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Mitchell
L’iconologia è molto antica. Interroga l’idea stessa di immagine nel contesto del discorso
loso co e ripercorre la migrazione delle immagini attraverso i con ni tra letteratura,
musica e arti visive. Si occupa dei tropi, delle gure, delle metafore, dei motivi visivi e
gra ci, dei gesti compiuti nel tempo dell’ascolto e nello spazio, delle immagini su un muro
o su uno schermo. L’iconologia critica ha incorporato temi come le forme di immagini
ri essive/autocritiche, il rapporto tra immagini e linguaggio. L’iconologia si è occupata
anche delle scienze, indagando il ruolo delle immagini nella ricerca scienti ca, in relazione
al fenomeno dell’immagine “naturale”.
3. Media studies → il campo emergente della cosiddetta “estetica dei media” mira a
collegare tra loro gli aspetti tecnici, sociali e artistici dei media.
È un campo piuttosto giovane: le sue origini si trovano negli scritti di McLuhan; per
McLuhan era una pluralità di elementi a costituire il campo della comunicazione e
dell’espressione, che a sua volta formava una “seconda natura” intorno agli individui e
alle società. Al centro di esso si trovava l’invenzione moderna dei mass media, quelli
radiotelevisivi in particolare. McLuhan considerava l’arte quale il regno privilegiato della
sperimentazione e del gioco con le nuove invenzioni mediali. L’estetica dei media
contemporanea cerca di rilanciare le ambizioni del progetto di McLuhan muovendosi
attraverso i con ni tra media artistici da un lato e forme di mediazione tecnica/
socioeconomica/politica dall’altro.
L'iconologia apre i con ni all'immagine, alla fondamentale unità di a etto e signi cato
proprio della storia dell'arte. La cultura visuale apre allo speci co canale sensoriale,
tramite cui le arti visive necessariamente operano. L'estetica dei media apre il rapporto
delle arti con i mass media.
Questi ambiti di studio si alimentano reciprocamente: la cultura visuale fornisce uno dei
canali principali per la circolazione delle immagini, costituendo il campo primario della
loro comparsa e sparizione. L'estetica dei media invece o re un quadro concettuale
adeguato per prendere in esame l'ambito più esteso del "rapporto tra i sensi" (McLuhan).
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ICONOLOGIA
È un ambito molto antico, che risale al rinascimento e alla Iconologia di Cesare Ripa.
Include l'intera gamma delle immagini non artistiche, comprese quelle scienti che.
Questo ambito interroga l'idea stessa di immagine nel contesto del discorso loso co e
ripercorre la migrazione delle immagini attraverso i con ni tra letteratura, musica e arti
visive.
Panofsky ritiene che l'iconologia comprenda lo studio dell'iconogra a, l'analisi storica dei
signi cati di determinate immagini, e si estende no a esplorare l'ontologia delle immagini
in quanto tali, e le condizioni che consentono loro di acquisire valenza storica.
• In uenze reciproche tra virtuale e reale (basate sulla distinzione tra images e picture).
L'iconologia si è occupato anche delle scienze, indagando il ruolo delle immagini nella
ricerca scienti ca, in relazione al fenomeno dell'immagine naturale. I progressi compiuti
hanno rivoluzionato l'antica concezione di immagine come "imitazione della vita". Infatti le
biotecnologie hanno permesso, attraverso la clonazione, la realizzazione di un'immagine
vivente di una forma di vita, con implicazioni profonde sia sui concetti di immagini che di
forma di vita.
Siamo alle porte di una nuova era, de nita da Mitchell "riproduzione biocibernetica",
caratterizzata dalla comparsa dell'immagine biodigitale.
CULTURA VISUALE
È un ambito di studio molto recente, ma ha la sua origine nelle indagini loso che sullo
spettatore come soggetto esemplare dell'epistemologia (Cartesio).
Gli studi di cultura visuale sono la conseguenza di una serie di innovazioni nelle
tecnologie di registrazione ottica come fotogra a, cinema e tv e di alcuni studi di cultura e
psicologia incentrati sulla percezione e sul riconoscimento visivi.
Grazie alla cultura visuale, la storia dell'arte ha campi di ricerca molto vasti:
• Pulsione scopica
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La disciplina mira a indagare le speci cità della sfera ottica rispetto alla modalità tattica e
acustica.
Gli studi di cultura visuale esplorano anche le frontiere della visualità in relazione alle arti
visive, i suoi nessi e le sue sovrapposizioni con il linguaggio, con gli altri sensi e con i limiti
e le negazioni della visualità stessa. Si occupano dei fenomeni dell'intersoggettività
nell'ambito scopico, delle dinamiche del vedere e dell'essere visti come momento
decisivo della formazione della sfera sociale.
La cultura visuale aiuta a comprendere come le opere d'arte possano restituire lo sguardo
agli spettatori, e aspira a spiegare la costruzione visuale della sfera sociale, a illustrare
come le modalità dello spettacolo e della sorveglianza costituiscano il nostro Mondo
Nuovo fatto di droni, data mining e hacktivism.
McLuhan considerava l'arte quale il regno privilegiato della sperimentazione e del gioco
con le nuove invenzioni mediali, come il nuovo in cui è possibile esplorare l'e etto dei
media sul sensorio e sulle formazioni sociali.
Il centro dell'estetica dei media e delle sue ricerche è costituito dai concetti di speci cità
mediale (mixed media), intermedialità e "condizione postmediale" (Rosalinda Krauss).
Si parla di un mondo di mediazione totale, in cui le frontiere del pensiero compiono una
svolta dialettica verso l'immediato.
L’idea di una svolta – turn – verso l’ambito del pictorial non è con nata alla cultura visuale
contemporanea: si tratta di una gura del pensiero che torna a presentarsi più volte nella
storia della cultura; così, l’invenzione della prospettiva, l’avvento della pittura da
cavalletto e l’invenzione della fotogra a furono tutti accolti come pictorial turns. I pictorial
turns sono spesso connessi a un’ansia generata dal nuovo dominio dell’immagine,
considerato una minaccia. I pictorial turns normalmente richiamano una distinzione tra
parole e immagini, laddove la parola è associata alla legge, alla capacità di leggere e al
potere d’élite, l’immagine invece alla superstizione popolare, all’analfabetismo e alla
licenziosità. Esiste un’accezione di pictorial turn che è esclusiva del nostro tempo: è
erede di quello che Richard Rorty ha chiamato “linguistic turn”; Rorty sosteneva che la
loso a occidentale si fosse evoluta spostando il suo interesse dagli oggetti ai concetti e
in ne al linguaggio. L’immagine è emersa come tematica di urgenza nel nostro tempo,
non solo negli ambiti della politica e della cultura di massa ma anche nel contesto delle
ri essioni più generali sulla psicologia umana. Questa evoluzione, come il linguistic turn di
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Rorty, dà vita a una lettura nuova della loso a stessa; la loso a nel XX secolo ha
compiuto un linguistic turn, perché “un’immagine ci teneva prigionieri” → la loso a ha
risposto con una serie di strategie di evasione.
Mitchell concepisce che l'idea di immagine sia emersa come tematica di particolare
urgenza nel nostro tempo, non solo negli ambiti della politica e della cultura di massa, ma
anche nel contesto delle ri essioni più generali sulla psicologia umana e sul
comportamento sociale, cosi come nelle strutture della conoscenza stessa.
Si passa da " loso a" a "teoria" nelle scienze umane, basandosi sul riconoscimento del
fatto che la loso a non è mediata soltanto dal linguaggio ma dall'intera gamma delle
pratiche rappresentazionali, compresa quella delle immagini. Per questo motivo, le teorie
delle immagini e della cultura visuale si sono prese carico di un insieme molto più vasto di
problemi, arrivando alla "meta sica dell'immagine" -> nuova lettura della loso a. Il
pictorial turn è una relazione parola -> immagine.
IMAGE/PICTURE
Se il pictorial turn è una relazione parola-immagine, la relazione image-picture determina
un ritorno alla dimensione oggettuale. La picture è un oggetto materiale, una cosa che si
può rompere, bruciare o strappare; una image è ciò che appare in una picture, e ciò che
sopravvive alla sua distruzione. La picture è la image per come appare su un supporto
materiale o in un luogo speci co; la image non compare mai se non in un medium o
nell’altro. Una image può essere anche copiata e trasposta dalla pittura a un atro
medium. Dunque, la image è un’entità astratta minimale. Come direbbe Nelson Goodman
esistono tante pictures di Winston Churchill, pictures che contengono la sua image. Le
images sono ciò che ci permette di identi care il genere di una picture, talvolta in modo
molto speci co (la Churchill-picture), altre vote in modo piuttosto ampio (il ritratto);
esistono anche caricature, pictures di Churchill come bulldog: due images appaiono
simultaneamente in una sola gura e ogni ra gurazione è radicata nella metafora, nel
“vedere come”. La proiezione di un’ombra è la proiezione di una image, così come lo
sono l’impronta di una foglia su una pagina, il ri esso di un albero nell’acqua o la traccia
di un fossile nella pietra. La image è dunque la percezione di una relazione di sembianza,
di somiglianza o di qualcosa di analogo. La relazione tra image e picture potrebbe essere
illustrata facendo riferimento al duplice signi cato della parola “clone”, che indica tanto
un singolo esemplare di organismo vivente che è la replica di un suo genitore o di un altro
organismo donatore quanto l’intera serie di esemplari a cui esso appartiene.
