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Elaborato di

Laura Terrile (allieva I anno)

su

“L’acustica per il musicista”


di Zanibon, Righini

L’acustica è una disciplina scientifica che si occupa delle caratteristiche dei


suoni, cioè studia come gli effetti sonori si producono e si propagano, opera
sulla scala logaritmica dei decibel [db].

Il suono
Il suono è un fenomeno fisico che stimola il senso dell’udito: esso è provocato
dal rapido movimento (vibrazione) di un qualsiasi corpo (una corda, un
elastico, un pezzo di legno, una colonna d’aria, ecc.).

La propagazione sonora
Il suono è un fenomeno fisico, non un oggetto. Per esistere ha bisogno di una
sorgente, cioè di un corpo vibrante e di un mezzo elastico di propagazione in
cui le onde possano viaggiare. Aria, acqua, legno, metalli, cemento, mattoni e
vetro possono vibrare e propagare le onde sonore.
All'origine del suono c'è un corpo vibrante. Vibrando, questo corpo trasmette le
proprie vibrazioni al mezzo che lo circonda (nel nostro caso, l'aria). L'energia
sonora, quindi, è un'energia meccanica (o cinematica) che, partendo dalla
sorgente, si irradia sotto forma di onde attraverso il mezzo di propagazione
fino all'ascoltatore, senza trasporto di materia.
I suoni sono onde create da vibrazioni ottenute in migliaia di modi diversi, che
generano una variazione di pressione che si propaga all’interno di un mezzo
materiale senza trasporto di materia, (ad es. Nel vuoto non c’è suono).

La sorgente sonora e il suo modello


Per comprendere l’origine fisica del suono consideriamo un pistone che oscilla
periodicamente grazie ad un albero rotante; il rapido succedersi di
compressioni ed espansioni genera un movimento delle particelle del mezzo
elastico: le particelle mosse dal pistone provocano, grazie a una reazione a
catena, il movimento delle particelle contigue che generano onde meccaniche
di tipo longitudinale. Mentre le singole particelle oscillano continuamente
attorno alla loro posizione iniziale (moto locale) l’onda generata si muove a
velocità costante (moto d’assieme). Il moto delle particelle genera l’onda ed il
suono si propaga sotto forma di onda sonora. Le onde sonore prodotte
provocano dei movimenti periodici delle molecole d’aria formando strati
alternati di aria compressa e rarefatta che si propagano in tutte le direzioni fino
ad arrivare al nostro orecchio; lo stesso accade quando si parla, poiché si
sposta una quantità finita di aria.
I fenomeni vibratori

Riflessione
Quando un’onda sonora incontra un ostacolo può accadere che lo superi, o
venga assorbita o riflessa. La riflessione avviene quando un’onda sonora
incontra un ostacolo di grandi dimensioni e rimbalza all’indietro. La legge della
riflessione è uguale per tutti i tipi di onde e ci dice che l’angolo di incidenza è
uguale all’angolo di riflessione.

Rifrazione
Consideriamo un’onda sonora che parte da terra, quando il suo fronte
raggiunge una certa quota diminuisce la sua velocità , mentre la parte
dell’onda che si propaga a bassa quota
continua a propagarsi con la stessa
velocità. Il fronte si curva quindi verso
l’alto. Quindi a terra vi è la possibilità che
ad una certa distanza il suono non giunga
affatto. I «raggi» sonori sono stati quindi
portati verso l’alto per rifrazione.

Interferenza
Alla base dell’interferenza vi è il principio della sovrapposizione; in ogni punto
in cui 2 onde della stessa natura incidono contemporaneamente l’oscillazione è
data dalla somma algebrica delle oscillazioni delle 2 onde incidenti prese
separatamente. Esistono 2 tipi di interferenza; interferenza costruttiva
(incontro fra 2 gole o 2 creste) e interferenza distruttiva (incontro fra una
cresta e una gola).

Diffrazione
Quando un'onda incontra sulla sua strada un ostacolo o è costretta a passare
attraverso una piccola fenditura, manifesta un comportamento peculiare: essa
(e con essa l'energia che trasporta) è in grado di raggiungere anche punti che
non sarebbero raggiungibili se la propagazione avvenisse per raggi d’onda
rettilinei. È come se l'onda si "rompesse" e si ricomponesse, sparpagliandosi, al
di là dell'ostacolo o della fenditura. Quando un suono incontra un ostacolo, la
sua capacità di aggirarlo dipende dal rapporto tra la dimensione dell'ostacolo e
la lunghezza d'onda del suono.

Effetto Doppler
l'effetto Doppler è un fenomeno fisico che consiste nel cambiamento, rispetto
al valore originario, della frequenza o della lunghezza d’onda percepita da un
osservatore raggiunto da un’onda emessa da una sorgente che si trovi in
movimento rispetto all'osservatore stesso.

Il Pendolo
Se accelerazione di gravità, velocità iniziale e direzione iniziale del filo sono
complanari il pendolo oscilla in un piano verticale, descrivendo in particolare
una traiettoria circolare, a causa dell'inestensibilità del filo.
In condizioni di riposo, la forza di gravità che agisce sul pendolo è equilibrata
dalla reazione del vincolo, ossia dal filo che trattiene la massa.

Se questa viene spostata lateralmente, tenendo il filo sotto tensione, il sistema


acquista energia potenziale. Sostituendo al pendolo il corpo elastico di una
sorgente sonora, come una corda di violino, potremo parlare di ampiezza della
vibrazione (in luogo dell’ampiezza dell’elongazione) e di intensità del suono (in
luogo della quantità di energia restituita).

