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2.

Produzione del suono

L'elasticità è la condizione necessaria affinchè un corpo


possa vibrare. Ogni corpo elastico, dunque, può essere con-
siderato una sorgente sonora. Possiamo distinguere le varie
sorgenti in quattro gruppi:

1) corde
2) tubi
3) strumenti a percussione
4) voce umana

Le corde
Nella pratica degli strumenti musicali si hanno tre modi di
eccitare le corde:
- con l'archetto (archi)
- a pizzico (chitarra, arpa, clavicembalo)
- a percussione (pianoforte)

Supponiamo di avere una corda tesa in stato di quiete e di


eccitarla in un suo punto P. (es.2)

La vibra-
zione si propaga lungo la corda in due direzioni opposte.
Dal momento che le due onde (a parte il caso in cui P sia
punto medio di ab) debbono percorrere distanze diverse, una
delle due giungerà prima a destinazione e, riflettendosi,
invertirà percorso e fase. Avremo così vari momenti nella
vibrazione. Onde di questo tipo (che si propagano, cioè a-
vanti e indietro tra i due punti ai quali la corda è fissa-
ta) sono dette <stazionarie>. Ad eccezione degli strumenti
ad arco (il cui suono può essere sostenuto con l'azione co-
stante dell'archetto), negli altri strumenti si generano
onde di tipo smorzato, in quanto l'ampiezza delle vibrazio-
ni decresce, periodo per periodo, fino all'esaurimento del-
la energia ricevuta dall'eccitazione iniziale. Vale la pena
di osservare che il timbro del suono dipende anche dal tipo
di eccitazione. La frequenza delle vibrazioni di una corda
obbedisce alle seguenti leggi:

1. è inversamente proporzionale alla lunghezza della


corda: più lunga è una corda, minore è il numero
delle vibrazioni al secondo e meno acuto è il
suono prodotto;
2. è inversamente proporzionale al diametro della
corda: più grossa è una corda, minore è il numero
delle vibrazioni e meno acuto il suono prodotto;
3. è inversamente proporzionale alla radice quadrata
della densità (o massa) della corda;
4. è direttamente proporzionale alla radice quadrata
del peso tensore: più si tende una corda, maggiore
è il numero di vibrazioni e più acuto è il suono
prodotto.

Torniamo alle onde stazionarie. Le due onde, procedendo


l'una verso l'altra, si incontrano sommando le loro energie
e comunicando alla corda, nel punto di incontro, una mag-
giore ampiezza di movimento data dalla somma delle due e-
nergie.
Si genera così un impulso supplementare che dà vita ad una
altra vibrazione, la durata del cui periodo è la metà di
quella della vibrazione fondamentale. Considerando che la
vibrazione fondamentale è detta prima armonica quella così
ottenuta sarà la seconda armonica.
Analogamente avremo la terza, la quarta ecc. fino a che,
per varie cause, non vi sarà l'esaurimento della energia
iniziale.
Le armoniche si distinguono l'una dall'altra per la fre-
quenza che è un multiplo di quella fondamentale:
2° armonica (1/2 lunghezza della corda), f = 2
3° armonica (1/3 lunghezza della corda), f = 3 ecc.
(Sui suoni armonici si veda il capitolo specifico)

I tubi sonori
I tubi sonori si suddividono in due categorie principali:
tubi aperti – hanno una doppia apertura alle estremità e
possono essere cilindrici, prismatici e conici;
tubi chiusi – comunicano all’esterno attraverso una sola
apertura e possono essere cilindrici e prismatici.
Un’altra suddivisione dipende dalla imboccatura.

Gli aerofoni, indipendentemente dalla loro struttura e dal


modo in cui vengono eccitati, hanno una base acustica comu-
ne. Si tratta sempre di un tubo che comunica, attraverso al-
meno una via, con l'ambiente esterno, costituito comunemente
dall'aria. L'aria contenuta nel tubo (colonna d'aria) è un
sistema acustico in cui possono essere eccitate pulsazioni
il cui movimento alternativo produce il suono. L'andamento
delle pulsazioni nei tubi sonori è il seguente: attraverso
l'imboccatura si comunica alla colonna d'aria una sollecita-
zione proporzionale all'impulso impresso dalla forza eccita-
trice (fiato emesso dal suonatore, aria spinta da mantici,
ecc.). Se il fenomeno fosse costituito da un flusso continuo
non si avrebbe che un altrettanto continuo passaggio di a-

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ria, con trasporto delle particelle materiali di essa dal
tubo all'ambiente esterno. Ma l'imboccatura degli aerofoni,
o meglio la parte vibrante di essa, è costituita da un si-
stema elastico che apre e chiude con alternanza periodica
l'orifizio del tubo. Per questa ragione non si ha un flusso
continuo dell'aria, ma comunicazione impulsiva di energia,
senza trasporto di materia; tale comunicazione di energia
avviene mediante onde di compressione, che percorrono la co-
lonna d'aria precipitando nell'ambiente esterno l'energia
immagazzinata. Quando l'onda di compressione giunge al punto
terminale del condotto, la sua energia si distribuisce nel-
l'aria circostante che, essendo elastica, reagisce e propaga
il fenomeno nell'ambiente stesso. Data la costanza della
pressione ambientale, a ogni compressione del gas (ossia
dell'aria) deve necessariamente corrispondere una pro-
porzionale rarefazione nelle zone adiacenti; per cui, in
virtù della dinamica che caratterizza le alternanze tra com-
pressioni e rarefazioni, si ha formazione e propagazione di
onde di frequenza acustica, che, nei limiti imposti dalla
fisiologia dell'organo uditivo, sono generatrici della sen-
sazioni sonora. Nell'interno del tubo, esauritasi l'energia
dovuta alla compressione, si ha una reazione di segno inver-
so, ossia una rarefazione che dalla bocca terminale del con-
dotto si trasmette sino all'imboccatura. E’ in questo punto
e in questo momento che il ciclo della pulsazione si conclu-
de, mentre con rigoroso sincronismo si riapre la parte vi-
brante dell'imboccatura. E’ quindi chiaro che il periodo di
apertura e chiusura dell'imboccatura deve coincidere esatta-
mente con quello della pulsazione, altrimenti nella interfe-
renza dei 2 periodi si manifestano sfasamenti che compromet-
tono, o distruggono, il regolare andamento delle pulsazioni,
con conseguente analogo effetto sulla regolarità del suono.
Concluso il primo ciclo, con l'immediata riapertura dell'im-
boccatura il fenomeno si ripete; e poichè la velocità delle
pulsazioni è costante, è evidente che la durata del ciclo
non può che dipendere dalla lunghezza del tubo. Più il tubo
è lungo, maggiore è la durata del ciclo minore è la fre-
quenza delle pulsazioni e più grave è il suono, e vicever-
sa.1

Abbiamo dunque descritto un periodo di vibrazione, la cui


durata (andata e ritorno dell'onda) dipende dalla velocità
che anima il movimento delle pulsazioni. Abbiamo la seguen-
te legge:
f = V/L

dove f = frequenza,
V = velocità (340 m/sec)
L = lunghezza d'onda (si definisce lunghezza d'onda la di-
stanza fra due punti dello spazio che raggiungono contempo-

1
P.Righini, Acustica, voce dal DEUMM

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raneamente un massimo e un minimo; in acustica è la distan-
za fra due punti di massima compressione e depressione del-
l'aria).

