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GIOVANNI PASCOLI

1.La vita: tra il nido e la poesia

Giovanni Pascoli nasce nel 1855 nella provincia di Forlì, quarto di dieci fratelli. La sua infanzia fu
segnata dall’assassinio del padre il 10 agosto 1867, che verrà impunito e cercherà personalmente i
colpevoli e il motivo, ma invano. Morti anche due fratelli e la madre, lascia il collegio di Urbino e si
trasferisce a Rimini per occuparsi degli altri fratelli.

Dopo aver vinto una borsa di studio all’università di Bologna, partecipa a una manifestazione contro
il Ministro della pubblica istruzione, che provocherà la perdita della borsa e quindi abbandonerà gli
studi. Dopo aver partecipato ad un’altra manifestazione nel 1879, passa alcuni mesi in carcere a
Bologna

Poi riprenderà gli studi e si laureerà in letteratura greca nel 1882. dopo la morte del fratello
maggiore, diventa il capofamiglia e punta alla costruzione del nido famigliare. Si stabilisce a Massa
con le due sorelle Ida e Maria, per le quali nutrirà una gelosia morbosa, tanto che andrà ad abitare a
Castelvecchio con Maria, la quale, dopo la morte di Pascoli, diventerà la curatrice degli inediti e
l’erede letteraria.

Dopo aver insegnato in diversi licei d'Italia, nel 1895 viene nominato professore di grammatica greca
e latina all’università di Bologna. Insegna poi dal 1897 al 1903 all’università di Messina quindi a Pisa
e in ne dal 1905 a Bologna dove eredita la cattedra che era stata di Carducci.

Muore a Bologna il 6 aprile 1912, poco dopo aver pronunciato l’importante discorso La grande
Proletaria si è mossa, dedicato a sostenere l’impresa coloniale Italia a in Libia.

La partecipazione di Pascoli alla vita culturale fu costante ma senza momenti clamorosi. Le sue
collaborazioni alle riviste prestigiose del periodo riguardarono soprattutto argomenti letterari, ma
senza fuggire dall’intervento politico. Accanto all’insegnamento e alla gelosa custodia degli a etti
familiari trova posto nella vita di pascoli soprattutto la poesia.

2. La poetica del fanciullino e l’ideologia piccolo-borghese

La poetica del fanciullino presuppone una duplicità: da un lato il fanciullino è presente e


potenzialmente in ogni uomo, dall’altro solo il poeta conosce il privilegio di farlo rivivere e di farlo
parlare dentro di sé.

Nel 1897 Pascoli pubblica, sulla rivista orentina “Il Marzocco”, una prosa dal titolo Il fanciullino, che
rappresenta un discorso programmatico sulla sua poetica. Il poeta coincide con il “fanciullino”,
ovvero quella parte infantile dell’uomo, sottratta alla logica ordinaria e alla prospettiva comune , che
negli adulti tende ad essere so ocata. Il fanciullino vede ciò che passa inosservato, individuando
accordi segreti, legami inconsueti tra le cose. La poesia è il luogo in cui l’uomo dà voce al fanciullino
che è in lui e lo lascia parlare.

Il simbolismo pascolano indica la strada della rivelazione di una verità segreta e la chiave d’accesso
appartiene solo al poeta. Il simbolismo punta alla valorizzazione del particolare, nel quale si trova
“l’e uvio poetico delle cose”. La sua poetica del particolare simbolico lo porta a scavare all’interno
della realtà e a valorizzare gure retoriche come l’onomatopea e il fonosimbolismo.
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Tra ideologia e poetica c'è uno stretto rapporto in Pascoli; egli crede ancora in una funzione sociale
e morale della poesia: essa può essere una possibile paci cazione dei malcontenti sociali, poiché è
il sentimento poetico che rende il contadino appagato della sua capanna, e il borghesoccio dalla
sua casa ammobiliata, inibendo il desiderio di cambiamento con un "soave e leggero freno". Si
esprime qua il sentimento di precarietà della piccola borghesia italiana negli anni tra Crispi e Giolitti.

L'adesione a questa ideologia è resa esplicita attraverso il discorso a favore della colonizzazione
libica (la grande proletaria si è mossa), in nome della necessità del popolo italiano di trovare un
rimedio alla piaga dell'emigrazione, trovando nuovi spazi di lavoro. La superiorità culturale italiana
avrebbe addirittura giusti cato il fatto come gesto di civiltà.

