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SCIENZA DELLE IMMAGINI, J.W.T.

Mitchell

PRIMA PARTE: FIGURE


1 - ICONOLOGIA, MEDIA, CULTURA VISUALE
La storia dell’arte può essere considerata il punto di convergenza di tre ambiti di studio
distinti che si trovano ai suoi con ni e provocano e stimolano la sua identità di “storia
delle opere d’arte”:

1. Iconologia → studia le immagini attraverso i diversi media e in particolare il legame


tra linguaggio e rappresentazione visiva.

L’iconologia è molto antica. Interroga l’idea stessa di immagine nel contesto del discorso
loso co e ripercorre la migrazione delle immagini attraverso i con ni tra letteratura,
musica e arti visive. Si occupa dei tropi, delle gure, delle metafore, dei motivi visivi e
gra ci, dei gesti compiuti nel tempo dell’ascolto e nello spazio, delle immagini su un muro
o su uno schermo. L’iconologia critica ha incorporato temi come le forme di immagini
ri essive/autocritiche, il rapporto tra immagini e linguaggio. L’iconologia si è occupata
anche delle scienze, indagando il ruolo delle immagini nella ricerca scienti ca, in relazione
al fenomeno dell’immagine “naturale”.

2. Cultura visuale → indagano la percezione e la rappresentazione visiva,


concentrandosi soprattutto sulla costruzione sociale della sfera del visibile.

È un ambito di studio piuttosto recente. Tali studi sono probabilmente la conseguenza di


una serie di innovazioni nelle tecnologie di registrazione ottica come la fotogra a, la
televisione e il cinema. L’antropologia visiva e gli studi di cultura materiale sono stimoli
importanti per l’ambito della cultura visuale. Sotto la spinta della cultura visuale, la storia
dell’arte ha ora campi di ricerca molto vasti. La disciplina mira a indagare la speci cità
della sfera ottica rispetto alla modalità tattile e a quella acustica; esplora anche i nessi
con il linguaggio e con gli altri sensi. Essa aspira a spiegare la costruzione sociale della
sfera del visibile e anche la costruzione visuale della sfera sociale.

3. Media studies → il campo emergente della cosiddetta “estetica dei media” mira a
collegare tra loro gli aspetti tecnici, sociali e artistici dei media.

È un campo piuttosto giovane: le sue origini si trovano negli scritti di McLuhan; per
McLuhan era una pluralità di elementi a costituire il campo della comunicazione e
dell’espressione, che a sua volta formava una “seconda natura” intorno agli individui e
alle società. Al centro di esso si trovava l’invenzione moderna dei mass media, quelli
radiotelevisivi in particolare. McLuhan considerava l’arte quale il regno privilegiato della
sperimentazione e del gioco con le nuove invenzioni mediali. L’estetica dei media
contemporanea cerca di rilanciare le ambizioni del progetto di McLuhan muovendosi
attraverso i con ni tra media artistici da un lato e forme di mediazione tecnica/
socioeconomica/politica dall’altro.

Questi tre ambiti costituiscono l'orizzonte o la frontiera della storia dell'arte, e al


contempo forniscono un'integrazione necessaria anche se talvolta pericolosa al suo
lavoro.

L'iconologia apre i con ni all'immagine, alla fondamentale unità di a etto e signi cato
proprio della storia dell'arte. La cultura visuale apre allo speci co canale sensoriale,
tramite cui le arti visive necessariamente operano. L'estetica dei media apre il rapporto
delle arti con i mass media.

Questi ambiti di studio si alimentano reciprocamente: la cultura visuale fornisce uno dei
canali principali per la circolazione delle immagini, costituendo il campo primario della
loro comparsa e sparizione. L'estetica dei media invece o re un quadro concettuale
adeguato per prendere in esame l'ambito più esteso del "rapporto tra i sensi" (McLuhan).

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ICONOLOGIA
È un ambito molto antico, che risale al rinascimento e alla Iconologia di Cesare Ripa.
Include l'intera gamma delle immagini non artistiche, comprese quelle scienti che.

Questo ambito interroga l'idea stessa di immagine nel contesto del discorso loso co e
ripercorre la migrazione delle immagini attraverso i con ni tra letteratura, musica e arti
visive.

La nozione di immagine visiva riconosce l'esistenza di immagini anche verbali e


acustiche.

Quindi l'iconologia si occupa di:

• Tropi, gure, metafore

• Motivi visivi e gra ci

• Gesti compiuti nel tempo dell'ascolto e nello spazio

• Immagini su un muro o su uno schermo

Panofsky ritiene che l'iconologia comprenda lo studio dell'iconogra a, l'analisi storica dei
signi cati di determinate immagini, e si estende no a esplorare l'ontologia delle immagini
in quanto tali, e le condizioni che consentono loro di acquisire valenza storica.

L'iconologia critica è la disciplina che ha incorporato:

• Metapictures (forme di immagine ri essive, autocritiche)

• Rapporto tra immagini e linguaggio

• Statuto dell'immaginario mentale, fantasia e memoria

• Statuto teologico e politico delle immagini nei fenomeni dell'iconoclastia e


dell'iconofobia

• In uenze reciproche tra virtuale e reale (basate sulla distinzione tra images e picture).

L'iconologia si è occupato anche delle scienze, indagando il ruolo delle immagini nella
ricerca scienti ca, in relazione al fenomeno dell'immagine naturale. I progressi compiuti
hanno rivoluzionato l'antica concezione di immagine come "imitazione della vita". Infatti le
biotecnologie hanno permesso, attraverso la clonazione, la realizzazione di un'immagine
vivente di una forma di vita, con implicazioni profonde sia sui concetti di immagini che di
forma di vita.

Siamo alle porte di una nuova era, de nita da Mitchell "riproduzione biocibernetica",
caratterizzata dalla comparsa dell'immagine biodigitale.

CULTURA VISUALE
È un ambito di studio molto recente, ma ha la sua origine nelle indagini loso che sullo
spettatore come soggetto esemplare dell'epistemologia (Cartesio).

Gli studi di cultura visuale sono la conseguenza di una serie di innovazioni nelle
tecnologie di registrazione ottica come fotogra a, cinema e tv e di alcuni studi di cultura e
psicologia incentrati sulla percezione e sul riconoscimento visivi.

Questo ambito è stimolato da antropologia visiva, studi di cultura materiale e di massa e


dai movimenti artistici.

Grazie alla cultura visuale, la storia dell'arte ha campi di ricerca molto vasti:

• Pulsione scopica

• Pro ling razziale

• Potere dello sguardo

• Dialettica dello spettacolo e della sorveglianza

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La disciplina mira a indagare le speci cità della sfera ottica rispetto alla modalità tattica e
acustica.

Gli studi di cultura visuale esplorano anche le frontiere della visualità in relazione alle arti
visive, i suoi nessi e le sue sovrapposizioni con il linguaggio, con gli altri sensi e con i limiti
e le negazioni della visualità stessa. Si occupano dei fenomeni dell'intersoggettività
nell'ambito scopico, delle dinamiche del vedere e dell'essere visti come momento
decisivo della formazione della sfera sociale.

La cultura visuale aiuta a comprendere come le opere d'arte possano restituire lo sguardo
agli spettatori, e aspira a spiegare la costruzione visuale della sfera sociale, a illustrare
come le modalità dello spettacolo e della sorveglianza costituiscano il nostro Mondo
Nuovo fatto di droni, data mining e hacktivism.

ESTETICA DEI MEDIA


Risale agli scritti di McLuhan. Egli concepisce che è una pluralità di elementi a costituire il
campo della comunicazione e dell'espressione. Egli era interessato ai social media, come
telegrafo, telefono, sistema portale, Internet ("estensione del sistema nervoso") e agli usi
artistici sia dei vecchi che dei nuovi media.

McLuhan considerava l'arte quale il regno privilegiato della sperimentazione e del gioco
con le nuove invenzioni mediali, come il nuovo in cui è possibile esplorare l'e etto dei
media sul sensorio e sulle formazioni sociali.

Il centro dell'estetica dei media e delle sue ricerche è costituito dai concetti di speci cità
mediale (mixed media), intermedialità e "condizione postmediale" (Rosalinda Krauss).

L'estetica dei media oggi cerca di rilanciare le ambizioni di McLuhan, muovendosi


attraverso i con ni tra media artistici e di massa da un lato e formazione di mediazione
tecnica, socioeconomica e politica dall'altro.

Si parla di un mondo di mediazione totale, in cui le frontiere del pensiero compiono una
svolta dialettica verso l'immediato.

2- QUATTRO CONCETTI FONDAMENTALI DELLA SCIENZA DELLE IMMAGINI


PICTORIAL TURN
Questa espressione è spesso fraintesa come una semplice etichetta associata ai
cosiddetti media visivi, come la televisione, il video e il cinema. La nozione stessa di
medium puramente visivi è incoerente alla radice. I media sono sempre un connubio di
elementi sensoriali e semiotici e i cosiddetti media visivi sono formazioni miste o ibride.

L’idea di una svolta – turn – verso l’ambito del pictorial non è con nata alla cultura visuale
contemporanea: si tratta di una gura del pensiero che torna a presentarsi più volte nella
storia della cultura; così, l’invenzione della prospettiva, l’avvento della pittura da
cavalletto e l’invenzione della fotogra a furono tutti accolti come pictorial turns. I pictorial
turns sono spesso connessi a un’ansia generata dal nuovo dominio dell’immagine,
considerato una minaccia. I pictorial turns normalmente richiamano una distinzione tra
parole e immagini, laddove la parola è associata alla legge, alla capacità di leggere e al
potere d’élite, l’immagine invece alla superstizione popolare, all’analfabetismo e alla
licenziosità. Esiste un’accezione di pictorial turn che è esclusiva del nostro tempo: è
erede di quello che Richard Rorty ha chiamato “linguistic turn”; Rorty sosteneva che la
loso a occidentale si fosse evoluta spostando il suo interesse dagli oggetti ai concetti e
in ne al linguaggio. L’immagine è emersa come tematica di urgenza nel nostro tempo,
non solo negli ambiti della politica e della cultura di massa ma anche nel contesto delle
ri essioni più generali sulla psicologia umana. Questa evoluzione, come il linguistic turn di
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Rorty, dà vita a una lettura nuova della loso a stessa; la loso a nel XX secolo ha
compiuto un linguistic turn, perché “un’immagine ci teneva prigionieri” → la loso a ha
risposto con una serie di strategie di evasione.

Mitchell concepisce che l'idea di immagine sia emersa come tematica di particolare
urgenza nel nostro tempo, non solo negli ambiti della politica e della cultura di massa, ma
anche nel contesto delle ri essioni più generali sulla psicologia umana e sul
comportamento sociale, cosi come nelle strutture della conoscenza stessa.

Si passa da " loso a" a "teoria" nelle scienze umane, basandosi sul riconoscimento del
fatto che la loso a non è mediata soltanto dal linguaggio ma dall'intera gamma delle
pratiche rappresentazionali, compresa quella delle immagini. Per questo motivo, le teorie
delle immagini e della cultura visuale si sono prese carico di un insieme molto più vasto di
problemi, arrivando alla "meta sica dell'immagine" -> nuova lettura della loso a. Il
pictorial turn è una relazione parola -> immagine.

IMAGE/PICTURE
Se il pictorial turn è una relazione parola-immagine, la relazione image-picture determina
un ritorno alla dimensione oggettuale. La picture è un oggetto materiale, una cosa che si
può rompere, bruciare o strappare; una image è ciò che appare in una picture, e ciò che
sopravvive alla sua distruzione. La picture è la image per come appare su un supporto
materiale o in un luogo speci co; la image non compare mai se non in un medium o
nell’altro. Una image può essere anche copiata e trasposta dalla pittura a un atro
medium. Dunque, la image è un’entità astratta minimale. Come direbbe Nelson Goodman
esistono tante pictures di Winston Churchill, pictures che contengono la sua image. Le
images sono ciò che ci permette di identi care il genere di una picture, talvolta in modo
molto speci co (la Churchill-picture), altre vote in modo piuttosto ampio (il ritratto);
esistono anche caricature, pictures di Churchill come bulldog: due images appaiono
simultaneamente in una sola gura e ogni ra gurazione è radicata nella metafora, nel
“vedere come”. La proiezione di un’ombra è la proiezione di una image, così come lo
sono l’impronta di una foglia su una pagina, il ri esso di un albero nell’acqua o la traccia
di un fossile nella pietra. La image è dunque la percezione di una relazione di sembianza,
di somiglianza o di qualcosa di analogo. La relazione tra image e picture potrebbe essere
illustrata facendo riferimento al duplice signi cato della parola “clone”, che indica tanto
un singolo esemplare di organismo vivente che è la replica di un suo genitore o di un altro
organismo donatore quanto l’intera serie di esemplari a cui esso appartiene.

METAPICTURES
Talvolta ci immettiamo in una picture in cui appare la image di un’altra picture, un
annidamento di una image all’interno di un’altra: una metapicture è una image in un
medium che contiene una image in un altro medium. Esse non sono rare: si ha una
metapicture ogni volta che si ha una image all’interno di un’altra image, ogni volta che
una picture presenta un atto di ra gurazione o la comparsa di una image (come quando
in un lm appare un dipinto). Non è necessario che sia uno stesso medium a essere
duplicato: un medium può essere annidato in un altro. Ogni picture può diventare una
metapicture, quando è impiegata come un dispositivo per ri ettere sulla natura delle
immagini; il più semplice disegno, se inquadrato come esempio in un discorso sulle
immagini, diventa una metapicture. Essa può fungere da metafora portante per un intero
discorso.

Hypericons / theoretical pictures (Iconology): metafore verbali e discorsive, che emergono


nei testi loso ci sotto forma di analogie illustrative, che attribuiscono alle immagini un
ruolo centrale nei modelli della mente, della percezione e della memoria. La metapicture
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dunque potrebbe essere concepita come una forma di hypericon realizzata in termini
visivi, immaginativi o materiali. Una metapicture può fungere da metafora o da analogia
portante per un discorso intero.

BIOPICTURES
Nella nostra epoca si è realizzata una nuova versione di pictorial turn, che è diventato
tanto una potente metafora quanto una realtà biologica con profonde implicazioni etiche
e politiche. La clonazione è un processo naturale di riproduzione asessuata di cellule
geneticamente identiche che avviene nelle piante e negli animali. Il signi cato originale
della parola “clone” era quello di “fuscello”/“rametto” e il termine era riferito
all’operazione botanica dell’innesto o del trapianto. Il concetto di clonazione è stato
esteso anche al regno animale. In anni recenti la decodi cazione del genoma umano e la
clonazione dei primi mammiferi hanno scatenato una rivoluzione. L’idea di duplicare
formare di vita e di creare organismi viventi “a nostra immagine” ha reso e ettiva una
eventualità adombrata in vario modo da miti e legende.