Tra la lunghezza di una canna sonora e la lunghezza d'onda


della sua vibrazione fondamentale, intercorre un rapporto
preciso. Studiamo questo fenomeno nei tubi aperti e in
quelli chiusi.

Tubi aperti - All'imboccatura c'è sicuramente una zona ven-


trale e così pure nell'altra estremità. Avremo allora un
nodo al centro.
E' chiaro che la lunghezza del tubo corrisponde a metà lun-
ghezza d'onda del suono fondamentale.

Tubi chiusi - Dal momento che l'estremità è tappata in


quella zona si avrà un nodo. Ne risulta che il tubo si com-
porta come se fosse, rispetto a un tubo aperto, di doppia
lunghezza, con doppia durata del periodo, doppia lunghezza
d'onda e frequenza ridotta a metà. Un tubo chiuso dà un
suono all'ottava inferiore rispetto a quello di un tubo a-
perto di uguale lunghezza.

Proprio per questo motivo le canne chiuse vengono spesso


impiegate nell'arte organaria, con il vantaggio di un non
indifferente risparmio di materiale.

L'imboccatura
Come si è letto poco più sopra, l’imboccatura è il mezzo
elastico che consente la produzione del suono trasformando
l’impulso dato dall’esecutore in un impulso energetico che
sollecita la formazione di onde di compressione e di rare-
fazione all’interno del tubo. Dal tipo di imboccatura di-
pende la qualità del suono di un tubo sonoro.

Imboccatura labiale o naturale – Può essere:


1) un foro laterale vicino all'estremità chiusa della
canna (es. flauto traverso);
2) un condotto a forma di becco (es. flauto dolce): l'a-
ria emessa dalle labbra del suonatore o da un mantice,
si frange contro lo spigolo di un foro o di una fendi-

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tura, producendo un miscuglio di vortici e di vibra-
zioni che il tubo seleziona, esaltando solo quelle la
cui frequenza si accorda per risonanza, con il perio-
do, delle pulsazioni della sua colonna d'aria.
Imboccatura di tubi sonori Ancia semplice - Si tratta di
una linguetta sottile ed ela-
stica (di legno o di metallo)
con una base rigida e l'estre-
mità opposta in grado di vi-
brare. Può essere:
a) libera (armonica a bocca,
alcuni registri d'organo, zam-
pogne) - vibra da una parte
1. Flauto all'altra di un'apertura pra-
2. Oboe ticata nel supporto alla cui
3. Clarinetto base è fissata la parte rigida
4. Strumenti di ottone dell'ancia stessa;
5. Canna d’organo b) battente (clarinetti, saxo-
foni, canne d'organo) - è leg-
germente più grande rispetto
all'apertura alla quale è applicata. Il bordo dell'apertu-
ra, sul quale l'ancia vibrando batte, impedisce il comple-
tamento delle escursioni, facendo compiere così all'ancia
poco più di mezza vibrazione.

Il clarinetto
Il clarinetto (tubo aperto) costituisce un caso abbastanza
singolare. L'accoppiamento di ancia battente e tubo cilin-
drico sta alla base della sua particolarità di avere un
rapporto tra la lunghezza della sua colonna d'aria e la
lunghezza d'onda del suono fondamentale, pari a 1/4 invece
di 1/2. Nel clarinetto il punto nodale dell'onda fondamen-
tale, invece di essere come nelle altre canne aperte, circa
a metà del tubo, è molto vicino all'imboccatura.

a)ancia; b) bocchino; c)ancia fissata al bocchino


La lunghezza d'onda del suono fondamentale è doppia rispet-
to a quella che, a parità di misura del tubo, si trova in
altre canne aperte. Ne deriva che la lunghezza della colon-
na d'aria del clarinetto è uguale a 1/4 di onda: a parità
di lunghezza della colonna d'aria, dunque, il suono fonda-

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mentale del clarinetto è all'ottava inferiore rispetto alle
altre canne aperte.

Ancia doppia - (oboe, fagotto, zampogne, alcune canne d'or-


gano) - consiste in due linguette di canna o di metallo,
sottili e affacciate, separate da una piccola fessura at-
traverso cui passa il flusso d'aria. Quando la pressione
raggiunge un determinato valore, le linguette si toccano
chiudendo per una frazione di tempo minimo l'apertura del
tubo.

Un piccolo segmento di canna è tagliato in tre parti (a). Una di


queste parti è adattata e portata alla misura voluta, piegata su
se stessa (b) e strettamente legata al condotto dell’aria (c).
La parte superiore viene separata con un taglio e assottigliata
(d), in modo da poter vibrare.

Bocchino (ottoni) - è una sorta di tazza (dalle dimensioni


dipendenti dallo strumento) contro il cui bordo sono pres-
sate le labbra del suonatore che agiscono, in pratica, come
due ance doppie.

Strumenti a percussione
Nell'ambito degli strumenti musicali, quelli a percussione
formano la categoria più vasta, più eterogenea e più com-
plessa acusticamente. Possiamo distinguerli in vari gruppi:
verghe e lamine; regoli; piastre; membrane.

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In ciascun gruppo possiamo incontrare esemplari di varie
dimensioni, l'altezza del cui suono, indipendentemente dal-
la identificabilità con una o l'altra nota del sistema mu-
sicale, si colloca in un punto o l'altro del campo di udi-
bilità, abbracciando nell'insieme una tessitura che occupa
l'interezza del campo stesso. Per quanto riguarda le vibra-
zioni negli strumenti a percussione si ha una infinita va-
rietà di comportamenti: si va dalle più regolari (diapason)
alle più caotiche (grancassa, tam tam).
Le membrane tese possono essere considerate corde elastiche
estese in due dimensioni. Le piastre vibrano in tutta la
loro superficie, formando zone ventrali limitate da linee
nodali, con un punto nodale al centro. La difficoltà di a-
vere una materia perfettamente omogenea e geometricamente
precisa, comporta la compresenza di vibrazioni di frequenze
non identiche, ma prossime tra loro, con l'effetto di un
suono ondulato e impreciso.

