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PAOLO»
DI ASSISI
I
FONDAMENTI
DELLA
FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO
(1) La parola « puro », detta per indicare la filosofia nella sua teoreticità,
determina il carattere intrinseco della filosofia, ossia la filosofia è pura o non è
filosofia.
x
2 CAPITOLO PRIMO
(r) Cfr. G. R. BACCHIN, Originarietà -ecc., cit., p. 40; L'originario come im
plesso esperienza - discorso, Roma, 1963, p. 79·
('z) Cfr. G. R. BACCHIN, Su l'autentico nel filosofare, Roma, 1963, p. 12.
(3) È filosoficamente banale il discutere sulla base di «presupposti».
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 5
dello sviluppo del linguaggio, della struttura dei sistemi linguistici, del significato
delle espressioni linguistiche, della funzione del linguaggio.
Di fatto, questi problemi vengono distinti tra loro ed è, invero, utile circoscri
vere ciascun problema onde approfondire la conoscenza dei suoi termini, ma una
attenta riflessione su tale problematica rivelerebbe che ciascun problema richiama
l'altro e della soluzione eventuale dell'altro si avvale. Cosi, ad esempio, il problema
della funzione del linguaggio si collega con quello dell'origine e costituisce insieme
a questo il problema più fondamentale della « natura» del lingua ggio.
Usando delle classificazioni di Morris e di Carnap si potrebbe denominare
« sintattico» il problema della struttura e «semantico '' quello del «significato ,,.
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 7
significa, cioè, determinare ciò su cui posare l'intera costruzione filosofica, la quale
costruzione non può venire posata su di una qualche base, se non si possiede, pre
viamente, la conoscenza del rapporto tra la base e la costruzione stessa, rapporto
che determini la proporzione tra costruzione e (5uo) fondamento : non ogni costru
zione abbisogna del medesimo fondamento. Nel caso della costruzione filosofica
poichè la filosofia si pone intenzionalmente in ordine alla totalità, la determina
zione del fondamento sarà ordinata a « sopportare » la totalità. Ora, essendo il
fondamento della totalità inevitabilmente interno alla totalità, fondare la totalità
non è possibile senza intendere che è la totalità a fondare se stessa (nel senso che
il fondamento della totalità è determinabile all'interno della stessa totalità e che
lo si può determinare solo a condizione di possedere questa totalità). Paradossal
mente, per trovare il fondame nto della costruzione filosofica bisogna disporre
dell'intera costruzione filosofica, per trovare ciò su cui poggia la filosofia bisogna
disporre della filosofia. Pertanto, la determinazione del fondamento non precede
la costruzione filosofica, nè la segue, ma l'accompagna in qualsiasi momento del
suo processo: non la precede, perchè senza la costruzione il fondamento sarebbe
fondamento di nulla, non la segue perchè senza il fondamento la costruzione,
« infondata », è nulla, ma l'accompagna nell'intero processo perchè l'intero pro-
8 CAPITOLO PRIMO
cesso è « presente " in ogni sua « parte "• costituendo appunto il « senso " o il « verso »
dello svolgimento, presenza che è la totalità per cui ed in cui solo può dirsi che
« qualcosa" è o diviene.
Il metodo teoretico della determinazione del fondamento è dunque la consta
tazione che il fondamento della totalità, o fondamento filosofico, non può essere
estraneo alla totalità, che anzi solo nella totalità esso è reperibile, per cui, in
effetti, la totalità non si costruisce come fondata, bensl come condizione alla
sua possibilità di fondare, essendo ciò entro cui ha senso porre il fondamento, od
anche è essa il porsi stesso di quel fondamento
Con ciò dovrebbe concluder;,i che la totalità, coincidendo con il fondamento,
non ha fondamento, ossia che è la totalità a fondare se stessa, ad essere ciè il pro
prio fondamento.
Ma, in questi termini, fac�ndo coincidere il fondamento filosofico con la co
struzione filosofica, si è dissolto il problema del fondamento di tale costruzione
e si è resa vana la ricerca del fondamento. Dire che la totalità fonda se stessa
e dire che il fondamento è fuori ricerca, è dire la stessa cosa : che il fondamento
non può non esserci e che questa necessità non è essa il fondamento.
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 9
(r) Cfr.PIETRO lsPANO, Summ. Log. VII, 5, II; ma anche Stuart Mill la usa
(Logic. , I, cap. II, par. 2) ; più recentemente HussERL (Logische Untersuchungen,
II, par.4) nel senso di parti del nome. Cfr.anche E. CASARI, Lineamenti di logica
matematica, Milano, 1961, p. Ig.
(2) Nella logica contemporanea la parola «connettivo, viene usata nel senso
del«simbolo improprio» che, combinato con una o più costanti, dà luogo ad una
nuova costante.