T 1: IL FANCIULLINO

Il fanciullino che esiste dentro di noi tutt'uno con noi stessi nch dura l'et infantile; in seguito noi
cresciamo e nuovi desideri si fanno strada: il fanciullino sopravvive anche nell'uomo adulto,
rimanendo quel che , ma per l'uomo pi di cile udirlo perch so ocato da altri desideri e da
altre occupazioni. La distanza si accorcia nuovamente nella vecchiaia, quando l'uomo ormai maturo
riscopre il fanciullo che in s , dialoga con lui componendo una dolce armonia.

Il poeta come un fanciullo in grado di intendere il signi cato profondo delle cose, di scoprirne
somiglianze e analogie nascoste, capace di stupirsi e non ha vergogna di manifestare i propri
sentimenti (brividi, lacrime, tripudi). L'uomo adulto moderno ha in gran parte perduto queste qualit :
con la crescita e la maturit (intellettuale e sessuale) altri ordini di desiderio si sono a acciati nella
sua vita portandolo a so ocare quella parte infantile che nella poesia pu invece trovare libera
espressione. Il poeta pu quindi guardare al mondo come un fanciullo per cui tutto una nuova
scoperta. Egli si sottrae alla logica ordinaria, alla prospettiva comune, grazie alla propria attivit
fantastica e simbolica. Sebbene siano stati evidenziati dalla critica i limiti relativi alla consapevolezza
teorica pascoliana e alla sua volont programmatica di inserirsi nel rinnovamento avviato dalla
poesia simbolista francese, Il fanciullino rappresenta di fatto una rilettura in chiave intimistica della
cultura simbolista europea e una delle principali dichiarazioni di poetica dell'intero decantesismo
italiano, gi proiettata verso esperienze novecentesche.

Il fanciullino è un testo programmatico in cui l’autore esprime la propria visione del mondo e la
propria concezione poetica. Gli studi e i progressi scienti ci hanno aumentato la conoscenza
dell’uomo privandolo della sua sponanetià, della capacità di meravigliarsi e commuoversi. Pur non
avendo studiato il fanciullino sa molte più cose dell’uomo adulto. È una sapienza non convenzionale
che permette di guardare con occhi nuovi un mondo vecchio. Filtrata dall’intuiozne, la realtà appare
come nuova perché svelata nel suo senso profondo. I progressi della scienza e le conquiste
tecnologiche non sanno dare ragione dell’essenza profonda della natura. Il pensiero razionale
produce una conoscenza specialistica e pragmatica che non soddisfa i bisogni intimi della
coscienza. Per questo è necessario scoprire la propria parte infantile.

- Il fanciullino sopravvive all’interno di ogni individuo potenzialmente ma si esprime attraverso la


voce del poeta. Solo il poeta sa rinunciare alla propria dimensione di normalità per ascoltare
quella componente nascosta che per altri è inutile. Il fanciullino porta su di sé un destino di
elezione: la poesia è l’univo stremente capare di svelare la verità.

- Per Pascoli, la poesia deve rinunciare a un intento ideologico e sociale. Essa può ottenere e etti
utilità morale e collettiva.




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3. Myricae

-Composizione storia del testo; il titolo

La critica ha individuato la parte più viva e intensa della produzione poetica pascoliana nelle
raccolte Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio. Per esse esiste una unità di fondo
dell'ispirazione, che vede una tendenza lirico-simbolica (Myricae, Canti di Castelvecchio) e una
narrativa (Poemetti) spesso intrecciate. Si è perciò parlato di un «rapsodismo» di Pascoli, cioè della
tendenza a lavora- re contemporaneamente a più generi di scrittura.

I testi compresi nell'edizione de nitiva di Myricae furono composti nell'arco di oltre un ventennio, e
cioè tra il 1877 e il 1900. La prima edizione esce nel 1891 e contiene solo 22 poesie. Nella quinta e
de nitiva edizione (1900) sono contenuti 156 testi ripartiti in 15 sezioni.

Il titolo Myricae corrisponde all'italiano "tamerici" ed è tratto da un luogo delle Bucoliche virgiliane
riportato quale epigrafe al volume: «Arbusta iuvant humilesque myricae» [piacciono gli arbusti e le
basse tamerici. Il riferimento tematico del titolo implica l'enunciazione di una poetica del "basso",
del comune; mentre il rimando classico a Virgilio comporta una compresente ricerca di
sostenutezza.

-i temi: la natura e la morte, l’orfano e il poeta

Nella Prefazione scritta da Pascoli per la terza edizione di Myricae il poeta a ronta due temi centrali
nel libro:

1. quello della morte del padre (con le connesse sciagure familiari)

2. quello della natura quale consolatrice bene ca.

