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Vincenzo Raddato
INTRODUZIONE:
Gli strumenti a fiato sono degli strumenti musicali definiti Aerofoni Risonanti.
Il suono è prodotto attraverso la vibrazione dell'aria all'interno dello strumento e proveniente dal
fiato del musicista che ci soffia all'interno.
Si tratta quindi di strumenti musicali in cui una colonna d'aria vibra all'interno di un tubo sonoro.
L'altezza del suono è determinata dalla lunghezza del tubo e dalle modifiche manuali della effettiva
colonna vibrante dell'aria. Tali tubi sonori possono essere aperti o chiusi e questa organologia va a
modificare profondamente il comportamento vibratorio dell'aria.
Nella cultura occidentale gli strumenti a fiato (detti anche brevemente "fiati") vengono spesso
classificati con le denominazioni storiche di LEGNI e OTTONI, basate appunto sui materiali di
costruzione (con le dovute eccezioni che vedremo in seguito).
Benchè esistano altre e più recenti forme di classificazione, noi proseguiremo all'interno di questa
tesina con questa classificazione, che ad oggi è ancora la più utilizzata all'interno delle nostre
orchestre.
LEGNI
Sono aerofoni in cui il suono viene prodotto attraverso un'imboccatura ad ancia (semplice o doppia)
o attraverso un foro d'imboccatura.
Tra i legni più impiegati in orchestra annoveriamo:
Ottavino e flauto;
Oboe e corno inglese;
Clarinetti;
Fagotto e controfagotto;
Sassofoni (raramente presenti nelle orchestre sinfoniche, ma fondamentali nelle orchestre di
fiati)
Si chiamano così perché originariamente il loro corpo era realizzato primariamente in legno.
Sin d'ora è il caso di precisare l'apprartenenza a questa famiglia di Flauti e Sassofoni che
all'apparenza, se ci soffermassimo sul materiale da cui sono costituiti, non considereremmo Legni.
I flauti oggi sono quasi sempre costruiti in metallo pregiato (aplacca placcata in argento, argento,
oro, platino), ma sono ancora utilizzati flauti in legno duro come avveniva in passato.
I Sassofoni rientrano tra i legni e non tra gli ottoni poiché, sebbene il corpo dello strumento sia
normalmente di metallo (spesso proprio di ottone), ha tra i suoi antenati il flauto ed il clarinetto da
cui ha ereditato la struttura, ma non il materiale; infatti il suo inventore l'ha creato partendo dalla
forma del clarinetto basso e l'ancia semplice che permette di produrne il suono è in legno, da cui
l'appartenenza a tale famiglia.
Ma ciò che accomuna tutti i legni è il metodo in cui si produce il suono. Qui la colonna d'aria varia
in proporzioni vibratorie attraverso l'apertura di fori controllati dalle dita dell'esecutore o per mezzo
di chiavette.
OTTONI
Sono strumenti musicali fabbricati in ottone e nei quali il suono è prodotto dalla vibrazione dell'aria
immessa dal musicista appoggiando le proprie labbra ad un bocchino (una minuta struttura a forma
di imbuto) e che trasmette le vibrazioni alla colonna d’aria presente all’interno del tubo cavo ad
esso collegato. A vibrare, quindi, sono le labbra dell'esecutore.
Gli ottoni si dividono in tre grosse categorie che comprendono tutti gli strumenti più importanti
appartenenti alla famiglia:
corni
trombe e tromboni
flicorni
Nella sotto famiglia dei flicorni è inclusa la tuba, altro strumento molto diffuso in orchestra che
copre i registri più bassi.
Aerofoni dal suono brillante e potente, a volte persino esplosivo, ma non di rado capaci di creare
anche atmosfere molto dolci ed evocative. Una famiglia molto ampia, formata da parenti di
dimensioni e forme diverse.
Regolazione dell'altezza dei suoni negli ottoni:
Le differenti note vengono prodotte allungando fisicamente la colonna d'aria all'interno dello
strumento e i suoni armonici vengono variati proprio con le labbra.
