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SCHOPENHAUER (1788-1860)

Precursore dell’esistenzialismo

La loso a di Schopenhauer deve attendere più di trent'anni prima di ottenere successo tra il pubblico a
causa dell'enorme successo della loso a hegeliana con il suo razionalismo e a causa del crescente
clima di ottimismo di uso nella società e nella cultura europea, duciosa nel progresso e nella tecnica.

In questo clima culturale non c'era posto per il pessimismo di Schopenhauer con la sua visione tragica
dell'esistenza umana.

A ne ottocento la situazione storica cambia profondamente: si assiste ad una prolungata crisi


economica, al venir meno delle certezze, alla crisi dell'idea di progresso e al di ondersi di spinte
irrazionalistiche.

Tutto ciò permetterà alle idee di Schopenhauer di trovare un terreno fertile e molti uomini di cultura si
rifaranno a Schopenhauer come ad esempio il musicista Wagner e il losofo Nietzsche.

Fenomeno cosa in sé

In polemica con gli idealisti (Fichte, Schelling, Hegel), Schopenhauer si rifà direttamente a Kant.

Gli riconosce il merito di aver abolito i concetti meta sici di Dio, Anima immortale, Mondo,
rinunciando a quella conoscenza dell'Assoluto che gli idealisti pretendono di ripristinare.

Se vi è un in nito che anche Schopenhauer è disposto a riconoscere, va identi cato con la VOLONTÀ, nel
suo tendere "cieco e doloroso" verso la propria a ermazione vitale.

Secondo Schopenhauer Kant ha avuto anche il merito di distinguere fenomeno e cosa in sé.
L'errore di Kant è stato invece quello di ritenere che la conoscenza della cosa in sé è impossibile.

Per Schopenhauer la cosa in sé (il noumeno) può essere conosciuta e si identi ca con la
VOLONTÀ.
Schopenhauer proprio per questo distingue due diverse prospettive conoscitive: quella che ci dà il
mondo come rappresentazione e quella che si apre al mondo come volontà.

Schopenhauer vuole edi care una meta sica dell'esperienza o dell'immanente che si basi su un
sapere concreto relativo alla conoscenza del mondo esterno e reale e non una meta sica del
trascendente basata su deduzioni da principi a priori.

• MONDO COME RAPPRESENTAZIONE: Il soggetto è rivolto verso l'esterno e vuole conoscere il


mondo fenomenico attraverso l'applicazione ai dati sensibili di categorie intellettive che sono: SPAZIO,
TEMPO, CAUSA.

A tale proposito va precisato che in Kant lo spazio e il tempo sono forme a priori dell'intuizione sensibile,
la causa è la forma a priori dell'intelletto.

Schopenhauer invece le de nisce tutte e tre categorie dell'intelletto.

La causalità, è l'unica categoria delle 12 kantiane che Schopenhauer prende in considerazione perché
tutte le altre sono riconducibili ad essa.

La realtà stessa dell'oggetto si risolve completamente nella sua azione causale sugli altri oggetti.

Le cose agiscono le une sulle altre e sono percepibili solo come cause ed e etti.

Rappresentare la realtà signi ca rappresentare l'azione reciproca delle cose nello spazio e nel tempo,
collegare un e etto con la sua causa.

È bene ricordare che spazio e tempo hanno la funzione di determinare il mondo oggettivo formato da
una molteplicità di enti, ciascuno distinto dagli altri attraverso la sua posizione spazio-temporale.

Servono ad individuare le singole cose, operano come principio di individuazione.

• MONDO COME VOLONTÀ: l'uomo si rivolge al proprio intimo colto nel sentimento vivo della
propria corporeità e non indagato conoscitivamente.

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La nozione che fa da ponte tra il mondo come rappresentazione e il mondo come volontà è quella
di CORPO.
L'essenza profonda del nostro io è la volontà di vivere cioè un impulso che ci spinge ad agire.

Il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell'insieme della nostra volontà

(es. l'apparato digerente è l'aspetto fenomenico della volontà di nutrirsi).

Il corpo è la via di accesso alla volontà.

Il mondo come rappresentazione

Schopenhauer sostiene la tesi dell'antico idealismo (Platone) secondo la quale il mondo che cade sotto i
nostri sensi non è il mondo vero ma solo un immagine ingannevole, sogno, parvenza, illusione.