METAPICTURES
Talvolta ci immettiamo in una picture in cui appare la image di un’altra picture, un
annidamento di una image all’interno di un’altra: una metapicture è una image in un
medium che contiene una image in un altro medium. Esse non sono rare: si ha una
metapicture ogni volta che si ha una image all’interno di un’altra image, ogni volta che
una picture presenta un atto di ra gurazione o la comparsa di una image (come quando
in un lm appare un dipinto). Non è necessario che sia uno stesso medium a essere
duplicato: un medium può essere annidato in un altro. Ogni picture può diventare una
metapicture, quando è impiegata come un dispositivo per ri ettere sulla natura delle
immagini; il più semplice disegno, se inquadrato come esempio in un discorso sulle
immagini, diventa una metapicture. Essa può fungere da metafora portante per un intero
discorso.
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dunque potrebbe essere concepita come una forma di hypericon realizzata in termini
visivi, immaginativi o materiali. Una metapicture può fungere da metafora o da analogia
portante per un discorso intero.
BIOPICTURES
Nella nostra epoca si è realizzata una nuova versione di pictorial turn, che è diventato
tanto una potente metafora quanto una realtà biologica con profonde implicazioni etiche
e politiche. La clonazione è un processo naturale di riproduzione asessuata di cellule
geneticamente identiche che avviene nelle piante e negli animali. Il signi cato originale
della parola “clone” era quello di “fuscello”/“rametto” e il termine era riferito
all’operazione botanica dell’innesto o del trapianto. Il concetto di clonazione è stato
esteso anche al regno animale. In anni recenti la decodi cazione del genoma umano e la
clonazione dei primi mammiferi hanno scatenato una rivoluzione. L’idea di duplicare
formare di vita e di creare organismi viventi “a nostra immagine” ha reso e ettiva una
eventualità adombrata in vario modo da miti e legende.
Nel mezzo di questa proliferazione di immagini scienti che rimane una grossa lacuna,
quella di un interesse scienti co delle immagini stesse. L'autore si riferisce a un problema
più generale, a una scienza delle immagini, che tratti le immagini come oggetti di indagine
scienti ca e non meramente come utili strumenti aò servizio della conoscenza.
1) Mitchell pensa che una scienza delle immagini sia possibile, e alcuni scienziati hanno
già abbracciato questa idea, che circola sotto il nome di "iconologia", o teoria delle
immagini, distinta dalla "iconogra a", cioè dalla loro classi cazione lessicale.
2) Posto che esista una scienza delle immagini, l'autore si interroga di che tipo essa
dovrebbe essere.
L’elasticità propria della nozione di scienza da una parte sembra svuotarla di ogni
speci cità, così che una scienza delle immagini potrebbe semplicemente indicare la
conoscenza di qualunque genere di quest’ultime; d’altra parte sembra di trovarsi n
dall’inizio presi in trappola dai suoi stereotipi. Siamo anche sviati da un’immagine
sperimentale della scienza, che mostra quest’ultima come un’attività meccanica basata
su dimostrazioni, il cui scopo è raccogliere dati. Per quanto riguarda le scienze cosiddette
“non scienti che” o “molli”, il nome di scienza è generalmente considerato una
concessione priva di signi cato; solo i tedeschi sembrano a loro agio nell’unire il su sso
-wissenschaft a parole come Kultur e Bild. La nostra immagine delle “due culture” –
quella delle scienze e quella delle discipline umanistiche – sembra volerci intimare che lo
studio delle immagini appartiene a uno dei due ambiti, e non è certo quello scienti co. Le
immagini troveranno posto nel dominio della cultura, nel regno delle percezioni soggettive
e delle associazioni poetiche.
Essendo le immagini cose materiali, oggetti del mondo, la chimica e la sica possono
dare un contributo alla loro comprensione. La scienza appropriata per lo studio delle
immagini deve comprendere questo aspetto, ma deve anche essere una scienza ottica
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che presti attenzione alla percezione visiva e all’immaginazione; dovrebbe entrare in
contatto con la linguistica. Dal momento che le immagini sono de nite generalmente
“icone”, o segni per somiglianza, la scienza delle immagini dovrebbe essere una scienza
della similitudine e della di erenza. Essa dovrebbe inoltre essere una scienza storica, che
si occupi della circolazione spaziale e temporale delle immagini, con le loro migrazioni da
un luogo all’altro o da un’epoca all’altra. Dovrebbe essere una scienza che registri le
capacità di rappresentare la realtà, ma che riconosca anche che le immagini possono
essere ingannevoli. Dovrebbe essere uno studio empirico delle condizioni della
percezione umana e delle trasformazioni che avvengono nel cervello; dovrebbe essere
a ancata alla psicologia, per tener conto dell’e etto inconscio delle immagini.
La scienza appropriata per lo studio delle immagini deve avere diverse caratteristiche:
• Deve comprendere l'aspetto della sica e della chimica, che analizzano i corpi e i
supporti sici dove l'immagine appare.
• Deve essere una scienza ottica, che presti attenzione alla percezione visiva e
all'immaginazione.
• Dovrebbe prendere in considerazione non soltanto gli oggetti materiali ma anche gli
spazi tra gli oggetti e la luce che si trasmette da una cosa all'altra.
• Dovrebbe essere una scienza storica, che si occupi della circolazione spaziale e
temporale delle immagini.
• Dovrebbe essere una scienza che guardi alle immagini come raggruppamenti
• Dovrebbe fare i conti con la controversa reputazione delle immagini nella scienza, con la
tendenza di alcuni scienziati a dividersi nettamente tra iconoclasti e icono li, con alcuni
ricercatori che con dano nell'utilità delle immagini e altri che le considerano fonti di
distrazione.
• Dibattito tra approccio "intuitivo" alla matematica e un appoggio governato dalla logica
Galison osserva che nonostante i toni, gli schieramenti non sono ben de niti e talvolta
alcuni scienziati passano alla ne all'idea contrastante. Egli conclude che la battaglia nel
complesso ha qualcosa di illusorio.
Galison osserva che al cuore dell’immagine scienti ca c’è la ricerca di regole, al cuore di
quella logico-algoritmica c’è stata una caccia al riconoscimento che è la promessa eterna
della rappresentazione. Il suo resoconto storico dello scontro tra immagine e logica nella
scienza del XX secolo suggerisce che l’invenzione di una nuova entità, la cosiddetta
“immagine digitale” abbia permesso di superare l’antica divisione e abbia reso abituali
commistioni e conversioni. La di coltà nel superare il problema a cui Galison non trova
risposta, ovvero se l'immagine è stata nalmente domata dal computer, quindi resa
digitale, rende necessaria una scienza delle immagini, piuttosto che un loro uso
strumentale in quanto mezzi impiegati per arrivare ad altre cose del mondo e mai fatti in
se oggetto di indagine. Il primo passo di questa scienza dev’essere quello di de nire in
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qualche modo il suo oggetto. L’immagine è un’icona. Al cuore della logica e della
matematica stanno in agguato le relazioni iconiche di identità ed equivalenza, similitudine
e di erenza. Queste relazioni si trovano anche in alcune rappresentazioni visive e in alcuni
diagrammi, coì che noi parliamo di “immagini verbali” per riferirci con questa espressione
sia ai nomi e alle descrizioni degli oggetti, sia al confronto gurativo tra un oggetto e
l’altro. Tanto i nomi quanto le metafore sono “immagini verbali”. Un’immagine è quindi un
segno doppio: questo ritratto rappresenta quella persona. Se dobbiamo avere una
scienza delle immagini, il primo passo è quello di liberarla dalla tirannia dall’occhio sico e
corporeo, inteso in senso letterale, e riconoscere le immagini attraverso diversi domini: ci
sono immagini mentali, matematiche e verbali così come ce ne sono di pittoriche e visive.
Le images non sono speci che di un unico medium; una image può spostarsi da un
medium all’altro, manifestandosi ora come equazione, ora come diagramma, come gura
in una narrazione e ancora come gura in un dipinto narrativo.
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somiglianza è una legge conservativa, che resiste all’innovazione e si concentra sul
ritorno del simile. Ciò spiega perché sia così di cile immaginare che cosa signi cherebbe
creare un’immagine radicalmente nuova. Forse dovremmo dire che si possono creare
nuove combinazioni di immagini. Se un’immagine fosse completamente nuova, come la
riconoscereste? È proprio il momento del riconoscimento che rende un’immagine
leggibile in quanto tale e che rappresenta l’elemento di continuità accanto alla variazione,
alla deviazione e alla di erenza che consentono alle immagini di andare incontro a un
morphing passando da un’identità all’altra.