La voce umana
La voce umana parlata e cantata è il risultato di un pro-
cesso che impegna il sistema respiratorio, laringeo e riso-
natore.
Il primo sistema di organi che concorre a produrre la voce,
è il sistema respiratorio inferiore.
E' costituito dai due polmoni siti nella gabbia toracica. I
polmoni sono a forma di semicono, hanno tessuto molle spu-
gnoso e presentano numerosi spazi detti alveoli nei quali
si raccoglie l'aria.
Alla base dei polmoni vi è il diaframma (organo di impor-
tanza fondamentale per una giusta respirazione) il quale
interviene insieme ai muscoli intercostali ed agli altri
muscoli siti nella cavità toracica, nelle varie fasi della
respirazione. Il diaframma ha forma di cupola con la conca-
vità rivolta al cavo addominale e la parte convessa a con-
tatto con i polmoni.
I polmoni ed il diaframma possono essere paragonati al man-
tice dell'organo, in quanto forniscono, mediante l'espira-
zione, l'aria necessaria per far vibrare le corde vocali.
La trachea, tubo cilindrico costituito da anelli di carti-
lagine ha il compito di permettere all'aria di passare, du-
rante le fasi della respirazione, dall'esterno ai polmoni
(con i quali è in comunicazione tramite due biforcazioni
denominate “bronchi”). Tutti questi organi si allungano e
si dilatano durante l'inspirazione, mentre si accorciano e
si restringono in fase espiratoria.

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La laringe vista di fronte
a) epiglottide; b) orificio dell’epiglottide
c)muscoli aritenoidi; d) trachea

Il sistema laringeo è l'apparato specifico della fonazione


ed è costituito dalla laringe collegata direttamente alla
trachea e posta sulla parete anteriore del collo; ha forma
di piramide triangolare ad apice tronco. Vi si distingue un
apparato scheletrico fisso formato da varie cartilagini ed
un apparato mobile muscolare che permette i movimenti e gli
spostamenti delle cartilagini stesse.
Nell'interno della laringe abbiamo tre regioni: glottide,
epiglottide, sottoglottide.
La regione glottica, costituisce lo spazio fra le corde vo-
cali le quali sono in numero di due, costituite da una mu-
cosa sottile, simile a nastrini ed attaccate da un lato,
alle varie cartilagini laringee.
Sopra le corde vocali abbiamo due piccole false corde (più
larghe delle prime) la cui funzione è ancora ignota anche
se sembrano concorrere alla formazione del timbro vocale.
Le corde vocali, messe in vibrazione dall'aria espirata,
producono il suono e questa loro funzione fonatoria è de-
terminata dalle contrazioni dei muscoli delle cartilagini.

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Durante la fonazione le corde vocali vibrano sotto l'impul-
so dell'aria espirata, come ance membranose a cuscinetto,
con vibrazioni quasi perpendicolari alla direzione della
corrente aerea.
L'intensità del suono, naturalmente, dipende dalla forza
con cui l'aria espirata fa entrare in vibrazione le corde
vocali, mentre altezza e timbro dipendono dal grado di ten-
sione e dalle diverse modalità di contrazione dei muscoli
laringei, oltre che dalla lunghezza della corda (elemento
congenito dell'apparato vocale).
Al di sopra della laringe, abbiamo una lamina flessibile la
quale forma una sorta di coperchio mobile che serve ad im-
pedire agli alimenti di penetrare negli organi respiratori
e mette in comunicazione la laringe con la faringe.
Tale lamina si chiama epiglottide.
Il suono vocale prodotto nel sistema laringeo, viene poi
modificato nelle vie respiratorie superiori che comprendono
la faringe, la bocca (lingua, palato, arcate dentarie, lab-
bra) e le vie nasali (in particolare e soprattutto i seni
paranasali).
L'insieme di queste strutture forma un canale molto irrego-
lare, suddiviso in piccoli compartimenti liberamente comu-
nicanti.
Le vie respiratorie superiori si comportano come casse di
risonanza che rinforzano i suoni formatisi in laringe e ne
modificano il timbro consentendo una migliore e maggiore
formazione dei suoni armonici.
La faringe è un canale muscolare membranoso limitato in al-
to dalla base del cranio, in basso dalla parte superiore
dell'esofago; comunica con le fosse nasali, la bocca e la
laringe ed è destinata a ricevere quasi per prima la colon-
na d'aria vibrante.
Passando dalla faringe alla bocca, si incontra il velo pa-
latino che è una lamina mobile, membranosa, muscolare, in
cui termina il palato, che presenta due parti: l'anteriore
che appartiene alla bocca (ai suoi due lati le pieghe della
mucosa formano i pilastri anteriori del velo palatino) e la

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posteriore posta obliquamente, in basso ed all'indietro, al
cui centro pende una sporgenza carnosa detta ugola.
Dai margini dell'ugola partono altre due pieghe della muco-
sa dette pilastri anteriori del velo palatino.
Fra i pilastri anteriori e quelli posteriori, si trova una
incavatura che contiene le tonsille.
Tutto questo spazio prende il nome di istmo delle fauci.
La cavità nasale comprende le narici che comunicano con
l'esterno e le fosse nasali che comunicano con la faringe.
La bocca è l'organo che presiede alla articolazione delle
vocali e consonanti che si formano in essa per mezzo dei
vari movimenti della lingua, delle labbra e dei denti.
Al di sopra delle fosse nasali, ci sono le massime e fonda-
mentali casse di risonanza per la voce e cioè i seni para-
nasali che maggiormente determinano, a seconda della loro
strutturazione, il <colore> della voce.
Da ricordare inoltre che un'altra importante cassa di riso-
nanza per la voce, è costituita dalla cassa toracica la
quale è usata dalle voci maschili (registro di petto) o
dalle voci femminili per emettere suoni gravi di notevole
omogeneità, intensità e coloratura.

Caratteri delle voci


La classificazione delle voci si è imposta dopo un lungo
processo storico, anche se ogni classificazione può sempre
essere contraddetta da fattori non soltanto soggettivi.
Si devono tener presenti, inoltre, altri elementi, come
l'estensione, il timbro, il fatto che le voci più acute
(soprano leggero, ecc) hanno corde vocali più corte delle
voci gravi (contralto, ecc) o che, in particolare, il so-
prano leggero ha corde più sottili e meno larghe del mezzo-
soprano e del contralto, ecc. Da tutti questi disparati e-
lementi, deriva il presente quadro dei caratteri delle va-
rie categorie vocali che tiene conto anche delle consuetu-
dini.

Voci femminili
Soprano leggero - Limitato volume, timbro squillante, ten-
denza al virtuosimo, alla sfumatura. Facile il registro a-
cuto e sovracuto.
Sono tradizionalmente considerate adatte alla voce di so-
prano leggero le seguenti parti: Costanza (Ratto dal serra-
glio), la Regina della notte (Flauto magico), Lucia (Lucia
di Lammermoor), Amina (Sonnambula) e Gilda (Rigoletto).
Soprano lirico - Buon volume, calore espressivo, facile
cantabilità, sia dolce, sia passionale. Sono adatte al so-
prano lirico le parti: donna Elvira (Don Giovanni), Matilde
(Guglielmo Tell), Violetta (Traviata), Micaela (Carmen) e
Mimì (Boheme di Puccini).

