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FORME METRICHE E STILE

LA RETORICA
Vi sono due tipi di retorica:
• Retorica interna, (rhetorica utens, d’uso), utilizzata quotidianamente e
spontaneamente nelle interazioni verbali o scritte. Non è standardizzabile e quindi
astraibile teoricamente, rimanendo solo sul piano pratico e comunicativo.
• Retorica esterna, (rhetorica docens, arte), ambito disciplinare che studia e
categorizza le manifestazioni della retorica come arte, secondo un codice.
La retorica esterna ha una dimensione teorica e una serie di precetti pratici indispensabili.

Uno dei grandi temi riguardanti la retorica consiste nell’interrogativo riguardo alle sue
nalità:
• Retorica come so stica, ossia come persuasione ingannevole e mascheramento del
reale
• Retorica come arte della persuasione, della trasmissione e cace della verità.

L’accezione moderna della retorica è rimasta quella negativa di un mascheramento della


realtà attraverso arti ci retorici ingannevoli; questa accezione è connaturata e frutto di
una lunga storia culturale che la tecnica retorica ha attraversato n dalle sue origini nei
miti greci, che tradizionalmente veicolano il senso loso co e teorico di alcune
manifestazioni culturali, tra cui quello della retorica stessa.

Le origin
La retorica è una disciplina con uno sviluppo storico millenario, interpretabile in maniere
diverse e soprattutto anche in un’accezione loso ca.
La ri essione sulla retorica fonda le sue radici nella classicità, legandosi alla diversa
concezione che Latini e Greci hanno sull’arte della parola.

Nel De inventione Cicerone racconta che la retorica nasce insieme alla lingua stessa,
dall’iniziativa di un uomo di genio che voleva persuadere i compagni ad aggregarsi in un
sistema sociale cittadino, abbandonando lo stato ferino in cui vivevano prima.
N.B. Si lega strettamente la parola retorica alla socialità, alla creazione della
civiltà e del convivere, assumendo un valore sociale e fondativo.
Questa visione dà alla retorica un primato fortemente positivo, permettendo all’uomo di
evolvere e di vivere insieme, avanzando socialmente.

Un’altra tradizione, quella greca, lega invece la nascita della retorica alla dimensione
magica, in particolare alla gura di Empedocle, losofo e mago agrigentino, facendo
assumere alla parola una dimensione e un potere quasi mistico.
Secondo i miti greci la parola detiene il potere di modi care la realtà, di persuadere
gli uomini per portarli nella sua direzione.
Questa idea del potere della parola e della sua dualità convive nell’attualità: sia una
parola magica che modi ca il corso degli eventi (come ad esempio quegli atti che
cambiano lo stato di una persona attraverso la parola, come il rituale del matrimonio); sia
la parola come strumento intellettuale e veicolo della socialità paci ca tra uomini.

La ri essione loso ca greca è tuttavia alla base della di denza stessa nei confronti
della retorica, criticata ampiamente già da Platone
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Platone assume una posizione negativa rispetto a quest’arte della persuasione, a
cui contrappone la logica loso ca, poichè quest’ultima si occuperebbe del vero,
mentre la retorica si occuperebbe del verosimile, ossia quello che si avvicina al vero ma
vero non è.
La loso a prevale ovviamente nel corso della storia poichè associata a questa missione
di verità, mentre la retorica è minoritaria e ancillare, corre il rischio di essere
impiegata anche per convincere del falso se non viene utilizzata esclusivamente a
supporto della loso a in un discorso sulla realtà.

In termini platonici, la loso a si occupa di episteme -scienza- mentre la retorica si


occupa della doxa -l’opinione- e questa trattazione trova luogo nel Gorgia di Platone, in
cui Socrate viene fatto parlare e a erma la sostanziale praticità dell’eloquenza, priva
quindi di una technè.
La retorica quindi non viene ritenuta autonoma e conclusa in se stessa e nelle sue
cause, ma anzi viene ritenuta una pratica orale rivolta alla parte dell’animo dominata
dalle passioni.
ES. Per Platone i retori sono come cuochi che celano dietro a piatti deliziosi dei
cibi malsani, sono spacciatori di lusinghe che mirano al piacere di chi li ascolta,
non al bene

Nel Fedro questa condanna sembra mitigarsi, poichè Platone ritiene buona la retorica
che si presta al servizio dei loso , insegnandogli a comunicare nella maniera più
e cace possibile.
Da questa dicotomia platonica deriva già in prima battuta quella che sarà poi la divisione
tra inventio ed elocutio, ossia tra l’ideazione logico-argomentativa e puro abbellimento,
ornamento.

La retorica scritt
Storicamente la retorica si è spostata da una dimensione orale ad una scritta,
attraverso una letterarizzazione della retorica stessa.
Tra i passaggi storici fondamentali di questo sviluppo abbiamo:
‣ Ipertro a della teorizzazione dell’elocutio nel Medioevo — oriscono trattati di
eloquenza e retorica
‣ Scorporamento dell’inventio durante il Rinascimento —ossia si assiste ad uno iato
tra il momento formale e il momento argomentativo, con il passaggio del sostrato
teorico dell’inventio nella sfera della loso a.
‣ Dottrina dell’elocutio che si concentra sulle gure a partire dal Settecento francese

Nel Cinquecento -de nito “età dell’eloquenza” o “aetas ciceroniana”- la retorica si


sviluppa fortemente, nendo però ridotta a pura forma dell’espressione, mentre la
teoria dell’argomentazione -ossia l’inventio- passa all’ambito della loso a e quindi
alla dialettica, come scrive Pietro Ramo in Dialettica (1555).
La retorica diventa quindi una tecnica stilistica, una mera precettistica volta a regolare le
forme e caci della lingua, diventando quindi parallelamente una disciplina
complementare alla grammatica, ossia quella precettistica volta a regolare
univocamente le forme corrette della lingua.
L’ambito di applicazione della retorica passa quindi dall’impiego attivo nel reale a
quello della lettura e della letteratura, assumendo anche un carattere classi catorio.
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A questo tipo di impostazione il Novecento ha reagito con grandissima forza teorica,
sviluppando diverse scuole di ri essione retorica, la più importante delle quali passa sotto
il nome di Neoretorica.
La Neoretorica si è opposta fortemente a questa caratterizzazione tecnico-pratica
della retorica, insistendo invece sulla dimensione teorica e loso ca, cercando
quindi di superare la frammentazione cinquecentesca tra elocutio ed inventio.

Nel 1958, esce Trattato dell’argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca, il quale


si concentra sull’inventio e sull’argomentazione.
La ri essione dell’opera è di carattere loso co e propone una possibilità di sviluppo della
Neoretorica attraverso un cambio di prospettiva loso ca, in primis partendo dalla
necessità di chiudere con l’idea cartesiana di ragione, ossia di una ragione univoca
da scoprire.
La concezione di retorica si lega quindi in maniera duplice a quella di verità:
• Verità come evidenza e luce —di impostazione cartesiana, dove la retorica ha un
ruolo strumentale, al ne di persuadere il maggior numero di persone rispetto a quel
dato oggettivo
• Verità come approssimazione consensuale —alla base della concezione loso ca
del ‘900-, dove la retorica è matrice stessa della verità, poichè è la retorica stessa ad
essere strumento di ri essione e di raggiungimento di una condivisione di principi.

Rispetto alla concezione cartesiana quindi i due retorici pongono al centro della
Neoretorica il concetto di verosimile, ossia l’adesione a ciò che è tra le molte
possibilità più condivisibile.
Si propone quindi una teoria dell’argomentazione che studia le tecniche discorsive
atte a provocare o accrescere l’adesione delle menti alle tesi che vengono
presentate al loro assenso, andando quindi a de nirsi come un’arte della mediazione,
una tecnica di indagine attraverso le svariate possibilità al ne di aderire rispetto alla
tesi più condivisibile tra quelle proposte come plausibili.

La retorica diventa aspetto sostanziale di un processo logico- loso co ad una realtà che
è data solo come adesione ad una tesi, diventando quindi una tecnica del ragionamento.
—da semplice atto di elencazione o catalogazione, avendo un ne ermeneutico in
quanto disciplina in sè e per sè.
Si cerca in ne di rifondare una logica speci ca per tutti quegli ambiti che sfuggono
ad un metodo analitico e univoco.

A queste discipline neoretoriche si sono opposte altre teorie, poichè la Neoretorica non è
riuscita a superare quella frammentazione secolare della disciplina che aveva
indirizzato lo sviluppo culturale della stessa per secoli.
ES. Genette con la retorica ristretta, concentrata sull’ambito dell’elocutio e in
particolare della metafora.

Per Ezio Raimondi, la retorica è una moderna teoria del dialogo, una soluzione
possibile e soprattutto inclusiva alla regolamentazione dei con itti prima ancora che
alla conciliazione degli stessi.
È quindi uno strumento del ragionamento che esprime la razionalità del molteplice,
ponendosi come disciplina inclusiva.
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GLI AMBITI DELLA RETORICA
Tradizionalmente vi sono 5 ambiti retorici:
❖ Inventio, ossia l’ideazione del tema, quindi comprendente tutta la ricerca delle
argomentazioni utili ed e caci a supportare la tesi proposta. È quindi costituita da
tutte quelle possibili forme di contenuto e dei rispettivi strumenti argomentativi atti ad
esprimerlo.
❖ Dispositio, ossia l’organizzazione normata a favore di un’e cacia degli argomenti
e delle parole, sia sul versante contenutistico, sia su quello dell’espressione.
❖ Elocutio, ossia l’elocuzione, l’esposizione che codi ca la veste linguistica del
discorso per fornirlo di e cacia e rigore.
❖ Memoria, ossia la memorizzazione, quel bacino di tecniche utili a ricordare l’orazione
che si vuole proporre al pubblico
❖ Actio, ossia l’azione, la messa in scena, quel bacino di gesti ed intonazioni che
accompagnano l’orazione
N.B. L’actio è tradizionalmente oggetto di interesse delle scuole di dizione,
riallacciandosi alle origini della retorica, principalmente legata al piano dell’oralità.

Di questi 5, si a rontano le prime 3 in quanto le ultime due sono proprie invece del
discorso orale, quindi dell’ambito performativo della retorica.

L’origine orale e performativa della retorica fa sì che i generi del discorso retorico siano
classi cati da Aristotele in 3 tipologie:
‣ Genere giudiziale, ossia destinato al tribunale al ne di persuadere la giuria,
stabilendo la verità o la falsità degli accadimenti.
‣ Genere deliberativo, ossia destinato alla sfera politica al ne di persuadere la
comunità ad intraprendere o meno una determinata misura, un’azione militare o altro.
‣ Genere epidittico o dimostrativo, ossia destinato a celebrare di fronte all’auditorio la
bontà o la bellezza di qualcuno o qualcosa. Non ha quindi una funzione pratica
immediata, ma ad una dimensione atemporale e celebrativa, come un discorso
funebre.
N.B. Il testo letterario si avvicina molto a quello epidittico
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INVENTIO
L’inventio necessità una serie di prove -l’apparato di prove si chiama probatio- da
addurre alla nostra argomentazione, le quali possono essere di due tipologie:
- Extra-tecniche, ossia dati oggettivi legati ad una retorica soprattutto giudiziale o
deliberativa
- Tecniche, ossia prove da ricercare all’interno della disciplina
N.B. Il punto di vista è interno alla disciplina, quindi per extra-tecnica si intende
una prova legata al contesto e quindi oggettiva.

Le prove tecniche sono a loro volta di due tipi:


• Exemplum, ossia prove tecniche basate sull’induzione.
È una prova tecnica che cita un caso speci co -più accattivante rispetto al concetto
astratto e teorico- per inferire una norma generale, come ad esempio un episodio
mitico o storico.
È quindi una sorta di similitudine estesa, o anche una sineddoche, che deve avere un
carattere di storicità.
ES. Dante cita come “essemplo” la tras gurazione (il “transumanare”) di Glauco
per spiegare la sua, una sensazione che senza esempio sarebbe stata ine abile.
ES. Tutta la tradizione omiletica si basa sul repertorio esemplare di detti e fatti
memorabili
• Entimema, ossia prove tecniche basate sulla deduzione
È quindi un sillogismo retorico ed ellittico, basato su premesse solo verosimili e
quindi non certe.
Si desume da un dato di fatto un altro, senza un passaggio logico-argomentativo, ma
solo su un meccanismo logico sempli cato o non meglio speci cato nelle sue
premesse.
ES. “Sei iscritto a lettere e quindi ti piace leggere”
ES. Ha delle attinenze strette con l’arti cio del luogo comune

Nell’inventio letteraria quindi si utilizzano prove tecniche per trattare di una materia
che può essere:
• Tratta direttamente dalla realtà, quindi un dato di fatto
• Tratta dalla materia stessa del discorso, quindi una topica

La topic
La topica è l’ambito che si occupa dei topoi, ossia una serie di nozioni generali che se
applicate al tema del discorso aiutano ad individuare diversi nuclei concettuali.
È quindi una griglia precostituita che permette di aggiungere un’interpretazione al
dato di fatto, fornendo quindi un punto di vista soggettivo sul mondo.

I topoi possono essere di due tipologie a loro volta:


✴ Luoghi comuni, ossia validi per tutti e 3 i generi poichè di carattere universale
Alcuni esempi di luoghi comuni sono:
• quelli riferiti alla quantità -che preferiscono quindi l’utile di molti a quello di
pochi;
• quelli riferiti alla qualità -carpe diem, meglio pochi ma buoni;
• quello riferito all’ordine, che a erma il primato del principio, dell’origine e
dell’anteriorità rispetto ai mezzi e alle ricadute;
• quello riferito alla persona, che dà valore all’individuo in sè e per sè;
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quello riferito al concreto, che a erma la superiorità del concreto,
dell’esistente, dell’adesso rispetto al possibile, al dopo.
✴ Luoghi speciali, ossia categorie specialistiche proprie di ciascun genere, come ad
esempio la topica giudiziaria

A partire dai so sti e dalla tarda retorica latina, la topica inizia ad essere pensata
come ad un inventario di spunti argomentativi, di motivi tematici, di procedimenti
narrativi generici e riutilizzabili, con una conseguente cristallizzazione del contenuto
e delle forme ad esso associate.
La topica è intesa quindi un vero e proprio repertorio di costanti tematiche e formali,
utilizzate in contesti anche diverse tra loro, diventando quindi oggetto di trattazioni
sistematiche, ossia elenchi enciclopedici a ni scolastici che riportano i possibili topoi
divisi secondo varie categorie.
ES. Il topos della captatio benevolentiae si lega con il topos della excusatio propter
in rmitate; inoltre, i topoi tendono a concentrarsi in posizione determinate del
discorso.

In primis quindi i topoi si specializzano rispetto alle parti del discorso dove
compaiono frequentemente. Inoltre, nelle enciclopedie di topica vengono anche
proposte le casistiche dei singoli topoi, per agevolare la stesura di un testo.
ES. Nell’esordio di un testo, come ad esempio il prologo di un poema, compare
spesso il topos dell’Invocazione ad un ente superiore.

Ernst Robert Curtius, grande studioso di topica letteraria e lologo romanzo, autore nel
1948 dell’opera Letteratura europea e Medioevo latino, nella quale raccoglie, cataloga
e sistematizza una vasta quantità di topoi letterari medievali occidentali.
N.B. Ha una prospettiva diacronica, che propone un’analisi anche dell’evoluzione e
della tra la d’utilizzo dei topoi in letteratura.

Tra i topoi frequenti nella tradizione vi sono quindi:


✴ Locus amoenus, ossia un luogo idealizzato e piacevole, massimamente
irrealistico per la sua atemporalità, associato spesso ad un giardino, una radura
conchiusa e appartata, quindi comunque un luogo ricco di elementi arborei e
oreali, oltre che connotato dalla presenza di un ruscello e da elementi animali,
naturali e acustici come il cinguettio degli uccelli, la brezza —lo Ze ro, vento
primaverile.
ES. Nell’introduzione del Decameron, dopo aver abbandonato il locus horridus
della Firenze pestilenziale, la compagine si rifugia nella villa di campagna, locus
amoenus dove si raccontano storie per passare il tempo.

