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Elementi di acustica e
classificazione degli strumenti musicali
Introduzione
Per tornare dunque al timbro, ciò che concorre a determinare questa particolare
percezione è il diverso grado di presenza degli armonici all’interno di un suono complesso. Se
noi andassimo cioè a fare un’analisi spettrografica di due suoni di uguale frequenza ed uguale
intensità, ma percepiti come diversi, troveremmo molto probabilmente che le componenti
superiori sono presenti (o assenti) in diversa misura. Per capire quanto sia importante questo
aspetto del suono, non solo a fini musicali, possiamo fare riferimento alla voce umana
(anch’esso, d’altra parte, strumento musicale a tutti gli effetti). I diversi suoni vocali, così
fondamentali per la struttura fonetica del linguaggio e quindi per la comunicazione, non sono
altro che suoni complessi caratterizzati da una particolare configurazione dello spettro
armonico: ogni vocale è caratterizzata dal fatto di avere alcune zone caratteristiche, chiamate
formanti, in cui le frequenze parziali risultano particolarmente ricche di energia. Questo
effetto è ottenuto modificando, attraverso l’articolazione (labbra, lingua, mandibola), le
proprietà di filtro del tratto vocale (il tratto che va dalla glottide, ove si produce il suono per
mezzo delle cosiddette corde vocali, all’apertura labiale). I suoni vocali sono infatti simili alla
sorgente, contenendo tutti una serie armonica di frequenze parziali caratterizzate da ampiezza
decrescente. Quando questo suono complesso passa attraverso il tratto vocale, a seconda
dell’articolazione e quindi delle modificate proprietà di risonanza del tratto vocale, alcune
frequenze parziali vengono esaltate, altre inibite. In altre parole, ciò che distingue una /a/ da
una /i/ o da una /o/, è il timbro, dovuto alla diversa configurazione dello spettro armonico.
Un altro fattore che caratterizza i suoni sono le caratteristiche di attacco, cioè di avvio
(onset) del moto vibratorio, e di chiusura, cioè di decadimento (decay), o smorzamento,
dell’oscillazione. Soprattutto l’attacco del suono riveste un’importanza decisiva nella
percezione. Dal punto di vista acustico, il modo in cui viene indotta la vibrazione è molto
importante non solo, come vedremo, per alcune conseguenze sulla configurazione dello
spettro nella successiva fase cosiddetta quasi-stazionaria, ma anche perché cambiano quelle
componenti di durata assai breve, chiamate transitori - in sostanza delle componenti di rumore
- che sono decisive ai fini del riconoscimento del suono di uno strumento. E’ stato infatti
possibile effettuare degli esperimenti basati sulla eliminazione di queste brevi porzioni
(frazioni di secondo) all’inizio dei suoni: avendo a disposizione una registrazione su nastro
magnetico di un determinato suono, basta tagliare un certo numero di centimetri del nastro
stesso rendendo così possibile l’ascolto della sola parte quasi-stazionaria. In queste condizioni
si hanno molte difficoltà a riconoscere gli strumenti. Questo ci fa capire come, al di là della
struttura di un dato strumento, il modo in cui il corpo vibrante viene eccitato rivesta una
grande importanza: una corda pizzicata, percossa o strofinata con un archetto, produce suoni
radicalmente diversi.
Forme di raggruppamento degli strumenti in classi sono largamente in uso anche nel
linguaggio comune. Si parla di archi, di percussioni, di fiati, di ottoni, di legni etc. In realtà
queste classi non appartengono a classificazioni sistematiche, non utilizzano cioè il medesimo
principio di raggruppamento: a volte è il materiale di cui son fatti gli strumenti, a volte il
mezzo, o l’azione, con cui vengono messi in vibrazione, etc. A tutt’oggi, la classificazione
più coerente e rigorosa rimane la classificazione sistematica degli strumenti musicali proposta
da Curt Sachs ed Erich Moritz von Hornbostel nel 1914. Essi adottarono come principio
universale le caratteristiche dell’elemento vibrante che produce il suono, dando vita a quattro
classi principali: cordofoni, aerofoni, membranofoni e idiofoni, a seconda, appunto, che il
corpo vibrante sia una corda, l’aria, una membrana, ovvero, nel caso degli idiofoni, il corpo
stesso dello strumento (o una sua parte).
Negli aerofoni, l’elemento vibrante è, come si è detto, l’aria. Una prima distinzione
fondamentale è tra aerofoni liberi, in cui l’aria che vibra non è limitata dallo strumento (come
nell’armonica a bocca) e strumenti in cui a vibrare è una colonna d’aria contenuta entro una
cavità (come in tutti gli strumenti a fiato propriamente detti). In tutti i casi, un aspetto
fondamentale è costituito da come viene messa in vibrazione l’aria.
