, mentre nei solidi la velocità è ancora superiore e varia dal tipo
di sostanza: nel ferro è di circa 5000 metri/secondo.
3
Riflessione del suono
Il suono si sposta nell’aria sotto forma di onda e se trova un ostacolo viene:
 in parte riflesso
 in parte assorbito
 in piccola parte trasmesso al di là dell’ostacolo.
Il suono che ritorna è quindi una versione del suono originale indebolito in ampiezza e filtrato sulle
frequenze alte. Il suono viene filtrato sulle frequenze alte per due motivi:
1. quasi tutti i materiali assorbono di più le frequenze alte rispetto a quelle basse;
2. l’aria assorbe un po’ di frequenze alte.
Le onde si riflettono contro l’ostacolo con l’angolo d’incidenza uguale a quello di riflessione.

punto di riflessione
ostacolo

direzione dell’onda di riflessione direzione dell’onda incidente

45° 45°

angolo di riflessione angolo d’incidenza

Diffrazione del suono


La quantità di suono che un ostacolo riflette dipende dal tipo di materiale dello stesso e dal
rapporto tra le dimensioni dell’ostacolo e la lunghezza d’onda del suono (la frequenza di un suono
è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d'onda: un suono di frequenza alta ha una
lunghezza d'onda corta; mentre un suono di frequenza bassa ha una lunghezza d'onda lunga).
Se un’onda incontra un ostacolo di dimensioni piccole rispetto alla sua lunghezza d’onda (un suono
grave incontra un ostacolo piccolo), il suono riesce a superare l’ostacolo con poca perdita
d’intensità; al contrario, se l’ostacolo è di dimensioni grandi rispetto alla lunghezza d’onda (un
suono acuto incontra un ostacolo grande), il suono non riesce a superare l’ostacolo e viene quasi
totalmente riflesso.
Fonoassorbenza dei materiali
Non tutti i materiali sono ugualmente riflettenti. Esistono materiali totalmente riflettenti ed
altri che assorbono molto, e che quindi sono utilizzati per l’insonorizzazione ambientale.
Quasi tutti i materiali, assorbono più le frequenze alte rispetto a quelle basse, infatti
nell’insonorizzazione degli ambienti è più difficile attutire i suoni gravi che quelli acuti. Ad
esempio un pannello in fibra di vetro assorbe il 60% di un suono a 125Hz, mentre assorbe il 90% di
un suono a 4000 Hz (una lastra di marmo invece assorbe solo l’1% di un suono di qualunque
frequenza udibile, riflette quindi il 99% del suono).

Riverbero ed Eco
Quando la distanza tra la fonte sonora e l'ostacolo che riflette il suono è inferiore a 17 metri
si ha il fenomeno del riverbero, cioè il suono riflesso ritorna verso la sorgente sonora e si
sovrappone, generando un'impressione di minor nitidezza. Questo fenomeno si verifica
generalmente all'interno di una stanza o di un salone, perciò, nella progettazione di teatri e sale da

4
concerto, è importante prevedere e controllare il riverbero che si genererà, per evitare che il
fenomeno generi confusione ed alterazioni sonore.
Quando invece la distanza tra la sorgente sonora e l'ostacolo che riflette il suono è uguale o
maggiore di 17 metri, si ha il fenomeno dell’eco, cioè il suono riflesso ritorna verso la fonte sonora
senza generare confusione e sovrapporsi al suono originale, ed è percepito distintamente dal suono
generatore.

Anatomia dell’apparato uditivo


L’orecchio è l’organo di senso che ci permette di sentire; con il termine orecchio non
intendiamo solo la parte visibile (essa si chiama padiglione auricolare), bensì un complesso di
elementi che permettono di trasformare una variazione della pressione dell’aria provocata da una
sorgente vibrante (una persona che parla, uno strumento musicale, ecc…), in un impulso elettrico
capace di generare, a livello cerebrale, la sensazione sonora.
Tecnicamente si dice che l’orecchio è un trasduttore, cioè un apparato in grado di
trasportare e trasformare energia da un punto ad un altro.

5
L’orecchio esterno

L’orecchio esterno è costituito dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo esterno, un sottile
“tubo” che termina in una membrana detta timpano.

Le funzioni del padiglione auricolare sono:

 raccogliere le onde acustiche (in quantità proporzionale all’area del padiglione) e di


convogliarle, tramite il condotto uditivo, alla membrana timpanica;

 determinare la localizzazione della sorgente sonora (operazione che non potrebbe essere
effettuata con uguale precisione se avessimo un solo orecchio anziché due);

 protezione della membrana timpanica da lesioni meccaniche;

 mantenere la membrana timpanica in condizioni di temperatura, umidità e lubrificazione


costanti, in modo da preservarne le caratteristiche elastiche.

Il condotto uditivo esterno ha mediamente un diametro di 7.5 mm e una lunghezza di 22-25


mm e ha la funzione di convogliare l’onda sonora verso la membrana timpanica. La lunghezza di
tale condotto gioca un ruolo decisivo nel determinare l'intervallo di frequenze di massima sensibilità
uditiva, che si colloca attorno ai 3800 Hz.

L’orecchio medio
È costituito dalla membrana timpanica, da tre ossicini (martello, incudine, staffa), da una
seconda membrana, la finestra ovale, che costituisce la porta di accesso all’orecchio interno.

Il timpano è una sottilissima membrana, tenuta in tensione dal muscolo timpanico, e capace
di entrare in vibrazione, se investita dall’onda sonora proveniente dall’esterno attraverso il condotto
uditivo. Grazie alle proprietà di elasticità di tale membrana e ad un meccanismo di amplificazione
che descriveremo tra poco la sensibilità del timpano è straordinaria: è sufficiente una variazione di
livello di pressione pari a 0,2 miliardesimi della pressione atmosferica per attivare la sensazione
sonora; a questi livelli di pressione lo spostamento della membrana timpanica è dell'ordine di 10-9
cm (un decimo circa del raggio dell'atomo di idrogeno).

La catena degli ossicini: martello, incudine, staffa


La catena degli ossicini ha lo scopo di trasferire la vibrazione della membrana timpanica alla
finestra ovale determinando al tempo stesso quel processo di amplificazione della vibrazione
timpanica cui si è sopra accennato. Il martello è, con un’estremità, a diretto contatto con il timpano;
esso è poi “incernierato” all’altra estremità all’incudine, la quale, a sua volta, spinge la staffa contro
la membrana della finestra ovale.
È bene precisare che:
 il processo di amplificazione ottenuto con il principio della leva del sistema degli ossicini è
molto piccolo, il guadagno è circa di un fattore 1.3;
 la maggior parte del processo di amplificazione viene invece ottenuto applicando la forza
trasmessa dai tre ossicini sulla finestra ovale, la cui area (circa 3,2 mm2 ) è circa 17 volte
inferiore all’area del timpano (circa 55 mm2): questa differenza di area crea
un’amplificazione di un fattore 17. In totale quindi la pressione, è aumentata di circa un
6
fattore 22 (1,3 per gli effetti di leva meccanica moltiplicati per 17 per gli effetti di
diminuzione dell’area: 1,3 x 17 = 22,1).
 il processo di amplificazione della pressione è indispensabile in quanto la pressione
esercitata sulla finestra ovale si trasferisce al liquido contenuto nella struttura dell’orecchio
interno detta coclea (o chiocciola);
 per capire quanto sia indispensabile la soluzione che la natura ha sviluppato per trasferire
l'energia dell'onda sonora al liquido cocleare, si pensi che se fosse direttamente l'aria a
mettere in moto il liquido a causa del pessimo adattamento tra i due mezzi, (l'aria oppone
una resistenza alle vibrazioni sonore, detta impedenza acustica, di 41,5 ohm acustici, mentre
il fluido cocleare di 143000 ohm acustici) solo 1/1000 dell'energia dell'onda sonora verrebbe
trasferita al liquido e il resto verrebbe riflessa impedendoci, di fatto, di sentire.

L’orecchio interno
Le strutture fondamentali dell’orecchio interno sono:
 la coclea o chiocciola, un canale a forma di chiocciola scavato nell’osso temporale
all’interno del quale corrono diverse gallerie riempite con un liquido, chiamato perilinfa, a
cui viene trasferita la pressione esercitata dalla staffa sulla finestra ovale, membrana che
separa l’orecchio medio dalla coclea;
 la membrana basilare, una sottile membrana che divide due gallerie (denominate zona
vestibolare e zona timpanica) all’interno della chiocciola e che va ispessendosi man mano
che ci si allontana dalla finestra ovale. Essa termina in un'apertura detta elicotrema che
mette in comunicazione le due gallerie e permette alla perilinfa di passare da una parte
all'altra della membrana basilare.

7
La funzione di tale membrana è di entrare in oscillazione se sollecitata dall’onda di
pressione del liquido cocleare, in modo simile a quello di una corda pizzicata. L'apertura
dell'elicotrema fa sì che l'onda di pressione si propaghi sia sopra che sotto la membrana basilare.
La modalità di oscillazione di tale membrana in rapporto all’intensità, alla frequenza e alla
composizione spettrale dell’onda sonora “catturata” dal padiglione auricolare, gioca un ruolo
fondamentale nel meccanismo di trasduzione, che è il primo livello alla base della percezione
dell'intensità, della percezione dell'altezza e del timbro dei suoni.
È stato osservato che le onde generate dalle basse frequenze si spingono più avanti nella
chiocciola, mentre le alte frequenze si esauriscono prima. In tal modo, le cellule poste all'inizio
della chiocciola sono interessate solo dalle alte frequenze. Le onde generate dalle frequenze più
basse, invece, riescono a penetrare di più e vanno a toccare anche cellule che stanno più all'interno
della chiocciola.
In pratica, l'organo del Corti è un raffinato analizzatore che scompone il suono nelle sue
componenti basse, medie e alte inviando al cervello informazioni differenziate per ogni registro.
Se si va a vedere quali cellule rispondono alle diverse ottave, si nota che la loro distanza è
all'incirca uguale.

La figura mostra la distanza percorsa all'interno della chiocciola dalle onde generate da diverse
frequenze. Le onde di frequenza pari al LA7 (3520 Hz) penetrano per circa 12 mm, quelle del LA6
per circa 17 mm, quelle del LA5 per circa 22 mm e così via. Si nota che un salto di 8va corrisponde
a circa 5 mm all'interno della chiocciola. Di conseguenza un salto di frequenza variabile in termini
di Hertz, come quello dell'8va, quando arriva all'organo del Corti viene mappato su uno spazio
all'incirca sempre uguale.
Si ritiene che questa sia la ragione per cui noi percepiamo come identici gli intervalli, cioè i rapporti
e non le differenze di frequenza.
Si nota anche un'altra cosa. L'estensione di frequenze che va approssimativamente da 20 Hz
fino a 4000 Hz copre circa i due terzi dell'estensione della membrana basilare (dai 12 ai 35 mm
dalla base) su cui risiede l'organo del Corti. La rimanente porzione della scala di frequenze (4000 -
20000 Hz) è compressa nel rimanente terzo. Di conseguenza, in quest'ultima parte, composta da
suoni acutissimi per l’essere umano, la percezione è più difficoltosa, meno precisa.
Il range di frequenze fra 20 e 4000 Hz corrisponde alle prime 7 ottave musicali, la gamma di
suoni usata in musica. L'estensione del pianoforte corrisponde esattamente a questo intervallo di

8
frequenze, la dimostrazione che la nostra musica si è sviluppata in base alle capacità del nostro
sistema uditivo.
 l’organo del Corti, è una struttura gelatinosa appoggiata alla membrana basilare e munita di
ciglia direttamente connesse alle fibre nervose. Le ciglia vengono flesse dal moto
oscillatorio della membrana basilare. È tale movimento ad indurre le cellule dell’organo del
Corti a generare impulsi elettrici da inviare alle terminazioni nervose che, tramite il nervo
uditivo, vengono convogliate al cervello. Il meccanismo di trasduzione vero e proprio
avviene quindi a livello dell’organo del Corti.

Per schematizzare possiamo quindi dire che:


1. il suono si propaga attraverso l'aria,
2. colpisce la membrana del timpano che vibra
3. trasmettendo il movimento alla catena degli ossicini;
4. l'ultimo di questi, la staffa, comprime la finestra ovale,
5. trasmettendo il movimento al liquido perilinfa del labirinto membranoso;
6. il movimento del liquido si propaga all'interno della chiocciola,
7. stimolando la membrana basilare su cui si trovano le ciglia dell'organo del Corti
8. e da cui parte lo stimolo nervoso che si trasmette al nervo acustico,
9. si propaga fino all'encefalo e viene percepito in maniera cosciente.

Altre funzioni dell'orecchio


Vi sono due parti non direttamente coinvolte nel processo di percezione dell'onda sonora.
Esse sono:
 la tromba di Eustachio, un condotto che collega la faringe all'orecchio medio. Questo
condotto, in condizioni normali è chiuso, ma si apre quando si crea una differenza di
pressione tra le due camere, come, ad esempio, quando si sbadiglia o si deglutisce. Durante
questi momenti l'aria può così giungere attraverso l'orecchio medio in modo da equilibrare i
valori della pressione sulle due facce del timpano. Questo meccanismo risulta molto utile
quando si verificano improvvisi e forti variazioni di pressione atmosferica, quando si
percorre un pendio ripido o durante il decollo di un aereo (tutti abbiamo sperimentato la
sensazione di orecchio "che si stappa" in queste condizioni). Senza questo meccanismo di

9
compensazione, il timpano potrebbe essere danneggiato dalla differenza di pressione tra il
suo interno e l'esterno.
 il labirinto, una struttura connessa alla coclea, formata da tre canali semicircolari orientati
secondo tre direzioni ortogonali e pieni di liquido. Grazie alla disposizione di tali canali ogni
movimento della testa mette in moto, con una certa inerzia, il liquido contenuto nei canali.
Questo, a sua volta determina l'eccitazione di diversi gruppi neuronali, portando
all'elaborazione dell'informazione sullo stato di movimento del capo. Il sistema nervoso
centrale, integrando queste informazioni con quelle provenienti dagli occhi e dai muscoli del
corpo, ci permetterà di mettere in atto gli aggiustamenti posturali necessari per il
mantenimento dell'equilibrio e la guida del movimento volontario. Esso inoltre ci consente
di valutare consciamente la nostra posizione in un sistema di riferimento geocentrico.