Il pendolo viene spostato dalla sua posizione di riposo per essere portato verso
un altro punto, dove avrà inizio il suo movimento oscillatorio.
Una volta lasciato, il pendolo scende con velocità crescente verso il punto
iniziale, trasformando l’energia potenziale in energia cinetica che gli consentirà
di risalire, con velocità decrescente, verso la posizione opposta a quella di
partenza, raggiunta la quale invertirà il movimento scendendo di nuovo verso il
punto iniziale, transitandovi e risalendo verso il secondo punto, dove avrà
termine il primo periodo del movimento oscillatorio, al quale seguirà un altro
periodo, etc etc, sino a quando il graduale smorzamento delle oscillazioni avrà
ricondotto definitivamente il pendolo allo stato di riposo. Il graduale
smorzamento implica un graduale rallentamento della velocità di elongazione
(oscillazione), mantenendo però inalterato il tempo impiegato per compiere
ciascuna oscillazioneLa legge dell’isocronismo pendolare venne scoperta da
Galileo Galilei verso il 1580. Le oscillazioni si svolgono (all'incirca) tutte nello
stesso tempo, a prescindere dalla loro ampiezza.
Il periodo di oscillazione cresce con la radice quadrata della lunghezza del
pendolo: dunque, un pendolo lungo oscilla più lentamente di uno corto.
La quantità delle vibrazioni nell’unità di tempo viene detta frequenza e la sua
unità di grandezza è l’Hertz (Hz). Se una vibrazione acustica ha la frequenza di
440 Hz vuol dire che compie 440 periodi (cicli completi) al secondo. Il Ritmo
La definizione di ritmo che è stata proposta al Gruppo di Lavoro per l’Acustica
Musicale per un vocabolario per la unificazione della terminologia:
“il ritmo musicale è l’ordinata successione delle unità di tempo che, sulla base
della misura assunta, regolano le accentuazioni periodiche dei suoni”
Definizione di metrica per il medesimo vocabolario: “la metrica, che anche in
musica è scienza delle misurazioni, è quella parte della tecnica e della teoria
che coordina nel tempo l’andamento e le accentuazioni del discorso musicale”.
I fenomeni fisici sono indipendenti dall’uomo, anche se questi li può in una
certa misura dominare e anche se gli stimoli delle nostre sensazioni
provengono tutte dal mondo fisico. La natura del ritmo è psicologica e
appartiene solo all’uomo. Pur essendo vero che talvolta il nostro mondo può
offrirci spontaneamente eventi acustici ai quali è possibile attribuire
un’importanza ritmica, questi fenomeni (periodici ad esempio come il ticchettio
di un orologio) non contengono in sé alcun elemento ritmico. Un orologio in se
non ha nessuna configurazione ritmica, ma appena immaginiamo che quel
ticchettio sia costituito da una serie di “tic-tac”, ecco che con questa
elementare suggestione onomatopeica abbiamo introdotto, soggettivamente, la
più elementare delle cellule ritmiche, anche se quegli impulsi acustici sono e
restano fisicamente indifferenziati.
Il Metronomo
Il metronomo è un dispositivo meccanico o elettrico
usato per scandire con adeguato isocronismo la
cadenza di una figura musicale nel tempo di un minuto
primo.
Fu inventato dal tedesco Johann Mälzel, nel 1816, ma
prima di questi vi furono molti precursori che
inventarono diversi apparecchi atti a misurare il
tempo. Nel 1600, ad esempio, vi fu Etienne Louliè e,
poco prima del Mälzel, il
Winkel, al quale deve il testo fondamentale della sua
scoperta.

Caratteri distintivi del suono

• Altezza
E’ quell’attributo della sensazione uditiva oer mezzo del quale i suoni
possono essere ordinati dal basso verso l’alto, come avviene, per
esempio, nella scala musicale.
Dipende soprattutto dalla frequenza, ma è influenzata anche dal timbro e
dall’intensità del suono.
• Intensità
E’ l’attributo della sensazione uditiva mediante il quale i suoni possono
essere ordinati dal debole al forte. L’acustica fisiologica ha però sostituito
il termine “intensità soggettiva” con il più semplice “sonia”. Dipende
soprattutto dalla pressione acustica generata dalle vibrazioni della
sorgente sonora, ma è influenzata anche dall’altezza e dal timbro.
• Timbro
E’ quell’attributo della sensazione uditiva mediante il quale è possibile
distinguere suoni diversi, anceh quando vi sia tra i medesimi parità di
altezza e sonia.
Dipende dalla composizione spettrale del suono (vibrazioni armoniche),
ma è influenzato pure dall’intensità e dall’altezza, nonché dai transitori di
attacco e di estinzione e dalle disarmonicità che in misura sia pur minima
sono presenti nei moti vibratori.
• Durata
La durata del suono influisce non solo sull’immagine sonora a livello
psicoacustico, ma anche sulla oggettività della stimolazione acustica. Se
la durata del suono scende a un valore molto basso, l’udito non può
percepire integralmente le qualità del suono.
L'altezza è la frequenza
fondamentale di una nota musicale
o suono che viene percepita, ed è
una delle caratteristiche principali di
un suono. L'altezza indica se un
suono è acuto piuttosto che grave e
dipende dalla frequenza dell'onda
sonora che lo ha generato. In
particolare: più la frequenza di
un'onda sonora è elevata e più il
suono ci sembrerà acuto, mentre
più è bassa la frequenza e più il
suono ci apparirà grave. Nonostante
la frequenza fondamentale reale
possa essere determinata con una
misura fisica, essa può differire
dall'altezza percepita per via degli
ipertoni e degli armonici naturali del
suono. Il sistema di percezione
uditiva umano può avere anche difficoltà a distinguere differenze di altezza fra
le note, in alcune circostanze.