Su questa a ermazione concordano Platone, Pindaro ma anche l'antica saggezza religiosa dell'India
riportata nei Veda.

II mondo dell'esperienza è il "velo della Maya", è illusione.

Il mondo reale (in sé) non viene disvelato ma occultato dalle rappresentazioni cioè dagli oggetti costruiti
dall'intelletto.

FENOMENO: in Kant è qualcosa di empirico, non illusorio, in Schopenhauer è sinonimo di parvenza,


sogno, illusione, quello che l'antica sapienza indiana chiamava il velo di Maya.

Il mondo come volontà

Il corpo è la via di accesso alla volontà: noi siamo consapevoli per un sentimento intimo del nostro corpo
(ad es. quando ha fame o desidera..) di essere volontà.

Giunto ad identi care la cosa in sé con la volontà, Schopenhauer applica per analogia questa intuizione a
tutti gli aspetti della realtà sica.

La natura è studiata dalla scienza in maniera eziologica cioè cercando le cause del mutamento sico.

Ma, tale spiegazione scienti ca si deve arrestare davanti all'ammissione di forze che in se stesse
rimangono incognite come ad es. la forza di gravità.

Di esse ci si limita a constatare le manifestazioni nel mondo fenomenico.

Ammettendo l'esistenza di forze che sfuggono alla sua comprensione, la scienza, deve aprirsi
all'integrazione loso ca.

Ciò induce a pensare che queste forze, di per sé inspiegabili, ma presenti nella natura, devono essere
nella loro essenza identiche alla volontà, la quale ci è nota nell'autocoscienza, anche se non in forma
perfetta.

Si giunge in tal modo ad a ermare che la volontà è INCONSCIA, IRRAZIONALE, UNICA (esiste fuori
dal tempo e dallo spazio), ETERNA, INCAUSATA (senza un perché ed uno scopo).
La molteplicità è il risultato dell'applicazione al mondo delle forme del "principio di ragion su ciente":
SPAZIO, TEMPO, CAUSA.

Schopenhauer spiega poi il ruolo delle IDEE, dicendo che la volontà si oggettiva cioè si manifesta nei
singoli corpi attraverso le idee.

Esse sono i gradi intermedi tra la volontà e i singoli corpi.

I singoli corpi perciò rappresentano la manifestazione fenomenica della volontà stessa.

Il termine idea è ripresa da Schopenhauer nell'accezione data da Platone e non da Kant.


Kant considerava le idee come principi regolativi o metodologici della ragione.

Per Schopenhauer, invece, le idee sono gli archetipi o modelli che guidano la volontà nel suo oggettivarsi.

La volontà di vivere è l'essenza segreta di tutte le cose e si manifesta nel mondo fenomenico secondo
gradi di consapevolezza diversi, si tratta di gradi successivi e ascendenti e sono:

1) NATURA INORGANICA

2) NATURA ORGANICA

3) MONDO VEGETALE

4) MONDO ANIMALE

5) UOMO (solo in lui la volontà diviene cosciente).

Non si tratta di un processo guidato da un nalismo consapevole ma di una spinta cieca in avanti,
irrazionale.

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In Schopenhauer è presente il tema della so erenza universale spiegato dal fatto che, in tutte le sue le
sue manifestazioni, la volontà è caratterizzata dalla con ittualità e la natura stessa, a tutti i livelli, mostra
uno spettacolo desolante di guerra e sopra azione perché la tendenza di fondo è l'autoconservazione.

E' come se la volontà per a ermarsi, divorasse continuamente le proprie stesse oggettivazioni (si parla di
AUTOFAGIA della volontà di vivere).

È la volontà di vivere che sfrutta ogni occasione per a ermarsi senza avere alcuno scopo razionale, tanto
meno la felicità del singolo ecco perché, sollevato il velo di Maya dei sensi ingannatori cioè il

mondo della rappresentazione, appare il vero volto del mondo e cioè la volontà cieca e irrazionale. Dietro
le forme della rappresentazione scienti ca c'è il mondo come volontà.

Dietro l'immagine dell'ordine, sia della natura e sia della società, c'è la lotta sfrenata degli individui, spinti
ad agire in nome dell'egoismo individuale.

La vita è dolore: volere signi ca desiderare e quindi trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di
qualcosa che si vorrebbe avere.

Il desiderio è assenza, vuoto, dolore. Quando un desiderio viene soddisfatto ne subentra un altro e
questo avviene all'in nito.