✴ Excusatio propter in rmitatem, ossia l’a ettazione di modestia, ossia il dire di non
essere capaci nel portare avanti qualcosa, o il proporre qualcosa che inferiore rispetto
alle aspettative o alla nobiltà del destinatario
ES. E benché io giudichi quest’opera indegna della presenzia di quella
Da Machiavelli, Il principe, Lettera dedicatoria a Lorenzo di Piero de’ Medici

✴ Ine abilità, ossia la reticenza legata spesso ad una poesia religiosa o amorosa, in
cui è evitata la trattazione di cose che non si riescono -o per pudicizia non si possono-
a dire a parole.
ES. Stavan sì streti quei dui amanti insieme
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Che l’aria non potrebe tra lor gire,
E l’un al’altro sì forte se preme
Che non vi sarìa forza al dipartire;
Come ciascun sospira e ciascun geme
De alta dolceza non saprebe io dire:
Lor lo dican per me, poiché a lor toca,
Che ciascadun avìa due lengue in boca.
Da Boiardo, Inamoramento de Orlando, I
N.B. Al topos dell’ine abilità si lega l’ambito semantico della lingua che non sa
dire, la lingua che si blocca

✴ Adynaton, ossia un’a ermazione impossibile che cozza contro la logica, realizzata
spesso dal punto di vista formale attraverso un’enumerazione.
ES. Lasso, le nevi en tepide et nigre,
e 'l mar senz'onda, et per l'alpe ogni pesce,
et corcherassi il sol là oltre ond'esce
d'un medesimo fonte Eufrate et Tigre,
prima ch'i' trovi in ciò pace né triegua,
o Amore o madonna altr'uso impari,
Da Petrarca, RVF 57

✴ Puer senex, ossia la compresenza della polarità delle due fasi della vita
-giovinezza e vecchiaia- nella stessa gura, con una commistione quindi di elementi
associati alla giovinezza -come la spensieratezza, la bellezza, la freschezza- ed
elementi associati alla vecchiaia -come la profondità intellettuale, la disillusione,
l’esperienza.
ES. Dice: – O diletta mia, che sotto biondi
capelli e fra sì tenere sembianze
canuto senno e cor viril ascondi,
e già ne l'arti mie me stesso avanze,
gran pensier volgo; e se tu lui secondi,
seguiteran gli e etti a le speranze.
Tessi la tela ch'io ti mostro ordita,
di cauto vecchio essecutrice ardita.
Da Tasso, Gerusalemme liberata, presentando Armida

ES. Il fuoco dei suoi occhi, neri come quelli d’una mulatta, non ha nulla di
mondano: esso ha talora la mistica fermezza dei contemplanti. Questa go a
creatura che ha nome Elisa può sembrare a momenti una vecchia fanciulla, a
momenti una bambina cresciuta male; ma in ogni suo tratto, non si può negarlo,
essa esprime la timidezza, la solitudine e l’altèra castità.
Da Morante, Menzogna e sortilegio
Elementi retorici
Metafora: il fuoco degli occhi
Similitudine: neri come quelli d’una mulatta
Ossimoro: vecchia fanciulla, e poi anche parte di un Chiasmo: bambina cresciuta
male
Sistema anaforico: a momenti…a momenti
Tricolon: timidezza, solitudine, castità
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✴ Descriptio mulieris, ossia la descrizione dell’immaginario sico legato ad una
gura femminile, di due tipi:
- Descriptio maior, se vi è una descrizione completa di ogni elemento
canonizzato
- Descriptio minor, se vi è una descrizione condensata che si ferma al massimo
al busto, ma spesso al solo viso

Tra i tratti femminili cristallizzati in questa descriptio vi sono:


• I capelli biondi — anche ricci, canonizzati in quanto rarità in ambito romanzo e
ad essi si associa la carnagione pallida, legata invece ad un connotato sociale
della pelle pallida, tipica della nobiltà e di coloro che non passano tempo
all’aperto, al sole a lavorare.
• Gli occhi lucenti, spesso neri, e accompagnati da sopracciglia scure.
• Il naso dritto e delicato, piccolo.
• Le guance rosee e colorate, di contro al chiarore della pelle, paragonata
all’avorio.
• I denti spesso paragonati alle perle, a richiamare l’opalescenza.
• Le labbra carnose, rosse o rosa, associate spesso ai rubini oppure ai petali di
rosa, al corallo.
• Il mento piccolo, sfuggente
• Il collo sottile, le spalle sono tonde ed esili
• Il seno piccolo e acerbo, confrontato con dei piccoli pomi.
• I piedi sono piccoli e delicati
• Al massimo è possibile descrivere i anchi, associati alle colonne, poichè
solitamente anche la descriptio maior compie un salto evitando il vestito.

Padre Giovanni Pozzi è stato un grande studioso di retorica nel Novecento ed ha scritto
(tra le altre opere) La parola dipinta -in cui analizza tutte le forme di parola gurata- e
Temi, topoi, stereotipi (1984) in cui a erma che il topos è una forma di
rappresentazione e interpretazione del reale, non solamente un ornamento al reale
stesso, andando quindi a descrivere la realtà come oggetto di un discorso estetico.
In particolare, Pozzi utilizza la descriptio mulieris per portare avanti le sue teorie e la
inserisce all’interno di un corollario di metafore e similitudini.
È quindi una descrizione che procede in chiave metaforica, in cui a dei referenti reali
si associano un gurante e un nesso, ossia una motivazione che lega le altre due
componenti.

ES. Erano i capei d' oro a l' aura sparsi


che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e 'l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch' or ne son sí scarsi;
Da Petrarca, RVF 90
Elementi retorici:
• capei d’oro: metafora
• a l’aura sparsi: idea del movimento della capigliatura, tipica.
• e l’vago lume oltre misura ardea: metafora, dove vago signi ca “bello”
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ES. et le rose vermiglie infra la neve
mover da l' òra, et discovrir l' avorio
che fa di marmo chi da presso 'l guarda;
Da Petrarca, RVF 131
Elementi retorici:
• rose vermiglie: le guance, con forte contrapposizione rispetto alla neve
• avorio…marmo: contrapposizione tra elementi che hanno punti di analogia
(biancore, inanimatezza, …) l’avorio è correlato alla pelle della donna, evocato
in quanto prezioso e raro; il marmo condivide il biancore, ma ha un’eccezione
negativa ad indicare lo stato di alterazione di chi guarda la donna.

ES. li occhi sereni et le stellanti ciglia,


la bella bocca angelica, di perle
piena et di rose et di dolci parole,
che fanno altrui tremar di meraviglia,
et la fronte, et le chiome, ch' a vederle
di state, a mezzo dí, vincono il sole.
Da Petrarca, RVF 200
Elementi retorici:
stellanti ciglia: ciglia luminose che evocano qualcosa di lucido
bocca angelica di perle e di rose: con riferimento ai denti e alle labbra/gengive

Il topos fornisce moltissime informazioni poichè svolge altre funzioni oltre a quella in sè
e per sè, come:
• È una spia di uno sviluppo narrativo, ossia preannuncia una possibilità narrativa che
si concretizza quasi certamente.
ES. La foresta è locus horridus legato a peripezie e pericoli incipienti
• Ha valore di segnale metatestuale, ossia fornisce informazioni di appartenenza
dell’autore, riguardo ad esempio al genere o alla scuola a cui si rifà.
ES. Foscolo e il mito di Piramo e Tisbe
• Ha una sua storicità, ossia con il tempo i topoi cambiano di senso
ES. La natura come libro, come ad esempio ne Il saggiatore di Galileo, oggi
trasposta nella catacresi ad esempio del cosiddetto “codice genetico”, sempre con
rimando alla metafora libraria.
DISPOSITIO
La dispositio è la parte della retorica che si occupa delle strategie atte a stabilire un
ordine e cace del discorso, con strategie di erenti a seconda del proprio uditorio.

Questa categoria riguarda tutte le parti del discorso, a partire dall’organizzazione degli
argomenti a supporto della tesi, per poi passare all’ordine delle parole all’interno della
frase.
ES. Il chiasmo appartiene alla dispositio poichè è una gura di posizione.
L’ordine in un enunciato non è indi erente poichè ciascuna forma di disposizione del
discorso produce un e etto diverso sul destinatario del messaggio.

Secondo Lausberg vi sono due tecniche prevalenti nell’ambito della dispositio:


- Scansione binaria, basata sull’antitesi e sulla dittologia di due poli.
- Scansione ternaria, basata su una visione dialettica tra i tre elementi in gioco, come
ad esempio una descrizione, un’enumerazione.
Nelle parti del discorso possiamo poi distinguere due tipi di ordine:
✤ Ordo naturalis, ossia una successione lineare del tipo esordio/esposizione/
argomentazione/epilogo
✤ Ordo arti cialis, ossia un’infrazione rispetto al modello consueto per detrazione
oppure per permutazione.

Queste due tecniche di ordine sono studiate anche in linguistica, perché ad esempio per
Jakobson vi è una correlazione tra la lunghezza delle parole e l’ordine delle stesse,
per cui l’ordine naturale del signi cante è generalmente disposto secondo un criterio di
intensità.
L’ordo naturalis inoltre si basa anche sull’intensità del signi cato, ossia secondo una
disposizione in ordine di intensità semantica -ascendente o discendente, come nella
climax.

Le gure retoriche dell’ordo arti cialis rientrano nell’ambito della dispositio poiché
sono gure retoriche che agiscono sulla posizione delle parole, per motivi stilistici,
eufonici o di rima, tra le quali rientrano:
‣ Sinchisi: concentrazione di più gure retoriche di ordine vicine -come ad esempio
la presenza di un’anastrofe ed un iperbato in una stessa strofa, in un madrigale-
andando ad ampli care la complessità del testo.
‣ Anastrofe: inversione dell’ordine naturale
‣ Iperbato: separazione di due termini che naturalmente sarebbero contigui
‣ Epifrasi: aggiunta di una parte scorporata ad una frase già compiuta, tramite
coordinazione.
‣ Parentesi: aggiunta di elementi di precisazione all’interno di una frase, in forma
incidentale spesso.
‣ Hysteron proteron: letteralmente “dopo prima”, è un’inversione logica delle
aspettative azionali.
ES. Scendiamo. Vestiti
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Le parti del discorso
Secondo la partizione aristotelica, le parti del discorso tradizionalmente normate dalla
retorica classica sono 4:
• Esordio
• Esposizione
• Argomentazione, suddivisa nei momenti della dimostrazione delle tesi e
confutazione delle tesi contrarie
• Epilogo

A questi si aggiunge la digressione, parte facoltativamente presente per esempio


tramite l’espediente dell’exemplum.
Inoltre, esordio ed epilogo non sono strettamente necessari, ma sono funzionali alla
presa emotiva del discorso in atto.

Nel processo di cristallizzazione dei topoi essi possono essere cristallizzati in un luogo
preciso, come infatti avviene nelle parti del discorso.
ES. Topoi dell’esordio:
- Richiesta legittimante ad un’entità superiore —come nell’invocazione alla musa
ad esempio-;
- Giusti cazione della narrazione in base all’utilità o alla novità;
- Dedica
- Utilizzo della brevitas, solitamente marcata positivamente.
ES. Topoi dell’epilogo sono spesso legati allo sviluppo delle formule di chiusura
giocate in base al metodo di trasmissione, ma che nella tradizione si
cristallizzano anche se il mezzo di trasmissione cambia nella tradizione letteraria.
Ad esempio il calar della sera o la stanchezza dell’autore sono topoi che
giusti cano l’interrompersi della narrazione

In particolare:
✦ L’esposizione non ha una trattazione speci ca nella retorica classica, che è priva di
una teoria del racconto di lunga tradizione, recuperata solo oggi.
La narratio è funzionale a creare le condizioni per arrivare all’argomentazione, quindi
è un passaggio secondario e libero rispetto al nucleo fondante argomentativo, ma che
comunque richiede alcune virtù come la chiarezza, la verosimiglianza e la brevità.

✦ L’epilogo ricapitola i fatti e trae le conclusioni essenziali; nella retorica classica


all’epilogo è assegnato il compito di eccitare le passioni del pubblico, ossia creare
empatia con gli ascoltatori, muovendoli verso la pietà o verso l’indignazione.

In letteratura, l’epilogo è segnante relativamente al genere letterario stesso


dell’opera, poichè epiloghi diversi marcano generi diversi e improntano il testo ad una
certa lettura.
ES. Un epilogo con lieto ne per un romanzo d’appendice, mentre avremo un
epilogo con morale per l’apologo.
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ELOCUTIO
Con elocutio si intende quella parte della tradizione retorica che si occupa di mappare le
strategie e caci atte a creare una formulazione linguisticamente appropriata e
adatta rispetto al contenuto e al pubblico, organizzando gli argomenti trovati nell’atto
dell’inventio attraverso la dispositio.
N.B. L’adeguatezza è un concetto relativo, dipendente dal pubblico e dal
contenuto

Secondo le norme classiche, l’elocutio deve rispettare 4 virtù, ossia 4 principi:


✦ Aptum, ossia l’e cacia della forma scelta rispetto al contesto comunicativo e ai ni
della comunicazione.

✦ Puritas, ossia la correttezza grammaticale


La puritas nell’accezione della retorica classica prescrive l’impiego di parole e
costrutti conformi all’uso corrente della maggior parte dei parlanti o di una categoria
speci ca in relazione al contesto.
ES. Utilizzo di termini tecnici per articoli scienti ci, utilizzo di un linguaggio
semplice per la prosa infantile
La puritas quindi prescrive di evitare l’uso di solecismi, ossia quelle forme che
disattendono le regole grammaticali e sintattiche (ad esempio a me mi, ma però,…), e
barbarismi, ossia quelle forme che non rientrano nel vocabolario di una determinata
lingua, tra i quali gurano forestierismi, dialettismi, voci gergali e regionalismi.
N.B. L’utilizzo di queste forme è concesso solamente per marcare retoricamente
un discorso, ad esempio per attivare un procedimento di mimesi

✦ Perspicuitas, ossia la chiarezza formale ed espositiva


La perspicuitas nell’accezione della retorica classica prescrive il rispecchiamento
totale tra inventio ed elocutio, garantendo la comprensibilità generale del testo ed
evitando fraintendimenti.

✦ Ornatus, ossia l’eleganza


In particolare, nell’ambito dell’ornatus i fenomeni retorici sono ambivalenti, ossia
possono essere considerati talvolta un vizio, talvolta una licenza consentita.
ES. L’impiego di solecismi e barbarismi può essere intenzionale e quindi diventare
una licenza.
Con licenza si intende quindi l’impiego funzionale ed intenzionale di una forma che
esula dalla norma, ma che è e cace rispetto all’aptum.
ES. I barbarismi sono generalmente concessi se hanno uno scopo di mitigazione
eufemistica, ad esempio nell’attenuare termini percepiti come tabù.

In questo discorso si installa anche il concetto di an bologia, con cui si intende la


possibilità di intendere ambiguamente uno stesso messaggio in almeno due accezioni
di signi cato diverse, date dalla sua stessa forma o dalla sua costruzione grammaticale.
ES. Una vecchia legge
fi
fi
ffi
ffi
fi
ffi
fi
fi
fi
I METAPLASMI
Con metaplasmo -dal termine greco “trasformazione”- si intende una trasformazione
della forma della parola, sopprimendo, aggiungendo o scambiandone gli elementi,
attraverso espedienti grammatici come la sincope, l’elisione, l’apocope, studiati nei loro
e etti sul discorso.
N.B. Molti metaplasmi sono alla base della metrica

I metaplasmi possono essere di 3 tipi: per detrazione, per aggiunzione e per


permutazione.

Metaplasmi per detrazion

✤ Aferesi: caduta della vocale o della sillaba iniziale di un vocabolo


ES. Veder mi parve un tal di cio allotta
Da Dante, Inferno XXXIV, per il computo metrico
ES. verno per “inverno”, sperienza per “esperienza”
Molte aferesi derivano da una naturale evoluzione linguistica delle parole dal latino
all’italiano —ad esempio “vangelo” da evangelum, mentre altre riproducono una
tendenza snellente del parlato, riproducendola nello scritto.

✤ Sincope: eliminazione di uno o più elementi all’interno di una parola


ES. Lettere a lettre, e messi a messi aggiunse
Da Tasso, Gerusalemme liberata
ES. merto per “merito”, spirto per “spirito”, torre per “togliere”
Molte sincopi derivano da una naturale evoluzione linguistica delle parole dal latino
all’italiano —ad esempio “cervello” da cerebellum, mentre altre sono dovute soprattutto
a necessità metriche.

