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L’EDUCAZIONE
Secondo la pedagogia popolare (espressione di Bruner, noto pedagogista del 900), l’educazione
non è un problema, ma un presupposto fondativo. Secondo, invece, la pedagogia scienti co/
loso ca, è un concetto strati cato e complesso ed una costellazione con zone d’ombra. La
metafora della STRATIFICAZIONE : è un richiamo alla geologia. La strati cazione non è soltanto
lineare, dal basso verso l’alto. Nella crosta terrestre, alcune strati cazioni possono apparire in
super cie anche se sono temporalmente arretrate (grazie al fenomeno delle pieghe, degli
smottamenti) Non si può quindi ragionare temporalmente, dal più arcaico al più recente. La
metafora della COSTELLAZIONE: sul tema dell'educazione noi abbiamo delle categorie come
delle stelle luminose, abbiamo dei punti luminosi del fenomeno educativo più volte ripresi e
studiati, ma al tempo stesso abbiamo delle zone oscure, d’ombra. Quindi il sapere pedagogico è
un sapere costruito che si basa su una tradizione di conoscenze e ri essioni ma, al tempo stesso,
è costruito da un soggetto che, nell’elaborare queste conoscenze, pone una luce nuova, si pone
davanti a queste conoscenze dal suo punto di vista (abbiamo una costellazione di fronte ma
mettiamo insieme diversamente i punti luminosi della costellazione pedagogica). È un sapere di
UN soggetto, (tutto ciò non sminuisce il sapere scienti co e loso co ma bisogna guardare e aver
coscienza del punto di vista dal quale si esprime un sapere). Nessuno può dire di conoscere La
pedagogia che è invece un sapere storico, situato, prospettico. Bisogna avere coscienza dei limiti
della nostra conoscenza. Anche la tradizione loso ca occidentale si occupa di educazione; si
pensi a Platone che, nella sua ri essione loso ca, fa riferimenti all’educazione, per esempio ne
“La Repubblica”. Infatti, uno degli snodi centrali della Repubblica è proprio il concetto della
paideia: si pone il tema della necessità di educare i cittadini da parte dello stato, di formarli alle
leggi assieme alla stretta correlazione che c’è tra l’educazione e la psiche dei soggetti ai quali va
applicata , tant’è che vengono predisposte educazioni diverse a seconda che i cittadini siano
loso o guerrieri (a seconda del tipo di anima prevalente). Più in generale, la ri essione sulla
pedagogia, n dalle origini, connette il sapere educativo con altri saperi: la psicologia o la politica
(l’educazione del cittadino).
⁃ Educazione come formazione della persona : il termine PERSONA evoca non solo il suo
intelletto, la sua intelligenza, ma anche la sua volontà. L’istruzione è solo una parte della
sfera dell’educativo. Questa posizione non nega un’educazione intellettuale ma l’istruzione
è una parte di processo più ampio in cui si deve lavorare su altri aspetti della persona. È un
processo dinamico, non un trasmettere meccanico da un contenitore ad un altro possibile
contenitore ma entra in gioco anche la volontà. Tuttavia ci sono dei limiti in questa
rappresentazione : un primo limite è alla radice di un “equivoco” che identi ca educazione e
formazione : l’educazione riguarda il periodo in cui il soggetto passa da uno stato di totale
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dipendenza ad uno stato di autonomia riconosciuta dalla socio cultura e dalla
giurisprudenza come condizione adulta. Invece, la formazione riguarda quelle azioni di
trasformazione, il cambiamento che il soggetto assume in piena autonomia, anzi avendo
raggiunto quella condizione di autonomia. Sono quindi due fenomeni diversi; spesso invece
in questa rappresentazione s’insiste nell’allungare il periodo di formazione della persona
all’intera sua esistenza. Un secondo limite è far coincidere l’apprendimento con l’insieme
delle esperienze vitali: se si impara per tutta la vita, è la vita che t’insegna. Sono
rappresentazioni con dei punti di fuga rispetto ad un’e ettiva corrispondenza tra teoria e
fenomeno.
⁃ Educazione come allevamento e cura : è quell’azione del soggetto adulto che si fa carico
dei bisogni di un soggetto che non è autonomo nel porsi davanti alla vita. Servizio alla
corporeità : diventano fatti educativi quegli elementi di maternage iniziale del bambino.
L’adulto si fa carico dei bisogni sici, corporei del bambino che quest’ultimo apprende
come elementi della propria cura. Questa prospettiva si può applicare sia all’allevamento
infantile ma anche all’assistenza agli anziani o ai malati. Inoltre, questa rappresentazione ha
dato spazio ad un’ interpretazione sociosanitaria dell’educazione che ha una tradizione
anche nobile con gure importantissime nella storia della pedagogia come Maria
Montessori, che si occupava di bambini “subnormali” ( così de niti, all’epoca) per poi
allargare il suo interesse all’intero ambito pedagogico con studi, osservazioni e iniziative
educative in Italia e in India. Tutto ciò ci porta ad un forte collegamento del tema
pedagogico alla famiglia, luogo dedito alla cura della vita. Se l’educazione cura, c’è un
luogo educativo che è la famiglia .
Lezione 2
Educabilità umana, noi parliamo di educazione perché c’è un dato primigenio della malleabilità
infantile che corrisponde all’educabilità umana. L’altra questione è la trasmissione culturale
(educazione-insegnamento).
Educabilità umana : abbiamo una lunga fase infantile nell’esperienza vitale dell’uomo dove il
soggetto si presenta immaturo e dipendente. Nella specie umana, i comportamenti istintivi sono
limitati a di erenza di altre specie viventi che, al momento della nascita, hanno un istinto che li fa
lottare per la sopravvivenza. Nell’esperienza della vita dell’uomo, i comportamenti istintualità sono
pochi; la vita del neonato dipende da un luogo che se ne fa carico, che lo curi e che lo porti a
raggiungere quel livello di autonomia e indipendenza. L’educazione ha un aspetto fondamentale
perché è il mezzo che consente la continuità sociale della vita; per fare ciò il soggetto umano
deve acquisire un’esperienza culturale che gli consenta di diventare adulto e poter quindi
contribuire alla propria vita e a quella collettiva.
La trasmissione culturale: La cultura ha una sua accezione antropologica (diversa dalla cultura
formale, la scuola). Nella prospettiva antropologica, la cultura è quella capacità umana di
inventare arnesi, strumenti, manufatti, creare simboli sempre più so sticati. La cultura è
necessaria per de nire l’uomo e la natura umana sarebbe ignota senza la mediazione degli arnesi
culturali che essa ha prodotto. La cultura è un supporto alla vita sociale e individuale e quindi
occorre sia un’organizzazione sociale che protegga e sostenga gli immaturi, che un processo in
cui la trasmissione culturale possa avvenire. Quello che determina la trasformazione del cucciolo
d’uomo da promessa d’umanità a umanità realizzata è l’ambiente socioculturale. Il processo
educativo, de nito come quel processo in cui c’è interazione tra adulti maturi e immaturi, avviene
nell’ambiente socioculturale, che indica quegli elementi storici geogra ci, spazio e tempo, che
de niscono la cultura, la civiltà, la forma umana desiderata in un certo periodo storico. Da questo
punto di vista, l’ORIZZONTE EDUCATIVO, è quello dentro il quale si situa il processo di
interazione. Perché orizzonte educativo? Il termine orizzonte si determina dal movimento del
soggetto, si de nisce in base al suo movimento nello spazio e nel tempo.
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La fenomenologia del processo educativo: Il processo educativo ha delle costanti, ci sono degli
elementi strutturali che ricorrono al di là delle varianti che possono essere legate alla dinamicità
propria del processo.
1. La malleabilità del cucciolo d’uomo: bisogna proteggere la sua lunga età evolutiva come
stagione privilegiata.
4. Finalizzazione del processo all’autonomia progressiva dell’ex immaturo: costante che rende
ragione alla di erenza tra educazione e formazione. Il processo educativo ha un ne : condurre
progressivamente all’autonomia l’immaturo, stimolare la capacità personale di scegliere e di
decidere, consolidare l’identità dell’io (nel linguaggio giuridico: capacità giuridica). Il processo
educativo è quell’azione degli adulti in cui il soggetto viene condotto dentro un orizzonte culturale
per diventare autonomo, capace di scegliere e decidere, di avere un io maturo.