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I registri della voce umana – I riquadri più scuri indicano
l’estensione normale delle singole voci; quelli bianchi le note
estreme cui ogni tipo di voce può arrivare, fermo restando che,
in realtà, ogni voce umana costituisce un caso a sé. (dalla En-
ciclopedia della Musica, Garzanti, 1996)

Soprano spinto o drammatico - Colore scuro, vigore timbri-


co, incisività drammatica. Sono adatte al soprano drammati-
co le seguenti parti: Medea (Medea), Norma (Norma) Leonora
(Trovatore), Tosca (Tosca), Santuzza (Cavalleria rusticana)
e Isotta (Tristano e Isotta).
Mezzosoprano e contralto - Colore scuro, spostamento della
gamma verso il grave, incisività, possibilità virtuosisti-
che, cantabili e drammatiche. Sono adatte al mezzosoprano e
contralto le seguenti parti: Cenerentola (Cenerentola),
Carmen (Carmen), Azucena (Trovatore) e Amneris (Aida).

Voci maschili
Tenore leggero - Limitato volume, timbro squillante, buone
possibilità nel virtuosismo e nel fraseggio sfumato. Sono
adatte al tenore leggero le seguenti parti: Don Ottavio
(Don Giovanni), Tamino (Flauto magico), il Conte d'Amalviva
(Barbiere di Siviglia di Rossini), Elvino (Sonnambula).
Tenore lirico - Buon volume per tutta la gamma, espressivi-
tà cantabile e passionale. Sono adatte al tenore lirico le
seguenti parti: Edgardo (Lucia di Lammermoor), il Duca di
Mantova (Rigoletto), Alfredo (Traviata), Faust (Faust), Ro-
dolfo (Boheme di Puccini) e Mario Cavaradossi (Tosca)
Tenore spinto o drammatico - Notevole volume e grande vi-
brazione timbrica incisività, qualche difficoltà nella can-
tabilità dolce e legata. Sono adatte al tenore spinto o
drammatico le seguenti parti: Manrico (Trovatore), Radames

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(Aida), Otello (Otello di Verdi), don Josè (Carmen), Des
Grieux (Manon Lescaut), Calaf (Turandot), Turiddu (Cavalle-
ria rusticana) e Tristano (Tristano e Isotta).
Baritono brillante - Timbro squillante, vivacità d'accento,
espressività dolce e virtuosismo abbastanza facile. Sono
adatte al baritono brillante le seguenti parti: Figaro
(Nozze di Figaro), Don Giovanni (Don Giovanni) Figaro (Bar-
biere di Siviglia di Rossini), Falstaff (Falstaff), Marcel-
lo (Bohème di Puccini) e Gianni Schicchi (Gianni Schicchi).
Baritono drammatico - Volume, vigoria timbrica e incisività
drammatica. Sono parti per baritono drammatico: Enrico (Lu-
cia di Lammermoor), Rigoletto (Rigoletto), Jago (Otello di
Verdi), Escamillo (Carmen), Scarpia (Tosca) e Tonio (Pa-
gliacci).
Basso comico o brillante - Più timbro che volume, tendenza
al virtuosismo, vivacità di accento. Si ricordano Leporello
(Don Giovanni); Don Bartolo (Barbiere di Siviglia di Rossi-
ni), Don Pasquale (Don Pasquale) e Colline (Bohème).
Basso profondo - Volume, nobiltà di accento, potenza nelle
note gravi: Sarastro (Flauto Magico), Zaccaria (Nabucco);
Mefistofele (Mefistofele di Boito); Sigfrido (Sigfrido) e
Wotan (L'oro del Reno).

45
APPENDICE

Musica & tecnologia


La riproduzione sonora

La prima volta che mi servii di un monoscopio,


esaminai un si bemolle di media grandezza.
Non ho, mai visto cosa più ripugnante
Erik Satie
Premessa

… la pittura eccelle e signoreggia la Musica, perché essa


non more immediate dopo la sua creazione, come la sventurata
Musica, anzi resta in essere…

Lo sosteneva Leonardo da Vinci nel suo Trattato di pittura.


La musica è arte intangibile, sfuggente. Il tempo la rende
inafferrabile, idealmente accostandola all’acqua dei fiumi:
entrambe scorrono via e non possono essere “afferrate”.
Nel Rinascimento si avvia dunque la ricerca e la produzione
di meccanismi musicali, che tuttavia, vantano illustri an-
tenati in epoca assai più antica.
Si possono citare, nella Babilonia del 600 a.C. i teraphim,
teste di cadaveri utilizzate dai caldei nei riti, veri e
proprio archetipi di “macchine parlanti”
Gli strumenti musicali, va osservato, hanno tutti una sto-
ria molto antica, anche se quelli in uso oggi sono il ri-
sultato di un graduale perfezionamento tecnico di loro an-
tenati dalla forma e dal sistema di produzione del suono
magari meno sofisticato e più limitato nelle sue potenzia-
lità
Di fatto, dal XVIII al XIX secolo non furono inventati
strumenti nuovi, ma solo perfezionati strumenti antichi.
La rivoluzione avviene alla fine del XIX secolo quando la
tecnologia entra nel mondo sonoro.
Il nuovo processo di “registrazione” porta una incredibile
ventata di novità. Non si tratta infatti solo di avere a
disposizione nuove apparecchiature (come si vedrà, via via
più sofisticate e complesse), ma di ripensare il rapporto
fra la musica e gli ascoltatori, fra il compositore e la
propria musica, fra gli interpreti e la musica stessa.

La registrazione – ha scritto Jacques Hains2 - è innanzitut-


to uno strumento di conservazione e di diffusione: essa ha
fornito alla musica un supporto materiale per trascendere il
tempo e ha abolito i confini spazio-temporali che la limita-
vano. Ma la registrazione è anche uno strumento di creazio-
ne: essa influenza i generi musicali esistenti e ne ha fatto

2
J.Hains, Dal rullo di cera al CD in Encicloipedia della Musica – Il Novecento vol.I

46
nascere di nuovi (musica da film, elettroacustica, rock, new
age ecc.).

La registrazione ha in taluni casi messo in crisi l’idea


del concerto, ma anche l’uso del fare musica nelle case,
offrendo un più comodo e meno faticoso (ma anche meno di-
vertente) sistema di ascolto.
Gli stessi compositori hanno a disposizione strumenti oggi
sofisticati che consentono loro un approccio all’atto crea-
tivo diverso rispetto al passato.
Lo stesso interprete ha trovato nel campo della registra-
zione un naturale sviluppo della propria carriera artisti-
ca.
Nasce in questo settore una nuova figura professionale,
quella dell’ingegnere del suono che diventa l’autentico re-
sponsabile del prodotto registrato, quale confluisce poi in
un disco, in un nastro, in un CD ecc.
La registrazione, inoltre, ha favorito la diffusione della
musica (come era accaduto, ad esempio, con la stampa per la
letteratura), la ricerca e l’archiviazione dei repertori
(ad esempio della musica a tradizione orale).