La percezione dell’ampiezza
Il La sopra al Do centrale suonato su uno strumento qualsiasi ha un altezza
percepita pari a quella di un suono puro a 440 Hz ma non necessariamente ha
un armonica a quella frequenza. Inoltre, una piccola variazione di frequenza
potrebbe non comportare una variazione percepibile di altezza, ma una
variazione di altezza comporta necessariamente una variazione di frequenza.
Infatti la minima differenza avvertibile, la soglia oltre la quale si percepisce la
variazione di frequenza, è di circa cinque cent, cioè cinque centesimi di un
semitono; ma questa soglia varia lungo lo spettro delle frequenze udibili ed è
minore quando due note sono suonate contemporaneamente.
L'altezza è influenzata anche dall'ampiezza del suono, specialmente alle basse
frequenze. Per esempio, una nota grave e forte sembrerà ancora pìù grave se
suonata più piano. Come accade per gli altri sensi, anche la percezione relativa
dell'altezza può essere tratta in inganno, creando delle illusioni auditive. Ce ne
sono diverse, come il paradosso di tritone o la più nota scala Shepard, dove
una sequenza ripetuta (continua o discreta) di toni disposti in modo particolare
può sembrare come una sequenza ascendente o discendente infinita.

La concert pitch
Il La sopra il Do centrale al giorno d'oggi è fissato a 440 Hz, e spesso è scritto
come "A = 440 Hz" o semplicemente A440, e conosciuto come concert pitch (a
volte chiamato diapason da concerto). Questo standard è stato adottato di
recente.

Altezze storiche
Storicamente, diverse convenzioni sono state impiegate per fissare l'altezza
delle note a specifiche frequenze.Vari sistemi di temperamento sono stati
applicati per determinare i rapporti fra le frequenze delle note di una scala. Nel
1955, l'Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni fissò la
frequenza del La sopra al Do centrale a 440 Hz, ma in passato sono state usate
varie frequenze. Fino al XIX secolo non ci sono stati tentativi di collaborazione
per trovare uno standard all'altezza delle note, e i livelli in Europa erano i più
diversi. Anche all'interno di una singola chiesa. l'altezza usata poteva variare
nel tempo per via del modo in cui si accordavano gli organi. Generalmente,
l'estremità del tubo di un organo veniva ribattuta verso l'interno in modo da
formare un cono o aperta verso l'esterno per variare la frequenza. Quando le
estremità divenivano troppo danneggiate, venivano tagliate, incrementando
così l'altezza musicale dell'organo.
Ci si può fare un idea della variabilità dell'altezza esaminando i vecchi diapason
per accordatura, i tubi degli organi ed altre fonti. Per esempio, un vecchio
pitchpipe inglese del 1720 suona il La sopra al Do centrale a 380 Hz, mentre gli
organi suonati da Johann Sebastian Bach ad Amburgo, Lipsia e Weimar erano
calibrati a A = 480, una differenza di circa quattro semitoni. In altre parole, il
La prodotto dal pitchpipe del 1720 aveva la stessa frequenza del Fa di uno
degli organi di Bach. L'altezza non variava solo a seconda del posto o del
periodo, il livello poteva variare anche all'interno di una città. L'altezza di un
organo di una cattedrale inglese del XVII secolo, per esempio, poteva essere
inferiore di cinque semitoni rispetto a quella di uno strumento a tastiera
casalingo della stessa città.

Ricerca di un'altezza convenzionale


Durante quei periodi in cui la musica strumentale divenne preminente rispetto
al canto si nota una tendenza continua dell'altezza ad aumentare. Questa
"inflazione dell'altezza" sembra dovuta alla competizione fra gli strumentalisti,
ognuno teso a produrre un suono più chiaro e brillante di quello dei rivali; il
che è particolarmente difficile con gli strumenti a fiato, dove la competizione
coinvolge di più i fabbricanti che i musicisti. Bisogna ricordare che l'inflazione
dell'altezza è un problema solo quando le composizioni musicali sono fissate
secondo una notazione, e la combinazione di numerosi strumenti a fiato e della
musica scritta ha di conseguenza ristretto quasi completamente il fenomeno
dell'inflazione dell'altezza alla tradizione Occidentale.

Variazione dell’intensità e percezione dell’altezza


Il fatto è vero ed è legato ad una particolarità della sensazione uditiva che
interessa in modo prevalente le frequenze molto alte e quelle basse.
Sappiamo che per studiare le caratteristiche dell’udito si devono usare suoni
puri perché quelli complessi possono essere fuorvianti dato che le varie
componenti armoniche cambiano a seconda dell’intensità.
L’effetto della variazione dell’intensità sulla percezione dell’altezza, non è
uniforme per tutte le frequenze: esso è massimo per le frequenze molto alte, è
un po’ meno marcato per quelle basse mentre è scarsamente rilevante per una
larga fascia delle frequenze medie.
Accordatura del Pianoforte
E’ noto che il buon accordatore di pianoforti usa alzare un po’, ma con
gradualità, la frequenza delle ottave alte. Controlli tecnici effettuati subito dopo
accordature eseguite a regola d’arte hanno confermato il fatto. Gli scarti sono
piccoli, anche perché l’accordatore non si limita ad ascoltare i suoni solamente
in linea successiva, ma usa pure ascoltarli contemporaneamente.
Nonostante tale tecnica, il
richiamo della non linearità
uditiva è così forte che gli scarti
sono inevitabili. Dobbiamo anzi
dire che sono necessari
musicalmente, poiché quello che
conta in questo campo, non è
tanto il responso della
strumentazione tecnologica,
quanto quello di ciò che udiamo.
Della non linearità uditiva per la
percezione dell’intensità si è già
parlato a proposito del campo di
udibilità, delle curve isofoniche e
dei phon.
Circa la soglia differenziale per
l’intensità (ossia la minima
variazione percepibile) i dati forniti dai vari ricercatori indicano un incremento
che oscilla tra il 5% e il 25% della pressione acustica.Anche per questa soglia
differenziale la sensibilità dell’orecchio varia col variare della frequenza:
l’incremento richiesto è massimo per i suoni gravi ed è minimo per quelli
compresi tra i 500 e i 2000 Hz.