A differenza dei legni, per riprodurre note più o meno alte gli ottoni non sfruttano i fori, ma un
sistema a valvole azionate da pistoni. I pistoni deviano l’aria in condotti secondari: modificando il
suo percorso all’interno del tubo, l’aria produce così note di altezza diversa.
Gli ottoni producono una serie di note – gli armonici – la cui frequenza ha un preciso rapporto
matematico con quella fondamentale.
La fondamentale è la nota più grave che il tubo stesso può produrre. Se si aumenta la pressione,
con l’aumento delle vibrazioni del labbro dell’esecutore, la colonna d’aria vibrerà più velocemente
producendo note le cui frequenze sono multipli matematici della fondamentale. La fisica degli
ottoni è complessa, infatti un tubo sonoro da solo non può produrre tutte le note della scala ma solo
una certa quantità, che sono matematicamente legate alla prima.
Di seguito è riportata una tabella in cui sono indicati alcune serie di suoni producibili relazionati
agli armonici, senza l'utilizzo degli attuali pistoni (valvole che modificano la lunghezza del tubo
sonoro).
Il primo armonico è detto fondamentale, gli altri 2° armonico, 3° armonico, 4° armonico e così via.
Generalmente la serie degli armonici ha un pratico inizio dal secondo armonico (suono 2), e
soltanto alcuni strumenti a tubo stretto, come ad esempio il corno, possono raggiungere, o anche
superare, i suoni 12 – 14.
Gli strumenti antichi, fino ai primi dell’800 potevano infatti produrre solo un numero limitato di
note, con la sola eccezione del trombone, che già nel ‘500 era munito di una parte del tubo
scorrevole, chiamata “coulisse” – in italiano, “tiro” – che permetteva di allungare o accorciare il
tubo dello strumento a piacimento.
Osservando con attenzione la serie degli armonici è possibile notare che salendo verso l’acuto il
loro numero aumenta. E’ per questo che già nell’antichità le trombe naturali,riuscivano a
destreggiarsi avendo una sufficiente quantità di note a disposizione. Nel corno non era così ed i
cornisti dovevano utilizzare la mano nel padiglione che permetteva di modificare il suono, creando
la scala, ma con limiti di uniformità nel timbro e nell'accordatura.
Pistoni:
Per risolvere il problema derivante dalla mancanza delle note, anzichè utilizzare uno strumento
diverso per ogni composizione, Heinrich Stoelzel ideò il sistema a pistoni negli ottoni.
Il costruttore tedesco, applicò per la prima volta delle speciali valvole, che noi chiamiamo pistoni,
capaci di mettere in collegamento il tubo principale con altri piccoli tubi secondari allungando così
l’intero canneggio dello strumento.
Tre pistoni sono già sufficienti per ottenere tutte le combinazioni che servono per avere una scala
cromatica completa. Ogni combinazione di tasti abbassa la nota di base della serie degli armonici in
un determinato modo. Ad esempio premendo il 1° tasto di una tromba si abbassa di un tono,
premendo il 2° si abbassa di un semitono, premendo il 3° di un tono e mezzo. Abbassando il 1° e 2°
pistone contemporaneamente, è come se si abbassasse soltanto il 3°.
Montando tre pistoni è possibile quindi ottenere altre sei posizioni che permettono di ottenere tutte
le note.
Per esempio: se suono un armonico naturale FA, col 2° avrò MI, col 1° MIb, col 3° RE, ecc. Se
suono un armonico naturale Do, col 2° avrò SI, col 1° SIb, ecc… si tratta solo di allungare il tubo
aggiungendone un altro pezzo.
Nei corni francesi (gli attuali corni) al posto dei pistoni ci sono i cilindri (sono simili ai pistoni ma
ruotano orizzontalmente invece di scorrere verticalmente)
Spaccato di un cilindro
Per il trombone a tiro, comegià detto, è la coulisse a modificare la lunghezza del tubo.
Molto spesso leggendo in partitura gli strumenti a fiato, troveremo scritte note che non
corrispondono alle altezze realmente ascoltabili e tonalità differenti da quella d'impianto.
Ciò avviene perché questi strumenti seguono una convenzione di lettura differente.