✤ Apocope: caduta della vocale o della sillaba nale di un vocabolo


ES. A ciascun'alma presa e gentil core
Da Dante, Vita Nova I
Molte apocopi derivano da una naturale evoluzione linguistica delle parole dal latino
all’italiano —ad esempio “virtù” da virtutem, mentre altre sono usate a ni stilistici o
metrici.
Inoltre, l’apocope è obbligatoria in determinati casi di fonetica della frase, ad
esempio nel caso dell’aggettivo “bello”.

A ni a questi metaplasmi vi sono poi alcune gure metriche per detrazione, come la
sinalefe e la sineresi:

✤ Sineresi, ossia il computo metrico in un’unica sillaba di due vocali contigue in uno
stesso vocabolo
ES. e fuggiano e pareano un corteo nero
Da Carducci, Davanti San Guido
✤ Sinalefe, ossia il computo metrico in un’unica sillaba di due vocali vicine ma
appartenenti a due vocaboli diversi.
ES. Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude
Da Leopardi, L’in nito
ff
ffi
fi
fi
e

fi
fi
fi
N.B. Queste due forme di metaplasmo metrico sono frequentissime in Petrarca,
mentre Dante predilige l’apocope.

Metaplasmi per aggiunzion

✤ Prostesi: aggiunta di un elemento non etimologico all’inizio di una parola


ES. Un tempo era di usa una /i/ prostetica di fronte a parole inizianti per S- e
precedute da una parola terminante in consonante, come nel caso di per iscritto,
sopravvissuto ancora oggi.

✤ Epentesi: aggiunta di una consonante non etimologica tra due vocali in modo da
evitare lo iato, o di una vocale tra un gruppo di consonanti per facilitarne la
pronuncia.
ES. Già de’ fantasimi dal mobil vertice
Spiccian gli a etti memori
Da Carducci, Sole d’inverno
ES. “rovina” per ruinam

✤ Epitesi: aggiunta di elementi non etimologici alla ne di una parola.


L’epitesi è tipica del parlato, consistendo in alcuni regionalismi in cui si installa
una vocale d’appoggio per parole terminanti con consonante —ad esempio lme
nelle parlate meridionali; nella tradizione poetica antica, per evitare le forme
tronche erano presenti forme come udio, partio, fue.

A ni a questi metaplasmi vi sono poi alcune gure metriche per aggiunzione, come la
dialefe e la dieresi:

✤ Dieresi: particolare forma di iato che permette di scorporare una sequenza


vocalica monosillabica in due sillabe distinte.
ES. O tu ch’onori scienzia e arte
Da Dante, Inferno IV, con la dieresi sulle I
✤ Dialefe: ossia il computo metrico in due sillabe distinte di due vocali consecutive
di vocaboli diversi, spesso associata ad una vocale tonica.
ES. Bona umiltà, e gran tumor m’appiani
Da Dante, Purgatorio XI
N.B. L’impiego della dialefe è marcato poichè la norma prescrive la sinalefe

Metaplasmi per sostituzion


Secondo la teoria classica, tutti i barbarismi sono metaplasmi per sostituzione, come
ad esempio gli arcaismi, i dialettismi, i neologismi e altri impieghi di forme lessicali che
non appartengono alla lingua standard.

Metaplasmi per permutazion

✤ Metatesi: scambio di posizione dei fonemi di una parola


ES. Io son mercante e non sofolo
Da Boccaccio, Decameron, II, 9, 18
ffi
ff
ff
fi
e

fi
fi
fi
✤ Anagramma: dislocazione di tutte le lettere di una parola in modo da ricavare
altre unità lessicali dotate di senso, attraverso l’inversione.
ES. velo/levo — giravolta/volgarità — nave/vena
Ferdinand de Saussure diede il via a delle ricerche su anagrammi rintracciabili all’interno
della poesia omerica o latina, in cui gli anagrammi rispecchierebbero delle parole-tema
della poesia stesse, in uenzando l’analisi letteraria delle gure nascoste anche all’interno
del ritmo, del timbro.
Un celebre anagramma è quello del nome di Silvia nella poesia in morte a lei dedicata da
Leopardi: Silvia/salivi

✤ Palindromi: vocabolo o una sequenza che può essere letta indi erentemente da
sinistra a destra o viceversa senza modi carsi.
ES. il nome Anna
I palindromi possono riguardare anche interi gruppi di parole, come ad esempio recai
piacer, rieleggibile anche al contrario rimanendo immutato.
Questi giochi sono propri di una letteratura manierista ed enigmistica, di una letteratura
ra nata tecnicamente.

✤ Bifronti: parole in cui l’inversione del senso di lettura comporta un nuovo


signi cante.
ES. Roma—Amor
N.B. Esistono anche dei versi anacicli, ossia versi in cui la poesia mantiene un
senso compiuto anche con una lettura retrograda, cambiando il senso del
messaggio.

✤ Metagra : alterazioni gra che che subentrano in una parola, senza mutarne
l’e cacia e la comprensione.
ES. l’utilizzo di k per indicare l’occlusiva velare sorda
A questa categoria appartengono anche i calligrammi, ossia composizioni poetiche che
compongono un’immagine funzionale alla comprensione della poesia stessa, o coerente
con il tema stesso.
N.B. Già Teocrito sperimenta questo tipo di poesia gra ca
ffi
ffi
fi
fi
fl
fi
fi
fi
fi
ff
PROPRIO E FIGURATO
Nella tradizione classica, la di erenza tra proprio e gurato riguarda una concezione di
lingua analizzata su due livelli:
➡ Un primo livello consueto, regolato da leggi grammaticali e quindi proprio
➡ Un secondo livello improprio, sorprendente e inatteso, legato a signi cati ulteriori e
quindi gurato.

Le gure retoriche rientrano nella concezione gurata n dall’antichità, poichè esse sono
una modalità di categorizzazione e astrazione dei dati di lingua del reale, nel
tentativo di riconoscere delle costanti.
N.B. Dal latino gura, con accezione di “con gurazione”
Con gure retoriche intendiamo quindi delle alterazioni signi cative, intenzionali e
riconosciute rispetto ad un "grado zero” neutro, tali da avere un valore semantico.
N.B. Si tenta quindi di dare una categorizzazione a fenomeni che però hanno
spesso una de nizione sfumata entro più denominazioni.

La classi cazione classica antica non ha classi cato la gure in maniera rigorosa,
tuttavia Quintiliano distingue tra tropi e gure, distinguibili a loro volta tra gure di
pensiero, che agiscono sui concetti, e gure di parola che riguardano la forma delle
parole
In generale quindi, la tradizione retorica ha separato il contenuto dalla forma, come
se quest’ultima fosse posteriore ed esterna rispetto all’espressione del pensiero, e
già un autore come Quintiliano nel I sec. d.C. de nisce le gure come “elemento
costituivo del discorso che si allontana dai modi di esprimersi quotidiani”.

La classi cazione moderna vede tra le altre quella proposta da Lausberg in Elementi di
retorica (1969). Per Lausberg, le gure retoriche sono distinte in due categorie:
✤ Figure in verbis singulis, ossia che riguardano una singola forma
Divise a loro volta tra:
- Sinonimi
- Tropi
✤ Figure in verbis coniunctis, ossia che riguardano una sistema
Divise a loro volta tra:
- Figure di parola
- Figure di pensiero
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
ff
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
FIGURE IN VERBIS SINGULIS
Queste gure sono gure di sostituzione, in cui una parola viene scambiata con
un’altra.
In particolare, il termine proprio viene sostituito con una parola diversa che ha lo stesso
signi cato codi cato (sinonimo) oppure con un’espressione gurati a cui è possibile
attribuire un signi cato analogo in base al contesto (tropi).

Sinonim
Questo tipo di sostituzione sinonimica è preponderante nelle lingue romanze, dove la
ripetizione si tende ad evitare.
La sinonimia può aver anche un valore eufemistico, ossia sostituendo in particolari
ambiti (anatomia genitale, malattia, morte) una parola con un sinonimo attenuato.

Tropi
Questo tipo di sostituzione passa attraverso la scelta di una parola che nel suo valore
originario non è sinonimica, ma che acquista un valore gurato tale da porsi in
corrispondenza con quella sostituita.
tropo particolare perché sostituisce un termine in assenza stessa del termine base,
entrando nell’uso linguistico standard.
Con catacresi -dal termine greco che signi ca “abuso”- si intende un procedimento
mediante il quale un senso gurato diventa abituale e quindi proprio di una
determinata parola: è infatti un tropo particolare poichè sostituisce un termine in
assenza stessa del termine base, entrando nell’uso linguistico standard molto spesso
per una necessità data da un vuoto lessicale al quale si sopperisce con questo uso
estensivo che poi si ssa tra i signi cati propri anche nel dizionario, oscurando con il suo
successo la sua originaria natura tropica.
ES. ai piedi di un albero
collo di bottiglia
catene di monti
Ovviamente una catacresi può essere rivitalizzata e riassumere una natura
chiaramente gurata.
ES. Da Gadda, quadrupedi seggiole, dove quindi si restituisce un valore retorico al
termine gamba/piede delle sedie o dei tavoli.

! I tropi spenti
Non bisogna confondere la catacresi con i tropi spenti, ossia quelle metafore, metonimie,
iperboli che si sono spente, ossia il cui valore passato è riconoscibile solo
dall’etimologia.
Un esempio di ciò è il termine testa, che dal signi cato di “guscio di tartaruga” è passato
per estensione a “vaso, contenitore” e in ne tramite una metafora ha sostituito il termine
latino caput.

Secondo Lausberg, i tropi sono 9 e sono suddivisi in base al rapporto che instaurano
rispetto alla sfera concettuale del termine proprio:
✴ Sfera concettuale coincidente: Sineddoche, Antonomasia, Perifrasi, Enfasi, Litote,
Iperbole
✴ Sfera concettuale limitrofa: Metonimia
✴ Sfera concettuale diversa: Metafora, Ironia
fi
fi
i

fi
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TROPI
Sineddoch
Con sineddoche -dal termine latino trascritto dal greco “prendo insieme”, in latino anche
conceptio o intellectio- si intende una gura con cui si esprime una nozione con una
parola che è associata ad un’altra nozione, ma che ha un rapporto quantitativo con
la parola sostituita, tale da essere la parte per il tutto (o viceversa), oppure il singolare
per il plurale (o viceversa), la materia per l’oggetto.
ES. non avere pane nel senso di non avere da mangiare, non avere cibo.

La sineddoche è stata anche de nita una “metonimia di relazione quantitativa”, nelle


due tipologie di sineddoche di spazio maggiore (dal più al meno) e sineddoche di
spazio minore (dal meno al più).
Si possono quindi distinguere due tipi di sineddoche:
✴ Sineddoche generalizzante, in cui si nomina il più per il meno, quindi ad esempio la
materia per il prodotto, il tutto per la parte, il genere per la specie.
ES. O animal grazioso e benigno
Da Dante, Inferno V, per indicare un essere vivente, in questo caso un uomo
✴ Sineddoche particolarizzante, in cui si nomina il meno per il più, quindi ad esempio il
singolare per il plurale, la parte per il tutto, la specie per il genere.
ES. Cade l’Arabo imbelle, e ‘l Turco invitto
Da Tasso, Gerusalemme liberata IX

Metonimia
Con metonimia -dal termine greco “scambio di nome”, in latino denominatio- si intende
una gura retorica che nella tradizione designa un’entità qualsiasi con il nome di
un’altra entità che sta alla prima come la causa sta all’e etto, o le corrisponde per
dipendenza -ad esempio contenente/contenuto, proprietario/proprietà- appartenendo
quindi ad una sfera concettuale limitrofa rispetto alla parola sostituita.
ES. Mozart per indicare la musica; San Pietro per indicare la chiesa;….

I principali tipi metonimia si distinguono per i loci a cui rispondono, ossia a delle domande
ideali che spiegano il rapporto tra le due entità, distinguendo in:
‣ Causa per e etto
ES. autore per l’opera (leggere Leopardi), il produttore per il prodotto (il borsalino);
il patrono per la chiesa (San Pietro).
ES. le ferite né ricever né dar sa ne la faccia da Tasso, Gerusalemme liberata, in cui
le ferite sono metonimia per i colpi che provocano le ferite.
‣ E etto per causa, quando ad esempio si nominano gioia, fortuna, rovina per citare
persone o cose che apportano questa causa.
ES. virtù viva sprezziamo, lodiamo estinta
Da Leopardi, Nelle nozze della sorella Paolina, dove virtù indica le persone
virtuose
‣ Rapporti di interdipendenza
ES. contenente per contenuto (bere un’intera bottiglia); strumento per strumentista
(il primo violino, una buona forchetta); luogo per abitanti (l’Italia); marca del
prodotto (una Fiat), astratto per concreto (è stato consegnato alla giustizia)
‣ Simbolo per cosa simboleggiata
ES. divise per chi le porta (la Croce Rossa); le sedi per le istituzioni (Montecitorio);
simbolo per la cosa di cui è e gie (il luigi come moneta, il cicerone sugli atti legali).
ff
fi
ff
e

ffi
fi
fi
ff
Molte metonimie poi esempli cano il passaggio di un nome proprio a nome comune,
come nel caso di cardigan, dal nome del conte di Cardigan, eroe di Crimea.

! Metonimia e sineddoche come focalizzazioni di componenti del signi cato


Metonimia e sineddoche sono gure retoriche a ni e spesso confuse tra loro per via del
fatto che sono gure di contiguità, ossia le nozioni scambiate nel processo retorico sono
vicine tra loro ed entrambe risultano da una messa a fuoco di un tratto particolare di
signi cato.
ES. tetto per casa isola le componenti di signi cato riguardanti la copertura, il
riparo, la sicurezza. Tuttavia ciò è possibile solamente isolando dei tratti del
signi cato di casa che siano pertinenti anche al signi cato di tetto.
Inoltre, queste due gure possono facilmente con uire nella metafora, tanto che nel corso
del Novecento si è tentato di de nire la metafora come “due metonimie in
cortocircuito”, o anche due sineddochi.

Metafor
Con metafora -dal termine greco che signi ca “io trasporto”, in latino translatio per
calco- si intende un meccanismo retorico tanto comune, quanto di di cile de nizione.
Le de nizioni tradizionali sono insoddisfacenti, ma si possono riassumere in una
sostituzione di una parola con un’altra, il cui senso laterale ha qualche somiglianza
con il senso letterale della parola sostituita, la cui sfera concettuale quindi non
coincide e non è contigua rispetto al termine proprio.
ES. Quella ragazza è un ore, ossia per de nire la bellezza si usa un termine di un
altro campo concettuale, secondo un’analogia che passa attraverso le
caratteristiche comuni della bellezza, della freschezza, della delicatezza.
La metafora è quindi legata ad un codice culturale preciso.

Secondo Aristotele, la metafora mette in contatto campi d’immagini di erenti


evidenziando aspetti del reale e somiglianze inattese che non erano prima visibili:
molte metafore creano delle analogie che prima erano inesistenti o non erano ancora
state praticate, andando quindi a costituire delle metafore originali, mostrando aspetti del
reale che esse stesse hanno costruito.
ES. L’analogia tra cuore e trottola, associata ad un tramestio confuso di sentimenti
In generale quindi la creazione di metafore consiste in una diversa visione delle cose
-e quindi una diversa modalità anche del pensare alle cose stesse- ma esistono dei
modelli metaforici generali.
ES. La vita come viaggio, con un corollario di metafore di movimento, di
progressione, tutte relative a questa concezione; lo Stato come organismo, con un
corollario di terminologie metaforiche mediche per descriverne le condizioni.

Tutta la teoria retorica recente si concentra sulla metafora, con molte interpretazioni:
• Per Aristotele si basa su un principio di comparazione e sostituzione, ossia la
metafora è una sorta di contrazione tra due termini di paragone, una sorta di
“similitudine abbreviata”; tuttavia questa concezione non spiega l’interezza delle
metafore, poichè oltre all’assenza totale di uno dei due termini di confronto, la
metafora di erisce dal paragone in quanto alcuni paragoni non possono essere
assimilati ad una metafora.
ES. “Quella ragazza è alta come sua madre” non equivale a “Quella ragazza è sua
madre”
fi
fi
fi
a

ff
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fi
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ffi
fl
fi
ffi
ff
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N.B. Per Bertinetto, metafora e paragone comportano operazioni logiche
diverse: la metafora è dinamica e produce una compresenza di elementi, mentre il
paragone è statico e si basa sulla percezione di a nità e di erenze, quindi su
elementi di separazione.
• Per Perelman si parla di un concetto complesso di fusione e compresenza, ossia
la metafora non è riconducibile ad una singola a nità tra elementi, ma evoca una
molteplicità di associazioni compresenti.
• Per Max Black si parla di una teoria interattiva, per cui il senso della metafora non è
dato da analogie evidenti, ma da un atteggiamento analogo che i parlanti
assumono nei confronti di oggetti diversi.
Il senso della metafora è quindi il risultato complesso dell’interazione tra analogie e
di erenze tra i suoi elementi.

