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Canto VI

Ci troviamo nel cielo di Mercurio le cui anime sono quelle che in terra agirono bene per ottenere
gloria e fama, per questo, cioè per non essersi indirizzate subito al bene divino, esse occupano un
cielo così basso rispetto all’empireo, ma ciò non signi ca che la loro felicità sia imperfetta. Caso
unico nella commedia, il canto è occupato per intero da un discorso diretto, quello dell’imperatore
Giustiniano.
Il canto sesto del paradiso è direttamente collegato ai canti sesti dell’inferno e del Purgatorio.
Nell’inferno Ciacco aveva condannato la corruzione di Firenze, nel Purgatorio il poeta Sordello da
Goito aveva pronunciato un’amara invettiva contro l’Italia degradata, ora l’imperatore Giustiniano
pronuncia un lungo monologo in cui espone la storia provvidenziale del potere di Roma per
dimostrare l’insensatezza dei comportamenti sia dei guel che dei ghibellini, i quali per meschini
interessi di potere ostacolano il realizzarsi del disegno divino nella politica imperiale. per questo il
canto di Giustiniano è strettamente collegato agli altri due canti politici, nell’articolarsi di un
discorso strutturato in una sorta di climax ascendente, dal Comune, alla nazione, all’Impero.
Ma perché proprio Giustiniano? Dante fa dell’imperatore romano un modello, un exemplum, il
restauratore dell’unità imperiale sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, con il Corpus iuris civilis
riorganizzò l’intero corpo delle leggi romane uni candole e fornendo fondamento al diritto di tutto
il mondo; in secondo luogo, Giustiniano ha realizzato l’unità religiosa, ripudiando l’eresia
mono sita che separava la cristianità d’oriente da quella d’Occidente; in ne, egli ha mirato
all’unità politico territoriale con le guerre condotte per il ricongiungimento dell’Italia e dell’Africa
settentrionale all’impero.
L’impegno politico e quello religioso in Giustiniano si corrispondono e l’imperatore diventa così
strumento della provvidenza divina.
Giustiniano descrive sinteticamente l’intera storia del potere e dell’Impero romano, nella forma di
uno straordinario volo, quello dell’Aquila che nella cultura classica è il simbolo della giustizia di
Giove e storicamente costituisce l’insegna del legittimo potere di Roma. Il monologo di
Giustiniano parte dalle sue origini Troiane per giungere no a Carlo Magno al ne di confermarne
la sacralità e la provvidenzialità. Si so erma in modo particolare a trattare le imprese di Cesare, di
cui racconta la conquista della Galia e la guerra civile con Pompeo che avrebbe poi condotto alla
caduta della Repubblica e alla nascita dell’impero, e di Augusto, che paci cò l’impero a nché
fosse pronto ad accogliere l’evento decisivo per i destini dell’umanità intera cioè la nascita di
Cristo, con la conseguente di usione universale del cristianesimo, per giungere poi al momento
centrale della storia dell’umanità e della sua redenzione, la morte di Cristo sotto Tiberio.
L’excursus assume l’aspetto di una epopea grandiosa dove ogni personaggio è sempre e soltanto
uno strumento di Dio, in quanto le azioni terrene sono vista dalla prospettiva del cielo. Dante
esprime in questo canto la propria ri essione sul senso della storia e sulla funzione delle due
massime autorità, l’impero e il papato.
L’autore aveva già a rontato tale tema nel De monarchia in cui aveva a ermato la necessità di
una monarchia universale e di un imperatore al di sopra di tutti regnanti, supremo arbitro tra le
loro contese, garante della giustizia, attraverso lo strumento delle leggi. Nell’opera Dante aveva
poi dimostrato come l’autorità imperiale fosse stata concessa da Dio nel suo disegno
provvidenziale al popolo romano a cui era stato a dato il compito di uni care e paci care il
mondo per renderlo adatto ad accogliere il messaggio di Cristo e aveva poi a rontato un tema di
stringente attualità, quello dei rapporti tra impero e chiesa, attraverso l’elaborazione della famosa
teoria dei due soli: i due poteri sono autonomi, entrambi derivano direttamente da Dio, ma se
l’impero ha come ne la felicità dell’uomo in questa vita, la chiesa ha invece come ne il
raggiungimento della beatitudine eterna. Rispetto al De monarchia, però è molto più evidente il
rapporto tra storia umana e disegni provvidenziali ed è più chiara la convinzione che l'impero non
è autosu ciente, ma esiste in funzione della chiesa.
La giustizia e la provvidenza non operano soltanto nella storia universale ma anche in quella
individuale. è questo il signi cato dell’episodio di Romeo di Villanova, che chiude il canto, in una
sorta di pausa lirica sentimentale. Nella gura del pellegrino Romeo, virtuoso cortigiano del
signore di Provenza, Raimondo Berengario IV, che egli servì con onestà e disinteresse, per poi
essere calunniato a causa dell’invidia altrui e costretto ad andare mendicando (mendicando sua
vita a frusto a frusto), è evidente, infatti, il riferimento autobiogra co del poeta: anche lui si era
dedicato con amore e disinteresse alla vita politica della sua Firenze e si era poi trovato calunniato
e condannato all’esilio, dipendente dalla generosità e bene cenza dei vari signori che lo
ospitarono.
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