(3) Uso di questo termine nel senso indicato dal <Jil[LOti:\le:W, ossia, in quello
aristotelico di «designazione» e «denotazione n, perchè questi due sensi, di
stinti nell'uso contemporaneo, valgono ad indicare, comunque, il riferimento
di un segno al suo oggetto. La dimensione semantica del linguaggio è già tutta
implicitamente nel "segno». Ogni segno è di natura semantico perchè indica
qualcosa di determinato (segno «di .. . . . , ; dove si tolga il «di » il segno si
chiude in se stesso, come segno nullo, non segno) . Ne deriva: I. L'impossibi
lità di una mancanza assoluta di significato e, di conseguenza, la relatività
della mancanza di significato ; ossia il variare dei significati in rapporto ai di
versi contesti. Uno scarabocchio, ad esempio, non ha alcun significato solo in rap
porto alla scrittura, ma lo psichiatra se ne duò servire come trumento clinico
di indagine.
2. Il segno non produce il significato, ma lo investe totalmente senza esaurirlo:
non lo produce, perchè dove mancasse il «significato n, non vi sarebbe «segno »;
lo investe totalmente, in quanto si colloca al posto del«significato», lo sostituisce
in ordine alla comunicazione; non lo esaurisce, perchè il significato può avere
innumerevoli aspetti a loro volta significabili (per avere un segno che esaurisca
il suo significato, bisogna disporre di un significato tutto costruito insieme al (suo)
segno (come nel linguaggio matematico).
CAPITOLO PRIMO
2
CAPITOLO PRIMO
La parola << teoria )), riportata a ciò che lo stesso etimo dice,
non può significare ciò che con essa polemicamente si crede di
poter dire : la &e:Cùp(OG è, piuttosto, << visione )) e vale ad indicare
la pienezza di quell'atto per cui ciò - che - è è presente, e,
perciò, equivalentemente, l'attualità della cosa che si conosce e
l'attuazione stessa del conoscente come conoscente.
Bisognerà approfondire questa assunzione della parola << teo
ria )) ; per ora ci limitiamo ad usare, in questo senso, della parola
<< teoretico )) e riserviamo la parola << teoria )) a ciò che comune
mente si intende, come si è visto, per << dottrina )) nel senso intel
lettualistico e formalistico dell'esposizione o della riesposizione.
Questa distinzione di parole si giustifica con la considerazione
del fatto che si dà un caso in cui la teoria si rivela ateoretica,
I FONDAMENTI DELLA FI LOSOFIA DEL LINGUAGGIO 19
<< Contraddittorio >> è ciò che è posto e tolto ; l'atto che pone
è lo stesso atto che toglie ; quest'atto non pone nè toglie, sempli
cemente non è.
<< Negato >> è ciò che è posto per venire tolto ; l'atto che pone
non è lo stesso atto che toglie ; cioè gli atti sono due ed entrambi
reali, ma solo uno dei due è vero, perchè se è vero l'atto che pone,
non può non essere falso l'atto che toglie, e viceversa.
Il contraddittorio esce, così, dalla considerazione teoretica ;
esso è ateoretico, ossia il nulla non è (radice pragmatica della no-
sono dati nel loro stesso venire trascesi e, perciò, nel loro non
essere il tutto.
Il tutto, senza di cui quei limiti non sarebbero perchè dovreb
bero necessariamente convertirsi in esso, è dunque limite e limite
inesperibile. Cosi, la posizione del limite inesperibile è posizione
inesperibile e, perciò, intrascendibile.
o che la cosa, anche divisa, permanga ciò che è (r) (per cui la divi
sione, ponendosi qui come operazione sull'indivisibile, si pone
come estrin!)eca a ciò su cui si esercita, irrilevante ai suoi termini) ;
laddove, invece, l'astrazione suppone che ciò da cui qualcosa è
tolto non sia ciò che da esso viene tolto : non è possibile astrarre
tutto da una cosa (sarebbe o assumere interamente la cosa o inte
ramente negarla) .
Nella dicotomia l'identico è supposto indivisibile da se stesso
(p. es. l '<< estensione )) è dicotomizzabile, in quanto la si può divi
dere solo perchè essa è sempre, identicamente, divisibilità) ; nella
astrazione l'identico è supposto come ciò che precede e condiziona
stituito o interpretato.
Ogni proposizione è strutturalmente significabile con la forma « x è », dove « x »
non può non venire determinato da un qualche contenuto semantico, che è, a suo
modo, variamente, l'esperienza come « esperito » ; ma la forma « x è », presa nel
suo essere tale, è determinata in modo da non poter venire ulteriormente deter
minata ; l'assunzione di « x è » come tale può venire significata con la forma
« « x è » », dove le virgolette esterne indicano che « x è » è già assunto nella sua
determinatezza. Chè, se si escludesse questa possibilità di assumere « x è » come
determinatezza, la sostituzione di x in essa non potrebbe mai dirsi determinata,
proprio perchè x non sarebbe affatto.
Con ciò resta escluso che si possa dire che l'essere di « x è » è distinto da x
per tutti i casi meno uno, quello di x come « essere », perchè il caso di x come « es
sere » non è un caso che si ponga tra gli altri, univocamente, e la proposizione
che lo significa non è perciò, una proposizione, ma la proposizione nella sua strut
tura, presente, anche se non sempre consaputa, in tutte le possibili proposizioni.