C’è una visione antropologica sottesa: distingue in maniera elementare ma su ciente, la fase
dell’immaturità che poi raggiunge l’età adulta e che lentamente va poi alla senescenza.
Specularità tra fase dell’immaturo e fase della vecchiaia. Perché? Il percorso dell’età evolutiva
consiste nel giungere alla conquista dell’autonomia, dell’età adulta, intesa come capacità di
autonomia, capacità di sostenere e accompagnare adulti signi cativi verso la senescenza
(progressiva perdita di autonomia, di controllo del proprio corpo, della realtà esterna) e la crescita
dell’immaturo. A tal proposito, abbiamo l’immagine di Enea che ha sulle spalle il padre e tiene per
mano il glio. Tornando alla di erenza tra formazione ed educazione si può concludere che: la
formazione interviene quando l’uomo ha già raggiunto l’autonomia ed è capace di scegliere. Il
processo educativo avviene in assenza di autonomia che verrà poi progressivamente maturata.
(Traspozione del cubo) L’insieme dei punti di osservazione del processo educativo che può essere
visto nella sua multidimensionalità tenendo conto degli importanti elementi di spazio e tempo.
AMBIENTE EDUCATIVO
Gioca un ruolo fondamentale l’intenzionalità con cui l’adulto si rapporta all’immaturo. È ciò che
de nisce la quali ca di educativo nel rapporto tra adulti e immaturi. L’ambiente educativo è
l’insieme di adulti auto coscienti di avere un diritto-dovere di assicurare al nuovo nato un’identità
e di renderlo capace di utilizzare e di pro ttare di tutto ciò che la cultura ha prodotto. Il luogo per
eccellenza del processo educativo, nelle sue fasi primarie, è la famiglia.Nella famiglia
intervengono anche dinamiche intergenerazionali che danno luogo a scontri Famiglia -> luogo
dove si è coscienti di essere al servizio della crescita di un immaturo.
Lezione 3
L’educazione è un processo di interazione che si sviluppa per tutto l’arco dell’età evolutiva fra un
soggetto giovane ed un certo numero di adulti signi cativi per lui; questi si a ancano, si
alternano, si succedono nella relazione, ecc.
Questo si fonda bene sulla relazione tra gli esseri umani: questo è il carattere rilevante di questa
pedagogia.
- Relazione educativa
Il processo educativo considera la persona come il soggetto e l’oggetto principale del proprio
interesse. Distingue primariamente tre fasi nella vita di un uomo:
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Dimensione “altra” della vita: sia con la morte sia con la nuova nascita
La nascita come potenza ambivalente, perché può essere qualcosa che può insidiare la vita,
mettere in crisi: non porta soltanto nuova vita. Porta con sé, quindi, sentimenti, attesa, domande,
questioni, ecc.
Il neonato rappresenta, per ciascun sistema socioculturale, insieme una garanzia e una minaccia:
per un verso la sua esistenza garantisce che la riproduzione della vita umana autentica avverrà,
per un altro verso è anche vero che tale vita culturale del gruppo potrà essere da lui modi cata,
tradita, negata: ciò non avviene senza resistenze da parte del genitore, c’è infatti crisi.
È un ambivalenza che era già codi cata nella vita antica. Nella vita romana il nascituro veniva
portato al pater familias, che poteva accettare o ri utare tale riconoscimento. Anche sul piano
materno c’è poi una dinamica di accettazione o ri uto.
- Funzione paterna: bisogni oggetti; sicurezza materiale, istruzione, identità sociale, signi cato
etico (norma), stima sociale (autostima)
- Funzione materna: bisogni soggettivi; sicurezza a ettiva, esperienza, identità personale, libertà
(autonomia) morale, comprensione/perdono
Non è possibile ridurre il dinamismo bisogno-funzione all’identità di genere. Per l’adulto si tratta,
infatti, di rispondere in base al bisogno manifestato dall’immaturo in quel momento. NON DEVI
DIRE ALL’ESAME CHE “IL PADRE FA QUESTO E LA MADRE FA QUEST’ALTRO”.
Nella famiglia le condotte adulte vengono recepite e interiorizzate con una naturalezza totalmente
acritica, che non richiede un’intenzionale ri essione, né dell’adulto, né del bambino (almeno no
all’adolescenza di quest’ultimo). Nella famiglia c’è un tipo di educazione che possiamo de nire
implicita, non c’è un ri essione intenzionale nelle dinamiche educative famigliari.
L’adolescente mette poi in crisi le condotte adulte presenti nella famiglia. Avere dei gli
adolescenti modi ca totalmente il clima dell’educazione famigliare.
Il duplice bisogno di appartenenza e di identità costituisce, nel corso dell’età evolutiva, anche la
più importante delle motivazioni ad apprendere. Si adottano stili educativi e di apprendimento per
come sono stati ricevuti, spessi.
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IL PROCESSO EDUCATIVO E L’IO
I presupposti psicologici del modello: le topiche freudiana e il ciclo della vita eriksoniano.
Le topiche freudiane. Freud perviene ad una descrizione della psiche, partendo dalla medicina.
Lui si trova davanti a fenomeni di malattie non riconducibili ad una base organica, ciò lo porta a
riconsiderare il tema della psiche, questo è un approccio allo studio della psicologia diverso da
quelli delle seconda metà dell’ottocento. La prospettiva freudiana non empirico-quantitativa, ma è
un approccio clinico. Queste ri essioni lo spingono a ipotizzare, in primo luogo, l’esistenza di una
tripartizione della psiche in: coscienza, subconscio e inconscio; e in seguito, la seconda topica,
distingue: un es (luogo di energia potente da parte del soggetto), un io e un superio (che nascono
dall’impatto della forza primigenia della realtà umana, che non potendo soddisfare se stessa
costituisce una barriera tra il sé e il rapporto con la realtà: questo è il superio, dietro il quale si cela
l’io). Queste due topiche sono distinte, non c’è interscambiabilità.
La spinta primigenia psichica è identi cata in un primo momento da Freud con l’eros (il piacere,
spinta verso la vita), poi a ancato da thanatos (spinta verso la morte).
Erikson cresce come psicanalista alla scuola di Anna Freud, solo che essendo ebreo si trasferirà
in America, e lì riconsidera la psicologia clinica. Non concentra più la sua attenzione sulle forze
primigenie vitali. Per Erikson IO, SuperIO ed ES (fonte di energia), sono compresenti sin dall’inizio.
Quindi le osservazioni sul dinamismo psichico di Erikson sono diverse da quelle freudiane.
Le fasi freudiane dell’infanzia si concentrano sul alcune fasi del corpo: la fase orale (il piacere è
legato alla bocca, alla suzione, al mangiare), poi la fase anale e la fase fallica (elementi di
sessualità infantile, da qui si passa al complesso di Edipo: competizione col genitore di sesso
omologo e tentativo di conquista del genitore di sesso opposto), quest’ultima fase da avvio al
periodo di latenza, in cui poi si investe energia psichica in un’altra direzione. In questa visione di
Freud gioca una ricostruzione ricavata da una descrizione dei casi clinici da lui studiati, osservati
e curati, di soggetti adulti basati sui traumi infantili.
Così si avviarono gli studi sulle condotte genitoriali, sulla psicologia infantile, da qui gli studi di
Anna Freud. Dal trauma all’osservazione diretta. Da questa scuola arriva Erikson, il quale rilegge le
fasi delle infanzia, non più in base al corpo, ma a età della vita: infanzia, adolescenza, gioventù,
maturità e vecchiaia.
Lezione 4
Per crescere in senso umano, il piccolo dell’uomo deve anche conferire un “signi cato” alla
propria crescita, e deve in qualche misura progettarsi in una, almeno ipotetica, forma di umanità
desiderabile. Anche gli adulti, genitori e insegnanti, nell’esprimere atteggiamenti di cura educativa
nei confronti di bambini e adolescenti, esprimono delle immagini della crescita degli immaturi, e
ad essi comunicano, direttamente e/o indirettamente, come da essi “attese”. Aspettativa di
crescita!
Le tre grandi stagioni della vita: la nozioni di “età evolutiva” suppone che esistano almeno due
grandi stagioni della vita, di cui una, quella appunto de nita “evolutiva”, sarebbe caratterizzata da
dinamismi di sviluppo molto veloci e complessi, mentre le altre stagioni apparirebbero
relativamente de nite e tendenzialmente statiche, o addirittura progressivamente involutive.
