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KIERKEGAARD

VITA E FILOSOFIA
Kierkegaard è contemporaneo di Schopenhauer: simile è il periodo storico, simili le situazioni
problematiche che si ri ettono nelle loro loso e, e il particolare il venir meno dell’ottimismo e
della ducia nella razionalità propri dell’idealismo. Simile è l’attenzione verso l’individuo. Questo
aspetto è particolarmente accentuato nel pensiero di Kierkegaard, tanto che egli viene
considerato come il precursore dell’esistenzialismo.
Per una migliore comprensione della gura di Kierkegaard è utile dare uno sguardo alla situazione
della chiesa danese e dei suoi rapporti con alcune gure. La concezione di matrice agostiniana
del cristianesimo, che dà grande importanza alla dimensione interiore della religiosità, pone
Kierkegaard in aperto contrasto con la gerarchia ecclesiastica e con la religione istituzionale.
Kierkegaard rimprovera i compromessi con il potere politico, vorrebbe, al contrario, un
cristianesimo rigoroso senza alcun accordo con lo stato. Secondo Kierkegaard il cristianesimo
non va spiegato o capito, ma vissuto, e deve diventare il fulcro dell’esistenza del credente.
La sua loso a muove da una critica al sistema hegeliano e propone un recupero del piano
dell’esistenza sia come a ermazione del singolo come unica realtà, sia come categoria, cioè
come concetto in base al quale pensare ed interpretare la realtà stessa.
Kierkegaard non è un pensatore sistematico; la sua loso a è una ricerca interiore che può essere
paragonata a quella agostiniana.
In generale il limite dell’idealismo è l’incapacità di cogliere la realtà della vita concreta,
l’esistenza ,poiché il singolo non può essere dedotto dall’universale.
Kierkegaard nacque a Copenaghen nel 1813. La gura del padre ne condiziona pesantemente
l’infanzia. Egli si caratterizza come un uomo rigido e severo, e tra i due s’instaura un rapporto di
amore ed odio, e Kierkegaard lo accusò persino di aver tradito la moglie, e le colpe per aver
attirato a sé il castigo divino. Dapprima viene avviato agli studi di teologia, un pastore luterano,
intraprendere la carriera nella chiesa luterana.
Negli ultimi anni di università è segnato da una delle esperienze più intense e più so erte della sua
vita, che tenterà di spiegare in molte pagine del ‘diario’. Si tratta del rapporto con Regina Olsen,
che lascia dopo appena un anno di danzamento.
Nel 1842 si trasferisce a Berlino e segue le lezioni di Schelling ed Hegel, dai quali tuttavia ne prese
le distanze, e rimase isolato rispetto al contesto culturale tedesco.
Tornerà in ne a Copenaghen dove si dedicherà esclusivamente alla stesura dei suoi libri.
Suddividiamo le opere di Kierkegaard in tre grandi periodi: il ciclo estetico, quello loso co ed
in ne quello religioso.
Nel suo pensiero la fede e la religione sono quasi protagoniste. La sua è una religione autentica,
segue il luteranesimo, ed entrò in polemica con i vertici della chiesa danese. Li attaccò fortemente
poiché erano corrotti si interessavano a questi politiche, al prestigio e alle ricchezze. Per protesta
in punto di morte ri utò i sacramenti. Per Kierkegaard la fede è qualcosa di intimo che mette
direttamente in contatto l’uomo con dio.
Kierkegaard era solito rmare i suoi scritti con degli pseudonimi. Utilizzando nomi di erenti egli
racconta esistenze diverse.
Le opere più importanti del primo ciclo sono Aut-aut, Timore e tremore e il concetto
dell’angoscia.
La terza opera del ciclo religioso, i discorsi edi canti, è l’unica a portare la sua rma come
autore.
Egli illustra il cammino che dalla ri essione sulla condizione umana conduce verso la fede, come
unica soluzione della contraddizione dell’io con se stesso.
La critica a Hegel è radicale, perché ciò che Kierkegaard suggerisce non è una revisione
dell’idealismo, ma un totale mutamento di prospettiva: al pensiero oggettivo viene contrapposto il
pensiero soggettivo. La diversità tra i due tipi di pensiero è particolarmente evidente sul piano
della logica. Il pensiero oggettivo supera la contraddizione nella sintesi, per cui i diversi momenti
della dialettica costituiscono realtà parziali che solo se ricondotte a un’unità hanno signi cato. Sul
piano dell’esistenza la contraddizione fra realtà parziali non si risolve, ma impone una scelta tra
alternative inconciliabili. Tale scelta si presenta come irreversibile, poiché il tempo del singolo è
nito e lineare, e determina anche ciò che l’individuo sarà. Si presenta quindi come una scelta tra
possibilità che si escludono a vicenda, senza mediazioni, come un aut-aut. La concezione di
Kierkegaard richiede di de nire le categorie stesse mediante cui l’esistenza può essere pensata.