È esplicita la volontà dell'autore di costruire un contrasto tra le vicende dolorose della storia e la
dimensione paci catrice della natura. Tuttavia questo sistema corrisponde solo in minima parte alla
realizzazione e ettiva dell'opera. Infatti se il tema della morte e del dolore si conferma centrale da
ogni punti di vista, il tema del rasserenamento naturale si presenta più complesso.

Il tema della morte è il gran protagonista dell’opera. Ne dà l’annuncio IL GIORNO DEI MORTI, che
immagina che tutti i morti della famiglia abbiano formato nel cimitero una nuova unità famigliare, più
autentica e profonda di quella serbata dai pochi superstiti. Questi sono rappresentati in una
condizione indifesa e minacciata. Si delinea poi un mito che prende posto accanto a quello della
uccisione del padre.

La natura anche è attraversata da questo incubo mortuario. La situazione tipica presenta una serie
di eventi naturali, in parte solare, positiva e in parte notturna, negativa e da questa ambivalenza
deriva una sospensione provvisoria del senso, che deve decidersi per una strada o per l’altra. Si
opta per la strada dell’inquietudine. Myricae non si dà una vera e propria conclusione unica.
Semmai si deve registrare il valore assegnato dalla posizione conclusiva a un testo come ULTIMO
SOGNO, in cui il raggiungimento della serenità coincide con un’immagine funebre.

-La poetica di Myricae: il simbolismo impressionistico

La poesia pascoliana, e in particolare quella di Myricae, appare divisa tra tradizione e


sperimentalismo. Al rispetto della tradizione rimandano le forme metriche chiuse e a volte desuete,
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nonché un'idea della poesia quale attività privilegiata di conoscenza, a cui corrisponde una funzione
sociale del poeta ancora prestigiosa. Testimoniano lo sperimentalismo pascoliano, invece, la ricerca
di un rapporto nuovo (di tensione, non di equilibrio classico) tra metrica e stile, l'apertura a un
lessico inedito nella lirica (concreto, tecnico e regionale), la contiguità con le nuove tendenze del
Simbolismo europeo.

Lo stesso Pascoli ha rivendicato la necessità, per il poeta, di essere preciso nella rappresentazione
della realtà, a dandosi ai nomi concreti delle cose. Di qui la scelta di un vocabolario, in riferimento
alla ora e alla fauna (ma anche ai mestieri agricoli), che non ha l'eguale della nostra letteratura per
esattezza e pertinenza. Questa ricerca di verità si esprime anche per mezzo di onomatopee e di
fonosimbolismi . Vi è cioè uno scavo volto a valorizzare il particolare singolo, a dargli risalto. E
anche per questo che i nomi (il lessico) detengono la maggiore responsabilità espressiva. Ma pur
essendo la poesia di Myricae tutta protesa alla de nizione precisa dei singoli particolari, non si può
parlare di realismo.

Vi è, da una parte, la ricerca positivistica della verità puntuale, del referto obiettivo; ma vi sono
soprattutto, dall'altra, la valorizzazione del frammento, e dunque la giustapposizione dei singoli
fenomeni da un punto di vista fortemente soggettivo. Al centro dell'interesse non sta la realtà ma il
soggetto lirico.

E per questo che il simbolismo di Myricae, è subordinato a un criterio impressionistico: a essere


registrata è innanzitutto l'impressione del soggetto davanti ai fenomeni. Può così accadere, al limite,
che un testo tutto dedicato a descrivere un fenomeno naturale costituisca in realtà il corrispettivo di
un evento biogra co e da esso tragga la propria caratterizzazione espressiva

Per de nire il simbolismo di Myricae è necessario so ermarsi sulla sua natura allusiva, sospesa e
aperta. I particolari naturali che il poeta giustappone denunciano una carica segreta di angoscia
(che è nel soggetto) e un mistero insolubile (che è nelle cose). La natura inquietante e l'a acciarsi
continuo del tema mortuario dipendono anche da questo atteggiamento di fondo.

- Le forme: metrica, lingua, stile

Le scelte formali riscontrabili nel libro ne confermano a tutti i livelli la natura complessa e per certi
versi contraddittoria.