Il caso più semplice di aerofono libero è quello del rombo: facendo fendere l’aria
presente nell’ambiente da un pezzo di legno (legato ad una corda e fatto ruotare a una certa
velocità) si generano compressioni e rarefazioni che, raggiunta una determinata frequenza,
producono un’onda sonora. Un’altra possibilità è data dall’uso di ance libere, ciascuna delle
quali vibra alla propria frequenza naturale di oscillazione una volta che sia sollecitata da un
flusso d’aria, creando una analoga intermittenza (e quindi, ancora una volta, compressioni e
rarefazioni) in questo stesso flusso: è il caso dell’armonica a bocca, di organetti e
fisarmoniche, delle canne ad ancia dell’organo, del regale e dell’armonio (più conosciuto
forse anche in Italia come harmonium).
Più complesso si fa il discorso nel caso dei cosiddetti ‘strumenti a fiato’. Qui infatti si
distinguono due componenti che interagiscono tra loro: 1) il meccanismo in base al quale si
crea la turbolenza, 2) la colonna d’aria che entra in vibrazione e trasmette l’onda sonora al di
fuori dello strumento. A differenza degli aerofoni liberi, qui sono le proprietà di risonanza
della colonna d’aria che determinano la frequenza di vibrazione del meccanismo responsabile
dell’oscillazione. Mentre quindi, ad esempio, in un’armonica a bocca per ottenere suoni di
frequenza diversa vengono utilizzate ance diverse (ognuna con una propria frequenza
naturale), in un clarinettto l’ancia vibrerà a frequenze diverse a seconda del variare della
lunghezza della colonna d’aria interna al tubo (regolata attraverso l’apertura e chiusura di fori
lungo il tubo stesso). Data l’importanza di questa differenziazione, gli aerofoni sono stati di
recente suddivisi proprio in base all’utilizzo o meno di tale effetto di feedback (del risuonatore
sull’oscillatore), distinguendo appunto tra no-feedback instruments (tra i quali è stata inclusa
la voce) e feedback instruments (cfr. Sundberg 1991).
A proposito della determinazione della frequenza fondamentale in una colonna d’aria,
è bene qui ricordare che in un tubo chiuso alla estremità inferiore, la lunghezza d’onda della
fondamentale è il doppio che in un tubo aperto, e quindi la frequenza è la metà. Questo
principio è ad esempio utilizzato negli organi, per ottenere suoni molto gravi senza dover
allungare eccessivamente le canne.
Le ulteriori suddivisioni degli strumenti a fiato si basano sulla tipologia del
meccanismo oscillatore e sulla forma della colonna d’aria. Fermo restando l’effetto di
feedback sopra descritto come elemento che determina la frequenza di oscillazione, abbiamo
quindi:
- strumenti in cui l’oscillazione è prodotta dall’infrangersi di una corrente d’aria, a forma di
‘lamina’, sull’orlo tagliente di una fessura; in quel punto si creerà un conflitto tra le particelle
d’aria sospinte verso l’interno del tubo e quelle sospinte verso l’esterno: il risultato di tale
turbolenza, dato un determinato punto di equilibrio, sarà la successione di stati di
compressione e rarefazione all’interno del tubo. Questi strumenti possono essere o a
imboccatura diretta, come i flauti di Pan o i flauti traversi, in cui si ‘soffia’ direttamente
contro uno spigolo dell’apertura, ovvero a imboccatura indiretta, come nei flauti a bocca
zeppata, i cosiddetti ‘flauti dolci’, in cui si immette l’aria all’interno di un condotto
predisposto in modo tale da indirizzare un flusso d’aria di forma adatta contro un bordo
tagliente (o labium). In quest’ultima tipologia rientrano i registri labiali dell’organo;
- strumenti ad ancia, in cui l’oscillazione di una linguetta (semplice o doppia) funziona da
valvola che alternativamente apre e chiude l’accesso dell’aria al tubo, trasformando il flusso
continuo in una serie di impulsi che generano ancora una volta stati successivi di
compressione e rarefazione. Tra gli strumenti ad ancia, prevalgono generalmente il tipo
‘oboe’, ad ancia doppia e canna conica, e il tipo ‘clarinetto’, ad ancia semplice e canna
cilindrica. Le differenze nell’accoppiamento di queste caratteristiche sono notevoli dal punto
di vista acustico: basti qui dire che nel clarinetto l’unione di ancia semplice e tubo cilindrico
genera un comportamento acustico da ‘canna chiusa’, con effetti sia sulla determinazione
della fondamentale che sul timbro (prevalenza di armonici dispari, soprattutto nel registro
inferiore). Ciò non toglie, comunque, che vi siano strumenti ad ancia semplice e canna conica,
come il sassofono, o ad ancia doppia e canna cilindrica, come il cromorno;
- strumenti in cui sono le labbra di chi suona ad agire da oscillatore, in modo piuttosto
analogo a un’ancia doppia. In generale, possono venir definiti del tipo ‘trombe’, ma più
specificamente si distingue fra trombe vere e proprie, con canna cilindrica, e corni, con canna
conica. In entrambi i casi, una distinzione importante è fra strumenti a intonazione naturale, in
cui le altezze ottenibili sono quelle corrispondenti alle frequenze degli armonici naturali dello
strumento, in condizioni di non variabilità della colonna d’aria, e strumenti in cui attraverso
dispositivi vari, come fori, chiavi, pistoni o coulisse, diviene possibile modificare appunto la
lunghezza della colonna d’aria fino a ottenere strumenti cromatici. Un aspetto importante in
molti di questi strumenti è la terminazione a campana, di forme diverse, che ha un ruolo
fondamentale nel determinare le caratteristiche timbriche attraverso specifiche proprietà di
irradiazione, nell’ambiente circostante, delle componenti armoniche superiori.