L’esposizione prolungata a intensità sonore molto forti determina un


affaticamento uditivo che fa diminuire la sensibilità rispetto a tutti i parametri
del suono. Il recupero avviene in un tempo che dipende dalla fatica sopportata,
com’è per qualsiasi altra forma di affaticamento.
Se l’esposizione a fortissime intensità sonore è quotidiana o prolungata, o se si
tratta di un trauma acustico rilevante, il soggetto può riportare sordità
transitorie e persino permanenti.

Altro effetto dovuto alla fatica uditiva è il mascheramento dei suoni. E’ noto a
tutti che quando si parla di un ambiente molto rumoroso bisogna alzare la voce
per farsi udire. Ciò dipende dal fatto che il “disturbo” produce un innalzamento
della soglia di udibilità: è come se l’orecchio diventasse improvvisamente meno
sensibile. L’effetto di mascheramento gioca un ruolo molto importante anche
nella pratica musicale: se la sonorità di qualche strumento è eccessiva può
ridursi la percettibilità o l’importanza musicale di altri suoni.

L’effetto di mascheramento è maggiore quando sono i suoni gravi ad


influenzare quelli medi e alti che viceversa.
Quando però l’intervallo fra gli uni e gli altri è molto forte, l’effetto di
mascheramento può essere talmente ridotto da ritenersi praticamente
inesistente.

Un’altra caratteristica uditiva riguardante sia l’intensità dei suoni sia l’effetto di
mascheramento è il cosiddetto ascolto intenzionale. I musicisti sanno per
esperienza professionale come anche in una situazione strumentale molto
complessa basti fissare l’attenzione su un suono particolare per udirlo più
distintamente; così come tutti sanno che anche in un ambiente rumoroso è
sufficiente fissare l’attenzione sulla voce di una determinata persona, che può
essere anche distante da noi, per percepire con maggior chiarezza le sue
parole.

Con ciò risalta in modo estremamente evidente l’importanza della componente


soggettiva nel processo dell’audizione. La facoltà di attenuare psicologicamente
i “disturbi” non basta purtroppo a eliminare gli effetti deleteri prodotti dal
rumore, la cui esperienza quotidiana ci toglie il compito di descriverli.

Volume e intensità
Il volume che viene spesso anche chiamato - colloquialmente ed erroneamente
- intensità, è la qualità sonora associata alla percezione della forza di un
suono, ed è determinato dalla pressione che l'onda sonora esercita sul
timpano: quest'ultima è a sua volta determinata dall'ampiezza della vibrazione
e dalla distanza del punto di percezione da quello di emissione del suono.
Per misurare il volume percepito di un suono, si fa spesso riferimento al livello
di pressione sonora.

Timbro
Il timbro, è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un
altro. Il timbro dipende dalla forma dell'onda sonora, determinata dalla
sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni fondamentali e
dai loro armonici. Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è
determinato dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e
dalla maniera in cui questa viene posta i oscillazione.
La scomposizione di un suono nelle proprie componenti sinusoidali
fondamentali è detta analisi in frequenza. Nella musica, tanto più un suono è
composto da diverse componenti, tanto più esso risulta complesso: si va dal
suono di un flauto dolce, composto dalla fondamentale e da pochissime
armoniche, al suono degli strumenti ad arco, composto da moltissime
frequenze armoniche secondarie. Tanto più le frequenze secondarie che si
sovrappongono alla principale non sono armoniche (ovvero hanno frequenze
che non sono multipli interi della fondamentale), tanto più ci si avvicina al
rumore. E’ questo il terzo elemento essenziale del suono ed è forse il più
complesso tante sono le cause che possono influire su di esso.
Le componenti di un suono complesso, dalla cui associazione dipende
prevalentemente la formazione del timbro, non sono di ampiezza (intensità)
stabile se non nel caso in cui una sorgente sonora di natura meccanica o
elettrica (oscillatori, organi elettrici etc.) sia adeguatamente predisposta.
Non vi è suono strumentale o vocale le cui componenti non siano di ampiezza
fluttuante. Per sperimentare direttamente e facilmente questo fatto, basta
suonare un accordo perfetto maggiore nella tessitura medio bassa di un
pianoforte (meglio se è a corda), tenendo alzati gli smorzatori: è sufficiente un
minimo di esperienza e di orecchio per distinguere nel groviglio della sonorità
alternanze d’intensità a carico di varie componenti, con effetto prevalente per
la terza e la quinta armonica e per le loro ottave. L’esito della prova dipende
anche dai fenomeni di risonanza che avvengono nella cassa armonica dello
strumento, ma il fondamento di questa semplice esperienza, dal punto di vista
esemplificativo, è validissimo.
Nel campo degli strumenti musicali e della voce umana anche il suono, che
all’ascolto ci sembra il più stabile, è costituito da componenti di ampiezza
fluttuante e il fatto che dette fluttuazioni non siano percepite dipende da un
processo d’integrazione compiuto spontaneamente dal nostro organo uditivo:
vediamo la fluttuazione della seconda armonica di un suono di trombone, fatti
del genere si verificano costantemente in qualsiasi suono complesso di origine
non meccanica o elettrica. Lo
spettro armonico del suono, si cui
un esempio è dato dalla figura a
lato, rappresenta, come a suo luogo
è stato detto, il risultato dell’analisi
del suono stesso, ma le fluttuazioni
di ampiezza delle componenti non
possono apparire, poiché lo spettro
è l’immagine di un istante dell’evento sonoro, oppure quella della sua
situazione media. La questione è ancora più critica se si considera che le
fluttuazioni delle componenti, fondamentale compresa, sono di ampiezza
imprevedibile e di andamento tutt’altro che costante. Se a tutto questo
aggiungiamo le impurità, i rumori e disarmonicità sempre presenti nei suoni
strumentali e vocali, si avrà un quadro sufficientemente informativo sulla
complessità della situazione.
Tutti questi fattori hanno un’importanza positiva e determinante sulla
formazione del timbro, ma la loro aleatorietà e l’imprevedibile andamento che
caratterizza e differenzia ogni caso reale, rendono pressoché impossibile
produrre suoni sintetici che siano veramente identici a quelli originali. La
diffusione degli strumenti musicali elettrici ed elettronici ha portato alla
comune conoscenza i migliori risultati ottenuti in questo campo dalla tecnologia
elettroacustica, e i “registri”preordinati, o preordinabili, di cui questi strumenti
sono provvisti, consentono anche buone simulazioni di timbri strumentali di
natura tradizionale, ma la differenza tra questi e i suoni originali è sempre
inequivocabile anche nei casi più felici, perché infinite sono le variabili dei suoni
vocali e strumentali. Il valore informativo che ai fini del timbro può essere
offerto da uno spettro del suono non consiste solamente nella cognizione pura
e semplice delle ampiezze relative delle varie componenti. In questa figura
sono riprodotti due spettri, uno di violino e l’altro di pianoforte: chi saprebbe
distinguerli? Qualsiasi spettro esige un’interpretazione accurata e specializzata.
Oggi si tende ad accertare nello spettro del suono la presenza di fasce di
frequenze di maggior ampiezza, che sono messe in risalto da fenomeni di
risonanza propri, ma ben definiti, della sorgente sonora e che prendono il
nome molto significativo di formanti: la loro considerazione ha dato vita alla
teoria formantica del timbro. Secondo la teoria formantica del timbro
quest’ultimo dipende in modo prevalente dalla presenza più o meno cospicua
delle zone formanti e dalla larghezza della fascia di frequenze abbracciata da
ciascuna di esse.