Per quanto riguarda la metrica, si riscontra una fedeltà alle forme chiuse e ai metri regolari della
tradizione e d'altra parte una tendenza a forzarli, a rinnovarli e a personalizzarli, no a suscitare
forme nuove e inedite. Si può dunque parlare di uno sperimentalismo all'interno della tradizione.
Quanto alla scelta dei metri, si nota la predilezione per il novenario, eccezionale nella nostra
letteratura dopo la condanna dantesca e criticata anche dai contemporanei di Pascoli. La metrica
ha nel libro anche una funzione di catalizzazione tematica e strutturale.

Il trattamento dello stile è strettamente organico alle soluzioni metriche. La prevalenza dello stile
nominale, fondato su una paratassi a data a periodi perlopiù brevi o brevissimi, è per esempio
determinante per l'e etto di frammentazione del ritmo. In generale, si riscontra anche nella
organizzazione del periodo la stessa tendenza a valorizzare i particolari che si registra nel rapporto
con la materia rappresentata.
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Tra le gure foniche dominano l'onomatopea e il fonosimbolismo, espressione di una ducia nel
potere di rivelazione immediata del nome e nel suo rapporto essenziale e non convenzionale con la
cosa signi cata; tra le gure di signi cazione dominano la metafora e la sinestesia,

Pascoli allarga il lessico in direzioni generalmente poco frequentate dalla nostra poesia: piante,
animali (e soprattutto uccelli), oggetti del lavoro (in particolare agricolo) ricevono per la prima volta
diritto di accesso entro l'istituzione letteraria. In Pascoli vi è una ducia nel valore evocativo e
nell'immediatezza semantica del nome che non si ri-roverà nella maggior parte dei poeti successivi,
se non in Ungaretti e negli ermetici, e cioè negli eredi di quella tradizione simbolista cui, sia pure
originalmente, appartiene anche Pascoli.

T3: LAVANDARE

La lirica descrive le sensazioni del poeta che, mentre i campi sono avvolti dalla nebbia, sente in
lontananza i suoni provenienti dal lavatoio e i lunghi canti delle lavandaie.

- Nella prima strofa viene descritto un campo immerso nella nebbia su cui spicca un aratro
abbandonato. Dominano i colori spenti: il campo viene descritto infatti come mezzo grigio e
mezzo nero.

- Nella seconda strofa viene descritto il rumore dei panni che vengono lavati nell’acqua e il canto
delle lavandaie. Qui prevalgono le sensazioni uditive (suono dei panni, il canto triste, il tonfo).

- Nella terza strofa viene riportata la canzone cantata dalle lavandaie che parla di una giovane
donna abbandonata dall’innamorato e che è rimasta sola come l’aratro in mezzo al campo. La
lirica è quindi circolare: si apre e si chiude con l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato che
rappresenta la solitudine. Questa scena descritta nella poesia serve proprio a trasmettere la
sensazione di abbandono e malinconia che rinvia proprio al poeta stesso: egli si sente
abbandonato dai suoi cari perché è rimasto orfano del padre e la sua vita è stata funestata da una
serie di lutti. Il paesaggio diventa quindi un simbolo per raccontare il proprio stato d’animo.

La poesia Lavandare si caratterizza per il ritmo lento, quasi da cantilena, l’utilizzo di molte
allitterazioni (v. 8 tu non torni, v. 10 in mezzo alla maggese) di rime interne (v. 5 sciabordare-
lavandare). Importante l’utilizzo transitivo del verbo nevicare al verso 7: il ramo fa cadere le foglie
come fossero occhi di neve.

T4: X AGOSTO

Il 10 agosto 1867 Ruggero Pascoli, padre del poeta, fu ucciso da una persona ignota, mentre
tornava a casa della sua famiglia. Questa ferita nel cuore del poeta non si rimarginerà mai e trenta
anni dopo il 9 agosto 1896 Pascoli compone questo testo che entrerà a far parte della sezione
ELEGIE.

Questo testo rievoca la morte del padre però attraverso un ricco gioco di parallelismi strutturali: la
morte del padre è paragonata a quella di una rondine uccisa senza motivo mentre tornava al nido
dove l’attendevano i suoi piccoli.
A guardare questa scena c’è il cielo che ha assistito:
- all’uccisione della rondine;
- All’uccisione del padre.
Il 10 agosto è la notte di San Lorenzo, quando le stelle cadono più abbondantemente e allora il
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poeta prende questo evento astronomico (stelle cadenti) e lo trasforma in un pianto del cielo che
ricorda ogni anno la morte del padre.

La poesia composta da sei quartine di decasillabi (10 sillabe per verso) e novenari (9 sillabe per
verso), con rime alternate che seguono lo schema ABAB, CDCD.