Si dirà, allora, che « x è >> è la esplicazione « intera » di « x è >>, valendo per
tutti i valori in cui « x è » risulti determinabile ; od anche che « x è >> è sostituibile
per qualsiasi valore, meno che per se stesso.
Quel valore che, secondo il Severino, sarebbe l'unico ad escludere la distin
zione significata da « x è >> è, in realtà, lo stesso « x è >>, il quale non può, come
tale, venire sostituito e non può venire sostituito, distinguendo in esso lo « x »
dallo « è >>, prop-io perchè qualsiasi sostituzione (e distinzione) avviene in esso
o non avviene.
CAPITOLO PRIMO
3
34 CAPITOLO PRIMO
l
l
l
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l
l
l
l
CAPITOLO SECONDO
(r) Punto di vista che non è arbitrario, perchè corrisponde alla riduzione del
�110 opposto ad impossibile.
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 43
( r ) È quanto accade alla metafisica : la ratio dubitandi del suo valore viene
ingenuamente ( acriticamente ) posta nel fatto che di essa si dubita in quanto.
=
(1) È la questione del valore che potrebbe avere in filosofia ciò che precedesse
il discorso filosofico : va chiarito il senso in cui si parla di precedere in filosofia, pre
cedere che è, d'altra parte, inizialmente e continuamente richiesto perchè la filosofia
non si converta in assoluto sapere (conversione che renderebbe impensabile lo
stesso assoluto, in quanto un assoluto che abbisognasse di venire instaurato sa
rebbe un assoluto perennemente « insufficiente » epperò relativo a ciò che gli manca
per essere « assoluto ») . HEGEL (Encicl., par. I) afferma la duplice necessità : I che
la filosofia nulla presupponga ; 2 che la filosofia presupponga una certa notizia
dei suoi oggetti non fosse altro per questo, che la coscienza, nell'ordine del tempo,
se ne formi prima rappresentazioni e poi concetti ; e lo spirito pensante, solo attra
verso le rappresentazioni e, lavorando sopra di queste, progredisce alla conoscenza
pensante ed al concetto ».
« Rigorosamente - dice E. SEVERINO (La struttura originaria, cit. , p. 109)
- la filosofia non presuppone nemmeno la « notizia » agli oggetti : tale pre
supposizione equivarrebbe alla posizione di un piano semantico che, estraneo
all'autosignificazione, sarebbe lo stesso piano dell'insignificanza ». Ma la stessa
affermazione « La filosofia non presuppone » ha senso solo presupponendo ciò che la
filosofia non presuppone, per cui mi sembra più esatto dire che il « presupposto »
è cdnsopprimibilen (cfr. G. R. BAcCHIN, L'originario ecc., cit., pag. 95) e che coincide
con l'« iniziale » (cfr. Originarietà ecc., cit., pp. 57-62) che è immagine empirica del
trascendentale, il quale iniziale non abbisogna di venire giustificato (eliminato
come iniziale) perchè esso è sempre e nello stesso senso (univocità-univocizzazione)
e non è eliminabile proprio perchè, se lo si nega come valore, deve valere almeno
come ambito della sua negazione.
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 45
(1) La parola " senso , che compare nell'espressione "senso comune, equi
vale a « sentire "·
(2) Il solipsismo più rigorosamente filosofico non può subire alcuna dissolu-
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 47
<< mio nello stesso senso in cui io sono suo )) : la filosofia appartiene
a me nello stesso senso in cui io, come filosofo, appartengo ad essa (r) .
La persona in filosofia è essenziale nel senso in cui è essenziale
alla persona il filosofare, filosofare che è la consapevolezza nel
senso concreto (cioè fondante perchè innegabile e intranscendi
bile) (2).
§ 5· - Presenza e coscienza.
§ 6. - La presenza pura.
Il muovere della coscienza ha dunque senso solo per il mante
nersi in essa, chè non è possibile fare di essà ciò da cui si parta
onde pervenire a qualcosa di estraneo ad essa. Tuttavia, il movi
mento che la coscienza stessa attua è un pervenire a ciò che
non è possibile ridurre a coscienza ; ossia non è possibile che quel
mantenersi inevitabilmente all'interno della coscienza importi la
necessità di assumere la coscienza come assoluta, come l'uno di
cui bisognerebbe avere pur coscienza, riproducendo all'infinito la
figura della dualità nella stessa tentata dimostrazione dell'unità ;
perchè un'assoluta unità che abbisognasse di venire dimostrata a
partire dalla presupposta molteplicità, dovendosi dimostrare a se
stessa, si contraddice.