Quando non subentra subito un altro desiderio sorge la noia che è peggiore dello stesso dolore.
Schopenhauer a erma: "La vita oscilla come un pendolo di qua e di là, tra il dolore e la noia, passando
attraverso un breve e illusorio intervallo del piacere e della gioia".

Il dolore investe ogni creatura ma è l'uomo a so rire di più rispetto alle altre creature perché ha maggiore
consapevolezza e, più di tutti patisce il genio.

Si struttura cosi un PESSIMISMO COSMICO = il male non è solo nel mondo ma nel Principio stesso da
cui il mondo dipende.

Tutto ciò non signi ca inaugurare una loso a del suicidio universale, anzi Schopenhauer condanna il
suicidio poiché la volontà di vivere è in nita e non si lascia annullare nel gesto che riguarda un singolo
individuo.

Per Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione dalla stessa "volontà di
vivere”.

L'uomo può salvarsi seguendo un iter di due tappe e cioè l'arte e la morale, considerate le due vie
di liberazione dalla volontà di vivere.

LE VIE DELLA LIBERAZIONE DELLA VOLONTÀ


Schopenhauer a erma che esistono due vie di liberazione della volontà (intesa come stimolo per
agire).

• ARTE: libera l’intelletto dal servizio alla volontà ma tale liberazione è solo momentanea.

La conoscenza comune si muove nei limiti del fenomeno, è una conoscenza utilitaria.

Non ci fa conoscere le cose in se stesse ma solo in funzione del nostro interesse soggettivo.

La conoscenza dell’artista (del genio) è conoscenza libera e disinteressata, si rivolge alle IDEE e poggia
sull’intuizione. Il soggetto non è asservito ai desideri quotidiani e ai bisogni di volontà.

Si realizza un atteggiamento CONTEMPLATIVO che libera momentaneamente dalla volontà =


FUNZIONE CATARTICA DELL’ARTE.

Tra le arti è la MUSICA che realizza al massimo livello il sublime.

• MORALE: è una forma più compiuta di liberazione.

Solo la ragione pratica cioè la morale libera l’uomo dell’a ermazione della volontà.

Si a erma l’idea della libertà come assenza di necessità in questo senso è intesa come libertà negativa.
(La libertà positiva invece è la libertà di fare o di non fare una determinata cosa).

L’uomo sospende il proprio assenso alla volontà realizzando la VOLONTÀ PACIFICATA.

La liberazione della volontà si realizza in ambito etico attraverso la:

COMPASSIONE: È la capacità di patire con l’altro, sentire il dolore dell’altro come proprio, sopprimendo il proprio
naturale egoismo.

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L’ASCESI: Si realizza la liberazione de nitiva della volontà e si esprime come NOLUNTAS, si ha la liberazione dai
bisogni, dai desideri, l’una volontà liberata che non vuole più nulla. Si entra in uno stati du beatitudine descritto
dagli indiani come NIRVANA.

DE SANCTIS: IL CONFRONTO TRA


SCHOPENHAUER E LEOPARDI
Nel 1858 il critico letterario Francesco De Sanctis (1817-1883) scrive il dialogo Schopenhauer e Leopardi,
in cui gli interlocutori sono l'autore stesso e un suo allievo.

Tema del dialogo: un confronto tra il losofo e il poeta.

In questo scritto a ora Peco degli eventi del 1848, motivo di speranze in Italia, seguite dalla delusione,
che De Sanctis esprime come perdita di ducia nella razionalità e nella loso a, tema questo che riporta
alla loso a di Schopenhauer e alle poesie di Giacomo Leopardi.

Nello scritto emerge il proposito di veri care se, oltre al comune pessimismo, tra i due autori ci sia
un’a nità nella concezione del mondo.

La critica alla loso a, presentata da Schopenhauer, critica che riguarda soprattutto la loso a hegeliana,
tesa a risolvere la realtà nei concetti piace a De Sanctis.

C'è infatti in Schopenhauer il ri uto di ogni prospettiva razionalistica e ottimistica, volta a mascherare il
dolore dell'uomo e del mondo.

La parte centrale del dialogo mette a fuoco la volontà nel suo rapporto con conoscenza, tempo e spazio,
dolore e piacere.

Il tema della vita corne dolore presente in Schopenhauer chiama in causa Leopardi.