Il timbro è influenzato anche dall’intensità del suono, in quanto una variazione


apprezzabile di questa può esaltare o attenuare in modo non uniforme, rispetto
alle caratteristiche uditive, i vari gruppi delle componenti.

Anche l’altezza influisce sul timbro: lo spostamento di una stessa situazione


armonica in una regione o in un’altra del campo di udibilità, può infatti alterare
l’effetto in funzione della diversa sensibilità dell’orecchio al variare della
frequenza.
Quando si dice che quel tal cantante, o strumentista, riesce ad ottenere un
timbro omogeneo in tutta la tessitura della voce e dello strumento, si dice
semplicemente che egli riesce a modificare lo spettro del suono, in relazione
alle variazioni che s’impongono affinché la non linearità dell’udito sia
compensata nella misura massima possibile da adeguate modificazioni delle
componenti del suono stesso.

Intervalli
L’intervallo è la differenza di altezza tra due note.
La tonica e il suo duplicato formano l’unisono (cioè un suono solo). Il termine
unisono è usato anche quando due o più voci o strumenti suonano alla stessa
altezza o a un’ottava di distanza.
Il prossimo intervallo, fra i gradi I e II è una seconda, fra I e III una terza e così via.
Questa può essere una rudimentale classificazione numerica degli intervalli.
Nel caso delle scale maggiori o minori una terza può essere maggiore o minore,
secondo la disposizione dei toni e dei semitoni che la compongono. Ciò dimostra che
oltre alla classificazione numerica di un intervallo vi sono anche classificazioni
qualitative.
Queste dividono gli intervalli in cinque categorie: giusti, maggiori, minori, eccedenti
e diminuiti.

Schematizzo qui in tabella la classificazione degli intervalli con annesse spiegazioni.

Classificazione qualitativa Intervalli

Intervalli giusti Unisono (do do)


Quarta (do fa)
Quinta (do sol)
Ottava (do3 do4)
Intervalli maggiori Seconda (do re)
Terza (do mi)
Sesta (do la)
Settima (do si)

Se un intervallo maggiore è abbassato di un semitono si ottiene un intervallo


minore:
• Do-mi è una terza maggiore, ma do-mib è una terza minore
• Do-re è una seconda maggiore, ma do-reb è una seconda minore

Si parla di eccedenza quando un intervallo giusto o maggiore è alzato di un


semitono:
• Do-sol è una quinta giusta, ma do-sol# è una quinta eccedente

Invece, se un intervallo giusto o minore è abbassato di un semitono è detto


diminuito:
• Do-sol è una quinta giusta, ma do-solb è una quinta diminuita

L’intervallo di quarta eccedente è anche chiamato tritono, perché formato da tre


toni interi (do-fa#). Nel Medioevo veniva soprannominato diabolus in musica, a
causa di un che di sinistro racchiuso nella sua sonorità.
Quando vengono usati intervalli superiori a un’ottava, i loro nomi seguono la logica
progressione numerica. Così il primo intervallo dopo l’ottava è la nona, che
corrisponde a un’ottava più la seconda.
• Decima= ottava più una terza
• Undicesima = ottava più una quarta
• Dodicesima = ottava più una quinta
• Tredicesima = ottava più una sesta
Questi intervalli superiori all’ottava sono di solito chiamati intervalli composti.

