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MATTEO VERONESE

N.MATRICOLA 299339.
26/07/2023

1) Descriva il passaggio da una concezione della bellezza basata sui principi oggettivi alla sua
soggettivizzazione, e quindi all’evoluzione della nozione di gusto. Ciò porta alla questione
della universalità e stabilità nel tempo del gusto: analizzi in breve anche questo punto.

Lo “studio della bellezza” un concetto relativamente recente: l’idea di estetica come la


conosciamo oggi nasce nel XVIII secolo, che possiamo de nire come “Il secolo dell’estetica”
Questo periodo si sintetizza per un’attenzione ai meccanismi di tipo soggettivo. Fino ad allora il
concetto di bellezza e di giustizia aveva un valore dogmatico e spesso era fondato su princìpi
teologici. Nel Settecento si ria ermano dei movimenti di soggettivizzazione. Prima di quest’epoca
non aveva senso parlare di gusti, come non aveva senso parlare di mode e di stili.

Il termine “estetica”, intesa come teoria della sensazione e della percezione (αἰσθάνομαι,
percepire), nasce con Alexander Gottlieb Baumgarten, che nel 1735 decide di utilizzare il termine
aesthesis per de nire questa disciplina che è basata sia sulla percezione sia sull’impatto emotivo
dell’esperienza sensoriale del bello. Fu ancora Baumgarten a introdurre il termine «gnoseologia»
per indicare la teoria della conoscenza, che egli divise in due parti: la logica, riguardante la
conoscenza intellettuale, e l’estetica appunto, che è sia «scienza della conoscenza sensibile», sia
«teoria delle arti liberali» e «gnoseologia inferiore».
Anche se non esplicitamente chiamata in causa come branca della loso a, tale disciplina a onda
le sue radici nella Grecia del V secolo a.C., In particolare, Platone il primo a occuparsene
criticamente. Secondo la sua visione, il processo artistico primario quello dell’“imitazione”,
la mimesi. Possiamo parlare di buona arte, sottintende Platone, quando il livello di verosimiglianza
dell’opera tale da richiamare alla mente di chi la osserva l’oggetto reale. Platone viene
in uenzato dai pitagorici, legati ad una visione astratta della realtà, perché la percezione è troppo
mutevole e variabile. La misura geometrica è più oggettiva e misurabile rispetto alle qualità
sensoriali. In questo senso, per Platone la bellezza è anche vedere con la verità, ha a che vedere
con verità assolute, e il suo legame con le verità assolute ha a che vedere con la natura astratta
delle cose. Il mondo delle apparenze è solo una copia pallida di questa realtà fatta di idee
astratte: gli oggetti che vediamo sono nient’altro che un imitazione dell’idea astratta e perfetta
dell’oggetto. C’è un elemento di persuasività nel suo discorso nel momento in cui ragioniamo per
concetti: quando guardiamo diverse sedie noi la riconosciamo perché abbiamo un’idea che ci
permette di riconoscere quell’oggetto come una sedia. Per capire il reale abbiamo bisogno di
concetti, di schemi, di modelli, sennò non saremmo in grado di capire ciò che ci sta attorno.
Pertanto, tutto il mondo della creazione artistica che cerca di replicare la realtà è per Platone
un’ulteriore allontanamento dalla verità delle cose. Il pittore crea una copia della copia, invece che
creare un oggetto che ha la sua realtà. L’artista distorce la mia percezione delle cose, e questa
critica non era solo scienti ca ma aveva anche una componente morale: secondo Platone nella
società ciascuno ha il suo ruolo, escluse le attività di natura estetica e artistica, che mettono in
scena situazioni che ti aprono a realtà false e che ti possono distogliere dalla realtà in cui vivi.

Baumgarten si rifà a questa tradizione che parte da Platone, facendo riferimento al concetto di
estetica fondato sull’idea di sensazione. La cosa non è scontata perché, come abbiamo visto, la
grande teoria della bellezza di Platone aveva un rapporto con ittuale con la sensorialità e con la
percezione.
Quando si parla di estetica come teoria della percezione, emerge la domanda di cos’è la
percezione? In che misura un uomo del Medioevo percepiva in modo diverso le opere d’arte del
suo tempo?

Questa questione è singolare perché l’estetica come teoria della percezione rivela una
complessità che non si può ignorare: il passaggio dagli oggetti materiali fatti di una propria sicità
alla percezione nale è fatto di una catena complessa. L’oggetto che vediamo ha un e etto
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sensoriale (impatto sui nostri sensi), e queste sensazioni che l’oggetto ci dà vengono ltrate dalla
nostra cultura e dal nostro tempo, perciò la percezione nale sarà in uenzata da tutti questi
fattori.
Escludendo la concezione kantiana di bellezza orientata al mondo della natura, possiamo vedere
come ci sono dei passaggi di ricezione estetica delle cose che noi creiamo basate su un modello
simile a quello della comunicazione (emittente, messaggio, ricevente). Il motivo per cui la
percezione non è qualcosa di universale è dato dal fatto che coinvolge soggetti umani, non solo
da parte di chi osserva ma anche da chi crea. La storicità non è solo di chi guarda ma anche di
chi produce, i codici per esprimere un messaggio variano in base all’epoca storica.
Questi modelli di comunicazione includono anche il contesto culturale in cui questa
comunicazione avviene. Il linguaggio della comunicazione è fortemente dominato dalla storicità
(pensiamo al linguaggio umano e di come esso cambia nel tempo).
Il giudizio estetico è il prodotto di una molteplicità di fattori (contesto culturale, esperienze
personali, etc). La mia valutazione della qualità di un capo va in base alle mie conoscenze del
brand, e questo ha un impatto anche sulla mia valutazione estetica.
Si parla quindi di storicità dell’occhio: uno storico dell’arte può cercare di ricostruire l’impatto di
un’opera d’arte di un’epoca lontana, ma un uomo del Rinascimento vedeva le opere dei suoi
contemporanei in maniera diversa da come lo vediamo noi.