Ciò che distingue Schopenhauer da Leopardi è il metodo di indagine che, in uno è loso co,
nell'altro poetico.
Ma le di erenze riguardano anche la concezione della materia: per Schopenhauer essa è
manifestazione di una forza unica e universale che sta oltre i fenomeni; si pone dunque un dualismo
ineliminabile tra il mondo della rappresentazione e il mondo della volontà.

Per Leopardi la materia è il principio di tutte le cose e anche la realtà spirituale è ricondotta ad essa.
Schopenhauer è spiritualista, Leopardi materialista.

Tra loro vi è anche una di erenza politica: l'orientamento conservatore induce Schopenhauer a guardare
con ostilità ogni sconvolgimento politico; la s ducia di Leopardi nel progresso (espresso nelle parole della
Ginestra) si accompagna invece a un'azione di stimolo nei confronti della vita concreta.

Ciò che, al di là delle di erenze, accomuna i due autori é la ri essione sui seguenti temi:

• La critica al progresso;

• L'analisi della noia;

• La denuncia del dolore;

• Il valore della compassione universale;

Ma al percorso di liberazione tracciato da Schopenhauer, che culmina nel nulla del Nirvana, Leopardi
oppone il valore dell'azione contro le "vie di uscita" solitarie, in nome della solidarietà umana.

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SOREN KIERKEGAARD (1813-1855)
Nasce a Copenhagen (Danimarca) in una famiglia dominata dalla religiosità di ispirazione pietistica, che
gli infonde un vivo senso del peccato. Nel 1830 si iscrive all'università presso la facoltà di teologia.

Entra nel seminario pastorale per diventare pastore della chiesa luterana.

Si laurea nel 1841.

Rinuncia però alla carriera ecclesiastica ed inizia un' intensa attività di scrittura.

Fu ignorato in vita e dimenticato per circa sessant'anni dopo la sua morte.

Il pensiero e la personalità di Kierkegaard furono derisi con articoli e caricature comparse sul settimanale
satirico il “Corsaro".

Sarà riscoperto agli inizi del 1900 dalla teologia protestante è, dopo la prima guerra mondiale, sarà
riscoperto dall'esistenzialismo.

È un precursore dell'esistenzialismo ed è considerato il teorico dell'esistenza umana, vista come


possibilità che oscilla tra angoscia e disperazione. Insieme con Schopenhauer è considerato l'altro
grande avversario della loso a idealistica.

A erma che il singolo è superiore al genere ma, nella Ragione hegeliana l'uomo singolo, cioè l'uomo
concretamente esistente, è assorbito e dissolto, per questo occorre criticare l'hegelismo.

La comunicazione d’esistenza

Kierkegaard, nel volumetto dal titolo: Sulla mia attività di scrittore (1851), spiega le modalità attraverso le
quali si è strutturata la sua produzione letteraria.

Nella propria attività di scrittore distingue due modalità comunicative: la comunicazione diretta che
tratta direttamente argomenti religiosi tramite scritti pubblicati con il suo nome e la comunicazione
indiretta che è propria degli scritti pseudonimi: questa è la comunicazione della ri essione e ad essa
appartengono le grandi opere come: AUT AUT, TIMORE E TREMORE, BRICIOLE DI FILOSOFIA, IL
CONCETTO DI ANGOSCIA, STADI SUL CAMMINO DELLA VITA, LA MALATTIA MORTALE ecc.

Gli studiosi hanno raggruppato le sue opere in tre grandi periodi:

1) CICLO ESTETICO;

2) CICLO FILOSOFICO;

3) CICLO RELIGIOSO.

Kierkegaard intende la loso a come esercizio attivo, capace di produrre mutamenti nell'atteggiamento
verso la vita e nei comportamenti.

Maestri di comunicazione sono Cristo che è il suo grande modello in campo religioso e Socrate che è il
suo modello in campo loso co. Infatti Socrate è stato un "pensatore esistente” capace di vivere
secondo le categorie del proprio pensiero e di orientare la ricerca della verità nell'interiorità;

Cristo è la verità stessa che si incarna e si rapporta al singolo, muore in croce per salvare l'umanità.

Kierkegaard è alla ricerca di una scrittura loso ca capace di riprodurre la concretezza e la forma del
dialogare socratico.

Vuole a ermare una loso a che ponga l'attenzione alla tematica della comunicazione e al rapporto tra
pensiero e comunicazione.

Kierkegaard rma i suoi scritti loso ci più importanti con nomi di fantasia, utilizzando pseudonimi che
permettono di presentare diverse scelte di vita.

