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APPROFONDIMENTO SUL SIMPOSIO

IL DISCORSO DI SOCRATE E ALCIBIADE


Dopo il discorso di Agatone tutti applaudirono come a sottolineare che
avesse pronunciato un discorso degno verso il dio e Socrate, rivolgendosi
ad Erissimaco ribadendo che era molto sicuro che Agatone avrebbe
pronunciato un discorso splendido e che Socrate stesso sarebbe rimasto
nell’imbarazzo. Ed Erissimaco ammette di non credere che Socrate sia
nell’imbarazzo. Dunque inizia il discorso di Socrate, ma prima lascia molto
spazio alle lodi per il discorso di Agatone ed in particolare per la bellezza
dei vocaboli e delle espressioni e per l’ottima impostazione del discorso
partendo, appunto, la natura di Amore e poi quali siano le sue azioni e, in
seguito, ammette di esser stato preso , ad un certo punto del discorso di
Agatone, dal desiderio di scappare per la vergogna, in quanto lui, a
differenza degli altri, non sa nulla su Amore. E, inoltre, afferma di essere
stato ridicolo a partecipare all’encomio d’amore dicendo di essere
esperto in questo campo, invece non sa nulla , QUINDI SOTTOLINEA IL
NON SAPERE. Socrate, infatti pensava, che bisognasse dire la verità e non
attribuire all’individuo le più belle qualità, seppur false, lui può soltanto
dire la verità. Con la figura di Socrate, Platone imprime una svolta che
spezzi la catena dei discorsi pronunciati fino ad ora. Infatti i discorsi
precedenti sono collegati da rapporti di continuità e opposizione. La
natura di questi discorsi può essere compresa tenendo conto della
consuetudine dei simposi, durante i quali gli interventi dei partecipanti si
succedevano per accumulo dal primo e più breve discorso di Fedro che
pone le coordinate dei successivi discorsi che procedono mantenendo un
rapporto di continuità ma non senza variazioni, modifiche e precisazioni.
Nonostante la molteplicità di rapporti tra i discorsi precedenti, Socrate
segna un netto cambio di registro. L’emergere del tema della retorica fa
in modo che Socrate prenda le distante dagli altri oratori. Seppur egli lodi
il discorso di Agatone, comunque, non lo ritiene bello come sostanza cosi
come i discorsi precedenti, poiché tutti si sono limitati ad attribuire ad
Eros le più belle qualità senza pensare alla verità, collocandosi fuori dalla
dimensione veritiera e dunque nella doxa, nell’opinione dei molti. Si può
notare una contrapposizione tra verità e abilità retorica, che è in grado di
persuadere indipendentemente dalla verità dei propri contenuti. Non è
un caso che Socrate nomini Gorgia, un oratore di spicco della retorica e
sofistica che hanno influenzato i discorsi precedenti. Socrate vuole dire, in
questa come in ogni altra occasione, che lui dirà solo e soltanto la verità.
Con questa contrapposizione, Platone vuole condannare gli encomi che
sono già stati pronunciati e metterli in contrasto con il discorso e la figura
di Socrate. Con il permesso degli altri commensali inizia ad interrogare
Agatone riguardo quanto detto nel suo discorso. Si giunge all’affermare
che l’amore è amore di qualcosa e desidera ciò che non possiede per
l’avvenire. Amore è amore di ciò che non si possiede, ciò di cui si sente la
mancanza , Amore è amore di bellezza e non bruttezza. E se dunque, si
ama ciò che non si possiede e amore è amore di bellezza vuol dire che
amore non possiede bellezza, ma bruttezza. E amore è anche privo di
bontà, in quanto le cose buoni sono anche belle. DUNQUE, AMORE è
AMORE DI QUALCOSA, è AMORE DI Ciò CHE NON SI POSSIEDE E AMORE
NON POSSIEDE BELLEZZA E BONTA IN NESSUN MODO. La presa di
distanza di Socrate dagli altri oratori avviene, appunto, con la
confutazione della definizione dell’Eros delineate seppur in modo
implicito nei discorsi precedenti. Secondo Socrate, la bellezza non
definisce l’Eros ma l’oggetto, l’amato; le caratteristiche di Eros, invece,
devono essere ricercate dalla parte dell’amante. Dunque, inizia il
racconto del dialogo con Diotima. Si suppone solitamente che Socrate
destini la sua vera concezione dell’amore al discorso di Diotima per non
umiliare troppo Agatone. Secondo Lacan, invece, lo stratagemma
dell’attribuzione del discorso sull’amore a Diotima sarebbe una necessità
tutta interna al personaggio socratico. Socrate ha bisogno di conservare se
stesso nella posizione dell’insciente, di colui che sa di non sapere un bel
niente. Però è anche un modo per marcare che ciò che dice Socrate e gli
insegnamenti che egli stesso da sono assolutamente veri in quanto
provengono dall’alto, frutto dell’insegnamento di una sacerdotessa. Il discorso
di Socrate possiede una superiore garanzia di verità e assume il carattere di
origine divina. ‘è anche da dire che il riferimento a figure di ispirazione non è
un procedimento inconsueto per Platone, che in alcuni casi fa di sacerdoti e
uomini divini gli ispiratori o rivelatori di nuclei importanti del suo pensiero.
Partendo dal presupposto che Eros non possiede bellezza e bontà non può
essere un dio, gli dei infatti sono belli e felici. Eros non è né bello, né brutto,
né buono e né cattivo, ma si trova in mezzo anche tra uomini e dei: la sua
natura è quella di un demone intermediario tra il mortale e l’immortale,
occupandosi della comunicazione tra uomini e dei. Questa sua natura di
demone si delinea anche dalla genealogia attribuitagli dalla sacerdotessa
Diotima che fa di Eros il figlio di Penia, la Povertà e del dio Poros,
l’Espediente.Eros, seguace di Afrodite in quanto concepito il giorno della sua
nascita, partecipa alla natura di entrambi i genitori. Secondo la natura della
madre è povero, privo di bellezza, ma in quanto figlio di un dio, ha ricevuto
l’aspirazione al bello e al buono e il possesso degli strumenti per procurarsi
ciò che aspira. Poros infatti rappresenta la capacità di trovare la via per uscire
dall’aporia, dalle difficoltà. Penia e Poros sono dunque due concetti
complementari.

