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Marco Pio Joseph UNIBO 2022

Riassunto - Educare all’amore


I giovani e l’amore nell’era dei social

Bisogna sempre considerare una precompressione, nella misura in cui mai si può porre una
ricerca totalmente neutra. Si fa dunque riferimento al proprio orizzonte formativo, al mondo
simbolico/culturale e alla propria storia. Il libro tratta anche verbalizzazioni di studenti.

L’amicizia, social e identità


L’amicizia si con gura come il luogo privato, in cui conta la dimensione della durata (è un
processo lento il suo consolidarsi) e della fedeltà. La dimensione morale è quella della sincerità e
dell’autenticità, meno quella del vero e del bene. L’esperienza amicale è la percezione di uno
sguardo buono su sé.

I social modi cano le dinamiche amicali, nella misura in cui l’amicizia si con gura come una
grati cazione narcisistica. Si vedono coinvolte “identità liquide”, l’alter-ego è creato ex-novo e
vien meno l’empatia.

Cybersex
Con l’avvento del cybersex le informazioni sulla sessualità possono essere approcciate da soli,
così facendo vien meno il fatto che ci sia un momento per ogni cosa, ma anche la dimostrazione
di valore che precede l’accesso al mondo adulto.

Il sexting non solo è pericolo, ma toglie anche la corporeità da componente del sé persona, la
corporeità diventa qualcosa con cui si fa, con cui si agisce.

Il porno pian piano è stato accettato socialmente, ed è approcciato anche dai giovanissimi.
Fuoriesce nuovamente, nelle discussioni sulla pornogra a, la dimensione dell’alter-ego, in
riferimento dunque a un’immagine che si vuole dare di sé.

L’eccessivo uso di porno, causato dagli smartphone, porta con sé dei nuclei patologici, come la
diminuzione di desiderio nei confronti del sesso reale (visto come deludente). Inoltre, l’altro è
ridotto a oggetto, portando le ragazze ad essere cortezze a far cose che non vogliono e i ragazzi a
pensare sempre alla prestazione. Il porno ha portato anche alla morte della carne: per Hadjadj
quando io tocco vengo toccato: è nel tatto che percepisco il mio corpo come mio nella sua
interezza.

Si è passati dall’Eros a Dioniso, per cui vien meno l’io e l’impulso è senza forma.

Cinismo e fusione: approccio individualistico alla relazione


Le relazioni amorose vengono spesso si è ridotte cinicamente a un calcolo costo-bene ci, da qui
il forte uso della pratica “amici con bene ci” e all’incontro nel dating online.

L’approccio consumistico dell’amore fa emergere il narcisismo, prima viene il bisogno, così si


toglie la logica della donazione, del servizio con l’altro, all’amore.

Per contro si è creato anche l’approccio fusionale: la relazione è vista nell’ottica per cui il partner
mi deve rendere felice, così facendo però si sovraccarica la relazione.

Questi due approcci si spostano anche nel nostro contesto culturale, denotando una sostanziale
fragilità emotivo/a ettiva. Si tratta di quello che lo psicologo neofreudiano Abraham Maslow
de nirebbe come Deprivation-Love (D-Love): una spinta di tipo carezziate che da tutt’uno con il
bisogno egoistico di ricevere a etto e conferma da altri, quasi a compensazione di una
mancanza/carenza avvertita più o meno confusamente dal soggetto.

A tale spinta “regressiva” si contrapporrebbe il Being-Love (B-Love), una propensione matura che
porta a cercare il bene dell’altro.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022
Queste diverse forme di amore corrisponderebbero a diversi gradi di maturazione della persona. Il
D-Love sarebbe così segno di un modo infantile e narcisistico di rapportarsi all’altro e di vivere la
relazione a ettiva, coniugandosi a personalità non ancora orientate verso il cammino dell’adultità
e dell’auto-realizzazione.

A tal proposito Bauman fece notare che si è posti nel connubio “timore della solitudine - fatica a
legarsi stabilmente”; per la Moscato il mondo giovanile vive una debolezza razionale, per cui la
relazione si pone come ciò che può fermare l’inquietudine: questo è il motivo per cui spesso i
giovani vivono relazione longeve senza l’obiettivo della famiglia.

I gesti dell’amore
Nei gesti d’amore poi si scopre una forte carenza di signi cato nei giovani. Sottendono sì la
dimensione che l’atto signi chi qualcosa (come la risoluzione di un con itto con il sesso), però
spesso vedono l’atto sessuale come un passaggio obbligato. Va chiarita tale dimensione, dato un
signi cato: ciò accade perché spesso si approcciano a questi atti senza prima una consapevole
mediazione.

Progettualità
Quando si interpella la progettualità i ragazzi parlano di mete professionali, proteggendo la loro
intimità. Questo perché per loro l’amore è da ricondurre alla mera passionalità, dunque è
imprevedibile e non possono aver un controllo su questo. Esprimono però spesso invidia per
forme di fedeltà, volontà, donazione in dinamiche simil eterne.

Non bastano istruzioni per l’uso


Ciò che spesso li spinge al ri uto è la mancanza di “istruzioni per l’uso”: si può imparare ad
amare? L’approccio medico-tecnico è ine cace sulla questione a ettiva.

Miguel Benasayang e Gérard Schmit rilavavano il “cambio di paradigma” intervenuto in epoca


contemporanea nei processi educativi e di insegnamento-apprendimento. Anziché andare
incontro al desiderio di conoscenza e comprensione del giovani, le generazioni adulte negli ultimi
cinquant’anni sembrano essersi progressivamente trincerate dietro una forma di utilitarismo. Gli
Autori segnalano il ricorso - in particolare nel mondo della scuola - a risposte tecniche e
avvertimenti, la cui giusti cazione sarebbe consistita nella preparazione a un futuro visto sempre
meno come una promessa e sempre più come una minaccia. A ragazzi che domandano di essere
introdotti al reale con un’ipotesi di signi cato si motiva la necessità dell’apprendimento a partire
dalla paura delle implicazioni dell’agire in una logica che sfugge al criterio economico del calcolo
di costi, bene ci, prudenze e tutele necessarie. Per converso si fa leva sulla minacciosità di
potenziali conseguenze per giusti care determinati interventi educativi/formativi.