Possiamo a ermare che, per molti secoli, le culture umane hanno condiviso in prevalenza
rappresentazioni svalutati dell’infanzia (alto tasso di mortalità, condizione di debolezza intrinseca,
di improduttività infantile, in qualche modo di umanità parziale e incompiuta). Infanzia è allora
sinonimo di capriccio e irragionevolezza, di incostante e ina dabilità, che induce un “sospetto”
nei suoi confronti, e un perenne tentativo di controllo da parte della società adulta. C’è disordine,
ma la società adulta richiede ordine, quindi l’infanzia è controllo, è dare costante.
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Anche l’uomo antico era evidente il carattere di “promessa” e segreta “potenza” dell’infanzia (dato
il suo sperimentato potenziale di sviluppo). Nel pensiero mitico si può individuare l’attribuzione
all’infanzia di una particolare forza “luminosa”: “deus absecun tus”.
Le culture antiche hanno spesso espresso, accanto alla speranza, anche un “sospetto” radicale
nei confronti dell’infanzia.
Il sospetto nei confronti dell’infanzia, così come l’attesa duciosa nelle sue promesse,
sottintendono una più generale concezione della natura umana, considerata “minacciante” in se
stessa per una congenita inclinazione al male, o comunque per una sua potenziale capacità
maligna (il “peccato originale”). All’opposto la speranza riposta nell’infanzia sottintende una
antropologia positiva, il presupposto di una naturale “bontà” della natura umana, della sua
capacità di intelligenza e libertà, e quindi di assunzione di responsabilità autonoma.
Da qui l’educazione come crescita spontanea di ciò che è già presente nel soggetto.
Quello che impariamo dipende dal rapporto diretto, da quello che ci è mostrato e raccontato
dall’adulto. Anche il processo identi cativo sta a questo paradigma, tuttavia il processo
identi cativo è in due sensi, è di interazione, non è pura narrativa.
Erikson mette in evidenza che le polarità in gioco nel primo anno di vita portano i soggetto ad
alternare momenti di ducia a momenti di s ducia nei confronti della realtà circostante, in base
alle risposte ai suoi bisogni. Dal momento di distanza dal sé al momento all’atto di unione, il
momento in cui il bambino di alimenta è il momento del contatto e della soddisfazione: capisce
che c’è qualcosa nella realtà che lo soddisfa e nasce anche un’attesa. Questo si costituisce come
un “abitus psichico” di speranza: questa è la virtù dell’infanzia in fase orale (primo anno), il
compito di sviluppo, che vede come nucleo patologico il ritiro.
La prima fanciullezza, la fase anale (fra i due e i tra anni), è il momento in cui il soggetto di accorge
di poter controllare queste funzioni corporee e scorge l’esercizio autonomo nell’aver fatto
qualcosa, esercizio contrapposto alla vergogna (per polarità). Qui il compito di sviluppo è la
volontà e come nucleo patologico vede la coercizione (quando non può fare oggetto della propria
volontà).
Età del gioco (fase fallica, tra i tre e i cinque anni), è l’età in cui il soggetto scopre la nalità delle
proprie azioni: da qui il compito di iniziatica e il nucleo patologico di senso di colpa. In questa età,
nella psicologia analitica ortodossa, è quella della scoperta dell’eros infantile, che porta al periodo
di latenza freudiano. In Erikson siamo invece condotti alle relazioni sociali: quindi all’età scolare.
L’età scolare è un luogo dove il soggetto immaturo si apre alle relazioni con un range più ampio
rispetto alla famiglia. Il soggetto può rivolgersi alla realtà esterna in termini di industriosità o di
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senso di inferiorità: da qui la competenza (industriosità come compito di sviluppo, virtù) o l’inerzia
(dove si lascia vincere dall’inferiorità).
L’adolescenza si divide in pre (12-13), media (14-16), e tarda (17-19). In questa fase c’è la
trasformazione del corpo e la scoperta della sessualità adulta. La polarità qui è ricerca di identità
e sua dispersione: perché il soggetto fa i conti con le trasformazioni del proprio corpo e con la
ricerca del riconoscimento sociale, coi pari ma anche con gli adulti. Qui la il soggetto può
sviluppare la fedeltà, oppure il ri uto del ruolo (nucleo patologico).
Terminata l’adolescenza, non sono niti i compiti maturativi del soggetto; però ci troviamo davanti
a un io adulto di cui possiamo distinguere tre stadi dell’adulto.
Il primo stadio adulto è della giovinezza, il secondo è generativo e il terzo della vecchiaia. Nella
giovinezza (20-45) il soggetto si concentra, per quanto concerne l’identità, sul tema dell’identità
(amore coniugale) e nell’isolamento (esclusione di compagnia coniugale). L’adulto generativo
(40-65) l’amore non realizza il sé, non si aspetta il ricambio, ed è posto a cura dei gli o della
realtà; contrapposto alla negazione e alla stagnazione. Nella vecchiaia il soggetto è spinto dalla
forza dell’integrità del sé rispetto alla disperazione dei cambiamenti che incorrono nell’età senile.
La virtù è quella della saggezza, il nucleo patologico è il disprezzo del sé e della realtà che ci
circonda.
MOSCATO
I cicli della vita di Erikson vanno integrati con altre letture psicologiche, Arieti e Jung in particolare.
L’archetipo, come modello originario, primogenito. Si tratta sempre di saper cogliere la natura
della forza della psiche, che in Freud è il principio di piacere (che poi diventa duplice, ambivalente,
con poi sviluppo o stasi). C’è una diversa rappresentazione della psiche in Jung, che è molto
vicino a Freud ma molto diverso poi. Jung mette in evidenza la presenza, nella psiche del
soggetto, di archetipi, nuclei di energia psichica, molto rilevanti per il soggetto. Non sono rilevanti
solo per il soggetto, ma gli archetipi sono in grado anche di interpretare la cultura, i miti e la
società. Con gli archetipi possiamo anche interpretare realtà, in quanto questi archetipi sono delle
categorie del dinamismo della vita e dell’alterità, per il soggetto che interagisce col mondo.
Bruner ha fatto delle narrazioni un tema importante del tema della ricerca psicopedagogica. Nelle
narrazioni c’è un possibile oggetto di ri essione pedagogica perché o rono degli elementi che
possiamo trattare per comprendere i dinamismi educativi.
La metafora del viaggio è centrale, le narrazioni come metafore di viaggio. Nel processo
pedagogico si possono individuare tre grandi strutture del viaggio una è quella di iniziazione, e un
esempio è quella di pinocchio.
Perché pinocchio è un racconto di iniziazione? Perché inizia col burattino di legno e ha termine
con una trasformazione, il burattino in bambino. Questo può essere il raggiungimento di un
bambino che diventa adulto, perché ne ha tutte le caratteristiche. Il bambino è quindi il burattino.
Il burattino è un pezzo di legno che geppetto vuole trasformare in burattino per avere compagnia.
Qui c’è una prima alterazione della gura genitoriale: non è un genitore che vuole un glio, ma che
vuole compagnia per sé. Il glio è generato per ragioni diverse rispetto alla generazione vera e
propria. Si genera per sovrabbondanza di energia psichica.
Quello che succede nell’esperienza del bisognoso di compagnia porta alla trasformazione del
soggetto adulto: il legno che parla porta allo shock di geppetto. Geppetto molto lentamente
imparerà ad essere un genitore. Il cammino in cui i soggetti nella storia imparano a diventare sé
stessi ci porta a capire che l’adulto continua a trasformarsi: trasformazione di io infantile in io
matura.
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Lezione 5
Il viaggio iniziatico è molto simile ai Bildungsroman, la sua struttura è quella propria dello sviluppo
educativo. Sono oggetto anche di ri essioni pedagogiche anche dei viaggi propri della ri essione
adulta, e sono due: peregrinazione dell’eroe adulto e dell’eroe fondatore.
L’eroe peregrino al suo archetipo nella gura di Ulisse. Ulisse non deve diventare Re o sposarsi,
ha tutto. Ulisse, allora, compie quei viaggi per espiare le sue colpe. Le sue peripezie derivano dal
fatto che ha irritato alcune divinità che ostacolano il suo ritorno in patria. In questa espiazione,
quello che interviene, è una maggiore consapevolezza di sé. Il soggetto adulto, comunque, nel
viaggio della vita comprende meglio gli aspetti che la determinano, come le gure femminili.