Ciò che importa, dunque, esaminare è proprio la nozione di
quel movimento che, attuandosi sempre all'interno della coscienza,
non può valere a porsi · come operazione sulla coscienza onde asso
lutizzarla ; così, ciò che sembrava fornire all'idealista la giusti
ficazione del suo proc�sso di risoluzione nella coscienza è invece
la ratio stessa dell'impossibilità dell'idealismo, perchè, se ogni
operazione è intrinseca alla coscienza, non si può pensare quella
operazione che definisce la coscienza, facendone il tutto o l'as
soluto.
Il movimento che consentirebbe la risoluzione immanentista
deve, cioè, assumere come suo inizio la coscienza ed uscire con-
CAPITOLO SECONDO
(r) G. GENTILE, Sistema di Logica come teoria del conoscere, capo Il, § I .
(z) I l punto e l a circonferenza possono venire fatti valere come " figure empi
riche " del trascendentale.
Ma è da notare che il passaggio dalla circonferenza al punto è ancora " in
terno " al punto, perchè, se, all'inizio, del passaggio dalla circonferenza al punto,
il punto non fosse consaput:>, il passaggio sarebbe indeterminato, ossia non sarebbe ;
d'altro canto, se il punto è consaputo già all'inizio, di passare non v'è bisogno per
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 53
una cosa sola con il suo movimento, ed allora esso è anche senza
questo movimento e il movimento si aggiunge al punto che esso
presuppone ed il ritorno del punto a se stesso sarebbe l'elimina
zione dello stesso movimento onde ottenere quel punto come puro
punto, senza movimento ; o quel movimento è una cosa sola con
il punto, ed allora del tutto inconcepibile risulta il ritorno, perchè
il punto, per quanto si muova, non può allontanarsi da se stesso
e perciò non può avere bisogno di ritornare a sè.
In altre parole, ciò che non è pensabile è proprio l'alienazione
da sè, senza di cui non è possibile del resto parlare di ritorno,
nè di pensiero-astratto << da cui ritornare >> a quel punto che è il
pensiero : ciò che opererebbe l'alienazione è pur sempre quel << sè >>
che sarebbe intrinsecamente tutto alienazione e l'alienazione non
sarebbe l'astratto ma il concreto ; oppure, nell'alienazione, il << sè >>,
essendo sempre operante, non è mai alienabile veramente, ed
allora l'alienazione è non solo astratta ma intrinsecamente im
possibile.
Se ben si guarda, l'alienazione di sè riproduce la situazione
logica della posizione di se stesso propria dell'Assoluto, nonchè
Non si può dire che il pensiero realizzi una realtà, nel senso
che esso renda << reale >> qualcosa che è solo << possibile >>, perchè
quella stessa possibilità è pensiero e la realizzazione di essa è
ancora il pensiero della sua possibilità. Si dovrebbe, allora, poter
dire che il pensiero, realizzando una possibilità come pensiero di
tale possibilità, realizza se stesso ; ma una realizzazione di sè
suppone che il pensiero sia solo realizzazione e mai realtà, mentre
il pensiero << è >> epperò è reale ; comunque la realtà del pensiero
venga pensata, essa << è >> , e la realizzazione stessa o è realtà che
non si realizza o è realizzazione all'infinito che non può essere mai
realtà se consiste tutta nel suo farsi.
La realtà come realizzazione si presenta come un concetto
particolare di realtà che, all'interno di una nozione più ampia
ed anzi la più ampia, distingua quella realtà che consiste nel
l'<< essere >> che non abbisogna di venire realizzato e quella realtà
che consiste nella << realizzazione >>, la quale è solo come attò, e
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 57
quella realtà che consiste nell'<< essere >> che può venire realizzato.
Il quale atto propriamente non può dirsi << reale >>, nè << rea
lizzabile >>, nè << realizzato >>, ma atto e basta, irriducibile a qual
siasi concetto ; per cui la distinzione di esso dagli altri concetti
di << realtà >> è, piuttosto, la negazione che esso sia un concetto
di realtà e quella nozione piu ampia di « realtà >> è solo astratta
mente la più ampia, perchè solo astrattamente comprensiva e
della realtà e della realizzazione e del realizzato e dell'atto che
non è realtà nè realizzazione nè realizzato.
L'atto non è, infatti, pensabile se esso è il pensiero e il pen
samento di esso è appunto quella nozione ampia che è tale solo
astrattamente e che è l'<< essere >> nella sua formulazione generica
ed astratta.
Dire che anche il pensiero << è >>, epperò è << reale >>, e che, di
conseguenza, il concetto di << realtà >> (o di << essere >>) è il più am
pio e fondante, significa porre il pensiero, che è atto, al di là della
sua posizione, significa << pensare >> che il pensiero << è >>, significa
ancora affermare l'atto del pensiero che assume se stesso come
essente e, come tale, si assume.
Il pensare come atto è, così, in qualsiasi pensamento ed anche
nel massimo pensamento che è il pensamento dell'<< essere >>, l'atto
che non può venire pensato.
E l'atto che non può venire pensato viene per se stesso pen
sato come impensabile (1) e come tale si mantiene di fronte a se
stesso, ma ciò non contraddice all'impensabilità, perchè è solo e
sempre affermazione dell'impensabilità.