Siamo di fronte alla tentazione di scambiare per strumento educativo una semplice informazione
sui pericoli incombenti per i giovani. Tentazione smascherata nella sua sostanziale illusorietà dalla
psicoanalisi: già Freud aveva constatato che gli esseri umani tendono a cercare una peculiare
forma di godimento situato al di là del principio di piacere, guidati dalla pulsione di morte, spesso
chi cerca un esito nefasto lo fa di proposito, per questo l’informazione è una condizione
necessaria ma non su ciente. Bisogna ascoltare la richiesta di felicità dei giovani, la loro volontà
di porsi in un orizzonte di senso anche nelle dinamiche a ettive.

L’orizzonte che si va cercando non deve vertere su un’istruzione emergenziale: va riproposta


un’analisi anzitempo antropologica e pedagogia, il panorama, la paideia a ettiva; riproponendo
così lo studio sullo sviluppo dell’adulto, dacché si deve riconfrontare con tali problemi anche lui.

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Educare la sessualità tra programmi politici e


antropologie implicite

Quali devono essere i presupposti dell’educazione a ettiva a scuola e quali no


Il problema sta nel fatto che spesso ci si ritrova di fronte a un approccio pratico-normativo, glio
di una visione politica di modi cazione sociale, per cui l’educazione è concepita come esito di un
progetto: un dover essere stabilito da esperti, che lascia cadere le domande più propriamente
teoretico- loso che. Si perde così la storicità, l’avvento del momento educativo. Così cade la
dimensione educativa, rilevatasi solo come esplicazione ancillare di altre discipline: la ri essione
deve partire da come è fatto l’uomo e non da cosa deve fare. Altra complicazione risiede nella
pretesa neutralità che vorrebbe avere l’educazione a ettiva, lasciando cadere dunque l’orizzonte
simbolico-morale.

La sessualità e l’educazione sessuale nei documenti internazionali


Nel lungo percorso che dagli anni Settanta giunge no ai giorni nostri è possibile rintracciare
alcune direttrici di fondo. In primo luogo, un progressivo slittamento verso il piano genitale del
contenuto che si attribuisce alla parola “sessualità”. In realtà la sessualità viene indicata sulla
carta come dimensione globale della persona, tuttavia, le concrete preoccupazioni degli estensori
vertono esplicitamente sulle forme, i modi, le condizioni e le conseguenze del suo esercizio. Sulla
stessa scia di colloca anche la tendenza a medicalizzare il concetto, intrecciandolo con il
costrutto di “salute sessuale”. Di fatto resta in ombra il modo in cui la sessualità globalmente
intesa ha a che fare con la struttura dell’essere umano, col signi cato del vivere e del crescere,
col nesso tra sessualità, amore, sentimento, intimità, progettualità.

In seconda battuta, si è veri cata nel tempo una saldatura tra la dimensione della sessualità e la
categoria dei diritti sessuali, spostando il concetto sul piano politico e pratico-operativo la
ri essione e il discorso sull’educazione. Si noti inoltre una visione ludica del sesso, in
concomitanza con la liberazione sessuale del tempo.

Il problema spesso sta nel fatto che non si intende mai riferire le norme a persone nella loro
accezione antropologica, quanto a individui, esseri che si autodeterminano e che continuamente
possono rinascere in modo volontaristico dalle propria scelte, a prescindere da qualsiasi forma di
legame o di relazione.

Agire ed “educare”: un’impossibile neutralità


Si veda come lo Stato voglio imporsi o rendo e garantendo da sé la visione scienti ca della
sessualità e la sua educabilità; mentre la famiglia può decidere se impartire o meno altri tipi di
precettistica, come saperi morali e simbolici per esempio.

Occorre sempre considerare le meta siche implicite, così come le antropologie implicite,
soprattutto in ottica di sapere pedagogico. Così facendo si assume una coscienza tale da rendere
innegabile l’impossibilità di una neutralità in quanto a sapere pedagogico a ettivo.

Educazione sessuale/a ettiva nella scuola: l’iter italiano


Se ne parla non scindendo i termini perché parti integranti dell’amore. Bisogna avere un
approccio dunque olistico, a ermando che l’uomo è una persona: signi ca, con ciò, segnalare
una reciproca coappartenenza della dimensione pratico-volitiva, corporea, a ettiva e cognitiva. Il
termine persona allude inoltre al fatto che ciascun uomo, per sua natura, è indisponibile a
qualunque forma di strumentalizzazione e ha valore in quanto “ ne in sé”, mai riducibile a mezzo.
Alla luce di queste considerazioni si parlerà di educazione all’amore.

Nell’educazione nora si ha deciso di attuare l’approccio emergenziale: dalla prevenzione delle


malattie, alla convivenza civile, no a rianalizzare le barbarie della Seconda guerra mondiale,
focalizzandosi sul “consenso”. Tuttavia è importante ri ettere anche su tale presunto “consenso”,
quale valore ha i un soggetto che non è stato educato all’esperienza di relazione?

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022
Il consenso fa riferimento all’emotivismo di McIntyre: dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e
più speci catamente tutti i giudizi morali, non sono altro che espressioni di una preferenza,
espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e appunto in questo consiste il loro carattere
di giudizi morali o di valore.

Si pensa bastino più informazioni e il prima possibile ma non si può bypassare l’intrinseca
dinamicità dell’educazione a ettiva, che per un lato è biologica ma per l’altro rimanda sempre
all’aspetto della creazione, dunque alla ri essione sulla vita e sull’identità personale. Si noti come
si è di fronte sempre più spesso a giovani molto evoluti cognitivamente, quando squilibrati
emotivamente. Bisogna poi dividere emozione da a etto: la prima è individuale e reattiva, la
seconda implica l’incontro e la relazione (dunque di più lunga durata): negli a etti c’è ethos,
responsabilità e nalizzazione interna. Con la mera grati cazione emozionale si permane nel
narcisismo e il viaggio di costituzione identitaria non può avere inizio.

Il contenitore “educazione alla cittadinanza”


Nel clima dell’utopismo politico come progresso verso la perfettibilità umana, l’istruzione diventa
strumento di potere politico, no a concepire la stessa attività politica come forma di educazione.
L’identi cazione democrazia-sviluppo (di derivazione rousseauiana, ma che trova fondamento
anche in Dewey), fa notare la Arendt, sposta la moralità nella legalità: così facendo l’educazione
a ettiva rimane sulla china costituzionale, non tenendo conto del pluralismo in cui è immersa.

McIntyre fa notare che il linguaggio morale è in disordine, vive una catastrofe, e quindi anche
l’educazione lo è. Abbiamo eliminato dell’orizzonte qualsiasi concetto di una natura umana
essenziale, e assieme ad esso qualsiasi concetto di un télos, cioè di una nalità intrinseca all’agire
umano. Questo abbandono fa sì che noi ci troviamo di fronte a un quadro morale caratterizzato da
elementi reciprocamente inconciliabili.