Pascoli scrisse la poesia “X agosto” per rievocare la morte del padre, Ruggiero, ucciso in
circostanze misteriose, mentre faceva ritorno a casa proprio il 10 agosto. Il messaggio
fondamentale di questa poesia il disorientamento del bambino alla morte del padre, circostanza
che ha segnato un duro colpo negli a etti personali del Poeta e che lo caratterizzer per tutta la vita.

Come sapete, la notte di S. Lorenzo caratterizzata dal fenomeno naturale delle stelle cadenti; il
Pascoli vede nelle stelle cadenti il pianto dell'Universo sulla malvagit degli uomini e fa riferimento al
dolore da lui provato nella circostanza dell’omicidio del padre. Ecco, quindi, il collegamento tra la
prima e l’ultima strofa.

Nella parte centrale della poesia troviamo l'immagine dell’uccisione di due innocenti, la rondine e il
padre. Il sacri cio della rondine (che cade ad ali aperte) e il sacri cio del padre (che perdona)
richiamano il sacri cio di Cristo. Il nido e la casa, invece, rappresentano la famiglia e sono il vero
punto di riferimento dell'infanzia.
T6: L’ASSIUOLO

La poesia è la descrizione di un notturno lunare, dove tutte e tre le strofe si strutturano secondo
uno schema analogo: la prima quartina propone immagini quiete, serene e di pace, mentre nella
seconda si delineano immagini più inquietanti: un’atmosfera inizialmente incantata si converte in
un motivo di angoscia, di dolore e di morte che si materializza nel verso lugubre dell’assiuolo.

- All’inizio della prima strofa viene colto momento sfuggevole, il momento in cui sta per sorgere la
luna, l’apparizione di quest’ultima sembra possedere una magica funzione rasserenante. Ma a
contrasto con questa calma, nella seconda parte della strofa si delinea un’immagine inquietante: il
nero delle nubi che si pro lano in lontananza.
Il negativo si precisa poi in una voce, il verso dell’assiuolo che viene da uno spazio inde nito nella
notte.

- All’inizio della seconda strofa si ripresentano immagini quiete e serene, le stelle e il rumore del
mare, ma ecco che il poeta sente un eco di dolore. Il grido che risuona è ripreso dal verso
dell’assiuolo: la nota inquietante si precisa, quella che era semplicemente la voce dell’uccello
suona come un singulto.

-All’inizio della terza strofa ritorna l’immagine della luce lunare. L’incertezza e l’ambiguità sono di
nuovo sottolineate da una domanda, come nella prima strofa, che ipotizza il valore simbolico di
questo suono: le invisibili porte sono plausibilmente quelle della morte. In questa strofa troviamo
infatti i sistri che erano strumenti sacri alla egiziana Iside il cui culto prometteva la resurrezione
dopo la morte.

Ma se per il poeta le porte della morte non si aprono più, si comprende l’angoscia che pervade
tutte le sensazioni del notturno lunare: è l’angoscia della morte che non consente la rinascita della
vita, non permette il ritorno dei cari scomparsi.
In chiusura della strofa e della poesia il verso dell’assiolo si concreta in un pianto di morte.
L’atmosfera inquietante, angosciosa e funebre che pervade tutto il componimento assume nella
sua conclusione una sionomia più precisa: ria ora alla memoria del poeta il pensiero della sua
tragedia personale, l’idea che i suoi morti non possono più tornare e della morte che incombe

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anche su di lui. È questo l’eco di un grido che fu che rinasce dentro di lui facendolo sussultare.
Tutto ciò ovviamente non è detto esplicitamente ma solo alluso attraverso una rete di immagini
inde nitamente suggestive.

Questa poesia rappresenta uno dei vertici dell'opera di Pascoli. Immerso in un indeterminato
passaggio notturno, su cui la luna (coperta dalle nubi e dalla nebbia) stende la sua luce opaca, il
poeta prova sensazioni e inquietanti. La campagna, diviene per lui fonte di un progressivo
turbamente che si origina tanto dallo spazio esterno (le voci misteriose della natura) quanto dalla
propria interiorità in risorge l'eco di un passato drammatico.

Il verso notturno («chiù») dell'assiuolo, che è un uccello simile a un piccolo gufo. Nel poeta si insinua
la percezione di un mistero doloroso che riguarda il sentimento sciante del nulla e della morte.
L'atmosfera si fa ancora più lugubre nella strofa nale. I misteriosi rumori della notte e il cupo «chiù»
dell'assiuolo ma producono il senso di una perdita immedicabile e de nitiva.