3 - SCIENZA DELLE IMMAGINI


La scienza si serve delle immagini, sia verbali che visive, come uno strumento essenziale
nella sua ricerca di spiegazioni sempre più accurate della realtà materiale; queste
immagini introducono nuovi modi di vedere e leggere la realtà e non restano all’interno
della sfera della scienza ma entrano in circolo nella cultura popolare. La scienza dimostra
una certa abilità nel presentare se stessa attraverso i mass media, siano essi scritti
divulgativi o media visivi.

Nel mezzo di questa proliferazione di immagini scienti che rimane una grossa lacuna,
quella di un interesse scienti co delle immagini stesse. L'autore si riferisce a un problema
più generale, a una scienza delle immagini, che tratti le immagini come oggetti di indagine
scienti ca e non meramente come utili strumenti aò servizio della conoscenza.

A questo proposito, l'autore solleva diverse questioni:

1) Mitchell pensa che una scienza delle immagini sia possibile, e alcuni scienziati hanno
già abbracciato questa idea, che circola sotto il nome di "iconologia", o teoria delle
immagini, distinta dalla "iconogra a", cioè dalla loro classi cazione lessicale.

2) Posto che esista una scienza delle immagini, l'autore si interroga di che tipo essa
dovrebbe essere.

3) L'autore inoltre, si domanda quale utilità avrebbe per le altre scienze.

L’elasticità propria della nozione di scienza da una parte sembra svuotarla di ogni
speci cità, così che una scienza delle immagini potrebbe semplicemente indicare la
conoscenza di qualunque genere di quest’ultime; d’altra parte sembra di trovarsi n
dall’inizio presi in trappola dai suoi stereotipi. Siamo anche sviati da un’immagine
sperimentale della scienza, che mostra quest’ultima come un’attività meccanica basata
su dimostrazioni, il cui scopo è raccogliere dati. Per quanto riguarda le scienze cosiddette
“non scienti che” o “molli”, il nome di scienza è generalmente considerato una
concessione priva di signi cato; solo i tedeschi sembrano a loro agio nell’unire il su sso
-wissenschaft a parole come Kultur e Bild. La nostra immagine delle “due culture” –
quella delle scienze e quella delle discipline umanistiche – sembra volerci intimare che lo
studio delle immagini appartiene a uno dei due ambiti, e non è certo quello scienti co. Le
immagini troveranno posto nel dominio della cultura, nel regno delle percezioni soggettive
e delle associazioni poetiche.

Essendo le immagini cose materiali, oggetti del mondo, la chimica e la sica possono
dare un contributo alla loro comprensione. La scienza appropriata per lo studio delle
immagini deve comprendere questo aspetto, ma deve anche essere una scienza ottica
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che presti attenzione alla percezione visiva e all’immaginazione; dovrebbe entrare in
contatto con la linguistica. Dal momento che le immagini sono de nite generalmente
“icone”, o segni per somiglianza, la scienza delle immagini dovrebbe essere una scienza
della similitudine e della di erenza. Essa dovrebbe inoltre essere una scienza storica, che
si occupi della circolazione spaziale e temporale delle immagini, con le loro migrazioni da
un luogo all’altro o da un’epoca all’altra. Dovrebbe essere una scienza che registri le
capacità di rappresentare la realtà, ma che riconosca anche che le immagini possono
essere ingannevoli. Dovrebbe essere uno studio empirico delle condizioni della
percezione umana e delle trasformazioni che avvengono nel cervello; dovrebbe essere
a ancata alla psicologia, per tener conto dell’e etto inconscio delle immagini.

La scienza appropriata per lo studio delle immagini deve avere diverse caratteristiche:

• Deve comprendere l'aspetto della sica e della chimica, che analizzano i corpi e i
supporti sici dove l'immagine appare.

• Deve essere una scienza ottica, che presti attenzione alla percezione visiva e
all'immaginazione.

• Dovrebbe prendere in considerazione non soltanto gli oggetti materiali ma anche gli
spazi tra gli oggetti e la luce che si trasmette da una cosa all'altra.

• Deve entrare in contatto con la linguistica, quando un'immagine si presenta in media


non visivi come il linguaggio.

• Dovrebbe essere una scienza storica, che si occupi della circolazione spaziale e
temporale delle immagini.

• Dovrebbe essere una scienza che guardi alle immagini come raggruppamenti

• Dovrebbe registrare la capacità delle immagini di rappresentare la realtà e che


riconosca anche che le immagini possano essere fuorvianti e ingannevoli.

• Dovrebbe fare i conti con la controversa reputazione delle immagini nella scienza, con la
tendenza di alcuni scienziati a dividersi nettamente tra iconoclasti e icono li, con alcuni
ricercatori che con dano nell'utilità delle immagini e altri che le considerano fonti di
distrazione.

• Dovrebbe essere una scienza cognitiva, ma accompagnata dalla psicologia, a causa


dell'in uenza emotiva che le immagini hanno sulla coscienza umana.

Diagrammatologia → il saggio di Peter Galison sul “paragone” tra icono li e iconoclasti


nella materia fornisce una metapicture del ruolo delle immagini nella scienza astratta dei
numeri, delle funzioni e della logica. Egli ricostruisce questa lotta a più livelli:

• Dibattito tra approccio "intuitivo" alla matematica e un appoggio governato dalla logica

• Disputa tra media analogici e digitali

Galison osserva che nonostante i toni, gli schieramenti non sono ben de niti e talvolta
alcuni scienziati passano alla ne all'idea contrastante. Egli conclude che la battaglia nel
complesso ha qualcosa di illusorio.

Galison osserva che al cuore dell’immagine scienti ca c’è la ricerca di regole, al cuore di
quella logico-algoritmica c’è stata una caccia al riconoscimento che è la promessa eterna
della rappresentazione. Il suo resoconto storico dello scontro tra immagine e logica nella
scienza del XX secolo suggerisce che l’invenzione di una nuova entità, la cosiddetta
“immagine digitale” abbia permesso di superare l’antica divisione e abbia reso abituali
commistioni e conversioni. La di coltà nel superare il problema a cui Galison non trova
risposta, ovvero se l'immagine è stata nalmente domata dal computer, quindi resa
digitale, rende necessaria una scienza delle immagini, piuttosto che un loro uso
strumentale in quanto mezzi impiegati per arrivare ad altre cose del mondo e mai fatti in
se oggetto di indagine. Il primo passo di questa scienza dev’essere quello di de nire in
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qualche modo il suo oggetto. L’immagine è un’icona. Al cuore della logica e della
matematica stanno in agguato le relazioni iconiche di identità ed equivalenza, similitudine
e di erenza. Queste relazioni si trovano anche in alcune rappresentazioni visive e in alcuni
diagrammi, coì che noi parliamo di “immagini verbali” per riferirci con questa espressione
sia ai nomi e alle descrizioni degli oggetti, sia al confronto gurativo tra un oggetto e
l’altro. Tanto i nomi quanto le metafore sono “immagini verbali”. Un’immagine è quindi un
segno doppio: questo ritratto rappresenta quella persona. Se dobbiamo avere una
scienza delle immagini, il primo passo è quello di liberarla dalla tirannia dall’occhio sico e
corporeo, inteso in senso letterale, e riconoscere le immagini attraverso diversi domini: ci
sono immagini mentali, matematiche e verbali così come ce ne sono di pittoriche e visive.
Le images non sono speci che di un unico medium; una image può spostarsi da un
medium all’altro, manifestandosi ora come equazione, ora come diagramma, come gura
in una narrazione e ancora come gura in un dipinto narrativo.

Il secondo passo è quello di liberarla dalla tirannia dell'occhio sico e corporeo, e


riconoscere che le immagini in quanto icone attraversano diversi domini. Le immagini di
cui dovremmo occuparci nel campo della scienza non sono solo quelle visive, i gra ci e i
modelli sici, ma anche le metafore che plasmano le rappresentazioni di un ambito di
ricerca, rappresentazioni che non devono essere necessariamente rese visibili o
disegnate con mezzi sici. Una image può spostarsi da un medium all'altro. Panofsky
de niva la image un "motivo" per enfatizzare la sua ripetibilità in tante altre pictures. Ora
si parla di image e picture come entità nettamente distinte oppure intimamente connesse.

La sica dell’immagine → Per cogliere la speci ca materialità dell'immagine, è


necessario materialismo dialettico simile a quello che aveva condotto Marx, riguardo al
valore di scambio. il valore di scambio non è una proprietà sica degli oggetti ma una
proprietà relativa alla loro circolazione, al loro scambio, alla loro alienazione dall’uso; le
immagini operano primariamente a livello percettivo e cognitivo, nonostante la
merci cazione delle immagini sia un fenomeno abbastanza famigliare. Una semplice
dimostrazione della peculiare sica delle immagini si intravede a rontando la questione
della loro distruzione. L’iconoclastia è il tentativo di distruggere le immagini. La
distruzione delle immagini è un modo sicuro per garantire loro una presenza ancora più
potente nella memoria. Il tentativo più ostinato di ottenere l'annichilamento delle immagini
nelle parole e persino del pensiero si trova nei commentari della Guida dei perplessi
(Maimonide), il quale osserva come persino il linguaggio della stessa Bibbia sia ricolmo di
metafore ingannevoli e di termini concreti che attribuiscono cose come un corpo, una
faccia, mani, piedi e una collocazione spaziale alla divinità invisibile e irrappresentabile.
Lo scopo dell'iconoclastia è in de nitiva non soltanto la distruzione degli idoli, ma anche
la ra nazione delle parole e delle idee, no ad arrivare a un linguaggio puri cato, cosi
come a una coscienza puri cata, che sia in gradi di pensare a Dio senza pensare a nulla o
nessuno. Quindi questa è una condizione impossibile da raggiungere. La distruzione delle
immagini è un modo sicuro per garantire loro una presenza ancora più potente nella
memoria o nelle loro nuove incarnazioni o in altre forme (Taussig). Dunque, una legge
fondamentale della sica delle immagini è la seguente: le immagini non possono essere
distrutte; le picture possono essere distrutte ma le images sopravvivono, se non altro
come ricordo. Pensiamo invece alla creazione delle immagini. Senza dubbio alcuni
scienziati e artisti creano nuove immagini così come ne creano le comuni persone; nella
misura in cui le immagini sono sempre immagini di qualcosa, quello di cui esse sono
immagini deve sempre precederle logicamente e cronologicamente; diciamo che un
bambino è l’immagine di un suo genitore. L’immagine non è portatrice nel bambino del
nuovo e del diverso, ma di ciò che già era presente nel genitore. La legge della
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somiglianza è una legge conservativa, che resiste all’innovazione e si concentra sul
ritorno del simile. Ciò spiega perché sia così di cile immaginare che cosa signi cherebbe
creare un’immagine radicalmente nuova. Forse dovremmo dire che si possono creare
nuove combinazioni di immagini. Se un’immagine fosse completamente nuova, come la
riconoscereste? È proprio il momento del riconoscimento che rende un’immagine
leggibile in quanto tale e che rappresenta l’elemento di continuità accanto alla variazione,
alla deviazione e alla di erenza che consentono alle immagini di andare incontro a un
morphing passando da un’identità all’altra.

La biologia delle immagini → possiamo tornare al discorso sulle fotogra e di Galton


intese come immagini “nuove” o “create”; il motivo per cui un’immagine galtoniana risulta
“stranamente familiare” è che essa ci riporta al tema dell’immagine come
rappresentazione tipica piuttosto che individuale. Lo smiley di un adesivo su un paraurti
può essere riconosciuto come una faccia, ma non come una faccia particolare. La forma
di ri-conoscimento può essere piuttosto generale e astratta. Questa proprietà
generalizzate delle immagini è quello che le connette alle scienze della vita, e in
particolare ai concetti di specie e di esemplare speci co. Se le immagini sono come
esseri viventi, allora possono essere senza dubbio create e distrutte. È nella sfera delle
scienze della vita che la nostra scienza delle immagini a ronterebbe il problema della
riproduzione delle immagini, delle loro mutazioni e trasformazioni evolutive. Fin dai tempi
di Aristotele, le arti sono state de nite “imitazioni della natura”, il che signi ca non
soltanto che rappresentano il mondo naturale o gli somigliano, ma anche che
costituiscono una sorta di natura in eri, un’espressione dell’identità di specie degli esseri
umani. Le immagini naturali più a ermate e reclamizzate del nostro tempo dominano le
pictures del destino della nostra specie: il fossile e il clone.

Fossile e clone → la distruzione di una specie non equivale necessariamente alla


distruzione della sua immagine (image); l’estinzione di una specie è pre-condizione della
sua resurrezione come immagine (image) in forma di tracce fossili. I fossili sono
testimonianze che si presentano tanto come oggetti materiali quanto come pictures.
L’immagine fossile è ciò che sopravvive alla morte di una specie, esattamente come il
cadavere è ciò che sopravvive alla morte del singolo esemplare. Il clone è l’inverso del
fossile; esso dà forma alla speranza di immortalità della specie attraverso la promessa di
una clonazione terapeutica che “gratti via” ogni difetto di nascita del DNA, così da
generare organi sostituibili ed esemplari sempre migliori. Esso esprime anche la speranza
di immortalità per un singolo esemplare. Il fossile e il clone costituiscono gli estremi della
specie nel caso delle immagini quando dell’uomo; entrambi corrispondono a famiglie di
classi di immagini; il fossile è il prodotto di un lungo processo di pietri cazione ed è
anche un’immagine allegorica, un presagio della mortalità della nostra stessa specie:
esso è ciò che Benjamin de niva “immagine dialettica”, che cattura la storia in un fermo
immagine. Il clone è la chimera tecnica del nostro tempo ed è spesso dipinto come una
mostruosità, come una sterile abnormità; esso rappresenta il senso di angoscia per le
immagini di cui sono pervase interpretazioni critiche, la precessione dei simulacri, copie
senza un originale, la paura del doppio. Anche il clone è un’immagine dialettica. Le gure
del clone e del fossile si fondono in Jurassic Park (1993): per un istante un velociraptor è
colpito dal fascio di luce di un proiettore che sta mostrando la sequenza di DNA che ha
reso possibile clonare un dinosauro a partire dalla sua traccia fossile. Questo “dinosauro
digitale” può essere considerato come la sintesi di queste ri essioni sulla scienza delle
immagini.