L’eroe fondatore è nella gura di Enea o di Abramo. Generano tuoi popoli che poi fondano una
società, una cultura, un’etnia. Qui c’è una vocazione divina, o luminosa, dall’alto.
È importante per un adulto avere la consapevolezza di avere un punto di vista. Nel testo della
moscato è sottesa una teoria della conoscenza, che è importante in ambito pedagogico.
Qual’è la nalità dell’educazione? La capacità autonoma di relazionarsi con la realtà, realtà sia
culturale che della natura, dell’insieme del mondo.
Si a ronterà il viaggio dei Magi, quarta forma di viaggio, con notevole interesse pedagogico nella
prospettiva interculturale.
Lezione 6
Col testo sull’elefante ci troviamo di fronte a un tema fondamentale per la ri essione pedagogica:
il tema della conoscenza. Rendere autonomo ii rapporto con la realtà è rendere autonomo dal
punto di vista conoscitivo.
Filoso camente, nel corso dell’’800 ci sono due alternative nel panorama loso co: idealismo e
oggettivismo positivista. Hanno dato luogo, nel primo ‘900, a scuole pedagogiche. Per esempio
nel primo novecento c’è quella dell’idealismo attualista di Gentile. In ambito scienti co abbiamo la
Montessori, di derivazione medica. Corallo, maestro della Moscato, ha avuto come docente
Giovanni Gentile, quindi c’è un confronto costante con l’idealismo. Corallo riconosce la verità
della forza di pensiero: nei termini secondo cui dal pensiero non si esce; bisogna indagare il
pensiero, che ci rendiamo conto di che cosa voglia dire pensare, tuttavia non riduce la realtà a
soggetto come nell’idealismo (per cui la realtà esiste per cui pensata). Corallo è di un realismo
non ingenuo: l’oggetto è occasione per il pensiero, ma l’uomo coglie la realtà con il pensiero,
disvelamento dell’essere, ci fa capire la realtà.
La Moscato opponeva una posizione sulla conoscenza tomista (De Veritate), per cui verità è
adeguazione dell’intelletto alle cose. Quindi è l’oggetto che in qualche maniera guida la
conoscenza.
In base alla coscienza e alla di erenziazione della mente si riconoscono di erenti fenomeni. C’è
una qualità del pensiero che rende questo atto come mediatore della realtà. È questa la
prospettiva di corallo.
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(C’è anche un atto di religione: intelletto per produrre verità)
Nella prospettiva di Corallo, che riconosce il fatto che dal pensiero non si esca, tipico
dell’idealismo. Riconosce però anche un sostrato meta sico, per cui l’uomo sceglie il signi cato
della cosa: per questo c’è un dinamismo anche in ambito educativo.
Tommaso VS Agostino: Dio si conosce nella realtà fuori di noi VS Dio si conosce nell’intimo, Dio
mi è più intimo che me stesso.
Nella loso a moderna abbiamo avuto un cambiamento drastico con Kant: la critica della ragione
prima che si metta a conoscere la realtà. Uno sviluppo possibile sarà poi l’idealismo di Hegel, per
cui quello che ha detto Kant è comprensibile solo se la realtà e il pensiero coincidano. Questa
posizione è quella ripresa in Italia da Giovanni Gentile (riforma della scuola nel 1923, ministro
dell’istituzione) e da Benedetto Croce. L’attualismo di Gentile educazione e loso a vanno di pari
passo: massimo è l’educazione dello spirito (per cui il vertice è la loso a nel liceo classico).
Con Spinoza ed Hegel si vede che la loso a del popolo è la religione, mentre la loso a dei dotti
è a sé stante e riservato agli spiriti più alti. Questa è la posizione introdotta nella scuola e nella
cultura. Religione come coronamento del sapere elementare.
Anche qui, gnoseologicamente, c’è una supremazia del pensiero. La natura è l’alienazione della
materia del pensiero.
Corallo non è un’idealista ma riconosce l’intuizione per cui il pensiero è l’ambito proprio
dell’essere dell’uomo e del suo rapporto con la realtà. Corallo contesta a Kant il pensiero puro,
non può essere così. Alla coscienza il pensiero si presenta come l’immanenza di un trascendente.
In ogni atto di pensiero non c’è solo il pensiero ma anche l’altro, cioè la cosa pensata. La realtà è
irriducibile al pensiero.
Per Corallo la realtà ci si presenta come ricca e complessa, e certamente problematica. C’è
bisogno che si integri con la realtà anche la ricerca della verità: perché le cose sono e insieme
signi cano. Le cose sono insieme esistenza e signi cato. Così l’oggetto è esistente sul piano
ontologico e pensabile su quello logico.
Qui si pone la questione dell’educare: a monte della ri essione pedagogica, il pensiero rivela sé
stesso e al tempo stesso anche l’oggetto pensato. Così il dinamismo della coscienza si deve
rapportare alla realtà, che esiste indipendentemente dalla coscienza.
Corallo mette in evidenza che la realtà esiste per il pensiero del soggetto, immanenza, ed è anche
in sé trascendenza. Così si va oltre il relativismo, è un soggettivismo assolutizzato. Così si mette
in moto il dinamismo della conoscenza, e anche la sua moralità. Noi a ermiamo esistenzialmente i
valori.
Il pensiero scopre il signi cato delle cose o le inventa? Per Moscato si cade nell’idealismo, per
Corallo è un falso problema: per cui nelle questioni pedagogiche bisogna pensare a come il
pensiero media gli oggetti. La libertà è conquista per l’uomo, un obiettivo da raggiungere. Per
Corallo la condizione adulta si dà quando il soggetto umano acquisisce libertà, perché il libero
arbitrio non è una posizione ontologica a prescindere dal sistema educativo, questo si
accompagna alla comprensione di sé, del soggetto, nella comprensione degli oggetti, realizzando
la sua libertà.
Invenzione e signi cato hanno valori. Non solo in termini empirici. È importante considerare anche
il valore della paideia, della società e della cultura. In questo ambito interviene la costruzione di
mediatori di signi cato per il pensiero. Nell’esperienza culturale dell’uomo invenzione e scoperta
sono inseparabile, e l’uomo fa questo alla luce del signi cato globale della realtà. L’uomo inventa
una serie si signi cati di verità parziali alla luce di quelle fondamentali da lui già conosciute.
Questo è il dinamismo proprio del sapere dell’uomo come comunità, che non è né neutro né
liberare, legato a un rapporto soggetto-oggetto.
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Il fatto che ci sia una costanza oggettuale, che l’oggetto conosciuto abbia un suo sostrato, rende
l’interpretazione legittima e la garantisce anche. Così si supera il soggettivismo, così ci si può
rapportare a qualcosa di altro. Questo rapporto dà il via alla ri essione religiosa: ricerca di
risposte in ambito esistenziale e radicale dell’esperienza umana.
Senza un’attribuzione di valore non ci si muove di fronte alla realtà, non ci sarebbe interesse.
Questo spiega anche quando si ferma la conoscenza.
Proprio questo valore di mediazione della cultura, quindi di senso e di signi cato più generale,
genera quelle di erenze di senso e di signi cato con la realtà, che entrano in gioco nel rapporto
interculturale. Se non si è sulla stessa lunghezza d’onda non si riesce a comunicare bene: quindi
la questione della comunicazione interculturale.
Se mancano gli elementi non si comunica. Si dà comunicazione interculturale nei momenti in cui
si superano questi limiti.
Lezione 7
Bisogna superare la paura di non avere la verità in tasca; avere una consapevolezza umile delle
proprie conoscenze ci consente di interessarci a quel che l’altro vede nella nostra realtà. C’è un
accrescimento. Il dialogo non serve per vincere con la retorica, ma serve per ampliare la propria
visione del reale.
Il mito dei Magi rappresenta l’esempio del dialogo tra soggetti di culture diverse.
Esempio della ragazza che si dice musulmana dopo un po’. Si sentiva cattolica fuori e musulmana
dentro. Non c’è percezione del con itto in Amina, perché entra in gioco una dimensione a ettiva
della lezione di religione.
La persona che cresce, dall’adolescenza in poi svolge continuamente un’attività di scelta delle
proposte che li vengono fatte. Anche nelle altre storie emerge questa selettività, lo mette alla
prova e ciò che ritiene valido lo conserva. È una dinamica fondamentale per non essere un
demiurgo che modella in base all’arbitrio: l’educatore fa solo delle proposte che vengono messe
alla prova dall’educando.