Le categorie del pensiero soggettivo sono il singolo e la possibilità. Singolarità e possibilità sono
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categorie dell’esistenza, non derivano dall’esterno, ma soltanto dall’interno. L’uomo è chi sceglie
di essere, le scelte che facciamo condizionano anche chi siamo.
Kierkegaard si colloca nell’ottica agostiniana della ricerca interiore.

GLI STADI DELL’ESISTENZA


L’individuo, considerato in quanto singolo, trova davanti a sé alternative diverse, riconducibili a
due di erenti modelli esistenziali, che Kierkegaard descrive in Aut-aut: quello estetico o quello
etico. Ad essi se ne aggiunge un terzo, quello religioso, che però è trattato in un’altra opera,
Timore e tremore.
Questi tre modelli di vita possono essere considerati stati dell’esistenza, cioè modi d’essere che
permangono per tutta la vita dell’individuo o anche stadi, cioè momenti, fasi della vita del singolo.
I primi due sono autocontraddittori, dialettici e implicano un proprio superamento. La dialettica
di cui parla Kierkegaard è profondamente diversa da quella hegeliana, perché il superamento non
viene visto come una sintesi, ma si esprime nella forma di antitesi, poiché le di erenze tra i diversi
momenti rimangono. Nel momento in cui si sceglie uno stadio vi è una rottura con l’altro,
un’esclusione.
Lo pseudonimo con cui Kierkegaard rma l’opera è Victor Eremita. Nella nzione costui ha trovato
per caso, in uno scomparto segreto di uno scrittoio due pacchi di carte, diversi sia all’apparenza
sia per il loro contenuto.
Il primo gruppo di carte contiene scritti di estetica su vari argomenti. Il secondo gruppo, invece,
comprende due saggi di argomento etico.
Dalle prime carte emerge la caratterizzazione dell’esteta, impersonato da una molteplicità di
gure, quali quella di Don Giovanni, di Faust ecc. i diversi personaggi rappresentano altrettanti stili
di interpretazione della vita estetica. L’esteta è colui che non sceglie, che si lascia vivere
ri utando di assumere ruoli o responsabilità sociali, che passa di esperienza in esperienza senza
mai de nirsi come identità stabile. In questo modo egli non si costruisce come persona, con
costruisce un proprio io, ma vive nell’istante.
Tra le molte gure che Kierkegaard descrive la più famosa è quella del Don Giovanni. Don
Giovanni non ama nessuna donna in particolare, ma tutte le donne, la sensualità in quanto tale. Il
suo obiettivo è quello di conquistare le donne, e dopo aver attuato il progetto di conquista le
abbandona. Il seduttore non ha continuità e per questo non ha neppure una individualità; di
conseguenza la seduzione resta il solo modo in cui l’esteta riesce ad a ermare il proprio essere.
L’esteta si disperde nelle esperienze, non costruisce se stesso. Questo modello di vita porta alla
noia, poiché è come se si rimanesse sospesi, e si nisse a non scegliere neanche se stessi.
Lo stadio etico è esempli cato mediante la descrizione di un solo personaggio, il giudice
Wilhelm. Lo stadio etico è una possibilità esistenziale che si contraddistingue per la sua ssità,
per l’assunzione di ruoli e di compiti che realizzano in modo univoco l’individuo. Vivere eticamente
vuol dire essere cittadini, padri, mariti, assumere e far propri tutti quei compiti e quelle
responsabilità che fanno di noi un preciso tassello della struttura sociale. Il giudice vive secondo
le convenzioni, è conformista, accetta le regole stabilite dalla società. Chi vive eticamente sceglie
la propria vita e in questo modo de nisce se stesso, costruisce un’identità. In virtù della scelta ha
istituito la personalità. Tuttavia anche lo stadio etico è contraddittorio. Poiché innanzitutto questo
modello di vita porta all’insoddisfazione, poiché dettato da scelte inautentiche, e l’identità viene
costruita sulla base di regole e ruoli imposti dagli altri, dunque l’individuo si costituisce in quanto
essere sociale. Inoltre l’emergere della personalità nello stadio etico conduce immediatamente al
riconoscimento di fronte a Dio e quindi consapevolezza della propria natura limitata e della
propria inadeguatezza. Questa presa di coscienza porta all’esperienza del pentimento.