Anzitutto, la morale si compone di parole (libertà, tolleranza, ecc.) che sono state private del loro
fondamento, non essendo iscritte in un ordine che li giusti chi. In parallelo, l’abbandono del
concetto di “natura umana” tende ad enfatizzare l’elemento di pura spontaneità individuale, senza
ordine né nalità. Così facendo il corpo sociale diviene un terreno di incontro o scontro tra singole
volontà: senza riferimenti siamo condannati a “parlare da soli”.

Senza tèlos anche la morale ne risente. Se si accetta l’umano come mera spontaneità, si giunge a
un’educazione amorosa positiva e legata al diritto, che però è fondato sul nulla, e crolla. Quindi
non è possibile pensare di educare al desiderio in termini meramente istruttivi.

Tra Ottocento e Novecento si è messa in luce la natura pulsionale e ci si è staccati via via
dall’ideale romantico astratto: non è detto che sia la messa in luce il problema, ma è
l’assolutizzazione che compone il nucleo critico.

I limiti del paradigma “istruttivista”


Il pragmatismo nisce per essere dogmatico e problematico, anche perché non siamo di fronte
all’ambito del fare/operare, ma dell’essere; la pretesa oggettività assoluta della precettistica
istruttiva non è che un mero punto di vista.

L’insegnamento scolastico passa per l’esatto opposto della neutralità: consiste in un profondo
coinvolgimento e in una assunzione di responsabilità, che peraltro non è imposta d’arbitrio agli
educatori: è implicita nel fatto che gli adulti introducono i giovani in un mondo che cambia di
continuo (Arendt). Ciò è tanto vero che chi ri uta di assumersi la responsabilità in solido, non
dovrebbe aver gli né costituirsi parte attiva nell’educare i giovani.

Dietro alla neutralità e al dato di fatto si cela il disgusto per la vita e il suo mistero, spinto no al
punto di tacitare ogni domanda sul signi cato di quanto si vive e si insegna. Non esiste una
posizione neutrale, dacché neanche il paradigma di travaso istruttivista denota neutralità. Inoltre
scinde educazione e istruzione, al punto che non si forma più l’adulto, non c’è quell’indipendenza
di presa di posizione critica morale.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022

Liberare l’eros?

Rivoluzione e mitologia
C’è una paideia implicita importante, che risiede nelle rivoluzioni e liberazioni sessuali degli anni
’70 (anni abbastanza lontani per divenire impliciti). Ogni rivoluzione si basa sul disegno utopistico,
quindi è deducibile un sostrato mitologico. La “produzione di miti fondativi” nella storia non
caratterizza solo i passaggi rivoluzionari, ma ogni fase di fondazione, trapasso, rinnovamento
politico. Si pensi a una para destruens che ha visto la rivoluzione come avvenimento lungo, non
violento e graduale, quindi sembra più una metamorfosi: in riferimento al suo mito.

L’utopia della “liberazione”


La prima accezione della rivoluzione sessuale si riferisce ai cambiamenti epocali di mentalità e di
costume che concretamente si sono veri cati negli anni della contestazione: le concezioni
prevalenti delle relazioni sessuali, della famiglia e del matrimonio sono state erose a vantaggio di
stili di vita/comunicazione/interazione decisamente più promiscui e contrassegnati da un’etica
sessuale molto più essibile e permissiva, capace di incidere concretamente sulle condotte
private e di modi care l’immaginario in tema di sessualità.

La seconda accezione rimanda invece a un impianto teorico volutamente e intenzionalmente


utopico-trasformativo, in cui la dimensione della sessualità si trova connessa al tema politico. In
realtà però il nucleo politico-istituzionale non è mutato: l’impalcatura teoretica ha solo in uenzato
l’evoluzione dei costumi; è rimasto il nucleo capitalistico-borghese, e la sessualità è stata
integrata in questo, divenendo anche un bene di consumo.

Liberare l’eros è un fenomeno che coinvolge nella propria individualità, e consiste nel toglierlo dal
vincolo della riprovazione sociale, restituendolo alla sua originaria potenza creativa. Liberazione,
in questa prospettiva, signi ca anche liberarlo da ogni tabù.

Questo pensiero è di matrice freudiana: l’uomo che è sotto un triplice pericolo (libido dell’Es,
rigore del Super-Io e mondo esterno), ed è spinto verso gli esiti dialettici di Eros e Thanatos, ha
barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza, è divenuto civile per non
abusare del desiderio.

I “padri sessuali” faranno propria la visione freudiana di eros come impulso biologico connaturato
all’uomo che esige di trovare soddisfazione: pena l’infelicità, la nevrosi. Loro però ri utano la
tragedia sociale, pensando si possa liberare l’eros ricon gurando i rapporti tra uomini e degli
uomini con la natura: ciò comporterà la ne del “vecchio mondo” e l’avvio di una nuova civiltà e
una nuova cultura, rimodellando il vivere comune e il suo immaginario.

Mitologie scientiste della liberazione sessuale


Wilhelm Reich (allievo “eretico” di Freud, lo estremizza, e coniatore dell’espressione “rivoluzione
sessuale”). Con forte in uenze marxiste passa dalla lotta di classe alla lotta contro la repressione
degli istinti sessuali. L’uomo è contraddistinto da un’energia organica, o orgone, che lo porta alla
ricerca di continuo accrescimento di sé (che Reich sostiene di poter misurare scienti camente).
Lui pensa di poter concentrare le particelle orgoniche con una macchina di sua invenzione, e
spezzare la corazza che imprigiona l’uomo. La corazza è una struttura, della psiche frutto della
morale sessuale imposta dall’educazione famigliare, capace di reprimere la pulsione sessuale
integrando il soggetto nella società, ma nevrotizzandolo. L’erotismo liberato diviene quasi mistico
in Reich, per cui si trascende l’individualità, si abbatte l’autorità, e ci si riunisce col tutto
dell’orgone, ricostruendo nella propria esistenza l’unità originaria del cosmo. La ricostruzione
dell’unità avviene attraverso l’unione erotica che elimina con la polarità sessuale la so erenza e la
nitezza.

Alfred Kinsey. Il lavoro di Kinsey si basa su numerose ricerche empiriche, che lo portano a
sposare l’idea di una totale coincidenza dell’essere umano con i suoi impulsi biologico-erotici e
con il loro riverbero psicologico. L’espressione “natura umana” è, nei suoi scritti, solo un altro
modo per indicare l’impulso sessuale dell’individuo.