T7: TEMPORALE

Significato e commento: Il temporale notturno di cui si parla nella poesia non è un fenomeno
atmosferico, rappresentato attraverso immagini e suoni, come potrebbe sembrare a una prima
lettura disattenta, ma un fenomeno introspettivo: è sì un temporale, ma dell'anima. In questa poesia,
infatti, vi è tutta l'esistenza del poeta: il nero della tempesta rappresenta la sua vita, funestata dai
lutti, e l'ala di gabbiano il nido in cui rifugiarsi per tentare di sopravvivere. Spesso Pascoli, nelle sue
opere, richiama il tema del nido famigliare, attraverso metafore che hanno un significato simbolico
che caratterizza la tecnica dell'autore. Osservando l'opera è possibile comprendere lo stato d'animo
di disagio e di rifiuto, rappresentato dall'imminente presenza di un temporale.

Solo nel verso conclusivo l'espressione "l'ala di gabbiano" rappresenta uno stato di serenità e di
protezione favorito dalla presenza del casolare che richiama il concetto del nido famigliare. L'unica
possibilità che gli esseri umani hanno per fronteggiare il dolore e la violenza del mondo esterno è,
infatti, rifugiarsi in un porto sicuro, in un candido casolare: il nido.

Nel primo verso il poeta introduce un'impressione acustica (il tuono), alla quale fanno seguito
impressioni di carattere visivo-cromatico che, nel finale, lasciano lo spazio al simbolismo. Per
Pascoli, il poeta deve cogliere l'essenza delle cose, il loro mistero e deve aiutare a decodificare i
simboli. La poesia è diretta, le immagini sono immediate con forte significato e carattere. Più
elementi, dunque, concorrono ad esprimere un senso di disagio, di fastidio, di pena che diventa
infine attonito di fronte alla minaccia imminente del temporale, dando un senso di fragilità di fronte ai
pericoli che si presentano, portando ad un desiderio di rifugio.

l simbolo: la poesia è caratterizzata da una valenza simbolica. Si tratta di una poesia che parla di
cose che assumono un signi cato e un valore che vanno al di là della loro oggettività. Così il
casolare è per analogia avvicinato all'ala del gabbiano e questa immagine assume un valore
simbolico, anche se di cile da sciogliere. Gli uccelli sono largamente presenti nella poesia
pascoliana: sono la voce di un mondo che sta al di là della realtà e che in genere coincide con il
mondo dei morti. Gli uccelli poi sono strettamente legati all'idea del nido, uno dei temi ricorrenti in
Pascoli: li vi trova sicurezza, calore e protezione, così come all'interno del casolare. Inoltre,
l'immagine del gabbiano è sempre associata all'idea di libertà e di leggerezza, che contrasta il peso
e la minaccia del temporale; anche il colore bianco costituisce un momento di consolazione e di
conforto nello spavento provocato dal temporale, espresso invece con la sfumatura del nero
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T8: NOVEMBRE

L’incipit della poesia sembra gioioso, ma presto viene lasciato spazio a versi di tristezza. All’inizio
c’è l’illusione di una bella giornata primaverile in atto, ma presto il poeta rende noti i particolari che
la rendono evidentemente autunnale (il pruno secco, le foglie che cadono, le sagome nere degli
alberi spogli ai vv. 5-6). Il poeta fa riferimento alla cosiddetta estate di San Martino, il periodo che
parte dal 2 novembre (giorno dei morti) e va avanti per una decina di giorni.

Questo testo è particolarmente rappresentativo della poetica di Pascoli, poiché fonde la sua
sensibilità nella descrizione del mondo naturale e la sua percezione del dolore insito nella natura
umana. La felicità descritta in Novembre è precaria e poco duratura, messa in parallelo con il
mondo naturale che, come essa, è completamente caduco e illusorio.

- Nella prima strofa Pascoli descrive un giorno che sembra quasi primaverile, caratterizzato da una
serie di immagini felici e solari. In chiusura, tuttavia, si può già notare una prima nota cupa data da
una brutta sensazione a livello olfattivo (l’odore del prunalbo è “amaro”, v. 4).
- Nella seconda strofa i primi segnali positivi cedono de nitivamente il passo alla negatività
dell’autunno e del dolore umano. Nel mondo, che prima era aperto e pronto a nuova vita, si notano
con lo sguardo solamente segnali di morte.
- Nella terza strofa, in ne, tutti questi segnali vengono poi amaramente confermati in una desolata
sentenza e i segnali visti lasciano lo spazio a quelli uditi, le ventate che spezzano il silenzio e il solo
rumore di foglie morte che cadono. Ecco qui dipinta l’estate dei morti.