Inviluppo
Ogni suono ha una sua evoluzione
dinamica. Ci sono suoni con attacco
istantaneo come le percussioni o il
pianoforte, mentre altri hanno un attacco
più dolce e graduale come il flauto.
Alcuni suoni possono essere tenuti
finchè l'esecutore desidera (o ha fiato),
mentre altri scompaiono in un tempo più o
meno lungo senza che l'esecutore possa
influire sul loro comportamento.
In figura vedete una nota di vari
strumenti Il profilo della variazione
dinamica è evidenziato in rosso.
Il piano e il tamburo hanno un
attacco immediato e poi il suono può solo
diminuire gradualmente di intensità. La
tromba ha un attacco rapido, caratterizzato
da un lieve sforzato, ma poi il suono può
essere tenuto per un certo tempo.
Il contrabbasso ha un attacco più lento a causa della lunghezza e dello spessore delle corde.
Guardando questa immagine si deduce che, per quanto riguarda l'evoluzione dinamica,
esistono due classi di strumenti che hanno un comportamento molto diverso.
 Strumenti a evoluzione libera, sono quelli in cui l'esecutore si limita a fornire una energia
iniziale, ma poi non può fare altro per influire sull'evoluzione dinamica del suono che
diminuisce gradualmente fino all'estinzione. Esempi: corde pizzicate (arpa, chitarra, archi
pizzicati, clavicembalo) o percosse (pianoforte), strumenti a percussione.
 Strumenti a evoluzione controllata, sono quelli in cui l'esecutore deve continuare a fornire
energia per mantenere il suono. Nel momento in cui l'esecutore cessa di dare energia, il suono

10
scompare più o meno rapidamente. Esempi: strumenti ad arco e a fiato, voce, organo (in
quest'ultimo caso l'energia e fornita dal motore).
I due casi quindi sono molto diversi. Nel secondo, l'esecutore può controllare
completamente l'evoluzione dinamica del suono nel tempo fino a ottenere sforzato o crescendo
anche all'interno del suono singolo.
Con uno strumento a fiato, per es., una singola nota può attaccare rapidamente, abbassarsi
molto di volume e poi tornare a crescere nel finale. Tutto questo è impossibile con gli strumenti a
evoluzione libera.
I suoni, quindi, differiscono notevolmente per quanto riguarda la loro evoluzione dinamica.
La variazione dinamica di un suono nel tempo è detta inviluppo.
Un inviluppo può avere fino a 4 fasi in sequenza:
1. Attacco (attack) - corrisponde all'inizio del suono e dura fino al momento in cui il suono ha
raggiunto la massima energia. Può essere immediato (l'attacco del piano o di uno strumento
a percussione dura circa 1/100 di secondo) o graduale (negli strumenti ad arco e a fiato
l'esecutore può creare un attacco in crescendo della durata di vari secondi). Tutti i suoni
hanno un attacco.
2. Decadimento (decay), detto anche decadimento iniziale o primo decadimento: in alcuni
strumenti (es. ottoni), all'attacco segue una breve e rapida diminuzione di ampiezza, prima
che il suono si stabilizzi. Di solito è dovuto al fatto che il suono scatta solo quando si supera
una certa soglia di energia (es. una certa pressione del soffio), non prima. La conseguenza di
questo scatto è un attacco abbastanza rapido seguito da un breve decadimento.
3. Tenuta (sustain), è la fase in cui il suono rimane stabile mentre l'esecutore continua a
fornire energia. Ovviamente non esiste negli strumenti a evoluzione libera.
4. Rilascio (release), detto anche decadimento finale: è la fase che inizia nel momento in cui
l'esecutore smette di dare energia e il suono decade più o meno rapidamente. Questa fase
può essere anche molto lunga negli strumenti a evoluzione libera (note basse del piano),
mentre è di solito breve in quelli a evoluzione controllata. Tutti i suoni hanno un rilascio.

In figura vedete lo
schema generico dell'inviluppo
e gli inviluppi reali di alcuni
strumenti. Notate che non tutti i
suoni hanno tutte le 4 fasi.
Alcuni ne hanno meno.
Gli strumenti a
evoluzione libera non hanno né
decadimento, né tenuta. Anche
se alcuni vedono come
decadimento il rapido calo di
ampiezza che segue la
percussione o il pizzicato, si
può dire che questi strumenti

11
abbiano solo 2 fasi: attacco e rilascio (l'esecutore fornisce l'energia all'inizio e poi non può fare
niente).
Al contrario, negli strumenti a esecuzione controllata, l'esecutore può influenzare
notevolmente l'inviluppo. Gli archi, per es., normalmente non hanno un decadimento perché
l'ampiezza del suono cresce rapidamente con il movimento dell'arco e raggiunge uno stato di tenuta
senza scatti (3 fasi: attacco, tenuta, rilascio), ma l'esecutore può creare un decadimento suonando
sfz.
Negli ottoni, invece, il decadimento di solito esiste per le ragioni già esposte, ma l'esecutore
può evitarlo eseguendo un attacco dolce. Al limite, sia negli archi che nei fiati, è possibile creare un
inviluppo formato solo da un attacco molto lungo e da un rilascio come nel caso di una minima
suonata in crescendo pp < ff.
Considerate, infine, che le 4 fasi dell'inviluppo sono schematiche: si tratta di una
semplificazione utile per studiare l'evoluzione dinamica dei suoni. Anche nella fase di tenuta, il
suono non è mai perfettamente fermo (non sarebbe umano) anche a causa di pratiche esecutive
come il vibrato.
In alcune situazioni, infine, si verificano variazioni di
ampiezza molto rapide dette transienti, soprattutto nel corso
dell'attacco quando il mezzo inizia a vibrare, ma non ha ancora
raggiunto la stabilità.
Osservate, nella figura a destra, i primi 2 decimi di
secondo di una nota bassa di pianoforte studiati "al microscopio"
e notate quante micro-variazioni di ampiezza si possono
chiaramente vedere.
Sono dovute al fatto che una corda lunga e spessa come
quella di una nota bassa del piano, percossa dal martelletto in un
punto vicino a una estremità, impiega un certo tempo a entrare in
vibrazione nella sua interezza. Di conseguenza, all'inizio, ha un
comportamento irregolare in cui al suono si mescola anche il rumore del martelletto che viene ad
essere parte integrante dell'attacco del piano.

Le proprietà del suono


Le proprietà del suono sono: altezza, intensità e timbro.
Altezza
Il suono è vibrazione, però per essere udito deve essere formato non da una sola vibrazione,
ma da molte e ripetute ad ogni secondo. Più il numero di vibrazioni al secondo è alto e più il suono
ci sembrerà acuto, e viceversa. Infatti l’altezza del suono dipende dalla frequenza delle vibrazioni al
secondo ed è misurata in Hertz (vibrazioni al secondo), dal nome di un fisico tedesco.
Si abbrevia in Hz. Esempio: il LA che l’oboe suona in orchestra per l’accordatura è un LA a
440 Hz, cioè è un suono formato da 440 vibrazioni al secondo.
Un raddoppio o un dimezzamento della frequenza corrisponde ad un intervallo di ottava.

Quindi l’altezza è la proprietà che ci permette di distinguere un suono acuto da uno grave.

12
La caratteristica dei suoni che ci dà la sensazione dell’altezza è la periodicità delle onde.

In figura un frammento delle onde prodotte da una nota singola di un clarinetto. Guardando la
figura si nota che l’andamento di queste onde non è casuale. Esiste un ciclo che si ripete di
continuo. Queste onde sono periodiche.

In figura un frammento delle onde prodotte da un colpo di piatto di batteria. Si nota che, a
differenza delle onde del clarinetto, in queste onde non è possibile individuare con facilità un ciclo
che si ripete. Queste onde non sono periodiche.
Ascoltando questo suono di piatto si nota subito che, a differenza di quello di clarinetto, non
è possibile attribuirgli una nota precisa, quindi si deduce che è la periodicità delle onde che ci dà
la sensazione dell’altezza precisa del suono.
Limiti dell’orecchio umano.
Gli esseri umani quando sono giovani possono sentire frequenze da 16 Hz a 20.000 Hz (con
l’età la capacità si riduce, un anziano sente all’incirca al massimo 10.000 Hz).
Al di sotto dei 16 Hz le frequenze si chiamano infrasuoni, al di sopra dei 20.000 Hz
ultrasuoni.
Gli infrasuoni sono caratterizzati dalla capacità di propagarsi su lunghe distanze e di
aggirare gli ostacoli con poca dissipazione. Gli infrasuoni possono essere prodotti da fenomeni
naturali (ad esempio i tuoni o il vento), da alcuni animali (come elefanti, coccodrilli e balene)
oppure da fonti artificiali (il traffico stradale, gli aerei, le fabbriche).
Gli ultrasuoni sono frequenze che solo alcuni animali hanno la capacità di sentire: i cani (per
i quali sono in commercio appositi fischietti di richiamo agli ultrasuoni); i delfini e le balene che li
usano per comunicare tra loro; i pipistrelli che li usano per “vedere” gli ostacoli mentre volano di
notte.
Fino al XVII secolo la frequenza di riferimento del LA per l’accordatura degli strumenti
musicali poteva variare da 370 Hz fino 560 Hz. Con lo sviluppo dei trasporti e quindi con
l’intensificare delle collaborazioni tra musicisti di luoghi sempre più lontani tra di loro, la differenza
della frequenza di riferimento del LA divenne un problema. Per unificare questo importante
riferimento dal XVIII secolo al XX secolo furono organizzati diversi congressi, dapprima tra
rappresentanze di luoghi confinanti, fino ad abbracciare molti stati. Uno dei più importati si è tenuto
nel 1939 a Londra, dove per la prima volta la frequenza del LA è stata fissata a 440 Hz.
La forma più semplice di onda sonora è detta Sinusoide (in figura).

13
Valori positivi

Valori negativi

Il Periodo è il tempo necessario per compiere un ciclo completo dell’onda sonora.

La Frequenza è il numero di cicli completi che si compiono in un secondo.

Il Periodo e la Frequenza sono strettamente collegati: se il ciclo di un'onda si ripete 100 volte al
secondo, ogni ciclo dura 1/100 di secondo. Quindi:

L’ampiezza del suono (Intensità) è lo scostamento dell'onda dalla linea di zero (non suono).
Come si vede nella figura l’onda oscilla intorno al punto zero (dove non c’è suono), passando da
valori positivi a valori negativi.

La distanza più piccola tra due punti corrispondenti dell’onda sonora (ad esempio tra due
massimi consecutivi) è detta Lunghezza d’onda. Essa è comunemente indicata con il simbolo L.
La lunghezza d’onda dipende dal periodo e dalla velocità di propagazione del suono.
La relazione tra lunghezza d’onda L, velocità del suono V e periodo P è:

La relazione tra frequenza F, velocità del suono V e lunghezza d’onda L è:

Questa relazione dimostra che la frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda.
Possiamo calcolare le lunghezze d’onda delle frequenze estreme udibili, 16 Hz e 20.000 Hz: se
giriamo la formula
in con le unità di misura

14
(come velocità di propagazione del suono usiamo quella nell’aria a 20°, 344 m/s)
otteniamo la lunghezza d’onda in metri:

Quindi un suono con una frequenza di 16 Hz, che si propaga nell’aria a temperatura di 20°, ha una
lunghezza d’onda di 21,5 metri;
mentre un suono con una frequenza di 20.000 Hz, che si propaga nell’aria a temperatura di 20°, ha
una lunghezza d’onda di 0,021 metri (2,1 centimetri).

Un’altra caratteristica dell’onda sonora è la Fase: il ciclo ha una certa forma; in ogni istante,
l’onda si trova in un punto di quel ciclo; la Fase è l’istante in cui l’onda si trova nel ciclo.
Si misura in gradi (da 0 a 360, come un angolo) o in radianti (da 0 a 2 pi-greco). Vedremo nei
battimenti l’importanza della fase.

Nella tabella sottostante sono riportate le frequenze corrispondenti alle note del sistema
temperato (evidenziata in verde chiaro l'estensione del pianoforte).