L'uso letterario dello pseudonimo è un arti cio tipicamente romantico ed ha come obiettivo fondamentale
quello di realizzare la comunicazione indiretta che Kierkegaard considera l'unica in grado di parlare della
verità.

Non si tratta di trasmettere una dottrina compiuta ma di realizzare una COMUNICAZIONE DI


ESISTENZA che ha di mira l'attivazione, nell’interlocutore, di un poter fare.

Anche il Cristianesimo è una comunicazione di esistenza, cioè una comunicazione che

trasforma.

L'uso dello pseudonimo serve a segnalare che, quando si a rontano le verità dell'esistenza, non è
possibile adoperare una comunicazione diretta ed oggettiva come nella comunicazione scienti ca, si
deve invece adottare una modalità indiretta e soggettiva.

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Ciascuno pseudonimo acquista l'autonomia necessaria per rappresentare una possibilità di esistenza.

Esempio di comunicazione impersonale sono i giornali, si tratta di una comunicazione di massa propria
del mondo moderno.

Il giornalista lascia svanire la propria personalità nella stampa.

Essa, rivolgendosi al pubblico, riduce gli uomini a copie, sacri cando l'individualità.

Kierkegaard critica la modernità perché in essa regna l'anonimato ed anche quando compare la rma
nell'articolo scritto, l'autore o il giornalista non reduplicano il loro messaggio nell'esistenza.

Reduplicare signi ca "essere ciò che si dice".

Non si può usare la forma diretta, bisogna invece servirsi della forma indiretta perché è alla personalità
che bisogna arrivare, gli uomini devono diventare attenti alla verità.

La verità è l'autoattività dell'appropriazione e non è approssimazione ad un oggetto.

Kierkegaard dice che “la verità è tale solo quando è una verità per me."

La verità non è oggetto del pensiero ma è il processo con cui l'uomo se ne appropria, la fa sua e la vive.
Alla ri essione oggettiva propria della loso a di Hegel, Kiekegaard, contrappone la ri essione soggettiva
connessa con l'esistenza.

Kierkegaard non ssa mai un risultato, non scrive mai il paragrafo che conclude il sistema.

Il suo intento è quello di sollevare domande e non dare mai risposte.

Il singolo, al quale si rivolge Kierkegaard, dovrà potersi guardare nelle sue opere, nelle possibilità di
esistenza rappresentate in esse "come in uno specchio," riconoscersi o distanziarsi, risvegliare la sua
attenzione, rendersi libero ed attivo.

Gli stadi dell’esistenza

Per Kierkegaard ci sono tre fondamentali STADI SUL CAMMINO DELLA VITA (stadio estetico, stadio
etico e stadio religioso).

Questi stadi non costituiscono un processo dialettico come quello hegeliano che concilia gli
opposti in una sintesi, gli stadi di cui parla Kierkegaard, devono essere considerati come
reciprocamente opposti, non c'è continuità tra loro.
Nello STADIO ESTETICO, l'esteta vive immediatamente il rapporto con la vita come puro godimento,
rifugge da tutto ciò che è ripetitivo e monotono.

Vive nell'istante e nella ricerca continua del piacere.

I miti letterari sono: il Don Giovanni, ripreso dall'omonima opera musicale di Mozart del 1787, il Faust e il

personaggio del seduttore Johannes (protagonista del Diario di un seduttore), creato da Kierkegaard
inserendovi elementi della propria esperienza autobiogra ca.

Don Giovanni rappresenta il potere e il piacere della seduzione immediata, seduce molte donne
senza amarne nessuna, il Faust invece incarna il gioco della conoscenza, egli è alla ricerca della
conoscenza assoluta e per questo dubita di tutto, è seduttore di una donna sola, di Margherita che
conquista grazie alla sua superiorità intellettuale e questo gli permette di trovare un momento di
riposo di fronte al nulla che lo minaccia e al suo scetticismo.

Johannes, in ne, si colloca al polo opposto rispetto a Don Giovanni perché la seduzione diviene
scrittura, forma letteraria.

Johannes non gode del possesso, anzi evita il possesso perché questo comporterebbe la ne del
piacere e l'impegnarsi con la realtà.
In lui esiste solo la rappresentazione della conquista, ciò che lo interessa è l'idea, l'immaginazione,
in questo modo il suo desiderio può rimanere sempre aperto.
Il "Diario di un seduttore", opera che rese celebre Kierkegaard, racconta la trama sottile in cui Johannes

avvolge la giovane Cordelia per conquistarla e poi abbandonarla.