In questa poesia, tratta dalla raccolta Myricae, sono presenti alcune tematiche ricorrenti nel lavoro
di Pascoli, dall’ambiguo fascino che esercita il paesaggio naturale alla presenza costante della
morte, che viola il nido. Si nota anche, tra le altre cose, il tentativo di ricostruire in modo esasperato
una realtà familiare che lo protegga dalle mille asperità della vita.
Ricorrente è anche il fonosimbolismo pascoliano: anche in Novembre si ricorre alle sensazioni
visive, olfattive e uditive per veicolare un discorso simbolico più profondo.
T11: IL LAMPO
E' una poesia fortemente simbolica e in essa domina il senso visivo. Il paesaggio appare,
improvvisamente, per un fugace lampo che, squarciando la notte, illumina una casa: l'immagine è
una metafora della brevità della vita, della sua precarietà. La casa yiene descritta attraverso il colore
bianco, per segnarne l'aspetto positivo come rifugio di fronte al temporale e simboleggia il "nido"
familiare.

Alla casa e al colore bianco che la differenzia, si contrappone il nero della notte con sensazioni
opposte di paura e angoscia. Il valore simbolico è reso evidente dalla personificazione degli elementi
naturali: la terra è ansante; il cielo è tragico. Gli aggettivi utilizzati descrivono le reazioni tipiche
dell'essere vivente che prova paura, pur essendo riferiti a elementi della natura. Il climax ascendente
(vedi gli aggettivi riferiti al cielo e alla terra: ansante, livida, in sussulto e ingombro, tragico, disfatto)
sottolinea il passaggio ad una condizione sempre più disperata. Anche la casa è umanizzata, la
bianchezza estrema richiama il pallore di un volto in preda alla paura, e la similitudine con l'occhio,
degli ultimi due versi, rende l'idea dell'attonito sqomento degli esseri viventi di fronte alle tempeste
della vita.

T12: IL TUONO

La poesia si congiunge al “Lampo”: la situazione di questa lirica è successiva a quella descritta nella
poesia precedente. All’immagine minacciosa della natura si contrappongono le gure rassicuranti
della madre e della culla. La poesia, iniziata con segnali di morte e con l’immagine dell’oscurità del
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nulla, si conclude con l’annuncio del ri orire della vita. I suoni sono collocati in primo piano.
Prevalgono i verbi (8 in 7 versi).

I CANTI DI CASTELVECCHIO

Nei Canti di Castelvecchio (la prima edizione è 1903, l'ultima postuma del 1912) agiscono due
motivi, quello naturalistico, modellato sul trascorrere delle stagioni, e quello famigliare, centrato sulla
tragedia dell'uccisione impunita del padre. I due temi si intrecciano continuamente: il ritmo delle
stagioni allude a un ordine naturale e alla segreta armonia dell'alternanza di vita e di morte, di ne e
di rinascita; l'uccisione del padre con gura invece una perdita irreparabile segnata dalla cattiveria
umana e dunque estranea al ritmo natura- le dell'esistenza. La liricità dei Canti è più distesa rispetto
a Myricae, è inoltre evidente il recupero - n dal titolo dei Canti leopardiani, dai quali Pascoli
riprende soprattutto il tema della ricordanza e il motivo del rapporto uomo-natura. La ricerca di una
musicalità più complessa e varia spinge Pascoli ad audaci sperimentazioni metri- che, con originali
recuperi della metrica classica, impiego di versi meno fortunati della nostra tradizione lirica (come il
novenario), alternanza di me- tri parisillabi e imparisillabi. La lingua è nei Canti lo strumento
privilegiato per realizzare una forma innovativa di "sublime", da raggiungere tanto dal basso
(attraverso il preziosismo delle voci tecniche o popolari) quanto dall'alto (ricorrendo ai ter- mini aulici
della tradizione lirica e letteraria).