-1 0 1 2 3 4 5 6 7 8
C 16.35 32.70 65.41 130.81 261.63 523.25 1046.50 2093.00 4186.01 8372.02

C#/Db 17.32 34.65 69.30 138.59 277.18 554.37 1108.73 2217.46 4434.92 8869.84

D 18.35 36.71 73.42 146.83 293.66 587.33 1174.66 2349.32 4698.64 9397.27

D#/Eb 19.45 38.89 77.78 155.56 311.13 622.25 1244.51 2489.02 4978.03 9956.06

E 20.60 41.20 82.41 164.81 329.63 659.26 1318.51 2637.02 5274.04 10548.08

F 21.83 43.65 87.31 174.61 349.23 698.46 1396.91 2793.83 5587.65 11175.30

F#/Gb 23.12 46.25 92.50 185.00 369.99 739.99 1479.98 2959.96 5919.91 11839.82

G 24.50 49.00 98.00 196.00 392.00 783.99 1567.98 3135.96 6271.93 12543.85

G#/Ab 25.96 51.91 103.83 207.65 415.30 830.61 1661.22 3322.44 6644.88 13289.75

A 27.50 55.00 110.00 220.00 440.00 880.00 1760.00 3520.00 7040.00 14080.00

A#/Bb 29.14 58.27 116.54 233.08 466.16 932.33 1864.66 3729.31 7458.62 14917.24

B 30.87 61.74 123.47 246.94 493.88 987.77 1975.53 3951.07 7902.13 15804.27

Nella tabella si osserva una caratteristica importante. Se, per esempio, osservate la riga della
nota LA si può notare che la differenza di frequenza tra le varie ottave non è costante (più piccolo
nelle ottave basse, più grande in quelle alte). Tuttavia noi sentiamo una differenza costante, sempre
un intervallo di ottava. Quindi, la differenza non è costante, mentre invece è costante il rapporto: la
frequenza dell'ottava superiore è sempre il doppio di quella inferiore. Questa caratteristica è vera
per qualunque intervallo ed è per questo che per calcolare le altezze delle note ci si basa sui rapporti
che intecorrono tra ogni tipo di intervallo.
15
Intensità
L’intensità è la proprietà che ci permette di distinguere i suoni in deboli o forti.
L’orecchio è sostanzialmente un sensore di pressione.
L’unità di misura dell’intensità del suono è il decibel.
Il decibel non è un’unità di misura paragonabile al metro o al grammo, ma è il rapporto tra due
misurazioni: il suono meno intenso udibile dall’uomo (un suono di frequenza di 1000 Hz a 0
decibel) ed il suono da misurare.
Il decibel (simbolo dB) è la decima parte del Bel (simbolo B), 10 dB = 1 B ed è un'unità di
misura logaritmica
La scala logaritmica non è sempre di uso intuitivo, per esempio, un aumento di soli 3 dB
corrisponde al raddoppio del livello misurato, e non ad un aumento di tre unità.
Utilizzando una scala logaritmica è molto più facile effettuare calcoli e misure su grandezze
che variano in un grandissimo intervallo di valori. Ad esempio, nel campo dell'acustica, l'orecchio
umano è sensibile ad intensità sonore che variano da 0 a circa 200 dB.
Questo intervallo sembra piccolo ma invece è spaventosamente grande: se si trattasse di
lunghezze avremmo a che fare con valori che spaziano dalla dimensione dello spessore di un foglio
di carta (10-4 m) a quelle di un anno-luce (1016 m).
Ogni valore in dB corrisponde ad un fattore di moltiplicazione o divisione (rispettivamente
in caso di aumento o diminuzione) della grandezza misurata.
Nella seguente tabella vengono riassunti brevemente i vari fattori di moltiplicazione o divisione.

dB Fattore moltiplicativo
1 x 1,25 Utilizzando il decibel le operazioni
2 x 1,6 matematiche sono semplificate. Per esempio per
3 x 2 moltiplicare due valori è sufficiente sommare i valori
4 x 2,5 in dB, mentre per dividerli, è sufficiente sottrarre i
5 x 3 valori in dB.
6 x 4 Se ad esempio abbiamo un suono che aumenta
7 x 5
di 34dB, significa che l’intensità che otterremo alla
8 x 6,3
fine sarà 2500 volte quella iniziale: 34dB equivale a
10+10+10+4 dB, che si trasformano in un fattore di
9 x 8
moltiplicazione di 10×10×10×2,5=2500 volte.
10 x 10
Viceversa, se il suono si riducesse di 27dB,
20 x 100
otterremo un’intensità 500 volte più piccola di quella
30 x 1000
iniziale, cioè 1/500: 27dB equivale a 10+10+7 dB, e
40 x 10000
per trovare di quante volte si riduce la nostra
50 x 100000
grandezza dobbiamo fare 10×10×5=500
60 x 1000000
70 x 10000000
80 x 100000000
90 x 1000000000
100 x 10000000000

16
Timbro
Il timbro è la proprietà che ci permette di distinguere lo strumento o la voce che produce il
suono.
Il timbro dipende dal materiale con cui è costruito lo strumento, dalla sua forma e dal modo
con cui viene messo in vibrazione (es. una corda può essere sfregata, pizzicata, percossa).

Ogni suono è composto da un suono principale detto “fondamentale” e da una serie di suoni
secondari (di volume molto inferiore al suono fondamentale) chiamati “suoni armonici”, o “suoni
parziali”, o “ipertoni”, che si amalgamano col principale e non sono distinguibili dal nostro
orecchio.

Gli armonici, che non sono abbastanza forti da farsi intendere come suoni distinti, si
fondono con la fondamentale, “colorandola”, per così dire, in un modo che dipende dal loro
numero, qualità e intensità. Questa “miscela” di fondamentale ed armonici è l’origine del timbro
dello strumento.

Tutti i suoni armonici sono multipli di frequenza del suono fondamentale, quindi il secondo
armonico è Fx2 (frequenza del 1° armonico x 2), il terzo Fx3 (frequenza del 1° armonico x 3), il
quarto Fx4 (frequenza del 1° armonico x 4), e così via.

17
Continuando a suddividere la corda in parti uguali, si avrà una serie di suoni, detti suoni armonici,
parziali o ipertoni.
Prendendo per esempio il suono DO come fondamentale (o 1° armonico), ecco la serie dei primi
sedici armonici:

I suoni segnati con x si dicono falsi perchè sono un po' più alti o un po' più bassi di quelli
effettivamente segnati.

La serie è teoricamente infinita e potrebbe continuare sempre più verso l'acuto, ma


praticamente si considerano soltanto i primi sedici.
Il numero d’ordine che distingue ogni suono armonico indica a quale frazione della corda
intera bisognerà sfiorare la corda stessa per ottenerlo ed in quante parti la corda si dividerà
vibrando.
Ad esempio, l’armonico n.6 indica che la corda deve essere sfiorata ad 1/6 della sua
lunghezza e che essa vibrando si dividerà in sei parti uguali. Considerando inoltre che, rispetto al
suono fondamentale, l’armonico n.2 ha un numero di vibrazioni doppio, l’armonico n.3 un numero
di vibrazioni triplo, l’armonico n.4 un numero di vibrazioni quadruplo, e così di seguito, si può
stabilire che il numero d’ordine di ogni armonico serve anche a fissare il rapporto del numero di
vibrazioni di esso col suono fondamentale o con qualsiasi altro suono della serie.
Così, ad esempio, il suono contrassegnato con il n.8 (DO4) è in rapporto di 8/1 con il primo
suono della serie (Fondamentale), di 8/2 con il secondo suono, di 8/3 con il terzo suono, ecc…; cioè
il suono n.8 compie otto vibrazioni mentre il primo suono ne fa una, il secondo ne fa due, il terzo ne
fa tre, ecc… In altre parole, ogni suono della serie è con gli altri suoni nella stessa proporzione che
il proprio numero d’ordine ha con il numero d’ordine degli altri armonici.
Da quanto affermato, possiamo determinare i rapporti che intercorrono fra due suoni a
distanza fra loro di un qualsiasi intervallo, servendoci appunto dei numeri d’ordine della serie
armonica.
L’intervallo viene espresso con una frazione avente per numeratore il numero d’ordine del
suono più alto, e per denominatore il numero d’ordine del suono più basso.

18
Da questo schema si può riassumere:

2
L’intervallo di 8a giusta è rappresentato dal rapporto (armonici 2° e 1°)
1
3
L’intervallo di 5a giusta è rappresentato dal rapporto (armonici 3° e 2°)
2
4
L’intervallo di 4a giusta è rappresentato dal rapporto (armonici 4° e 3°)
3
5
L’intervallo di 3a maggiore è rappresentato dal rapporto (armonici 5° e 4°)
4
6
L’intervallo di 3a minore è rappresentato dal rapporto (armonici 6° e 5°)
5
9
L’intervallo di 2a maggiore è rappresentato dal rapporto (armonici 9° e 8°)
8
16
L’intervallo di 2a minore è rappresentato dal rapporto (armonici 16° e 15°)
15
5
L’intervallo di 6a maggiore è rappresentato dal rapporto (armonici 5° e 3°)
3
8
L’intervallo di 6a minore è rappresentato dal rapporto (armonici 8° e 5°)
5
9
L’intervallo di 7a minore è rappresentato dal rapporto (armonici 9° e 5°)
5
15
L’intervallo di 7a maggiore è rappresentato dal rapporto (armonici 15° e 8°)
8

La conoscenza del fenomeno acustico degli armonici ebbe grande importanza nella
costituzione delle scale e della tonalità moderna, e costituì la base naturale sulla quale si
svilupparono tutte le leggi dell’armonia contemporanea.
Se noi infatti sovrapponiamo insieme armonicamente i primi sei suoni di una qualsiasi serie
armonica, otterremo un accordo perfetto maggiore:

La disposizione dell’accordo così ottenuto risponde pienamente alle principali leggi


armoniche che stabiliscono come nel raddoppio delle note di un accordo deve innanzitutto preferirsi
la fondamentale, poi la quinta, in ultimo la terza (qui infatti la fondamentale vi si trova tre volte, la
quinta due volte, la terza una volta.
Da ciò si desume che l’accordo perfetto maggiore, base della moderna tonalità, è diretta
conseguenza del fenomeno acustico degli armonici, la cui pratica applicazione aprì la via alla
trasformazione della polifonia contrappuntistica del 1500 in armonia verticale dei secoli posteriori.

19
Alcuni teorici hanno tentato di contrapporre alla serie degli armonici superiori una serie
simmetrica di armonici inferiori, ottenuta mediante procedimento contrario, per teorizzare l’accordo
minore.
Questo procedimento si è rivelato inammissibile per i fisici, perché un suono non può dare
origine ad una serie di suoni armonici più gravi della fondamentale.

La teoria formantica

La teoria formantica: lo strumento musicale

In uno strumento musicale esistono sempre


 un elemento vibrante (quello che genera la vibrazione; è chiamato eccitatore)
 un elemento risonante (che entra in vibrazione a causa della presenza del primo; è detto
risuonatore)
L'esempio tipico è corda e cassa armonica, ma l'idea su può estendere anche a colonna d'aria
e corpo dello strumento. Questi due elementi formano il suono che sentiamo interagendo fra loro.
Qual'è esattamente il loro ruolo?

Osservate questa analisi di un suono di chitarra effettuata nel punto segnato in azzurro, cioè
poco dopo l'attacco:

20
Ora, noi sappiamo che una corda vibrante, da sola, produce la fondamentale seguita da una
serie di armonici con ampiezza calante. Allora ci si può chiedere perché qui la seconda e la terza
parziale sono entrambe più forti della fondamentale? E perché anche le parziali seguenti non hanno
ampiezza regolarmente discendenti?
Tecnicamente, si dice che questo spettro mostra dei formanti.
formante = concentrazione di energia acustica in una certa banda di frequenza
Ne consegue che le parziali che si trovano entro quella banda hanno una ampiezza maggiore
del normale. In figura vedete i formanti in questo spettro di chitarra.

Qui, i formanti sono causati


dalla cassa armonica, essenzialmente
per due ragioni.
La prima (e principale) è che il
materiale di cui è composta ha delle
frequenze di risonanza, cioè vibra
meglio in certe zone di frequenza
rispetto ad altre e il risultato è che le
frequenze che si trovano in queste
zone vengono rinforzate, mentre quelle
che si trovano al di fuori vengono
attenuate.
La seconda è che, nello spazio
all'interno della cassa, le onde sonore
prodotte dalla corda continuano a
rimbalzare e si sommano alle onde
principali con un piccolo ritardo
sufficiente, però, a mettere certe
frequenze in fase e altre in controfase
(ricordate la prima figura sui
battimenti), ancora con l'effetto di rinforzarne alcune e attenuarne altre.

In pratica, la cassa armonica amplifica il suono, ma non agisce nello stesso modo su tutte le
frequenze. Alcune sono amplificate maggiormente, altre vengono attenuate. In pratica
la cassa armonica è un filtro che con la sua azione crea i formanti, che non devono essere visti
come una cosa negativa perché caratterizzano timbricamente il suono di tutto lo strumento.

Quello che accade, in sintesi, è schematizzato nella figura successiva:


 La corda fornisce un segnale con armoniche di ampiezza calante.
 Questo segnale viene rimodellato in base alle frequenze di risonanza della cassa armonica
che agisce da filtro.
 Il segnale risultante è il prodotto dell'interazione di questi due elementi.

21
Questo fenomeno ha un importante effetto collaterale: la cassa armonica è fissa; non cambia da una
nota all'altra e, nello stesso modo, sono fisse le sue frequenze di risonanza. Quindi anche i formanti
che essa crea sono sempre negli stessi punti, qualsiasi nota si faccia.
Ora, osservate questi due spettri di violoncello relativi a due note a distanza di 8va:

Se osservate lo spettro del DO 8va alta, il secondo, noterete che nell'area del primo formante
cadono la prima e la seconda parziale (fondamentale e secondo armonico). In questa nota la
fondamentale è la componente più forte.
Se ora guardate il DO più basso (il primo), noterete che, essendo una 8va sotto e essendo il
formante fisso, a cadere nella sua area qui sono la seconda e la terza parziale. Di conseguenza, qui
non è la fondamentale, ma la terza parziale a essere la componente più forte. Il che significa che, in
un singolo strumento, il timbro cambia, sia pure gradualmente, da una nota all'altra.
La cosa non si verifica solo negli strumenti con cassa armonica. Dalle analisi di note di
tromba si può constatare come cambia lo spettro su varie note. Non esistendo una cassa armonica, i
formanti della tromba sono meno complessi di quelli degli strumenti con cassa, ma esistono e sono
dovuti alla risonanza della campana e del corpo dello strumento.