Tra le metafore si distinguono:


‣ Metafore d’uso, ossia catacresi di metafora o stereotipi che tuttavia non perdono il
loro senso gurato, dette anche metafore di denominazione poichè riempiono un
vuoto lessicale.
ES. l’occhio del ciclone, testa di ponte, al limite
Le metafore d’invenzione della letteratura dimostrano un altro valore della metafora, ossia
quello di non poter essere sostituita spesso da un espressione non gurata.
ES. Da Leopardi, Passero solitario: “Primavera dintorno/ brilla nell’aria” dove brilla è
riferito alla primavera, proiettata quindi sul soggetto
‣ Metafore d’invenzione, presenti dalla letteratura no ai testi specialistici.
ES. Da un titolo di una rivista di politica ed economia, A venti all’ora la corsa verso
il baratro, dove con venti si intendono 20 miliardi di lire e con baratro quello
dell’economia italiana.

Si distinguono inoltre metafore verbali e nominali, in cui quelle verbali hanno comunque
un e etto sul nome legato al verbo, di cui cambiano il signi cato.
ES. Da Primo Levi: la notte li inghiottì, dove la notte viene rei cata come un essere
mostruoso e ingordo.

Il meccanismo metaforico è quindi generalmente inteso come un processo mosso dalla


somiglianza fra due entità, il metaforizzato e il metaforizzante, i quali vengono
confrontati al ne di trovare dei tratti che ne intersechino i rispettivi signi cati.
Tuttavia questo vale solamente per le “metafore-similitudini”, ossia quelle metafore
riducibili a comparazioni implicite, mentre le metafore di denominazione -le quali non
possiedono un metaforizzato lessicale, che vanno proprio a colmare- si spiegano
applicando la proporzione aristotelica della Poetica per cui se B somiglia a A, allora D
somiglia a C nella stessa maniera.
ff
ff
fi
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ffi
ffi
fi
ff
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fi
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Alcuni esempi letterari di metafora:
ES. Io non piangea si dentro impetrai
Da Dante, Inferno XXXIII, ossia la metafora si gioca attorno alla durezza della
pietra, ma anche legata al concetto di freddezza, di insensibilità.

ES. ch’amor conduce a piè del duro lauro


Ch’à i rami di diamante e d’or le chiome
Da Petrarca, RVF XXX, ossia si parla di Laura (duro lauro), i cui rami sono braccia
diafane, quasi trasducenti, mentre le chiome d’oro rimandano ai capelli biondi della
donna.
ES. e prego anch’io nel tuo porto quiete
Da Foscolo, In morte del fratello Giovanni, dove il porto richiama alla morte
riallacciandosi alla metafora culturale della vita come viaggio.

ES. Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi


In così verde etate! Ahi, per la via
Da Leopardi, La sera del dì di festa

ES. Si devono aprire le stelle


Nel cielo sì tenero e vivo
Da Pascoli, La mia sera, ossia le stelle aprono la loro luce, si accendono.

ES. Anche un uomo tornava al suo nido


Da Pascoli, X Agosto, dove il nido indica la casa

ES. Non ho voglia


Di tu armi
In un gomitolo di strade
Da Ungaretti, Natale, dove il gomitolo rappresenta l’intrico, il tra co, la folla, la
complessità.

ES. Piove senza rumore sul prato del mare


Da Pavese, Tolleranza, con un richiamo al prato come distesa calma, piatta
oppure anche come somiglianza di colori, in un pantone verde.

Sinestesia
Con sinestesia -dal termine greco “percezione simultanea, percepisco insieme”- si
intende una gura retorica in cui vi è una traslazione di un signi cato un dominio
percettivo ad un altro, unendo quindi sfere sensoriali diverse come tatto-gusto,
vista-udito.
ES. colore caldo/freddo; silenzio freddo; sorriso amaro; dolce compagnia; …
N.B. In psicologia il termine indica un’associazione mentale tra un’immagine ed un
suono ad esempio
Esistono numerose catacresi di sinestesie nel parlato quotidiano, come ad esempio è
andato tutto liscio, oppure paura blu/nera, oppure carattere ruvido.
Esempi letterari di sinestesia sono invece:
‣ Dante, Inferno V, 28: d’ogni luce muto
‣ Virgilio, tacita lumina “sguardo muto”
ES. Un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso
Da Leopardi, Cantico del gallo silvestre, Operette morali, dove il tricolon è spezzato
dalla di erenza semantica tra nudo e altissima-immenso (aggettivi spaziali).
ff
ff
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fi
ffi
Ironi
Con ironia -dal termine greco eiron “colui che interroga ( ngendo di non sapere) e quindi
“ nzione”- si intende un concetto complesso di ridimensionamento, tra le cui concezioni
prevale quello dell’antifrasi, cioè il dire l’opposto di quello che si crede, attraverso
battute di spirito, ri essioni amare o altri espedienti, in maniera tale però da rendere
evidente la propria posizione e la propria intenzione argomentativa.
N.B. Le gure citate sopra, dalla litote all’antifrasi, passando per l’eufemismo e la
dissimulazione, rientrano nell’ambito dell’ironia
Altre de nizioni fanno invece leva sul carattere comico dell’ironia, spesso utilizzata per
deridere l’interlocutore o l’oggetto di cui si sta trattando, attuando quindi un
distanziamento: dire qualcosa invitando implicitamente a non prestargli fede.
Nello scritto l’ironia è più di cile da rendere perché ha bisogno di un’adeguata
contestualizzazione, mentre è più facile coglierla nel parlato.
Tutte le ri essioni moderne sull’ironia insistono quindi sulla dimensione dialogica da cui
nasce l’ironia, ossia la necessità di un interlocutore per l’impiego della stessa.
N.B. Si può parlare anche di ironia tragica o ironia della situazione se in testi
narrativi o drammatici vi è un contrasto tra ciò che appare e la realtà e ettiva,
come ad esempio nel caso del Re Lear di Shakespeare, dove il protagonista
ripudia l’unica glia che non lo tradirà.

Perifrasi o circonlocuzion
Con perifrasi - dal termine greco “parlare intorno”, in latino attraverso il calco
circumloquium- si intende un giro di parole che sostituisce un nome con una
de nizione o una parafrasi dello stesso, essendo quindi governata dal principio
dell’equivalenza di senso.
ES. l’amor che move ‘l sole e l’altre stelle per indicare Dio
ES. Colui lo cui aver tutto trascende
Da Dante, Inferno VII, con perifrasi per Dio
N.B. Di erisce dalla de nizione in quanto quest’ultima viene utilizzato in
presenza del termine, e non al posto dello stesso.

La perifrasi può essere considerata un tropo composto, riempibile con gure diverse
come allusioni mitologiche, metonimie, sineddochi, metafore ed altri.
Il parlare degli apparati burocratici e delle tecniche è molto incline all’uso di
perifrasi, mentre molte perifrasi sono lessicalizzate, ossia corrispondono ad unità
politematiche avverbiali, nominali, preposizionali, ossia formule sse del parlato
quotidiano.
ES. di buon grado, al di là, operatore ecologico.

La perifrasi trae la sua e cacia dalla pertinenza dei caratteri che speci ca rispetto al
tema e agli scopi del discorso in cui è inserita.
fi
fi
a

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fl
fi
fl
ffi
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ffi
i

fi
fi
fi
fi
ff
Antonomasi
Con antonomasia -dal termine greco “contro nome”, in latino pronominatio- si intende la
sostituzione di un nome con un epiteto o una qualità che sono quali cativi di quella
cosa a tal punto da contraddistinguerla.
ES. l’Onnipotente per Dio; lo Stagirita per Aristotele
Innanzitutto l’antonomasia è una perifrasi ed è anche una variante della sineddoche.
ES. Questo problema è un rebus, dove rebus diventa un’enigma per eccellenza
attraverso una sineddoche.
ES. la tigre della Malesia è un’antonomasia con valore metaforico.

Per Fontanier l’antonomasia è una sineddoche dell’individuo, così classi cata:


✤ Nome comune per nome proprio, quindi la sostituzione di un termine speci co con
un termine generico.
ES. il Maestro, il Filosofo
✤ Nome proprio per nome comune, diventando anche polisemico come nel caso di
cicerone per “guida turistica”.
ES. un Adone, un Einstein, mecenate, an trione
✤ Nome proprio per un altro nome proprio
ES. Uno pseudonimo, come Collodi per Carlo Lorenzetti.
✤ Nome comune usato sia per il nome proprio di un individuo, sia come nome
comune di una categoria a cui l’individuo è ascrivibile.
ES. stoico, vandalo

L’antonomasia attinge da campi tropici disparati e si presta a diventare un luogo


comune molto facilmente, fondandosi sul principio retorico dell’analogia.
Anche alcuni fenomeni dell’evoluzione linguistica stessa sono antonomastici, come ad
esempio un Caporetto per indicare una scon tta scottante.

Enfas
Con enfasi -dal termine greco “mostrare dentro, esibire”, in latino signi catio- si intende
un espediente retorico relativo alla pronuntiatio -ossia alla recitazione e ai gesti-
tramite il quale una parola viene pronunciata in maniera tale che l’ascoltatore sia
indirizzato solo verso certi tratti di signi cato della parola stessa.
ES. è solo un bambino, enfatizzando come scusante la categoria del bambino
N.B. L’enfasi è poi oggi considerata un aumento espressivo generico, andando in
un certo senso a scontrarsi con l’iperbole e la metafora iperbolica nelle sue
funzioni

Nella retorica antica inoltre con enfasi si intendeva anche quella che è oggi chiamata
densità semantica.
ES. In Il sangue non è acqua, sotto la super cie ovvia della frase si nasconde la
volontà di isolare dei tratti di signi cato dell’acqua che siano in contrasto con il
sangue, in questo caso da intendere per metonimia come la consanguineità.

Attivando l’enfasi e quindi scegliendo di scandagliare profondamente il signi cato della


frase oltre la sua apparente super cialità, si attiva anche il meccanismo dell’allusione.
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Litot
Con litote -dal termine greco “semplicità, diminuzione” e quindi “attenuazione”, da cui in
latino deminutio- si intende una perifrasi con cui si a erma indirettamente qualcosa
negandone il contrario, spesso con e etto ironico ra orzativo o con funzione
attenuativa.
ES. Da Manzoni, I promessi sposi: Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non
era nato con un cuor di leone

ES. Un barbaro che non era privo di ingegno su Shakespeare, da Manzoni, I


promessi sposi
Per Fontanier nell’Ottocento, so ermandosi sul carattere di “attenuazione” con cui la
stessa litote spesso si indicava, a erma che la litote è l’arte di mostrare di attenuare un
pensiero di cui in realtà si vuole conservare la forza in pieno.
Ovviamente, non tutte le negazioni possiedono la forza comunicativa e signi cativa che
caratterizza il livello retorico dell’enunciazione, ma questa forza sarà posseduta appunto
solo dalla litote.

Solitamente con attenuazione si intende la litote, ma a volte i due procedimenti sono


diversi: se la litote è una perifrasi, allora l’attenuazione è spesso una perifrasi eufemistica
o un modo di dire, utilizzata per ridimensionare considerazioni troppo entusiastiche,
introdotta da formule come in fondo forse…, non si vuole certo credere che…
ES. non è un genio, non c’è male

Iperbol
Con iperbole -dal termine greco “eccesso, esagerazione”, in latino attraverso il calco
superlatio- si intende un’esagerazione nell’ampli care o nel ridurre la
rappresentazione dei connotati di ciò che si comunica, mantenendo tuttavia una
qualche lontana somiglianza.
ES. Le grida salivano alle stelle; Le ho scritto due righe; Non ha un briciolo di
cervello.

L’iperbole è una specie della metafora, e normalmente nella comunicazione non viene
fraintesa, poiché si percepisce chiaramente l’inverosimiglianza del concetto
espresso.
L’iperbole mantiene un aggancio con il reale infatti per essere compresa, avendo quindi
un richiamo con situazioni verosimili ad esempio nei modi di dire che ne derivano.
ES. non vedere al di là del proprio naso; arrivo in un minuto

Il contesto determina ovviamente l’interpretazione che si dà dell’iperbole, così che si


possono distinguere due tipologie di iperbole:
‣ Iperbole pura, a data alle categorie dello spazio e del tempo
ES. è un secolo che non ti vedo
‣ Iperbole combinata, soprattutto con metafore e paragoni, mentre un’iperbole in
forma di paradosso è l’adynaton, ossia una situazione impossibile che viene proposta
ES. Non lo dimenticherò, campassi mille anni

L’adynaton viene utilizzato in forma perifrastica per esprimere idee di assolutezza come il
mai, il sempre; oppure in enigmi e allusioni.
ES. Da Auden: Io ti amerò n che l’oceano verrà piegato in due e steso ad
asciugare
e

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ff
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FIGURE IN VERBIS CONIUNCTIS
FIGURE DI PAROLA
Le gure di parola sono quindi fenomeni che pertengono all’ambito della dispositio,
ma analizzate secondo i parametri dell’elocutio, quindi della formulazione linguistica.

Tra le gure di parola per aggiunta vi sono la ripetizione e l’accumulazione: la ripetizione


è una gura di parola aggiunta che gioca sugli stessi termini, mentre l’accumulazione
gioca su elementi di erenti.
Vi sono poi anche gure di parola per detrazione.

FIGURE DI RIPETIZIONE
Sebbene il procedimento della ripetizione interessi soprattutto il parlato -per evitare
imprecisioni e ambiguità, o per riallacciarsi ad un discorso- più che lo scritto, in
quest’ultimo viene utilizzata soprattutto nel parlare poetico.

Per Freud infatti, padre della psicanalisi, la coazione a ripetere è connaturata all’arte in
generale, in particolare dell’arte poetica, dove attraverso rime, assonanze, cadenze
ritmiche si veicola un parallelismo a livello metrico e fonologico.
N.B. L’opposto della ripetizione è la variazione (variatio), che era consigliata dai
retori antichi nel caso di ripetizioni non giusti cate da una carica retorica.

Epanaless
Con epanalessi si intende una ripetizione consecutiva, in qualsiasi posizione nel
segmento testuale considerato, dello stesso termine o locuzione, del tipo: XX
ES. Non sono colui, non sono colui che credi
Da Dante,
ES. Espressioni colloquiali come zitti zitti, piano piano.
N.B. Spesso questa gura realizza anche una funzione enfatica

Anadiplos
Con anadiplosi -dal termine greco “reduplicazione”, in latino reduplicatio- si intende una
ripetizione di una parola o gruppo alla ne di un enunciato e all’inizio di un
enunciato successivo, mettendo a tema del secondo enunciato un elemento del primo,
del tipo: …X/ X…
Questo avviene ad esempio nel procedimento chiamato coblas cap nidas.
È un procedimento che letterariamente serve a dare un rinforzo tematico e ritmico,
aumentando la solennità o la forza evocativa del discorso talvolta.
ES. Itene, maledetti, al vostro regno,
Regno di pene e di perpetua morte
Da Tasso, Gerusalemme liberata

Climax
Con climax -dal termine greco “scala”- si intende una progressione di termini che
esprimono lo stesso concetto in maniera graduale, intensi cata o attenuata.
Nello speci co, se si parla di discesa graduale è corretto parlare di anticlimax, dove
invece il climax è l’ascesa graduale.
ES. Climax: troppo bella, troppo perfetta, troppo ideale
Anticlimax: in terra, fumo, polvere, ombra, niente
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fi
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fi
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ES. Tanto disse e tanto pregò e tanto scongiurò
Da Boccaccio, Decameron III, 6, 49

Epanadiplos
Con epanadiplosi -dal termine greco “raddoppiamento, ripiegamento”- si intende la
ripetizione alla ne di un segmento testuale dell’elemento con cui comincia, del tipo:
X…X
ES. Vede perfettamente donne salute
Chi la mia donna tra le donne vede
Da Dante, Vita Nova, XXVII, 10

Se l’anadiplosi marca l’unione tra due elementi distinti, l’epanadiplosi invece marca i
con ni.