T15: IL GELSOMINO NOTTURNO

Il testo, composto da sei quartine di novenari, a rima alternata, viene dedicata dal poeta all'amico
Gabriele Briganti, in occasione delle sue nozze, Già a partire dal titolo, questa poesia fa degli
evidenti ma delicati riferimenti all'erotismo. Il poeta osserva casa in cui l'amico si appresta a
consumare la prima notte di nozze, introducendo una tematica sessuale in modo tale che risulti
evidente quanto il poeta si senta estraneo ed escluso da questo tipo di piacere. Il tema sessuale
viene sviluppato grazie a una serie di immagini riprese dalla natura ehe in quel momento circonda il
poeta. Cosi Pascoli fa riferimento ai fiori notturni, i gelsomini che hanno la precisa peculiarità di
aprirsi al calare della notte per po richiudersi con l'arrivo del sole, e alle farfalle crepuscolari.
Seconda e terza strofa esprimono la tranquillità del momento in cui la giornata volge al termine e la
sera sta arrivando, spezzata però dall'arrivo di qualcosa di misterioso che si sente nell'aria, come
l'odore di fragole rosse. Questa è la sinestesia che Pascoli utilizza per alludere all'atto sessuale che il
suo amico sta per compiere e che a lui, invece, è precluso e sconosciuto. In questo frangente
Pascoli si sente come l'ape tardiva che, quando arriva, trova tutto l'alveare occupato; immediato
arriva il parallelismo col cielo e con la costellazione delle Pleiadi. "Il gelsomino notturno" é
considerato uno dei capolavori cardine dell'espressione del simbolismo tipico di Pascoli. Qui l'autore
allude in maniera sfumata ma piuttosto inequivocabile all'attività sessuale sfruttando ciò che lo
circonda, i paesaggi e la natura, utilizzando molte figure retoriche.

DAI POEMETTI ALLE RACCOLTE DELLA RETORICA CIVILE

I Poemetti escono nel 1897, a pochi mesi di distanza dalla quarta edizione di Myricae. Il titolo che la
raccolta assume nella terza e definitiva edizione del 1904, Primi poemetti, annuncia la volontà di
dare vita a una ulteriore raccolta di testi affini (sono i Nuovi poemetti, pubblicati nel 1909). Nei
Poemetti c'è una spiccata tendenza narrativa, con l'introduzione di testi lunghi, per lo più suddivisi in
sezioni. In essi si esprime il generico umanitarismo populistico del poeta. Nel decennio 1894-1903
Pascoli lavora anche sul registro del preziosismo erudito e "alessandrino", che darà vita ai Poemi
conviviali (1904) in cui le prevalenti ambientazioni greche classiche e orientali non esprimono un
interesse storico: sul mondo antico vengono proiettate infatti la sensibilità e le ansie moderne. C'è
infine un altro versante della produzione pascoliana, ispirata a tematiche storico-civili. La poesia
civile di Pascoli è affidata alle raccolte Odi e inni (1906), Canzoni di re Enzio (rimaste incompiute e
uscite postume), Poemi italici (1911), Poemi del Risorgimento (anch'essi incompiuti).
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T:16 DA ITALY

Italy è un poemetto che racconta degli immigrati che tornano a casa. E’ una storia di una famiglia
migrata in America alcuni dei quali tornano in Italia. In America si sono fatti una vita ma Giuseppe e
Luca tornano, portano con se una bambina glia del fratello malata di tisi, sperando che l’ambiente
di campagna la aiuti a recuperare la salute: Molly. In Italia vivono in una casa buia, dove si sente
l’odore della stalla e tutto è vecchio. Molly trova orribile l’ambiente e non capisce la lingua, non
capisce cosa le dicono e la nonna non capisce cosa le dice lei. La gente del paese va a farsi
raccontare di com’è l’America e loro parlano una lingua mista. C’è una generazione legata al
passato e una che vive a metà tra un mondo e l’altro, vede i vantaggi del mondo moderno e in
questa lingua mista esprime questa sua realtà di passaggio, Molly è nata nel nuovo mondo e
appartiene a quello, non ha legami con l’Italia ma quando riparte per tornare in America con gli zii
ritrova il legame con la terra dei suoi antenati poiché quando i bambini le chiedono se sarebbe
tornata risponde si, e sarà l’unica parola in italiano che dirà.
E’ la storia del cercare una strada, una via, il benessere in una realtà lontana dalla propria, senza
però dimenticarla.
La nonna la, Molly dice che in America ci sono delle macchine che in America fanno in poco tempo
il lavoro che si potrebbe fare in un anno. Per la nonna è una favola, immaginano che ci siano delle
fate e cerca di fare il lo più sottile possibile per dimostrare che è ancora capace: si vede la
di erenza estrema tra i due mondi.

Il vecchio cane di casa scodinzola senza abbaiare, riconoscendoli quando tornano.


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