E chi crede di intravvedere una contraddizione nella affer
mazione (pensiero) dell'atto come pensiero impensabile scambia
l'impensabilità dell'atto con l'impensabilità di tale impensabilità ;
ma l'atto si rivela << impensabile >> solo di contro al pensiero e
l'impensabilità è negazione di ciò che esso non è, e l'atto, in se
stesso, non è negazione.
Perciò, chi crede di vedere nell'attualismo una contraddizione
si contraddice, perchè suppone che quel pensiero che pensa l'im
pensabilità del pensiero sia' quello stesso pensiero che è impen
sabile e suppone questa identità perchè riduce l'impensabilità a
un concetto positivo (ad un pensiero analiticamente posto), dimen-
definitamente.
In tal modo, è dato riscontrare che il presupposto naturali
stico è presente e perciò operante (o, meglio, inibente) nella stessa
posizione che ne inficia la validità, perchè, ove la posizione oppo
sta venga pensata come monismo, cioè come assoluta unicità,
quell'opposto ad essa che è il naturalismo diventa ad essa essen
ziale e, come tale, si mantiene con il porsi dell'assoluto, perchè
si pone in assoluto o, ed è lo stesso, l'assoluto viene pensato co
me il porsi stesso della opposizione che è i due termini insieme,
e l'uno e l'altro, inscindibilmente.
Così, coerentemente, l'attualismo monistico è anche naturali
smo, avendo bisogno di esso per sorgere e per negarlo ; ma è evi
dente che in tanto può sorgere da esso, o insorgere su di esso,
in quanto lo nega e, perciò, o sorge senza negarlo (e lo porta in
sè) o lo nega senza mai sorgere e separarsi da esso (e così, negan
dolo, si nega) .
formula di identità << verum est esse >>, identità che non abbisogna
di venire dimostrata ed è tuttavia dimostrabile, dimostrabile nella
forma della negazione del negativo che è l'impensabilità dell'ipo-,
tesi opposta : << verum non est esse >>, ossia << non verum est esse >> e
<< non esse est verum >>, e << non esse est >> (l'assurdo del nulla che è) .
E si ha così anche occasione di chiarire che della dimostrazione
si danno due tipi : r) la dimostrazione che è il fondamento, quale
situazione metafisica ; 2) la dimostrazione della indimostrabilìtà
del fondamento (l'apodissi dell'anapoditticità) .
Il nostro discorso sul pensiero della conversione dell'esse nel
verum importa una posizione da cui si parta per parlare di pen
siero in cui la conversione avvenga è il pensiero che è la stessa
conversione in atto. Questa distinzione è appunto solo iniziale e
non va mantenuta, perchè il pensiero non è solo il piano su cui
la conversione avviene, ma è la stessa conversione in atto.
Come piano di conversione o unità implicata, la funzione del
pensare è inconvertibile nella congiunzione di << verum et esse >>,
ossia irriducibile alla conversione stessa ; e il vero vi appare come
modo d'essere nel pensiero ; ma, poichè non è possibile, per la
conversione stessa, che l'essere non sia vero, l'essere non è tale
se non è anche pensiero ; chè, se si volesse affermare l'indipen
denza dell'essere dal pensiero, si dovrebbe poter dire che non ogni
essere è vero. E allora il pensiero, che si annuncia piano di con
versione, su cui la conversione avviene, risolve in se stesso questa
conversione, è l'atto stesso della conversione. Risoluzione in cui
è dato enunciare : r) La unità implicata dalla dualità non è estra
nea alla dualità implicata e, quindi, è da esplicitare, non da dimo
strare ; 2) non vi può essere vero pensiero che non sia pensiero
del vero e, quindi, l'errore non è pensiero (ateoreticità dell'errore).
Non è, perciò esatto dire che l'essere è intelligibile, poichè
ciò suppone che si possa pensare l'essere, che si possa anzi indicare
l'essere come << qualcosa-che-è >> ; si dovrà dire, piuttosto, che
l'intelligibilità degli enti, il loro intrinseco essere pensabili, è l'es
sere, e che, quindi, il loro effettivo venire pensati si mantiene nel
loro costitutivo essere pensabili, nel senso che nulla apporta loro
il nostro pensamento, l'attività del prenderli in considerazione.
5
CAPITOLO TERZO
(i) La parola " essenza » è qui presa nella correlatività alla domanda nella sua
struttura : al " ·rlÈa't'LV >> ; al " che cosa è ? ».
68 CAPITOLO TERZO
( 1 ) Si noti che il carattere " operativo " della parola " cosa » è detto dalla sua
stessa etimologia : " cosa » è dal latino " causa », indicante, cioè, un'azione ; il
greco ha l'espressione n;pciy(Lcx, indicante la " cosa compiuta », " fatta ».