Anafora
Con anafora -dal termine greco “riferimento, ripetizione”- si intende la ripetizione di uno
stesso elemento all’inizio di più membri -ossia unità sintattiche o metriche- spesso
omogenei nella costruzione formale, del tipo: X…/X…/X…
ES. Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo
Da Primo Levi, La tregua
Anafora con variatio, con gura etimologica tra i primi due membri e poliptoto tra
tutti e tre.

L’anafora si trova solo all’inizio di segmenti dotati di signi cato, quindi in poesia ad
inizio verso o dopo cesura di metà verso, mentre negli altri casi subentrano altre gure
di ripetizione.
ES. Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e niva sempre col dire le
gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. «Ho imparato»,
diceva , «a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho
imparato a guardar con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho
imparato a non tenere in mano il martello delle porte,quando c'è lì d'intorno gente
che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima
d'aver pensato quel che ne possa nascere.» E cent'altre cose.
Da Manzoni, I promessi sposi, cap. 38, con anafora che veicola l’ironia con cui si
scherniscono le nte conoscenze di Renzo.

Secondo Lepschy l’anafora è la gura che meglio rappresenta l’organizzazione del


testo poetico, per il suo consistere in parallelismi (a vari livelli) e il costante e
necessario ritorno di elementi equivalenti.
N.B. Da Appunti su antitesi e anafora nella Gerusalemme liberata, 1983, dove
l’autrice a erma che il parlare anaforico del Tasso è utile ad un’e etto di uidità e
scorrevolezza.

Polisindeto
Con polisindeto si intende una particolare forma di ripetizione anaforica, in cui sono
giustapposte più proposizioni paratattiche.
N.B. Nell’Orlando furioso è frequente questa gura, che ben evidenzia la ricerca
caotica e l’a ollamento del poema. Antitesi ed anastrofe invece -tipiche della
fi
ff

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Gerusalemme liberata- sono utili ad evidenziare la complessità dei rapporti del
mondo.
ES. e mi sovvien l’eterno/ e le morte stagioni, e la presente/ e viva, e il suon di lei
Da Leopardi, L’in nito
! Il contrario del polisindeto è l’asindeto, ossia la coordinazione di parole senza
l’inserzione di congiunzioni, una gura per detrazione che provoca un e etto
martellante, spezzato, tipico dello stile abructus.

Epifor
Con epifora -dal termine greco “portare in aggiunta, conclusione”- si intende la
ripetizione di un elemento alla ne di segmenti testuali consecutivi, del tipo: …X/…
X/…X
È una gura speculare all’anafora, di erenziata dalla stessa solamente dalla posizione
che la ripetizione occupa all’interno del segmento testuale.
N.B. La combinazione di anafora ed epifora costituisce la gura retorica della
simploche.

Paronomasi
Con paronomasia -dal termine greco - si intende un procedimento che accosta parole
che hanno fra loro una variazione minima di suono, ma una notevole variazione di
signi cato, a volte anche disattendendo le aspettative e deformando la parola che ci si
aspetterebbe in quel caso.
La paronomasia ha una tradizione antica ed illustre.
ES. L’inverno è lastricato di buone intenzioni
Da Flaiano, con calco su un detto proverbiale in cui però è sostituito inferno con
inverno.
ES. l’errore che recinge
Le tempie e il vago orror dei cedri smossi
Da Montale, Nel sonno, La bufera, con variatio nella paronomasia per via
dell’apocope.
ES. Traduttore traditore; Chi non risica non rosica

Solitamente la paronomasia si distingue in due categorie:


‣ Apofonica, ossia basata sull’alternanza vocalica delle parole della radice
ES. stella/stalla
‣ Isofonica, ossia basata sull’uguaglianza dei suoni dove cade l’accento
ES. vista/svista

In ambito linguistico, è stato riconosciuto il fenomeno dell’attrazione paronimica, ossia


un fenomeno di origine popolare che accosta lo stesso senso a parole che si
rassomigliano solo per la forma, genando malapropismi che sono poi entrati a far
parte del parlare quotidiano.
ES. Malinconia è derivato da melanconia per attrazione di male
Spesso le paronomasie sono frutto di trasgressioni creative e di un certo preziosismo
letterario, andando a veicolare un aspetto comico, satirico, paradossale o arguto.
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! I malapropismi
Con malapropismo -ricalcato da Mrs. Malaprop, personaggio di una commedia di ne
Settecento- si intende un errore nato dalla somiglianza tra due parole, che vengono
sostituite.
I malapropismi sono paronomasie involontarie, generate dall’ignoranza del parlante
di fronte a termini ignoti, sostituiti secondo l’attrazione paronimica.
Si genera quindi spesso un’etimologia popolare o una paretimologia, ad esempio in
appetitivo per aperitivo, con riferimento al fatto che l’aperitivo stuzzica l’appetito.
Non vi è quindi un con ne netto tra la deformazione creativa volontaria e l’errore
involontario, all’interno della sfera dei malapropismi.

Poliptot
Con poliptoto -dal termine greco “di molti casi”- si intende la ricorrenza di un vocabolo
con funzioni sintattiche diverse all’interno dello stesso enunciato o di enunciati
contigui.
ES. Vorrei voler, Signor, quel ch’io non voglio
Da Michelangelo, Rime 87
Il poliptoto è comune ad ogni tipo di discorso, in espressioni radicate ormai nel parlare
come le mani nelle mani.
ES. è ridicolo ipotecare il tempo e lo è altrettanto immaginare un tempo suddiviso
in più tempi.

Figura etimologic
Con gura etimologica -dal termine greco “io derivo”, in latino derivatio- si intende una
accostamento di due elementi che hanno in comune la stessa radice, la cui forma
già comune è quella dell’oggetto interno, ossia la presenza di verbo e complemento
oggetto corradicali.
ES. vivere la propria vita; amar d’amore; vietato vietare
ES. e li ‘n ammati in ammar sì Augusto

! Paronomasia, poliptoto e gura etimologica sono schemi ripetitivi particolari che


traggono la loro carica gurale dalla combinazione di due arti ci retorici, ossia la
ripetizione e al contempo la variazione.

Sinonimi
Con sinonimi -dal termine greco “comunanza di nome”- si intendono parole diverse ma
che hanno un signi cato equivalente, ovviamente suddivise in gradi diversi di
sinonimia poichè sono in realtà rare le forme veramente intercambiabili, ossia senza
anche la minima modi ca della sfumatura di signi cato.

I sinonimi sono utilizzati per le ragioni più disparate -coloritura dell’espressione, evitare
ripetizioni, evitare rime cacofoniche, esigenze di nitidezza o di eleganza- e sono utili ad
uniformare le scelte lessicali ai registri, agli stili e ai generi del discorso in atto.

Nella retorica classica i sinonimi vengono considerati parte dell’ornatus, utili a


soddisfare delle esigenze di espressività e di sorpresa del destinatario. Inoltre, lo
sfruttamento della sinonimia concorre a stimolare la variatio -opposta alla repetitio-, cioè
l’elegante varietà che si ottiene con arti ci retorici
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Dittologia sinonimic
Il meccanismo di ripetizione si trova tuttavia anche nell’ambito della sinonimia, ad
esempio nel un ricorrere di uno stesso senso in espressioni formalmente diverse, ma
quindi sinonimiche -o meglio equivalenti, con le dovute sfumature di senso.

I sinonimi di solito si accumulano in strutture ternarie, ma una specie di ripetizione


sinonimica è la dittologia, ossia la congiunzione di due vocaboli simili nel signi cato e
complementari, utile per ampli care un concetto in maniera ridondante.
ES. congiunge e unisce
mondissimo e purissimo
Da Dante, Convivio
Esistono alcune dittologie cristallizzate, come ad esempio a immagine e somiglianza,
felice e contento, e altre.
Spesso i termini si attirano per allitterazione oppure uno di essi è la variante metaforica
dell’altro.
ES. il perché e il percome, vivo e vegeto
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FIGURE DI ACCUMULAZIONE
Si ha un’accumulazione quando si accostano gli uni agli altri, mediante coordinazione
o subordinazione, membri di una frase che non sono ripetuti, quindi che non
costituiscono un sistema.

Quando ad essere accumulati sono gli aggettivi, si parla di accumulazione


subordinativa, poichè l’aggettivo è in posizione subordinata rispetto al nome che lo
regge; questo tipo di accumulazione è spesso utilizzata nel linguaggio pubblicitario per
rendere accattivanti i prodotti proposti.

Enumerazion
Con enumerazione si intende una serie di parole giustapposte per asindeto o
polisindeto, in forma di elenco.
N.B. Spesso utilizzata in maniera caotica da una certa poesia del ‘900 per
sottolineare il disordine del mondo.
Questa gura è marcata retoricamente se utilizzata con intenzioni comunicative le
attribuiscono un’e cacia argomentativa, narrativa o descrittiva.
Spesso i membri delle enumerazioni sono divisi da espressioni interposte, quindi
organizzati secondo il procedimento della distributio.

Si può inoltrare distinguere tra enumerazioni dove il membro sovraordinante -o


inclusivo degli altri- è collocato per primo ed enumerazioni dove il membro
sovraordinante è posto alla ne.

Endiad
Con endiadi -dal termine greco “una cosa per due”- si intende la formulazione di un
unico concetto scindendolo nei due o più elementi che la compongono.
Ad esempio, il binomio nome-aggettivo è sostituito da due termini coordinati, ma in
generale ad un binomio subordinante-subordinato si sostituisce un binomio
coordinato.
ES. per mezzi boschi inospiti e selvaggi,
onde vanno a gran rischio uomini et arme
Da Petrarca, RVF 176, dove il concetto sostituito è quello di “uomini armati”
ES. nella strada e nella polvere per “nella strada polverosa”

Epiteto
Con epiteto -dal termine greco “aggiunto”- si intende un aggettivo -generalmente, ma
anche un nome o una locuzione quali cativi- accostato ad un sintagma nominale
con il compito di quali carlo. Può trasmettere informazioni più o meno pertinenti.
Si può parlare di epiteto se il discorso retorico gioca volutamente attorno all’insistenza
aggettivale, quindi nel caso appunto di un’accumulazione di aggettivi.

Spesso sono esornativi, cioè tendono ad avere una funzione puramente ornamentale e
ormai stereotipata, come nel caso delle formule di epiteto omeriche, o altre.
ES. Achille piè veloce, Lorenzo il Magni co
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FIGURE PER DETRAZIONE
Elliss
Con ellissi -dal termine greco “mancanza”- si intende un espediente retorico che
snellisce il discorso, evitando ripetizioni o proiettando in avanti l’attenzione del
lettore o dell’interlocutore, con valore cataforico.
Questo avviene attraverso l’omissione di uno o più elementi necessari alla compiutezza
logica di un enunciato.
ES. Ho comprato tre libri e tu soltanto due, con ellissi di hai comprato e libri poichè
recuperabili dall’enunciato che precede.
È frequente nell’incipit di giornali, oppure nella trasmissione brillante di notizie in poesia e
narrativa, ma soprattutto caratterizza lo stile dei titoli e dei telegrammi, uno stile
nominale che si regge in piedi senza il supporto di predicati.
In retorica è meno usata e dove è usata è particolarmente marcata: se nel parlato
assolve ad una funzione pratica di brevità e concisione, in letteratura invece spesso
marca un’assenza, un tabù o per lasciare anche nell’inde nitezza la risposta.
Ad esempio è frequente l’ellissi nelle chiuse dei romanzi moderni, per un principio di
insolvenza.
ES. Ci salutammo e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita
Da P. Levi, Se questo è un uomo

Una particolare forma di ellissi è l’ellissi del tema, ossia l’omissione totale di ciò di cui
si sta parlando, al ne di creare delle ambiguità che sollecitino lo sforzo creativo-
interpretativo del lettore, quindi frequenti in poesia.
L’ellissi del tema nella comunicazione normale genera poi dei referenti testuali, ossia
malgrado il tema sia omesso, si utilizzano termini legati ad elementi o funzioni
caratterizzanti di quel tema, senza la necessità di introdurlo.
ES. Una descrizione dell’automobile in cui però si utilizzano solo termini collegati come
guidare, cofano, parabrezza

Zeugm
Con zeugma -dal termine greco “mettere al giogo, aggiogare”- si intende la dipendenza
di due membri non omogenei da un unico predicato, ossia le parole vengono
“aggiogate” in un’unica costruzione sintattica, quando avrebbero reggenze diverse.
ES. parlar e lagrimar vedrai insieme
Da Dante, Inferno XXXIII, dove il vedrai (verbo di percezione visiva) regge il
lagrimar, ma meno il parlar.
ES. Aveva diciotto anni, un impermeabile chiaro.
Da Fenoglio
Lo zeugma è una variante dell’ellissi che spesso provoca delle incongruenze semantiche
o sintattiche.

Enallage
Con enallage si intende uno scambio di funzioni tra parole
ES. parlare chiaro, lavorare duro ossia “parlare chiaramente, lavorare duramente”,
ossia l’aggettivo viene usato con funzione avverbiale.

Ipallag
Con ipallage si intende il legame tra un aggettivo e un sostantivo che però non
corrisponde a quello a cui è legato logicamente l’aggettivo.
i

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ES. le mura dell’alta Roma ossia “le alte mura di Roma”
E gli alberi discorrono col trito/mormorio della rena
Da Montale, Le occasioni, ossia “col mormorio della trita rena”
N.B. Queste due gure arrivano dalla tradizione latina e hanno una resa
di coltosa in italiano, venendo utilizzate come marche classiche.

Anastrof
Con anastrofe -dal termine greco “inversione”- si intende l’inversione dell’ordine
abituale di due o più parole dell’enunciato.
ES. che ‘l die d’amore — mi parea vedere
Da Cavalcanti
È una gura di gusto latino, che è quindi fortemente presente nella linea poetica di tutte le
lingue neolatine.

Iperbat
Con iperbato -dal termine greco “trasposto, andare oltre”- si intende l’interposizione di
un segmento di discorso tra due membri collegati strettamente, provocando quindi
uno scarto rispetto all’ordine non marcato.
ES. Quando sovvieni di cotanta speme
Un a etto mi preme
Acerbo e sconsolato
Da Leopardi, A Silvia
Se l’iperbato avviene tra membri coordinati, allora è un’epifrasi.
ES. Dolce e chiara è la notte e senza vento
Da Leopardi, La sera del dì di festa

Parallelism
Con parallelismo o isocolo si intende la giustapposizione di segmenti testuali
costruiti in maniera parallela (equivalenti per estensioni o struttura sintattica)
ES. Qui si vince o si muore
Se invece di due membri se ne hanno tre, allora si parla di tricolon
ffi
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FIGURE DI PENSIERO
Tecnicamente appartengono al’inventio, ma vengono trattate nell’elocutio perché
tradizionalmente se ne marca il valore estetico di abbellimento.

Descrizion
Con descrizione si intende ogni forma di espressione che si oppone al dialogo e alla
narrazione, mettendo davanti agli occhi delle immagini mentali e descrivendo un
luogo (topogra a), un tempo (cronogra a), un aspetto sico (prosopogra a) o di
carattere (etopea).
La descrizione di opere d’arte in letteratura -ad esempio lo scudo di Achille- viene
chiamata ecfrasi.

Antitesi
Con antitesi si intende la contrapposizione di termini, pensieri e concetti che crea
anche una corrispondenza formale tra membri contrapposti
ES. or mansueta, or disdegnosa e fera
Da Petrarca, RVF 112

Ossimor
Con ossimoro si intende l’accostamento di concetti che sono logicamente sentiti
come contrari, non compatibili, ossia un binomio in cui uno dei due termini esprime un
concetto contrario o contraddittorio rispetto all’altro, al quale è unito secondo diversi
rapporti sintattici, come ad esempio:
‣ Soggetto/Predicato
ES. Da Eraclito: La loro vita è morte d’immortali
‣ Nome/Attributo (o speci cazione)
ES. Da Manganelli: insensato senso; da Eco: formose deformità
‣ Verbo/Avverbio (o modi catore)
ES. Da Zanzotto: ferisco senza ferire

ES. e gli atti suoi soavemente alteri,


i dolci sdegni alteramente umili
Da Petrarca, RVF 37
Nella letteratura di ogni epoca si presta a ri essioni profonde sull’inquietudine e sulle
contraddizioni esistenziali, a partire dalla basilare bene/male.