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4 - IMMAGINE X TESTO
Immagine/testo: divario problematico, frattura, rottura nella rappresentazione;
immaginetesto: opere composite e sintetiche, che combinano immagine e testo;
immagine-testo: relazioni tra il visivo e il verbale. Il segno scelto da Mitchell è “x” e va
trattato come:

1. elemento sconosciuto/variabile dell’algebra, o come “fattore x” del linguaggio


comune

2. segno della moltiplicazione

3. segno del chiasmo in retorica che dal “linguaggio delle immagini” porta a
“immagini del linguaggio”

4. attraversamento, intersezione, incontro

5. combinazione dei due tipi di barra obliqua (/ e \), a suggerire direzioni opposte nel
puntare verso l’ignoto

6. fonema presente nella parola inglese “excess” e in “extra”

Il visivo denota uno speci co canale sensoriale; il verbale designa uno speci co registro
semiotico. La di erenza tra visivo e verbale corrisponde a due di erenze: una basata sui
sensi (vista e udito) e una basata sulla natura dei segni e del signi cato (le parole come
simboli arbitrari e convenzionali si distinguono dalle immagini che sono basate sulla
similitudine).

Esistono relazioni normali e normative tra testi e immagini; gli uni e le altre si illustrano,
spiegano, denominano, descrivono, adornano a vicenda; si integrano e accrescono
reciprocamente, completandosi ed estendendosi. La normale relazione tra testo e
immagine può essere complementare oppure supplementare e insieme questi due
elementi ne generano un terzo, oppure aprono uno spazio nel quale questo terzo
elemento appare. Il terzo elemento, la x tra testo e immagine, non è necessariamente
un’assenza; infatti potremmo a ermare che c’è sempre qualcosa di positivo; qualcosa si
a retta a colmare questo vuoto, una qualche x suggerisce la presenza di un’assenza,
l’apparizione di qualcosa che non è testo né immagine. In “Iconology” Mitchell ha de nito
questo terzo elemento come la cornice ideologica che inevitabilmente colora l’ambito
delle relazioni tra immagine e testo: la di erenza tra segno naturale e convenzionale; la
di erenza tra spettatore illetterato, che vede ciò che l’immagine rappresenta, e lo
spettatore colto, che vede attraverso l’immagine.

Se passiamo in rassegna la storia della semiotica e dell’estetica, troviamo ovunque la


presenza attiva di questo terzo elemento. Il fattore x nella problematica immagine-testo è
la musica, o più in generale il suono, il che potrebbe spiegare perché l’espressione
“immaginetesto” mi sia sembrata leggermente carente nel suo limitare le parole al
dominio della scrittura e della stampa, tralasciando la sfera dell’oralità e de discorso, per
non parlare del gesto. La triade immagine/musica/testo è probabilmente la più longeva e
la più radicata tassonomia delle arti e dei media di cui disponiamo; essa ricorre infatti
costantemente nei contesti più disparati.

Dobbiamo in ne a rontare il ruolo dell’immaginetesto nell’ambito degli elementi costitutivi


della semiotica: la teoria fondamentale dei segni e del signi cato. Ci imbattiamo nel
diagramma di Saussure che ra gura il segno linguistico come un ovale bipartito, con
l’immagine di un albero nella parte superiore e la parola “arbor” (= albero) in quella
inferiore. È come se Saussure fosse stato costretto ad ammettere che persino le parole
non potrebbero essere adeguatamente rappresentati attraverso una notazione puramente
linguistica. L’immagine si trova al di sopra della parola e la precede. L’immaginetesto non
esaurisce tutto ciò che riguarda il segno; esiste infatti il surplus dei “terzi elementi”:
l’ovale, presumibilmente una resa gra ca della totalità e della fertilità, a dispetto della sua
struttura binaria, del segno-come-ovulo; le frecce, che indicano la bi-direzionalità del
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processo di signi cazione e la barra orizzontale tra signi cante e signi cato ovvero
l’indice della fondamentale dualità di linguaggio e pensiero.

Charles Sanders Peirce ha identi cato tre elementi o funzioni segniche che rendono la
signi cazione possibile, che l’autore chiama icona/indice/simbolo: essi formano una
triade che descrive la distinzione tra immagini (pictures, segni indessicali (frecce, barre) e
simboli (segni per regola). 

ICONE: pictures, immagini gra che e visive. Appaiono nel linguaggio come metafora nella
logica in forma di analogie. Si tratta di segni per somiglianza o sembianza. 

INDICI: frecce, barre, deittiche, pronomi. Sono elementi mobili o segni esistenziali che
traggono il loro signi cato dal contesto. Sono anche segni per causa ed e etto. 

SIMBOLI: sono segni che ricavano il loro signi cato da convenzioni arbitrarie.

Dal punto di vista di Pierce, l’immaginetesto è una gura che si riferisce a due terzi del
campo semiotico e che resta in attesa del riconoscimento del suo terzo elemento, il
segno “/” come indice di una barra obliqua o di un segno relazionale nell’oggetto
concreto che viene decodi cato.

La teoria della notazione di Nelson Goodman indaga il modo in cui gli stessi “segni”
possono produrre signi cato e si fonda su categorie come “densità” e “pienezza” o che
caratterizzano i segni come “di erenziati” e “articolati”. Le categorie di Goodman ci
riconducono alla super cie dell’iscrizione; la triade di Goodman – schizzo, spartito,
copione – ripropone la triade immagine/musica/testo, ma questa volta a livello della
notazione.

Perché la rottura immagine/testo, la relazione immagine-testo e la sintesi immaginetesto


dovrebbe essere così fondamentali per l’estetica e la semiotica? L’immaginetesto è il
punto in cui l’occhio e l’orecchio incontrano le relazioni logiche, analogiche e cognitive
che danno vita al signi cato.

5 - REALISMO E IMMAGINE DIGITALE


Uno dei luoghi comuni più frequenti che riguardano la natura della fotogra a digitale è
quello per cui essa avrebbe minato l’antica pretesa delle immagini fotogra che di
rappresentare il mondo in modo fedele, naturale ed esatto. La fotogra a tradizionale era
sicamente costretta a creare un’immagine attraverso i raggi di luce emanati o ri essi dal
soggetto. Questa immagine o sembianza era dunque doppiamente referenziale, una
doppia copia in quanto da una parte era un’impressione o traccia, dall’altra una replica o
analogon. Essa portava con sé un certi cato di realismo, il rimaneggiamento delle
immagini fotogra che è di cile da un punto di vista tecnico, dispendioso in termini di
tempo e alieno alla norma della pratica fotogra ca.

L’obiettivo è quello di sfatare il mito di uso per cui la fotogra a digitale avrebbe
un’ontologia diversa da quella a base chimica. La convinzione che il carattere digitale di
un’immagine abbia una relazione necessaria con il signi cato di quell’immagine, con il
suo e etto sui sensi, con il suo impatto sul corpo o sulla mente degli spettatori, è uno dei
grandi miti del nostro tempo. Invece di rendere la fotogra a meno credibile/legittima, la

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digitalizzazione ha provocato una generale “ottimizzazione” della cultura fotogra ca, tale
per cui imitare gli e etti più so sticati di realismo e ricchezza di dettagli tipici della
fotogra a tradizionale è diventato possibile per un numero assai maggiore di operatori.

Se vogliamo individuare una tendenza generata dall’avvento della fotogra a digitale, è


quella di realizzare copie in profondità che contengono molta più informazione riguardo
all’originale di quanto potremo mai avere bisogno, e “supercopie” che possono essere
migliorate, arricchite, manipolate (non per falsi care alcunché ma per realizzare
l’immagine più nitida/con la luce più uniforme possibile). I cambiamenti introdotti dal
digitale devono essere interpretati come mutamenti complessi che interessano diversi
livelli della cultura fotogra ca e delle immagini, che coinvolgono usi popolari,
professionali, politici e scienti ci e che sono connessi a più generali modi di produzione.
L’uso della fotogra a digitale è stato indirizzato principalmente a un approfondimento del
referente, non al suo dissolvimento.

L’imaging digitale dà nuovo impulso a uno degli obiettivi più venerabili della fotogra a
classica o realista, ossia la rivelazione di realtà inaccessibili all’occhio nudo. Le
manipolazioni e gli arti ci che già erano possibili nella pratica fotogra ca tradizionale
diventano ancora più agevoli nella camera oscura digitale.

Mitchell dà una grande importanza alle pratiche di derealizzazione legate alle immagini
che vennero sperimentate per la prima volta durante la Guerra del Golfo, quando “le
bombe guidate dai laser avevano videocamere montate sulla punta” e “i piloti e i guidatori
di carri armati divennero cyborg inseparabili dalle complesse protesi visive potenziate
dalla tecnologia digitale che permettevano loro di vedere in un verde spettrale le immagini
di campi di battaglia immersi nell’oscurità”. Quello che Mitchell non osserva è che queste
immagini di un verde spettrale permettevano a degli esseri umani di vedere ciò che
altrimenti sarebbe stato invisibile. Ciò che era buio viene illuminato, ciò che era invisibile
diventa accessibile alla vista. Si ha una “derealizzazione” soltanto rispetto alla visione
notturna umana, che a occhio nudo non sarebbe stata in grado di distinguere nulla.

La digitalizzazione non è che non abbia avuto alcuna rilevanza, ma questa rilevanza deve
essere speci cata. Non è tanto l’“aderenza al referente” a essere messa in pericolo
dall’imaging digitale, quanto la possibilità di esercitare un controllo sulla produzione delle
fotogra e.

Esiste un’e ettiva di erenza tra rappresentazione digitale e analogica, ma si tratta di una
di erenza estremamente labile e uida, che presuppone una relazione dialettica, non
un’opposizione binaria. Lo stesso oggetto può essere rappresentato in formato digitale
oppure analogico. Le due forme di rappresentazione si de niscono e completano a
vicenda. L’analogico assume il signi cato che ha soltanto in opposizione a una qualche
precisabile nozione del digitale, e viceversa. Una via migliore alla relazione tra digitale e
analogico la fornisce Nelson Goodman, il quale a erma che siamo noi a speci care i tipi
di cifre e segni da di erenziare, e i codici che regolano la loro combinazione.

La digitalizzazione cambia enormemente il ruolo delle immagini nella cultura, nella politica
e nella vita di tutti i giorni, ma le di erenze non possono essere semplicemente
interpretate a partire dalle nuove caratteristiche materiali o tecniche. Ci si potrebbe
aspettare che, dal momento che le immagini digitali possono essere duplicate con una
semplice combinazione di tasti, il mondo sia invaso da un numero spropositato di loro
copie. Ma le cose vanno nel senso opposto. Le immagini digitali tendono a marcire
abbandonate nel disco sso dei computer o nella memoria degli smartphone: stamparle
richiede tutto un nuovo insieme di abitudini.

Le fotogra e digitali hanno un ciclo di vita diverso da quello delle fotogra e tradizionali.
Le prime non circolano necessariamente sotto forma di stampe ma restano con nate in
un ambito prevalentemente sotterraneo, invisibili e per lo più dimenticate, però sono
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recuperabili in modo molto più rapido delle fotogra e stampate. Resta comunque
un’esistenza materiale: il le occupa un posto reale.

IMMAGINE DIGITALE/ANALOGICA

L'autore parte dalla distinzione di Mitchell e a erma che si tratta di una di erenza labile e
uida, che presuppone una relazione dialettica, non un'opposizione binaria. Non si tratta
di una di erenza ontologica, ma si situa al livello della rappresentazione e della
percezione. Lo stesso oggetto può essere rappresentato in formato digitale o analogico.

Le due forme di rappresentazione si de niscono e completano a vicenda. L'analogico


assume il signi cato che ha soltanto in opposizione a una qualche precisatile nozione del
digitale, e viceversa. E la traduzione reciproca, reversibile, di una formato nell'altro è
essenziale per il loro utilizzo pratico.

È l'occhio umano che "risolve" la griglia digitalizzata in una rappresentazione analogica.


Se la digitalizzazione è una questione di "passi discreti" (Mitchell), allora qualunque cosa
si poteva già de nire digitale.

Una via migliore alla relazione tra digitale e analogico la fornisce Nelson Goodman, che
a erma che siamo noi a speci care i tipi di cifre e segni da di erenziare, e i codici che
regolano la loro combinazione. Il rapporto digitale-analogico varia sulla base del tipo di
cifre o "elementi discreti" impiegati.

In ogni caso, si può parlare di digitalizzazione ogni volta che un insieme nito di carattere
ben de niti è usato per indicare signi cati altrettanto chiari.

La natura dialettica della di erenze digitale-analogico è resa chiaramente dai dipinti di


Chuck Close, che simulano l'aspetto della griglia o dello schermo della rappresentazione
digitale, ma poi rendono i singoli pixel oggetto di operazioni pittoriche individuali, come
se ciascuno di essi fosse un dipinto astratto in miniature.

La digitalizzazione cambia enormemente il ruolo delle immagini nella cultura, politica e


vita di tutti i giorni, ma le di erenze non possono essere semplicemente interpretate a
partire dalle nuove caratteristiche tecniche o materiali.

Le immagini digitali sentono a marcire per il fatto della stampa. Il problema non è che sia
di cile la realizzazione delle stampe a vecchia maniera, ma che ci sono troppi modi per
farlo. La soluzione che propone l'autore è quella di lasciare le immagini negli archivi
digitali.

ANALOGIA IMMAGINE/FORMA DI VITA

Le fotogra e digitali hanno un ciclo di vita diverso da quello delle fotogra e tradizionali.
Le prime non circolano necessariamente sottoforma di stampe, sono invisibili e per lo più
dimenticate, però sono recuperabili in modo molto più rapido delle fotogra e stampate o
delle diapositive. Si potrebbe parlare di "smaterializzazione", ma il fatto è che si tratta
comunque di un'esistenza materiale; il le occupa un posto reale, ed è soggetto al
decadimento materiale cosi come una fotogra a tradizionale. Mitchell sostiene che una
fotogra a analogica è "luce fossilizzata", per cui, dunque, le fotogra e digitali sono
semplicemente lo strumento per una paleontologia dell'immagine che si spinge ancora
più lontano. La metafora del fossile ci suggerisce inoltre che le imagini potrebbero essere
paragonate a forme di vita decedute, dormienti o estinte, che potrebbero essere riportate
in vita se ricondotte alla luce (stampate, proiettate o mostrate su uno schermo.