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4 - IMMAGINE X TESTO
Immagine/testo: divario problematico, frattura, rottura nella rappresentazione;
immaginetesto: opere composite e sintetiche, che combinano immagine e testo;
immagine-testo: relazioni tra il visivo e il verbale. Il segno scelto da Mitchell è “x” e va
trattato come:
3. segno del chiasmo in retorica che dal “linguaggio delle immagini” porta a
“immagini del linguaggio”
5. combinazione dei due tipi di barra obliqua (/ e \), a suggerire direzioni opposte nel
puntare verso l’ignoto
Il visivo denota uno speci co canale sensoriale; il verbale designa uno speci co registro
semiotico. La di erenza tra visivo e verbale corrisponde a due di erenze: una basata sui
sensi (vista e udito) e una basata sulla natura dei segni e del signi cato (le parole come
simboli arbitrari e convenzionali si distinguono dalle immagini che sono basate sulla
similitudine).
Esistono relazioni normali e normative tra testi e immagini; gli uni e le altre si illustrano,
spiegano, denominano, descrivono, adornano a vicenda; si integrano e accrescono
reciprocamente, completandosi ed estendendosi. La normale relazione tra testo e
immagine può essere complementare oppure supplementare e insieme questi due
elementi ne generano un terzo, oppure aprono uno spazio nel quale questo terzo
elemento appare. Il terzo elemento, la x tra testo e immagine, non è necessariamente
un’assenza; infatti potremmo a ermare che c’è sempre qualcosa di positivo; qualcosa si
a retta a colmare questo vuoto, una qualche x suggerisce la presenza di un’assenza,
l’apparizione di qualcosa che non è testo né immagine. In “Iconology” Mitchell ha de nito
questo terzo elemento come la cornice ideologica che inevitabilmente colora l’ambito
delle relazioni tra immagine e testo: la di erenza tra segno naturale e convenzionale; la
di erenza tra spettatore illetterato, che vede ciò che l’immagine rappresenta, e lo
spettatore colto, che vede attraverso l’immagine.
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processo di signi cazione e la barra orizzontale tra signi cante e signi cato ovvero
l’indice della fondamentale dualità di linguaggio e pensiero.
Charles Sanders Peirce ha identi cato tre elementi o funzioni segniche che rendono la
signi cazione possibile, che l’autore chiama icona/indice/simbolo: essi formano una
triade che descrive la distinzione tra immagini (pictures, segni indessicali (frecce, barre) e
simboli (segni per regola).
ICONE: pictures, immagini gra che e visive. Appaiono nel linguaggio come metafora nella
logica in forma di analogie. Si tratta di segni per somiglianza o sembianza.
INDICI: frecce, barre, deittiche, pronomi. Sono elementi mobili o segni esistenziali che
traggono il loro signi cato dal contesto. Sono anche segni per causa ed e etto.
SIMBOLI: sono segni che ricavano il loro signi cato da convenzioni arbitrarie.
Dal punto di vista di Pierce, l’immaginetesto è una gura che si riferisce a due terzi del
campo semiotico e che resta in attesa del riconoscimento del suo terzo elemento, il
segno “/” come indice di una barra obliqua o di un segno relazionale nell’oggetto
concreto che viene decodi cato.
La teoria della notazione di Nelson Goodman indaga il modo in cui gli stessi “segni”
possono produrre signi cato e si fonda su categorie come “densità” e “pienezza” o che
caratterizzano i segni come “di erenziati” e “articolati”. Le categorie di Goodman ci
riconducono alla super cie dell’iscrizione; la triade di Goodman – schizzo, spartito,
copione – ripropone la triade immagine/musica/testo, ma questa volta a livello della
notazione.
L’obiettivo è quello di sfatare il mito di uso per cui la fotogra a digitale avrebbe
un’ontologia diversa da quella a base chimica. La convinzione che il carattere digitale di
un’immagine abbia una relazione necessaria con il signi cato di quell’immagine, con il
suo e etto sui sensi, con il suo impatto sul corpo o sulla mente degli spettatori, è uno dei
grandi miti del nostro tempo. Invece di rendere la fotogra a meno credibile/legittima, la
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digitalizzazione ha provocato una generale “ottimizzazione” della cultura fotogra ca, tale
per cui imitare gli e etti più so sticati di realismo e ricchezza di dettagli tipici della
fotogra a tradizionale è diventato possibile per un numero assai maggiore di operatori.
L’imaging digitale dà nuovo impulso a uno degli obiettivi più venerabili della fotogra a
classica o realista, ossia la rivelazione di realtà inaccessibili all’occhio nudo. Le
manipolazioni e gli arti ci che già erano possibili nella pratica fotogra ca tradizionale
diventano ancora più agevoli nella camera oscura digitale.
Mitchell dà una grande importanza alle pratiche di derealizzazione legate alle immagini
che vennero sperimentate per la prima volta durante la Guerra del Golfo, quando “le
bombe guidate dai laser avevano videocamere montate sulla punta” e “i piloti e i guidatori
di carri armati divennero cyborg inseparabili dalle complesse protesi visive potenziate
dalla tecnologia digitale che permettevano loro di vedere in un verde spettrale le immagini
di campi di battaglia immersi nell’oscurità”. Quello che Mitchell non osserva è che queste
immagini di un verde spettrale permettevano a degli esseri umani di vedere ciò che
altrimenti sarebbe stato invisibile. Ciò che era buio viene illuminato, ciò che era invisibile
diventa accessibile alla vista. Si ha una “derealizzazione” soltanto rispetto alla visione
notturna umana, che a occhio nudo non sarebbe stata in grado di distinguere nulla.
La digitalizzazione non è che non abbia avuto alcuna rilevanza, ma questa rilevanza deve
essere speci cata. Non è tanto l’“aderenza al referente” a essere messa in pericolo
dall’imaging digitale, quanto la possibilità di esercitare un controllo sulla produzione delle
fotogra e.
Esiste un’e ettiva di erenza tra rappresentazione digitale e analogica, ma si tratta di una
di erenza estremamente labile e uida, che presuppone una relazione dialettica, non
un’opposizione binaria. Lo stesso oggetto può essere rappresentato in formato digitale
oppure analogico. Le due forme di rappresentazione si de niscono e completano a
vicenda. L’analogico assume il signi cato che ha soltanto in opposizione a una qualche
precisabile nozione del digitale, e viceversa. Una via migliore alla relazione tra digitale e
analogico la fornisce Nelson Goodman, il quale a erma che siamo noi a speci care i tipi
di cifre e segni da di erenziare, e i codici che regolano la loro combinazione.
La digitalizzazione cambia enormemente il ruolo delle immagini nella cultura, nella politica
e nella vita di tutti i giorni, ma le di erenze non possono essere semplicemente
interpretate a partire dalle nuove caratteristiche materiali o tecniche. Ci si potrebbe
aspettare che, dal momento che le immagini digitali possono essere duplicate con una
semplice combinazione di tasti, il mondo sia invaso da un numero spropositato di loro
copie. Ma le cose vanno nel senso opposto. Le immagini digitali tendono a marcire
abbandonate nel disco sso dei computer o nella memoria degli smartphone: stamparle
richiede tutto un nuovo insieme di abitudini.
Le fotogra e digitali hanno un ciclo di vita diverso da quello delle fotogra e tradizionali.
Le prime non circolano necessariamente sotto forma di stampe ma restano con nate in
un ambito prevalentemente sotterraneo, invisibili e per lo più dimenticate, però sono
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recuperabili in modo molto più rapido delle fotogra e stampate. Resta comunque
un’esistenza materiale: il le occupa un posto reale.
IMMAGINE DIGITALE/ANALOGICA
L'autore parte dalla distinzione di Mitchell e a erma che si tratta di una di erenza labile e
uida, che presuppone una relazione dialettica, non un'opposizione binaria. Non si tratta
di una di erenza ontologica, ma si situa al livello della rappresentazione e della
percezione. Lo stesso oggetto può essere rappresentato in formato digitale o analogico.
Una via migliore alla relazione tra digitale e analogico la fornisce Nelson Goodman, che
a erma che siamo noi a speci care i tipi di cifre e segni da di erenziare, e i codici che
regolano la loro combinazione. Il rapporto digitale-analogico varia sulla base del tipo di
cifre o "elementi discreti" impiegati.
In ogni caso, si può parlare di digitalizzazione ogni volta che un insieme nito di carattere
ben de niti è usato per indicare signi cati altrettanto chiari.
Le immagini digitali sentono a marcire per il fatto della stampa. Il problema non è che sia
di cile la realizzazione delle stampe a vecchia maniera, ma che ci sono troppi modi per
farlo. La soluzione che propone l'autore è quella di lasciare le immagini negli archivi
digitali.
Le fotogra e digitali hanno un ciclo di vita diverso da quello delle fotogra e tradizionali.
Le prime non circolano necessariamente sottoforma di stampe, sono invisibili e per lo più
dimenticate, però sono recuperabili in modo molto più rapido delle fotogra e stampate o
delle diapositive. Si potrebbe parlare di "smaterializzazione", ma il fatto è che si tratta
comunque di un'esistenza materiale; il le occupa un posto reale, ed è soggetto al
decadimento materiale cosi come una fotogra a tradizionale. Mitchell sostiene che una
fotogra a analogica è "luce fossilizzata", per cui, dunque, le fotogra e digitali sono
semplicemente lo strumento per una paleontologia dell'immagine che si spinge ancora
più lontano. La metafora del fossile ci suggerisce inoltre che le imagini potrebbero essere
paragonate a forme di vita decedute, dormienti o estinte, che potrebbero essere riportate
in vita se ricondotte alla luce (stampate, proiettate o mostrate su uno schermo.