Chiasm
Con chiasmo si indica la disposizione incrociata degli elementi grammaticalmente o
semanticamente corrispondenti di due sintagmi consecutivi.
ES. le donne, i cavalier, l’arme, gli amori
Da Ariosto, Orlando furioso I

Epifonem
Con epifonema si intende una sentenza memorabile posta a ne periodo, o
comunque in posizione marcata.
ES. ecco il giudicio umano come spesso erra
Da Ariosto
Per Fontanier corrisponde ad una ri essione o ad un tratto di spirito o di
immaginazione che si distacca rispetto al contenuto.
o

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Paragone: similitudine e comparazione
I paragone è frutto del ragionamento analogico e si suddivide in due sottospecie: la
similitudine e la comparazione.

Con similitudine -dal termine greco parabolè “paragone, confronto”- si intende un


confronto tra esseri animati e inanimati, trovando delle somiglianze tra un termine e l’altro.
ES. Qual è colui che sognando vede, cotale son io
Da Dante, Paradiso XXXIII
La similitudine è nella sua forma esemplare lo sviluppo di un nucleo descrittivo o
narrativo, come avviene nel genere predicativo della parabola, in particolare di quelle
evangeliche, ma può avere una forma contratta che si concentra sul solo nucleo.
ES. come…

Con comparazione si intende invece un paragone reversibile, ossia un paragone entro


il quale i due termini possono essere interscambiati nei rispettivi ruoli, producendo
comunque un enunciato equivalente al primo nel signi cato.
ES. è tanto bella quanto buona/ è tanto buona quanto bella

Preterizion
Con preterizione -dal termine greco “tralascio, ometto”- si intende una formula di
rinuncia volontaria alla trattazione esaustiva di un argomento, che viene solo
accennato per dimostrare di non volerne o non poterne parlare in altri termini, in
realtà evidenziando ciò che si a erma di non voler dire.
ES. Cesare taccio che per ogni piaggia fece l’erbe sanguigne
Da Petrarca, RVF, 128
Si utilizza per abbreviare un racconto (perché dilungarmi?) oppure con una carica allusiva
che insiste su un invito a supporre o ricostruire autonomamente quanto taciuto.

Hysteron proteron
Con hysteron proteron si intende una formula per cui si presenta una sequenza in un
ordine inverso a quello che sarebbe naturale dal punto di vista logico o cronologico.
È quindi una sorta di anastrofe, dove però l’inversione è concettuale e vede prevalere
l’informazione che viene ritenuta più signi cativa.
ES. moriamo e precipitiamoci nella mischia
Da Virgilio, Eneide II

Prosopopea
Con prosopopea o personi cazione si intende la rappresentazione antropomor ca di
oggetti inanimati o enti astratti a cui si a bbiano delle prerogative umane.
ES. Spesso succede con gli animali nelle favole di Esopo o Fedro, o anche in
Pinocchio o Fattoria degli animali, oppure con i sentimenti e le emozioni in poesia.

Apostrofe
Con apostrofe si intende l’atto di rivolgersi direttamente ad una persona o cosa
personi cata lontana nel tempo o nello spazio e diversa dal destinatario del
discorso, passando da terza a seconda persona.
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ffi

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È solitamente il luogo canonico degli interventi autoriali, atti spesso a suscitare il
pathos; in poesia è frequente l’allocuzione all’assente, spesso dedicatario della
composizione stessa.
ES. Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
Da Dante, Inferno XXVI

FIGURE DI SUONO
Vi rientrano assonanza, consonanza, paronomasia e onomatopea

Onomatope
Con onomatopea si intende l’imitazione di suoni naturali in espressioni del
linguaggio articolato, ossia vengono create nuove parole che seguono le convenzioni
fonologiche e grafematiche della lingua, avendo quindi una di erenziazione linguistica e
culturale
ES. drin, cin cin, ma soprattutto il gallo in italiano fa chicchirichì, mentre in francese
ad esempio fa cocoricò.
a

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LA METRICA
Poesia e versi cazion
In primis, bisogna distinguere la nozione di poesia da quella di versi cazione, poichè
nello speci co:
• Con poesia si indica un concetto culturale molto ampio, applicabile al discorso nel
suo insieme, anche indipendentemente dalla forma.
ES. Esistono testi in versi che non sono poesia
• Con versi cazione si intende un fatto tecnico che riguarda le caratteristiche formali
del discorso.

La metrica quindi si occupa della versi cazione, ossia è lo studio dell’insieme delle
norme di una determinata cultura letteraria che caratterizzano il testo in poesia —e
lo di eriscono da quello in prosa.

La metrica quindi si occupa di tutti quegli aspetti formali che caratterizzano il testo in
versi, descrivendo le forme e le regole in termini assoluti ma anche diacronici, nella
loro evoluzione storica.
Si pone quindi entro due campi d’interesse -quello propriamente linguistico e quello
stilistico- che ne costituiscono gli estremi.

La metrica si distingue nei due sistemi principali del mondo occidentale:


• Metrica quantitativa, tipica delle lingue classiche e quindi basata sulla distinzione
tra sillabe lunghe e sillabe brevi.
N.B. Viene ripresa con tentativi di imitazione in varie fasi dello sviluppo metrico
della storia letteraria italiana.
• Metrica accentuativa, tipica delle lingue romanze e basata sull’accento della
parola.

Riassumendo, per metrica si intende quindi:


✤ Disciplina tecnica che norma la versi cazione
✤ Studio delle forme metriche
✤ Insieme storico dei vari sistemi propri di una cultura, ma anche di una determinata
letteratura o di un determinato autore
ES. metrica classica, metrica moderna,…

La versi cazion
La metrica italiana conosce vari tipi di versi cazione:
✴ Versi cazione tradizionale, ossia basata su un sistema di norme costituive e
codi cate, disattendendo alle quali si cade nell’errore.
✴ Versi cazione libera (più moderna, sviluppatasi a cavallo tra Ottocento e Novecento),
ossia priva di strutture chiuse ed obbligate e quindi largamente eterogenea nelle sue
divagazioni.
N.B. Bisogna quindi tenere conto del carattere storico della metrica e del contesto
temporale in cui ogni testo poetico si colloca.
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Una de nizione onnicomprensiva della di erenza tra prosa e poesia riguarda il rapporto
tra forma e contenuto:
- Nella prosa è l’unità di signi cato a scandire i segmenti sintattici.
- Nella poesia la scansione formale non corrisponde invece necessariamente alla
scansione logico-sintattica.
In poesia quindi vige un principio organizzativo formale che può prescindere dal
signi cato, tale per cui è possibile de nire il verso come unità base della scansione di
un discorso in versi, ossia l’unità minima che può costituire da sola un discorso in
versi compiuto.

In particolare:
‣ Nella versi cazione tradizionale, il verso soggiace a delle regole prestabilite
riguardanti la sua costruzione, disattendendo le quali il verso non si ottiene; può
essere quindi anche de nito come un “segmento di discorso organizzato secondo
certe regole proprie della metrica”
‣ Nella versi cazione libera invece il verso ha una struttura descrivibile ma non
stabilita e quindi indipendente rispetto ad un modello di confronto.

Tutti i testi poetici in versi si distinguono in:


- Stro ci, ossia composti da strofe, unità intermedie e regolari di più versi
- Indivisi, ossia forme metriche che non sono scansionabili
La struttura stro ca è propria solitamente di quei testi in rima, termine quest’ultimo con
cui si nomina l’identità del suono della parte nale di due versi a partire dall’ultima
vocale tonica compresa.
N.B. Per convenzione, vocali aperte e chiuse sono omofoniche
Inoltre, la forma stro ca è propriamente quella regolare, composta quindi da strofe
con numero di versi uguale, tipologia e ordine dei versi uguale e in ne schema metrico
uguale.
Le partizioni irregolari -de nite comunque strofe nella tradizione letteraria- nella
tradizione letteraria arcaica e in quella contemporanea sono de nite lasse, ossia
partizioni di misura variabile accomunate o dall’assonanza o dalla rima.

I fatti inerenti alla metrica sono poi suddivisibili in due livelli:


‣ Livello delle forme metriche, ossia quelle strutture testuali in versi regolari che
assolvono ai vari principi che le governano.
‣ Livello della prosodia, ossia lo studio degli elementi di suono della versi cazione,
ossia lo studio della scansione del verso nelle sue unità sillabiche, degli accenti, delle
rime.

Spesso le forme metriche sono legate ai generi letterari, i quali si specializzano in una
determinata forma metrica di utilizzo prevalente.
Ad esempio, la lirica impiega preferibilmente le forme metriche del sonetto, della canzone,
della ballata, del madrigale; il poema cavalleresco utilizza l’ottava; la satira e il poema
allegorico utilizzano le terzine dantesche; la poesia narrativo-discorsiva dal Cinquecento
utilizza l’endecasillabo sciolto.
In generale quindi le forme metriche si distinguono in:
‣ Forme liriche, generalmente brevi e dotate di una compattezza stilistica e e tematica,
dedicate a trattazioni amorose, etiche, morali, ecc.
‣ Forme discorsive, generalmente lunghe e tipiche della poesia narrativa, epica,
didascalica.
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Per quanto riguarda in ne il rapporto tra metro e sintassi, per quanto le norme metriche
non siano norme sintattiche, tendenzialmente un verso è portatore di un signi cato di
senso compiuto e risulta quindi quasi sempre sovrapponibile con una struttura
sintattica.
Se ciò non avviene, si veri ca il fenomeno dell’inarcatura (enjambement), ossia la
mancata corrispondenza tra unità sintattica e limite di verso, che può avvenire tra
due versi contigui o più raramente tra due strofe —tipicamente in poesie narrative.

Metrica sillabica
Nella metrica italiana, due versi sono dello stesso tipo se hanno lo stesso numero di
sillabe, così che la tradizione denomina i versi sulla base del numero di sillabe da cui
sono composti e per appartenere a quella categoria un verso deve contenere quel
numero di sillabe.

Innanzitutto, con sillaba si intende un’unità ritmica minima che è costruita almeno
attorno ad una vocale.
Per convenzione, nella prosodia italiana vige un isocronismo sillabico, ossia le sillabe
sono percepite come se fossero tutte uguali per durata e la loro portata fonica non ha
valore.
Il numero di sillabe quindi si conta arrivando no all’ultima sillaba tonica, basandosi su
una convenzione che non guarda al numero reale di sillabe, ma il numero di sillabe
rintracciabili in successione no all’ultimo accento tonico.

L’ultima parola è quindi fondamentale per identi care il tipo di verso, che viene
denominato in base alla posizione dell’accento, e così diviso in 3 categorie:
• Verso tronco, se termina con l’ultima tonica
• Verso piano, se dopo l’ultima tonica vi è una sillaba
• Verso sdrucciolo, se dopo l’ultima tonica vi sono due sillabe
N.B. Nella tradizione italiana, il verso tronco è marcato verso il basso, mentre il
verso sdrucciolo è tipico di una certa poesia pastorale e agreste; è anche possibile
un verso bisdrucciolo, frutto di una ricerca stilistica particolare.

Per convenzione, il nome dei versi viene assegnato sulla base dell’uscita piana,
aumentando sempre di uno rispetto alla posizione della sillaba tonica, così che ad
esempio l’endecasillabo è appunto per de nizione il verso con sillaba tonica in decima
posizione, e quindi con undici sillabe; l’endecasillabo tronco ha invece dieci sillabe,
poichè la tonica è sulla decima ed ultima posizione.

Esistono però anche delle forme metriche che non sono giocate sull’isosillabismo -ossia
sul principio per cui versi dello stesso tipo hanno lo stesso numero di sillabe-, ma anzi
sull’anisosillabismo, una tendenza che può essere licenza o errore in base
all’intenzionalità dello scrivente, e che porta alla creazione di versi ipermetri (una
sillaba in più in genere) o versi ipometri (una sillaba in meno in genere).
L’anosillabismo è stato tipico di una versi cazione giullaresca, mentre nella lirica di
stile elevato si incontra raramente.
Il verso ipermetro è tipico ad esempio di una poesia lirica delle Origini, dove non vi era
ancora una canonizzazione metrica e dove una certa escursione nelle sillabe non andava
a compromettere la forma metrica, ma è presente anche nella poesia moderna.
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Nel De vulgari eloquentia Dante ri ette sulla tradizione metrica della poesia volgare
italiana, in cui già vige una norma che perdurerà per i secoli successivi.
Egli è innanzitutto il primo a distinguere i versi in due tipologie:
✤ Parisillabi, ossia versi con sillabe pari
✤ Imparisillabi, ossia versi con sillabe dispari

Per Dante inoltre, i due estremi della tradizione sono il trisillabo e l’endecasillabo,
mentre le forme più adatte allo stile elevato sono quelle dei versi imparisillabi,
prevalentemente il quinario, il settenario e l’endecasillabo.
N.B. Questa predilezione della poesia italiana per i versi imparisillabi è una
peculiarità che rimane costante nella sua storia, poichè gli imparisillabi hanno il
vantaggio di avere degli accenti liberi e accenti obbligatori, rispetto ai parisillabi
che hanno solo accenti obbligatori; inoltre, i versi parisillabi sono sentiti come versi
cadenzati, ripetitivi e rozzi —saranno amati ad esempio dalla poesia rinascimentale
al ne di essere memorabile ed empatica.
L’endecasillabo è in ne ritenuto il verso più splendido, sia per la sua misura di tempo,
sia per la sua capacità in termini di concetto, di costruzione, di vocabolario.

Computo sillabico e gure metrich


In metrica il computo sillabico è quindi fondamentale per stabilire la natura del verso che
si sta analizzando.
In generale, le sillabe si scandiscono secondo le regole consuete a meno della
presenza di gure metriche come sinalefe, dialefe, sineresi e dieresi.

✤ Sinalefe: fusione prosodica della vocale nale di una parola con quella iniziale
della parola successiva, o addirittura tra più vocali o
N.B. Anche l’H è coinvolta nella sinalefe
ES. Portato ho in seno, e già mai non mi scinsi
Da Petrarca, RVF 266

✤ Dialefe: fenomeno per cui le due vocali ( nale e iniziale di due parole contigue)
sono contate separatamente, bloccando invece il procedimento usuale che è la
sinalefe
N.B. Molto rara nella linea petrarchista, di usa invece nell’opera di Dante; viene
inoltre utilizzata per dare una patina di arcaismo
ES. Senza in cui si mise
Da Giacomo da Lentini

✤ Sineresi: fenomeno per cui un nesso vocalico interno alla parola è monosillabico

✤ Dieresi: fenomeno per cui un nesso vocalico interno alla parola è bisillabico,
utilizzato per ricavare un verso sdrucciolo.

Per quanto riguarda i dittonghi essi valgono generalmente:


- 1 sillaba all’interno del verso
- 2 sillabe alla ne del verso (e a ne parola)
ES. mai, io, voi, lei, fui, mia, mie, suo, sua, sue, reo, rea, rei
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fl
ff
fi
fi
e

Questa regola del dittongo è costante da Petrarca in poi, mentre spesso in Dante e nella
linea poetica estranea al petrarchismo si riscontra una dieresi d’eccezione, ossia
prosodicamente il dittongo diventa bisillabo anche in interno verso.
ES. Quivi vid’ïo Socrate e Platone
Da Dante, Inferno IV, con marcatura su io attraverso la dieresi.

Vi sono invece alcuni nessi inscindibili, ossia sempre monosillabici:


‣ I nessi iè, uò
ES. pie-de, buo-no
‣ I nessi au, eu
ES. lau-ra, eu-ro-pa

Altri fenomeni che riguardano la soppressione, la fusione o l’aggiunta di sillabe, quasi


sempre al ne di rientrare nel computo sillabico più che per un vezzo stilistico sono:

✤ Elisione: caduta della vocale nale di una parola davanti a vocale iniziale
seguente
ES. l’uomo

✤ Aferesi: caduta della vocale iniziale di parola preceduta da parola che termina in
vocale
ES. che ‘ncontro per che incontro
È un fenomeno prosodicamente signi cativo poichè viene utilizzato come dato culturale e
al ne di ridurre posizioni.