22
Probabilmente è proprio questo cambiamento timbrico provocato dai formanti ad aver
generato la nozione di "registro". Si dice, infatti che lo strumento entra in un altro registro quando il
cambiamento timbrico diventa avvertibile.
Il principale strumento che si basa sui formanti resta comunque la voce. La differenza fra le
vocali, infatti, è legata unicamente alla posizione dei formanti che viene modificata dalle diverse
posizioni che può assumere il tratto vocale.
Sulle scoperte relative ai formanti si basa la teoria formantica del timbro secondo la quale il
nostro sistema percettivo riesce a riconoscere la posizione dei formanti e proprio in base a questi
ultimi è in grado di identificare lo strumento anche se in realtà lo spettro cambia di nota in nota.
Si può quindi affermare che anche la posizione dei formanti gioca un ruolo importante nel
riconoscimento del timbro.

Analisi del suono: i limiti della teoria classica


Secondo la teoria classica, il timbro di un suono è determinato unicamente dalla forma
d'onda e dalle sue parziali (armoniche o inarmoniche). Se fosse vero, sarebbe molto facile ricreare
con il computer un suono reale. Basterebbe riprodurre la forma d'onda con il suo contenuto
armonico, ma, in realtà non funziona quasi mai.
Ecco una prova: considerate questa nota di pianoforte, di cui vedete una prima analisi:

Ora prendiamo un software adeguato sul computer, riproduciamo la forma d'onda inserendo
le parziali armoniche trovate con l'analisi, ognuna con la sua ampiezza, e diamo al suono un
inviluppo simile a quello del pianoforte. Ne esce qualcosa di simile, ma decisamente non uguale.
Quindi la teoria non funziona. Cosa manca?
Il primo problema sta nel fatto che i suoni reali non sono fissi. Nella realtà l'ampiezza delle
parziali non rimane fissa, ma cambia durante lo svolgersi dell’inviluppo.
Nelle fasi di attacco e rilascio cambia notevolmente, ma anche nella fase di tenuta, in cui il
suono sembra fisso ed invece ci sono dei leggeri cambiamenti. Il pianoforte, poi, è uno strumento a
evoluzione libera, privo di una fase di tenuta, quindi l'ampiezza delle parziali cambia sempre.
Il suono è una cosa viva e si evolve nel tempo.

23
In tutte le analisi che abbiamo visto, invece, la componente temporale non c'è mai. Si tratta
di analisi istantanee che fotografano il suono in un particolare istante (un po' come una vostra foto a
5 anni: siete voi, ma non voi adesso).
Guardate, invece, questo tipo di analisi. Qui abbiamo le frequenze sull'asse verticale e il
tempo su quello orizzontale. Le parziali sono le linee colorate e la loro ampiezza è rappresenta con
il colore (colore scuro = ampiezza elevata). Qui perdiamo un po' di definizione in ampiezza per
vedere l'evoluzione temporale. Questo tipo di grafico è chiamato sonogramma.

Si vede benissimo
che le parziali non hanno
tutte la stessa durata.
Quelle più acute
finiscono prima. Si tratta
di una caratteristica
comune a tutti i mezzi
vibranti che riescono a
sostenere più facilmente
le vibrazioni basse e lente
rispetto a quelle acute e
veloci.
Il segno in basso
vicino a 0.0 con
frequenza bassa e durata breve è il rumore del martelletto.
Ora guardiamo un altro bel grafico in cui il suono è rappresentato come un paesaggio montagnoso:

Qui abbiamo frequenza e tempo sui due assi, mentre le ampiezze si elevano in verticale. Si
tratta di uno spettrogramma in cui possiamo vedere l'inviluppo di ogni singola parziale.

24
Da qui vediamo, per es., che la durata delle tre armoniche più alte è molto breve rispetto alle
altre. La collina vicina all'angolo degli assi è il rumore del martelletto. Ovviamente nulla di tutto ciò
sarebbe mai stato possibile senza la potenza di calcolo dei computer attuali.
Disponendo di questo tipo di analisi, è utile anche osservare lo spettrogramma della tromba
in cui si vede come, anche nella fase di tenuta, le parziali non hanno mai una ampiezza veramente
fissa, a causa del fatto che l'esecutore non è una macchina e la sua azione ha sempre delle piccole
variazioni.

In conclusione,
possiamo affermare che la
teoria classica deve essere
estesa e che nella creazione
del timbro giocano un ruolo
importante i seguenti
parametri:
 le parziali presenti
 la loro evoluzione nel
tempo
 il tipo di attacco
 eventuali altre sonorità
significative
 (rumore di attacco,
soffio, etc…)

La divisione dell’intervallo di ottava


La scala di Pitagora
Fin dai tempi più antichi fu sentita la necessità di determinare con una certa precisione
l’altezza dei vari suoni costituenti una scala. Da Pitagora in poi, teorici e matematici cercarono
diverse soluzioni per dividere lo spazio sonoro compreso fra un certo numero di vibrazioni ed il suo
doppio (l’intervallo di ottava).
La più antica soluzione fu trovata da Pitagora, basandosi sul rapporto che c’è fra un suono,
la sua quinta e la sua ottava.
Pitagora effettuò i suoi esperimenti sul Monocordo, uno strumento molto semplice formato
da una corda tesa con un ponticello movibile per poter dividere la corda nei punti desiderati.
Egli stabilì che se si fa vibrare una corda per metà della sua lunghezza, il suono prodotto
risulta un’ottava sopra di quello dato dalla sua lunghezza totale, e quindi il rapporto di due suoni
formanti l’intervallo di ottava è 2:1.
I due terzi di una corda vibrante producono la quinta superiore, mentre i tre quarti danno la
quarta, così il rapporto di due suoni a distanza di quinta è di 3:2, mentre tra due suoni a distanza di
quarta è di 4:3.

25
Stabiliti questi rapporti numerici, Pitagora calcolò, procedendo di quinta in quinta, l’altezza di tutti i
suoni della scala diatonica:

La nota FA, che manca in questa successione, si ottiene con il


procedimento inverso, procedendo di una quinta inferiore dal
DO.
I suoni così ottenuti venivano trasportati sulla stessa ottava, trasportando all’ottava superiore
il FA, all’ottava inferiore il RE ed il LA, e a due ottave inferiori il MI ed il SI, naturalmente
modificando i rapporti dei suoni mediante moltiplicazione per 2 per una ottava superiore, divisione
per 2 per una ottava inferiore, e divisione per 4 per due ottave inferiori.

La successione di suoni così formata prese il nome di Scala Pitagorica.

Questa scala, che rispondeva perfettamente alle esigenze di una melodia esente da
accompagnamento, venne applicata nella pratica musicale fin verso la fine del 1500. Quando però
cominciò a svilupparsi la polifonia vocale, la scala pitagorica presentò alcuni gravi inconvenienti
che la resero inadatta allo stile polifonico ed amonico. Alcuni intervalli, derivati dalla progressione
di quinte giuste, risultavano un poco più grandi del giusto e specialmente gli intervalli di 3a e di 6a
risultavano duri e di non gradevole effetto, tanto che vennero considerati dissonanti (come la 2a e la
7a); i cantori istintivamente modificavano l’intonazione di questi intervalli per renderli consonanti e
quindi gradevoli.

Dalla constatazioni di questi difetti, risultò necessaria una revisione del calcolo dell’altezza
dei suoni della scala e fu per merito di Gioseffo Zarlino se nel secolo XVI prevalse la teoria
numerica, che prendeva come base del calcolo il fenomeno dei suoni armonici; teoria che
consentiva di ottenere, senza alcun inconveniente di intonazione, gli accordi consonanti.

Nacque così la Scala naturale, o Zarliniana, in cui l’intonazione dei gradi rispetto alla
tonica è determinata dai rapporti derivati dal fenomeno dei suoni armonici.
Servendosi dei numeri d'ordine della serie armonica contenuti nella tabella vista in precedenza,
Zarlino ottenne la scala di DO maggiore, dove i rapporti sono tutti nei confronti della tonica DO.

DO RE MI FA SOL LA SI DO
9 5 4 3 5 15
1 2
8 4 3 2 3 8

26
Stabiliti questi rapporti, è possibile calcolare l’intervallo che intercede fra ciascun suono
della stessa scala col suono immediatamente precedente, dividendo il rapporto del suono superiore
per quello del suono inferiore

Si ottengono così tre specie d’intervalli:

- uno di 9/8 (fra DO-RE, FA-SOL, LA-SI) detto tono maggiore;

- uno di 10/9 (fra RE-MI e SOL-LA) detto tono minore;

- uno di 16/15 (fra MI-FA e SI-DO) detto semitono diatonico;

Comma
La differenza tra il tono maggiore ed il tono minore si chiama comma.
Semitono cromatico
La differenza tra il tono minore ed il semitono diatonico si chiama semitono cromatico

Ma anche la scala naturale, come quella pitagorica, presentava alcuni notevoli inconvenienti
che la rendevano particolarmente inadatta agli strumenti a tastiera o a suono fisso come l'organo, il
clavicordo e il clavicembalo (Bartolomeo Cristoforo creò il primo modello di pianoforte nel 1698).

27
Il più grave inconveniente era determinato dalla impossibilità di dare ad intervalli identici un
identico valore su qualsiasi suono della scala. Infatti, dovendo costruire delle scale naturali con
partenza da toniche diverse, gli intervalli stabiliti fra i vari gradi di una scala non servono per i gradi
di un'altra scala. Si dimostra con questo esempio:
nel tono di DO la distanza tra il 3° e il 2° grado (MI e RE) è, come abbiamo visto, di 10/9;
nel tono di RE, invece, la stessa distanza fra MI e RE (2° e 1° grado) è di 9/8. Trattandosi quindi di
uno strumento a suoni fissi, occorrerebbero due tasti diversi per suonare il MI: uno come
appartenente al tono di DO ed uno come appartenente al tono di RE.
Altra dimostrazione che la Scala naturale è poco adatta per gli strumenti a tastiera si ottiene
osservando che non tutti gli intervalli di quinta sono uguali: DO-SOL, MI-SI e FA-DO
corrispondono esattamente al rapporto 3/2, ma la quinta RE-LA ha un rapporto diverso, 40/27, più
bassa di un comma.
Un’altra prova per la stessa dimostrazione la otteniamo sovrapponendo una sull’altra tre
terze maggiori: partendo dalla nota DO, si dovrebbe raggiungere il SI diesis, cioè l’ottava superiore,
essendo SI diesis = DO. Invece il SI diesis ottenuto risulta un po’ più basso e non coincide con il
DO.
Da quanto abbiamo esposto appare evidente che la Scala naturale, se poteva applicarsi con
notevole vantaggio della musica polifonica, perché corrispondeva esattamente alle intonazione
assunte istintivamente dai cantori, non poteva, invece, essere adoperata nella musica strumentale e
specialmente nella musica cembalistica ed organistica (suonata cioè da strumenti nei quali l'altezza
dei suoni non si può modificare con la posizione delle dita o dalla pressione delle labbra) senza dar
luogo a notevoli inconvenienti. Sarebbe stato necessario modificare l'accordatura dello strumento ad
ogni nuova tonalità, oppure mantenersi in uno stile strettamente diatonico, evitando i cromatismi e
le modulazioni ai toni lontani; giacche per poter riprodurre in un solo strumento a tastiera la Scala
naturale in tutte le tonalità, esso avrebbe dovuto avere, nell'ambito di una ottava, sette tasti per i
suoni naturali, sette per i diesizzati, sette per i bemolizzati, quattordici per gli accidenti doppi:
in tutto 35 tasti.

Sistema temperato o Temperamento equabile


Per ovviare i numerosi inconvenienti derivati dall'applicazione della Scala naturale o della
Scala pitagorica, dopo vari esperimenti, studi e proposte, si ricorse ad un espediente pratico,
artificioso ma utile, semplice e comodo: il cosiddetto sistema temperato o temperamento equabile,
che consiste nella divisione dell'ottava il 12 semitoni uguali.
Si pensò infatti che la lievissima differenza che separa il DO diesis dal RE bemolle era
talmente trascurabile che un solo tasto poteva bastare per due suoni vicinissimi, rappresentandone il
valore intermedio.
Cessò dunque la distinzione di tono maggiore e tono minore, tutti i toni furono considerati
uguali fra loro, si annullò il comma, il semitono rappresentò la metà esatta del tono, facendo
coincidere i diesis con i bemolli, il semitono diatonico col cromatico (sia ascendendo che
discendendo), e si ebbe quindi il vantaggio di poter eseguire con un unico tasto tre suoni differenti
in rapporto al numero di vibrazioni da cui erano prodotti: il DO naturale, il SI diesis e il RE doppio
bemolle (suoni che furono detti omologhi o enarmonici).
Mediante tale procedimento tutti gli intervalli potevano avere sempre lo stesso valore in
qualsiasi tonalità venivano trasportati, e ciò agevolò notevolmente la tecnica strumentale e la
costruzione degli strumenti musicali a tastiera.
28
Per poter accordare esattamente i dodici suoni compresi tra il DO e la sua ottava e per
stabilire l'intervallo costante tra una nota della gamma temperata e la nota precedente, è stato
trovato un numero che rappresenta esattamente la dodicesima parte della differenza che passa tra
uno e due (cioè fra un suono e la sua ottava).
Questo numero è la radice dodicesima di 2, cioè 1,0594631 (approssimato).