L'autore si riferisce alla riproduzione degli organismi, delle forme di vita biologiche,
attraverso la clonazione. I cloni sono una versione vivente e organica dell'immagine
digitale, le somigliano perché presuppongono una relazione tra un codice genetico di
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base e una manifestazione analogica visibile e corporea. Sia la clonazione che l'imaging
digitale sono accusate di rimpiazzare un processo naturale con uno che comporta una
manipolazione arti ciale; a entrambe si imputa di produrre copie in nite che minacciano
l'identità dell'esemplare individuale.
L'immagine digitale, sia essa fotogra ca o organica gode di una sorta di terri cante
immortalità. E questo potrebbe spiegare perché le descrizioni delle fotogra e digitali
ricorrano cosi spesso a metafore biologiche, come se fossimo colpiti da una epidemia di
immagini, di entità autogeneratrici e virulente che minacciano non solo la fotogra a
analogica ma anche le stesse forme di vita tradizionali.
Per quanto riguarda il problema del realismo, tutto dipende da che cosa intendiamo
quando parliamo del realismo di una rappresentazione. Signi ca che dobbiamo slegare la
questione del realismo da quella dell'ontologia del medium. Non c'è nulla di automatico
nel realismo fotogra co, nulla di codi cato nell'ontologia della fotogra a che la porti ad
aderire al referente. E il realismo può signi care molte altre cose oltre all'aderenza al
referente. Innanzitutto bisogna essere d'accordo su quale sia il referente di una fotogra a.
Nel caso delle fotogra e di famiglia, ad esempio, il realismo si trova piuttosto in basso
nella scala dei criteri di valutazione.
Il realismo non è incorporato nell'ontologia di alcun medium. L'autore delinea diversi tipi
di realismo:
• Cinematogra co. È il realismo che delinea l'idea scritta sopra in modo più evidente,
perché ha una tendenza di puntare alla fantasia e allo spettacolo, non al ritratto fedele
della vita quotidiana. La maggior parte delle persone scatta fotogra e per idealizzare e
commemorare, non per ritrarre realisticamente qualcosa. Si può fare una foto che
aderisca al referente realizzando una stampa per contatto, ma ciò non equivale a una
garanzia.
• Scienti co. Esso ha una sua accurata de nizione dei concetti di verità, corrispondenza,
adeguamento e informazione e che ama profondamente la precisione dell'imaging
digitale. È spesso in con itto con il realismo del senso comune, che tende ad
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accontentarsi della dimensione informativa analogica con le sue impressioni dense,
qualitative e piene di dettagli casuali e non sistematizzati. Inizia prendendo le distanze
dal senso comune per mostrarci qualcosa che non potremmo vedere a occupo nudo.
Per questo, la fotogra a ha un atteggiamento doppiogiochista nel dibattito tra scienza e
senso comune.
• Filoso co. La visione secondo cui entità astratte e inerenti alla sfera delle idee
sarebbero "entità reali" del mondo reale. Verità, Giustizia, Essere e Realtà costituiscono
il fondamento del mondo reale. Ma il realismo che avrebbe accesso a queste entità non
è legato unicamente a un medium particolare o alla sua ontologia putativa. Queste
entità sono esse stesse il fondamento dell'ontologia e i media sono semplicemente
miseri strumenti per la loro rappresentazione. Per questo il realismo è un progetto per la
fotogra e e per le immagini, e non qualcosa che appartenga loro per natura.
L’immagine digitale gode di una certa terri cante immortalità. Una delle conseguenze più
rilevanti della vita più virulenta e volatile prodotta dalla digitalizzazione delle immagini è
un’erosione dei con ni tra la circolazione privata e quella pubblica. Si tratta di metterla in
circolazione su Internet via e-mail o attraverso altri social media. Gli album di famiglia
oggi si trasformano facilmente in pubbliche esibizioni.
Il realismo non è incorporato nell’ontologia di alcun medium in quanto tale; il caso del
realismo cinematogra co lo rivela forse ne modo più evidente, dal momento che esso
rappresenta un progetto molto peculiare nell’ambito di un medium che ha la tendenza di
puntare alla fantasia e allo spettacolo, non al ritratto fedele della vita quotidiana. La
maggior parte delle persone scatta fotogra e per idealizzare e commemorare, non per
ritrarre realisticamente qualcosa.
Si consideri la fotogra a di Sekula di una chiave inglese spostata tratta dal suo saggio
fotogra co “Fish Story”: la fotogra a esempli ca il concetto di realismo in quanto non è
isolata ma fa parte di un intero mondo che è accuratamente documentato, tanto dalle
fotogra e quanto dai testi di accompagnamento. Essa soddisfa molti dei canoni estetici
del formalismo astratto, con la sua composizione semplice/netta/geometrica e la sua
rinuncia alla profondità di campo in favore di una piattezza sul piano prospettico; tale
piattezza si accompagna a un’alta risoluzione e a un’elevata saturazione del colore, oltre
che a un’attenzione alla materialità de metallo arrugginito e alla pura bellezza di questo
materiale, isolato come fosse un elemento gra co all’interno di un’immagine stampata su
carta patinata.
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Il linguaggio della metempsicosi, la trasmigrazione delle anime, si adatta cosi facilmente
all'iconologia e alla storia dell'arte, dove motivi e icone viaggiano attraverso i con ni delle
epoche e dei media.
Tutte le images, dunque, che si muovano o che siano ferme, sono in movimento. Il modo
migliore di considerare le immagini statiche è quello di vederle come casi estremi di slow
motion, di un movimento cosi lento che non può essere direttamente percepito.
Alla base di questa metapicture delle immagini come migranti, si trova una picture ancora
più generale: la concezione delle immagini come organismi viventi guidati da desideri,
appetiti, bisogni, esigenze, mancanze. Si tratta di una metapicture che va oltre la
metafora umanizzante dell'immagine come una persona per approdare all'idea
dell'immagine come organismo.
Bisogna dire due cose sul concetto di vita delle immagini, sull'idea che le immagini siano
simili a forme di vita.
• La seconda è che risulti impossibile parlare a lungo delle immagini senza cadere in una
metapicture vitalistica, che porti ad attribuire loro una vita con l'idea di una loro
autonomia e con le immagini della loro migrazione, circolazione e riproduzione. La vita
delle immagini sembra costituire una metafora incorreggibile, che non riusciamo ad
evitare.
Quando la nostra tendenza a ricadere nella gura dell'immagine vivente si scontra con il
problema epistemologico, la questione della "conoscenza delle immagini", sorge una
curiosa ambiguità. Ci troviamo a chiederci non soltanto cosa sappiamo delle immagini ma
cosa le immagini stesse sappiano. Forse le immagini non sono solo oggetti della nostra
conoscenza.
Non c'è modo di stabilire in partenza quali siano i limiti di questa metafora, quale sia il
suo signi cato e ettivo, che cosa le appartenga e quale sia il suo territorio famigliare. Da
questo punto di vista, la metapicture dell'immagine vivente costituisce in se la
quintessenza della creatura migrante. Potremmo essere tentati di tenerla ferma al suo
posto, ma essa non si lascia contenere cosi facilmente. Dobbiamo tracciare i suoi
movimenti e prendere in considerazione l'idea che l'immagine sia qualcosa la cui
circolazione è bloccata.
Un'idea più basilare è quella dell'espulsione o distruzione delle immagini nell'ambito del
loto territorio di origine, della negazione assoluta della possibilità delle immagini di
migrare, la puri cazione delle immagini dalla loro condizione di indigeni estranei. Questa è
la forma più radicale di distruzione delle immagini, la più rigorosa iconoclastia, che
compare ripetutamente nei testi biblici, laddove viene attuata una sorta di pulizia etnica
delle immagini.
Nel Libro dei Numeri, la distruzione delle immagini è legata direttamente alla cacciata di
un popolo, alla sua migrazione forzata, o a quella che oggi chiamiamo "pulizia etnica". Si
tratta di un'interpretazione proattiva in chiave militante del secondo comandamento
biblico, inteso come se non proibisse soltanto la fabbricazione di immagini idolatriche, ma
comprendesse anche l'ordine e ettivo di distruggere le immagini ovunque le si trovi.
Nel libro Idolatry, viene descritto il secondo comandamento come una sorta di legge
territoriale: il divieto di produrre immagini e l'ordine di distruggere gli idoli rappresentano
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in realtà un tentativo di a ermare un controllo esclusivo su un territorio. L'iconoclastia, il
divieto di avere degli idoli e la loro distruzione costituiscono dunque il "grado zero" della
migrazione delle immagini. Quindi l'iconoclastia viene concepita come sterminio e
annichilamento, come una forma di pulizia etnica, e la distruzione delle immagini come
uno strumento di controllo di un luogo e di conquista di un territorio.
L'autore si focalizza su tre categorie di questi oggetti che hanno avuto una vita
particolarmente lunga nella storia dell'imperialismo europeo, e ne vivono una ulteriore
nell'immagine che l'imperialismo costruisce dei propri oggetti "adeguati". Queste tre
categorie sono: feticcio, totem e idolo. Questi tre oggetti appartengono esattamente a
quel genere di elementi che tendono a mettere in crisi la distinzione tra:
Queste dimensioni innocue dell'oggetto cattivo richiamano quelli che Donald Winnicott ha
de nito "oggetti transizionali" dell'infanzia, strumenti di giochi di fantasia che
incoraggiano lo sviluppo di sentimenti di valore cognitivo e morale.