Nei membranofoni, come si è detto, è una membrana, tesa su di una qualche struttura
che per lo più funziona da risonatore, a costituire il corpo vibrante. Appartiene a questa classe
il variegato mondo dei ‘tamburi’. Tra questi va annoverato il caso alquanto particolare del
cosiddetto ‘tamburo di terra’, ottenuto stendendo una membrana, ad esempio una pelle, sopra
una cavità del terreno. I tamburi si distinguono in base al meccanismo con cui viene messa in
vibrazione la membrana e per la loro forma. In base al primo criterio, si hanno, oltre ai
tamburi percossi, tamburi a frizione e tamburi a pizzico.
Nei tamburi a frizione, la membrana è collegata con un’asta o una corda: sfregando
queste, si inducono oscillazioni longitudinali - ossia nel senso dell’oggetto sfregato - che
attraverso il punto di contatto si trasformano in oscillazioni trasversali della membrana. Nel
cupa-cupa della Basilicata o nel putipù campano, ad esempio, un bastone, fissato al centro
della membrana, viene sfregato con una pezza umida o direttamente con la mano.
Nei tamburi a pizzico, la struttura è leggermente più complessa, perché anche la corda
collegata alla membrana deve essere tesa e quindi avere un punto distante dalla membrana cui
agganciarsi: pizzicando la corda si possono così indurre indirettamente vibrazioni sulla
membrana, attraverso le oscillazioni longitudinali della corda stessa (è il caso di alcuni
strumenti diffusi in India).
I più consueti tamburi a percussione si distinguono, in base alla forma, nel modo
seguente:
- tamburi tubolari, che a loro volta possono essere cilindrici, a barile, conici, a clessidra o a
calice;
- tamburi a cornice, ad esempio il tamburello; in questo caso la funzione di risonatore della
struttura su cui è tesa la membrana è spesso pressoché inesistente;
- tamburi a paiolo, con cassa di forma più o meno emisferica; è questo il caso dei timpani
dell’orchestra sinfonica.
I tamburi tubolari e a cornice possono a volte avere due pelli.
Un aspetto importante, nei tamburi, è la modalità con cui la pelle è fissata sulla
struttura di sostegno, considerato che può essere incollata, inchiodata, fissata con pioli,
tramite un cerchio, o con lacci. In quest’ultimo caso, diffuso in molte culture, le tecniche di
allacciatura possono essere assai varie e complesse.
Ai membranofoni appartengono i mirliton, strumenti in cui la membrana è messa in
vibrazione dalla voce umana, come nel kazoo, di cui erano diffusi qualche tempo fa anche in
Italia molti esemplari in plastica, che consentivano a tutti di sentire la propria voce
trasformata in una sonorità da ‘strumento’ musicale.
Negli idiofoni è il corpo stesso dello strumento a produrre il suono, grazie alla propria
durezza ed elasticità. I materiali possono essere vari, prevalentemente legno e metallo. E’ la
modalità con cui viene indotta la vibrazione ad assumere qui importanza primaria. In base a
tale criterio gli idiofoni si suddividono in idiofoni a percussione, a raschiamento, a pizzico, a
frizione.