Moltiplicando la frequenza di un dato suono per 1,0594631 si ottiene la frequenza del


semitono superiore, mentre dividendo per 1,0594631 si ottiene il semitono inferiore. Prendendo ad
esempio ad esempio il LA del diapason di 440 Hz, per sapere che frequenza ha il LA diesis o il LA
bemolle, basterà eseguire le seguenti operazioni:

LA = 440.00 Hz
LA diesis = 440 x 1,0594631 = 466.16 Hz
LA bemolle = 440 : 1,0594631 = 415.30 Hz

Per calcolare altri suoni superiori o inferiori, distanti più di un semitono dal suono base,
bisognerà innanzitutto calcolare di quanti semitoni è formato l'intervallo che divide i due suoni,
elevare poi alla 2a, 3a, 4a, fino alla 12a potenza, il numero 1,0594631, a seconda che l'intervallo sia
formato da 2, 3, 4, ecc… fino a 12 semitoni, infine moltiplicare o dividere il numero ottenuto per la
frequenza del suono base.

Il sistema temperato era già stato suggerito nel 1691 da Andrea Werckmeister (1645-1706),
autore del trattato Musikalische Temperatur, ma trovò la sua pratica attuazione nei due volumi del
Clavicembalo ben temperato di John Sebastian Bach. Con quest'opera Bach dimostrò la possibilità
di eseguire sul clavicembalo pezzi composti in tutti i toni maggiori e minori.

Il temperamento equabile per l'estrema semplicità e praticità ha offerto considerevoli


vantaggi per lo sviluppo della letteratura strumentale di questi ultimi secoli. Ma non bisogna credere
però che la differenza tra la Scala temperata e la Scala naturale consista soltanto in una trascurabile
sottigliezza matematica. Lo dimostra il fatto che anche la Scala temperata, creata artificialmente da
fisici e matematici, non è esente da difetti. Dovendo far coincidere i diesis con i bemolli, si sono
dovuti adoperare dei suoni che non sono esattamente nè diesizzati, nè bemolizzati, anzi tutti, tranne
l'ottava, hanno qualche differenza con i suoni naturali, risultando piuttosto calanti o crescenti.

- Sono calanti: la 3a minore, la 5a giusta, la 6a minore.


- Sono crescenti: la 3a maggiore, la 4a giusta, la 6a maggiore.

Altro difetto del temperamento è l'imposizione al senso uditivo di considerare un suono o un


intervallo ora consonante, ora dissonante. Ad esempio DO - MI bemolle, 3a minore, è consonante,
mentre DO - RE diesis, 2a aumentata, è dissonante.
Questi difetti però, pur essendo in contrasto con l’esattezza degli intervalli matematici puri,
sono facilmente tollerati dal nostro orecchio, ormai abituato al sistema temperato.
Per quanto riguarda l’accordatura degli strumenti, è da notare che vi sono diversi tipi di
strumenti che seguono la Scala naturale, altri seguono la Scala temperata, altri ancora tutte due le
scale.
29
Seguono esclusivamente la Scala naturale, per la loro speciale conformazione, gli strumenti
a fiato di ottone: trombe, tromboni, corni e flicorni.
Seguono esclusivamente la Scala temperata gli strumenti basati sull’accordatura fissa:
pianoforte, clavicembalo, organo, armonium, arpa.
Seguono l'una e l'altra scala gli strumenti a fiato ad imboccatura a flauto e ad ancia (flauto,
clarinetto, oboe, fagotto, ecc…) i quali producono la prima parte dei loro suoni bassi secondo il
sistema temperato ed una parte dei loro suoni acuti con intonazione naturale, seguendo la serie degli
armonici.
Anche gli strumenti ad arco si prestano alle due accordature, usando la Scala temperata se
sono accompagnati da uno strumento suoni fissi, e la Scala naturale se suonano da soli o con
strumenti con accordatura naturale. Però per i suoni armonici naturali (non quelli artificiali perché è
possibile cambiarne l’intonazione), gli strumenti ad arco devono necessariamente adoperare la serie
naturale.

Soglia della discriminazione della frequenza


Qual'è la minima differenza di frequenza che riusciamo a percepire?
Innanzitutto dobbiamo distinguere due casi molto diversi:
 frequenze successive (l'una inizia dopo la fine dell'altra)
 simultanee (suonano insieme).
Frequenze successive
In questo caso la differenza minima non è fissa. Dipende da due cose:
 l'altezza: è più semplice accorgersi di una differenza in frequenza sopra i 1000 Hz che a
frequenze più basse (questo perché, come vedremo, è la zona in cui l'orecchio funziona
meglio)
 la dinamica: se il suono è pianissimo è più difficile notare la differenza rispetto a mezzoforte
o superiore.

In figura vediamo le
curve di discriminazione
della frequenza per
diverse ampiezze in db
scritte vicino alla curva.
La minima differenza
percepibile è espressa
come rapporto fra le due
frequenze. Il fatto che le
curve si alzino in corrispondenza delle frequenze sotto ai 1000 Hz significa che, per discriminare in
questa zona, occorrono differenze maggiori.
Per esempio, a 1000 Hz, con dinamica 60 db (circa mf), viene percepita una differenza pari a
circa lo 0.002, il che significa 2 Hz (1000 * 0.002 = 2). Quindi, sentendo due suoni in successione,
il primo di 1000 Hz e l'altro almeno a 1002 o 998 Hz, si dovrebbe percepirne la differenza.
Con dinamica più bassa, per es. a 10 db (appena percettibile), la soglia sale a circa lo 0.006,
cioè 6 Hz.

30
A frequenze più basse le cose cambiano. A 100 Hz e 60 db serve circa lo 0.26 cioè 26 Hz di
differenza. A 100 Hz e 10 db la differenza non è avvertibile.

Frequenze simultanee
Nel caso di frequenze simultanee, la discriminazione richiede una differenza maggiore. La
percezione simultanea di più frequenze investe vari argomenti come quello della banda critica, dei
battimenti e dei suoni di combinazione, come il terzo suono di Tartini.
Il problema è quello del potere di risoluzione dell'orecchio, cioè della capacità di distinguere
due frequenze simultanee. Questa faccenda è complicata anche dalle varie interferenze che si
formano nel liquido della chiocciola quando cominciano a circolare contemporaneamente onde
diverse.
Per chiarire, vediamo prima un esempio relativo all'occhio. Nella figura qui sotto, varie linee
bianche e nere diventano sempre più sottili. Quando le linee sono abbastanza grosse, si distinguono
bene. Quando diventano più sottili si entra in una zona di incertezza. Alla fine, non si distinguono
più e si vede una barra grigia, cioè la media fra bianco e nero.

Questo accade perché, ad un certo punto, le linee diventano così piccole che vanno a stimolare lo
stesso gruppo di cellule sulla retina. Per questa ragione, l'occhio non riesce più a differenziarle.
Accade la stessa cosa anche con il tatto: se non si guarda, due punture di spillo molto vicine
sembrano nello stesso punto.
Come vedremo ora, nell'orecchio accade una cosa simile.
Banda critica
Introduciamo ora il concetto di Banda Critica che è molto importante perché determina sia la
percezione di suoni simultanei (accordi) che quella del timbro.
Abbiamo visto che l'orecchio interno è un potente analizzatore in grado di distinguere le
componenti di un suono. La sua capacità di discriminazione ha però dei limiti.
Le cellule dell'organo del Corti che interpretano le informazioni di frequenza, infatti,
lavorano a gruppi di circa 1300, ognuno dei quali occupa fisicamente circa 1.3 mm di membrana
basilare e copre, in frequenza, circa 1/3 di ottava.
Ognuno di tali gruppi costituisce una Banda Critica (Critical Band).
Quando due frequenze simultanee sono abbastanza vicine da stimolare lo stesso gruppo di
cellule e quindi cadono entrambe entro la stessa banda critica, la loro distinzione diventa difficile,
se non impossibile e dà luogo a vari fenomeni.
Facciamo un esempio: partiamo con due frequenze uguali e mentre una rimane fissa, l'altra
si alza in glissando.
All'inizio non avrete la sensazione di due frequenze, ma di un solo suono. Via via che la
seconda frequenza si allontana dalla prima, sentirete:
1. battimenti, che diventano più rapidi fino a
2. un suono aspro, sempre senza distinguere le due frequenze (avrete sempre la sensazione di
un unico suono).

31
3. Solo quando la loro differenza supererà una certa soglia di discriminazione (il limite di
discriminazione di due frequenze simultanee, circa 15 Hz), inizierete a distinguere le due
frequenze, pur permanendo la sensazione di suono aspro.
4. Quando, infine, verrà superata una seconda soglia pari al limite della banda critica, finirà la
sensazione di asprezza.
Se ne deduce che quando due suoni simultanei sono interni alla banda critica danno luogo a uno
dei seguenti fenomeni:
 battimenti
 suono aspro
A questo punto è molto importante capire quanto è larga la banda critica.
Nella maggior parte dello spettro sonoro, la sua estensione è un po' più di un tono e un po'
meno di una 3a minore sia in più che in meno rispetto a una qualsiasi frequenza centrale. Ciò
significa che, se prendiamo un LA come frequenza centrale, la banda critica andrà all'incirca dal
SOL fino al SI.
L'intervallo coperto da una banda critica è circa 1/3 di ottava.
Intanto notate che il tono e quindi anche il semitono sono sempre dentro la banda critica.
Questo spiega perché i bicordi di 2a mag. e min. danno sempre una sensazione aspra. Spiega anche
perché nei "cluster" di semitoni e toni (cluster = accordo formato da varie note a distanza di
semitono o tono) non si distinguono i singoli suoni, mentre invece si distinguono benissimo in un
accordo di terze sovrapposte.
Nella parte bassa dello spettro sonoro, la banda critica è un po' più larga, tanto da includere
anche la 3a minore (e nella parte bassissima, anche la 3a maggiore). Questa spiega perché, sui bassi,
un bicordo di 3a suona male e anche perché, nella pratica del contrappunto, si lascia sempre un certo
spazio fra il basso e le altre voci.
Abbiamo visto come la chiocciola sia come un analizzatore basato appunto sull'ampiezza di
banda critica (circa 1/3 di 8va) e l'intero campo udibile può essere diviso in 25 bande.

Battimenti
Per capire esattamente in cosa consistono i battimenti vediamo come interferiscono tra di loro due
suoni con la stessa frequenza.
L'interferenza acustica
L'interferenza acustica è la sovrapposizione di due o più onde acustiche sullo stesso mezzo di
propagazione, con la medesima frequenza e fase (cioè per l’istante in cui hanno inizio le loro
oscillazioni).
La concordanza e l'opposizione di fase
Quando due onde acustiche si sovrappongono possono accadere due
fenomeni distinti. Vediamo i due casi estremi, cioè quando le due onde
hanno la stessa ampiezza.
La concordanza di fase (interferenza costruttiva)
La risultante di due onde, con la stessa frequenza, stessa ampiezza ed in
fase uguale (cioè iniziano a vibrare nello stesso istante), è un’onda di
uguale frequenza, ma di doppia ampiezza (quindi se le due onde
originali hanno ampiezze diverse, la risultante è la somma delle due
ampiezze).

32
L'opposizione di fase (interferenza distruttiva)
La risultante di due onde, con la stessa frequenza, uguale ampiezza,
ma in fase opposta (cioè una di esse è sfasata di mezzo periodo), è la
scomparsa totale delle due onde, perché si sottraggono a vicenda
(quindi se le due onde originali hanno ampiezze diverse, la risultante è
la differenza delle due ampiezze).

Il battimento è un caso di interferenza tra due onde acustiche con frequenza leggermente diversa.

I battimenti possono essere di due tipi.

Battimenti di prima specie (o primo ordine)


Un battimento di prima specie è provocato da due suoni con frequenze molto vicine, tali da
non essere distinguibili, che quindi cadono entrambe dentro la stessa banda critica.
In acustica si dicono fenomeni di prima specie (o primo ordine) quelli provocati da suoni
che cadono nella stessa banda critica.
È il tipico fenomeno che si sente quando uno o più strumenti si accordano su un unico suono
(battimento fra le fondamentali). In questo caso, le due frequenze producono, all'interno della
chiocciola, due onde che interferiscono fra loro e formano il battimento.
Il perché si formi è illustrato
nella figura a fianco.
Quando due onde di
frequenza leggermente diversa
(sopra) iniziano, hanno la stessa
fase, cioè si trovano entrambe
nello stesso punto del ciclo.
In tal caso si rinforzano
l'una con l'altra (si sommano) e il
suono risultante (sotto) avrà una
ampiezza pari alla loro somma.
Però, dato che una frequenza è leggermente più alta dell'altra, il suo ciclo andrà più veloce,
quindi, dopo un po', le due onde saranno sfasate e a un certo punto saranno in controfase, cioè il
ciclo dell'una è nella parte alta mentre quello dell'altra è nella parte bassa.
In questo caso, le due onde si annullano (si sommano algebricamente, cioè si sottraggono) e
il suono risultante sarà molto debole.
Il battimento, quindi, è una alternanza di fasi di rinforzo e annullamento fra due onde.
La frequenza del battimento, cioè la sua velocità, è determinata dalla differenza in frequenza
fra le due onde, mentre la frequenza del suono effettivamente sentito è la loro media. Per esempio,
se mettiamo insieme un LA a 220 Hz e un LA a 222 Hz, sentiremo un LA a 221 Hz (la media:
(220+222)/2) con un battimento a 2 Hz (che si ripete 2 volte al secondo).
I battimenti si possono contare quando sono inferiori a dieci al secondo; in numero
maggiore si producono così rapidamente da confondersi in una specie di rullo continuo.