Tanto la storia quanto la logica imperialista possono essere in un certo senso raccontate
dalla triade idolo-feticcio-totem.
Gli IDOLI rimandano all'antica forma territoriale di imperialismo che procede per
conquista e colonizzazione. Ha due funzioni contraddittorie:
• Emblema o immagine che cammina alla testa dei colonizzatori nella loro conquista.
Il FETICISMO costituisce uno sviluppo molto più tardo (età moderna). La parola "feticcio"
deriva dal portoghese e signi ca "cosa fatta, fabbricata".
Talvolta i feticci venivano considerati alla stregua di divinità locali ed equiparati agli idoli,
ma più spesso erano ritenuti meno importanti e potenti di questi ultimi, legati soprattutto
agli interessi privati degli individui. I feticci erano guardati con disprezzo e potevano
acquisire un potere magico soltanto per una mente incredibilmente retrograda.
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• C'è una distinzione tra idolo, simbolo iconico o riconducibile a un'immagine
relativamente ra nata e che di riferisce a una divinità situata altrove e il feticcio,
considerato come il luogo dell'e ettiva presenza dello spirito che lo anima -> il feticcio è
spesso associato a un rozzo materialismo, di contro al carattere relativamente
so sticato attribuito all'idolatria.
• Gli imperi del '600 distinguevano il feticismo dall'idolatria, localizzando il primo in Africa
e la seconda nell'antichità greca e romana.
• Per gli imperi protestanti del Nord Europa, il feticismo venne immediatamente associato
all'idolatria e alla crociata sacra contro il papato, che correva parallela al tentativo dei
missionari di stracciare l'idolatria pagana dal mondo intero.
• Marx scelse il feticcio come rappresentazione più calzante dei nostri parametri
razionalizzati e oggettivi del valore di scambio, alla ricerca di una gura per de nire il
carattere magico delle merci capitaliste dell'Occidente moderno.
I TOTEM (XIX secolo) sono oggetti naturali o loro rappresentazioni e raramente sono
considerati dotati di poteri divini. Sono oggetti "identitaria" associati a tribù o clan e a
singoli membri di queste comunità come spiriti protettori o guardiani.
Il totemismo rappresenta l'"infanzia della specie umana" (Sir James Frazer), e per questo
gli si riservano tolleranza e condiscendenza.
Questi oggetti sono tutt'altro che oggettivi. Sono proiezioni oggettiviste di una sorta di
soggetto imperiale collettivo. Totemismo, idolatria e feticismo sono quindi "credenze di
secondo ordine", ovvero credenze nei confronti delle credenze di altre persone. Si tratta
di sistemi di credenza di tipo imperiale ben saldi, collettivi e u ciali, di assiomi all'interno
dei discorsi scienti ci dell'etnogra a e delle religioni comparate.
• Ci sono l'ostinata immobilita e la resistenza dei corpi e delle cose materiali: mentre da
una parte le immagini circolano rapidamente come se non incontrassero ostacoli,
tuttavia le merci ancora sono spostate in navi a vapore.
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Scorgiamo questo paradosso nel mito cinematogra co universale della nostra epoca,
“Matrix” (1999), che ci mostra un mondo caratterizzato da una mobilità totale sul fronte
delle immagini e tuttavia da una completa immobilità dei corpi.
Consideriamo queste due immagini come un’allegoria. Esse danno forma a molte delle
nostre comuni supposizioni sul passato e sul futuro di questa narrazione: dalle gure
primitive dipinte a mano e che comunque bastano a prendere il posto di ciò che
rappresentano, no a un oggetto frutto della tecnica più avanzata, un prodotto
dell’elaborazione di dati informatici.
Si potrebbero sviscerare molti altri contrasti: quello tra l’immagine della magia primitiva e
l’artefatto tecnico-scienti co, tra il rituale mitico del passato profondo e la narrazione
fantascienti ca di un futuro possibile.
Più osserviamo queste immagini, più risulta evidente che le opposizioni binarie tra
passato e futuro, natura e tecnologia, selvaggio e addomesticato, caccia e cattività non
reggerebbero a un’indagine più approfondita. Entrambe le immagini sono produzioni
tecniche; entrambe sono oggetti attuali di consumo visivo che devono essere catturati
dalle loro immagini. L’aspetto più interessante è l’inversione temporale che le due
immagini richiedono: l’immagine che corrisponde al passato si rivela molto più giovane di
quella che rappresenta il futuro.
L’unico e ettivo contrasto che sopravvie è quello che concerne il dato naturale più
letterale degli oggetti rappresentati da queste immagini: la grotta di Lascaux presenta
degli erbivori, mentre Jurassic Park propone dei carnivori.
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Gli animali sono stati associati n dai tempi immemorabili alla divinazione, al presagio,
alla profezia: qualunque cosa venga fatta agli animali, verrà presumibilmente fatta agli
esseri umani nel futuro. La clonazione degli animai è generalmente interpretata come il
preludio alla clonazione degli esseri umani. Il primo soggetto della pittura fu l’animale e
probabilmente il primo materiale da pittura fu i sangue animale. La temporalità
dell’immagine animale comprende tanto il passato quanto il futuro (l’immagine, in quanto
tale, implica sempre una temporalità).
2. l’immagine ostensiva, che fa leva sulla potenza come bruta presenza e impiega
mezzi estetici per conseguire un e etto che ricalca quello dell’icona religiosa; →
prende vita alla stregua di un’icona sacra;
3. l’immagine metamor ca, che deve giocare con le forme e i prodotti dell’imagerie e
attraversa i con ni tra immagini artistiche e non artistiche in una doppia
metamorfosi la quale trasforma immagini ricche di signi cato in immagini opache,
stupide, che interrompono il usso mediatico; → produce metamorfosi.
Due cose stupiscono delle tre maniere di suggellare o rinnegare il rapporto tra arte e
immagine:
Se esiste una consonanza di fondo tra Mitchell e Rancière, questa deve essere ritrovata in
una carta ambivalenza nei confronti del concetto di immagine vivente e dei discorsi
vitalisti dell’iconologia e della storia dell’arte. Entrambi vogliamo opporvi resistenza.
Rancière e Mitchell condividono un’avversione per l’assunto fondamentale
dell’iconoclastia, ovvero che un’immagine possa essere distrutta: le immagini non
possono essere né create né distrutte. Inoltre, essi sono ugualmente attratti dal rapporto
tra letteratura e arti visive. Un’immagine è una con gurazione o convergenza di ciò che
Foucault chiamava “il visibile e l’enunciabile”; ogni immagine è una forma di “immagine/
testo”, o una “frase-immagine”. La domanda è: quale dei due termini assume la priorità?
Per Rancière la parola, per Mitchell l’immagine.
Nel discutere del futuro dell’immagine, sembrerebbe strano non menzionare la comparsa
di una nuova icona politica e culturale che ha segnato l’inizio di una nuova era politica nel
nostro tempo: Barack Obama. L’immagine fotogra ca è solarizzata, ridotta ad aree di
colori primari e unita a un semplice slogan verbale; la somiglianza stilistica con i poster di
Lenin dell’epoca sovietica era stata in ballo per rinforzare l’etichetta di socialista, se non
comunista, a bbiata a Obama dalla destra. Circolò anche un’immagine photoshoppata di
Obama nella famosa istantanea di uno spumeggiante Roosevelt al volante di una
decappottabile nella giornata inaugurale della propria presidenza. Il paragone storico con
l’immagine di Roosevelt avrà vita più lunga, rispetto al poster di Lenin, se non altro per
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una ragione assai prosaica, cioè che Obama ha assunto il potere attraverso un’elezione
democratica, non una rivoluzione violenta o un colpo di stato, e lo ha fatto nel corso della
peggiore crisi nanziaria del tempo della Grande Depressione, la “Grande Recessione”
del 2008. Obama ha assunto il potere grazie ad un messaggio di speranza e
all’indiscutibile supporto degli elettori. Il pubblico è stato educato e reso immune nei
confronti di questo tipo di tattica iconogra ca nel corso della guerra di immagini che per
un anno intero ha caratterizzato ogni fase della campagna presidenziale. Alcune immagini
traggono il loro potere dall’essere visibili soltanto a metà e facilmente rinnegabili, evitando
quindi di manifestarsi in modo pieno e diretto.
Tra tutti i poeti e pittori inglesi, William Blake è stato probabilmente quello che ha avuto la
percezione più nitida di ciò che comportava l’immagine del globo e della globalizzazione,
la quale riveste un ruolo di primo piano tanto nelle sue parole quanto nelle sue immagini.
Possiamo enumerare alcuni dei termini con cui ci riferiamo al globale:
▪ Pianeta → deriva dal termine che in greco antico indicava il vagare, usato per le
stelle e i pianeti vaganti, opposti alle stelle sse, che garantiscono un senso di
ordine del cosmo; quando il globo è osservato all’interno di un quadro più ampio,
la prospettiva allargata dall’astronomia, esso si trasforma in qualcosa che vaga
nello spazio, un globo che rotola nel vuoto, come lo descrive Blake.