Così è anche evidente la necessità di avere un orizzonte unitario da parte del soggetto che
cresce. La coerenza interna del soggetto che è cresciuto ritiene di dover valorizzare le di erenze
perché gli consente di valorizzare anche i vari rapporti. Ciò ci dice anche che la psiche umana è
dotata di una straordinaria immaginazione.
Ogni cultura si presenta come l’oggetto, come l’unica realtà. Crescendo non c’è soltanto
l’adesione all’oggetto. Ma c’è anche la necessità di interpretare. Crescere vuol dire decodi care
ciò che ci troviamo di fronte. C’è poi demisti cazione ma occorre sempre costruire un’unità che
consenta al soggetto di andare avanti.
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L’incontro con altre culture rappresenta un’occasione per crescere. Il fatto che anche l’altro si
presenti con la presenta di verità e di eticità, ci obbliga a lavorare sulla cultura a cui apparteniamo,
ci fa mettere alla prova la nostra esperienza.
Negli adulti che hanno superato questi smarrimenti la conoscenza etica è più acuta. Non è un
esito scontato il fatto di reagire allo smarrimento dovuto alla compresenza di più risorse
educative; ci può anche essere un esito diverso in cui vengono valorizzate le di erenze.
La prospettiva interculturale a scuola è una prospettiva che mantenga forte l’esigenza di tendere
al vero, e al contempo mostri le unità di senso che permettono di trascendere i limiti delle
prospettive multiculturali.
Per la Moscato: verità è un’idea regolativa che mette in moto la conoscenza dell’uomo.
Il Mito dei Magi è un mito di uso nell’occidente cristiano e potrebbe rappresentare per la nostra
realtà culturale un riferimento forte verso il dialogo interculturale. Per fare ciò la Moscato usa due
riferimenti del ‘900, un poemetto di Elliot e un episodio di Ze relli nel lm Gesù di Nazareth.
Lezione 8
La cometa che muove il viaggio dei Magi ha permesso di muovere degli adulti verso un dialogo,
ma ha fatto muovere anche le angosce rispetto alla cometa, lo sconvolgimento è stato infatti più
volte negativo. Anche la convivenza tra diversi è vista con uno sguardo positivo e pieno di
speranza. C’è bisogno in questa fase della storia umana di accedere e pre gurare tutte le
possibilità diverse.
La gura dei Magi, diversamente dalle altre narrazioni in cui il protagonista è sempre un eroe, che
poi, anche se parte con altri, alla ne rimane solo, emerge con un destino personale; loro hanno
quindi la particolarità di agire assieme. Si può avvicinare il viaggio dei Magi al viaggio dell’eroe
fondatore, anche se è una vicinanza non completa: perché loro non si confondono come un
popolo, non esiste una gerarchia, sono ben identi cati; loro sono un collettivo in cui è presente la
responsabilità di ognuno. L’elemento che avvicina i due viaggi è la chiamata, che però è al
contempo una di erenza: i Magi sono già dei re, non c’è una terra promessa per loro, poi, infatti,
tornano al paese di origine. Non c’è una ricompensa nale.
Non c’è la promessa divina che dà certezza, come nell’eroe fondatore. C’è un segno, certamente
divino, ma da interpretare, quindi per ipotesi più che per promessa.
—> Lettura poetica di Elliot, quella di pagina 189-190 del libro della Moscato
La poesia mette in scena una delle caratteristiche strutturali del viaggio, che è l’estraniamento, la
separazione da una condizione iniziale di equilibrio. Questo accade sempre nei viaggi iniziatici.
Però è diverso, perché sono i Magi che hanno pensato che sarebbe stato giusto vedere cosa
suggeriva quella cometa.
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Aver fatto quel viaggio, aver visto l’apparizione della cometa, rende il soggetto irrequieto. Il loro
popolo, poi, dopo la loro esperienza, li appare straniero, aggrappato ai propri idoli.
L’altro vuole ascoltare cos’ha da dire, il soggetto vuole conoscere la verità e si pone all’ascolto
delle altre possibili interpretazioni, perché il segno non è inequivocabile. E si rallegra se intuisci
a nità di valori, inizialmente inconciliabili. Il mito dei Magi pone la possibilità del dialogo in virtù
della consapevolezza di non essere in possesso della totalità dell’informazioni.
Il dialogo pre gurato dal mito dei Magi è una possibilità per la quale bisogna rischiare, non è un
destino certo.
Lezione 9
Il bisogno di un’orizzonte entro il quale porre la propria crescita appare ancor più nei processi
migratori.
Questi dinamismi nelle comunità dell’europa dell’est hanno subito delle scissioni dopo il crollo del
muro di Berlino. Specialmente con i luoghi nell’unione sovietica, alcuni hanno richiesto
legittimazioni di identità nazionali.
Le migrazioni nel XXI secolo: alla costituzione del mercato del lavoro, avviato nel corso del 1800,
si assommano ulteriori fattori espulsivi dai contesti originari, quali: crisi economiche, guerre e crisi
umanitarie. Ci sono persone che a causa di questi problemi sono costretti a cercare un altro luogo
dove poter lavorare e crescere economico-socialmente.
La relazione tra cultura e storia è quella che fonda l’identità della nazione, mentre lo Stato arriva
dalla dimensione politica.
La famiglia educa in funzione della nazione, ed è dentro di essa, ecc. ecc. La lingua e la cultura è
essenziale nell’ottica pedagogica nell’orizzonte nazionale.
Il paradigma culturalista analizza le varie nazioni facendo uso di: fonti antropologiche, modelli
politici e prescrizioni pedagogiche. Il paradigma ci fa vedere alcune questioni ma mette in ombra
altre questioni.
Il processo educativo in un’ottica identitaria, poi, nisce con l’assolutizzare l’adesione all’orizzonte
culturale e la sua conservazione, al punto da venir meno alla funzione di protezione dell’io
immaturo e di promozione dell’identità personale. Questi due elementi possono essere messi in
ombra e da parte se si insiste eccessivamente sull’ottica identitaria. Bisogna quindi trovare un
equilibrio.
I nodi problematici che entrano in gioco con il tema delle migrazioni: il processo educativo, la
rappresentazione dello straniero e la famiglia come luogo educativo dell’appartenenza alla
nazione.
La gura dello straniero sta a due polarità: alieniamo e globalismo, entrambe con varianti interne
come prospettive di elaborazione: alieniamo (ospitalismo, esotismo, assimilazionismo) e
globalismo (unitarismo, relativismo, cosmopolitismo).
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O lo straniero è totale alieno e diverso, estraneo, oppure nel globalismo non è mai propriamente
straniero. Nell’ottica alienista spesso si mantiene questo carattere.
Allo straniero si può dare ospitalità, si mantiene però una certa distanza e si mantengono le
caratteristiche di estraneità. Esotismo: straniero è qualcosa di esotico che può essere messo in
campo, mi piace perché ha delle caratteristiche esotiche che tutto sommato vanno bene.
Assimilazionismo: noi dobbiamo far sparire gli elementi di estraneità, quindi farlo metabolizzare
dalla nostra cultura e dalla nostra identità.
Nella prospettiva del globalismo abbiamo una negazione delle di erenze in rapporto all’unitarietà
dell’essere uomo; oppure assumere le di erenze in termini assoluti e negandone qualsiasi
di erenza che possa costituire un elemento di gerarchizzazione (relativismo).
In Italia il sorgere del tema delle immigrazione ha coinciso con i primi anni ’90, ovvero ne guerra
fredda e morte delle ideologie. Alla ne del ‘900, quelle che erano state le ideologie dominanti no
a quel momento, come il marxismo, sono state considerate ideologie morenti e nite.
Fukuyama ha pensato che nito il confronto fra mondo liberale e mondo sovietico, sarebbe nita
la storia.
Huntington ha sviluppato negli anni 90 modello storico con strutture profonde religiose. Il crollo
delle torri gemelle del 2001, secondo il prof, ha segnato la di usione e l’egemonia delle categorie
implicite sollevate da Huntington. Di use a livello generale dai mass medie e diventate di cultura
di massa.
MODELLI MIGRATORI
- Motivazioni economiche
- Per ambivalenza progettuale, le persone che emigrano in Europa non hanno ben de nito. Quale
progetto migratorio vogliono rappresentare: da un lato di ci presenta come pendolari, ma poi
risultano alterate che il periodo di permanenza si allunga e viene meno quello del rientro
- Per precarietà o instabilità delle condizioni materiali e psicologiche del nucleo famigliare.