33
Per il fatto che nella parte bassa dello spettro sonoro la banda critica è un po' più larga, i
battimenti sono più evidenti nei suoni gravi.
Il fenomeno dei battimenti è utile per capire se due suoni sono perfettamente intonati.
I battimenti sono sfruttati nella creazione di particolari registri in strumenti musicali: ad
esempio nell’organo, il registro della “voce umana” è formato da due tubi non perfettamente
intonati, allo scopo di ottenere una specie di vibrato che imita quello della voce dei cantanti; nella
fisarmonica il registro chiamato “musette”, tipico del folklore francese, è ottenuto dalla vibrazione
di due lamelle non perfettamente intonate.
Vi sono degli strumenti che producono quasi sempre dei battimenti: così sono le campane
che, presentando diversità di spessore in diversi punti, producono battimenti assai intensi che
conferiscono loro la caratteristica sonorità ondulante.

Battimenti di seconda specie (o secondo ordine)


Ma, anche se sembra strano, si possono avere battimenti fra onde lontane tra loro in
frequenza. Sono i battimenti di seconda specie che hanno origine neurologica, cioè sono provocati
dall’elaborazione del suono effettuata nel cervello.
In acustica si dicono fenomeni di seconda specie (o secondo ordine) quelli provocati da
suoni che non cadono nella stessa banda critica per cui la loro origine non può essere attribuita ad
interferenze nella chiocciola.
Questi battimenti avvengono per esempio tra due suoni in ottava, ma con frequenze
leggermente diverse.
Un altro caso particolare è il battimento binaurale, così chiamato perché il suono è stereo e
le onde che creano il battimento sono una sul canale destro e l'altra sul sinistro.
Quindi immaginiamo di ascoltare i due suoni in cuffia (quindi non si mescolano nell’aria
prima di arrivare a noi): ad un orecchio arriva un suono singolo (e quindi all’interno della chiocciola
di questo orecchio non avviene nessun battimento), ed all’altro un altro suono singolo, leggermente
differente in frequenza (e quindi anche all’interno della chiocciola di quest’altro orecchio non
avviene nessun battimento). Il risultato è che noi invece sentiamo il battimento, quindi vuol dire
che le due onde interagiscono all’interno del cervello.

Toni di combinazione
Un altro effetto delle interferenze fra onde è quello dei cosiddetti toni di combinazione, che
danno origine ai suoni di differenza.
Fra questi maggiore importanza dal punto di vista pratico hanno i suoni di differenza,
scoperti da Giuseppe Tartini (1692–1770).
Terzo suono di Tartini
Il celebre violinista constatò sul suo strumento che suonando un bicordo consonante, si
produceva al grave un terzo suono, la cui frequenza era uguale alla differenza delle frequenze dei
due suoni del bicordo. Egli spiegò questo fenomeno nel suo Trattato di musica secondo la vera
scienza dell’armonia, pubblicato a Padova nel 1754. In seguito il fenomeno venne chiamato Terzo
suono di Tartini.
Nel calcolo dei suoni risultanti, oltre ad usare le frequenze dei suoni, è possibile servirsi del
numero d’ordine relativo dato ai suoni della serie armonica.
Nella figura, come esempio, sono visualizzati alcuni intervalli formati con suoni della serie
armonica di DO1, ed il terzo suono da essi risultante :

34
(i numeri accanto alle note si riferiscono al n. d’ordine della serie armonica)

Con intervalli più grandi dell’ottava (intervalli composti) il terzo suono si produrrà al centro dei due
suoni generatori:

Il fenomeno del terzo suono di Tartini ha una certa utilità nella pratica musicale:
 viene usato per l’accordatura di certi strumenti, la comparsa del terzo suono è la conferma della
giusta intonazione (Tartini scoperse il fenomeno accordando il suo violino: il violino si accorda
a quinte giuste);
 questo sistema è utilizzato a volte nella costruzione degli organi, per creare un DO basso per cui
sarebbe necessaria una canna troppo lunga e costosa. Al posto di questa canna se ne mettono
due, una al DO 8va sopra (armonico n.2) e una al SOL 12ma sopra (armonico n.3): esse creano il
DO basso (sottrazione tra i due armonici: 3-2=1).

Lo specchio completo dei possibili toni di combinazione, però, non si esaurisce con il terzo
suono. Oltre a quest'ultimo, che è la differenza semplice fra le frequenze generatrici (f2 - f1), in
teoria è possibile sentire anche un suono di frequenza pari a (2xf1 - f2) e un altro pari a (3xf1 –
2xf2). Questi ultimi toni di combinazione non hanno nessuna utilità pratica, perché sono
estremamente difficili da sentire.

Le curve isofoniche
La percezione della dinamica.
Facciamo una considerazione. Quando ascoltiamo a casa nostra un CD di una orchestra non
teniamo certo un volume pari a quello dell'orchestra dal vivo, altrimenti, prima o poi, i vicini
faranno una spedizione punitiva. Tuttavia, pur tenendo un volume anche molto basso, siamo in
grado di capire quando l'orchestra suona fortissimo.
Come mai? Evidentemente la nostra idea della dinamica non dipende solo dall'ampiezza
fisica del suono, altrimenti anche una heavy metal band, sentita da una radiolina, suonerebbe
sempre ppp. In effetti, dipende anche dal tipo di suono, cioè dal timbro: una nota ff, infatti, ha molti
più armonici della stessa nota pp.
Quindi la sensazione dinamica dipende in parte dall'ampiezza, ma anche dal timbro.

35
Curve isofoniche
Un’altra cosa che complica la percezione della dinamica è il fatto che il nostro sistema
percettivo non funziona nello stesso modo su tutte le frequenze. Sente molto meglio nell'area che va
da circa 600 a circa 5000 Hz, che è l'area del linguaggio parlato, ma soprattutto sente molto meno
sulle frequenze basse. Questo accade perché il condotto uditivo ha una lunghezza tale da provocare
un'area di risonanza a circa 3000 Hz. Di conseguenza il livello sonoro percepito non corrisponde
all'ampiezza fisica.
La figura seguente mostra le cosiddette curve isofoniche (elaborate da Fletcher e Munson
nel 1933 e note anche con il nome dei due ricercatori) che mappano la sensazione di livello sonoro
effettivamente percepito rispetto ai dB per le varie frequenze.
I diagrammi di uguale intensità sonora furono prodotti per la prima volta da Fletcher e
Munson usando delle cuffie nel 1933.
Nel loro studio, alle persone prese in esame, veniva fatto ascoltare prima un suono puro
(sinusoide) di riferimento a 1000 Hz, con un volume di ascolto a partire da 10 dB. A questo punto
veniva fatto ascoltare un suono di un’altra frequenza, e, su richiesta dell’ascoltatore, si aumentava o
diminuiva il volume così che il suono producesse la stessa sensazione d’intensità del primo suono di
riferimento.
Si procedeva così per tutte le frequenze udibili, sia superiori che inferiori a quella di
riferimento di 1000 Hz. Fatto ciò si riprendeva tutto dall’inizio, ma facendo ascoltare la frequenza
di riferimento di 1000 Hz a 20 dB, poi a 30 dB e via così ad incrementi di 10 dB, fino ad arrivare ad
un volume massimo di sopportazione di ascolto.
Annotando tutte le regolazioni di compensazione per mantenere la sensazione d’intensità ad
ogni frequenza, Fletcher e Munson crearono il diagramma in figura:
Si leggono nel modo
seguente: supponiamo di
volere un suono a 1000 Hz
con livello sonoro percepito
di 60 dB. Per sapere quale
ampiezza fisica dovremo
dare a questo suono perché
venga effettivamente
percepito a 60 dB cerchiamo
sull'asse orizzontale (in
basso) i 1000 Hz (indicati
con 1k; k = kilo = 1000);
andiamo verso l'alto fino a
incontrare la linea etichettata
con 60, da qui andiamo
verso sinistra fino a
incontrare l'asse verticale e
leggiamo l'ampiezza in dB.
Eseguendo questo
procedimento risulta che,
per generare un suono a
1000 Hz con livello sonoro percepito di 60 dB, il suddetto suono dovrà avere una ampiezza fisica di
36
60 dB. Perché un valore uguale? Perché le curve isofoniche sono tarate proprio sui 1000 Hz, e
quindi a questa frequenza la scala in dB coincide con quella in ph.
Ma adesso facciamo la stessa cosa per una frequenza a 100 Hz. Risulta che, per generare un
suono a 100 Hz con livello sonoro percepito di 60 dB, il suddetto suono dovrà avere una ampiezza
fisica di 75 dB (aumentare di 15 dB in più vuol dire 10+5, che si trasforma in moltiplicazione [nella
tabella dei decibel il numero 10 ha un fattore di moltiplicazione uguale a 10, mentre il numero 5 ha
un fattore di moltiplicazione uguale a 3], 10x3 = 30, cioè moltiplicare per 30 l’ampiezza fisica di
partenza).
La differenza aumenta decisamente andando ancora più in basso. Se scendiamo a 50 Hz, per
percepire i 60 dB, dovremo andare a circa 85 dB (un aumento di 25 dB: 10+10+5 = 10x10x3 = 300
volte l’ampiezza fisica iniziale).
Ecco una tabella che mostra la differenza dell'ampiezza percepita per suoni a varie
frequenze, rispetto a uno di 1000 Hz. Essa mostra, per esempio, che un suono di 100 Hz che ha la
stessa ampiezza fisica di uno di 1000 Hz verrà in realtà percepito come se avesse una ampiezza
inferiore di ben 19.1 dB e così via.

10Hz 12,5Hz 16Hz 20Hz 25Hz 31,5Hz 40Hz 50Hz


-70,4dB -63,4dB -56,7dB -50,5dB -44,7dB -39,4dB -34,6dB -30,2dB

63Hz 80Hz 100Hz 125Hz 160Hz 200Hz 250Hz 315Hz


-26,2dB -22,5dB -19,1dB -16,1dB -13,4dB -10,9dB -8,6dB -6,6dB

400Hz 500Hz 630Hz 800Hz 1kHz 1,25kHz 1,6kHz 2kHz


-4,8dB -3,2dB -1,9dB -0,8dB 0dB +0,6dB +1,0dB +1,2dB

2,5kHz 3,15kHz 4kHz 5kHz 6,3kHz 8kHz 10kHz 12,5kHz


+1,3dB +1,2dB +1,0dB +0,5dB -0,1dB -1,1dB -2,5dB -4,3dB

16kHz 20kHz
-6,6dB -9,3dB

Dalla creazione delle curve isofoniche i due ricercatori Fletcher e Munson misero a punto
una nuova unità di misura, il Phon.
Il Phon è l’unità di misura dell'"intensità della sensazione sonora". Dato che spiegare questa
definizione non è facile, vediamo di ripercorrere con altre parole la ricerca dei due scienziati.
Il due ricercatori hanno individuato le curve isofoniche lungo le quali viene percepita
costante l’intensità di un suono sinusoidale al variare della frequenza.
Varie curve sono state tracciate in modo sperimentale per diversi valori di intensità al fine di
determinare l’intensità fisica (espressa in dB) necessaria per mantenere costante la percezione
dell’intensità (espressa in ph) in tutto il campo delle frequenze udibili.
Per convenzione la scala in dB coincide con quella in ph alla frequenza di 1000 Hz. Ad
esempio, se un suono sinusoidale di 1000 Hz, 60 ph e 60 dB (a 1000 Hz i phon ed i decibel
coincidono) viene abbassato a 100 Hz, si deve aumentare l’intensità fisica da 60 dB a più di 70 dB,
per mantenere la stessa sensazione di intensità di 60 ph.

37
La localizzazione del suono

Il nostro sistema percettivo ha la capacità di localizzare un suono nello spazio basandosi non
soltanto sul suono diretto, ma anche su quello riflesso dalle pareti dell'ambiente stesso.
L’essere umano ha due orecchie per un motivo preciso: così come sono necessari due occhi
per avere una visione del mondo tridimensionale e non semplicemente piatta, è indispensabile
possedere due orecchie per localizzare correttamente la sorgente di un suono, capire la direzione da
cui proviene e valutare le dimensioni della sala, il che, analogamente alla visione, equivale a
percepire la tridimensionalità o, se vogliamo, la profondità dell'ambiente acustico.
Vediamo perché, aiutandoci ancora con le analogie con la visione: i due processi, in linea di
principio, sono, infatti, molto più simili di quanto non si creda.
Nel caso della visione, l'immagine tridimensionale viene creata basandosi sul fatto che
ognuno degli occhi vede una immagine leggermente diversa del mondo circostante: più
precisamente esiste una differenza nell'angolo con cui ogni occhio guarda il mondo. Tale differenza
è sottile, ma, per il nostro cervello, è quanto basta per elaborare una immagine tridimensionale.

Notate che questa differenza angolare non è fissa, ma


dipende dalla distanza dell'oggetto fissato, come si vede
chiaramente nella figura in cui l'angolo in blu, corrispondente
all'oggetto vicino, è maggiore di quello in rosso. Ciò significa che
la differenza nell'immagine vista da ognuno degli occhi è più
grande per gli oggetti vicini che per quelli lontani.
Una cosa analoga accade anche per la percezione acustica.
In questo caso sono le due orecchie che, in virtù della loro
differenza di posizione, sentono cose diverse e il loro confronto
risulta essenziale per il meccanismo percettivo.
Dato che noi non ce ne rendiamo conto, siamo portati a
pensare che un suono arrivi nello stesso modo a entrambi i
timpani, ma non è così e basta fare mente locale per un attimo per
capirlo.
In realtà, il suono arriva esattamente identico alle due
orecchie solo in un caso: quando la sorgente si trova esattamente
alla stessa distanza da entrambe, cioè sul piano mediano che è
quel piano immaginario che divide la testa in due metà esatte e
simmetriche.
In tutti gli altri casi, la disposizione delle orecchie da parti
opposte della testa implica differenti percorsi compiuti dalle onde
sonore per raggiungerle e quindi diverse percezioni.

Percezione della direzione da cui proviene un suono.