CAPITOLO TERZO
§ 2. - L'identità pensare-essere.
si può servire come di uno strumento per operare sul reale : essa è
semplicemente una parola che semanticamente si pone in ordine
al reale nella sua totalità ed equivale appunte alla parola << tutto ))
ed è per questo che vale per ciascuna realtà, valendo per la tota
lità di qualsiasi << cosa )),
Ma se la nozione di << cosa )) è presa nel senso operativo, appunto,
la sua intrinseca indeterminatezza consente di servirsi di essa in
una univocità di senso che è, piuttosto, la perdita di qualsiasi
senso determinato : univocità tutta negativa che si dice negando
le determinazioni in sostituzione delle quali si pone.
Va considerata attentamente questa situazione teoretica,
perchè, se la nozione di << cosa )) è considerata senza che si distin
gua l'accezione trascendentale da quella univoca, poichè l'univoco
ha funzione operativa (è univocizzante) , in essa si toglie ogni pos
sibilità di pensare determinatamente il linguaggio, perchè questo
perde totalmente senso con il venire meno delle << cose )) che ad
esso sottendono ed a cui le parole si riferiscono : è il caso di qual
siasi monismo, a cominciare da Parmenide, per il quale la << cosa ))
ingloba la totalità e la solidifica, per cosi dire, in una << cosa )),
quella cosa che è assoluta, conclusa e quindi, a rigore, indicibile.
Ma poichè l'empirismo considera ciascuna realtà come << cosa )),
l'origine teoretica dell'empirismo è la medesima del monismo ;
si potrebbe anche dire che l'empirismo è un monismo moltipli
cato per ciascuna cosa nella sua individualità, nel suo essere se
parata, epperò << assoluta )) (ab-saluta) .
Si può dire, così, che della parolà << cosa )) bisogna fare un uso
chiaramente controllato, perchè senza di essa non è possibile dire
nulla e con essa, presa a sè, si dice l'opposto di ciò che si intende
dire : si dice sempre e solo il nulla rivestendolo di << positività )) :
e nulla essenzialmente dicono l'empirismo nella sua pretesa di af
fidarsi all'esperienza (1) con la sua molteplicità di << cose )) ed il
(r) Che senso ha dire che ogni conoscenza procede dalla esperienza ? (cfr. KANT,
Crit. ragion pura, I, r ) . È quel « procedere » da discutersi, perchè, se effettiva
mente si può conoscere solo ciò che l'esperienza attesta, le parole « esperienza »
e « conoscenza » dicono la medesima cosa, dicono, cioè, il rapporto tra quella
« presenza » che è la cosa conosciuta (o esperita) e quella « presenza » che è il
conoscente (o l'esperiente) ; ed è, in fondo, una tautologia : è conosciuto ciò che
è esperito. perchè è esperito ciò che è conosciuto.
Per evitare il truismo, bisogna supporre che « esperienza » e « conoscenza »
non siano perfettamente sinonimi, che vi sia, cioè, un conoscere che non è espe
rire, e che, quindi, non ogni conoscenza proceda dall'esperienza ; bisogna supporre,
insomma, proprio l'opposto di ciò che si vuole dire.
CAPITOLO TERZO
(r) La differenza tra " motivo » e « movente » è tale che il motivo è necessa
riamente saputo, il movente può non esserlo : la ricerca dei moventi è di natura
psicologica.
CAPITOLO TERZO
(1) Il rapporto tra "discorso oggettivo " e "discorso obliquo » apre una que
stione che qui non interessa.
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 83
§ 9· - La riduzione pretesa del << sapere •> al << potere •> e il concetto
ateoretico di << teoria )).
si suppone che il valore di un tale sapere sia tutto in ciò cui esso
si orienta. Sapere relativizzato è sapere orientato da un fine ad
esso imposto e che non cade all'interno di esso.
Ora il sapere esclude precisamente questo suo venire orien
tato ad altro (da altro), perchè il termine cui esso si orientasse do
vrebbe venire << saputo )), dovrebbe cioè cadere nel sapere e il
sapere orienterebbe, così, se stesso (del puro << ignoto )), della
<< incognita totale )) non v'è sapere) , in quanto esso ingloberebbe
·
pere che non sia esaurito dai suoi termini (se ci fosse un termine
che lo esaurisse, ci sarebbe un sapere che è tutto e solo in quel
termine) .
L'avere finalizzato il sapere al potere deriva, allora, dall'avere
identificato il sapere con l'agire, in base al fatto che nel sapere
v'è un agire che si svolge da cosa a cosa, dal noto al conosciuto :
la dimensione attiva del sapere viene considerata come l'unica,
di modo che il sapere fuori dell'azione non avrebbe alcun valore ;
il valore del sapere-azione è, come per ogni azione, estrinseco al
sapere, ossia il sapere è misurato e non è misura, ed è invertito,
così, l'ordine che costituisce o rivela il valore.
In tale inversione di ordine non il valore fonda l'azione (la << giu
stifica )>) , ma l'azione nel suo prodotto fonda (stabilisce, fa essere)
il valore, e poichè il prodotto dell'azione è valido in quanto serve,
un sapere sarebbe vero sapere solo se fosse veramente << fecondo ))
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 8S
talità, dell'altra il rimando ad una totalità che venga << detta >> in un
modo radicalmente diverso da quello matematico, epperò ad un lin
guaggio che non può essere nè matematico nè matematizzato.