✤ Troncamento: soppressione di una vocale, consonante o sillaba alla ne di


parola, usata ad esempio per creare un verso tronco
ES. dir per dire, vuol per vuole

✤ Crasi: fusione tra due vocali di parole contigue


ES. v’aggio pro erto il cor; mà voi non piace
Da Petrarca, RVF 21, dove si fondono “ma a”

✤ Epitesi: aggiunta di una vocale o sillaba a ne di parola, in prosodia utilizzata dalla


lirica arcaica per evitare un verso tronco
ES. fue per fu, tue per tu, piue per più

! Dieresi, troncamento ed epitesi sono utilizzati quindi per ottenere rispettivamente versi
sdruccioli, tronchi o piani.
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fi
ff
fi
fi
fi
fi
L’accentazion
Il sistema di versi cazione italiano è sillabico-accentuativo, dove quindi il verso si
costituisce sia sulla dimensione -numero di sillabe, compreso l’ultimo accento tonico-,
sia sul sistema di accenti.

Inoltre, la metrica in senso stretto dovrebbe occuparsi solamente delle misure sillabiche,
quindi la parte della disciplina che si occupa del sistema accentuativo e del modo in
cui il discorso si articola nei suoi aspetti fonici è de nita tecnicamente ritmica, ma
sostanzialmente la versi cazione in generale è racchiusa dal termine “metrica”.

L’italiano è una lingua accentuativa, così che ogni sillaba è articolata in maniera
diversa, tale per cui l’accento è l’elemento che provoca l’articolazione più intensa di
una sillaba rispetto alle altre, de nendola come tonica.

I versi vengono divisi in posizioni, grosso modo corrispondenti alla scansione in sillabe e
utili ad individuare l’accento, e quindi a de nire il tipo di verso.

In primis, versi parisillabi e imparisillabi si distinguono per:


‣ nei versi parisillabi gli accenti hanno posizioni sse
‣ nei versi imparisillabi gli accenti hanno posizioni variabili ma normate.

Tra i versi con accentazione ssa troviamo:


- Senario (2-5)
- Ottonario (3-7)
- Novenario (2-5-8)
- Decasillabo (3-6-9)

Tra i versi con accentazione variabile troviamo:


- Quinario
- Settenario
- Endecasillabo
N.B. Dante de nisce i versi “eccellenti” quelli con accenti variabili, poichè la
sensibilità dell’autore può agire maggiormente.

In secondo luogo, gli accenti si dividono in


‣ Accenti obbligatori e principali, ossia necessari perché un determinato verso sia
tale —come ad esempio l’accento di decima nell’endecasillabo, o determinanti una
tipologia di verso rispetto ad un’altra —come l’accento di quarta o sesta
nell’endecasillabo.
In generale, tra gli accenti necessari vi è quello nella penultima posizione di un verso
piano. Sono inoltre gli unici pertinenti dello schema accentuativo, ossia della
disposizione degli accenti nel verso
‣ Accenti secondari, ossia accenti facoltativi, spesso presenti e che cooperano a
scansionare il ritmo metrico —come ad esempio l’accento di settima o ottava
nell’endecasillabo
fi
e

fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
La prosodia si occupa degli accenti dinamici, ossia gli accenti della stringa di un
verso e non delle singole parole a sè stanti, così che spesso non tutti gli accenti della
prosa sono pertinenti nel verso.
Generalmente però l’accento metrico coincide con l’accento di parola, tranne in casi
eccezionali. Per quanto riguarda alcuni fenomeni di tonica, troviamo:

✤ Diastole: spostamento in avanti dell’accento regolare per motivi metrici


ES. umìle, simìle,
utilizzate da Petrarca con diastole
abbraccia terre il gran padre Oceàno
Da Foscolo, Dei sepolcri

✤ Sistole: spostamento all’indietro dell’accento regolare per motivi metrici


ES. pièta, podèsta
La notte ch’io passai con tanta pièta
Da Dante, Inferno I

Inoltre, in base ad una teoria prosodica, in italiano non sono consentiti né due accenti
consecutivi né tre atone consecutive, con le dovute eccezioni; quindi si cerca
generalmente di evitare accenti consecutivi.
VERSI IMPARISILLABI
Endecasillab
Con endecasillabo si intende un verso con ultima posizione tonica in decima
posizione.

L’endecasillabo canonico è quello petrarchesco, ossia che presenta anche:


• Un accento di quarta, detto endecasillabo a minore con accenti: 4-8-10 o raro
4-7-10
• Un accento di di sesta, detto endecasillabo a maiore con accenti: 2-6-10 o 3-6-10
N.B. Tuttavia, fatto salvo per la quarta e/o sesta posizione, gli altri accenti
sono tutti potenzialmente possibili e corretti, secondo un’accentazione variabile

In particolare, l’endecasillabo a minore isola un settenario alla ne del verso, mentre


l‘endecasillabo a maiore isola un settenario all’inizio del verso.

Esempi di endecasillabi a minore:


ES. in sul mio primo giovenile errore
Da Petrarca, RVF 1
In questo caso è un endecasillabo a minore, con accento di quarta e decima, che divide il
verso in due emistichi, di cui uno è un settenario (giovenile errore).
Vi è poi un accento secondario di ottava.

ES. Se la mia vita da l’aspro tormento


Da Petrarca, RVF 12
In questo caso è un endecasillabo a minore, con accento di quarta e decima, con
accento secondario di settima.

ES. a seguitar costei che ’n fuga è volta


Da Petrarca, RVF 6
In questo caso è un endecasillabo anomalo (an bio poichè sia a minore, sia a maiore) con
accento di quarta, di sesta, di ottava e di decima, con una costruzione ritmata mimetica
rispetto al contenuto semantico—il seguitar.

ES. Ma trovo peso non da le mie braccia


Da Petrarca, RVF 20
In questo caso è un endecasillabo a minore, con solo accento di quarta e di decima.

Esempi di endecasillabi a maiore:

ES. Questa anima gentil che si diparte


Da Petrarca, RVF 31
In questo caso è endecasillabo a maiore con accento di seconda, sesta e decima

ES. anzi tempo chiamata a l’altra vita


Da Petrarca, RVF 31
In questo caso è endecasillabo a maiore con accento di terza, sesta e decima

ES. Era la mia virtute al coro ristretta


Da Petrarca, RVF 2
o

fi
fi
In questo caso è endecasillabo a maiore con accento di prima, sesta e decima, per
marcare il verbo essere

ES. a seguitar costei che ’n fuga è volta


Da Petrarca, RVF 6
In questo caso è an bio, collocabile sia tra gli endecasillabi a minore, sia tra quelli a
maiore, magari anche con una valutazione rispetto agli altri versi.

ES. Ne l’operatïon tutto s’agghiaccia


Da Petrarca, RVF 20
In questo caso è un endecasillabo a maiore con accento di sesta e decima

! Endecasillabo non canonico


L’endecasillabo non canonico è un verso raro che non presenta accenti obbligatori di
quarta e di sesta
N.B. Le posizioni di quarta e sesta possono veri carsi contemporaneamente -o
almeno una di esse- nell’endecasillabo canonico.
ES. La dubbia dimane non t’impaura
Da Montale, Ossi di seppia, con accento di quinta e decima

Settenari
Con settenario si intende un verso in cui l’ultima posizione tonica è la sesta
Il settenario presenta poi uno o due accenti ulteriori prima della sesta, in posizione
libera —tranne la quinta posizione, per ovvi motivi.

Questo verso viene utilizzato in tutta la tradizione italiana, spesso accompagnando in


alcune forme metriche -come la canzone petrarchesca- l’endecasillabo.
Il settenario può quindi essere considerato anche come un emistichio di endecasillabo,
in particolare la prima di un a maiore o la seconda di un a minore.

! Settenario doppio
Esistono dei settenari doppi sia nella poesia delle origini (Contrasto di Cielo d’Alcamo,
con un settenario sdrucciolo e uno piano) sia nel cosiddetto alessandrino della poesia
didascalica (Bonvesin de la Riva)
N.B. L’utilizzo di versi raddoppiati accostati è dovuto all’inesistenza di versi
maggiori dell’endecasillabo.

ES. Da Petrarca, RVF 126


Chiare, fresche et dolci acque
Ove le belle membra

Leggiadre ricoverse

Co l’angelico seno

E ‘l cielo in ciò s’adopra

N.B. I versi doppi tendono a concentrarsi o nella fase sperimentale delle Origini,
oppure nella fase dell’Ottocento e Novecento dove si fonda su uno
sperimentalismo metrico un nuovo scarto rispetto alla tradizione.
o

fi
fi
Quinari
Con quinario si intende un verso in cui l’ultima posizione tonica è la quarta.
È poi presente un altro accento in posizione libera, solitamente di prima o di seconda,
mentre se è di terza sono eccezioni.

È un verso breve che si presta bene a rendere la sticomitia dialogica, quindi utilizzato
frequentemente nel teatro del Cinquecento o nelle odi-canzonette.

! Quinario doppio
Esiste il quinario doppio, la cui di erenza rispetto al decasillabo sta nella netta divisione
in due parti e nella disposizione degli accenti, che cadono sempre sulla quarta.
È presente nella poesia delle Origini, oltre che nella poesia romantica e nei versi di
Pascoli.
ES. Al mio cantuccio | donde non sento
se non le reste | brusir del grano.
Da Pascoli, Canti di Castelvecchio, L’ora di Barga

VERSI AD ACCENTI FISSI


Decasillab
Con decasillabo si intende un verso che presenta accenti cadenzati ogni 3 sillabe, del
tipo: 3-6-9
ES. S’ode a destra uno squillo di tromba
a sinistra risponde uno squillo
Da Manzoni, Il Conte di Carmagnola

È molto raro, tipico della poesia delle Origini, come ad esempio in Quand’eu stava in le
tu cathene o nelle laudi di Jacopone —poichè la facilità di memorizzazione ed ha quindi
un ruolo chiave in questa prima fase orale della poesia; e della poesia romantica
risorgimentale —poichè la scansione ritmata del verso è funzionale a trasmettere un’idea
di valore guerriero, di empatia nazionale.

Novenari
Con novenario si intende un verso che presenta l’ultima tonica in ottava posizione,
con accenti del tipo: 2-5-8

Diventa un verso ad accentazione ssa dall’Ottocento, mentre nella poesia delle


Origini (ad esempio in Dante, nella ballata Per la ghirlandetta) è ancora un verso ad
accentazione libera, per poi essere ripreso anche da Carducci e Pascoli.

! Novenario doppio
Esiste il novenario doppio, molto amato da Gozzano che compone addirittura un
poemetto in distici di novenari, che possono liberamente mancare di una sillaba.
ES. Loreto impagliato ed il busto | d’Al eri, di Napoleone
i ori in cornice (le buone | cose di pessimo gusto
Da Gozzano, L’amica di nonna Speranza
fi
o

ff
fi
fi
Ottonari
Con ottonario si intende un verso in cui l’ultima sillaba tonica è di settima, con accenti
ssi del tipo: 3-7
ES. Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia
Da Lorenzo de’ Medici, Canzona di Bacco,
con accentazione non ancora ssa però

L’accento di terza è una regola con eccezioni, rispetto quindi al novenario che aveva
una maggiore oscillazione prima della standardizzazione ottocentesca

Senari
Con senario si intende un verso in cui l’ultima sillaba tonica è la quinta, con accenti
ssi del tipo: 2-5
ES. Fantasma tu giungi
Tu parti mistero
Da Pascoli, Canzone d’aprile, Myr

! Senario doppio
Anche il senario doppio è utilizzato ad esempio da Manzoni nel coro dell’Adelchi.
ES. Dagli atri muscosi, | dai Fori cadenti
Da Manzoni, Adelchi, Atto III

Quadrisillabo
Con quadrisillabo si intende un verso che ha come ultima sillaba tonica la terza.

Da solo è rarissimo e viene quasi sempre impiegato come elemento di alternanza,


ossia in costruzione con altri versi più ampi, soprattutto con l’ottonario.
ES. Quell’Albano,
Quel Vaiano,
Che biondeggia
Che rosseggia
Da Francesco Redi, Bacco in Toscana

Trisillab
Con trisillabo si intende un verso che ha come ultima sillaba tonica la seconda.
Il trisillabo è un verso di impiego recente, ad esempio Pascoli lo utilizza assieme a
senario e novenario.
ES. la povera
fontana
malata
Da Palazzeschi
fi
fi
o

fi
RIMA
Con rima si indenti ca l’identità di suono tra due o più parole a partire dall’ultima
vocale tonica, compresa.
Tutto ciò che precede non è signi cativo per de nire la rima, ma può diventarlo per
de nire un particolare tipo di rima che comprende anche elementi precedenti all’ultima
vocale tonica.

È prevista da tutta la tradizione metrica italiana no almeno al Cinquecento —


quando si attestano i primi esempi di verso libero, che sarà poi dominante da Leopardi in
poi e soprattutto nel Novecento—, questo anche perchè la presenza della rima
giusti ca e compensa l’anosillabismo della poesia delle Origini e antica, che si
fondava principalmente sullo schema rimico piuttosto che sul computo sillabico.

La rima ha 3 funzioni:
‣ Demarcativa, ossia scandisce il testo e indica la ne del verso
‣ Strutturante, ossia va a con gurare con le altre rime uno schema rimico che
caratterizza le diverse forme metriche.
ES. Le due quartine del sonetto possono trovarsi con rime alternate o incrociate
‣ Associativa, ossia connette tra loro due o più parole, che correla anche a livello
semantico.

La rima riguarda:
• Nella maggioranza dei casi le parole a ne verso
• Nella minoranza dei casi —ma frequente no a Dante, meno da Petrarca, l’interno di
un verso, distinguendosi in:
- Rima interna, ossia una rima che unisce una parola all’interno di un verso
con la parola nale di un altro verso
ES. un mazzolino di rose e viole
onde, siccome suole, ornare ella si appresta
dimani, al dì di festa, il petto e il crine
Da Leopardi, La sera del dì di festa
Nella tradizione italiana, questa rima si trova quasi sempre in posizione di
cesura, quindi sostanzialmente tra due emistichi.
- Rima al mezzo, ossia una rima che divide un verso in due emistichi,
congiungendo una parola a ne verso con una parola di un verso contiguo.
ES. Tra bande verdigialle d’innumeri ginestre
La bella strada alpestre scendeva nella valle
Da Gozzano, Le due strade

! Nelle convenzioni metriche, per indicare lo schema rimico si utilizzano le lettere


maiuscole solo negli endecasillabi, mentre le minuscole per gli altri tipi di verso.

Tra gli schemi rimici principali ritroviamo:


- Rima baciata, ossia una rima che si ripete identica per più versi contigui, del tipo
AA; BB; CC,
N.B. Se tutte le rime di un testo sono uguali, allora il testo è monorima.

- Rima alternata, ossia con una disposizione alternata appunto, del tipo AB; AB; AB
fi
fi
fi
fi
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fi
fi
fi
fi
fi
fi
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- Rima incrociata, ossia con disposizione chiastica, del tipo ABBA; CDDC; EFFE.
- Rima incatenata, ossia una rima -tipica delle terzine dantesche e degli epigoni di
questa tradizione- in cui la rima centrale di ogni terzina rima con le rime iniziali e
nali della terzina successiva, del tipo ABA; BCB; CDC; DED

- Rime replicate, ossia rime che presentano identità di sequenza tra due strofe, del
tipo ABC; ABC
N.B. Il sonetto ha generalmente questo schema rimico nelle terzine

- Rime retrograde o invertite, tipiche della sestina, ossia rime che dispongono la
stessa sequenza ma invertita, del tipo ABC; CBA

- Rima costante, tipica della ballata, è una rima che si ritrova in una posizione ssa
all’interno di un testo
N.B. Tutte le stanza di una ballata terminano con la stessa rima

Sulla base dell’accentazione possiamo poi distinguere tra:


✤ Rima tronca, ossia di parole tronche, è una rima di apparizione sporadica che ha
trovato luogo nella tradizione italiana ad esempio in casi isolati della Commedia o del
Canzoniere
N.B. Rima tronca in consonante, tipica della letteratura dei dialetti settentrionali e
di una poesia per musica quattrocentesca
✤ Rima piana, ossia di parole piane, la più frequente nella tradizione italiana
✤ Rima sdrucciola, ossia di parole sdrucciole, è una rima di apparizione sporadica,
utilizzata ad esempio per il suo sapore popolareggiante nel Quattrocento.