Tra le due orecchie si generano tre tipi di differenze nella percezione del suono, le cosiddette
differenze interaurali: l’analisi di queste differenze da parte del nostro cervello ci permette di
capire da quale direzione proviene il suono che percepiamo.

38
 differenze interaurali di tempo in quanto la distanza fra le orecchie, che è, in media, di
circa 20 cm fa si che il suono arrivi loro in tempi diversi;
 differenze interaurali di ampiezza perché solo un orecchio riceve realmente il suono
diretto, mentre l'altro è schermato dalla testa;
 differenze interaurali di spettro provocate dalla schermatura della testa e dalla forma
asimmetrica dei padiglioni auricolari.

Differenze interaurali di tempo


Come già accennato, sono determinate dalla distanza fisica delle orecchie che fa si che le
onde sonore arrivino in tempi diversi. La loro entità è piccola e va da zero, se la sorgente è posta sul
piano mediano fino ad un massimo di circa 0.8 millisecondi se essa è posta a 90 o 270 gradi, cioè
esattamente di fronte ad un orecchio. Per quanto il ritardo sia piccolo, il sistema percettivo è in
grado di rilevarlo perché, a livello del timpano, tale ritardo viene percepito come differenza di fase
fra le due orecchie rispetto alla stessa forma d'onda.

Osservate, infatti, la figura: si tratta della stessa onda sonora generata da una sorgente sonora
piazzata di fronte all'orecchio destro. La figura ha il tempo sull'asse X e mostra come l'onda arrivi
all'orecchio destro (sotto, in blu) con una precedenza rispetto al sinistro (sopra, in rosso) che si
traduce in differenza di fase: confrontando le due onde, si nota, infatti che, a parità di tempo, quella
in blu è più avanti nel ciclo rispetto a quella in rosso. Il sistema percettivo è in grado di confrontare
le due onde e notare la precedenza di fase dalla quale si deduce che la sorgente sonora è più vicina

39
all'orecchio al quale il segnale arriva con precedenza rispetto all'altro. L'entità della precedenza
fornisce ulteriori indicazioni sulla posizione della sorgente nei confronti del piano mediano.
Ma attenzione: questo sistema è valido solo per le frequenze basse. A frequenze superiori a
1000 Hertz, infatti, la durata del ciclo dell'onda (Periodo) è inferiore al millisecondo e quindi la
differenza interaurale di tempo non fornisce più un'esatta misura della differenza di fase.
Per questa ragione, la posizione della sorgente sonora a frequenze alte viene stimata con un
altro sistema.
Differenze Interaurali di Ampiezza
Questo secondo tipo di differenze nella percezione di un suono da parte di ogni orecchio è
provocato dal fatto che, se la sorgente non si trova sul piano mediano, solo una delle due orecchie
riceve veramente il suono diretto privo di schermature perché la testa si comporta come uno
schermo interposto fra la sorgente e uno dei due padiglioni auricolari: questo fa sì che il suono
venga percepito con intensità maggiore da uno dei due rispetto all'altro.
Le differenze di ampiezza sono piccole fino a poco più di 1000 Hz, ma aumentano
notevolmente oltre questa soglia fino ad arrivare a uno sbalzo di quasi 20 dB sulle alte frequenze.
Questo perché i suoni di bassa frequenza superano meglio gli ostacoli, quindi al di sotto di
1000 Hz le onde riescono più facilmente a superare l’ostacolo della testa ed a raggiungere
l’orecchio nascosto, mentre più la frequenza sale, meno il suono riesce a superare l’ostacolo della
testa, e di conseguenza cresce la differenza di percezione tra le due orecchie dell’ampiezza delle
onde.
In tal modo il sistema percettivo può facilmente localizzare la posizione di una sorgente che
emette alte frequenze. Notate come le differenze interaurali di ampiezza compensino esattamente le
manchevolezze riscontrate nelle differenze interaurali di tempo:
Differenze Interaurali di Tempo 1000 Hz Differenze Interaurali di Ampiezza

Differenze Interaurali di Spettro


Abbiamo, infine, le differenze interaurali di spettro provocate dalla schermatura della testa e
dalla struttura asimmetrica dei padiglioni auricolari, detti anche “pinne”. Nella conformazione di
ogni pinna vi sono due rilievi sui quali si riflette il suono, provocando degli sfasamenti nei confronti
del suono diretto che raggiunge il condotto uditivo. Le riflessioni ritardate da entrambe i rilievi si
combinano con il suono diretto per dare le caratteristiche colorazioni della risposta in frequenza che
sono dovute ad interferenze di fase distruttive e costruttive a frequenze diverse fra loro.
Ciò dà luogo a curve di risposta in frequenza diverse in base all'elevazione della sorgente
dandoci informazioni sulla posizione non più rispetto al piano orizzontale, ma a quello verticale. Il
cervello è in grado di comparare queste colorazioni in ciascun orecchio ed usare queste
informazioni per determinare la localizzazione della sorgente.
Mentre i primi due tipi di differenze servivano a localizzare la sorgente in termini
destra/sinistra, queste ultime ci aiutano a capire quanto la sorgente sia alta o bassa rispetto a noi.

Percezione delle dimensioni di un ambiente chiuso.


In un ambiente aperto è facile capire la direzione da cui proviene una fonte sonora, ma è più
difficile stimarne la distanza. In un ambiente chiuso invece siamo in grado, anche se bendati, di
percepire le sue dimensioni, grazie all’ascolto di un suono proveniente da un qualunque punto.
Il suono si espande in ogni direzione, una parte di esso si dirige direttamente verso di noi (e
grazie a questo riusciamo a capirne la direzione di provenienza), e tutto il rimanente rimbalza sulle
40
pareti, pavimento e soffitto, prima di arrivare anch’esso alle nostre orecchie. Naturalmente il suono,
sia quello diretto che quello di rimbalzo, subisce delle perdite d’intensità, dovute all’attrito dell’aria
ed all’assorbimento delle pareti: analizzando questo cambiamento d’intensità il cervello riesce a
percepire una prima valutazione sulla distanza dalla fonte sonora e del grado di assorbimento
acustico della sala. La parte di suono che rimbalza sulle pareti percorre una distanza maggiore di
quello che ci arriva in linea d’aria direttamente, di conseguenza giungerà alle nostre orecchie con un
piccolissimo ritardo: unendo l’analisi di questo ritardo con la perdita d’intensità del suono il
cervello riesce a darci una precisa sensazione della grandezza e della capacità di assorbimento della
sala. Il suono di rimbalzo si somma a quello diretto modificandolo, il suono originale acquista il
riverbero, si arricchisce di una morbidezza avvolgente: il rapporto di volume fra il suono diretto e
quello riverberato, il cambiamento timbrico dal suono originale, sono altri elementi che il cervello
analizza per ottenere una percezione tridimensionale dell’ambiente che lo circonda.

La voce
La voce è uno “strumento” molto particolare, dato che tutte le sue parti sono contenute
all’interno del nostro corpo. Esattamente come nel caso degli altri strumenti, è necessario un
elemento “eccitante” (cioè l’aria, che fuoriesce grazie alla spinta del diaframma), un corpo vibrante
(in questo caso le corde vocali la cui tensione, lunghezza e spessore determinano l’altezza del
suono) e un “ambiente risonante” (rappresentato dalla cassa toracica nonché la cavità orale, quella
nasale e diverse piccole altre zone distribuite nella scatola cranica).
L’incredibile peculiarità della voce umana sta nel fatto che il “risonatore” principale, la
bocca, è mobile, ed è pertanto possibile modificarne la forma nel corso dell’emissione del suono.
Ne consegue la possibilità di variarne il timbro con continuità (ad esempio, mantenendo un’altezza
costante, passando da una “a” ad una “u”). E’ grazie a questa capacità che riusciamo ad emettere le
vocali e le consonanti.

La voce naturale
Il suono della voce nasce dalla vibrazione della corde vocali poste all'interno della laringe,
provocata dal flusso d'aria emessa dai polmoni e la nota è stabilita dalla velocità di vibrazione
determinata da proprietà fisiche delle corde vocali (lunghezza e spessore) variabili tramite l'azione
di alcuni muscoli della gola. La regolazione della produzione del parlato e del cantato è un fatto
istintivo.

La voce impostata
I cantanti, viceversa, hanno bisogno di usare la voce a lungo e a volume molto alto, ma mai
sforzandola: il meccanismo istintivo di fonazione, per loro, non è più sufficiente.
Il sistema di fonazione usato nel canto classico (ma in parte anche nel teatro di prosa) è la
cosiddetta impostazione o voce impostata: si tratta di sfruttare al meglio una o più delle cavità
orofaringee, come cassa di risonanza secondo il principio sfruttato in molti strumenti musicali. Va
inoltre gestita diversamente la respirazione e va curato il risultato ottenuto in base alla lunghezza
della "frase musicale" e della note che si devono eseguire.

41
Come si produce la voce

Dai polmoni alle corde vocali: flusso e pressione


La forza che produce la voce e il canto è la forza dei muscoli della cassa toracica. Essi,
contraendosi, comprimono i polmoni, e generano quindi un flusso d'aria continuo che dai polmoni
risale lungo la trachea. Fino a questo punto nessuna onda sonora è ancora stata generata, ed il flusso
d'aria è simile al flusso espiratorio.
Verso l'estremità superiore della trachea l'aria si infrange contro una sorta di "tendina", le cosiddette
corde vocali (anche la loro forma è
più quella di pieghe vocali).
Le corde vocali hanno la capacità,
per un complicato gioco di muscoli,
di variare ad ogni istante la
lunghezza, la larghezza, lo spessore,
la tensione, grazie all’attività di
oltre una dozzina di piccoli fasci
muscolari.
A riposo le corde vocali sono in
posizione "aperta" consentendo il
passaggio dell'aria per la
respirazione.
Quando vengono tese dai muscoli si chiudono in misura variabile, restringendo il passaggio.
Il flusso continuo d'aria che urta le corde vocali subisce un improvviso aumento di
pressione, ma, quando la pressione è sufficiente a contrastare la tensione delle corde, si ha il
passaggio improvviso dell'aria dalla fessura, con un corrispondente improvvisa diminuzione della
pressione. Il meccanismo quindi è del tutto analogo a quanto accade negli strumenti a fiato
attraverso l'imboccatura, le labbra dell'esecutore, o l'ancia.

42
La frequenza del suono prodotto dipende quindi, in ultima analisi, dalla frequenza di
oscillazione delle corde vocali, la quale, a sua volta, dipende dalla loro tensione, dalla loro densità,
e dalla loro lunghezza. Nei maschi adulti le corde vocali sono lunghe circa 17-25 mm, mentre nelle
femmine circa 12-17 mm, il che spiega la differenza di tessitura tra maschi e femmine.

Dalle corde vocali verso l’alto: effetti della risonanza


Dopo che la colonna d'aria è stata messa in vibrazione nella laringe, l'onda sonora deve
attraversare ancora diverse regioni interne al corpo umano prima di uscire all'aperto. L'onda
prodotta dalla vibrazione delle corde vocali non è di per sé un suono puro, ma contiene diversi
armonici, in misura dipendente dai dettagli dell'oscillazione. È l'intensità di queste armoniche
componenti ad essere grandemente modulata nel passaggio nelle parti restanti dell'apparato vocale.
Infatti l'onda sonora, dalle corde vocali in su, attraversa sostanzialmente alcune cavità di
forma piuttosto complessa, e di geometria variabile grazie alla modificazione della forma delle parti
molli (glottide, lingua, palato).
Ogni cavità è soggetta al fenomeno della risonanza . L'effetto netto sull'onda sonora entrante
è quindi di smorzarne le componenti spettrali fuori risonanza, ed esaltare quelle prossime alla
risonanza.
Per modificare il timbro della voce emessa i cantanti e gli attori imparano molte raffinate
tecniche. Per esempio essi sono in grado di sfruttare, oltre alle risonanze della bocca, quelle proprie
delle fosse nasali e dei seni paranasali.
A parità di intensità, frequenza della fondamentale, e timbro iniziale, quindi, la voce è
ancora soggetta ad una profonda, e controllabile modificazione del suo contenuto spettrale, che
permette di articolare moltissimi suoni in forma di vocali e consonanti.
Finché le corde vocali vengono mantenute a tensione costante, si produce una nota di altezza
costante, la cui frequenza corrisponde alla frequenza di oscillazione delle corde vocali.
Finché il flusso d'aria viene mantenuto a pressione costante nei polmoni si produce una nota
di intensità costante.
La quantità d'aria necessaria alla produzione della voce è molto piccola rispetto a quella
necessaria alla respirazione. Ce ne si può rendere conto facilmente espirando a fondo, ed
osservando che anche a polmoni "quasi vuoti" si può ancora produrre e modulare suono per diversi
secondi.
Questa osservazione rispecchia il fatto che l'onda sonora non consiste nel trasporto del fluido
(in questo caso l'aria) che la propaga, ma dall'oscillazione del mezzo. In linea di principio, quindi,
non sarebbe nemmeno necessario che l'aria fisicamente uscisse dalla bocca; tuttavia questo accade
perché ad ogni apertura periodica delle corde vocali un po' d'aria sfugge (un parametro detto debito
glottideo).
Un cantante ben addestrato è tuttavia in grado di produrre note anche di grande intensità
senza che una fiamma di candela posta davanti alla bocca si muova sensibilmente. La capacità di un
cantante di mantenere un suono molto a lungo, quindi, dipende più dall'educazione dei riflessi
respiratori che dalla sua capacità polmonare, e comunque è molto più difficile mantenere a lungo un
suono grave che uno acuto, perché il debito glottideo è molto maggiore per il primo che per il
secondo.
Anche la pressione dell'aria necessaria alla fonazione è piccola rispetto, per esempio, a
quella necessaria per suonare uno strumento a fiato.