ALCIBIADE

Dopo il gioco degli elogi, regolato fino a quel momento dal tema dell’amore,
entra in scena un attore, Alcibiade, che farà cambiare tutto. Prova ne è il fatto
che gli stesso cambia le regole del gioco, attribuendosi d’autorità la
presidenza. A partire da ora – ci dice – non si farà più l’elogio dell’amore
bensì dell’altro, e per la precisione ognuno farà l’elogio del suo vicino di
destra. È già dir molto. Se si tratterà di amore, sarà amore in atto, e sarà la
relazione dell’uno con l’altro che dovrà manifestarsi.

(J. Lacan, Seminario VIII)

Platone a questo punto della storia ci mette al corrente di un dettaglio da non


trascurare, ci racconta infatti precisamente la posizione che Alcibiade assume
tra i convitati; egli si posiziona esattamente trai i due amanti, cioè tra Socrate
e Agatone. Una volta presa questa posizione che, come vedremo è tutt’altro
che casuale, Alcibiade annuncia imperiosamente che si farà l’elogio
appassionato del compagno alla propria destra, autorizzandosi così a
cominciare un veramente strano e ridicolo elogio di Socrate. Prima di
cominciare, inoltre, Alcibiade aggiunge che Socrate è come un sileno, una
statuetta votiva che contiene gioielli (agalmata), e che lui se ne è innamorato
perché li ha intravisti. Alcibiade non ha però esattamente conosciuto questi
agalmata, dice piuttosto di averli intuiti nel fascino che sprigionava dalle
parole di Socrate, parole che – come Marsia con la sua cetra – incantano,
ipnotizzano e affascinano gli uomini.

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