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nell’oscillazione tra Terra come nome proprio e terra come nome comune, tra il
nome del pianeta e il nome di ciò che ricopre la sua super cie di una sostanza
nutritiva, fertile e feconda. La terra va vista come una piana in nita, in cui ogni
oggetto particolare, così come ogni entità vivente, contiene un vortice che apre a
un’altra in nità ancora.
L’idea di Mitchell riguardo alle rappresentazioni del mondo è che esse siano necessarie,
inevitabili e sempre limitate. Un buon esempio potrebbero essere le immagini satellitari di
Google Earth: con un click del mouse è possibile zoomare dalla distanza di migliaia di
chilometri nello spazio no a poche centinaia di metri dalla super cie terrestre; non c’è un
modo di zoomare uido e preciso dal globale al locale e dall’in nità più astratta al
particolare più minuto.
Come le rappresentazioni del mondo, gli immaginari regionali mostrano sempre un volto
duplice: la regione è ciò che è governato, ma anche ciò che è libero da governo centrale;
le regioni sono ambigue rispetto al loro status come parti o come tutti, frammenti o
totalità. Da una prospettiva globale, la ragione emerge come l’aspetto più stabile e
permanente della Terra.
Una chiara dimostrazione di questo assunto è fornita dall’artista cinese Hong Hao nella
sua mappa ttizia intitolata “New Political World”; questa mappa ci mostra un mondo in
cui tutti i continenti e le regioni rimangono al loro posto, ma i nomi delle entità politiche
non sono dove ci si aspetterebbe. Essa ci ricorda il carattere contingente e la fragilità
delle realtà nazionali e del loro mondo della vita e allo stesso tempo sottolinea la relativa
persistenza dei continenti e delle regioni. La fugacità dei con ni e delle identità nazionali
nella mappa serve a ricordarci che gli imperi e le superpotenze potrebbero essere più
e meri dei piccoli stati nazionali. L’intelligenza di New Political World risiede nel
mescolamento di alcuni particolari e nella loro impostazione generale; per esempio,
Israele si trova in Canada, dove avrebbe tutto lo spazio per estendersi, mentre la modi ca
più sorprendente è quella della Repubblica Popolare Cinese, che si trova in possesso
esclusivo degli Stati Uniti. Si tratta di una previsione basata sul fatto che la Cina oggi si
trova nella posizione adatta per diventare la più grande economia de mondo e la
superpotenza dominante del XXI secolo? Come ogni opera d’arte, essa è in grado di
generare un’in nità di interrogativi; come ogni provocatoria rappresentazione del mondo,
produce spaesamento e riorientamento.
Negli anni ’90 è sembrato che una nuova sintesi nei media studies potesse essere o erta
dalla pubblicazione di Friedrich Kittler “Gramophone, Film, Typewriter”, un collage di
storie intessute nella trama del racconto della ne dell’umanità e dell’ascesa del
computer. Il brillante intervento di Kittler nei media studies ha avuto l’e etto di aprire
un’intera nuova archeologia dei media all’indagine storica; ha innescato un’ondata di
studi sui nuovi media, che ha preannunciato un digital turn secondo cui i vecchi media
meccanici erano destinati a essere sostituiti da codici binari. Secondo Kittler, gli output
sensoriali forniti dai computer dovevano essere considerati qualcosa per tenerli distratti
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no al momento in cui sarebbero stati rimpiazzati dalle macchine che loro stessi avevano
costruito.
Il digital turn non potrà essere compreso in pieno no a che non verrà posto in relazione
dialettica con l’analogico, e con quella che Brian Massumi ha chiamato “la superiorità
dell’analogico”. Il digitale è sempre stato presente nella forma dei sistemi niti di caratteri
discreti (come i sistemi alfabetici o numerici) e nei media gra ci. Qualsiasi svolta verso
nuovi media è al contempo una svolta verso una nuova forma di im-mediatezza.
Un altro problema che sorge dalla lettura di Kittler è sollevato dalla frase: “I media
determinano la nostra situazione.” I media ci circondano su tutti i fronti, ma è un “noi” ad
abitarli, un “noi” a vivere ogni medium come veicolo di una qualche opacità o
immediatezza. Il medium non è mai tutto in una situazione. C’è sempre qualcosa al di
fuori del medium: la zona di immediatezza e il non mediato che il medium stesso al
contempo produce e incontra; la televisione non produceva o incontrava la stessa
situazione in Africa e negli Stati Uniti negli anni ’60; Internet incontra sistemi di
circostanze diversi nel varcare determinati con ni nazionali, proprio nel momento in cui
facilita la formazione del villaggio globale di McLuhan. Quello che è sfuggito ai suoi tempi
è che un villaggio globale non è necessariamente un’utopia; i villaggi reali possono essere
dei luoghi estremamente ostili. L’estetica dei media promette di o rire una sana
resistenza alle tendenze al “tutto o niente”; essa genera un’interessante convergenza dei
problemi della singolarità e della molteplicità. Lo osserviamo nel linguaggio quotidiano,
nella nostra tendenza a scrivere “i media”, come se fossero una sorta di corpo collettivo;
allo stesso tempo, ogni medium viene descritto come se si trattasse di una costellazione
unica ed essenziale di materiali, tecniche e pratiche.
Se stiamo cercando il caso più esemplare di medium puramente visivo, la pittura sembra
il candidato più scontato. Persino nelle sue forme più puramente e intenzionalmente
ottiche, la pittura restava fatta di “parole dipinte”. Questo tipo di discorso critico era
cruciale. Senza il discorso critico, lo spettatore non istruito vedrebbe i dipinti di Jackson
Pollock come niente più che carta da parati. Immaginiamo che l’osservatore possa
guardare senza verbalizzare: che cosa rimarrebbe? Una cosa che resterebbe è la
constatazione che il dipinto è un oggetto realizzato manualmente, uno dei fattori cruciali
che lo di erenziano dal medium della fotogra a. Il senso non visivo in gioco è il tatto,
messo in evidenza da alcuni tipi di dipinto e in ombra da altri; in entrambi i casi, è
su ciente che l’osservatore si renda conto di trovarsi di fronte a un dipinto per
comprendere che questo è la traccia di una produzione manuale. Vedere un dipinto è
toccare, vedere i gesti della mano dell’artista.
L’architettura incorpora tutte le arti; essa non è fatta per essere guardata, ma vissuta e
abitata. La fotogra a è così pervasa dal linguaggio che è di cile immaginare che cosa
potrebbe signi care de nirla un medium puramente visivo.
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puramente uditivi, tattili o olfattivi. Questa conclusione non comporta però l’impossibilità
di distinguere un medium dall’altro. Ciò che invece rende possibile è una più precisa
di erenziazione dei tipi di combinazione; se tutti i media sono mixed media, non sono
però tutti “misti” allo stesso modo. La speci cità dei media è una questione che riguarda
gli speci ci rapporti tra i sensi che sono coinvolti nella pratica.
Poi c’è un fenomeno che de nirei “intreccio”, tale per cui un canale sensoriale o una
funzione semiotica si interessano con altri più o meno impercettibilmente, di cui è
esempio emblematico la tecnica cinematogra ca del suono sincronizzato. Cartesio ha
paragonato la vista al tatto: la vista deve essere intesa come una versione più ra nata,
sottile ed estesa del tatto. Il vescovo Berkeley ha sostenuto che la visione non è un
processo esclusivamente ottico ma implica un “linguaggio visivo” che richiede il
coordinamento di impressioni ottiche e tattili. La visione naturale stessa è un intreccio e
un annidamento di ottico e tattile. Il rapporto sensoriale della visione diventa ancora più
complesso quando ci si addentra sul terreno dell’emozione, dell’a etto e dell’incontro
intersoggettivo all’interno di un campo visivo; qui apprendiamo che lo sguardo è
solitamente attivato non dall’occhio dell’altro ma dallo spazio invisibile o dal suono.
Le immagini digitali esistevano già molto prima dell’invenzione del computer o del codice
binario, n da quando gli aborigeni australiani svilupparono un vocabolario di caratteri
gra ci binario fatto di linee e punti per la pittura su sabbia → il computer non rappresenta
una vittoria del digitale, ma un nuovo meccanismo per coordinare il digitale e l’analogico.
Il disegno è il punto di incontro tra architettura e scultura. Sia il disegno che la scultura,
però, dipendono da due condizioni:
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1. la presenza dell’architettura nella sua forma minima – il muro bianco e silenzioso
sul quale l’immagine è proiettata, tracciata e resa in forma scultorea nelle tre
dimensioni di un rilievo che si solleva dalla super cie piatta;
2. il corpo umano, come centro e insieme periferia dell’architettura, come ciò che la
progetta dall’esterno e la abita dall’interno; il corpo non è soltanto ciò che disegna,
ma anche ciò che viene disegnato, tanto per la scultura quanto per l’architettura.
La cosa strana della gerarchia tra i media contemporanei è che proprio ora, nel momento
in cui strumenti tecnici e codici sembrano penetrare ogni aspetto della realtà, e grandiosi
monumenti architettonici sorgono in ogni dove, il medium rappresentazionale più antico,
l’arte più vicina al corpo, quella che esprime l’incontro di mano e occhio nel più intimo
degli spazi compositivi, ritorni a essere la forma artistica dominante.