Inversione degli intervalli


La sottodominante di una scala è indifferentemente una quarta sopra e una quinta
sotto la tonica: nella tonalità di Do maggiore, ad esempio, la sottodominante è Fa,
che si trova appunto una quarta sopra e una quinta sotto la tonica Do. L’intervallo
fra i due Fa è, ovviamente, un’ottava. Questa constatazione ci rende chiaro che un
intervallo e la sua inversione si completano a vicenda in un’ottava: una quarta
rovesciata diviene una quinta, e viceversa, una quinta rovesciata diviene una quarta.
In conseguenza a ciò, quando si rovescia un intervallo: o la nota più bassa viene
trasportata un’ottava più in alto o la nota più alta viene trasportata un’ottava più in
basso.
Ecco un prospetto dell’inversione degli intervalli:
• L’unisono rovesciato diventa ottava, l’ottava rovesciata diventa unisono
• La seconda diventa settima, la settima diventa seconda
• La terza diventa sesta, la sesta diventa terza
• La quarta diventa quinta, la quinta diventa quarta
• La quinta diventa quarta, la quarta diventa quinta
• La sesta diventa terza, la terza diventa sesta
• La settima diventa seconda, la seconda diventa settima
• L’ottava diventa unisono, l’unisono diventa ottava
Scala diatonica
scala che contiene toni e semitoni

Scala maggiore
T T s T T T s
do re mi fa sol la si do

Scala minore naturale


T s T T s T T
do re mi♭ fa sol la♭ si♭ do

Scala minore armonica


T s T T s 3s s
do re mi♭ fa sol la♭ si do

Scala minore melodica


T s T T T T s > ascendente
do re mi♭ fa sol la si do
T T s T T s T > discendente
do si♭ la♭ sol fa mi♭ re do

Scala minore napoletana


s T T T s 3s s > ascendente
do re♭ mi fa sol la♭ si do
T T s T T T s > discendente
do si♭ la♭ sol fa mi♭ re♭ do

Scala cromatica
le scale diatoniche hanno toni e semitoni. La scala cromatica è
composta solo dai semitoni, significa in pratica tutti semitoni e
quindi l’intera successione:
do do# re re# mi fa fa# sol sol# la la# si

Scale modali (basate sulla scala maggiore di do):


T T s T T T s
do re mi fa sol la si do
> Modo ionico (vedi scala maggiore)
T T s T T T s > do ionico
do re mi fa sol la si do
> Modo dorico
T s T T T s T > re dorico
re mi fa sol la si do re
T s T T T s T > do dorico
do re mi♭ fa sol la si♭ do
> Modo frigio
s T T T s T T > mi frigio
mi fa sol la si do re mi
s T T T s T T > do frigio
do re♭ mi♭ fa sol la♭ si♭ do
> Modo lidio (napoletano maggiore)
T T T s T T s > fa lidio
fa sol la si do re mi fa
T T T s T T s > do lidio
do re mi fa# sol la si do
> Modo misolidio
sol
T T s T T s T >
misolidio
sol la si do re mi fa sol
do
T T s T T s T >
misolidio
do re mi fa sol la si♭ do
> Modo eolio (minore)
T s T T s T T > la eolio
la si do re mi fa sol la
T s T T s T T > do eolio
do re mi♭ fa sol la♭ si♭ do
> Modo locrio (ipofrigio)
s T T s T T T > si locrio
si do re mi fa sol la si
s T T s T T T > do locrio
do re♭ mi♭ fa sol♭ la♭ si♭ do

Scala esatonale o “per toni interi” (o scala di Debussy)


è una scala di 6 note distanti 1 tono l’una dall’altra
1 2 3 5♭ 6♭ 7♭ 8
do re mi sol♭ la♭ si♭ do

Scala pentatonica maggiore


non ha intervalli di semitono. Hanno 5 gradi. 3o grado maggiore
T T 3s T 3s
do re mi sol la do

Scala pentatonica minore


non ha intervalli di semitono. Hanno 5 gradi. 3o grado minore
3s T T 3s T
do mi♪ fa sol si♭ do

Scala aumentata
2a e 5a aumentata
3s s T T 3s
do re# mi fa# sol# si

Scala diminuita (tono – semitono)


puoi farlo su qualunque tonalità
T s T s T s T s
do re mi♭ fa sol♭ la♭ la si do

Scala diminuita (semitono – tono)


puoi farlo su qualunque tonalità
s T s T s T s T
do re♭ mi♭ mi fa# sol la si♭ do

Scala alternata
usata da Skrjabin, Ravel e Bartók, ed è stata teorizzata da Olivier
Messiaen
T s T s T s T s
do re mi♭ fa fa# sol# la si do

Scala enigmatica
inventata da Adolfo Crescentini
T T T T T s s
do re mi fa# sol# la# si do

Scala bebop dominante


usata da musicisti bebop come Charlie Parker e Dizzy Gillespie
1 2 3 4 5 6 7♭ 7 8
do re mi fa sol la si♭ si do

Scala bebop maggiore


usata da musicisti bebop come Charlie Parker e Dizzy Gillespie
1 2 3 4 5 5# 6 7 8
do re mi fa sol sol# la si do

Scala blues
3s 1T 1s 1s 3s 1T
do mi♭ fa sol♭ sol si♭ do

Scala araba
s 3s s T s 3s s
do do# mi fa sol sol# si do

Scala cinese
T T 3s T 3s
do re mi sol la do

Scala orientale maggiore


come la scala maggiore,ma 2a, 5a e 7a sono abbassate di un
semitono
s 3s s s 3s s
do re♭ mi fa sol♭ la si♭

Scala orientale minore


rispetto all’orientale maggiore si alza di un semitono la 4a
T s 3s s s 3s
do re mi♭ fa# sol sol# si
Scala temperata
il temperamento equabile per la costruzione della scala suddivisa in intervalli tra di loro
uguali

Scala bachiana / Dorica7m


usata spesso da Johann Sebastian Bach: è una minore melodica con 6a e 7a alterata
T s T T T T s > ascendente
do re mi♭ fa sol la si do
s T T T T s T > discendente
do si la sol fa mi♭ re do

Scala di quarta aumentata/napoletana = modo lidio


T T T s T T s
do re mi fa# sol la si do

Scala di sesta minore


come la scala maggiore, ma con la 4a abbassata di un semitono
T T s T s 3s s
do re mi fa sol la♭ si Do