L'autore si riferisce alla riproduzione degli organismi, delle forme di vita biologiche,
attraverso la clonazione. I cloni sono una versione vivente e organica dell'immagine
digitale, le somigliano perché presuppongono una relazione tra un codice genetico di
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base e una manifestazione analogica visibile e corporea. Sia la clonazione che l'imaging
digitale sono accusate di rimpiazzare un processo naturale con uno che comporta una
manipolazione arti ciale; a entrambe si imputa di produrre copie in nite che minacciano
l'identità dell'esemplare individuale.

L'immagine digitale, sia essa fotogra ca o organica gode di una sorta di terri cante
immortalità. E questo potrebbe spiegare perché le descrizioni delle fotogra e digitali
ricorrano cosi spesso a metafore biologiche, come se fossimo colpiti da una epidemia di
immagini, di entità autogeneratrici e virulente che minacciano non solo la fotogra a
analogica ma anche le stesse forme di vita tradizionali.

Per quanto riguarda il problema del realismo, tutto dipende da che cosa intendiamo
quando parliamo del realismo di una rappresentazione. Signi ca che dobbiamo slegare la
questione del realismo da quella dell'ontologia del medium. Non c'è nulla di automatico
nel realismo fotogra co, nulla di codi cato nell'ontologia della fotogra a che la porti ad
aderire al referente. E il realismo può signi care molte altre cose oltre all'aderenza al
referente. Innanzitutto bisogna essere d'accordo su quale sia il referente di una fotogra a.
Nel caso delle fotogra e di famiglia, ad esempio, il realismo si trova piuttosto in basso
nella scala dei criteri di valutazione.

Il realismo non è incorporato nell'ontologia di alcun medium. L'autore delinea diversi tipi
di realismo:

• Cinematogra co. È il realismo che delinea l'idea scritta sopra in modo più evidente,
perché ha una tendenza di puntare alla fantasia e allo spettacolo, non al ritratto fedele
della vita quotidiana. La maggior parte delle persone scatta fotogra e per idealizzare e
commemorare, non per ritrarre realisticamente qualcosa. Si può fare una foto che
aderisca al referente realizzando una stampa per contatto, ma ciò non equivale a una
garanzia.

• Socialista. Era un processo programmato di idealizzazione ideologica di una realtà


progettata, auspicata che però non coincideva con il realismo critico (Lukacs), ovvero
un progetto di rappresentazione oggettiva e storicamente informata costruita sulla base
di un punto di vista indipendente ed esterno al socialismo.

• Letterario. Esso prevede la rappresentazione di persone comuni in una situazione


"media". Il realismo sociale di Allan Sekula tende a unire al realismo critico di Lukacs
un'attenzione particolare alle condizioni di lavoro e un interesse a esporre allo sguardo
fotogra co un mondo trascurato o generalmente nascosto allo sguardo dei pubblico,
con un elemento di tensione. 

La fotogra a di Sekula di una chiave inglese spostata pone l'accento sul mondo del
lavoro maschile, e concorda con quello che Frye considera un realismo di tipo mimetico
perché è il tipo di immagine che potrebbe colpire soltanto un soggetto esterno al
mondo che Sekula sta documentando. Questa immagine soddisfa molti dei canoni
estetici del formalismo astratto, con la sua composizione semplice, netta, geometrica e
la sua rinuncia alla profondità di campo in favore di una piattezza sul piano profetico.
Tale piattezza si accompagna a un'alta risoluzione, a un'elevata saturazione del colore e
a un'attenzione alla materialità del metallo, isolato come se fosse un elemento gra co
all'interno di un'immagine stampata su carta patinata. La traccia fantasmatica della
chiave inglese cambiata di posto è una sorta di stampa a contatto naturale impressa nel
medium del metallo arrugginito. 

In ogni caso, la fotogra a soddisfa un altro requisito dell'estetica modernista, ossia la
rivelazione dell'autoconsapevolezza e dell'autoreferenzialità dell'opera d'arte.

• Scienti co. Esso ha una sua accurata de nizione dei concetti di verità, corrispondenza,
adeguamento e informazione e che ama profondamente la precisione dell'imaging
digitale. È spesso in con itto con il realismo del senso comune, che tende ad
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accontentarsi della dimensione informativa analogica con le sue impressioni dense,
qualitative e piene di dettagli casuali e non sistematizzati. Inizia prendendo le distanze
dal senso comune per mostrarci qualcosa che non potremmo vedere a occupo nudo.
Per questo, la fotogra a ha un atteggiamento doppiogiochista nel dibattito tra scienza e
senso comune.

• Filoso co. La visione secondo cui entità astratte e inerenti alla sfera delle idee
sarebbero "entità reali" del mondo reale. Verità, Giustizia, Essere e Realtà costituiscono
il fondamento del mondo reale. Ma il realismo che avrebbe accesso a queste entità non
è legato unicamente a un medium particolare o alla sua ontologia putativa. Queste
entità sono esse stesse il fondamento dell'ontologia e i media sono semplicemente
miseri strumenti per la loro rappresentazione. Per questo il realismo è un progetto per la
fotogra e e per le immagini, e non qualcosa che appartenga loro per natura.

L’immagine digitale gode di una certa terri cante immortalità. Una delle conseguenze più
rilevanti della vita più virulenta e volatile prodotta dalla digitalizzazione delle immagini è
un’erosione dei con ni tra la circolazione privata e quella pubblica. Si tratta di metterla in
circolazione su Internet via e-mail o attraverso altri social media. Gli album di famiglia
oggi si trasformano facilmente in pubbliche esibizioni.

Il realismo non è incorporato nell’ontologia di alcun medium in quanto tale; il caso del
realismo cinematogra co lo rivela forse ne modo più evidente, dal momento che esso
rappresenta un progetto molto peculiare nell’ambito di un medium che ha la tendenza di
puntare alla fantasia e allo spettacolo, non al ritratto fedele della vita quotidiana. La
maggior parte delle persone scatta fotogra e per idealizzare e commemorare, non per
ritrarre realisticamente qualcosa.

Si consideri la fotogra a di Sekula di una chiave inglese spostata tratta dal suo saggio
fotogra co “Fish Story”: la fotogra a esempli ca il concetto di realismo in quanto non è
isolata ma fa parte di un intero mondo che è accuratamente documentato, tanto dalle
fotogra e quanto dai testi di accompagnamento. Essa soddisfa molti dei canoni estetici
del formalismo astratto, con la sua composizione semplice/netta/geometrica e la sua
rinuncia alla profondità di campo in favore di una piattezza sul piano prospettico; tale
piattezza si accompagna a un’alta risoluzione e a un’elevata saturazione del colore, oltre
che a un’attenzione alla materialità de metallo arrugginito e alla pura bellezza di questo
materiale, isolato come fosse un elemento gra co all’interno di un’immagine stampata su
carta patinata.

6 - IMMAGINI IN MIGRAZIONE: TOTEMISMO, FETICISMO E IDOLATRIA


La migrazione delle immagini non è soltanto una metafora, ma anche una metapicture. E
infatti ci fornisce una picture di come le images circolano.

È importante distinguere la nozione neutrale di immagini in circolazione, che si muovono


liberamente senza conseguenze, dal concetto di immagini in migrazione, che suggerisce
un carico di contraddizioni.

Emergono due metapictures contraddittorie delle images quando le consideriamo come


entità in movimento, in circolazione o in migrazione.

• La prima si riferisce a una circolazione livera e priva di impedimenti, ed è una picture


che sembra particolarmente convincente nell'epoca delle immagini virtuali e
digitalizzate, che si muovono da un capo all'altro del pianeta nella temporalità quasi
instantanea del cyberspazio.

• La seconda si basa sul fatto che le images arrivano e appaiono sempre e


necessariamente da qualche parte, su un qualche supporto o dispositivo materiale.

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Il linguaggio della metempsicosi, la trasmigrazione delle anime, si adatta cosi facilmente
all'iconologia e alla storia dell'arte, dove motivi e icone viaggiano attraverso i con ni delle
epoche e dei media.

Tutte le images, dunque, che si muovano o che siano ferme, sono in movimento. Il modo
migliore di considerare le immagini statiche è quello di vederle come casi estremi di slow
motion, di un movimento cosi lento che non può essere direttamente percepito.

Alla base di questa metapicture delle immagini come migranti, si trova una picture ancora
più generale: la concezione delle immagini come organismi viventi guidati da desideri,
appetiti, bisogni, esigenze, mancanze. Si tratta di una metapicture che va oltre la
metafora umanizzante dell'immagine come una persona per approdare all'idea
dell'immagine come organismo.

Bisogna dire due cose sul concetto di vita delle immagini, sull'idea che le immagini siano
simili a forme di vita.

• La prima è che le immagini non siano vive e siano oggetti inanimati.

• La seconda è che risulti impossibile parlare a lungo delle immagini senza cadere in una
metapicture vitalistica, che porti ad attribuire loro una vita con l'idea di una loro
autonomia e con le immagini della loro migrazione, circolazione e riproduzione. La vita
delle immagini sembra costituire una metafora incorreggibile, che non riusciamo ad
evitare.

Quando la nostra tendenza a ricadere nella gura dell'immagine vivente si scontra con il
problema epistemologico, la questione della "conoscenza delle immagini", sorge una
curiosa ambiguità. Ci troviamo a chiederci non soltanto cosa sappiamo delle immagini ma
cosa le immagini stesse sappiano. Forse le immagini non sono solo oggetti della nostra
conoscenza.

Non c'è modo di stabilire in partenza quali siano i limiti di questa metafora, quale sia il
suo signi cato e ettivo, che cosa le appartenga e quale sia il suo territorio famigliare. Da
questo punto di vista, la metapicture dell'immagine vivente costituisce in se la
quintessenza della creatura migrante. Potremmo essere tentati di tenerla ferma al suo
posto, ma essa non si lascia contenere cosi facilmente. Dobbiamo tracciare i suoi
movimenti e prendere in considerazione l'idea che l'immagine sia qualcosa la cui
circolazione è bloccata.

Un'idea più basilare è quella dell'espulsione o distruzione delle immagini nell'ambito del
loto territorio di origine, della negazione assoluta della possibilità delle immagini di
migrare, la puri cazione delle immagini dalla loro condizione di indigeni estranei. Questa è
la forma più radicale di distruzione delle immagini, la più rigorosa iconoclastia, che
compare ripetutamente nei testi biblici, laddove viene attuata una sorta di pulizia etnica
delle immagini.

Nel Libro dei Numeri, la distruzione delle immagini è legata direttamente alla cacciata di
un popolo, alla sua migrazione forzata, o a quella che oggi chiamiamo "pulizia etnica". Si
tratta di un'interpretazione proattiva in chiave militante del secondo comandamento
biblico, inteso come se non proibisse soltanto la fabbricazione di immagini idolatriche, ma
comprendesse anche l'ordine e ettivo di distruggere le immagini ovunque le si trovi.

Nel libro Idolatry, viene descritto il secondo comandamento come una sorta di legge
territoriale: il divieto di produrre immagini e l'ordine di distruggere gli idoli rappresentano
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in realtà un tentativo di a ermare un controllo esclusivo su un territorio. L'iconoclastia, il
divieto di avere degli idoli e la loro distruzione costituiscono dunque il "grado zero" della
migrazione delle immagini. Quindi l'iconoclastia viene concepita come sterminio e
annichilamento, come una forma di pulizia etnica, e la distruzione delle immagini come
uno strumento di controllo di un luogo e di conquista di un territorio.

L'associazione tra immagini e migrazione porta inevitabilmente con sé la questione


dell'imperialismo, e in particolare il tema della conquista e dell'espansione territoriale
degli imperi. Ma alcune immagini giocano chiaramente un ruolo molto speciale
nell'ideologia delle colonizzazione e del nativo da espellere. Vengono collocate in un
quadro interpretativo come "oggetti cattivi" o come "oggetti dell'altro". Gli "oggetti
cattivi" sono oggetti ambigui e ansiogeni, verso cui si può provare fascino come
repulsione. Sono oggetti generalmente considerati privi di valore o disgustosi dai
conquistatori, ma riconosciuti come portatori di grande ed eccessivo valore dagli abitanti
nativi. Hanno una sorta di aura religiosa o magica e un carattere vivente, animato, che per
il pensiero imperialista è il prodotto di credenze meramente soggettive e superstiziose.

L'autore si focalizza su tre categorie di questi oggetti che hanno avuto una vita
particolarmente lunga nella storia dell'imperialismo europeo, e ne vivono una ulteriore
nell'immagine che l'imperialismo costruisce dei propri oggetti "adeguati". Queste tre
categorie sono: feticcio, totem e idolo. Questi tre oggetti appartengono esattamente a
quel genere di elementi che tendono a mettere in crisi la distinzione tra:

• "oggettività": un atteggiamento critico, razionale.

• "oggettivismo": la parodia ideologica dell'oggettività. È l'atteggiamento secondo cui


una posizione personale viene posta come certezza e non può essere discussa.

Queste dimensioni innocue dell'oggetto cattivo richiamano quelli che Donald Winnicott ha
de nito "oggetti transizionali" dell'infanzia, strumenti di giochi di fantasia che
incoraggiano lo sviluppo di sentimenti di valore cognitivo e morale.

Tanto la storia quanto la logica imperialista possono essere in un certo senso raccontate
dalla triade idolo-feticcio-totem.

Gli IDOLI rimandano all'antica forma territoriale di imperialismo che procede per
conquista e colonizzazione. Ha due funzioni contraddittorie:

• Marcatore territoriale che deve essere eretto o sradicato

• Emblema o immagine che cammina alla testa dei colonizzatori nella loro conquista.

Sono le immagini imperiali più potenti. Tipicamente, richiedono sacri ci umani, e la


punizione per l'idolatria nella tradizione giudaico-cristiana è la morte.

Il consolidamento dell'idolatria in un immaginario imperialista si veri chi con l'avvento del


monoteismo. Questa fase dell'imperialismo corrisponde a "la disposizione priva di
oggetto, da parte di uno stato, all'espansione violenta e intollerante di con ni" (Joseph
Schumpeter).

Il FETICISMO costituisce uno sviluppo molto più tardo (età moderna). La parola "feticcio"
deriva dal portoghese e signi ca "cosa fatta, fabbricata".

Talvolta i feticci venivano considerati alla stregua di divinità locali ed equiparati agli idoli,
ma più spesso erano ritenuti meno importanti e potenti di questi ultimi, legati soprattutto
agli interessi privati degli individui. I feticci erano guardati con disprezzo e potevano
acquisire un potere magico soltanto per una mente incredibilmente retrograda.