L’emigrazione pendolare è quella più a rischio, perché il nucleo famigliare è precario e instabile.
Seguono un modello antropologico delle migrazioni stagionali e frontaliere (presenti nei contesti
preindustriali dell’Europa), denotanti la provvisorietà della scelta. Questa scelta si regge sul
dislivello economico tra Paese ospite e Paese d’origine.
Perché è importante sul piano pedagogico il modello pendolare? Perché il progetto del nucleo
migrante rappresenta la variabile essenziale, perché il progetto determina attese, strategie,
decisioni materiali di varia entità, tutte in grado di entrare nei processi educativi.
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Il progetto migratorio pendolare non genera il progetto di restare nel paese ospite, però il modello
pendolare presenta spesso soggiorni così lunghi da perdere ogni consistenza socio-economica
pur conservandone la peculiarità psicologica.
L’emigrante non avverte il bisogno di integrarsi nella comunità di accoglimento e non si aspetta
che lo integri. Cerca di passere inosservato e evitare il con itto aperto. Cerca di mantenere una
distanza ottimale rispetto agli altri gruppi, soprattutto quello maggioritario. Si crea invisibilità.
Mentre un con itto è necessario ad una minoranza per guadagnare spazio politico e sociale nella
propria patria o in quella che si è scelta. Le comunità di minoranza chiedono un patto di
cittadinanza che riconosca la loro identità culturale egualmente paritaria. Il con itto è importante
per una minoranza che vuole riconoscimento.
La scolarizzazione obbligatoria nelle scuole del Paese ospite costituisce di fatto un attacco/
negazione del modello implicito di stagionalità/rotazione: perché diventa una richiesta di
integrazione. Le famiglie con progetto pendolare resistono a questo processo, cercando di
limitare i danni all’identità culturale e religiosa.
Lezione 10
Aggregazione abitativa e materiale di persone provenienti dallo stesso paese o are regione in un
paese ospite. Perché le migrazioni non sono fenomeni individuali, né una somma di fenomeni
individuali.
Costituzione di una rete di relazioni di sostegno reciproco e di supporto ai nuovi arrivati o agli
ospiti di passaggio.
Legami sociali nuovi ma in rapporto con i precedenti legami etnici e famigliari, oltre al comune
riferimento al paese d’origine.
La colonia residenziale fornisce un’identità originaria che sostiene lo sviluppo dell’io infantile
durante i suoi processi formatici, e per contro sostiene la vita dell’’adulto su un duplice binario
interno/esterno che permette al gruppo immigrato di organizzarsi e lottare collettivamente per
l’a ermazione e la conservazione dei propri diritti di minoranza integrata nel Paese
d’accoglimento.
La colonia pendolare, nella dinamica migratoria pendolare, assolve le stesse funzioni di difesa e
protezione dei singoli, ma con un costante riferimento al paese di origine, il luogo della “vita vera”
e del giudizio, mentre la colonia è lo spazio del “sacri cio”, della “non vita”, della provvisorietà.
Nella colonia pendolare i processi educativi si realizzano in modo ambivalente, in vista della
società d’origine almeno quanto in vista della società d’accoglienza e quindi l’istruzione
istituzionale di questi gruppi resta in gran parte un problema della nazione di partenza, in cui
adulti e bambini rientreranno periodicamente.
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Ci possono essere dei punti critici in una famiglia nella colonia pendolare: un con itto
generazionale inasprito, la debole posizione educativa dell’adulto (il migrante si propone come un
soggetto marginale, ma essendo migrante è marginale anche della società d’origine, e questo
rende il soggetto debole sul piano educativo), riferimento a valori e norme “distanti” (il soggetto
adulto che dovrebbe porsi come mediatore entro l’orizzonte di vita del soggetto immaturo, fa
riferimento d una realtà che non è vissuta e percepibile, allo stesso modo, da parte delle
generazioni che vivono le paese ospite, c’è anche uno status sociale perdente.
I gli dei migranti possono essere soggetti che vivono in patri e che i genitori siano assenti. Ci
sono anche soggetti che seguono i genitori e seguono la scuola all’estero. Ci sono anche soggetti
nati all’estero che poi rimpatriano con il nucleo famigliare e riprendono poi la vita scolastica.
I fenomeni critici riguardano l’apparato dell’io che è fragile. Le ricerche empiriche hanno mostrato
che i gli dei migranti interiorizzano i con itti e sono anche presenti molto le sindromi da carenza
a ettiva. C’è anche un incerto consolidamento dell’identità personale e una tardiva maturazione
dell’identità adolescenziale.
- Supporto parentale e/o liale (può farsi sostituire dai propri genitori o dai genitori del marito
nella cura dei gli in patria, o delegare ai gli maggiori).
Questo a darsi accentua certi dinamismi all’interno della famiglia perché danno vita a una
graduatoria di fatto dell’attenzione materna. Questo acuisce la rivalità tra i gli e modi ca la
con ittualità interna della famiglia.
Nel caso in cui si richieda assistenza dei gli, loro sono chiamati a un anticipo di responsabilità
che non fa loro del bene, bisogna sopperire a un ruolo educativo che gli viene a mancare.
C’è un indebolimento del ruolo della madre e al tempo stesso un’assenza del padre, questo
spiega un po’ i fenomeni che abbiamo chiamato presenti sui gli dei migranti. In sintesi c’è un
indebolimento della forza educativa parentale, una modi ca della presenza a ettiva, un’immagine
idealizzata maggiormente con ittuale e complessa.
Il genitore “straniero” in qualche maniera vive la condizione di migrazione come una ferita, perché
si è dovuto allontanare la comunità di origine e gli manca questa relazione con la comunità. Può
nascere una scelta coniugale come a liazione, così da acquistare nel paese ospite una
condizione diversa, ri utando la comunità di origine.
La dimensione decisiva sul piano pedagogico non è tanto quella del con itto culturale quanto
quella emotivo-a ettiva della relazione educativa in quanto la dinamica migratoria indebolisce i
legami interni del nucleo famigliare e interrompe quelli dello stesso nucleo con la comunità
d’origine. Il modello culturale proposto dalla famiglia subisce nel vissuto dei gli una sobria
stigmatizzazione: culturalmente inadeguato appare infatti il genitore sia rispetto al contesto
sociale di accoglienza sia rispetto al contesto originario. Bisogna continuare a studiare questi
dinamismi e studiare e osservare meglio le famiglie miste, rappresentanti percorsi nuovi e poco
studiati.
Lezione 11
L’aspetto religioso è importante nei processi educativi, in particolare facendo riferimento al suo
saggio sui giovani migranti. Il saggio che ha scritto cerca di andare oltre i paradigmi sociologici
che studiano il tema religioso nelle secondo generazioni. Basandosi su due sociologi (Barbagli e
Schmoll), viene messo in evidenza come potessero essere riconoscibili due grandi paradigmi,
cioè modelli, da un lato la tesi dell’assimilazione religiosa (processo complesso che porta a una
diminuzione della pratica in funzione dell’abbraccio della cultura ospite, quindi perdita dell’identità
religiosa nelle seconde generazioni) e dall’altro la religiosità reattiva (crescita di religiosità nei gli
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di immigrati come reazione al soddisfacimento del bisogno di identità, assunto in termini più
radicali rispetto a quelli che potrebbero darsi in un contesto diverso dal paese ospite).
Gli studi sulla religiosità reattiva hanno messo in discussione il fatto che ci sia una
rappresentazione lineare dell’assimilazione, quindi critica quella linea interpretativa.
Da un punto di vista pedagogico non ci vengono forniti molti spunti di lavoro e ettivo, perché
sono dei dati che descrivono delle possibili storie e ragionano nei termini di un patrimonio, quello
religioso, che sparisce o si radicalizza.
Sul piano pedagogico è più interessante tenere presente il tema della religiosità come risorsa nel
processo educativo. Quel processo in cui il soggetto matura il proprio io. Qui la religiosità si
con gura come dialogo con un soggetto trascendente, rappresentante una risorsa per crescere.
Ed è quello che viene fuori nelle storie di migrazioni contenute nel saggio.
Lezione 12
Educare all’amore presuppone molte cornici pedagogiche che è bene discutere, c’è una grande
rappresentazione dell’amore che ha molti antecedenti letterari, molti archetipi: per cui l’amore è
qualcosa che noi subiamo, quindi ci si può chiedere cosa ci sia da educare, visto che subiamo.