Le tappe nel campo della registrazione

1877 1900 1925 1950 1975 2000


Reg. acustica-----------microfono elettrico----------
Rullo di cera | | |
Disco a 78---------------- | |
Microsolco a 33 |
Magnetofono prof.
Stereofonia |
Cassetta |
CD

Le prime esperienze
La possibilità di registrare, di fissare una cosa così ef-
fimera come il suono aveva affascinato anche l’antichità.
Nel suo IV libro del Pantagruel (1548) Rabelais racconta
che i rumori e le grida di una battaglia combattutta duran-
te un inverno erano rimasti congelati per sciogliersi con
la primavera e farsi nuovamente riascoltare, sia pure scol-
legati dalla fonte originaria di emissione.
In Le courrier veritable (1632) gli abitanti di un paese
esotico comunicano attraverso spugne che assorbono le voci
e poi le lasciano andare quando vengono strizzate. Ancora,
nel 1657 Cyrano de Bergerac descrive in Histoire comique
des Etats et Empire de la Lune una scatola contenente un
meccasnismo ad orologeria che consentiva di ascoltare testi
e musiche.

47
Sono naturalmente tutte fantasie che dimostrano però
l’interesse per il problema.
Con i progressi dell’orologeria, vengono costruiti strumen-
ti in grado di suonare da soli. Si possono ricordare i tan-
ti tipi di carillons3, gli organetti di Barberia, i piano-
forti meccanici (in uso nel Novecento).
I meccanismi più antichi prevedevano un cilindro munito di
punte e roteante sotto la spinta di una molla o di una ma-
novella. Le punte, posizionate secondo un criterio preciso
sul cilindro, azionavano tasti o leve che producevano per-
tanto i suoni.

Alla fine dell’Ottocento si affermò il


“player piano”: si trattava di un mobile
montato su rotelle che veniva accoppiato
con una tastiera di un pianoforte e ne
azionava i tasti per mezzo di un sistema
pneumatico, davanti al quale si srotolava
un nastro di carta (largo circa 40 cm)
dove ogni perforazione corrispondeva a un
tasto. Veniva azionato per mezzo di due
pedali. Successivamente il meccanismo
venne direttamente montato sul pianofor-
te, nacque così la pianola, usata nei sa-
lotti per accompagnare i cantanti e come
elemento di attrazione e nei locali dove
anticipava il successivo juke-box: basta-
va inserire una monetina e si ascoltava
Organetto secondo 700 la musica.

Un ulteriore perfezionamento portò, nel


1904, una ditta tedesca (Welte) a co-
struire un pianoforte meccanico in grado
di registrare e di riprodurre la inter-
pretazione di un pianista. I grandi co-
struttori installarono il meccanismo di
lettura (Welte-Migno) accanto ai loro
strumenti, per cui in casa ci si poteva
divertire ascoltando i grandi interpreti
come se fossero nel proprio salotto. Organetto Herlich 900

3
Si può ricordare che un cilindro fonotattico, ovvero un rullo
di legno o di metallo sulla cui superficie sono infissi chiodi o denti
che nel corso di un movimento rotatorio agiscono sulla meccanica di
uno strumento cui è aplicato, esisteva già in epoca antico. Athanasius
Kirker, nella sua Musurgia universalis attesta che tale cilindro era
usato per l’esecuzione di toccate e di ricercari di Kerll e di altri
autori.

48
L’operazione ebbe un certo successo. Nel 1921, ad esempio,
Stravinskij firmò con Pleyel un contratto di sei anni per
la trascrizione su
pianola delle proprie opere.

Autopiano
Il fonografo
Nel 1877 Thomas Edison brevetta il fonografo, strumento che
per la prima volta permette di registrare la voce. Edison
aveva scoperto il proprio apparecchio per caso, mentre ten-
tava di registrare su un rotolo di carta i punti e le linee
dell’alfabeto Morse; rimase affascinato dai suoni che pro-
duceva lo scorrimento della carta e immaginò dunque una
nuova macchina che fece costruire al suo assistente John
Kruesi.
In un articolo pubblicato nel 1878 Edison elencava dieci
possibili utilizzi del nuovo apparecchio: la riproduzione
della musica figurava al quarto posto, dopo il suo impieto
come dittafono, come libro parlato per i ciechi e per
l’insegnamento delle tecniche della comunicazione in pub-
blico.

Nel fonografo si ritrovano in germe tutti gli elementi del-


le tecnologie posteriori. Un cilindro (rullo) è percorso
lungo tutta la sua superficie da un solco a spirale ed è
ricoperto da un sottile foglio di stagno; è inoltre attra-
versato in senso longitudinale da un albero che termina con
una manovella, la quale consente di far girare e avanzare
lateralmente il rullo davanti ad una sorta di imbuto dentro

49
cui si parla. L’estremità inferiore, più stretta di questo
imbuto è chiuesa da una membrana (o diaframma) posta in vi-
brazione per risonanza; sul diaframma è fissato un ago
(puntina) che poggia sul solco e incide avvallamenti e ri-
lievi a seconda delle vibrazioni. Quando si vuole ascoltare
la registrazione, si ricolloca la puntina all’inizio del
solco e si torna a far girare il rullo; la puntina ripassa
nel solco e stimolata da rilievi e avvallamento fa nuova-
mente vibrare il diaframma ricreando le vibrazioni origina-
li.

Fonografo Edison con tromba in legno (1909 ca.)

Trattandosi di uno strumento rudimentale, il fonografo di


Edison non fu preso molto sul serio dai musicisti e appli-
cato in altri settori, tanto che la Edison Phonograph Co.,
fondata nel 1878, lo propagandò soprattutto per dittafono
per uffici. Fu tuttavia una invenzione fondamentale perché
per la prima volta l’uomo era in grado di “fermare” il suo-
no.

Fonografo con motore elettrico a batterie.


Fu presentato a Parigi da Edison nel 1889
alla Esposizione Universale

50
Il grammofono di Berliner
Negli anni successivi, il fonografo di Edison fu sottoposto
a vari interventi da altri inventori e costruttori che cer-
vano di migliorarlo per renderlo più utilizzabile e commer-
ciabile. Il foglio di stagno, ad esempio, venne sostituito
con uno strato di cera; la rotazione del cilindro venne mo-
torizzata per garantire una maggiore regolarità (al motore
elettrico, più costoso, si preferiva al momento un meccani-
smo a molla che si ricaricava a mano), l’imbuto acquisì la
forma di una tromba in grado di captare e diffondere meglio
il suono.
Furono questi i fonografi impiegati nelle prime registra-
zioni “sul campo”, passo fondamentale verso la nascita del-
la moderna etnomusicologia. Nel 1899 fu effettiata la prima
registrazione presso le popolazioni amerindie
dall’americano Walter Fewkes. Nel 1902 Carl Stumpf fondò a
Berlino il primo archivio di musica non occidentale.
Nel 1887, intanto, Emil Berliner (1851 – 1929), un tedesco
emigrato negli Stati Uniti, sostituì il rullo di cera con
un disco, una sottile lamina di zinco di 12 cm ricoperta di
cera sulla quale veniva tracciato il solco a spirale: la
puntina vibrava orizzontalmente e non più verticalmente co-
me sul rullo il che consentiva di avere un supporto più
sottile. L’anno successivo, ancora Berliner inventò il si-
stema di duplicazione del disco tramite bagno galvanopla-
stico a partire da un’impronta negativa, la matrice. Dopo
aver perfezionato il meccanismo Berliner lo mise sul merca-
to nel 1896 insieme all’apparecchio lettore, il grammofono.