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• C'è una distinzione tra idolo, simbolo iconico o riconducibile a un'immagine
relativamente ra nata e che di riferisce a una divinità situata altrove e il feticcio,
considerato come il luogo dell'e ettiva presenza dello spirito che lo anima -> il feticcio è
spesso associato a un rozzo materialismo, di contro al carattere relativamente
so sticato attribuito all'idolatria.

• Gli imperi del '600 distinguevano il feticismo dall'idolatria, localizzando il primo in Africa
e la seconda nell'antichità greca e romana.

• Per gli imperi protestanti del Nord Europa, il feticismo venne immediatamente associato
all'idolatria e alla crociata sacra contro il papato, che correva parallela al tentativo dei
missionari di stracciare l'idolatria pagana dal mondo intero.

• Marx scelse il feticcio come rappresentazione più calzante dei nostri parametri
razionalizzati e oggettivi del valore di scambio, alla ricerca di una gura per de nire il
carattere magico delle merci capitaliste dell'Occidente moderno.

I TOTEM (XIX secolo) sono oggetti naturali o loro rappresentazioni e raramente sono
considerati dotati di poteri divini. Sono oggetti "identitaria" associati a tribù o clan e a
singoli membri di queste comunità come spiriti protettori o guardiani.

La parola "totem" è solitamente tradotta come equivalente dell'espressione "egli è della


mia parentela".

Mentre l'idolatria e il feticismo venivano generalmente condannati come sistemi di


credenze osceni e demoniaci, da sradicare, il totemismo è normalmente caratterizzato
come una sorta di ingenuità infantile, fondato su un innocente sentimento di unita nei
confronti della natura. Solo di rado, i totem sono oggetto del furore iconoclasta. Al
contrario, il tipico atteggiamento imperiale nei loro confronti è di curiosità e di attenta
cautela.

Il totemismo rappresenta l'"infanzia della specie umana" (Sir James Frazer), e per questo
gli si riservano tolleranza e condiscendenza.

Questi oggetti sono tutt'altro che oggettivi. Sono proiezioni oggettiviste di una sorta di
soggetto imperiale collettivo. Totemismo, idolatria e feticismo sono quindi "credenze di
secondo ordine", ovvero credenze nei confronti delle credenze di altre persone. Si tratta
di sistemi di credenza di tipo imperiale ben saldi, collettivi e u ciali, di assiomi all'interno
dei discorsi scienti ci dell'etnogra a e delle religioni comparate.

La relazione tra queste migrazioni premoderne di immagini e la situazione attuale si basa


su due fenomeni:

• Tramonto dell'imperialismo e la sua sostituzione con qualcosa che prende il nome di


"condizione postcoloniale". Questo processo coincide innegabilmente con una
narrazione dominante del nostro presente.

• Migrazione delle immagini, la loro circolazione globale nei media e la materializzazione


dell'immagine, accompagnata dal suo contrario dialettico, il sorgere di un nuovo
materialismo, l'ossessione per la cosalità, per la materialità e per l'oggettualità.

Tutto ciò conduce a due contraddizioni essenziali:

• Ci troviamo in un mondo in cui osserviamo attorno a noi la circolazione illimitata delle


immagini. Le immagini circolano con incredibile rapidità, come se vivessimo in un unico
mondo, il "villaggio globale" di McLuhan.

• Ci sono l'ostinata immobilita e la resistenza dei corpi e delle cose materiali: mentre da
una parte le immagini circolano rapidamente come se non incontrassero ostacoli,
tuttavia le merci ancora sono spostate in navi a vapore.

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Scorgiamo questo paradosso nel mito cinematogra co universale della nostra epoca,
“Matrix” (1999), che ci mostra un mondo caratterizzato da una mobilità totale sul fronte
delle immagini e tuttavia da una completa immobilità dei corpi.

7 - IL FUTURO DELL’IMMAGINE, LA STRADA CHE RANCIÈRE NON HA PRESO


Questo testo era stato scritto originariamente per un seminario con Jacques Rancière
organizzato presso la Columbia University nella primavera del 2008. Il tema che ci era
stato assegnato per il seminario alla Columbia era il futuro dell’immagine e il nostro
compito era quello di presentare le nostre rispettive posizioni in merito, evidenziando le
preoccupazioni comuni e commentando le di erenze tra i nostri metodi e oggetti di
studio.

Consapevole n dl principio dell’ambiguità fra “futuro” e “destino”, Rancière apre il suo


libro rinunciando a proporre una panoramica o una odissea che ci condurrebbe dalla
gloria aurorale delle pitture di Lascaux al crepuscolo contemporaneo di una realtà
divorata dall’immagine mediatica, e di un’arte votata ai monitor e alle immagini di sintesi.
L’autore o re invece alcune ri essioni sul lavoro dell’arte. L’immagine non artistica, per
Rancière, è una semplice copia rispetto a quello che rappresenta. Io invece voglio seguire
la strada che Rancière rinuncia a intraprendere.

Prima di a rontare questo interrogativo, vorrei considerare il contesto delle immagini in


sé; secondo una tra le ipotesi sulla funzione delle pitture rupestri di Lascaux, queste
avrebbero costituito una macchina per l’apprendimento rituale: prima della caccia,
sarebbe stato allestito un cinema di tipo “platonico” per permettere ai cacciatori di
familiarizzare con la loro presenza, realizzando una prova generale virtuale che avrebbe
assicurato il successo della caccia stessa. Senza dubbio, l’aria fumosa e l’ingestione di
sostanze stimolanti avrebbero contribuito ad accrescere l’atmosfera allucinatoria e onirica
della caverna. In modo analogo, la scena di Jurassic Park si svolge nella sala di controllo
del parco, appena invasa da un velociraptor reale, non immaginario, che ha
accidentalmente azionato il proiettore che mostra il lmato di introduzione alla struttura.
Se immaginiamo un vero bisonte al galoppo per le grotte di Lascaux che minaccia di
calpestare dei cacciatori sotto e etto di droghe, ecco che abbiamo la versione paleolitica
dell’e etto prodotto nella sala delle proiezioni del Jurassic Park.

Consideriamo queste due immagini come un’allegoria. Esse danno forma a molte delle
nostre comuni supposizioni sul passato e sul futuro di questa narrazione: dalle gure
primitive dipinte a mano e che comunque bastano a prendere il posto di ciò che
rappresentano, no a un oggetto frutto della tecnica più avanzata, un prodotto
dell’elaborazione di dati informatici.

Si potrebbero sviscerare molti altri contrasti: quello tra l’immagine della magia primitiva e
l’artefatto tecnico-scienti co, tra il rituale mitico del passato profondo e la narrazione
fantascienti ca di un futuro possibile.

Più osserviamo queste immagini, più risulta evidente che le opposizioni binarie tra
passato e futuro, natura e tecnologia, selvaggio e addomesticato, caccia e cattività non
reggerebbero a un’indagine più approfondita. Entrambe le immagini sono produzioni
tecniche; entrambe sono oggetti attuali di consumo visivo che devono essere catturati
dalle loro immagini. L’aspetto più interessante è l’inversione temporale che le due
immagini richiedono: l’immagine che corrisponde al passato si rivela molto più giovane di
quella che rappresenta il futuro.

L’unico e ettivo contrasto che sopravvie è quello che concerne il dato naturale più
letterale degli oggetti rappresentati da queste immagini: la grotta di Lascaux presenta
degli erbivori, mentre Jurassic Park propone dei carnivori.

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Gli animali sono stati associati n dai tempi immemorabili alla divinazione, al presagio,
alla profezia: qualunque cosa venga fatta agli animali, verrà presumibilmente fatta agli
esseri umani nel futuro. La clonazione degli animai è generalmente interpretata come il
preludio alla clonazione degli esseri umani. Il primo soggetto della pittura fu l’animale e
probabilmente il primo materiale da pittura fu i sangue animale. La temporalità
dell’immagine animale comprende tanto il passato quanto il futuro (l’immagine, in quanto
tale, implica sempre una temporalità).

Quando parliamo di “futuro dell’immagine”, dobbiamo osservare che stiamo


maneggiando un’immagine doppia o una metapicture: l’immagine di un’immagine a
venire; un’immagine di ciò che non è ancora sopraggiunto ma che è all’orizzonte. Il futuro
dell’immagine è sempre ora.

Avverto nell’osservazione di Rancière un profondo scetticismo riguardo alla nozione di


“vita delle immagini”. Nella sua ricognizione delle immagini che i nostri musei e gallerie
espongono oggi, Rancière identi ca tre categorie principali:

1. l’immagine nuda, esempli cata dalle fotogra e dell’Olocausto e da altre immagini


di abiezione e atrocità, che esclude gli incantesimi della dissomiglianza associati al
lavoro dell’arte; → ri uta la separazione tra arte viva e vita;

2. l’immagine ostensiva, che fa leva sulla potenza come bruta presenza e impiega
mezzi estetici per conseguire un e etto che ricalca quello dell’icona religiosa; →
prende vita alla stregua di un’icona sacra;

3. l’immagine metamor ca, che deve giocare con le forme e i prodotti dell’imagerie e
attraversa i con ni tra immagini artistiche e non artistiche in una doppia
metamorfosi la quale trasforma immagini ricche di signi cato in immagini opache,
stupide, che interrompono il usso mediatico; → produce metamorfosi.

Due cose stupiscono delle tre maniere di suggellare o rinnegare il rapporto tra arte e
immagine:

- ciascuna incontra nel suo funzionamento un punto di indecidibilità che l’obbliga a


prendere in prestito qualcosa dalle altre;

- è molto di cile sostenere che i risultati delle operazioni artistiche descritti


corrispondano a oggetti che “non producono nulla e non vogliono nulla”.

Se esiste una consonanza di fondo tra Mitchell e Rancière, questa deve essere ritrovata in
una carta ambivalenza nei confronti del concetto di immagine vivente e dei discorsi
vitalisti dell’iconologia e della storia dell’arte. Entrambi vogliamo opporvi resistenza.
Rancière e Mitchell condividono un’avversione per l’assunto fondamentale
dell’iconoclastia, ovvero che un’immagine possa essere distrutta: le immagini non
possono essere né create né distrutte. Inoltre, essi sono ugualmente attratti dal rapporto
tra letteratura e arti visive. Un’immagine è una con gurazione o convergenza di ciò che
Foucault chiamava “il visibile e l’enunciabile”; ogni immagine è una forma di “immagine/
testo”, o una “frase-immagine”. La domanda è: quale dei due termini assume la priorità?
Per Rancière la parola, per Mitchell l’immagine.

Nel discutere del futuro dell’immagine, sembrerebbe strano non menzionare la comparsa
di una nuova icona politica e culturale che ha segnato l’inizio di una nuova era politica nel
nostro tempo: Barack Obama. L’immagine fotogra ca è solarizzata, ridotta ad aree di
colori primari e unita a un semplice slogan verbale; la somiglianza stilistica con i poster di
Lenin dell’epoca sovietica era stata in ballo per rinforzare l’etichetta di socialista, se non
comunista, a bbiata a Obama dalla destra. Circolò anche un’immagine photoshoppata di
Obama nella famosa istantanea di uno spumeggiante Roosevelt al volante di una
decappottabile nella giornata inaugurale della propria presidenza. Il paragone storico con
l’immagine di Roosevelt avrà vita più lunga, rispetto al poster di Lenin, se non altro per
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una ragione assai prosaica, cioè che Obama ha assunto il potere attraverso un’elezione
democratica, non una rivoluzione violenta o un colpo di stato, e lo ha fatto nel corso della
peggiore crisi nanziaria del tempo della Grande Depressione, la “Grande Recessione”
del 2008. Obama ha assunto il potere grazie ad un messaggio di speranza e
all’indiscutibile supporto degli elettori. Il pubblico è stato educato e reso immune nei
confronti di questo tipo di tattica iconogra ca nel corso della guerra di immagini che per
un anno intero ha caratterizzato ogni fase della campagna presidenziale. Alcune immagini
traggono il loro potere dall’essere visibili soltanto a metà e facilmente rinnegabili, evitando
quindi di manifestarsi in modo pieno e diretto.

8 - RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO, GLOBALIZZAZIONE E CULTURA VISUALE


La nostra epoca ha assistito a un’intensi cazione del processo di “fare mondo” (worlding)
e di “mondanizzazione”. Non abbiamo mai avuto una conoscenza più ampia riguardo al
mondo, e allo stesso tempo il mondo sembra sfuggire alla nostra comprensione e al
nostro controllo come non mai.

Tra tutti i poeti e pittori inglesi, William Blake è stato probabilmente quello che ha avuto la
percezione più nitida di ciò che comportava l’immagine del globo e della globalizzazione,
la quale riveste un ruolo di primo piano tanto nelle sue parole quanto nelle sue immagini.
Possiamo enumerare alcuni dei termini con cui ci riferiamo al globale:

▪ Globus → secondo l’Oxford English Dictionary designa un corpo o una massa


rotondi, una sfera, una palla. L’idea contemporanea di globalizzazione deve essere
ricondotta all’immagine di Marshall McLuhan del villaggio globale; il globo è al
contempo il modello o la mappa e ciò che è mappato e circumnavigato; è l’oggetto
che ci trattiene all’interno di un campo gravitazionale e allo stesso tempo una cosa
che può essere tenuta in mano.

Esistono tre modi principali di concepire il globale:

a) come costruzione geometrica e misurabile, in termini di spazio sico o di


quantità tracciabili e calcolabili;

b) come oggetto prodotto, fabbricato, artefatto che implica materiali e


tecnologie, il mondo fatto dall’uomo dei modelli sici e i modi virtuali
della tecnologia digitale;

c) come forma organica riprodotta, visto simultaneamente come organismo


e come ambiente abitato da quell’organismo.

▪ Pianeta → deriva dal termine che in greco antico indicava il vagare, usato per le
stelle e i pianeti vaganti, opposti alle stelle sse, che garantiscono un senso di
ordine del cosmo; quando il globo è osservato all’interno di un quadro più ampio,
la prospettiva allargata dall’astronomia, esso si trasforma in qualcosa che vaga
nello spazio, un globo che rotola nel vuoto, come lo descrive Blake.

▪ Cosmo → indica i cieli e la terra, o tutto il mondo sensitivo o l’universo materiale. Il


cosmo di norma è ra gurato in maniera fortemente astratta, schematica, persino
diagrammatica, lasciando ogni particolarità al regno sublunare delle creature
terrene. Il mondo diventa una forma astratta tenuta a mente, in mano o sott’occhio
da un’intelligenza sovrana e imperiale.

▪ World → secondo l’Oxford English Dictionary, è una formazione peculiare dal


germanico “wer” (uomo) e “al” (età), il cui signi cato etimologico è “vita dell’uomo”.
La parola mondo apre all’universale e restringe al particolare; si tratta anche si uno
stato temporale, non solo spaziale, di una condizione, non solo di una
collocazione.