Il libro nasce sia da studi che da esperienza. Il tema dell’amore è molto caldo e sentito. Si capisce
che la qualità delle relazioni a ettive si risolve spesso nella qualità della vita.
L’amore tocca gli uomini da sempre, e ci sono molte tracce nella letteratura. “Nulla di più arduo
che amarsi”, è un citazione di uno scrittore (Lettera di Rilke, Lettere a un giovane poeta, 1904, a
Friedrich Westho ). L’amore è estrema spontaneità o lavoro? L’educazione: il problema non è
l’accompagnamento o il travasamento di contenuti, o il recinto; è invece un processo di
interazioni reciproche. Quando l’adulto propone una norma lo fa mediando un orizzonte culturale
attraverso la propria persona, non solo come schermo canonico di insegnamento.
Se io intendo l’amore come impulso e passione travolgente allora si starebbe parlando di nulla in
ambito pedagogico. Se invece se pensa a cosa sottintende la parola amore… si pensi al lessico:
- Può essere mera emotività, ma è come guardare il mondo al rovescio (esempio immagine
rovesciata): partiamo da una cosa che c’è e che è molto visibile e percepibile (impulso), ma ci
perdiamo la dimensione della ragione, della moralità, della scelta, che rientrano nella visione
dell’amore.
- Anche quando si parla di sessualità ci si può legare all’amore, però ci sono non pochi
fraintendimenti, sessualità e erotismo hanno patito una forte riduzione: sessualità->erotismo-
>esercizio genitale. L’eros è desiderio, per cui si evince che noi non bastiamo a noi stessi.
Un’altra chiave di lettura è che il fatto stesso che noi dobbiamo chiarire il lessico, cosa vuol dire
amore e a ettività, dietro le domande si aprono. Per rispondere all’educazione a ettiva, si aprono
anche le domande sull’essere uomo, su cosa signi chi educare. Va posta un antropologia.
Il capitolo due presenta una panoramica sulle visioni di fondo che ci sono nelle linee guida per
l’educazione a ettiva nella scuola di oggi. Quando vengono esaminati questi documenti, ci si
rende conto della presenza di una nettissima visione antropologica, che però non è mai davvero
esplicitata. Le linee di fondo di questi progetti e di questi documenti vanno in due direzioni ben
precise: (1) questioni di salute (igiene) (così l’amore è una questione biologica); (2) amore e
sessualità tematiche legata alla cittadinanza, nell’ottica anche democratica: qui l’idea è che i valori
amorosi vengono ssati con dinamiche costituzionali.
Il problema è che ci piaccia o no, parlare di amore, sessualità o rispetto, senza aver individuato ed
esplicitato un orizzonte morale di riferimento è come segarsi da soli il ramo su cui si è seduti. Se
non mostro il termine verso il quale mi muovo, come ci si mette in moto?
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Parlare di amore ci porta a due dimensioni.
Maslow: quando si parla di amore: amore come capacità e amore come bisogno. È un esperienza
che noi facciamo tutto insieme: “Being-Love” vs “Deprivation-Love”. —> perso la connessione
Eros nel deprivation: in ogni amore c’è l’aspetto della ricerca della metà. Tuttavia assolutizzare
questo aspetto pone in uno stadio regressivo psicologico, perché la mia esperienza dell’amore si
riduce a: caricare l’altro a colmare il bisogno e le aspettative verranno probabilmente deluse.
L’amore nella sua educabilità, nella sua umanità piena è anche capacità di donazione, viene da
una pienezza, è being-love. È un amore capace di sacri cio, è autorealizzazione dell’uomo: ma è
una capacità che deve essere educata.
Non bisogna porre a senso della vita l’amore, perché si carica di potenza in nita una nitezza.
Assolutizzare l’amore a benessere, ci inchioda dentro il recinto materno, dentro al bisogno e
basta. Questo è errato perché il benessere sembrerebbe escludere la fatica, tuttavia permane il
lavoro: l’amore può essere visto come una forza dell’io, una capacità dinamica che permea la
nostra persona.
Presupposto: noi siamo impulso, nella misura in cui non è soddisfatto sono triste. Se poi penso
che per rendere gli uomini felici devo liberare in questa prospettiva. Libertà: spontaneità. Sono
quindi importanti le ri essioni di Marcuse.
Educare sollecita l’adulto. Ogni insegnante, anche, è sempre molto esposto. Per questo è spesso
più semplice porsi come istruzioni pronte a l’uso.
Nel primo novecento la scuola è stata il teatro di esperimenti ideologici. Dopo l’epoca della scuola
propaganda, si è scelto di fare della scuola il luogo della neutralità: il paradigma istruttivista di
Giuseppe Verdania. Lui a ermò che a scuola non si educato, perché educare pone sempre un
orizzonte di senso, di valori, ma anche di pregiudizi. Questo riordina ogni cosa che viene prima.
Per questo si è detto che la scuola deve o rire cultura, l’unico sistema di valori deve essere quello
costituzionale. Non si può però educare senza questo orizzonte…
Tante riduzioni avvenute nei progetti umani è nell’istruttivismo. Con le relazioni umane non si può
però fare! Vanno spesso sullo scienti co, sull’autonomia, sulla prevenzione, sulla cittadinanza…
non si può fare!
Lettura consigliata: l’epoca delle passioni tristi. Leggono così la nostra epoca loro. Per loro è
osservabile anche nei paradigmi di insegnamento. Gli adulti si trincerano dietro l’utilitarismo, per
cui condiziona anche l’educazione e la gioventù. Finisce che scambiamo l’educazione come la
spiegazione di come tutelare la vita.
Già Freud intuì che quando qualcuno entra in cicli autodistruttivi, lo fa perché con questa
negatività prova una forma di godimento che va al di là del principio di piacere.
Se ci si limita però a dare informazione e non si risponde all’orizzonte di senso non va bene.
L’informazione è necessaria ma non su ciente: ogni istanza che inizia con una minaccia pone
solo un aumento del pericolo. E paradossalmente lo rende ancora più attraente.
È impossibile la neutralità nell’educazione. Non si può far fuori la questione del senso: che cos’è
l’amore? Come si sviluppa? Cos’è la persona?
Alla n ne, col desiderio di liberare l’eros noi niamo per liberare dioniso: la rivoluzione del
costume sperava di liberare l’impulso umano nella sua spontaneità. Tuttavia ci sono anche cose
che rassegnano, se ci sono cose in ambito sessuale che non si vuole fare. Questo è il Dioniso.
L’ansia di liberare la spontaneità ha nito per scoperchiare qualcosa che è un po’ più distruttivo, ci
ha fatto perdere qualcosa… Nella rivoluzione sessuale Eros è stato ridotto a Dioniso, fuori dalla
forma… Eros ha una forma, Dioniso è l’assenza, è il Dio ermafrodito, che vive sotto mentite
spoglie, è l’istinto che pone se stesso e non si lascia irrigidire in alcuna forma. Il crescere e il
diventare adulti, così come la psicologia dello sviluppo, è acquisire progressivamente la forma. Il
viaggio dell’educazione è accettare una serie di morti simboliche, personalità che si muteranno
per costruire una sola identità, un’intensi cazione di una strada che per forza di cose ne esclude
altre. L’alternativa è la stasi, la paralisi, il ritrarsi.
Il Don Giovanni di Kierkegaard la sera è triste e disperato, non perché sia immorale, ma perché è
amorale, e non ha un’Io. Non c’è nulla, è qui che sta la drammaticità.
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Non va bene neanche l’istruzione alla gestione dell’impulso. Sennò è tutto ridotto a impulso-
tecnica, e resta fuori la radice dell’Eros come desiderio.
Eros è desiderio, tensione alla trascendenza, lasciarsi andare al di là del poter padroneggiare. La
tecnica qui non è su ciente.
Come c’è l’archetipo di Dioniso, che oggi ha sostituito Eros, c’è anche tutta la storia di Eros che
ne mostra i mille volti. Ci si accorge di quanta bellezza e trascendenza ci sia anche nelle più
piccole cose (educando la perplessità).