Nel momento in cui l’individuo raggiunge la consapevolezza di sé, la contraddizione connaturata
in lui, quella tra anima e corpo, invece di essere risolta, diviene contraddizione cosciente:
l’individuo si sa nito, ma aspira all’in nito. La contraddizione resta irrisolta e genera la
disperazione, la malattia mortale.
L’esistenza è dunque per Kierkegaard contraddizione irrisolta e irrisolvibile, perché in essa o
l’individuo rinuncia a costruire il proprio io, e quindi nisce per non essere, o si riconosce come
persona, ed entra in contrasto con se stesso. La contraddizione non può essere risolta, ma, può
essere superata. Il superamento può avvenire solo con un salto qualitativo: questo salto è la fede.
La dimensione religiosa non è un passaggio dallo stato etico, perché la religione è incomprensibile
e a-razionale, è paradosso.
La fede è simboleggiata dalla gura di Abramo, che riceve da Dio l’ordine di immolare in sacri cio
suo glio Isacco. La vicenda di Abramo è incomprensibile al di fuori della fede, perché con il
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sacri cio del glio si pone al di fuori dell’etica. La sua è una fede autentica, poiché si consegna
nelle mani della volontà di Dio. La sua scelta è derivata dal rapporto con Dio come persona.
L’esigenza per l’uomo di compiere questo salto viene ricondotta all’angoscia. Essa non è una
condizione esistenziale originaria, ma deriva dalla possibilità del peccato.
L’angoscia fa parte dell’uomo nel momento in cui acquista coscienza di sé, ponendo l’uomo di
fronte a se stesso, alla consapevolezza della propria libertà. Per gli esistenzialisti non è positiva.
La libertà appare come un peso, una condanna perché pone l’uomo dinanzi alle proprie
responsabilità. L’angoscia è completa responsabilità del proprio destino, che si manifesta con
l’aprirsi delle in nite possibilità, tra cui anche quella del peccato. L’individuo è solo di fronte alle
proprie scelte, ma nello stesso tempo è insu ciente a se stesso.
L’angoscia, per Kierkegaard, è un sentimento peggiore della paura, di cile da de nire, perché
comporta un senso di smarrimento e di disorientamento.
L’angoscia è preparazione alla fede e deriva dal peccato. Prima che il peccato entri nel mondo
l’uomo vive in uno stato di innocenza: egli non è un peccatore, perché non può scegliere, ma in
quanto non può scegliere non è libero e non è quindi un individuo. Il divieto divino dà all’uomo la
possibilità di scegliere di infrangerlo: questa libertà suscita l’autoconsapevoelzza, perché fa si che
l’uomo si riconosca come individuo capace di scegliere. La possibilità di peccare espone l’uomo
all’eventualità della colpa e della dannazione.
Per questo l’uomo è un essere paradossale: se non potesse peccare non sarebbe ‘io’, ma in
quanto può peccare è preda dell’angoscia. L’angoscia è la vertigine che ci prende guardando un
abisso, di cui non si vedono i limiti, cosi come non si possono vedere le conseguenze di una
scelta.
La possibilità del peccato apre l’individuo alla possibilità della fede. Adamo diviene individuo nel
momento stesso in cui sceglie e lo stesso avviene per ogni uomo.
Il primo momento della coscienza di sé produce la disperazione. Si tratta di uno stato
esistenziale insito nella natura umana, alla cui trattazione è dedicata l’opera la malattia mortale. La
fede viene indicata come l’unica via d’uscita possibile dalla contraddizione irrisolta che è
l’esistenza del singolo. La disperazione è avvertire se stesso come insu ciente e non potere
andare oltre se stesso, è come vivere la morte dell’io. È la consapevolezza dell’io e al tempo
stesso della sua impossibilità a realizzarsi. Tuttavia, secondo Kierkegaard, la disperazione è
positiva perché lascia una sola via di uscita, la fede, e costringe a cercarla. La fede non può
essere giusti cata né dalla ragione né dalla logica. Essa è un ‘salto mortale’, una scelta che
l’uomo fa per superare la disperazione, una scelta motivata dal fatto che la fede è avvertita come
una risposta alle proprie contraddizioni.
Scegliere la fede non signi ca liberarsi dell’angoscia e della dispersione, ma implica
sottomissione alla volontà di dio. Le scelte della fede sono spesso in contrasto con la natura
umana, con la sua legge e la sua morale. Per seguire la fede bisogna rinunciare alla propria
individualità e al proprio io. Non crede ad una fede fatta di riti, di esteriorità, di regole. La fede è
intima, personale, è il diretto contatto con l’in nito, con dio. Pone in gioco se stesso ed il suo
pensiero sulla religione e sulla fede. E etto maieutica, tirar fuori, la fede aiuta a tirar fuori la propria
identità, la propria natura. La fede è dunque la scelta più autentica.
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