Il disco era collocato su un piatto che veniva messo in mo-


vimento da un motore a molla: dopo diversi esperiementi si
fissò la velocità di rotazione in 78 giri al minuto.
Tornato in Europa, Berliner fondò a Londra la “Gramophon
Company” che ebbe in Germania la sua filiale nella “Deu-
tsche Grammophon Gesellschaft, mentre negli Stati Uniti si
associò alla Victor. Nel 1899 la Gramophon acquisto un qua-
dro di Francis Barraud che rappresentava il fox terrier

51
Nipper con l’orecchio teso verso un grammofono per ricono-
scere “la voce del padrone”. Era nata un’etichetta destina-
ta a fare la storia della incisione discografica.
Il successo del disco sul cilindro dipende dalla possibili-
tà di contenere più musica, di poter essere inciso su ambe-
due le facciate, di poter essere riprodotto facilmente e di
essere meno ingombrante.

Dalla registrazione acustica a quella elettrica


Fino al 1925 la registrazione fu di tipo acustico, ovvero
senza l’intervento della elettricità. Il suono emesso dallo
strumento o dalla voce provocava la vibrazione della punti-
na che affondava nella cera, incidendola; parte
dell’energia andava perduta e il suono era impoverito; i-
noltre si rischiava di perdere le frequenze più alte e
quelle più basse. Era alquanto alto il rumore di sottofon-
do, la registrazione poteva durare al massimo 4 minuti e in
sede di registrazione si doveva cantare o su0onare a tutta
forza rivolti verso la tromba: più si era vicini e meglio
era, il che diventata limitante per qualche strumento (ad
esempio il pianoforte). Tutto ciò fece sì che nei primi an-
ni si registrava soprattutto musica commerciale mentre mol-
ti autori di musica “seria” si tenevano lontani dalla inci-
sione.
Fra i primi settori ad avvicinarsi al disco ci fu il jazz;
in questo caso il disco fu non solo un mezzo di propaganda
del genere, ma anche uno strumento di conoscenza e di ap-
profondimento per i jazzisti più giovani.
Nel campo classico, la voce si prestava più degli strumenti
e per questo vennero privilegiati i divi del canto. Fra i
cantanti coinvolti nelle prime registrazioni si ricordano
Adelina Patti, Nellie Melba, Emma Calvè, Fedor Šaljapin,
Emma Calvè, Francesco Tamagno. Nel 1902 registrò la propria
voce anche l’ultimo castrato, Alessandro Moreschi.
“Vesti la giubba” dai Pagliacci di Leoncavallo inciso nel
1903 da Enrico Caruso fu il primo disco a raggiungere il
milione di copie vendute.
Fra i grandi artefici di queste registrazioni ci fu Fred
Gaisberg (1873 – 1951) uno dei pionieri del disco, collabo-
ratore della Gramophon, “artist and repertory man”, nome
con cui si indicava allora quelloc hes arebbe diventato il
produttore o direttore artistico di una casa discografica.
Nel 1913 Arthur Nikisch, sul podio della Philharmonie di
Berlino incise per la prima volta una intera sinfonia, la
Quinta di Beethoven.
Nel 1923 in Inghilterra fu fondata la prima rivista che si
occupava di dischi, “The Gramophone”.

52
L’anno successivo ci fu una nuova rivoluzione tecnologica
con l’utilizzo dei microfoni elettrici messi a punto dai
laboratori della Bell Telephone negli Stati Uniti.
Nel microfono una sottile membrana metallica (diaframma)
viene messa in vibrazione dal suono ed esercita variazioni
di pressione su un materiale in cui circola una debole cor-
rente elettrica; gli impulsi elettrici, sotto forma di va-
riazioni di voltaggio riproducono l’onda sonora, costitui-
scono cioè il segnale che viene trasmesso lungo un filo me-
tallico, amplificato, poi trasmesso ancora all’apparecchio
di incisione.

L’intensità del segnale, visualizzata su un quadrante (mo-


dulometro) viene controllata manualmente per mezzo di un
potenziometro.

Grammofono a valigetta, Decca junior del 1930

Con questo tipo di microfono, la registrazione non dipende-


va più dalla potenza dell’immissione del suono.
La banda passante (estensione delle frequenze registrabili
compresa in precedenza fra 164 e 2088 Hertz passava a

53
100/5000 hertz, con un miglioramento anche nella definizio-
ne dei timbri.
Il microfono inoltre consentiva di percepire, sia pure in
una dimensione ancora contenuta, un senso di spazialità del
suono. Il microfono captava in prima istanza il suono di-
retto (e più la fonte era vicina e più il suono diretto ar-
rivava in quantità rilevante) e poi i suoni riflessi che
dipendevano dall’acustica della sala.
Fra le prime registrazioni con i microfoni elettrici (subi-
to adottati da tutte le case discografiche) si ricordano la
Danse macabre di Saint-Saens diretta da Leopold Stokowski
con la Philadelphia Symphony e “Pini di Roma£ di Respighi
con Toscanini.
Aumentava la qualità del suono e aumentavano naturalmente
anche le responsabilità dei tecnici del suono, anche perché
era ora possibile lavorare sulle dinamiche e mettere in e-
videnza un strumento invece di un altro.
Nel 1927 venne inventato un mezzo per fissare il suono su
una pellicola cinematografica. Il pianista o l’orchestrina
che prima suonavano dal vivo per commentare il film e co-
prire il rumore della pellicola andavano in pensione: una
cellula fotoelettrica ora leggeva l’informazione audio
tracciata sulla banda sonora della pellicola e la converti-
va i corrente che alimentava gli altoparlanti.
Il primo film sonoro fu The jazz singer con Al Jolson.
La nuova invenzione creò un nuovo genere musicale, quello
della colonna sonora. E diversi grandi compositori
dell’epoca si gettarono nella avventura cinematografica:
basta ricordare Saint-Sanes, Satie, Prokof’ev Copland. Non
tutti furono d’accordo: basta ricordare le forti critiche
di Stravinskij alla sua Sacre inserita in Fantasia di Walt
Disney.
Negli anni successivi Arthur Schnabel registrò l’integrale
delle Sonate di Beethoven, Albert Schweitzer l’integrale
per organo di Bach. Pablo Casals le Suites per violoncello
di Bach, Wanda Landowska le Variazioni Goldberg sul clavi-
cembalo.