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Tale impulso si esprimerebbe infatti naturalmente se non si fosse soggetti alla coercizione etico-
morale. C’è da dire che è metodologicamente carente (per volunteer error e rilevazione
inappropriata di orgasmi in soggetti immaturi), le sue conclusioni sembrano più esplicazioni delle
sue congetture antropologiche.

Sia Reich che Kinsey ci o rono una visione negativa dell’educazione, per cui l’educazione deve
tradursi in un lasciare che l’autenticità del bambino si esplichi senza incontrare limitazioni.

Herbert Marcuse: Eros e civiltà (ovvero Orfeo e Narciso)


La Scuola di Francoforte fa molte ricerche sul nesso tra personalità autoritaria ed educazione
repressiva. Importante è il contributo di Marcuse che chiama espressamente in causa il nesso di
tra rivoluzione e sessualità, analizzando in particolare la società capitalistica di massa attraverso
le categorie freudiane di principio di piacere e principio di realtà. Queste due categorie erano
poste da Freud a criterio interpretativo dell’intero dinamismo pulsionale, ritenendo possibile
spiegare le pulsioni a partire dal funzionamento dell’arco ri esso in termini di eccitazione-risposta.

La pulsione va scaricata, appagata, e nel neonato si vede nella prima suzione e poi
nell’appagamento illusorio possibile con la costituzione psichica. Questo principio di piacere non
è su ciente alla sopravvivenza individuale e va a ancato il principio di realtà, connesso alla
dimensione cognitiva cosciente: la costituzione di questo principio si a erma quando la psiche è
tanto forte da reggere la tensione e posticipare la scarica (massimizzando poi il piacere nella sua
dilazione).

Marcuse pensa che il soggetto sottomesso al principio di realtà nisca per essere espropriato di
se stesso, alla mercé della società, dove più nulla gli appartiene. L’imporsi del principio di realtà
sul principio di piacere costituirebbe il grande e irrisolto trauma del genere umano: sia nello
sviluppo della specie umana ( logenesi) che nello sviluppo del singolo individuo (ontogenesi).

Nella società di massa accade il peggio, dalla realtà si passa al principio di prestazione, che è una
repressione addizionale: non è più nalizzato alla sopravvivenza ma al controllo del capitalismo
tecnologico avanzato.

Va ri-eroticizzata la società, modi cata del tutto, anche nell’educazione. Nella società di massa il
semplice atto di educare una persona signi ca già introdurre in lei i germi dell’alienazione: la
repressione della spontaneità istintuale imposta all’infante con l’educazione è anzi il punto-zero
della repressione in sé.

Prometeo è colui che ha portato alla realtà e alla prestazione. La società deve assumere il volto
del cantore-poeta Orfeo e dello splendido Narciso: Orfeo è il liberatore e creatore, istituisce nel
mondo un ordine più alto, un ordine senza repressione; Narciso è la bellezza contemplata
senz’altro ne, senza intenzione di utilizzo, solo per il pieno godimento. Così si può paci care
l’uomo con il proprio istinto e contemporaneamente con la natura.

Marcuse pone quindi l’enfasi sulla dimensione estetica e ludica della vita: un “gioco d’impulsi”
che non ha scopo, e di esaurisce in se stesso, e che ha nella sessualità il suo principale collettore
e mezzo espressivo. Il gioco è l’opposto del lavoro e della norma etica, nel gioco l’individuo è
libero perché è norma del suo agire.

Marcuse conduce al liberalismo limitato in cui la libera espressione dell’impulso è l’unica


prescrizione. Si smarrirà così una residua consapevolezza circa l’ambivalenza delle pulsioni, che
nonostante tutto in Marcuse non si era mai totalmente eclissata.

I movimenti femministi
Volendosi liberare dai ruoli di genere patriarcali, che erano la virtù di essere moglie e madre per le
donne, si passa per forza dalla liberazione della sessualità, secondo due accezioni: come
liberazione dal vincolo della maternità e come riacquisizione di una sovranità sul proprio corpo; e,
con puntuale consequenzialità, la sessualità liberata della donna si con gurava come dimensione
ludica, nella quale ella aveva il diritto e la possibilità di perseguire la ricerca del proprio piacere e
del proprio appagamento.

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Il pensiero della De Beauvoir è volto alla negazione di di erenze tra uomo e donna, proiettandosi
nell’uguaglianza di fatto e nella programmazione della genitorietà. La ri essione della Firestone
slitta in un esito dialettico marxista, paragonando il predominio patriarcale alla borghesia.

Il pensiero di Faucault indaga la sessualità a confronto con i rapporti di potere. Il “sesso” è il


prodotto di un discorso sulla sessualità, che individua collegamenti e connessioni arbitrarie tra
elementi della realtà e li quali ca come necessari (quel che normale lo è in base al discorso
preposto: metodo genealogico nietzscheano). Il corpo e le sue pulsioni divengono oggetto di un
potere che si esercita attraverso categorizzazioni arbitrarie imposte dall’uso di un determinato
linguaggio.

La teoria di Judith Butler si fonda sul fatto che la società dovrebbe basarsi su modelli
transessuali, per cui sesso e genere non sarebbero nomi (cioè capaci di identi care una realtà
esistente e de nita), ma azioni: così l’individuo è/diventa ciò che decide di essere/diventare. Le
identità di genere sono solo frutto di stereotipi storici privi di fondamento. A tal proposito, Donna
Haraway immagina un mondo in cui ci sarà l’avvento di cyborg privi di sesso: così facendo
intende costruire un ironico mito politico fedele al femminismo, al socialismo e al materialismo.
Ironico perché vuole desacralizzare i miti, vede poi nella tecnologia la via della liberazione, nella
sua interazione col corpo; tuttavia, ecologizzerà poi il suo pensiero passando da concezioni di vita
ibrida uomo-macchina a uomo-animale.

Nelle mitologie femministe c’è anche il mito della Grande Madre, gure archetipica antica, letta
sempre (junghianamente) in parallelo all’archetipo maschile dell’Eroe. Il fatto che ci siano state
stagioni di dominio maschile suggerisce alla Neumann che serva l’avvento femminile come
“terapia della cultura”.

Per Giddens è avvenuta una forte rivoluzione nelle relazioni intime: la sfera stessa dell’intimità
sarebbe ora improntata allo stesso spirito di negoziazione tra pari che caratterizza le società
democratiche, e ciò permetterebbe di rivoluzionare anche i rapporti sociali nel loro complesso.