Gli idiofoni a percussione, che rappresentano la categoria più ampia, si dividono a loro
volta nel modo seguente:
- a percussione reciproca, o a concussione, quando vi sono due elementi, a forma di bastone,
tavoletta, oppure vascolari, che vengono battuti uno contro l’altro; è il caso delle castagnette,
dei cimbali, dei crotali dell’antica Grecia;
- a percussione diretta, quando lo strumento viene colpito con un oggetto di per sé non
produttore di suono, come la mano o un mazzuolo, oppure viene esso stesso usato per colpire
qualcosa di per sé non sonoro, come il corpo del suonatore o il terreno. Rientra qui l’infinita
gamma dei tamburi di legno (come i tamburi a fessura), degli idiofoni a barre (xilofoni,
metallofoni, litofoni), dei gong (in cui le vibrazioni sono massime al centro), delle campane
(in cui le vibrazioni sono massime ai bordi) sia con battaglio che percosse dall’esterno;
- a percussione indiretta, o a scuotimento, quando il suonatore non compie un gesto
direttamente percussivo, bensì la percussione si verifica come conseguenza di movimenti di
altro genere. Sono questi i vari tipi di sonaglio, che possono essere ad esempio costituiti da un
recipiente riempito di elementi che urtano contro le pareti (come i sonagli di zucca pieni di
semi), oppure da elementi sospesi che cozzano tra loro e/o con la struttura che li sostiene
(come nell’antico sistro). Un sonaglio a cornice particolarmente raffinato è il giavanese
angklung, in cui il suono è prodotto da due o più canne di bambu, differentemente intonate,
sospese verticalmente e oscillanti entro solchi intagliati in una canna di bambu orizzontale.
Negli idiofoni a raschiamento la vibrazione è prodotta facendo passare una bacchetta o
una lamina su un corpo dentellato: è il caso della washboard, ovvero la tavola per lavare i
panni, raschiata con una bacchetta, e di tanti strumenti appositamente predisposti,
prevalentemente a forma di bastone, di legno o di osso; talvolta possono essere usati con
risonatore, semplicemente poggiandoli su un recipiente cavo, a meno che non siano essi stessi
ricavati su un corpo che possa assolvere a tale funzione (gusci, zucche, etc.). Sono considerate
idiofoni a raschiamento anche le raganelle.
Tra gli idiofoni a pizzico, grande importanza rivestono i lamellofoni africani, spesso
chiamati ancora in modo generico ed erroneamente con il termine di ‘sansa’ o
‘zanza’ (specifico solo di alcune culture), nei quali una serie di lamelle, in genere di metallo,
sono fissate su una tavola o una piccola cassa (con funzioni di risonanza), di legno, che possa
facilmente essere tenuta nelle mani e consentire di pizzicare le lamelle con i pollici. Vanno qui
inoltre annoverate le ‘scatole musicali’ (musical box), strumento meccanico in cui lamelle di
varia lunghezza sono disposte come denti di un pettine di metallo, e pizzicate dalle punte
sporgenti disposte su un cilindro rotante.
Un particolare problema pone la classificazione dello scacciapensieri, considerato fino
a poco tempo fa come un idiofono a pizzico con lamella singola. Recenti ricerche hanno
dimostrato come si possa invece considerare, quale elemento vibrante, la turbolenza d’aria
che si genera nel passaggio della lamella oscillante attraverso le due componenti fisse,
appartenenti alla struttura portante, che vengono strette tra i denti: da ciò è stato proposto di
ritenere lo scacciapensieri un aerofono.
Negli idiofoni a frizione, infine, le vibrazioni si ottengono tramite sfregamento,
ottenuto direttamente con le dita delle mani, o indirettamente, con mezzi appositi. Oltre ad
alcuni strumenti piuttosto semplici, prevalentemente di legno, di osso, o di pietra, vi
appartengono alcuni complessi ed elaborati esempi, come la Glasharmonica, realizzata a metà
del settecento, in cui tramite una tastiera si comanda lo sfregamento di scodelle di vetro
ruotanti, di diverse dimensioni e intonazione.
Gli strumenti musicali di ogni epoca e di ogni paese, a cura del Diagram Group, Milano 1977,
(ed. or. 1976).
Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, s.v. Acustica Musicale, in
«Il Lessico», vol. I, Torino 1983; Strumenti musicali (Classificazione), in «Il Lessico»,
vol. IV, Torino 1985.
Curt Sachs, Storia degli strumenti musicali, Milano 1980 (ed. or. New York 1940).
André Schaeffner, Origine degli strumenti musicali, Palermo 1978 (ed. or. Paris 1968).
Johann Sundberg, The Science of Musical Sounds, San Diego & al. 1991.