Se si tiene conto del fatto che il controllo sull'esperienza è
ideato in funzione di un agire su di essa, l'esperienza, così sezio
nata, viene ridotta all'esperimento e ad esso decade dove non si
veda che l'esperimento è fecondo ma teoreticamente nullo ed è
nullo proprio perchè è teoretica quell'esperienza che ad esso non
si riduce, essendo la totalità entro cui si colloca la stessa riduzione
che di essa si tenta.
Il sapere il nesso tra i fenomeni, o prescindere da quell intero '
( 1 ) " Esatto » si dice propriamente per una corrispondenza esigita fra termini.
(2) Cosi come il numero 2, ad esempio, potendosi dire di realtà tra loro in di
pendenti e diverse, abbia contenuti empirici e per se stesso, sia solo una vuota
generalità.
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(1) Il valore non può non esserci (la sua negazione è già la sua contradditto
ria posizione) ; il valore non può esserci nello stesso senso in cui sono le cose, es
sendo queste in virtù di esso.
(2) La parola " considerazione » qui si prende senza riferimento all'etimo della
parola e vale semplicemente « assumere ».
I FONDAMENTI DELLA FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO 9I
dare del fenomeno tutto e solo ciò che esso << è )). Nella quale norma
è già segnato il duplice limite operativo dell'interpretare che è
nulla togliere e nulla aggiungere della << realtà )) del fenomeno ; ma
v'è anche indicata l'impossibilità di concepire l'interpretazione
in senso meramente operativo, quale intervento sul fenomeno a
carattere di << procedimento )) esteso, come se si potesse pensare
che l'interpretazione risulta vera solo dopo che la si sia confron
tata con il fenomeno (il << confronto )) è appunto un'operazione) .
È evidente che, se l'interpretazione avesse carattere opera
tivo, la sua verità dipenderebbe dal confronto istituito fra una
qualsiasi interpretazione ed il fenomeno da essa · << inteso )), con
fronto che mirerebbe a detrarre dall'interpretazione ciò che il
soggetto, intervenendo, vi apporterebbe, chè << vero )) è, almeno,
il non-alterato dal conoscente e la interpretazione è tale, almeno,
se non è deformante. Ma questo confronto e la << detrazione )) che
ne conseguirebbe sarebbero, in realtà, pregiudicati dal previo
<< possesso )) del fenomeno fuori di quella interpretazione, di modo
che si dovrebbe supporre un insieme costituito dal fenomeno,
dall'interpretazione confrontata con il fenomeno, dall'interpre
tazione coincidente con esso.
In altre parole, per sapere se, interpretando, nulla aggiungo
e nulla tolgo al fenomeno, debbo possedere previamente il feno
meno ; ma se possiedo il fenomeno prima di stabilire la verità del
l'interpretazione di esso, possiederei la sua vera interpretazione,
cosicchè più non avrei bisogno di sapere se la mia interpretazione
sia vera e, pertanto, sarebbe del tutto superfluo istituire il con
fronto, iniziarne la critica. L'insieme fittizio che si verrebbe a
produrre sarebbe costituito dal fenomeno e dall'operazione, sup
posta, dell'aggiungere o del togliere e dall'operazione che sop
prime l'operazione supposta ; ma questo insieme è fittizio proprio
perchè esso si dissolve solo che si sappia il fenomeno ; quell'insieme
non ha bisogno, cioè, di venire dissolto perchè è già nullo nei
termini che lo costituiscono.
Con questo si perviene ad un momento non controllabile con
operazioni, che condiziona qualsiasi procedimento che su di esso
si << costruisca )) : deve esserci, ossia non può non esserci, un darsi
semplice del fenomeno perchè qualsiasi oper�zione è su qualcosa
che non deriva da quell'operazione. Ed è questo << darsi )) che fa
essere per me il fenomeno come esso è per se stesso.
Le condizioni imposte dal concetto di interpretazione sono
dunque tali da escludere che possa dirsi << interpretazione )) un pro-
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CAPITOLO TERZO
in base ad archetipi (non può darsi, infatti, una figura che contrad
dica un archetipo se per archetipo si intende la forma prima,
che fonda le variazioni possibili) .
La struttura della scienza moderna è dunque tale da uscire
dalla possibilità veramente teoretica, proprio in base ai << modelli ))
dei quali essa si materia e nei quali si articola : la loro costruibi
lità è già di per se stessa l'interno limite della loro funzionalità,
limite che non si pone alla fecondità della loro applicazione, ma
alla surrettizia pretesa di far valere questa fecondità -:- talvolta
innegabile - come valore totale della << cosa stessa )), come tale da
inglobare ed esaurire appunto la totalità dell'esperienza.
tivo del (( ritorno >> dell'atto sulla cosa, l'altro è indicativo di ciò
su cui l'atto <( può >> ritornare.