La Hargot fa notare come la defertilizzazione del corpo femminile rischi di condurlo a strumento di
piacere: invece di rivoluzione, il moto femminile è integrato nel usso capitalistico.

L’androgino: Dioniso e la distruzione della forma


I temi di rivoluzione sessuale riattualizzano il mito dell’androgino: la nostalgia per una perduta
unità in cui gli opposti coincidevano, questa lacerazione è un tema ricorrente in numerosi miti
cosmogonici (coincidentia oppositorum: coincidenza degli opposti).

La Moscato ha notato che la gura archetipica del Tutto/Unità indi erenziata costituisce la più
arcaica tra le forme divine: a tale rappresentazione si connette una precisa “demiurgica della
separazione”; nella quale l’inizio è pre gurato come “emergenza” di un divino arte ce da un
Utero/Abisso egualmente divino. È questo Arte ce/Demiurgo a creare successivamente gli dei,
suoi gli divini, essi stessi manifestazioni successive, forse parziali, del grande dio lontano, e che
appaiono sessuati e caratterizzati da una speci ca forma divino-umana.

In queste narrazioni la distinzione tra gli enti e la stessa di erenza sessuale si situano in un
momento successivo della creazione, conseguente a una lacerazione del Grembo/Abisso
originario. Alcune varianti mitiche della stessa gura archetipica quali cano l’entità divina delle
origini in termini esplicitamente androgini. Androginia e bisessualità esprimono una inde nite e
inarrestabile potenza creatrice, in quanto manifestazioni di perfezione.

È emblematico il mito raccontato da Aristofane sulla ricerca della completezza, questo sono gli
amanti, Eros è inviato da Zeus per questo (prima eravamo sferici e con due sessi): gli amanti non
cercano il piacere. Eros è dunque aspirazione dell’intero, e la separazione comporta debolezza,
perché i soggetti individuali e di erenti che ne scaturiscono sono costituiti in una reciproca
dipendenza.

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L’androginia può anche essere connessa al sovvertimento di ogni regola, alla ne dell’ordine
costituito e all’esplosione del caos primordiale. In questo caso la di erenza sessuale è ri utata in
quanto costituisce già una prima forma di ordine e determinazione essa infatti sottintende una
separazione, una divisione netta. In tale prospettiva la determinazione sessuale si pone sia come
segno che contraddistingue un individuo, sia come primo espediente atto a garantire un ordine
che è alla base della società. Dove la distinzione è confusa e incerta giunge il caos. Il mito
dell’androgino coincide così in Dioniso, divinità ibrida che trapassa dal maschile al femminile,
dalla forma ibrida a quella ferina.

Dietro l’utopia – antica e nuova – della “distruzione dei sessi” si cela quindi il mito del
rinnovamento/rigenerazione dell’uomo: del suo “tornare” o “diventare” dio liberandosi dal limite
della corporeità, dell’ordine oggettivo, razionale e morale, delle di erenza stessa in quanto
corrispondente alla prima forma di categorizzazione e classi cazione del reale. Il distruttore dei
sessi è Dioniso, un dio che non si lascia banalmente assimilare alla lussuria (ancora imprigionata
in una forma), ma spezza i con ni del soggetto, scioglie i lacci dell’io per liberarne le pulsioni e
ricondurlo al grande Tutto della natura, da cui colpevolmente si è separato.

Eros o Dioniso?
Il bersaglio dei pensatori della rivoluzione sessuale è l’apollineo nietzscheano, la struttura ordinata
e dotata di senso che argina il caos primigenio, il pensiero logico-astratto che imbriglia il
dinamismo dell’impulso. Tuttavia, la rivoluzione si proponeva di liberare Eros e non Dioniso,
tornando così l’utopia della spontaneità totale. Eros sembra non liberarsi, anche il contenimento
non degli impulsi ma dei suoi e etti, tramite la tecnica, non ha portato che alla danza dionisiaca
dell’immediatezza del puro godimento, ed Eros ne so re.

Miti e volti di Eros: desiderio, passione,


innamoramento, dono di sé

Il movimento di liberazione sessuale sembra aver riassorbito l’amore nel sesso o nell’eros,
sull’onda di un peculiare connubio nel quale si uniscono due tendenze apparentemente
contraddittorie: da un lato il determinismo inesorabile del desiderio e della pulsione, a cui “non si
può resistere”, dall’altro l’enfasi sul “libero amore”, sull’espressione di sé, su una lettura
volontaristica della relazione amorosa e sessuale.

È di cile comprendere se e come l’eros debba essere liberato o educato, se prima non si
comprende cosa si intenda quando si parla di amore, eros o desiderio. Si pensi che nella sua
accezione greca originaria l’eros non connotava la genialità, cosa identi cabile nel “phylon” greco
e nel “sexus” latino. La dimensione della genialità è entrata in gioco col potere che l’ha
accompagnata negli anni. Nell’eros è incluso sì il desiderio, ma non solo carnale, anche per la
bellezza, il bene, la verità e la conoscenza.

Miti, archetipi, gure archetipiche


I miti hanno una forte valenza teleologica, seppur l’ondata positivista quanti catrice ha spesso
sdegnato il sapere che racchiudono. Già Jung identi cava l’importanza delle strutture archetipiche
sottese ai miti. Sulla stessa scia Cambell ne de nisce la valenza non solo in virtù fantastica, ma
importanti anche per l’analisi della società e della scienza. Eliade ria erma il nostro “bisogno di
miti”, con la loro capacità di integrare e comprendere l’intera esistenza, in quanto contiene quel
sostrato di mistero, termine ultimo a cui mai la nostra conoscenza potrà auspicare.

La Moscato analizza il nesso che unisce mito, dimensione archetipica e psiche umana:
ipotizzando che nei dinamismi attraverso i quali si struttura la nostra identità giochino un ruolo
fondamentale immagini e rappresentazioni situate a livello pre-cosciente.

Queste gure, anche se vengono recuperate, si situano sempre in una zona intermedia fra
l’inconscio e il consapevole. Di fatto Jung divide queste rappresentazioni archetipiche, connotate
diversamente in ciascuna cultura, dall’archetipo in sé: che è totalmente inconscio, inpercepibile e
inconoscibile, energia psichica indeterminata, potenzialità capace di assumere diverse forme.
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Neumann rilegge la potenza archetipica come quella funzione indeterminata che, tuttavia, in un
certo momento, riordina il materiale della coscienza.