La nascita del LP
Il 1° agosto 1942 140mila membri dell’American Federation
of Musicians dichiararono uno sciopero nazionale contro le
case discografiche. L’uso dei dischi nei locali pubblici
lasciava a casa i musicisti e l’Associazione chiese e ot-
tenne il versamento di una tassa per ogni disco venduto.
Nel 1945 la Decca brevettò un nuovo procedimento (Full Fre-
quency Range Recording, FFRR) che consentiva di registrare
e riprodurre tutte le frequenze udibili dall’uomo garanten-
do pertanto una riproduzione praticamente perfetta.

54
Tre anni dopo la Columbia mise sul mercato il long playing,
in grado di contenere dai 20 ai 30 minuti a facciata. Va
ricordato che in precedenza la Messa in si minore di Bach
richiedeva 17 dischi e una sinfonia ne occupava almeno 4.
Adesso una sinfonia stava in un solo disco. I nuovi LP era-
no in vinile, più flessibile e resistente della gommalacca
in scaglie dei vecchi 78. La velocità fu ridotta a 33 e 1/3
giri al minuto.

La RCA rispose alla Columbia con un di-


sco più piccolo a 45 giri che trovò poi
ampia applicazione nella musica leggera
(juke-box).
Si iniziarono allora a costruire gira-
dischi in grado di produrre tre veloci-
tà: 78, 45 e 33 (alcuni anche a 16, per
dischi assai più rari).

Juke-box anni Cinquanta

Magnetofono e nastro magnetico


La registrazione magnetica era stata realizzata per la pri-
ma volta nel 1898 dal danese Valdemar Poulsen: il suo “Te-
legraphon” magnetizzava un filo d’acciaio. Gradualmente
vennero apportate migliorie e dopo la guerra la società
statunitense 3M produsse un nastro magnetico che scorreva
alla velocità di 19 cm/s. Questa velocità fu assunta come
standard mentre apparecchi amatoriali utilizzavano la velo-
cità di 9,5 cm/s.

Nel magnetofono una sottile pellicola di materia plastica


rivestita di ossido di ferro (il nastro magnetico) scorre a

55
velocità costante davanti a un elettromagnete (testina ma-
gnetica) nel quale circola corrente elettrica amplificata
proveniente dal microfono. Le variazioni della corrente im-
primono sul nastro analoghe variazioni di carica magnetica.
Al momento della lettura, il nastro ripassa davanti alla
testina che riproduce le stesse variazioni di corrente che
vengono incanalate verso l’altoparlante. Naturalmente mag-
giore è la velocità di scorrimento, più alta la qualità
della registrazione. Il nastro può essere cancellato.
Il nastro apportò una vera e propria rivoluzione nel mondo
della registrazione. Rispetto ai dischi, durava molto di
più e consentiva pertanto sedute di registrazione più lun-
ghe e continuative. In più consentiva di riascoltare imme-
diatamente dopo la registrazione quello che si era fatto;
ancora, il contenuto poteva essere copiato per mezzo di un
secondo magnetofono.

Registratore Nagra (1950 ca.)

Era possibile in fase di editing del suono aggiungere ri-


verbero o filtri per controllare la qualità. Il montaggio
era più semplice: un nastro può essere tagliato per cui si
potevano prendere le parti migliori senza particolari dif-
ficoltà e magari mixare due nastri magnetici, copiandoli
simultaneamente, sovrapponendo pertanto suoni differenti
con una vasta possibilità di produzione di effetti specia-
li. Infine era possibile effettuare registrazioni su più
piste ovvero registrare in fasi successive e poi sovrappor-
re le varie registrazioni effettuate.

La stereofonia
Nel 1931 il fisico inglese Alan D.Blumlein brevettò il pri-
mo disco stereofonico, mentre due anni dopo la EMI avviò
una ricerca nel campo che rimase però alquanto infruttuosa.
Nel 1940 Walt Disney usò effetti stereofonici in Fantasia.
La stereofonia iniziò tuttavia in maniera ufficiale il pro-
prio cammino nel 1958.

Il nuovo sistema – ha scritto Hains - crea un’illusione di


spazio sonoro giocando sulla fisiologia uditiva, proprio co-

56
me la prospettiva in pittura crea un’illusione di spazio vi-
sivo.

La stereofonia crea davanti all’ascoltatore una scena vir-


tuale, limitata in larghezza dai due altoparlanti e senza
limiti di profondità, sulla quale le fonti sonore appaiono
fisse oppure in movimento.
Nella musica classica la stereofonia è generalmente utiliz-
zata per ricostruire acusticamente la disposizione ideale
dei musicisti in orchestra.

Posizioni estreme: polemiche


Di fronte al disco, alla registrazione gli artisti assunse-
ro spesso posizioni diverse e contrastanti.
Il pianista Glenn Gould, ad esempio, difese a spada tratta
il disco: preferiva incidere piuttosto che esibirsi dal vi-
vo, partecipava al montaggio dei suoi dischi.
Accanto a Gould si schierò John Culshaw, produttore di
grande rilievo che fra il 1959 e il 1966 realizzò una co-
lossale incisione della Tetralogia con Georg Solti sul po-
dio dei Wiener Philharmoniker. I fautori del disco conside-
ravano la registrazione una forma di interpretazione: lo
studio di registrazione diventava in questa ottica uno
strumento musicale le cui risorse venivano poste al servi-
zio dell’arte.
In posizione opposta Sergiu Celibidache secondo il quale la
musica sinfonica ha bisogno di una vasta sala e la riprodu-
zione in una piccola sala di incisione non può in ogni caso
essere fedelmente corretta.
Tema di discussione, naturalmente, soprattutto il montag-
gio. Per alcuni garantisce il raggiungimento della perfe-
zione, per cui è uno strumento essenziale. Per altri rende
il disco artificioso. In questo senso c’è chi preferisce
l’incisione live, con i colpi di tosse ed eventuali errori
che garantiscono tuttavia la definizione del disco come do-
cumento di un evento, un modo per fissare una incisione
storica.
Nella polemica intorno al montaggio entrò lo scandalo Fla-
gstad-Schwarzkopf, raccontato in un suo libro da Culshaw4:

All’inizio degli anni Cinquanta la EMI registrò il Tri-


stano e Isotta di Wagner sotto la direzione di Furtwa-
engler. Questa fu e rimane tuttora una notevole inter-
pretazione. Ma per una ragione o per l’altra, al sopra-
no Kirsten Flagstad (Isotta) era mancato il coraggio o
la capacità di cantare i do sovracuti previsti dalla
sua parte nel momenti in cui i due amanti si incontrano

4
J.Culshaw, Ring Resounding, 1967 in Hains, op. cit.

57
per la prima volta (atto II). Si era perciò convocata
Elisabeth Schwarzkopf, la cui voce, grazie alle magie
dello studio, si era sostituita a quella della Flagstad
in quelle due note soltanto. All’ascolto nessuno si ac-
corse di niente e la storia rimase segreta fino a quan-
do non esplose un anno più tardi a causa
dell’indiscrezione di un dipendente, facendo il giro
delle prime pagine; alcune critici d’opera ostili alla
tecnologia se ne impadronirono e diedero sfogo alla lo-
ro indignazione gridando che questa volta si era esage-
rato.