Email: giorgia.pinelli3@unibo.it
Lezione 13
Nel capitolo 3 c’è la storia delle idee, riconducendola alla liberazione sessuale, un movimento che
giunge no ai giorni nostro. Il problema è che da problema pedagogico è divenuto un problema
politico. La scuola è un luogo per l’educazione alla cultura, la scuola come istituzione nasce
nell’‘800 per fare i cittadini. Il progetto educativo si snoda a partire dal senso di signi cato, un
adulto è signi cativo quando media un orizzonte di riferimento.
Al netto di ogni riduzione, nella de nizione originaria di eros è inclusa la dimensione del desiderio
in ogni sua forma. Nell’innamoramento sembra raggiungerci una promessa di in nito. Nessuna
persona nita e concreta può “mantenere” una simile promessa. L’innamoramento come
momento sorgivo è uno stato in cui ci troviamo. Per diventare amore chiede di essere superato,
implica una dimensione di dedizione e donazione di sé.
Ci sono alcuni desideri che ci toccano come una promessa di in nito. Nell’innamorando noi
sperimentiamo un’attrattiva che ci tira fuori.
Fenomenologia dell’amore! Il problema è capire cosa sta dentro l’amore, de nire e distinguere le
fasi del processo di sviluppo: dunque fare ordine.
Il ruolo del mito: la vitalità dei miti e il bisogno di miti, archetipo in sé e gure archetipiche Il ruolo
delle grandi narrazioni.
Gli archetipi dell’amore nella nostra cultura sono numerosissimi: questi plasmano le nostre
aspettative sull’amore: questo perché il nostro sapere educativo e la nostra identità personale si
costituiscono attraverso le forme archetipiche, al di là della precettistica formale che interviene
solo in un secondo momento.
La logica non è solo quella di smascherare le gure archetipiche, noi leggiamo i miti per capire da
cosa siamo condotti, ma anche da cosa vogliamo farci condurre.
- Eros come potenza creatrice, che ha entrambi i sensi, porta a disvelamento ciò che è nascosto,
riprende bene l’impulso sessuale: Orfeo. È una forza prerazionale: l’atto sessuale come unione
di due anime.
- Eros/Cupido: l’amore passione. Eros è cupido, dispettoso, arbitrario, c’è la capricciosità della
passione, non solo in senso di pulsione sessuale ma contempla anche la sfera emotiva e
passionale. Daphne e Apollo: l’amore che sfugge.
- “Solo gli amanti accettano di morire per gli altri”: da Eros ad Agape.
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Tristano e isotta più che amarsi l’un l’altra amano la passione: il partner serve per bruciare.
Questo entra anche nel con itto coniugale. La rappresentazione dell’amore così è molto potente.
Cosa si può fare se non vivere il sentimento quando la freccia ti coglie? Questo poi porta a esiti
paradossali… Anche a forme di cinismo: se c’è passione è amore sennò è contrattuale.
La tradizione platonica vede l’eros come desiderio: Simposio. L’amore che viene acceso
dall’incontro con la bellezza, ma che è come la miccia per un cammino ascensionale. L’amore e il
desiderio, andando no in fondo adegua il proprio oggetto. Si desidera, poi ancora, poi ancora,
no ad arrivare al desiderio della bella in nita.
Per la Pinelli è stato ingiustamente squali cato come semplice idealizzazione, l’idea è invece che
l’esperienza dell’amore ha un enorme ampiezza. Se si pone l’amore a mero desiderio del don
Giovanni è nichilista, nella sua ampiezza il desiderio prende invece dentro tutto. Tanti aspetti, e
apre a qualcosa che trascende, l’amore è esperienza di una trascendenza.
È di cile una previsione futura dell’amore, perché il controllo non lo ho io, mi si tira fuori, è così
eros. Il polo è fuori di me. Per questo ci sono tante riduzioni: chiudo il problema, lo metto da
parte. L’amore però porta alla ricerca del signi cato della propria esistenza.
Agostino da neoplatonico a una certa dice: questo desiderio che ti porta fuori è memoria della
propria origine. Nelle confessioni parla di passioni e passioni, lui a un certo punto però capisce
che cercava la bellezza e poi rivolgendolesi la riconosce con Dio. Non assolutizzare le cose
particolari perché si allontana da Dio, ma invece ha intuito nelle piccole e va posto a sostrato.
Se ci si pensa è l’amore all’origine della vita. Quando ci si pone però domande sulla propria
origine cambia: che signi cato ha la mia vita se io non sono fuoriuscito da un atto di amore?
Per cosa siamo fatti? Da dove veniamo? Eros desiderio di compimento ma anche memoria di
origine, si tocca il tema della dignità anche: la persona ha diritto ad essere amata prima di essere
amabile, perché è una persona.
Altro archetipo dell’amore: Eros che diventa Agape, il mito greco dell’Alcesti. Questo archetipo ci
dice dell’aspetto oblativo dell’amore: l’aspetto del dono di sé. C’è l’idea del sacri cio salvi co.
Come anche Gesù. Si paragona la morte in croce al talamo nuziale, loro colgono l’aspetto
archetipico dell’amore come dono di sé per il bene dell’amato. È un archetipo molto presente
anche se non è il più gettonato.
Nel capitolo 5 c’è una grande indagine. È un punto focale: l’amore umano e antropologia
integrale: l’uomo è una persona.
La persona:
- Autodominio e autopossesso
- Costituita nella relazione (non si può dire io senza dire tu – relazioni generative)
Da Papa Voijtijua si evince una relazione diretta con DIo. Lui rilegge in chiave archetipica l
agenesi. Questo è l’uomo, ma si sente solo, li manca un pezzo. È così che nel racconto genesiaco
la divinità gli dà Eva, così sia Adamo che Dio sono contenti. Questo racconto è ritrovatile anche in
altre narrazioni archetipiche.
Essere persona pone il fatto che si è un essere con una determinazione interiore, un essere libero
che si può determinare. Libero anche di donarsi, di andare oltre sé stessi. La propria libertà va
anche nell’andare verso la libertà di un altro. Tanto è vera questa cosa che ogni volta che si dice
io, dentro questo ci sono molti tu. Noi non possiamo prescindere dalle relazioni: dobbiamo porci
in base all’altro e all’assoluto anche.
La persona non può mai essere un mezzo, uno strumento, ma sempre il ne dell’azione, come
diceva Kant.
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La pedagogia non si fa come forma di emergenza, educare è un percorso, di comprensione dei
bisogni. Questo spesso accade che noi abbiamo cacciato l’educazione dalla scuola, c’è solo
istruzione: poi però si fa educare come emergenza e non va bene. Serve un orizzonte simbolico
entro il quale il progetto educativo si deve compiere.
Lezione 14
- religione
Lezione 15
Le polarità della Moscato sono elementi de nibili come categorie interpretative del fenomeno
educativo (dinamismi di de nizione del processo).
Le polarità di Erikson lui le studia per il dinamismo della psiche (fa psicanalisi non psicologia
sperimentale). Lui prende la doppia spinta di Freud e porta al polo crescita-stasi. È quello che
osserva lui, è un’interpretazione dei dinamismi della psiche. Poi ci potrebbe anche essere un
dibattito epistemologico, per cui uno trova quel che cerca.
LA COSTANZA OGGETTUALE
La Moscato si confronta con Gino Corallo, che si confronto con Gentile (neoidealista). La loso a
è lo spirito per Gentile, che è quindi il vertice dell’educazione: il centro è quindi il tema di come
uno conosce.
Per gli idealisti lo spirito assoluto è dove si risolve la realtà: c’è autoproduzione di coscienza e
quindi di conoscenza. La di erenza tra Hegel e Gentile è che nel secondo lo spirito è sempre in
atto. Così l’oggetto ha concretezza.
Nella lettura del processo gnoseologico e meta sico di Corallo, invece, la realtà si sdoppia in
esistenza e signi cato, che si danno insieme nella direzione in cui opera la conoscenza.
C’è una precomprensione della realtà nel processo di conoscenza, nella conoscenza dell’uomo
intervengono delle categorie che danno conoscere la realtà in un modo. La realtà è nel pensiero,
ma è diverso dall’idealismo perché l’oggetto è irriducibile al pensiero, perché è altro.
I tre maestri del sospetto smascherano: sono Marx per il sapere scienti co sull’uomo e la società
(posizione materialista e ripresa di critica teologica di Feuerbach (si dà a Dio ciò che è dell’uomo));
Freud perché l’uomo dice cose ma in realtà è spinto a realizzare i suoi desideri; Nietzsche per la
morale: c’è volontà di potenza.
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