Le tonalità
Nella musica popolare e in quella che usiamo chiamare musica classica
(includendovi una fetta sostanziale della musica barocca e romantica), ogni
brano è composto in base al sistema tonale, cioè a partire da un sistema di
regole compositive centrate sulla relazione gerarchica fra le altezze delle note
di una scala musicale diatonica rispetto alla tonica della scala stessa, che funge
da nota fondamentale e centro di convergenza di quel particolare brano. In
questo senso, in realtà, dovremmo dire che è “tonale” non solo la musica
propriamente tonale, ma ogni composizione che ruota intorno ad un suono
principale di riferimento, da cui si origina una scala o un sistema organizzato di
suoni, quali i modi ecclesiastici e medievali, i raga indiani o i maqam arabi
(Modalità). D’altro canto, nella tradizione musicale occidentale, l’aggettivo
“tonale” è spesso utilizzato in contrapposizione con “modale” e “atonale”
stabilendo così una netta (e fin troppo schematica) divisione storica tra la
musica pre-tonale (fino al 1600), tonale (dal 1600 al 1900) e post-tonale. Tale
distinzione concepisce il sistema tonale come un tronco principale
nell’evoluzione del linguaggio musicale e gli attribuisce un valore normativo
rispetto a quanto lo precede e gli succede.

Il sistema tonale è basato su due modi (o generi di scale), maggiore e minore


che, con le rispettive caratteristiche musicali ed espressive e la valorizzazione
dei molteplici rapporti armonici tra le note della scala, mettono in atto una
complessa rete di relazioni lineari e polifoniche in cui la melodia sfrutta il
potenziale di tensione o di appagamento offerto da ogni singola nota, ma in
contemporanea interagisce con il potenziale di tensione o di appagamento
offerto dal contesto armonico, ossia dalla successione di accordi che la
sottende. Lo sviluppo storico dell’armonia tonale nel suo rapporto con
l’evoluzione della prassi compositiva è sinteticamente inquadrato alla voce
armonia, mentre qui sono delineati il concetto di tonalità nelle sue basilari
strutture (l’accordo, la distinzione fra tonalità di modo maggiore e minore, la
costruzione delle tonalità) e le tecniche fondamentali per la conduzione
dell’armonia tonale (relazione funzionale fra gli accordi, cadenza e
modulazione).

Accordi e triadi
L’accordo è un insieme di almeno tre note suonate contemporaneamente.
L’accordo di tre note, o triade, è il primo fondamento della musica tonale
poiché assume un significato specifico e individuale all’interno della scala
diatonica di riferimento. Come ricordato alla voce intervallo, l’intervallo di
quinta giusta è un intervallo ’perfetto’ e naturale. Se i due suoni che lo
formano sono eseguiti in contemporanea, però, la sonorità risultante risulta
‘vuota’ per la nostra sensibilità musicale, come potremmo facilmente
sperimentare suonando al pianoforte una successione di quinte parallele, così
estranea al gusto tonale che è tassativamente vietata dalle regole dell’armonia
(naturalmente ciò vale come principio, la cui validità è garantita dalla
possibilità dell’eccezione). La diade (due suoni simultanei) di quinta manca
infatti di un costituente essenziale della musica tonale: l’intervallo di terza.
L’introduzione di una nota intermedia collocata ad intervallo di terza da
entrambi i suoni della diade, rende completa armonicamente la sonorità
risultante: nel caso dell’esempio seguente la triade do-mi-sol è formata da una
terza maggiore (do-mi) ed una terza minore (mi-sol); mentre gli estremi della
triade (do-sol) sono ad intervallo di quinta giusta, come specificato alla voce
intervallo. L’accordo fondamentale in un contesto musicale tonale è la triade
che si costruisce sulla nota generatrice della scala. Per semplicità ci riferiamo
alla scala di do maggiore, per cui la triade maggiore costruita sulla
fondamentale è l’esempio canonico dell’accordo perfetto maggiore. Nella
tonalità minore la triade di tonica è invece una triade minore, cioè formata da
una terza minore più una terza maggiore; nella tonalità di do minore, ad
esempio, la triade minore di tonica è do-mib-sol, che è un accordo perfetto
minore
Le due triadi sono composte dalla tonica della scala (do), dalla modale della
scala (mi per la scala maggiore, mib per la scala minore) e dalla nota detta
dominante (sol). L’accordo si legge partendo dalla nota più bassa alla più alta:
do-mi-sol. Procedendo di grado in grado lungo la scala diatonica, è possibile
costruire una successione di triadi: tale successione definisce sette diversi
accordi, uno per ciascun grado della scala (nell’immagine che segue si è
aggiunto l’accordo di tonica all’ottava superiore), che, impiegati secondo le
regole dell’armonia, costituiscono la dimensione ‘verticale’ della musica tonale.
Comporre un brano nella tonalità di do maggiore significa impiegare le note
della scala di do maggiore e gli accordi costruibili su di esse in modo coerente.

La successione di triadi che definisce la tonalità di do maggiore può essere


trasportata su qualsiasi altro grado della scala cromatica, cioè della gamma dei
suoni. Ad esempio, le triadi rappresentate nella figura seguente riproducono la
stessa successione di triadi della scala di do maggiore, partendo però dalla
nota sol, ma affinché ciò avvenga è stato necessario alterare, in questo caso
diesizzare, il fa.
La successione è relativa alla tonalità di sol maggiore:

Tonalità di modo maggiore e minore


Dal punto di vista dell’armonia musicale tonale si distinguono due modalità,
cioè due tipologie di scale diatoniche: maggiore e minore. Ogni scala maggiore
ha una relativa minore collocata ad un intervallo di terza minore discendente
dalla tonica; cioè: gli stessi suoni usati per la scala maggiore costruiscono
anche una scala minore che inizia 2 toni + 1 semitono sotto la tonica. La scala
maggiore si differenzia dalla minore solo per la posizione di tre gradi, il terzo, il
sesto e il settimo, rispetto alla tonica della scala, come specificato alla voce
scala. La relativa minore della tonalità di do maggiore è dunque la tonalità di la
minore (la nota la è a distanza di una terza minore nella successione
discendente do-si-la), anch’essa, come la tonalità di do maggiore, non prevede
alterazioni (diesis o bemolli).
Il seguente schema indica la successione di triadi nella tonalità di la minore:
Poiché i suoni del sistema temperato sono 12, altrettante sono le scale
maggiori e altrettante le minori. Conseguentemente, il panorama delle tonalità
risulta essere di 24: 12 maggiori e 12 minori, la cui determinazione è data da
un numero crescente di note alterate (cioè diesizzate o bemollizzate) da
introdurre per generare la scala, secondo una successione chiamata circolo
delle quinte, come specificato più avanti). Le alterazioni corrispondono
ovviamente alle note diesis o bemolle della scala musicale impiegata, e poiché
gli stessi suoni entrano a far parte tanto di una scala maggiore che della
relativa minore, solo l’andamento del brano permetterà di capire quale delle
due tonalità è impiegata. In relazione all’impiego delle tonalità minori, occorre
specificare che per creare l’effetto di risoluzione nella cadenza dominante-
tonica (come più avanti specificato) è necessario alterare di un semitono la
sensibile della scala. Infatti, nella scala minore naturale la distanza sensibile-
tonica è di un tono intero, cosa che annulla l’effetto di tensione nell’impiego
dell’accordo di dominante.

La definizione delle 24 tonalità


Come è stato sopra specificato, le scale musicali diatoniche sono all’origine del
sistema di accordi che definisce il contesto tonale, in quanto su ogni grado
della scala è costruita una triade che si pone in specifica relazione con le altri
triadi della scala, e la sequenza risultante di accordi è trasportabile su qualsiasi
grado della gamma dei suoni: scegliendo infatti una nuova scala diatonica, è
possibile costruire la stessa sequenza di triadi a partire dalla tonica della nuova
scala. Le triadi così organizzate assumeranno nella nuova scala le stesse
denominazioni; in tal modo, ad esempio, l’accordo sol-si-re che nella tonalità di
do maggiore è triade di dominante (V grado), nella tonalità di sol maggiore è
triade di tonica (I grado), mentre nella tonalità di re maggiore è triade di
sottodominante (IV grado)

Il principio per cui tonalità diverse condividono alcuni accordi è alla base del
meccanismo della modulazione, come specificato più avanti. Gli esempi sopra
proposti di successioni di triadi in tonalità di do, di sol e di re possono essere
utili per evidenziare come le tre tonalità di differiscano per l’impiego di alcuni
suoni della gamma. Ad esempio, la tonalità di do presenta tutti i suoni allo
stato naturale, senza alterazioni, mentre la tonalità di sol maggiore, basata
sulla scala di sol maggiore, necessita della presenza del fa# come grado
sensibile e come suono di ogni accordo che contiene tale grado. La tonalità di
re maggiore, a sua volta, differisce dalla tonalità di sol maggiore per l’aggiunta
di un’ulteriore nota alterata nella scala (il do#). Poiché fra do (tonica della
tonalità di do maggiore) e sol (tonica della tonalità di sol maggiore), e tra sol e
re (tonica della tonalità di re maggiore) c’è la distanza di un intervallo di quinta
giusta ascendente,il passaggio fra le tonalità costruite su intervalli di quinta
ascendente si caratterizza per l’aggiunta progressiva di un’alterazione nella
scala.
Questo meccanismo si chiama circolo delle quinte, ed è così schematizzabile
La progressione per quinte ascendenti (partendo da do: sol, re, la, mi, si, fa#,
do#, re#, la#, mi#, si#=do) determina la successione di 12 tonalità differenti:
do, sol, re, la, mi, si, fa#, ... ciascuna posta una quinta sopra la precedente e
caratterizzate dall’aggiunta progressiva di un #, fino a si#, che è tonalità
omologa di do (cioè composta dagli stessi suoni, ma chiamati in modo
differente). Guardando il circolo delle quinte, si noterà inoltre che la
concatenazione di 12 tonalità si realizza anche attraverso l’inserimento
progressivo di bemolli. In questo caso, però, si procede da do per quinte
discendenti (partendo da do: fa, sib, mib, lab, reb, solb, dob, fab, sibb, mibb,
labb, rebb=do). L’aggiunta di b nella progressione di tonalità si arresta
ugualmente a 12, e tutte le tonalità costruite sono omologhe rispetto a quelle
costruite aggiungendo diesis. L’insieme delle tonalità così delineate costituisce
le 12 tonalità di modo maggiore del sistema tonale. Allo stesso modo è
possibile costruire attraverso il circolo delle quinte la successione delle 12
tonalità di modo minore, ricordando che ogni tonalità maggiore ha una relativa
minore che ha per tonica la nota posta una terza minore sotto la tonica della
tonalità maggiore.
Nella scrittura musicale la tonalità è indicata graficamente in partitura dal
numero di alterazioni (diesis o bemolli) segnalate all’inizio del pentagramma,
dopo la chiave musicale. La prassi prevede che si impieghino le tonalità che
hanno un massimo di sette diesis e sette bemolle, questo per facilità di
scrittura musicale (cioè per evitare le doppie alterazioni). Le tonalità minori
hanno la stessa gamma di suoni in comune con le tonalità maggiori, dunque
sono indicate in armatura di chiave con le stesse alterazioni. Ad esempio, come
nessuna alterazione in armatura di chiave segnala tanto la tonalità di do
maggiore che di la minore, così un fa diesis in armatura di chiave segnala
tanto la tonalità di sol maggiore che di mi minore, e così via, secondo il
seguente schema:

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