La Moscato individua, inoltre, negli archetipi in sé l’elemento universale, trasversale fra le diverse
culture. Per cui le varie rappresentazioni si rifanno alla struttura profonda dell’in sé, per cui la
varietà delle loro caratteristiche e contemporaneamente la permanenza di alcuni loro elementi
sarebbe dovuta al fatto che si sviluppano sempre dentro una speci ca cultura, ma a partire dal
nucleo inconscio dell’archetipo in sé, che abita la psiche di ogni uomo.

Quindi le gure archetipiche determinano in qualche modo la nostra identità, fornendo poi la
ri essione pre-empiriche che guida la nostra conoscenza. Inoltre, l’archetipo in sé costituirebbe
un’attività trascendentale del pensiero conoscente: universale, perché operante nel pensiero e
nella psiche di ciascuno. È una potenza generativa inesauribile, apice della conoscenza.

Pedagogia del mito e “miti d’amore”


I miti hanno quindi il potere di attivare la psiche dell’immaturo, introducendola in un cammino di
interpretazione e comprensione della realtà, invitandola ad avventurarsi in una prospettiva di
senso.

Sia Campbell che Bruner, così come la Moscato, evidenziano la valenza teleologica del mito e la
necessità di recuperare i caratteri di una “società mitologicamente istruita”. I miti consentono
anche il riconoscimento di signi cati prima nascosti, così de Rougemont ci dice che bisogna
comprenderli e non negarli, così da poter essere liberi e fuori dal vincolo di un cieco
determinismo. Da un lato occorre dunque imparare a leggere i miti (riconoscerne la natura e il
modus operandi), dall’altro dobbiamo comprendere da quali vorremmo farci condurre (e
imbrigliarne la forza in tal senso).

Eros come impulso irresistibile e forza primordiale


Eros è primigenia potenza creatrice ed è accompagnato da una complessa simbologia, cui danno
voce i diversi nomi che gli vengono associati.

L’amore passione: da Eros/Cupido alla leggenda di Tristano


Un’altra accezione lo vede come un dio generato da altri dei, che presiede il desiderio d’amore in
tutte le sue forme. Diviene simbolo dell’attrazione irresistibile, della passione travolgente e
capricciosa: non solo nella dimensione carnale, tocca anche il sentimento e le sue volubilità, si
impone alla volontà; e sa essere crudele. Eros è desiderio amoroso anche nella sua componente
fusionale e possessiva.

Denis de Rougemont rileva l’origine dell’amore romantico e dell’amore passione nel mito di
Tristano e Isotta, connettendolo poi anche all’amore cortese dei trovatori medievali. Entrambi
esprimono un amore che non può trovare compimento, un desiderio che non giunge mai ad
alcuna forma di appagamento.

Sia in Tristano e Isotta che nella letteratura trobadorica, il vero amore appare agli antipodi
dell’amore coniugale. De Rougemont individua, in questo caso, il nucleo critico nel catarismo, per
cui la materia (principio diabolico) strappa l’uomo dal vero bene (principio spirituale), e lo
strumento privilegiato per far cadere l’uomo è la sessualità: capace di abbassare l’uomo al rango
di bestia. Di qui la necessità di un amore spirituale, che ri uti di possedere la donna e il suo corpo,
innalzandola ad oggetto di pura adorazione: un amore impossibile, che non può essere
consumato.

L’amore in questa prospettiva potrebbe essere una forma di ascesi: via di ritorno verso la perduta
unità. L’amore passione è però un amore tragico, condannato a non aver paci cazione ma c’è di
più: verso questo amore non si può far nulla (colpo di fulmine: non ci si può sottrarre).

De Rougemont ci o re un’interessante analisi per cui Tristano e Isotta amano l’amore più che
amarsi l’un l’altra, nella misura in cui l’assenza non fa che accrescere l’idealità. I molti ostacoli
sono da loro posti, e la morte, ultimo ostacolo, appare l’unica via per liberarsi. L’ostacolo diviene
così il loro scopo, in una controrilettura degli Eros e Thanatos freudiani. Con la morte si staccano
dalla materia e possono ricongiungersi all’unità spirituale.

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In questa prospettiva Eros/passione svela il proprio volto indomabile: un “sentire” che vive di se
stesso e riproduce se stesso autoalimentandosi. Un amare la passione per se stessa, un amare il
tormento e il sentirsi vivi. Accettare che la passione sia cifra dell’amore, e che la consumazione
sia la sua ne: che solo il tormento e il fuoco siano vero amore, e che il binocolo stabile ne
costituisca la ne, la tomba (di qui il cliché del “matrimonio come tomba dell’amore”).

Nella narrativa contemporanea de Rougemont accusa il borghese e il proletario di non voler


pagare troppo il mito: ci sono ostacoli (perché sennò non v’è romanzo) ma è tolto quello supremo,
sostituito dal lieto ne.

L’ampiezza del desiderio: Platone e la “scala di Eros”


Socrate (nel Simposio di Platone) a erma che Eros è un daimon (un essere ibrido), né buono né
cattivo, perché è desiderio di qualcosa che non si possiede, e non si desidera di certo qualcosa di
cattivo, né si desidera ciò che si possiede già di bello.

Eros/desiderio, per sua natura, si presenta in costante tensione verso una bellezza che lo supera
e lo attrae, una bellezza dalla quale egli si percepisce separato, ma che misteriosamente gli
appare congeniale. Eros è nucleo profondo e vitale di ogni desiderio, anche quello che ha per
oggetto la conoscenza.

Gli uomini sono niti e l’unico mezzo che hanno per eternarsi è la procreazione, questo porta a
generare e partorire il bello. L’uomo è proiettato in questa passione per l’in nito, portando il
percorso di Eros in una scala di amore, che dalla rivelazione degli enti sensibili belli si snoda no
alla bellezza della conoscenza intellettuale, no al bello in sé, contemplazione di idea.

La prospettiva platonica coglie il desiderio umano in tutta la sua vastità e ampiezza: una forza che
non si esaurisce nei semplici impulsi ma che, se percorsa no in fondo, li ricomprende e sublima
in un cammino di trascendenza. Così l’Eros ci appare divino, per la sua potenza uni catrice.

Tipica di Eros è dunque una perenne tendenza a uscire da sé, una tensione all’interno del proprio
sé, un continuo, sempre rinnovato desiderio che spinge l’uomo a dedicarsi alla ricerca della verità,
della bellezza e del bene. Per cui fare i conti col desiderio è fare i conti col proprio limiti, con
l’incapacità di compiersi da solo: dacché sennò si darebbe un hybris narcisistica e ripetitoria, il
fulcro del nichilismo e dell’assenza di valori.