2) Illustri quelli che secondo lei sono i punti più importanti del saggio di Simmel sulla moda e le
sue relazioni con i temi toccati durante il corso

Nel saggio intitolato Filoso a della moda, pubblicato nel 1905, Simmel analizza le forme di
reciprocità caratteristiche del rapporto fra l’individuo e il gruppo sociale cui egli appartiene.
Georg Simmel a erma che due sono le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della
moda, senza le quali la moda non può esistere: il bisogno di distinguersi e il bisogno di
conformità. Quindi, secondo Simmel, la moda esprime la tensione tra di erenziazione e
uniformità, il desiderio contraddittorio di essere parte di un gruppo e, contemporaneamente, di
stare fuori dal gruppo, a ermando la propria individualità.

Simmel a erma che i protagonisti della moda sono coloro che hanno bisogno della moda. In altre
parole, la moda si adatta non tanto a chi la determina, quanto a chi la segue, poiché può
contribuire a superare il proprio ethos sociale. Secondo il ragionamento del losofo, se la moda
ha una funzione socialmente distintiva, un individuo può utilizzare determinati abiti o
comportamenti (habitus) come segno di elevazione sociale. Di conseguenza, la moda diventa una
moda di classe, dove le persone cercano di esprimere il proprio status sociale attraverso ciò che
indossano o seguendo determinate tendenze.

Il bisogno di uniformità e di appartenenza ci porta a parlare della questione del gusto: se la moda
diventa il modo attraverso il quale esaudire il desiderio di appartenenza alla società, quanto di ciò
che mi piace e che indosso è frutto di una mia scelta personale, di un mio gusto soggettivo? Gia
Kant diceva che i giudizi di gusto, benché soggettivi, reclamano una validità universale. Il gusto
quindi è un linguaggio che manifesta me stesso agli altri, a tal punto che con esso posso non solo
parlare ma anche mentire, come quando esibisco un abito o un accessorio costoso per a ermare
uno status sociale artefatto. Allora lo scopo dell’esibizione del sé non è rivelare come si è
veramente, quanto esibire un’identità per ottenere un certo obiettivo, questo signi ca che non si
tratta di descrivere se stessi, bensì di costruire la propria identità attraverso i gusti.

3) Parli del ruolo della corporeità nell’ambito dell’estetica, nonché delle relazioni tra corpo e moda

Il regista e saggista Ejzenstejn è stato uno dei primi ad occuparsi della questione della corporeità,
a ri ettere sulla capacità del corpo di esprimere una storia. In particolare a partire dai concetti
irrelati di Estasi e Pathos - espressi soprattutto in modo organico nel volume La natura non
indi erente.

Già nel XVIII c’è una ri essione esplicita sull’idea che le arti debbano imitare la complessità della
natura, intesa come mondo vivente. Complessità intesa non come caos, ma come un organismo
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complesso e organizzato. Kant ne parla come una caratteristica del mondo organico che l’arte
non può replicare. In quell’epoca nasce la biologia, vi sono studiosi come Goethe che ri ettono
sulla morfologia della forma. La morfologia è l’idea di studiare i meccanismi del mondo vivente in
maniera globale, olistica.
La fascinazione per gli esseri viventi è legata anche all’idea che il mondo naturale è di ispirazione
per le arti, al contrario della classicità che si rifà ai concetti di simmetria, di semplicità della forma
etc…
Sempre nel XVIII secolo si discute della nozione di grazia. Non in senso religioso ma individuale,
estetico. Grazia signi ca naturalezza, libertà e si contrappone al concetto di bellezza classica.
Nel 1700 la grazia diventa tutto ciò che esprime sregolamento rispetto alla rigidità dei principi
geometrici.

Antoine Artaud, nel teatro della crudeltà estremizza la teatralità come messa in scena dove lo
scopo dell’autore è fare del male al pubblico: Il pubblico viene sottoposto dolore psicologico,
perché l’idea è che non si debba soddisfare il desiderio estetico del pubblico ma fargli del male.
Questo presuppone una capacità di immedesimazione da parte dello spettatore di entrare in
empatia con qualcosa che gli assomiglia, che lo rispecchia. Devo riconoscere questo
meccanismo di eco tra ciò che sta di fronte a me e di ciò che provo. L’immagine deve essere
riferita a qualcosa che ha a che fare con l’umano, devo riconoscere ciò che viene chiamato
agency (riconoscere nell’oggetto una dimensione soggettiva e spirituale). Di fronte a una
percezione organica ho un meccanismo che mi permette di empatizzare. Ciò presuppone che lo
spettatore sia in grado di percepire dentro di sé queste emozioni.

Si parla del concetto di animatezza, ovvero la tendenza a vedere qualcosa di animato anche in
oggetti inanimati.
Creare qualcosa che richiama l’organico è fondamentale per creare quei meccanismi di
immedesimazione empatica.
Sarebbe un errore pensare che solo dove ho un immedesimazione ho un esperienza estetica
corretta o di valore, perché in realtà la ri essione sull’astrattismo ci dice che possiamo
volontariamente negare e allontanarci dall’empatia. Ci sono situazioni intermedie dov’è c’è una
sorta di riconoscimento dell’umano ma non totalmente. Il perturbante, ciò che Freud ha de nito
con il termine Unheimlich, ha un signi cato preciso, non è solo qualcosa che mi perturba ma è un
concetto che esprime una situazione intermedia fra il riconoscimento empatico e la sua assenza.
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