▪ Earth → secondo l’Oxford English Dictionary esso rappresenta la terra, dove si


seppellisce e si scava. La dialettica globale di esprime in questo caso
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nell’oscillazione tra Terra come nome proprio e terra come nome comune, tra il
nome del pianeta e il nome di ciò che ricopre la sua super cie di una sostanza
nutritiva, fertile e feconda. La terra va vista come una piana in nita, in cui ogni
oggetto particolare, così come ogni entità vivente, contiene un vortice che apre a
un’altra in nità ancora.

L’idea di Mitchell riguardo alle rappresentazioni del mondo è che esse siano necessarie,
inevitabili e sempre limitate. Un buon esempio potrebbero essere le immagini satellitari di
Google Earth: con un click del mouse è possibile zoomare dalla distanza di migliaia di
chilometri nello spazio no a poche centinaia di metri dalla super cie terrestre; non c’è un
modo di zoomare uido e preciso dal globale al locale e dall’in nità più astratta al
particolare più minuto.

Come le rappresentazioni del mondo, gli immaginari regionali mostrano sempre un volto
duplice: la regione è ciò che è governato, ma anche ciò che è libero da governo centrale;
le regioni sono ambigue rispetto al loro status come parti o come tutti, frammenti o
totalità. Da una prospettiva globale, la ragione emerge come l’aspetto più stabile e
permanente della Terra.

Una chiara dimostrazione di questo assunto è fornita dall’artista cinese Hong Hao nella
sua mappa ttizia intitolata “New Political World”; questa mappa ci mostra un mondo in
cui tutti i continenti e le regioni rimangono al loro posto, ma i nomi delle entità politiche
non sono dove ci si aspetterebbe. Essa ci ricorda il carattere contingente e la fragilità
delle realtà nazionali e del loro mondo della vita e allo stesso tempo sottolinea la relativa
persistenza dei continenti e delle regioni. La fugacità dei con ni e delle identità nazionali
nella mappa serve a ricordarci che gli imperi e le superpotenze potrebbero essere più
e meri dei piccoli stati nazionali. L’intelligenza di New Political World risiede nel
mescolamento di alcuni particolari e nella loro impostazione generale; per esempio,
Israele si trova in Canada, dove avrebbe tutto lo spazio per estendersi, mentre la modi ca
più sorprendente è quella della Repubblica Popolare Cinese, che si trova in possesso
esclusivo degli Stati Uniti. Si tratta di una previsione basata sul fatto che la Cina oggi si
trova nella posizione adatta per diventare la più grande economia de mondo e la
superpotenza dominante del XXI secolo? Come ogni opera d’arte, essa è in grado di
generare un’in nità di interrogativi; come ogni provocatoria rappresentazione del mondo,
produce spaesamento e riorientamento.

SECONDA PARTE: SFONDI


9 - ESTETICA DEI MEDIA
Il medium implica un messaggio, mentre l’estetica riguarda il messaggio del corpo, le sue
estensioni e i suoi sensi. L’estetica costituisce il fulcro principale attorno a cui ruotano la
comunicazione, la tecnologia e le forme sociali. Dopo McLuhan, i media studies sono
stati rapidamente balcanizzati in una serie di specialità accademiche caratterizzate da
uno scarso livello di consapevolezza e interesse reciproci. Nel frattempo, McLuhan veniva
eclissato dall’astro nascente di Walter Benjamin.

Negli anni ’90 è sembrato che una nuova sintesi nei media studies potesse essere o erta
dalla pubblicazione di Friedrich Kittler “Gramophone, Film, Typewriter”, un collage di
storie intessute nella trama del racconto della ne dell’umanità e dell’ascesa del
computer. Il brillante intervento di Kittler nei media studies ha avuto l’e etto di aprire
un’intera nuova archeologia dei media all’indagine storica; ha innescato un’ondata di
studi sui nuovi media, che ha preannunciato un digital turn secondo cui i vecchi media
meccanici erano destinati a essere sostituiti da codici binari. Secondo Kittler, gli output
sensoriali forniti dai computer dovevano essere considerati qualcosa per tenerli distratti

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no al momento in cui sarebbero stati rimpiazzati dalle macchine che loro stessi avevano
costruito.

Il digital turn non potrà essere compreso in pieno no a che non verrà posto in relazione
dialettica con l’analogico, e con quella che Brian Massumi ha chiamato “la superiorità
dell’analogico”. Il digitale è sempre stato presente nella forma dei sistemi niti di caratteri
discreti (come i sistemi alfabetici o numerici) e nei media gra ci. Qualsiasi svolta verso
nuovi media è al contempo una svolta verso una nuova forma di im-mediatezza.

Un altro problema che sorge dalla lettura di Kittler è sollevato dalla frase: “I media
determinano la nostra situazione.” I media ci circondano su tutti i fronti, ma è un “noi” ad
abitarli, un “noi” a vivere ogni medium come veicolo di una qualche opacità o
immediatezza. Il medium non è mai tutto in una situazione. C’è sempre qualcosa al di
fuori del medium: la zona di immediatezza e il non mediato che il medium stesso al
contempo produce e incontra; la televisione non produceva o incontrava la stessa
situazione in Africa e negli Stati Uniti negli anni ’60; Internet incontra sistemi di
circostanze diversi nel varcare determinati con ni nazionali, proprio nel momento in cui
facilita la formazione del villaggio globale di McLuhan. Quello che è sfuggito ai suoi tempi
è che un villaggio globale non è necessariamente un’utopia; i villaggi reali possono essere
dei luoghi estremamente ostili. L’estetica dei media promette di o rire una sana
resistenza alle tendenze al “tutto o niente”; essa genera un’interessante convergenza dei
problemi della singolarità e della molteplicità. Lo osserviamo nel linguaggio quotidiano,
nella nostra tendenza a scrivere “i media”, come se fossero una sorta di corpo collettivo;
allo stesso tempo, ogni medium viene descritto come se si trattasse di una costellazione
unica ed essenziale di materiali, tecniche e pratiche.

La triade immagine/suono/testo non è radicata soltanto in modalità estetico-sensoriali


fondamentali, ma anche in registri semiotici e psicologici di base.

10 - NON ESISTONO MEDIA VISIVI


Media visivi è un’espressione colloquiale che viene usata per indicare cose come la TV, i
lm, la fotogra a, la pittura e così via; ma questa espressione è inesatta → tutti i media
visivi coinvolgono gli atri sensi e tutti i media sono, dal punto di vista delle modalità
sensoriali, mixed media. Dall’osservazione di Aristotele secondo cui la tragedia combina i
tre ordini di lexis, melos e opsis (parole, musica e spettacolo), il carattere ibrido dei media
è sempre stato considerato un postulato centrale.

Se stiamo cercando il caso più esemplare di medium puramente visivo, la pittura sembra
il candidato più scontato. Persino nelle sue forme più puramente e intenzionalmente
ottiche, la pittura restava fatta di “parole dipinte”. Questo tipo di discorso critico era
cruciale. Senza il discorso critico, lo spettatore non istruito vedrebbe i dipinti di Jackson
Pollock come niente più che carta da parati. Immaginiamo che l’osservatore possa
guardare senza verbalizzare: che cosa rimarrebbe? Una cosa che resterebbe è la
constatazione che il dipinto è un oggetto realizzato manualmente, uno dei fattori cruciali
che lo di erenziano dal medium della fotogra a. Il senso non visivo in gioco è il tatto,
messo in evidenza da alcuni tipi di dipinto e in ombra da altri; in entrambi i casi, è
su ciente che l’osservatore si renda conto di trovarsi di fronte a un dipinto per
comprendere che questo è la traccia di una produzione manuale. Vedere un dipinto è
toccare, vedere i gesti della mano dell’artista.

L’architettura incorpora tutte le arti; essa non è fatta per essere guardata, ma vissuta e
abitata. La fotogra a è così pervasa dal linguaggio che è di cile immaginare che cosa
potrebbe signi care de nirla un medium puramente visivo.

Le stesse nozioni di medium e di mediazione implicano da subito una qualche


combinazione di elementi sensoriali, percettivi e semiotici; non esistono nemmeno media
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puramente uditivi, tattili o olfattivi. Questa conclusione non comporta però l’impossibilità
di distinguere un medium dall’altro. Ciò che invece rende possibile è una più precisa
di erenziazione dei tipi di combinazione; se tutti i media sono mixed media, non sono
però tutti “misti” allo stesso modo. La speci cità dei media è una questione che riguarda
gli speci ci rapporti tra i sensi che sono coinvolti nella pratica.

L’aforisma di McLuhan “il contenuto di un medium è sempre un altro medium” accennava


al fenomeno dell’annidamento: è del tutto possibile che un medium più recente (la TV) sia
il contenuto di uno più antico (il lm). Qualunque medium può annidarsi all’interno di un
altro, inclusi i casi in cui un medium si annidi all’interno di se stesso.

Poi c’è un fenomeno che de nirei “intreccio”, tale per cui un canale sensoriale o una
funzione semiotica si interessano con altri più o meno impercettibilmente, di cui è
esempio emblematico la tecnica cinematogra ca del suono sincronizzato. Cartesio ha
paragonato la vista al tatto: la vista deve essere intesa come una versione più ra nata,
sottile ed estesa del tatto. Il vescovo Berkeley ha sostenuto che la visione non è un
processo esclusivamente ottico ma implica un “linguaggio visivo” che richiede il
coordinamento di impressioni ottiche e tattili. La visione naturale stessa è un intreccio e
un annidamento di ottico e tattile. Il rapporto sensoriale della visione diventa ancora più
complesso quando ci si addentra sul terreno dell’emozione, dell’a etto e dell’incontro
intersoggettivo all’interno di un campo visivo; qui apprendiamo che lo sguardo è
solitamente attivato non dall’occhio dell’altro ma dallo spazio invisibile o dal suono.

11 - RIPARTIRE DA ZERO: ARCHITETTURA, SCULTURA E IMMAGINE DIGITALE


Walter Benjamin osserva che da sempre l’architettura ha fornito il prototipo di un’opera
d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione. Ci sono due media che sono strettamente
connessi: l’arte gra ca e quella scultorea; questo è un legame essenziale per due ragioni:

- da un lato perché un’ampia porzione dell’architettura contemporanea sembra


aspirare alla condizione di scultura;

- dall’altro lato perché l’architettura è innanzitutto un’attività gra ca.

Un “nuovo sensualismo” si sta di ondendo nell’architettura sul modello della scultura,


come un abbandono alla compostezza in nome della libertà di produrre forme che
possono essere deformate e piegate a piacere. Sull’altro versante della pratica
dell’architettura si trovano il disegno e la sua tecnica manuale, che stanno andando
incontro alla trasformazione tecnologica innescata dall’immagine digitale, cioè da
un’immagine che può essere prodotta, manipolata, archiviata e recuperata tramite un
computer → senza dubbio sono cambiamenti radicali, ma occorre tenere a mente a
mente che esse sono ancora immagini per noi, per esseri umani in carne e ossa con un
equipaggiamento sensoriale e percettivo standard. Non ci interessano le cifre contenute
in un’immagine digitale, ma siamo interessati all’input e all’output analogico,
all’immagine, intesa come presentazione sensibile che impiega un’in nita gamma di
segni, tracce e colori.

L’espressione “immagine digitale” è un ossimoro: nella misura in cui un’immagine è


percepita come digitale, essa non è a atto un’immagine ma un insieme di elementi
simboli arbitrari, di segni alfanumerici che appartengono a una serie nita di caratteri
rigorosamente di erenziati.

Le immagini digitali esistevano già molto prima dell’invenzione del computer o del codice
binario, n da quando gli aborigeni australiani svilupparono un vocabolario di caratteri
gra ci binario fatto di linee e punti per la pittura su sabbia → il computer non rappresenta
una vittoria del digitale, ma un nuovo meccanismo per coordinare il digitale e l’analogico.

Il disegno è il punto di incontro tra architettura e scultura. Sia il disegno che la scultura,
però, dipendono da due condizioni:

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1. la presenza dell’architettura nella sua forma minima – il muro bianco e silenzioso
sul quale l’immagine è proiettata, tracciata e resa in forma scultorea nelle tre
dimensioni di un rilievo che si solleva dalla super cie piatta;

2. il corpo umano, come centro e insieme periferia dell’architettura, come ciò che la
progetta dall’esterno e la abita dall’interno; il corpo non è soltanto ciò che disegna,
ma anche ciò che viene disegnato, tanto per la scultura quanto per l’architettura.

La cosa strana della gerarchia tra i media contemporanei è che proprio ora, nel momento
in cui strumenti tecnici e codici sembrano penetrare ogni aspetto della realtà, e grandiosi
monumenti architettonici sorgono in ogni dove, il medium rappresentazionale più antico,
l’arte più vicina al corpo, quella che esprime l’incontro di mano e occhio nel più intimo
degli spazi compositivi, ritorni a essere la forma artistica dominante.

Secondo Greenberg, tutte le arti moderne erano accumunate da una tendenza a farsi
astratte ed eteree, e i nuovi materiali dell’architettura come l’acciaio, il vetro e il cemento
armato aspettavano soltanto che il modernismo pittorico con i suoi stili visivi e gra ci
mostrasse loro come sfuggire alla forza di gravità. Ogni arte, però, doveva diventare
astratta in un suo modo particolare.

L’e etto più interessante e incisivo della produzione digitale di immagini è la sua capacità
di facilitare la transizione dalla progettazione alla costruzione.

12 - LUOGHI FONDATIVI E SPAZI OCCUPATI


L’idea di luogo fondativo è uno dei topoi più basilari che si possano immaginare. Nella
sua forma più generale, questo concetto assegna uno spaio concreto, materiale, alla
risposta all’annoso problema loso co dei fondamenti del conoscere e dell’essere,
riportando a terra gli interrogativi sulle origini, sulla nascita e sul principio di tutto. Gli
eventi storici devono avere luogo da qualche parte: questo “avere luogo” signi ca che il
luogo stesso si debba conservare come totem per assicurare la memoria e a continuità.
Le tre grandi religioni del Libro convergono tutte nel luogo noto come Israele/Palestina, la
Terra Santa; l’idea stessa di democrazia sembra avere le radici ad Atene. I luoghi fondativi
sono pubblici quanto privati, sacri quanto laici, monumentali quanto banali. Ogni atto di
fondazione è anche un atto di perdita; ogni fondazione si compie sulla base di una
distruzione, sulle rovine di qualcosa di precedente, sul terreno su cui poggia.