Tipologie di rime
Le rime acquistano un nome che riguarda la loro natura non solo rispetto alla loro
sequenza, ma anche rispetto alla semantica, al coe ciente di di coltà e altri parametri.
In particolare si distinguono:

๏ Rime facili, ossia rime in cui si impiegano termini lessicali con grande
disponibilità, come ad esempio la rima desinenziale o su ssiale.
ES. : campare : andare : parlare
Da Dante, Inferno II
È una rima facile che quindi non crea discrepanze, tipicamente dello scrivere chiaro dello
Stilnovo.

๏ Rime di cili o “care”, ossia rime con una disponibilità di lemmi in rima molto
scarsa
ES. :sepulcro :pulcro :appulcro
Da Dante, Inferno VII

๏ Rima ricca, ossia una rima in cui l’identità di suono precede anche la vocale
tonica, inglobando parte del segmento fonico che precede la vocale tonica.
ES. :sentero :altero
Da Petrarca, RVF 13

๏ Rima derivata, ossia l’impiego di una parola rima che è corradicale ad un’altra
con cui rima, anche solo apparentemente
fi
ffi
ffi
ffi
ffi
fi
ES. :degna :disdegna | :queste membra :ti rimembra
Da Petrarca, RVF 5 e 15
N.B. È anche una rima ricca, in quanto amplia l’identità di rima anche agli
elementi che precedono l’ultima vocale tonica.

๏ Rima grammaticale, ossia una rima costruita su forme grammaticali identiche


ES. Rima in -are, ossia costruita sui verbi della I coniugazione
ES. :clami :clama :ami :ama
Da Giacomo da Lentini, Amor non vuole c’hio clami

๏ Rima equivoca, ossia una rima in cui volutamente vi è un gioco tra suono e
contenuto, costituita dalla rima tra due parole dallo stesso corpo fonico ma dal
signi cato diverso.
ES. S’indugia e cerca, irrequieta, al sole; […]
Nell’ombra ive le stelle errano sole
Da Pascoli, Myricae, Il cuore del cipresso

๏ Rima identica, ossia quando una parola rima con se stessa


ES. La parola Cristo nella Commedia rima solo con se stessa

๏ Rima composta o spezzata, ossia una rima che si crea dall’unione arti ciale e
prosodica di più parole.
ES. un busto sanza capo andar sì come
andavan li altri de la trista greggia;
E ‘l capo tronco tenea per le chiome
pesol con mano a guisa di lanterna:
E quel mirava noi e dicea “Oh me!”
Da Dante, Inferno XXVIII

๏ Rima in tmesi, ossia una rima che si ottiene dividendo una parola in ne verso
ES. Dai sogni, oh! Brevi, della gioia desto
Io mi ritrovo a piangere in nita-
Mente con te; morire! Così presto!
Partire, o madre, come sei partita!
Da Pascoli, Myricae, Colloquio II

๏ Rima ipermetra, ossia una rima ottenuta tramite un’episinalefe, ossia una sinalefe
tra due versi, il che crea una rima perfetta a meno di una sillaba, che viene eliminata
concettualmente con l’episinalefe appunto.
È generalmente attuata su rime sdrucciole, in maniera da renderle piane.
ES. è l’alba: si chiudono i petali
Un poco gualciti; si cova,
Dentro l’urna molle e segreta
Non so che felicità nuova
Da Pascoli, Il gelsomino notturno
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Rime perfette e imperfette
Le rime si dividono in:
• Rime perfette, se vi è un’identità di suono totale a partire dall’ultima vocale tonica
del verso
• Rime imperfette, se vi è un’identità parziale, divisa in:
- Assonanza, ossia l’identità delle vocali nali di parola
- Consonanza, ossia l’identità delle consonanti postoniche di parola

Vi sono poi delle rime che sono apparentemente imperfette, ossia sono percepite
come tali, come ad esempio la rima siciliana, ossia una rima che nasce dalla
trascrizione del sistema fonologico siciliano in quello toscano durante il Duecento,
con la conseguente perdita della rima perfetta perchè viene fatto rimare I/E chiusa U/O
chiusa
ES. :aviri :serviri —> :avere :servire
Per estensione, si aggiungono una serie di altre occorrenze a questo fenomeno che
estendono queste identità.
ES. :noi :fui :sui
Da Dante, Inferno XI
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FORME METRICHE
Vi sono forme metriche tipiche di vari generi, così che la forma è portatrice non solo di un
dato puramente stilistico, ma anche tematico.
Tra le forme metriche della tradizione italiana possiamo distinguere in:

✤ Forme regolari della poesia lirica


Tra queste forme gurano il sonetto, la ballata, il madrigale e la canzone —e
sestina lirica—, forme per antonomasia del Canzoniere petrarchesco, alle quali si
può aggiungere lo strambotto, proprio della tradizione lirica orale e
popolareggiante.

✤ Forme regolari della poesia narrativa-discorsiva


Tra queste forme gurano la lassa, il distico, la quartina e il servente —tipici della
poesia delle Origini—, l’ottava, la terza rima —tipiche del Trecento, l’endecasillabo
sciolto —nato nel Cinquecento e giunto a piena maturità nel Settecento e
Ottocento.

FORME LIRICHE
Canzon
Con canzone si indica una forma metrica nata nel Duecento, che unisce nel nome la
dimensione performativa musicale e quella lirica poetica.
Dante ne parla nel De Vulgari Eloquentia, ma rispetto alla codi ca dantesca prevale la
tipologia praticata da Petrarca, che viene da lì in poi chiamata canzone petrarchesca.
N.B. Il secondo modello della canzone lirica italiana è la canzone libera
leopardiana

La canzone prevede una struttura metrica che alterna endecasillabi e settenari, in una
serie di strofe di numero non de nito chiamate stanze, alle quali segue una stanza di
dimensione ridotta chiamata congedo, in cui il poeta prende la parola direttamente.
N.B. Possono esserci canzoni di soli endecasillabi ma non canzoni di soli settenari

Secondo la codi ca dantesca, la canzone si divide in stanze, ognuna delle quali si


divide in due parti e a loro volta in due sezioni, in questo modo:
✴ Piede
• I piede
• II piede
✴ Volta
• I volta
• II volta
Questa struttura viene però superata a favore invece della struttura petrarchesca, che
divide la stanza in 3:
✴ Fronte, diviso in:
• I piede
• II piede
✴ Sirma, indivisibile
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Lo schema rimico della canzone è variabile, ma si ripete identico tra le varie stanze
della canzone, avendo inoltre come tratti peculiari:
‣ Nessun verso dei due piedi può rimanere con rima irrelata —senza una rima
corrispondente
‣ Tra piedi e sirma vi è una rima di collegamento, che prende il nome di chiave o
concatenatio
‣ Il congedo corrisponde di solito alla struttura della sola sirma
‣ Spesso vi è rima baciata nale
ES. Così nel mio parlar voglio esser aspro
com’è ne li atti questa bella petra,
la quale ognora impetra
maggior durezza e più natura cruda,
e veste sua persona d’un diaspro
tal che per lui, o perch’ella s’arretra,
non esce di faretra
saetta che già mai la colga ignuda;
ed ella ancide, e non val ch’om si chiuda (CHIAVE)
né si dilunghi da’ colpi mortali,
che, com’avesser ali,
giungono altrui e spezzan ciascun’arme:
sì ch’io non so da lei né posso atarme.
Da Dante, Così nel mio parlar voglio esser aspro, stanza I

! La stanza di una canzone può costituire da sola una testo omonimo, come succede
con la colla sparsa nella poesia provenzale

Sestina liric
Con sestina lirica è una forma di canzone in stanze indivisibili, composta da 6 stanze
di soli endecasillabi.
È un tipo di canzone molto artefatta, che gioca su un sistema di rime basato su 6
parole-rima, che si ripetono identiche per tutte le stanze e che rimano solo tra stanze.

Inoltre, il sistema di parole-rime si ripete tra una stanza e l’altra in maniera retrograda,
del tipo: ABCDEF, poi FAEBDC, poi CFDABE, e così discorrendo, intersecando ultima e
prima, penultima e seconda, terzultima e terza di volta in volta.

Il congedo ha tre parole rima all’interno del verso, e tre parole rima in ne verso, in
posizione variabile.

! Sestina doppia: formata da 12 stanze, con una moltiplicazione delle parole doppie.

Canzone-od
Con canzone-ode si indica una tipologia ridotta di canzone in cui le stanze sono
indivisibili e hanno tutte 4 versi, sul modello di Orazio.
Queste stanze possono essere di endecasillabi e settenari, o solo endecasillabi, con
uno schema rimico ripetuto uguale per tutte le stanze.
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Questa tipologia di canzone ha un grande successo nel Cinquecento, diventando una
forma molto proli ca, utilizzata ad esempio da Bernardo Tasso e Chiabrera.

Ode-canzonett
Con ode-canzonetta si indica una tipologia di canzone che utilizza peculiarmente:
- versi brevi (dal settenario a scendere), cantabili e ben ritmati
- rime sdrucciole o tronche
N.B. La distinzione con la canzone-ode non è sempre facile, ma è
principalmente basata su queste caratteristiche.
Ha molto successo nel Settecento nella stesura sia delle arie dei melodrammi, sia
invece di poesie impegnate, ad esempio quelle di Parini, ma anche il 5 Maggio di
Manzoni è un’ode-canzonetta.

Sonett
Con sonetto si intende una forma metrica composta da 14 versi endecasillabi,
divisibili in due quartine e due terzine, con schemi rimici variabili.

L’origine del sonetto è dibattuta, ma la tradizione vede nel suo primo utilizzo quello di
Giacomo da Lentini, poeta della Scuola siciliana, venendo poi imitata dalle altre
letterature.
Il termine “sonetto” deriverebbe però forse da so o sonette, “suono”, quindi sarebbe una
stanza di canzone francese scorporata e sviluppata —la cola esparsa— e
accompagnata da un accompagnamento musicale, di cui però non abbiamo nessuna
attestazione e su cui si è spesso dibattuto.

I principali schemi rimici del sonetto sono:


✦ Nelle quartine: rima alternata (ABAB) o più frequentemente incrociata (ABBA)
✦ Nelle terzine: rima replicata (CDECDE) o retrograda (CDEEDC), oppure una forma di
rima che ricorda la rima incatenata (CDCDCD)

Tra le possibili variabili del sonetto troviamo dei sonetti accessoriati con dei settenari,
tipici della lirica delle Origini, come ad esempio:
✤ Sonetto rinterzato, ossia un sonetto che aggiunge un settenario dopo ogni verso
dispari delle quartine, dopo entrambi i primi due versi delle terzine
N.B. Molto usato da Guittone
✤ Sonetto doppio, ossia un sonetto che aggiunge un settenario dopo ogni verso
dispari delle quartine e dopo il secondo verso delle terzine.
N.B. Usato da Dante nella Vita Nova
✤ Sonetto caudato, ossia un sonetto che aggiunge un settenario che rima con
l’ultimo verso delle terzine, e poi un distico di endecasillabi a rima baciata
N.B. Sonetto tipico della poesia burlesca, molto frequentato
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Ballat
Con ballata si indica una forma metrica con un utilizzo anche performativo e
musicale, ossia è accompagnata da musica e passi di danza.
N.B. Ha un grande successo n dalle Origini in Toscana—poesia amorosa e
religiosa della lauda— attraversando tutta la storia della tradizione.

La ballata è suddivisa in stanze o strofe di endecasillabi e/o settenari, ed è


caratterizzata dalla ripresa, ossia una ripetizione che è premessa alle stanze e le
intervalla.
N.B. L’ultimo verso della ripresa rima con l’ultimo delle stanze

La ballata prende poi nomi diversi a seconda della dimensione della sua ripresa,
avendo quindi:
‣ Ballata stravagante, più di 4 versi di ripresa
‣ Ballata grande, 4 versi di ripresa
! Barzelletta: tipo di ballata —grande con ripresa di 4 versi—costruita da versi
brevi di ottonari o settenari, destinata ad essere musicata e tipicamente
quattrocentesca.
ES. La Canzona di Bacco è strutturalmente una barzelletta, con una ripresa
identica negli ultimi due versi.
‣ Ballata mezzana, 3 versi di ripresa
‣ Ballata minore, 2 versi di ripresa
‣ Ballata minima, 1 verso di ripresa
N.B. Quest’ultima utilizzata ad esempio nella poesia di Ottocento e novecento, ad
esempio da Pascoli

La ballata è quindi così conformata:


- Ripresa
- Fronte, diviso in:
• I mutazione o piede
• II mutazione o piede
- Volta, corrispondente alla ripresa per numero di versi, misura e schema rimico;
inoltre, vi è una chiave tra primo verso della volta e ultimo della II mutazione.

Canzonett
Con canzonetta si intende un termine della poesia per musica che tuttavia dal punto di
vista metrico, a partire dal Quattrocento, si identi ca per lo più con una ballata.
La canzonetta può assumere vari nomi a seconda dell’origine (ciciliana, viniziana) o
dell’autore (giustiniana, ossia di Leonardo Giustinian)

Madrigale
Con madrigale si intende un’altra forma di poesia destinata alla musicazione, di
origine trecentesca e presente massicciamente nel RVF di Petrarca.
Il madrigale è costituito da endecasillabi e settenari (o solo endecasillabi) disposti in
una serie di terzine (2-5) seguite da uno o due distici, oppure da un verso isolato.
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Il madrigale ha avuto fortuna anche in tempi più recenti, venendo ad esempio rivalutato a
cavallo tra Ottocento e Novecento da Carducci e Pascoli.

Strambott
Con strambotto o rispetto si intende una forma di poesia per musica in otto versi
endecasillabi che possono trovarsi isolati —rispetto spicciolato— o in serie —
rispetto continuato—.
Malgrado la destinazione originariamente musicale, il suo sviluppo quattrocentesco è
stato poi ripreso da Pascoli.

Lo strambotto può inoltre essere distinto sulla base dei due schemi rimici principali a
cui si associa, ossia:
• Ottava siciliana, del tipo ABABABAB
• Ottava toscana, del tipo ABABABCC

FORME DISCORSIVE
Distic
Con distico si intende una coppia di versi a rima baciata, usata soprattutto nella
poesia discorsiva delle Origini, per poi essere ripresa ancora una volta dalla poesia di
Pascoli.
Tra i distici più frequenti abbiamo quelli di settenari, quelli di alessandrini e quelli di
ottonari-novenari

Quartin
Con quartina si intende strofa di 4 versi, tra le cui forme rilevanti spicca sicuramente la
quartina monorima di alessandrini —ossia settenari doppi—, di usasi nel Duecento
come metro di una certa poesia didascalica del Nord Italia, come quella di Bonvesin della
Riva.

Terza rim
Con terza rima o terzina incatenata si indica generalmente una serie di strofe di tre
versi, con schema rimico incatenato, del tipo ABA BCB CDC …
N.B. È stata molto frequentata da Dante, che vi scrive la Commedia, così che è
passata nella tradizione anche sotto il nome di terzina dantesca

Il nome speci co che si dà ad una serie di terzine fra loro coese è capitolo ternario,
caratterizzato dal fatto che la terzina in apertura e quella in chiusura sono le uniche
due ad avere una coppia nelle rime, mentre le altre hanno versi uniti a tre a tre nelle
rime, ma a cavallo tra due strofe

Questa forma è stata adottata da tutta la tradizione narrativa italiana, soprattutto da una
certa poesia narrativa di tipo satirico (Satire di Ariosto) e anche etico-didascalico.
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Ottava rim
Con ottava rima —o anche stanza— si indica una strofa di otto versi endecasillabi
con schema rimico ABABABCC, così che può essere anche de nita come uno
strambotto lirico impiegato su un argomento.

È stata largamente impiegata in tutta la tradizione italiana, a partire dalla sua prima
attestazione nel Filostrato di Boccaccio, per poi diventare il metro tipico del poema
epico-cavalleresco, come l’Orlando furioso di Ariosto, ma venendo utilizzata
versatilmente anche nel genere rusticale e nella sacra lirica.

Endecasillabo sciolt
Con endecasillabo sciolto si indica una serie continuata di endecasillabi non legati
da struttura rimica.
Di questa forma si hanno rare attestazioni prima del Cinquecento, sebbene venga reso
celebre da Giovan Giorgio Trissino, che lo utilizza come corrispondente dell’esametro
latino nel suo poema epico L’Italia liberata dai Goti.

L’endecasillabo sciolto diviene poi il metro principale della poesia discorsiva di ogni
tipo —Foscolo, Dei sepolcri; Parini Il giorno—e anche della poesia lirica —Leopardi,
L’in nito—.
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