Desiderio e amore come memoria dell’origine: Agostino


Agostino nelle Confessioni racconta del desiderio di essere amato e di riamare associato alla forte
attrattiva nei confronti della sensualità. Alla luce della conversione rilegge la chiave platonica del
Bello in sé in Dio: così il motore della sua conversione è individuato sempre nell’amore. Ciò
accade perché l’inquietudine che vive l’innamorato trova pace nel compimento dell’unione con
Dio: in tal senso si so erma ancor più sul richiamare l’uomo fuori di sé verso una trascendenza
“verticale” e qualitativamente altra.

Rielaborando la dottrina platonica/neoplatonica della reminiscenza, Agostino riconosce Dio come


Colui che da sempre è presente all’anima umana attraverso la facoltà della memoria, eppure la
supera. La sua impronta in noi è rappresentata dall’attrazione per il bello.

In coerenza con lo schema platonico è posta una scelta: fermarsi al piano sensibile del puro
godimento, o percorrere no in fondo la via del desiderio sino al lume della ragione. Il desiderio è
quindi sempre rivolto ad altro e senza ritorno. Il desiderio non viene appagato con la
soddisfazione ma con la dinamicità del percorso, per cui lo spazio dell’incompiutezza diventa la
via della comprensione di sé dell’uomo, del suo fondamento e di tutta la realtà.

L’originalità del pensiero agostiniano sta nel duplice segno del desiderio: brama per una
mancanza dovuta al nostro limite (dal peccato originario) e apertura alla vocazione al divino, luogo
della ragione.

Siccome Dio è in tutto e in nito, si crea una dialettica circolare: l’uomo desidera Dio perché per
primo Dio desidera e cerca l’uomo: si scinde così il desiderio autentico dalla “cupiditas”: dov’è
l’uomo che riduce a propria misura ciò che brama. Nel desiderio autentico l’uomo è condotto alla
propria origine, al proprio fondamento, dunque ha uno scopo: il compiersi della sua persona.

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Prima ancora che possiamo rispondere coscientemente, il desiderio amoroso di un Tu, che è
assieme nostra origine e nostro compimento, fa di noi ciò che siamo: e si snoda attraverso il
desiderio amoroso acceso dalla realtà creata.

Eros, amore e dono di sé: da Algesti al “Dio che muore”


Esiste un volto di Eros spesso intrecciato ad archetipi femminili, come la vicenda di Alcesti, che
amando Admeto si o re al suo posto di morire, atto che commossa gli dèi che le risparmiarono la
vita. Platone include questa forma di amore, che potremmo de nire oblativa, nell’ambito di
Amore/Eros (nel Simposio, narrata da Fedro), il quale è una divinità potente e magni ca che ispira
azioni grandi e concede la forza di sacri carsi gli uni per gli altri.

La Moscato vede nella vicenda la struttura archetipica del viaggio salvi co compiuto da una
divinità femminile/materna, il cui atto di difesa è compiuto per mezzo di sacri ci e prove (che
costituiscono i momenti salienti della peregrinazione di queste gure, spesso nelle abe di magia).

Questa gura dell’amore è strettamente connessa alla demiurgia del sacri cio, che colloca
l’o erta di sé e il sacri cio personale nel cuore dell’agire del dio. Anche il Cristo muore per amore
degli uomini e risorge o rendosi liberamente in espiazione delle loro colpe, a nché essi possano
avere la vita eterna. Questo modo di amare permette di assimilare gli umani agli dèi, con un
momento di elevazione tale da sperimentare il vertice della propria umanità: rendendo possibile
scoprire la migliore parte di sé.

Da qui si evince l’amore come agápē, caritas latina, un desiderio bruciante del bene dell’altro che
spinge a volerne il bene, ad a ermarlo persino no al sacri co di sé e alla donazione radicale. Non
contraddice l’amore/desiderio: lo trasforma, lo invita ad oltrepassare sé stesso, approfondendolo
e inverandolo, come sviluppo nella sua continuità.

Innamoramento e amore: per una fenomenologia dell’amore


La continuità tra Eros e Agápē descrive il dinamismo che dall’innamoramento conduce all’amore
propriamente detto. Si possono dunque delineare i passi di una fenomenologia dell’amore.

L’innamoramento appare come un moto iniziale che prescinde dalle intenzioni ed è in parte
subito, uno dei suoi riverberi più forti si identi ca con la dimensione della mancanza e del
bisogno, ricerca di interezza (qui sta la carica attrattiva).

Scoprirsi innamorati ci chiama fuori, scopriamo una forza interna che nel momento in cui ci
rimanda alla nostra autonomia ci restituisce la nostra vulnerabilità e indigenza.

L’innamoramento è tensione verso un’alterità carica di valore. Si pensi alla corrispondenza


appetito-tipo di amore di San Tommaso, da ciò si evince che solo l’amore dilezione (di amicizia:
amare l’amato per se stesso e per il suo bene) può dirsi in senso assoluto: l’amore tende a
un’unione reale con l’amato, anche se è già unione sul piano a ettivo.

La benevolenza dell’amato mette in mostra la dimensione elettiva: una scelta che fa si una
persona il mio diletto. In alcune lingue assume la connotazione di somiglianza, per un ottica
unitaria progettuale, per un destino insieme.

All’amore appartiene anche una dimensione estatica: un trovarsi fuori di sé che conduce alla
contemplazione e all’a ermazione del valore della cosa amata. Questa pluralità ne esprime il
dinamismo che vede l’amore come un movimento che termina nell’avere e nel godere, ma anche
come un gesto della dedizione e del dono in cui l’individuo dimentica veramente se stesso e non
cerca il suo. Francesco Botturi ci descrive le componenti inseparabili dell’innamoramento:

- La fascinazione attesta il valore dell’altro: attraverso la meraviglia per un suo particolare


aspetto, lo sottrae all’anonimato;

- L’attrazione ci trascina fuori da noi stessi, ci lega all’altro: spezza l’autoreferenzialità dell’io;

- La tensione alla soddisfazione del desiderio dice di una nostra più sorgiva tensione al
compimento.

Bisogna tenere le tre componenti unite per non snaturare l’amore, sennò si tende a
sentimentalismi sterili, all’oggetti cazione come strumento di godimento o a divenire possessivo.

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L’innamoramento porta con se una promessa di in nito, ma nessuna persona concreta può
mantenere tale promesse, sennò si creano pesi insopportabili.

L’innamoramento è un momento sorgivo, e deve dunque essere condotto ad altro, esige una
donazione di sé. L’attrazione è l’innesco ma non costituisce il tutto dell’amore.