Il limite della vita estetica è la noia.


Il singolo è un puro io immediato, l'esteta vive nell'orizzonte della possibilità in nita senza mai realizzarsi;
l'esteta è qualcosa solo nell'immaginazione perché non ha mai scelto se stesso nella realtà, egli rimane
sempre ciò che è già senza poter mai divenire, la sua vita è priva di durata.

L'esteta, spinto dal puro desiderio sico non è capace di stabilire un legame a ettivo, è condannato a
ripetere atti sempre uguali.

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Di qui la noia, che sfocia in ne nella disperazione.

La vita estetica è perciò dominata dalla

È bene ricordare che “estetico” qui non designa una teoria dell'arte ma una dimensione
dell’esistenza, un modo complessivo di vita.

Designa la vita incentrata sul piacere e mero dei sensi senza preoccuparsi per il futuro.

Lo STADIO ETICO: è caratterizzato dalla scelta e ciò rende possibile l'esperienza della libertà e la
conoscenza di sé. Dal puro io immediato si passa al sé.

Si ha un diverso rapporto con il tempo: la vita etica ha consistenza temporale, ha durata e sviluppo, è
storia.

Questo stadio rappresenta il modello borghese del vivere, centrato sul lavoro, sul matrimonio e sulla
famiglia.

La gura che in “Aut Aut” rappresenta il punto di vista etico è quella del giudice Wilhelm che difende
appassionatamente il valore del matrimonio dalle critiche dell'esteta.

Anche questo stadio si conclude con un fallimento perché scegliere non è altro che conformismo
esteriore.
La legalità diventa routine, riduzione della spontaneità interiore.

A ora un oscuro senso di colpa e la vita etica è destinata a naufragare contro "lo scoglio della
peccaminosità dell’individuo".

La vera scelta etica di sé deve passare attraverso l'accettazione dolorosa della colpa e quindi attraverso il

pentimento.

L'uomo riconosce la propria miseria, superabile solo con la ducia in Dio.

La scelta di abbandonarsi a Dio conduce alla possibilità di scegliere la vita religiosa.

Lo STADIO RELIGIOSO: il senso di colpa latente porta all'esigenza della vita religiosa cioè alla necessità
di fare un salto dall'etica alla fede.

Il simbolo della vita religiosa è Abramo di cui Kierkegaard parla in "Timore e tremore" del 1843.

Secondo il racconto biblico Dio chiede ad Abramo di sacri care il glio Isacco nato quando era ormai
vecchissimo.

Abramo è posto di fronte ad una scelta tra i comandi morali del suo popolo che considerano l’assassinio
del proprio glio come la più aberrante delle atrocità e la volontà di Dio.

Abramo compie la scelta della fede e obbedisce al comando divino.

Sarà l'angelo a fermare la sua mano ed egli riavrà Isacco e sarà in ne riconciliato con Dio.

Nell'opera "Il concetto di angoscia", Kierkegaard esplora, a partire dalla tematica del peccato originale, la

dimensione dell'angoscia come costitutiva dell'esistenza dell'uomo, essa però non è una condizione
esistenziale originaria propria della natura umana in quanto tale, ma deriva dalla possibilità del peccato
che è entrato a far parte del mondo con Adamo.

L'angoscia è il sentimento che deriva all'uomo dalla libertà di potere.

Dinanzi alle in nite possibilità di scelta l'uomo prova un senso di vertigine cioè lo smarrimento di fronte a
possibilità dagli esiti ignoti: l'uomo, infatti, si trova sempre a dover scegliere tra varie possibilità con la
paura di sbagliare. La libertà, o rendo all'uomo diverse alternative possibili, lo paralizza nell’angoscia.
L'angoscia qui descritta è diversa dalla paura dal momento che quest'ultima è legata e si attiva in
presenza di un pericolo o di una situazione ben de nita, mentre l'angoscia non è collegata ad alcuna
realtà speci ca.

L'angoscia si riferisce al rapporto dell'uomo con il mondo, non si può sopprimere ed è condizione di
apertura verso la libertà, perciò più profonda è l'angoscia e più grande è l'uomo.