Secondo Greenberg, tutte le arti moderne erano accumunate da una tendenza a farsi
astratte ed eteree, e i nuovi materiali dell’architettura come l’acciaio, il vetro e il cemento
armato aspettavano soltanto che il modernismo pittorico con i suoi stili visivi e gra ci
mostrasse loro come sfuggire alla forza di gravità. Ogni arte, però, doveva diventare
astratta in un suo modo particolare.
L’e etto più interessante e incisivo della produzione digitale di immagini è la sua capacità
di facilitare la transizione dalla progettazione alla costruzione.
I luoghi fondativi delle rivoluzioni sono quelli che Robert Smithson ha de nito “non sites”,
testimoni di un’assenza; di recente, nel contesto di movimenti come la Primavera Araba,
abbiamo assistito all’individuazione di nuovi luoghi e a nuovi atti di fondazione. In piazza
Tahrir al Cairo si sono celebrati matrimoni, sono nati bambini; l’immaginario e la retorica
dell’insurrezione popolare e della rivoluzione sono tornati a rivivere.
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scambiano di ruolo: ciò che prima era visto come uno spazio vuoto intorno a un vaso
improvvisamente si rovescia nei pro li di due facce che si fronteggiano, e un nuovo
spazio emerge tra le facce. Mitchell si so erma sulla gura del vaso di Rubin perché vuole
considerare la questione del luogo fondativo come un problema di rapporto gura/
sfondo; infatti, ogni volta che assistiamo a un atto di fondazione, assistiamo anche allo
sgombero di uno spazio ai ni della costruzione di una gura.
1. concreto/letterale/materiale
2. virtuale/metaforico/immateriale
A volte i con ni sono qualcosa di positivo e a volte no; come recita il detto: “Tradurre è
tradire”; la convergenza appare qualcosa di positivo soprattutto al partner più forte che
assorbe il più debole in una sintesi asimmetrica.
⇨ La lingua inglese sembra attraversare ogni con ne e invitare tutte le altre lingue a
tradursi in una convergenza monolingue; l’egemonia globale dell’inglese deve
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essere vista come la conseguenza di una lunga serie di processi storici in cui
hanno avuto un ruolo il superamento dei con ni, le forze della traduzione e le
dinamiche della convergenza.
Gli stati nazionali hanno dei con ni: è questo a de nirli come entità politico-spaziali;
trasferimenti e trans-azioni entrano in gioco quando si formano dei con ni, e la traduzione
deve essere vista come un’altra azione all’insegna del “tra(ns)-”, nel caso speci co,
l’attraversamento di con ni linguistici. La relazioni di “tra(ns)-” includono il commercio, la
diplomazia, i negoziati e le migrazioni di entità viventi. La convergenza è il centro del
meccanismo del “tra(ns)-”, è il momento di contatto tra nazioni, stati, popolazioni e
culture su un con ne virtuale o concreto. Talvolta (raramente), la convergenza induce a
una paci ca assimilazione; più spesso porta alla conquista e al dominio di un gruppo
sociale su un altro, al declino di una lingua e in alcuni casi alla morte di un popolo.
⇨ La linea verde che divide Israele e Palestina è una linea di separazione che
potrebbe essere considerata esemplare di molti dei paradossi che circondano la
questione dei con ni. Utilizziamo il termine “Israele-Palestina” per designare la
contestata terra natia di due popoli divisi da religione, razza e lingua, ma uniti da
un’ossessione per la stessa regione, che è il cuore delle tre grandi religioni del
Libro. Il processo di pace di Israele-Palestina va avanti da decenni, con il solo
risultato del degrado progressivo delle vite dei palestinesi e dell’erezione di una
barriera difensiva. Il con ne vero e proprio di Israele concretamente non esiste, e
u cialmente esiste in uno stato di contestazione permanente. I palestinesi vivono
nel loro stesso paese come se fossero migranti irregolari, come se si trovassero
costantemente in una zona di con ne.
“Così come due vicini non permettono che l’uno si prenda libertà sconvenienti nel regno
dell’altro, ma lasciano dominare sul con ne una reciproca tolleranza, che compensa
paci camente le piccole intrusioni nei diritti dell’altro che l’uno si vede costretto a
commettere per le sue necessità, così fanno pure la pittura e la poesia.” → La
rappresentazione di Lessing dei rapporti tra arti verbali e visive è al contempo etica e
politica, poiché intreccia l’ambito delle relazioni personali tra vicini con la sfera più ampia
dei territori sovrani. Lessing riconosce che questi sono con ni metaforici, ma questo non
signi ca che essi siano irreali. La poesia gode di una più vasta sfera per via dell’in nito
ambito della nostra immaginazione, della spiritualità delle sue immagini. La sua posizione
è opposta a quella di Leonardo Da Vinci che, nel paragone tra queste due arti, a ermava
la superiorità della pittura sulla base della sua immediatezza e del suo potere di suscitare
vividi e etti nello spettatore.
⇨ Analizzando l’opera di Magritte “Ceci n’est pas une pipe”, Foucault de nisce la
convergenza di testo e immagine come una serie di intersezioni tra la gura e il
testo. Sottolinea inoltre la fenomenologia della linea di con ne tra parola e
immagine; ma il con ne di Foucault è molto più che una linea: è piuttosto una zona
di indeterminatezza o una “terra di nessuno”.
Per capire la logica dei con ni virtuali e metaforici nell’ambito dei media e della
rappresentazione non c’è nulla di meglio a cui fare riferimento della classica
rappresentazione del linguaggio fornita dalla linguistica di Saussure. Il diagramma
fondamentale del segno linguistico è un assemblaggio dei tre elementi: con ne,
traduzione, convergenza. Il segno è diviso in due domini, signi cante e signi cato, con
una barra orizzontale che funge da linea di con ne; la convergenza è ra gurata dalla
bolla o dall’ovale che risolvono la dualità del segno in una singola forma; la traduzione è
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resa in immagine dalle frecce bidirezionali che suggeriscono il trasferimento della
signi cazione da un dominio all’altro.
Si è parlato in questo saggio di due tipi di con ne, virtuale e concreto, ma è chiaro che
entrambi siano reali e connessi, necessari l’uno all’altro; il con ne reale è sempre un
con ne bifronte, al contempo virtuale e concreto.
Gli ambienti sociali estremi sono ambienti in cui la pressione e il con itto sociale sono
portati all’estremo, aree ad alta densità di popolazione, territori occupati e spazi sotto
assedio; sono tra gli ambienti in più rapida espansione sul pianeta e sono generalmente
luoghi di estrema disuguaglianza e incertezza, ma anche di estrema violenza e criminalità.
Le arti giocano un ruolo cruciale negli ambienti sociali estremi; non sempre si tratta del
tipo di arte che si trova nelle convenzionali galleria, infatti può presentarsi sotto forma di
Street Art, di performance o di gra ti, oppure (quando proviene dall’esterno) di
documentari, fotogra e, produzioni giornalistiche. Questi ambienti non esistono mai
separati da quella che potrebbe essere considerata la loro controparte dialettica di
benessere, sicurezza e privilegio – la comunità recintata, il quartiere facoltoso. La vera
arte di questi ambienti emerge quando viene messa in opera una delle più antiche
modi cazioni arti ciali di un ambiente, quando cioè viene eretto un muro e un intero
popolo viene rinchiuso come un lotto di bestiame; il muro di sicurezza, la recinzione di
con ne, il posto di blocco, la frontiera, la barriera sica o virtuale che separa gli ambienti
sociali estremi dai paesaggi ordinari, hanno ospitato alcune delle espressioni artistiche
più e caci del nostro tempo.
A rontando il orire di muri destinati ai popoli, hanno fatto il loro ritorno i gra ti, e non
semplicemente quelli di commemorazione, ornamento o abbellimento, ma quelli che
decostruiscono il loor stesso supporto, resistendo alla separazione e attaccando gli stessi
muri sui quali sono dipinti, immaginando un mondo movimenti di corpi umani liberi e
privi di ostacoli.
La piccola regione nota come “Striscia di Gaza” deve essere considerata paradigmatica
del nostro tempo: una striscia di terra grande più o meno il doppio di Washington, con un
milione e mezzo di abitanti, uno degli ambienti più densamente popolati al mondo, i cui
abitanti vivono nel degrado e nella povertà. Gaza è un immenso campo di prigionia,
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probabilmente uno dei più grandi carceri ostruiti dall’uomo, in cui un numero
considerevole di civili si trova sorvegliato, rinchiuso, a amato, umiliato, massacrato; la
striscia rimane sotto occupazione militare. Questo è un ambiente che quasi per chiunque
è un prodotto dell’arte nel senso esteso, un’arte che spazia dal giornalismo, alla
propaganda, ai dipinti murali e alla performance. L’aspetto più rilevante del carattere
estremo di Gaza che emerge dalle sue rappresentazioni è che la sua non è una
condizione accidentale, essa è l’illustrazione più evidente di una strategia contemporanea
di pulizia etnica a lungo termine.