Come ha a ermato Nietzsche, “a nché un santuario possa essere eretto, un santuario


deve essere ridotto in frantumi”. Il memoriale presso Ground Zero a New York è
progettato per tenere aperta una ferita e per incoraggiare rituali melanconici di ricordo
selettivo; l’evento dell’11 settembre è considerato come un trauma globale e insieme
come il momento fondativo di un nuovo ordine mondiale. Il luogo in sé è stato iper-
feticizzato e sacralizzato. Il memoriale dell’11 settembre, che reca incise le parole “Never
Forget”, è stato allo stesso tempo il fulcro di una narrazione fondata su una forma di
amnesia nazionale che ha portato a misconoscere il ruolo degli Stati Uniti come fornitori
di armi per Al Qaida e altri estremisti islamici nel corso della Guerra Fredda.

I luoghi fondativi delle rivoluzioni sono quelli che Robert Smithson ha de nito “non sites”,
testimoni di un’assenza; di recente, nel contesto di movimenti come la Primavera Araba,
abbiamo assistito all’individuazione di nuovi luoghi e a nuovi atti di fondazione. In piazza
Tahrir al Cairo si sono celebrati matrimoni, sono nati bambini; l’immaginario e la retorica
dell’insurrezione popolare e della rivoluzione sono tornati a rivivere.

Stabilire sfondi, ritagliare gure → in quanto iconologo, Mitchell è portato a considerare


prima di tutto i luoghi fondativi (foundational sites) come visioni fondative (foundational
sights), l’immagine di uno sfondo o di uno spazio vuoto sul quale facciano la loro
comparsa delle gure. Il vaso di Rubin è un’ambigua immagine in cui gura e sfondo si
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scambiano di ruolo: ciò che prima era visto come uno spazio vuoto intorno a un vaso
improvvisamente si rovescia nei pro li di due facce che si fronteggiano, e un nuovo
spazio emerge tra le facce. Mitchell si so erma sulla gura del vaso di Rubin perché vuole
considerare la questione del luogo fondativo come un problema di rapporto gura/
sfondo; infatti, ogni volta che assistiamo a un atto di fondazione, assistiamo anche allo
sgombero di uno spazio ai ni della costruzione di una gura.

Lo spazio dell’apparenza → nella “Condizione umana”, Hannah Arendt caratterizza il


momento fondativo del politico come uno spazio dell’apparenza nel quale degli esseri
umani parlano e agiscono insieme. Lo spazio dell’apparenza si forma ovunque gli uomini
condividano le modalità del discorso e dell’azione, e quindi anticipa e precede ogni
costituzione formale della sfera pubblica e delle varie forme di governo. La sua peculiarità
è che scompare non solo con la sparizione degli uomini ma con la stessa scomparsa e
l’arresto delle loro attività. Lo spazio dell’apparenza non è permanente ma transitorio. La
sparizione non è mai totale, qualcosa infesta lo spazio vuoto che ha ospitato l’apparizione
del politico.

Occupatio → uno spazio assolutamente vuoto è quasi inconcepibile, perché anche il


vuoto più perfetto continuerebbe a essere popolato da qualche atomo vagante; e infatti
anche la maggior parte degli spazi umani sono completamente occupati. Alcuni spazi
però sono spazi a parte, sempre aperti e designati come pubblici; sono quelli che
Foucault chiamava “eterotopie”: parchi, piazze, etc. Si suppone che questi luoghi non
appartengono a nessuno. L’occupatio è l’appropriazione della posizione dell’avversario
ma anche la messa in scena di un vuoto che verrò poi riempito; l’occupatio in generale
sottolineava il ri uto di parlare di qualcosa oppure l’ammissione di un’incapacità di
descriverla o de nirla.

Monumenti e moltitudini → quando le masse si allontanano dai luoghi fondativi di una


rivoluzione, che cosa lasciano dietro di sé? La risposta di Michelet è: uno spazio vuoto.
Ma una moltitudine di immagini è rimasta negli archivi e nella memoria popolare; “La
libertà che guida il popolo” di Delacroix cattura in immagine la leggenda urbana della
donna rivoluzionaria dal seno scoperto che prende d’assalto e barricate. La Rivoluzione
Egiziana ha tentato di progredire dallo stadio di ribellione al suo movimento
costituzionale; questo era già evidente quando la moltitudine raccolta in piazza Tahrir ha
tentato di erigere un enorme obelisco in legno con incisi i nomi dei martiri: questo atto era
anche l’immagine di un ritorno, dal momento che l’obelisco è un monumento egiziano.

13 - CONFINE, TRADUZIONE, CONVERGENZA


Ogni con ne ha due fronti, uno interno e uno esterno; l’atto di tracciare una distinzione e
stabilire una di erenza costituisce la regola fondamentale della teoria dei sistemi nella sua
forma astratta; ogni con ne presenta anche un terzo aspetto: l’e ettiva linea e l’atto di
dipingerla. Il Muro di Berlino era tanto un elemento materiale quanto un oggetto simbolico
che esprimeva su scala ridotta la logica globale della Guerra Fredda. Il con ne è al
contempo un oggetto materiale e un concetto immaginario/politico-giuridico che rimane
invisibile a occhio nudo. Esistono due tipi fondamentali di con ne:

1. concreto/letterale/materiale

2. virtuale/metaforico/immateriale

A volte i con ni sono qualcosa di positivo e a volte no; come recita il detto: “Tradurre è
tradire”; la convergenza appare qualcosa di positivo soprattutto al partner più forte che
assorbe il più debole in una sintesi asimmetrica.

⇨ La lingua inglese sembra attraversare ogni con ne e invitare tutte le altre lingue a
tradursi in una convergenza monolingue; l’egemonia globale dell’inglese deve
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essere vista come la conseguenza di una lunga serie di processi storici in cui
hanno avuto un ruolo il superamento dei con ni, le forze della traduzione e le
dinamiche della convergenza.

Gli stati nazionali hanno dei con ni: è questo a de nirli come entità politico-spaziali;
trasferimenti e trans-azioni entrano in gioco quando si formano dei con ni, e la traduzione
deve essere vista come un’altra azione all’insegna del “tra(ns)-”, nel caso speci co,
l’attraversamento di con ni linguistici. La relazioni di “tra(ns)-” includono il commercio, la
diplomazia, i negoziati e le migrazioni di entità viventi. La convergenza è il centro del
meccanismo del “tra(ns)-”, è il momento di contatto tra nazioni, stati, popolazioni e
culture su un con ne virtuale o concreto. Talvolta (raramente), la convergenza induce a
una paci ca assimilazione; più spesso porta alla conquista e al dominio di un gruppo
sociale su un altro, al declino di una lingua e in alcuni casi alla morte di un popolo.

⇨ La linea verde che divide Israele e Palestina è una linea di separazione che
potrebbe essere considerata esemplare di molti dei paradossi che circondano la
questione dei con ni. Utilizziamo il termine “Israele-Palestina” per designare la
contestata terra natia di due popoli divisi da religione, razza e lingua, ma uniti da
un’ossessione per la stessa regione, che è il cuore delle tre grandi religioni del
Libro. Il processo di pace di Israele-Palestina va avanti da decenni, con il solo
risultato del degrado progressivo delle vite dei palestinesi e dell’erezione di una
barriera difensiva. Il con ne vero e proprio di Israele concretamente non esiste, e
u cialmente esiste in uno stato di contestazione permanente. I palestinesi vivono
nel loro stesso paese come se fossero migranti irregolari, come se si trovassero
costantemente in una zona di con ne.

“Così come due vicini non permettono che l’uno si prenda libertà sconvenienti nel regno
dell’altro, ma lasciano dominare sul con ne una reciproca tolleranza, che compensa
paci camente le piccole intrusioni nei diritti dell’altro che l’uno si vede costretto a
commettere per le sue necessità, così fanno pure la pittura e la poesia.” → La
rappresentazione di Lessing dei rapporti tra arti verbali e visive è al contempo etica e
politica, poiché intreccia l’ambito delle relazioni personali tra vicini con la sfera più ampia
dei territori sovrani. Lessing riconosce che questi sono con ni metaforici, ma questo non
signi ca che essi siano irreali. La poesia gode di una più vasta sfera per via dell’in nito
ambito della nostra immaginazione, della spiritualità delle sue immagini. La sua posizione
è opposta a quella di Leonardo Da Vinci che, nel paragone tra queste due arti, a ermava
la superiorità della pittura sulla base della sua immediatezza e del suo potere di suscitare
vividi e etti nello spettatore.

⇨ Analizzando l’opera di Magritte “Ceci n’est pas une pipe”, Foucault de nisce la
convergenza di testo e immagine come una serie di intersezioni tra la gura e il
testo. Sottolinea inoltre la fenomenologia della linea di con ne tra parola e
immagine; ma il con ne di Foucault è molto più che una linea: è piuttosto una zona
di indeterminatezza o una “terra di nessuno”.

Per capire la logica dei con ni virtuali e metaforici nell’ambito dei media e della
rappresentazione non c’è nulla di meglio a cui fare riferimento della classica
rappresentazione del linguaggio fornita dalla linguistica di Saussure. Il diagramma
fondamentale del segno linguistico è un assemblaggio dei tre elementi: con ne,
traduzione, convergenza. Il segno è diviso in due domini, signi cante e signi cato, con
una barra orizzontale che funge da linea di con ne; la convergenza è ra gurata dalla
bolla o dall’ovale che risolvono la dualità del segno in una singola forma; la traduzione è
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resa in immagine dalle frecce bidirezionali che suggeriscono il trasferimento della
signi cazione da un dominio all’altro.

Di con ni è ormai disseminato l’intero pianeta; con ni virtuali di criptazione e


sorveglianza, che sono al contempo ovunque e in nessun luogo; con ni materiali, con ni
politici come quelli che dividono le due Coree o il territorio di Israele-Palestina.

Si è parlato in questo saggio di due tipi di con ne, virtuale e concreto, ma è chiaro che
entrambi siano reali e connessi, necessari l’uno all’altro; il con ne reale è sempre un
con ne bifronte, al contempo virtuale e concreto.

14 - ARTE X AMBIENTE, PAESAGGI ESTREMI, POUSSIN A GAZA


Questo saggio nasce da un invito a prendere in considerazione la relazione tra “arte e
ambiente”: “arte” come l’intera varietà degli interventi arti ciali su un ambiente,
“ambiente” come una triangolazione di spazio, luogo e paesaggio. La relazione Arte x
Ambiente deve essere intesa come moltiplicativa, non come additiva; nei termini di un
attraversamento o di un passaggio, piuttosto che di un posizionamento statico; come
dislocazione anacronistica piuttosto che come ssità storica; come una marcatura
violenta e un altrettanto violenta cancellazione piuttosto che come la rassicurante
permanenza del monumento.

Gli ambienti sociali estremi sono ambienti in cui la pressione e il con itto sociale sono
portati all’estremo, aree ad alta densità di popolazione, territori occupati e spazi sotto
assedio; sono tra gli ambienti in più rapida espansione sul pianeta e sono generalmente
luoghi di estrema disuguaglianza e incertezza, ma anche di estrema violenza e criminalità.

Le arti giocano un ruolo cruciale negli ambienti sociali estremi; non sempre si tratta del
tipo di arte che si trova nelle convenzionali galleria, infatti può presentarsi sotto forma di
Street Art, di performance o di gra ti, oppure (quando proviene dall’esterno) di
documentari, fotogra e, produzioni giornalistiche. Questi ambienti non esistono mai
separati da quella che potrebbe essere considerata la loro controparte dialettica di
benessere, sicurezza e privilegio – la comunità recintata, il quartiere facoltoso. La vera
arte di questi ambienti emerge quando viene messa in opera una delle più antiche
modi cazioni arti ciali di un ambiente, quando cioè viene eretto un muro e un intero
popolo viene rinchiuso come un lotto di bestiame; il muro di sicurezza, la recinzione di
con ne, il posto di blocco, la frontiera, la barriera sica o virtuale che separa gli ambienti
sociali estremi dai paesaggi ordinari, hanno ospitato alcune delle espressioni artistiche
più e caci del nostro tempo.

A rontando il orire di muri destinati ai popoli, hanno fatto il loro ritorno i gra ti, e non
semplicemente quelli di commemorazione, ornamento o abbellimento, ma quelli che
decostruiscono il loor stesso supporto, resistendo alla separazione e attaccando gli stessi
muri sui quali sono dipinti, immaginando un mondo movimenti di corpi umani liberi e
privi di ostacoli.

❖ Un gruppo chiamato Artists Without Walls, che opera in Israele-Palestina composto


da uomini provenienti da entrambi i territori ha realizzato diverse azioni, per opporsi
alla celebre barriera israeliana; questi artisti impiegano la pittura murale, il video e
la Performance Art per mettere in scena la disumanità del muro e per farlo
scomparire. Il muro è diventato la manifestazione architettonica principale degli
ambienti estremi del nostro tempo. Il Muro di Berlino e il Ghetto di Varsavia si
trovano rievocati nei gra ti sul muro di Israele.

La piccola regione nota come “Striscia di Gaza” deve essere considerata paradigmatica
del nostro tempo: una striscia di terra grande più o meno il doppio di Washington, con un
milione e mezzo di abitanti, uno degli ambienti più densamente popolati al mondo, i cui
abitanti vivono nel degrado e nella povertà. Gaza è un immenso campo di prigionia,
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probabilmente uno dei più grandi carceri ostruiti dall’uomo, in cui un numero
considerevole di civili si trova sorvegliato, rinchiuso, a amato, umiliato, massacrato; la
striscia rimane sotto occupazione militare. Questo è un ambiente che quasi per chiunque
è un prodotto dell’arte nel senso esteso, un’arte che spazia dal giornalismo, alla
propaganda, ai dipinti murali e alla performance. L’aspetto più rilevante del carattere
estremo di Gaza che emerge dalle sue rappresentazioni è che la sua non è una
condizione accidentale, essa è l’illustrazione più evidente di una strategia contemporanea
di pulizia etnica a lungo termine.

Nonostante la pulizia etnica abbia una sua chiara de nizione in quanto crimine contro
l’umanità, essa non è un evento unico e statico ma un processo dinamico che sviluppa
continuamente nuove strategie: la pulizia etnica non sottintende necessariamente una
violenza aperta e visibile contro le persone, ma si può mettere in pratica con una violenza
sistematica contro la vita di tutti i giorni e la deliberata produzione di un ambiente sociale
stremo che nirà per distruggersi da solo. La fotogra a non può catturare la complessità
e la densità di questo mondo: la testimonianza più eloquente viene dall’arte delle
immagini in sequenza o in movimento, dai lm documentari ai graphic novel.