La critica ad Hegel

Kierkegaard avvia la sua polemica contro Hegel nelle opere "Briciole di loso a" e "Postilla non
scienti ca".
In queste opere ironizza sulla pretesa del sistema hegeliano di o rire la comprensione razionale della
totalità del reale e a erma che un sistema logico è possibile ma non lo è un sistema dell'esistenza.

Infatti nella Logica che è la sfera del pensiero puro non può esserci movimento, mentre l'esistenza è
continuo divenire, movimento, possibilità, scelta, libertà.

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Hegel si è occupato solo degli universali, non dei singoli uomini, ciascuno segnato dalla sua irripetibile
singolarità.

Centrale diventa l'uomo nella sua concretezza: l'uomo nell'atto di elaborare una qualsiasi ri essione,
parte necessariamente dal mondo in cui vive e, solo a partire da questo, costruisce il proprio modo di
essere attraverso una scelta che si e ettua entro un orizzonte di varie possibilità.

Hegel parte dall'astratto e deduce l'essere dal pensiero, vuole assorbire la coscienza nita nel movimento

dell'in nito e dell'Assoluto, perciò la sua è una dialettica quantitativa in cui le di erenze di grado sono
ogni volta ricapitolate nella continuità del processo.

Tutte le contraddizioni si risolvono nella sintesi.

Kierkegaard sviluppa una DIALETTICA QUALITATIVA O DIALETTICA DELL'ESISTENZA in cui ogni

posizione esistenziale è rottura, salto rispetto alle altre.

Si a erma che l'esistenza riguarda sempre una realtà singola ed è quindi movimento, possibilità e non
può essere ricondotta all'universalità del pensiero astratto.

È necessario che ci sia un pensatore soggettivo che parli dell'ambiguità dell'esistenza.

La verità non è qualcosa di oggettivo che deve essere raggiunto ma è ricerca interiore, analisi di sé.

Come avviene il movimento verso la verità?


In Socrate ciascuno porta la verità dentro di sé e l'uomo se ne può appropriare grazie ad un atto di
reminiscenza.

In Kierkegaard, il singolo è fuori dalla verità e per appropriarsene deve analizzare la propria esistenza.

Nell'opera "La malattia mortale" si analizza il concetto di disperazione che viene considerata malattia
mortale perché accompagna tutta la vita dell'uomo ed abita nell'intimo della sua anima, la disperazione
si riferisce al rapporto del singolo con se stesso.
L'io dimora costantemente nella disperazione anche quando non se ne accorge, anche quando crede di
essere felice, essa perciò è considerata la radice della condizione esistenziale propria dell'uomo in quanto
tale.

Chi è disperato sperimenta la morte dell'io non in senso sico, ma perché avverte la totale impossibilità di
rendersi autosu ciente. Alla base della disperazione c'è il fatto che l'uomo non accetta la propria natura
di essere derivato da Dio, di essere posto da altro.

Sa di essere nito ma aspira all'in nito, alla perfezione. Invano si illude di non essere nito attraverso il
pensiero e la fantasia, oppure si rifugia nel nito della temporalità e della mondanità.

La via di uscita dalla disperazione consiste nella decisione eterna del credere, con l'aiuto della fede gli è
consentito di non avvertire la propria insu cienza esistenziale.

La fede tramuta la disperazione in speranza e ducia.

La decisione di credere implica, inoltre, l'accettazione del paradosso rappresentato dalla gura di Cristo.
Il cristianesimo si pone come paradosso, cioè come irrazionale: non è comprensibile
razionalmente il salto nella fede, la fede nasce dalla solitudine, credere è una scelta che l'uomo compie
nella solitudine (es. Abramo resta da solo nell'angoscia di sacri care Isacco.

Anche Gesù muore in croce abbandonato da tutti.

Infatti dirà «Dio mio perché mi hai abbandonato?").

Non esiste continuità o passaggio tra lo stadio etico e quello religioso, si parla di "salto mortale”.

Il cristianesimo è anche scandalo, ha come fondamento l'incarnazione, un Dio che si fa uomo per
salvare ogni singolo individuo e in tal modo Dio si "cala" nella nitezza e nel tempo, diventando
"contemporaneo" dell'uomo, incarna l'eterno venuto nel tempo.

Lo scandalo del Cristianesimo consiste quindi nell'unione di Dio, mediante l'incarnazione, con ogni
singolo individuo.
Che l'in nito si incarna nel nito è una contraddizione che la ragione non può accettare, è uno scandalo.
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