È questo il senso in cui si può dire che ogni definizione è una
determinazione ulteriorizzante rispetto al definito : il duplice esito
dell'arresto dell'atto è, cioè, un ritornare sulla cosa dopo che essa
si sia percepita ed è un procedere oltre quella medesima cosa. La
figura che ne consegue è quella dell'<( avvolgere >>, per il quale (( av
volgere >> l'esperiente non si trova davanti alla « cosa >>, bensì tra
cosa e cosa. Ci si trova <( immersi >> nella <( realtà >>, epperò non ci
si trova mai di fronte ad essa.
Potremmo dire, così, che l'atto nel suo ritornare non (( tocca >>
la cosa in un suo punto, ma la (( avvolge >> cogliendola nel suo
essere intera ; e così il limite della cosa non lo si (( trova >>, ma
lo si (( ritrova >>, chè il ritorno non è dell'atto su se stesso, ma
dell'atto sulla medesima cosa ed è, perciò, un riportare quella cosa
al punto in cui la si distingue da (( altro >>. (Il ritorno dell'atto su
se stesso avrebbe altrimenti esito nullo) .
L'atto è così (( riflessione >> e non è atto >> reiterato >> , ma sem
pre (( potenziato >>, ossia atto che acquista· un valore. In forma
immaginativa si può dire, così, che il ritorno dell'atto sulla cosa è
possibile solo in quanto la cosa è tutta avvolta dal medesimo atto :
l'immagine dell' (( avvolgere >> adombra la totalità che non può
venire pensata analiticamente, per un disporsi di termini lineari,
come (( pura estensività >> ; ed una pura estensività è infatti solo
immaginabile, non veramente (( pensabile >> .
Se l'atto non avvolgesse la cosa, verrebbe dalla cosa (( assorbito >>
e non ritornerebbe a se stesso, ma solo su se stesso (come vuoto)
o si ridurrebbe alla cosa (come cieco) : la coscienza inerente al
l'atto è appunto questo avvolgere che riporta la cosa nel circuito
del suo venire pensata e porta colui che pensa a sapere il proprio
essere pensante.
L'atto come pura linearità è dunque impensabile nello stesso
senso in cui è da distinguere una duplice nozione di <( totalità >>,
duplice inizialmente chè una delle due nozioni o si converte nel
l'altra o si annulla : la totalità di (( definizione >> e la totalità di
<( esaustione >>.
La prima non è mai (( data >> ed è sempre (( supposta >> la si
(( ritrova >>, non la si (( trova >>, pbichè è detta con il ritorno sulla cosa
riportata alla sorgente dell'atto : essendo sempre supposta, essa è in
negabile, ed è dialettico, non analitico il modo di (( averla >> (si usa
della negazione per tentare di eliminarla, tentativo che risulta vano) .
102 CAPITOLO TERZO
sono << intrinseche >> alla cosa, la definizione è ancora quella aristo
telica, se esse le sono << estrinseche >> non escludono, perciò, il ri
mando all'essenza.
Va preso dunque in considerazione l'uso definitivo della pa
rola << tutto », proprio perchè è solo come << definizione-concetto >>
che essa ha un senso. L'atto che dice il tutto della cosa include di
essa tutto, ossia nulla esclude : allora il << tutto >> è tutto nell'inclu
sione, ed è perciò tutto o solo << inclusione >> tutto o solo l'atto del
l'includere.
Se il tutto, così, si rivela essere un atto, anzichè un termine for
mulabile in una dottrina che pretenda di possederlo e di comuni
carlo, come atto esso non può venire dato. L'<< essenza >>, dunque,
non potendo venire << data >>, non può venire << detta >> perchè ciò
che si dà e che si dice viene dato e viene detto in virtù di essa. In
altre parole, chi nega della cosa l'essenza e chi pretende dirla si
pongono, rispetto ad essa, sul medesimo piano, cosicchè anche
storicamente, si tende ad oscillare tra la fiduciosa asserzione sulle
essenze e la esplicita rinuncia a prenderle in considerazione, - e
si può dire che non vi sia << convenzionalismo >> o << operativismo >>
che non intenda reagire ad una qualche metafisica delle essenze,
rivelandone l'arbitrarietà.
in ordine alla totalità della cosa che è, così, voluta tutta intera.
In altre parole, non si può volere tutto (ogni cosa) , chè il tutto
in questo senso è sempre oltre, � sempre << indefinito >> solo << po
stulato >> ; ma si deve volere la totalità di ciò che si vuole, chè
se si rinuncia a questa totalità si rinuncia in effetti e contraddit
toriamente alla fondamentale struttura umana : l'oblio dell'intero
è anche decadenza dell'uomo.
Se << atteggiamento teoretico >> diciamo questo volere della cosa
il suo tutto, ogni altro atteggiamento può valere come uso pos
sibile della cosa, non come soddisfazione totale (la soddisfazione
o è totale o non è soddisfazione) intesa dalla domanda.
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