43
Appena sopra le corde vocali (chiamate anche "vere corde vocali") vi sono le pieghe
vestibolari, chiamate anche "false corde vocali". La funzione primaria delle pieghe vestibolari è la
protezione delle corde vocali più delicate che si trovano sotto.

Fenomeno dell’oscillazione simpatica.


Si chiama oscillazione simpatica o risonanza acustica quel fenomeno che avviene quando un
corpo vibrante, trovandosi vicino ad un altro corpo capace di vibrare con la stessa frequenza (cioè di
produrre un suono della stessa altezza), trasmette ad esso, attraverso le oscillazioni dell’aria, il
proprio moto oscillatorio, ponendolo in vibrazione e sommandosi ad esso in un suono unico e
maggiormente intenso.
Condizione indispensabile perché si verifichi la vibrazione per simpatia è che i due corpi
sonori abbiano la capacità di produrre lo stesso numero di vibrazioni. Infatti se la frequenza non è
uguale fra i due corpi, gli impulsi dell’uno non saranno perfettamente corrispondenti al periodo di
vibrazioni dell’altro il quale perciò si troverà nell’impossibilità di essere influenzato dal moto
vibratorio.
Il fenomeno delle vibrazioni simpatiche può avvenire anche fra due suoni diversi, ma
soltanto se il primo è costituito da una fondamentale ed il secondo abbia un numero di vibrazioni
uguale a quella di uno dei suoi armonici.
Questo si può facilmente sperimentare su qualsiasi pianoforte. Aprire il coperchio del
pianoforte, e dopo aver abbassato il pedale di risonanza, in modo che tutte le corde possano vibrare
liberamente, si prema con forza un tasto, oppure si produca con la voce o con altro strumento un
dato suono: subito una buona parte delle note corrispondenti agli armonici superiori di quel suono
vibrerà per simpatia.
Questo fenomeno è sfruttato in un antico strumento ad arco, la viola d’amore, infatti, oltre
alle sette corde principali poste sul ponticello, sollecitate dall’archetto, ha altrettante sette di
risonanza che scorrono sotto quelle principali attraverso il ponticello; queste corde, vibrando per
simpatia, rinforzano ed abbelliscono il suono della strumento.

Vibrazioni dei corpi sonori


Il suono è quella particolare sensazione uditiva prodotta dalla rapida vibrazione di un corpo
elastico.
Per vibrazione si intende un veloce moto oscillatorio compiuto dalle molecole del corpo
sonoro intorno alla loro posizione d'equilibrio. Le vibrazioni sono dovute all'elasticità, cioè a quella
proprietà che hanno i corpi di riprendere la loro primitiva configurazione allorché cessa la forza che
li deformava.

Quando le vibrazioni dei corpi sono periodiche e regolari si ha l’altezza determinata.

Quando le vibrazioni non sono periodiche e sono irregolari si ha l’altezza indeterminata.

Per la produzione del suono in musica ci si serve, nella sua pratica, di corde tese, di colonne
d’aria contenute in tubi sonori, di lamine di legno o di metallo, di membrane tese.

44
Vibrazione delle corde
Le corde possono essere di diverse specie: di budella di animale, di metallo, ecc..., ma tutte,
perché possano vibrare e produrre dei suoni, debbono acquistare anzitutto l'elasticità che per se
stesse non hanno; e questo si ottiene mediante la tensione.
L'elasticità delle corde, a differenza di quella delle lamine, è regolabile a piacere variando la
tensione.
Per mettere in vibrazione una corda si usano tre modi diversi: lo strofinamento, il pizzico e
la percossa.
Il primo è il più comunemente usato, anche perché, strofinata con l'arco, la corda dà un suono
uguale e prolungato.

Ventre C
Nodo Nodo

A B

D
Messa in vibrazione la corda si comporterà nel seguente modo:
Se la corda viene pizzicata, dalla posizione di quiete A-B raggiungerà incurvandosi la
posizione A-C-B; tornerà quindi nella posizione normale A-B, per portarsi subito dopo nella
posizione opposta alla precedente, A-D-B, ed infine si porterà alla posizione iniziale A-B.
Il percorso così compiuto è un'oscillazione completa e la distanza tra il piano di riposo A-B
e C (o tra A-B e D) è l'ampiezza dell'oscillazione.
Le oscillazioni continueranno a ripetersi fino a quando gli attriti fermeranno le vibrazioni.

Nella vibrazione della corda è da notare quanto segue:


 per raggiungere, incurvandosi, la massima ampiezza in C e in D, la corda deve
necessariamente allungarsi di una minuscola quantità: ciò è possibile grazie alla sua
elasticità;
 le due punte estreme A e B rimangono sempre immobili, non partecipano alla vibrazione e
non si muovono né quando la corda si allunga, né quando ritorna nella posizione normale;
 la distanza C-D in cui la corda, raggiungendo la massima estensione, subisce una maggiore
perturbazione, si chiama ventre; i punti estremi A-B rimasti immobili, si dicono nodi.
Le vibrazioni delle corde obbediscono a diverse leggi, determinate dalla lunghezza, dalla tensione e
dalla densità delle corde stesse.

Le leggi sono:
1. la frequenza è inversamente proporzionale alla lunghezza della corda: più lunga è una corda,
minore è il numero delle vibrazioni al secondo e meno acuto è il suono prodotto;
2. la frequenza è inversamente proporzionale al diametro della corda: più grossa è una corda,
minore è il numero delle vibrazioni e meno acuto il suono prodotto.

45
3. la frequenza è direttamente proporzionale al quadrato della tensione della corda: più si tende
una corda, maggiore è il numero di vibrazioni e più acuto è il suono prodotto.
4. la frequenza è inversamente proporzionale alla radice quadrata della densità: più la sostanza
di cui è formata la corda è densa, minore è il numero delle vibrazioni e meno acuto è il
suono prodotto.

Vibrazione dell’aria
L'aria, come qualsiasi gas, può diventare un corpo vibrante, purché si stabiliscano le
seguenti condizioni:
1) sia contenuta in tubi o in altri recipienti relativamente ristretti e formati di pareti rigide
2) questi tubi o recipienti abbiano almeno una via di comunicazione con l'aria esterna.
Mentre le vibrazioni delle corde avvengono solamente in senso perpendicolare rispetto al
senso di propagazione (vibrazioni trasversali) [anche le corde possono vibrare longitudinalmente,
però debbono essere strofinate nel senso della loro lunghezza, e ciò comunque non trova
applicazione nell’arte musicale], le vibrazioni dell'aria contenuta in un tubo sonoro avvengono nel
senso della lunghezza del tubo stesso (vibrazioni longitudinali).
Perché l'aria possa vibrare bisogna immettere nel tubo sonoro dell'altra aria la quale,
provocando un'alternanza di compressioni e di rarefazioni, costringe l'aria interna a vibrare e
produrre il suono.
L'aria s'immette nel tubo attraverso una piccola apertura detta imboccatura.
L'imboccatura può essere:
semplice o a flauto, in cui il suono è provocato dal frangersi dell'aria immessa contro uno
spigolo aguzzo (flauto, organo a canne)
ad ancia semplice, in cui il suono è provocato dalle vibrazioni di una sottile linguetta di
canna (chiamata ancia) o di metallo fissata in una fenditura tagliata a becco: se l'alloggiamento
permette all'ancia di compiere un'intera oscillazione, è un'imboccatura ad ancia libera
(fisarmonica);
se l'ancia può compiere soltanto mezza oscillazione, l'imboccatura è ad ancia battente (clarinetto,
saxofono)
ad ancia doppia, in cui il suono è provocato dal chiudersi e dall'aprirsi di una stretta fessura
formata da due sottilissime linguette di canna riunite ad una estremità (oboe, fagotto).
a bocchino, il cui suono è provocato dalle vibrazioni della labbra del suonatore, che
agiscono, stringendosi e contraendosi, come un’ancia doppia. A questa categoria appartengono tutti
gli ottoni.

I tubi sonori possono essere aperti dai due lati (tubi aperti) o da un solo lato (tubi chiusi).

Per convenzione si definiscono tubi aperti i cilindri che sono aperti ad entrambe le estremità, mentre
i cilindri chiusi da un solo lato ed aperti dall'altro sono definiti tubi chiusi.

La forma dei tubi può essere conica o cilindrica; nella costruzione degli strumenti a fiato si
adoperano entrambe i generi: quelli a forma cilindrica sono flauto, clarinetto, quelli a forma conica
oboe, saxofono, corno, e quelli a forma mista tromba e trombone: 2/3 cilindrica e 1/3 conica (la
parte finale della campana).

46
Nelle figure sottostanti:

a sinistra, a destra,
raffigurazione dell’aria in una canna aperta raffigurazione dell’aria in una canna chiusa

Ne consegue quindi che i tubi chiusi, a parità di lunghezza e di diametro con i tubi aperti,
danno l'ottava bassa.
Il clarinetto, per esempio, pur essendo un tubo aperto, si comporta acusticamente come un
tubo chiuso, in cui il suono fondamentale è all’ottava inferiore rispetto a quello prodotto dalle canne
aperte, a parità di lunghezza; le armoniche pari sono virtualmente assenti, e quindi nel salto con il
portavoce, al posto dell’ottava (come nel flauto) si produce la dodicesima della fondamentale
(utilizzando la terza armonica, dato che la seconda nel clarinetto non esiste).
Leggi della vibrazione dei tubi sonori
La frequenza dei suoni prodotti nei tubi sonori dipende dai seguenti fattori:
 dalla rapidità della corrente d'aria immessa nel tubo sonoro: più essa è veloce e più acuto
sarà il suono;
 dall'ampiezza dell'apertura attraverso la quale è immessa la corrente d'aria: più l'apertura è
piccola, più le vibrazioni saranno veloci e più acuto sarà il suono;
 dalle dimensioni della colonna d'aria contenuta nel tubo: più lungo sarà il tubo, maggiore
sarà la quantità d'aria in esso contenuta e più grave il suono prodotto.

47
Piastre
Si dà il nome di piastra ad una qualsiasi lastra di metallo la cui superficie sia molto superiore al suo
spessore. Le piastre si mettono in vibrazione sia percuotendole con un martello alla superficie, sia
strofinandole ai margini con un arco. Il vibrafono è uno strumento a suono determinato dove ogni
nota è prodotta da una piastra metallica di adeguata lunghezza. Le campane, il tam-tam (origine
turca, leggermente concavo, con bordi lisci), il gong (origine cinese, con i bordi ribattuti verso
l’interno, ma piatto, può avere suono determinato), i piatti, sono piastre a suono indeterminato.
Membrane
Le membrane, formate da pelli animali o artificiali, vibrano soltanto quando, opportunamente tese,
acquistano elasticità. In esse, durante la vibrazione, si formano nodi e ventri come sulle piastre.
Funzionano mediante membrane tese i timpani, i tamburi, la grancassa.

Classificazione degli strumenti musicali


L’organologia come scienza nasce nella seconda metà del XIX secolo.
Il fondatore dell’organologia moderna è il belga Victor-Charles Mahillon (1841-1924) che
fu il primo conservatore degli strumenti musicali del Conservatorio di Bruxelles.
Assumendo come criterio la natura del corpo che produce i suoni, Mahillon (1880) suddivise
gli strumenti in 4 classi: idiofoni (o autofoni), a membrana, a fiato, a corda.
Successivamente Curt Sachs (1881-1959) e Erich Moritz Hornbostel (1877-1935) ripresero
la classificazione di Mahillon, approfondendola con ulteriori suddivisioni in sottoclassi e specie, ed
arricchendola con l’inserimento di strumenti appartenenti a culture antiche, primitive ed extra-
europee.
Nello studio scritto insieme, Systematik der Musikinstrumente (1914), è stilata la seguente
classificazione:

Idiofoni (o Autofoni)(il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo stesso dello strumento, senza
l’utilizzo di corde, membrane o colonne d’aria):
strumenti in legno, metallo o altro materiale che vengono posti in vibrazione mediante
percussione, scuotimento, raschiamento, sfregamento (frizione o strofinamento) o pizzico
Membranofoni:
strumenti il cui corpo vibrante è costituito da una o più membrane tese che vengono
percosse o sfregate
Aerofoni:
strumenti nei quali gli elementi vibranti sono colonne d’aria contenute in tubi di materiale
rigido e di forma variabile; le vibrazioni delle colonne d’aria sono provocate dalla
immissione di altra aria nei tubi stessi
Cordofoni:
strumenti forniti di una o più corde tese fra punti estremi fissi, le quali sono fatte vibrare
mediante pizzico, percussione o sfregamento.
Alle quattro classi è stata aggiunta una quinta da Francis W. Galpin, autore del libro A Textbook of
European Musical Instruments, 1937:

Elettrofoni:
strumenti che producono i suoni mediante vibrazioni create da generatori elettronici.

48
49
50
Bibliografia

Salvatore Pintacuda Acustica musicale edizioni Curci


Enciclopedia l’Universale, Musica edizioni Le Garzantine
Riccardo Allorto Storia della musica edizioni Ricordi
Andrea Frova La scienza di tutti i giorni edizioni BUR scienza
Mario Fulgoni Manuale di Teoria musicale volume secondo edizioni La Nota

Sitografia

Dispense del Corso di Acustica per Musicisti


Prof. Mauro Graziani docente del Conservatorio F. A. Bonporti - E.F. Dall'Abaco
http://www.maurograziani.org/text_pages/acoustic/Start.htm

Fisica Onde Musica


Unimore Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
http://fisicaondemusica.unimore.it/

https://it.wikipedia.org/wiki/

51

Potrebbero piacerti anche