Musicassette
Nel 1963 al nastro e al disco si affianca un nuovo sistema,
quello della musicassetta. Piccola e maneggevole, la cas-
setta ideata dalla Philips evita il riavvolgimento manuale
del nastro e, grazie ai nuovi apparecchi portatili immessi
nel mercato nel 1979 dalla Sony, può essere ascoltata anche
camminando. Pur essendo meno professionale e meno sicura
sul piano della qualità, la musicassetta presenta indiscu-
tibili vantaggi pratici, dalla maneggevolezza, alla possi-
bilità di copiatura, alla opportunità di utilizzarla per
riversare dischi ecc.

Il suono sintetizzato
Il Dynamophone o Telharmonium è il capostipite degli stru-
menti musicali elettronici. La sua costruzione, ad opera
dell’america Thaddeus Cahill, risale all’inizio del Nove-
cento. L’apprecchiatura era costituita da un gruppo di ge-
neratori (alcune dinamo del peso di alcuni quintali ciascu-
na) che producevano correnti alternate a diverse frequenze.
L’obbiettivo era ridurre elettricamente musica da distri-
buire via cavo. Non vi erano però i mezzi tecnici per rea-
lizzarlo e lo strumento fu accantonato. Da lì iniziò però
un cammino che avrebbe portato decenni dopo al Moog (ta-
stiere elettroniche create da Robert Moog), il primo sinte-
tizzatore (ovvero un dispositivo capace di generare, mani-
polare e controllare elettronicamente un suono senza dipen-
dere da un generatore acustico esterno) di interesse per un
musicista. In mezzo ai due apparecchi si collocano altre
esperienze: si citano nel Onde Martenot (1928), il Partitu-
rophon (1930, primo esempio di strumento polifonico dotato
di cinque tastiere), il Trautonium di Tratwein (1930) che
propone un ampio repertorio di timbri.

La digitalizzazione
Proprio nel 1979, quando la Sony immetteva nel mercato i
lettori di musicassetta, la tecnologia faceva un nuovo bal-

58
zo in avanti introducendo negli studi di registrazione il
processo digitale. Nello stesso anno ancora la Philips pre-
sentava il compact disc. Il CD si impose sul mercato a par-
tire dal 1986.
La registrazione digitale non interviene nella prima parte
(il suono captato dai microfoni) né nella parte conclusiva
(la riproduzione da parte degli altoparlanti), bensì nei
processi intermedi.
Nella registrazione analogica, l’onda sonora viene succes-
sivamente convertita in diversi stati, ognuno dei quali è
una sua rappresentazione (un’analogia), più fedele possibi-
le. Ma ciascuna di queste conversioni rischia di far perde-
re un po’ di qualità al suono.

Nella registrazione digitale l’onda sonora, una volta tra-


sformata in segnale elettrico è misurata a scala infinite-
simale e tradotta in numeri binari (sequenze di 1 e di 0).
Il segnale audiodigitale, un flusso di 1 e di 0 che scorre
ad altissima velocità (fino a 800.000 unità al secondo)
viene registrato su nastro magnetico in forma assai sem-
plice: un impulso = 1, assenza di impulso = 0. Da quel mo-
mento il segnale non subisce più alcuna modifica fino a
quando non sarà riconvertito in segnale analogico dal let-
tore laser dell’ascoltatore.

Sul CD il segnale audiodigitale viene inciso sotto forma di


microscopici alveoli (fino a 5.000 per cm) secondo il codi-
ce binario: 1 alveolo = 1, assenza di alveolo = 0. Il CD,
al pari del disco in vinile, viene copiato industrialmente
mediante bagno galvanoplastico. Il letto non tocca il CD ma
lo legge con un fascio di raggi laser.

59
Il CD garantisce una più alta qualità di suono, riducendo
ad esempio al minimo i rumori di fondo.

Informatica musicale
L’informatica ha naturalmente un ruolo sempre più importan-
te in campo musicale. In particolare due sussidi informati-
ci fondamentali sono oggi als ervizio dei musicisti, il
campionatore e il sequencer. Il primo, pur con i limiti di
una massiccia richiesta di memoria informatica, è un vero e
proprio registratore digitale che consente operazioni di
montaggio e di trasformazione del suono (altezza, timbro,
volume). Il sequencer consente di attivare uno strumento
musicale, funzionando come un programma di scrittura elet-
tronica (word processor).

La rivoluzione dell’MP3
Alla fine degli anni Novanta, a circa 40 anni dalla rivolu-
zione apportata da Peter Carl Goldmark con l’invenzione
dell’Lp quale sostituzione dei vecchi 78 giri, è scoppiata
un’altra rivoluzione destinata a cambiare sensibilmente le
modalità di ascolto e di archiviazione dei suoni.
Ha scritto Giovanni Valerio su Tuttoscienze del 19 agosto
1998 (Algoritmi e musica compressa):

[…] Su internet il suono ha vestito finora i panni di Cene-


rentola tra i diversi contenuti multimediali offerti dalla
rete. Mentre è facile scaricare testi o immagini fisse, fi-
no a poco tempo fa, per trasferire una canzone di tre minu-
ti, erano necessarie ore di collegamento e decine di
megabyte liberi nella memoria del computer. Ora non è più
così, grazie agli algoritmi di compressione digitale […]
Negli ultimi anni, gli algoritmi di compressione hanno fat-
to miracoli. Mentre il popolo di Internet stava ammirando
le potenzialità dell’ormai famoso RealAudio e del più re-
cente Streamworks, si è fatta strada Mpeg3. E’ la terza
versione di Mpeg (Motion Picture Expert Group) e può essere
usato sia per audio che per video: per il computer e la re-
te, non fa nessuna differenza. Inaspettatamente Mpeg3 è na-
to lontano dai laboratori di ricerca internazionali che
hanno elaborato i precedenti Mpeg: l’ha messo a punto uno
studente di Zagabria, Tomilsav Uzelac. Ma i risultati sono
davvero incredibili. I file audio compressi con questo si-
stema hanno la stessa qualità di quelli Waveform (usati di
solito nei Pc) con un ingombro ridotto del 90%. Ciò signi-
fica che si può registrare un intero CD occupando solo 67
Mb di disco fisso, invece dei soliti 670. E senza perdere
qualità.

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