Questa apparente complicazione ha una motivazione sia storica, che va ricercata nel'organologia
di questi strumenti (nei ritorti applicati anticamente agli ottoni - ai corni in particolare - e
nell'assenza di chiavi nei legni antichi), nochè moderna legata sia ad una comodità di posizioni
negli attuali strumenti a fiato che ad una questione timbrica.
I legni antichi (senza chiavi) erano costruiti secondo una determinata scala naturale, che otteneva
aprendo in sequenza i fori sotto le dita. Anche con l'introduzione delle chiavette, questa rimane la
scala più facile da suonare: più ci si allontana da essa, più la tecnica si fa complessa. Per fare un
esempio, esistono clarinetti soprani costruiti sulla scala naturale di Si bemolle (per cui la scala più
spontanea è quella con due bemolli) e sulla scala naturale di La (per cui una scala con tre diesis è la
più spontanea). Discorso analogo per gli ottoni.
Lo stesso strumentista cambiava strumento a seconda della tonalità del brano: se in orchestra si
suona spesso in tonalità con diesis (favorite dagli archi) userà lo strumento in La, se suonerà in
banda, userà quello in Si bemolle, perché la massima parte degli strumenti bandistici è a sua volta
costruita su scale naturali con bemolli.
Normalmente, i vari suoni di questa scala naturale sono comunque scritti come suoni della scala di
Do, per semplificare la vita al musicista nel momento in cui deve cambiare lo strumento, in quanto
accomunati dalle stesse posizioni.
Prendendo ad esempio i clarinetti, la ragione per cui non leggono le note reali è che questo
facilita i clarinettisti che usano diversi clarinetti (in SIb o soprano, in MIb o piccolo, in LA).
Molti clarinettisti si trovano prima o poi a suonare diversi strumenti della famiglia dei clarinetti,
intonati in diverse chiavi, i quali però condividono lo stesso sistema di digitazione, cioè le stesse
posizioni per le varie note.
Per esempio, leggendo sul pentagramma il SOL 3 (sotto il pentagramma), il clarinettista lo suonerà
lasciando tutti i fori aperti, indipendentemente dal clarinetto che sta utilizzando.
Ovviamente quel SOL letto produrrà una nota reale diversa sui diversi clarinetti (su quello in SIb
sarà infatti un FA reale, mentre sul clarinetto in MIb alcolteremo un SIb).
Se i clarinettisti leggessero direttamente le note reali sul clarinetto, dovrebbero imparare un sistema
di posizioni differente per ognuno dei clarinetti.
Altro esempio è legato ai corni. In passato i cornisti erano costretti a cambiare i ritorti ad ogni
cambio di tonalità proprio perchè non erano strumenti cromatici e dovevano modificare la nota
fondamentale e quindi di conseguenza gli armonici producibili, ma non le posizioni per produrle.
Il vantaggio di mantenere questa convenzione di strumenti traspositori permette all'esecutore di
cambiare strumento (all'interno della stessa famiglia) facendo sempre corrispondere ad una nota
scritta la stessa posizione delle dita, indipendentemente dal risultato reale. Stesso discorso vale per i
sassofonisti che riescono, con le stesse posizioni, a suonare i diversi sassofoni, pur producendo note
d'effeto molto diverse da quelle lette sullo spartito.
Alcuni strumenti a fiato sono traspositori di ottava: questo significa che le loro note vengono scritte
un'ottava più in alto o più in basso rispetto al suono reale, questo per evitare parti scritte con troppi
tagli addizionali. Si tratta, ad esempio dell'ottavino, del clarinetto basso, del controfagotto, del sax
tenore e del sax baritono.
Di seguito un piccolo riassunto realizzato con il software Finale 2012 in cui nella prima colonna si
fa riferimento ad un "teorico" Do centrale del pianoforte (DO 4), nella seconda colonna i suoni in
estensione con il miglior rendimento sonoro che leggeremmo sullo spartito e nella terza colonna la
trasposizione in suoni reali. Purtroppo in alcuni casi, nella terza colonna non è stato possibile
inserire la chiave di basso o quella di tenore, come sarebbe stato più opportuno.