Il dipinto di Poussin ra gura l’epidemia di peste scagliata da Dio sui listei, i quali hanno
appena scon tto gli israeliti, uccidendo trentamila uomini, e ora la peste e scesa su di
loro; quello che vediamo è uno statuario di terrore e panico, con gure che Poussin ha
ricavato dal repertorio di Caravaggio; la più impressionante si trova in primo piani al
centro del dipinto: una madre morta con i suoi bambini al seno che muoiono di fame.

Via via che ci allontaniamo dal dettaglio, ci accorgiamo di una scena secondaria
all’interno del tempio: vediamo l’Arca dell’Alleanza, che i listei avevano sottratto nel
corso della battaglia e la statua abbattuta del loro idolo, Dagon. Poussin ci dice che
questo è il soggetto primario, il vero soggetto del dipinto. La scena che vediamo in primo
piano è di fatto la rappresentazione di una catastrofe umana, ma è anche il risultato
diretto della giustizia divina. Ma il movente concreto della distruzione non è davvero
questo giudizio morale. Gli idoli dei listei rivestono la funzione di “divinità del luogo”;
l’accusa di idolatria e la pratica dell’iconoclastia hanno una doppia nalità:

1. scopo concreto → cancellare le tracce storiche degli abitanti nativi, condurre una
pulizia etnica di tutte le immagini;

2. scopo ideologico → a ermarsi come strumento della giustizia divina.

Questa immagine mostra la caratteristica centrale della pulizia etnica, ovvero il massacro
degli innocenti.

15 - IL PERTURBANTE STORICO; FANTASMI, DOPPI E RIPETIZIONE NELLA


GUERRA AL TERRORE
Il concetto di perturbante rimanda all’esperienza dell’insolito, del fantastico, di una
stranezza disturbante, ma riguarda anche fenomeni più speci ci:

1. l’incapacità di stabilire se qualcosa sia accidentale o se obbedisca a una struttura


causale non immediatamente visibile;

2. l’apparire di qualcosa di strano che si rivela familiare e la sensazione del ritorno di


qualcosa di rimosso o dimenticato;

3. la comparsa del doppio, dell’immagine speculare e del gemello, il fenomeno di


sdoppiamento progressivo (= ripetizione);

4. l’apparizione del fantasma o dello spettro e in particolare il momento in cui


qualcosa che si supponeva morto o inanimato prende vita.

Edgar Allan Poe è generalmente riconosciuto il maestro del perturbante, proprio per
come si colloca a metà strada tra narrativa e poliziesca; il perturbante è il genere
dell’ambiguità per eccellenza.

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Avrebbe senso parlare di perturbante “storico”, un’esperienza che sia socialmente
condivisa, e condivisa in relazione a un evento vissuto collettivamente? Dovremmo
prendere in considerazione l’idea di un’epoca storica perturbante, caratterizzata da strane
coincidenze, ripetizioni, doppi e fantasmi. L’esempio più banale sarebbe quello di un
evento storico che produce una di usa incertezza in merito alla sua origine accidentale o
causale. Un evento che segni l’avvio di un’epoca storica precisa dovrebbe assumere uno
status di icona pubblica, di immagine riconosciuta che circola “senza bisogno di
didascalie”.

⇨ Non è una coincidenza che il momento presente, all’indomani del periodo


caratterizzato dalla “guerra globale al terrore” (che ha per estremi gli eventi dell’11
settembre 2001 e la crisi nanziaria globale dell’8 settembre 2008), si quali chi
come perturbante storico. L’11 settembre ha le caratteristiche del perturbante: il
senso di ripetizione nella percezione dell’evento, l’amico e alleato represso che
ritorna nei panni di nemico, sovrabbondanza di teorie del complotto. All’estremo
opposto troviamo la crisi nanziaria del settembre 2008, che potrebbe essere
considerata come il risultato di una serie di atti di irresponsabilità individuale o
come un’oscura cospirazione.

Può darsi che tutti gli eventi storici abbiano qualcosa di perturbante, nella misura in cui
c’è dell’incertezza sul loro carattere necessario o contingente; da una parte, teorie
cospirative; dall’altra, sfortuna e incompetenza.

Lo storico dedito a una spiegazione razionale degli eventi tenderà a vedere motivi che si
ripetono e noterà analogie storiche – per esempio, tra le condizioni che hanno portato alla
Grande Depressione degli anni ’30 e quelle che hanno portato alla Grand Recessione del
2008. Lo storico della contingenza partirà dalla premessa che le analogie storiche sono
sempre di dubbia utilità, che la storia è una serie di occorrenze particolari che non
obbediscono ad alcun disegno o schema riconoscibile.

⇨ Un esempio del perturbante storico nel nostro tempo dovrebbe essere l’elezione di
Barack Obama nel 2008, non soltanto per via dello spettacolo visivo o erto
dall’ascesa di un politico di identità afroamericana alla carica politica più alta del
governo di un paese diviso in termini razziali, ma anche in virtù delle caratteristiche
dell’immagine “acustica” evocata dal nome Barack Hussein Obama, che è una
sintesi dei nomi dei principali nemici degli Stati Uniti nell’epoca precedente alla sua
elezione (Saddam Hussein – Osama Bin Laden).

Il periodo della guerra al terrore ha portato sul palco della storia i tropi della ripetizione e
del ritorno, ma anche una vivida fantasmagoria e ha prodotto inoltre una versione del
terrorista come organismo senza volto, anonimo e inde nitamente riproducibile (= legato
all’idea del clone) → la guerra globale al terrore ha avuto l’e etto di clonar i l terrore.

Nella storia della tecnologia dei media il fenomeno che ha una corrispondenza più diretta
con il perturbante storico è la fantasmagoria, l’uso di dispositivi di proiezione ottica per la
produzione di spettacoli pubblici che prevedono fantasmi, spettri e apparizioni di ogni
tipo, perché non si limita a portare avanti la tradizione degli show di magia e della
fantasia, ma mette in scena i suoi spettacoli situandoli al con ne tra scienza e
superstizione.

Potremmo osservare alcune somiglianze evidenti tra l’era delle prime fantasmagorie e la
nostra situazione mediatica contemporanea: l’aspetto più ovvio è un senso di tecno lia, la
sensazione di trovarsi nel bel mezzo di una rivoluzione mediatica cruciale quanto lo fu a
suo tempo l’invenzione della stampa. La di erenza maggiore tra fantasmagoria storica del
XIX secolo e quella del XXI secolo sta nella possibilità di trasmettere in diretta attraverso i
media; la cosa più simile alla diretta che il XIX secolo poteva o rire erano i giornali e le
riviste illustrate.

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⇨ La distruzione del World Trade Center è stata trasmessa immediatamente in diretta
in tutto il mondo e ha rappresentato lo spettacolo perturbante per eccellenza,
colpendo gli spettatori come la replica di una scena alla quale avevano già assistito
in una serie di lm catastro ci dei decenni precedenti; tale evento sembrato
inscenare una perturbante ripetizione nel momento stesso del suo svolgimento,
con il breve intervallo tra l’impatto del primo e del secondo aereo a garantire la
massima attenzione mediatica. L’impressione è stata quella di un doppio déjà-vu.

Ma qual è lo scopo di mettere in scena questa fantasmagoria di immagini nell’ambito


della guerra al terrore? → Rivelare lo spirito dell’epoca, risolvere il giallo che si colloca
all’estremo della traiettoria narrativa del perturbante.

16 - LO SPETTACOLO OGGI, REPLICA A RETORT


lo spettacolo oggi non è lo stesso di quando questo saggio è stato scritto per la prima
volta nel 2005; la scienza delle immagini in quel periodo era ossessionata dallo spettacolo
delle due invasioni guidate dagli americani, la prima in Afghanistan e la seconda in Iraq.
Entrambe erano una risposta alla spettacolare distruzione del World Trade Center dell’11
settembre 2001. I consiglieri politici di Bush hanno messo in scena l’invasione dell’Iraq
come se fosse una campagna pubblicitaria, vendendo la guerra come una spedizione che
avrebbe nanziato se stessa attraversato la conquista delle più ricche riserve di petrolio
del Medio Oriente; lo scambio “sangue per petrolio” è stato presentato come un calcolo
razionale.

Non è lo spettacolo ma la sorveglianza il tema dominante della mediasfera attuale. Gli


americani, e con loro gran parte degli abitanti del mondo sviluppati, sembrano non
poterne più della guerra. Ciò che più si avvicina a uno scandalo spettacolare è la
rivelazione che il ritiro delle truppe americane dal Medio Oriente è andato di pari passo
con l’istallazione di un nuovo sistema di sorveglianza globale che colloca l’intera
popolazione mondiale all’interno di una sorta di panopticon virtuale. La sorveglianza è
diventata uno spettacolo.

Spettacolo e sorveglianza devono essere intesi non quali alternative che si escludono
reciprocamente, ma come forze dialettiche che intervengono nell’esercizio del potere e
nella resistenza al potere stesso. Lo spettacolo cerca di a ermare il proprio potere sui
soggetti distraendoli con delle illusioni; la sorveglianza opera per acquisire un potere sui
soggetti come oggetti sottoposti a uno sguardo penetrante.

Oggi, assieme allo spettacolo e alla sorveglianza è emersa una terza forza mediatica che
apre un nuovo fronte nella lotta per il potere; si tratta dei social media, di cui sono
l’emblema Facebook, Twitter e le altre forme di scambio di messaggi in forma di testo/
voce/video. I social media hanno il potenziale per realizzare le forme di contro-spettacolo
e contro-sorveglianza.

Il libro “A icted Powers. Capital and Spectacle in a New Age of War” del collettivo retort
ha costituito un importante intervento critico all’interno del dibattito sulla guerra in Iraq e
sulla visione strategica della guerra al terrore. Esso è una ri essione molto partecipe sulla
situazione di crescente marginalità del movimento politico della sinistra. Particolarmente
utile è l’analisi sulla sovradeterminazione di particolari strutture di pensiero, come
l’equazione “sangue per petrolio”.

Mitchell teme che A icted Powers abbia costruito un altro nemico, neanche
lontanamente potente come il neoliberalismo militare che correttamente individua come
forza principale di una nuova tornata di “accumulazione originaria” e neocolonialismo.
Questo nemico porta sulle spalle gran parte delle colpe che il volume attribuisce alle forze
che ostacolano la sinistra, e aleggia intorno ai concetti-feticcio di Spettacolo, Capitale,
Stato e Modernità: questi concetti conferiscono all’analisi di Retort della situazione
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politica contemporanea un taglio che non possiamo non de nire estremamente
spettacolare.

Insieme ai toni miltoniani e apocalittici che imperversano in questo volume, troviamo


l’anacronismo, segnalato dalla centralità del concetto di “Spettacolo” di Guy Debord,
concetto che in tutto il libro veste i panni del diabolico avversario; dobbiamo osservare
che Retort sottolinea la propria presa di distanza critica rispetto alle categorie di Debord:
se la sua idea dello spettacolo coincideva con una “esultante forza storica mondiale”,
quella di Retort è caratterizzata come un “minimale, pragmatico dato di fatto”. Lo
spettacolo è tanto la macro quanto la microstruttura dell’ideologia contemporanea, il
centro e la circonferenza, la causa e l’e etto. È ciò che si nasconde e ciò che si mostra; è
ciò che scatena l’agonia di una vita quotidiana colonizzata.

C’è un problema fondamentale che a igge il concetto di spettacolo di Debord inteso


come strumento interpretativo per l’analisi della politica contemporanea; lo spettacolo di
Debord è tropo potente, e un eccesso è anche la sua volontà di spiegare tutto; come ogni
idolo, sembra acquistare vita autonoma. Lo spettacolo è il volto del capitale.

❖ Feticizzazione della sinistra → lo spettacolo potrebbe essere il totem di un gruppo


ristretto; gli autori ci dicono “aspetta e vedrai”, ma naturalmente, come loro stessi
immaginano, è improbabile che questo invito sia accolto.

❖ Adesione di Retort a riti vicini a una certa iconoclastia reazionaria, espressa nel
disprezzo degli autori per la cultura di massa, il consumismo e la modernità →
Retort a erma che gli oggetti non possono realizzare la loro magia se sono
standardizzati.

❖ Condanna di Retort alla modernità, al consumismo, al potenziale tecnico dei nuovi


media e del cyberspazio → in cui è presente un’implicita rottura rispetto
all’attenzione che Marx aveva posto sui modi di produzione come fattore chiave
per individuare il terreno di scontro e ettivo sul quale condurre la lotta politica.
Retort sembra accettare una rappresentazione della cultura contemporanea come
un mondo in cui non c’è altro che un consumismo dilagante, accompagnato da
crescente alienazione e vuoto di senso.

Il peggior momento di A icted Powers, a parere di Mitchell, arriva quando Retort


risponde all’invito di Hal Foster a dire qualcosa riguardo all’arte; la risposta è: “Abbiamo
dato un’occhiata al mondo dell’arte attuale nell’Impero e non vediamo ragioni per
aspettarci granché nello stesso spirito”.

17 - PER UNA SCIENZA DOLCE DELLE IMMAGINI


Quale immagine di scienza è il lo conduttore di questo libro? Si tratta di uno sviluppo
dell’idea di Einstein secondo cui persino una scienza “dura” o “esatta” come la sica
teorica si basa sulle immagini, sui “frutti della propria immaginazione”.

La scienza delle immagini proposta in questo libro è una pratica che considera le
immagini come i mattoni dei nostri mondi psico-sociali. è una scienza che pone le
immagini stesse sotto indagine, come entità formali, materiali e quasi viventi; concepisce
il suo oggetto nei termini di un’entità liminare, situata all’incrocio tra natura e cultura,
linguaggio e percezione, gure e sfondi.

La scienza delle immagini non è una scienza “dura” né una scienza “molle”, ma una
scienza “dolce” che presta la stessa attenzione all’osservatore e all’osservato, al soggetto
e all’oggetto. È per questo che la scienza delle immagini condivide un simile appellativo
con un’altra scienza dolce; ci si riferisce alla boxe, in cui una coppia di contendenti
combatte a passi di danza eseguendo un balletto fatto di tattiche complicate e strenua
resistenza.

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Allo stesso modo, l’incontro con un’immagine o con un’opera d’arte è una scena di
violenza modulata o controllata: le immagini possono o endere, ammaliare, accattivare e
traumatizzare gli spettatori, ed è per questo che sono circondate da così tanti tabù e
superstizioni.

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