Nonostante la pulizia etnica abbia una sua chiara de nizione in quanto crimine contro
l’umanità, essa non è un evento unico e statico ma un processo dinamico che sviluppa
continuamente nuove strategie: la pulizia etnica non sottintende necessariamente una
violenza aperta e visibile contro le persone, ma si può mettere in pratica con una violenza
sistematica contro la vita di tutti i giorni e la deliberata produzione di un ambiente sociale
stremo che nirà per distruggersi da solo. La fotogra a non può catturare la complessità
e la densità di questo mondo: la testimonianza più eloquente viene dall’arte delle
immagini in sequenza o in movimento, dai lm documentari ai graphic novel.
Il dipinto di Poussin ra gura l’epidemia di peste scagliata da Dio sui listei, i quali hanno
appena scon tto gli israeliti, uccidendo trentamila uomini, e ora la peste e scesa su di
loro; quello che vediamo è uno statuario di terrore e panico, con gure che Poussin ha
ricavato dal repertorio di Caravaggio; la più impressionante si trova in primo piani al
centro del dipinto: una madre morta con i suoi bambini al seno che muoiono di fame.
Via via che ci allontaniamo dal dettaglio, ci accorgiamo di una scena secondaria
all’interno del tempio: vediamo l’Arca dell’Alleanza, che i listei avevano sottratto nel
corso della battaglia e la statua abbattuta del loro idolo, Dagon. Poussin ci dice che
questo è il soggetto primario, il vero soggetto del dipinto. La scena che vediamo in primo
piano è di fatto la rappresentazione di una catastrofe umana, ma è anche il risultato
diretto della giustizia divina. Ma il movente concreto della distruzione non è davvero
questo giudizio morale. Gli idoli dei listei rivestono la funzione di “divinità del luogo”;
l’accusa di idolatria e la pratica dell’iconoclastia hanno una doppia nalità:
1. scopo concreto → cancellare le tracce storiche degli abitanti nativi, condurre una
pulizia etnica di tutte le immagini;
Questa immagine mostra la caratteristica centrale della pulizia etnica, ovvero il massacro
degli innocenti.
Edgar Allan Poe è generalmente riconosciuto il maestro del perturbante, proprio per
come si colloca a metà strada tra narrativa e poliziesca; il perturbante è il genere
dell’ambiguità per eccellenza.
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Avrebbe senso parlare di perturbante “storico”, un’esperienza che sia socialmente
condivisa, e condivisa in relazione a un evento vissuto collettivamente? Dovremmo
prendere in considerazione l’idea di un’epoca storica perturbante, caratterizzata da strane
coincidenze, ripetizioni, doppi e fantasmi. L’esempio più banale sarebbe quello di un
evento storico che produce una di usa incertezza in merito alla sua origine accidentale o
causale. Un evento che segni l’avvio di un’epoca storica precisa dovrebbe assumere uno
status di icona pubblica, di immagine riconosciuta che circola “senza bisogno di
didascalie”.
Può darsi che tutti gli eventi storici abbiano qualcosa di perturbante, nella misura in cui
c’è dell’incertezza sul loro carattere necessario o contingente; da una parte, teorie
cospirative; dall’altra, sfortuna e incompetenza.
Lo storico dedito a una spiegazione razionale degli eventi tenderà a vedere motivi che si
ripetono e noterà analogie storiche – per esempio, tra le condizioni che hanno portato alla
Grande Depressione degli anni ’30 e quelle che hanno portato alla Grand Recessione del
2008. Lo storico della contingenza partirà dalla premessa che le analogie storiche sono
sempre di dubbia utilità, che la storia è una serie di occorrenze particolari che non
obbediscono ad alcun disegno o schema riconoscibile.
⇨ Un esempio del perturbante storico nel nostro tempo dovrebbe essere l’elezione di
Barack Obama nel 2008, non soltanto per via dello spettacolo visivo o erto
dall’ascesa di un politico di identità afroamericana alla carica politica più alta del
governo di un paese diviso in termini razziali, ma anche in virtù delle caratteristiche
dell’immagine “acustica” evocata dal nome Barack Hussein Obama, che è una
sintesi dei nomi dei principali nemici degli Stati Uniti nell’epoca precedente alla sua
elezione (Saddam Hussein – Osama Bin Laden).
Il periodo della guerra al terrore ha portato sul palco della storia i tropi della ripetizione e
del ritorno, ma anche una vivida fantasmagoria e ha prodotto inoltre una versione del
terrorista come organismo senza volto, anonimo e inde nitamente riproducibile (= legato
all’idea del clone) → la guerra globale al terrore ha avuto l’e etto di clonar i l terrore.
Nella storia della tecnologia dei media il fenomeno che ha una corrispondenza più diretta
con il perturbante storico è la fantasmagoria, l’uso di dispositivi di proiezione ottica per la
produzione di spettacoli pubblici che prevedono fantasmi, spettri e apparizioni di ogni
tipo, perché non si limita a portare avanti la tradizione degli show di magia e della
fantasia, ma mette in scena i suoi spettacoli situandoli al con ne tra scienza e
superstizione.
Potremmo osservare alcune somiglianze evidenti tra l’era delle prime fantasmagorie e la
nostra situazione mediatica contemporanea: l’aspetto più ovvio è un senso di tecno lia, la
sensazione di trovarsi nel bel mezzo di una rivoluzione mediatica cruciale quanto lo fu a
suo tempo l’invenzione della stampa. La di erenza maggiore tra fantasmagoria storica del
XIX secolo e quella del XXI secolo sta nella possibilità di trasmettere in diretta attraverso i
media; la cosa più simile alla diretta che il XIX secolo poteva o rire erano i giornali e le
riviste illustrate.
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⇨ La distruzione del World Trade Center è stata trasmessa immediatamente in diretta
in tutto il mondo e ha rappresentato lo spettacolo perturbante per eccellenza,
colpendo gli spettatori come la replica di una scena alla quale avevano già assistito
in una serie di lm catastro ci dei decenni precedenti; tale evento sembrato
inscenare una perturbante ripetizione nel momento stesso del suo svolgimento,
con il breve intervallo tra l’impatto del primo e del secondo aereo a garantire la
massima attenzione mediatica. L’impressione è stata quella di un doppio déjà-vu.
Spettacolo e sorveglianza devono essere intesi non quali alternative che si escludono
reciprocamente, ma come forze dialettiche che intervengono nell’esercizio del potere e
nella resistenza al potere stesso. Lo spettacolo cerca di a ermare il proprio potere sui
soggetti distraendoli con delle illusioni; la sorveglianza opera per acquisire un potere sui
soggetti come oggetti sottoposti a uno sguardo penetrante.
Oggi, assieme allo spettacolo e alla sorveglianza è emersa una terza forza mediatica che
apre un nuovo fronte nella lotta per il potere; si tratta dei social media, di cui sono
l’emblema Facebook, Twitter e le altre forme di scambio di messaggi in forma di testo/
voce/video. I social media hanno il potenziale per realizzare le forme di contro-spettacolo
e contro-sorveglianza.
Il libro “A icted Powers. Capital and Spectacle in a New Age of War” del collettivo retort
ha costituito un importante intervento critico all’interno del dibattito sulla guerra in Iraq e
sulla visione strategica della guerra al terrore. Esso è una ri essione molto partecipe sulla
situazione di crescente marginalità del movimento politico della sinistra. Particolarmente
utile è l’analisi sulla sovradeterminazione di particolari strutture di pensiero, come
l’equazione “sangue per petrolio”.
Mitchell teme che A icted Powers abbia costruito un altro nemico, neanche
lontanamente potente come il neoliberalismo militare che correttamente individua come
forza principale di una nuova tornata di “accumulazione originaria” e neocolonialismo.
Questo nemico porta sulle spalle gran parte delle colpe che il volume attribuisce alle forze
che ostacolano la sinistra, e aleggia intorno ai concetti-feticcio di Spettacolo, Capitale,
Stato e Modernità: questi concetti conferiscono all’analisi di Retort della situazione
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politica contemporanea un taglio che non possiamo non de nire estremamente
spettacolare.
❖ Adesione di Retort a riti vicini a una certa iconoclastia reazionaria, espressa nel
disprezzo degli autori per la cultura di massa, il consumismo e la modernità →
Retort a erma che gli oggetti non possono realizzare la loro magia se sono
standardizzati.
La scienza delle immagini proposta in questo libro è una pratica che considera le
immagini come i mattoni dei nostri mondi psico-sociali. è una scienza che pone le
immagini stesse sotto indagine, come entità formali, materiali e quasi viventi; concepisce
il suo oggetto nei termini di un’entità liminare, situata all’incrocio tra natura e cultura,
linguaggio e percezione, gure e sfondi.
La scienza delle immagini non è una scienza “dura” né una scienza “molle”, ma una
scienza “dolce” che presta la stessa attenzione all’osservatore e all’osservato, al soggetto
e all’oggetto. È per questo che la scienza delle immagini condivide un simile appellativo
con un’altra scienza dolce; ci si riferisce alla boxe, in cui una coppia di contendenti
combatte a passi di danza eseguendo un balletto fatto di tattiche complicate e strenua
resistenza.
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Allo stesso modo, l’incontro con un’immagine o con un’opera d’arte è una scena di
violenza modulata o controllata: le immagini possono o endere, ammaliare, accattivare e
traumatizzare gli spettatori, ed è per questo che sono circondate da così tanti tabù e
superstizioni.
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