Spontaneità o educazione?
Se fosse tutto spontaneità non sarebbe possibile educare. Si è visto come sia essenziale superare
la spontaneità: entra qui in gioco la volontà e la progettualità (che costituiscono il naturale
prolungamento dell’innamoramento); solo così Eros super l’estemporaneità.

Il passaggio dal possesso al dono si compie con una scelta, un impegno, ed è questo il potere
umanizzante dell’amore. Si può educare perché ci si trova di fronte alla necessità di illuminare il
signi cato di questa esperienza per la vita umana: di o rire uno sguardo sul senso che essa
dischiude alla persona. Il rischio a cui si espone la persona presuppone che l’educazione
all’amore faccia riferimento all’educazione integrale della persona e della sua libertà. Servono
quindi una loso a della persona (antropologia) e una loso a dell’educazione (pedagogia).

Essere innamorati non signi ca necessariamente amare. Essere innamorati è uno stato; amare è
un atto. Si subisce uno stato, ma si decide un atto.

Amore e persona. Educazione all’amore e


antropologia integrale nel pensiero di Karol Wojtyla

“Amara l’amore umano”


Nel pensiero di Karol Wojtyla amore umano e sensualità hanno occupato delle posizioni centrali,
era certo che per comprendere l’uomo fosse necessario interpellarne l’esperienza, la capacità
d’azione, l’essere fatto per la relazione.

Il sostrato teologico- loso co su cui ri ette parte dalla piena ragionevolezza della fede e dalla sua
corrispondenza all’umano: credendo che fede e ragione possano sostenersi a vicenda nella
ricerca della verità.

Il cuore della sua ri essione sta nella contemplazione della bellezza e dignità dell’amore umano,
accanto all’attenzione per l’educazione dei giovani: vuole fornire con la pedagogia una cornice di
senso.

Una “antropologia adeguata”


Wojtyla si rende conto che ci sono due modi di vedere società, Stato ed economia (capitalismo vs
comunismo), ma anche due modalità di concepire l’uomo. Bisogna fare un passo indietro e
designare concetti antropologici, anche per un’etica fatta per l’essere umano.

Tutto parte dalla crisi del soggetto/individuo: nel comunismo è assorbito nel totalitarismo, nel
capitalismo è ridotto ai suoi impulsi primari e al consumismo. Bisogna guadagnare la persona:
singolarità irriducibile alle pretese altrui e de nita da relazioni generative nelle quali si trova, per far
della persona ciò che è. Serve un’antropologia che interpreti l’uomo in ciò che è essenzialmente
umano. La persona è da un lato autonoma (non può essere ceduta a terzi) e dall’altro destinata a
donarsi liberamente e consapevolmente. Così la persona umana non è mai riducibile a cosa né a
individuo autoreferenziale.

Da S. Tommaso prende la de nizione di persona come “sostanza individuale di natura razionale”,


così, riprendendo la Genesi: l’uomo è cosciente di sé e cosciente del mondo fuori di sé (questo lo
rende indisponibile ad essere strumento altrui. Si riallaccia poi all’imperativo categorico kantiano:
la persona altrui non può mai essere concepita come un mezzo, ma sempre come un ne, perché
come persona ha in sé un proprio ne. Questo viene rinominato dal Papa “norma personalistica”
o “principio personalistico”: norma perché criterio per stabilire l’eticità di un’azione, principio
perché ogni ri essione dell’uomo si deve fondare su questo.

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Fondare l’etica dall’antropologia signi ca che nel modo in cui la realtà si dà, nel modo in cui
l’uomo è fatto, è già racchiusa la norma dell’agire, non come imposizione ma come conseguenza
dell’essere umano.

Da Tommaso ricava anche la relazione come dimensione costitutiva della persona. Al realismo
tomista associa un assunto fenomenologico per cui bisogna “assumere sempre l’uomo in azione
come punto di partenza per la ri essione antropologica”. Vede quindi l’uomo proteso verso il
mono, investito di un compito, fatto per la relazione e plasmato dalle relazioni che vive.

Così si può determinare il suo agire con un senso e quindi può essere buono o cattivo. E qui
riprende nuovamente Tommaso e il principio per cui l’azione di ogni ente dipende dalla sua
natura. Quindi ricava il metodo di lavoro per conoscere l’uomo: agire ed essere sono in relazione
reciproca. L’operare ci consente di cogliere la soggettività dell’uomo: per arrivare alla persona si
deve partire dall’atto.

La persona e l’atto
Egli pone in discussione innanzitutto il dualismo tipico della modernità che ha smarrito la vivente
concretezza della persona, separando il corpo dalla ragione; contrapponendo tra loro la
dimensione “soggettiva” e quella “oggettiva”, la sfera razionale e quella a ettiva.

Per questo bisogna riproporre l’uomo come problema: l’uomo, per poter formulare correttamente
la domanda su se stesso e per potervi rispondere, ha bisogno di partire dalla propria esperienza.

Con propria esperienza tiene fermo il fatto che non è solo sensibilità e sperimentare qualcosa
fuori di sé, ma nello sperimentare si sperimenta sempre sé stessi. L’esperienza è per questo
caratterizzata da una sostanziale semplicità: in ciascuna singola esperienza ognuno può infatti
riconoscere se stesso presente e in azione.

Nella propria esperienza l’uomo può riconoscere qualcosa che non è solo suo, ma strutturale
rispetto all’uomo in sé, che non è un concetto astratto, ma l’elemento di umanità presente in ogni
singolo uomo concreto. Questo qualcosa è l’atto: è possibile (in tutte le ricorrenze empiriche
dell’atto) passare dall’agire singolo a dire che l’uomo agisce; quindi esiste una cosa che possiamo
de nire come atto della persona. L’atto ha poi la particolarità di rivelare la persona che lo compie.
Quando si parla di atto umano il Papa si riferisce speci camente all’atto cosciente: non certo per
negare l’esistenza in noi di altre componenti oltre la nostra coscienza razionale.

La scoperta della persona avviene i passaggi metodologici dell’induzione (desunta dalla tradizione
aristotelico-tomista) e della riduzione (fenomenologica). Nell’induzione si coglie una struttura
unitaria dell’agire (la persona si manifesta attraverso l’atto), la riduzione spiega cos’è l’atto e cos’è
la persona (ricondurre a fondamenti appropriati). Da qui ci si accorge che l’uomo trascende gli enti
(non è riducibile a mera materia) e nell’atto ha luogo l’integrazione della persona (ovvero in tutte le
sue componenti inseparabili). Facendo riferimento alla polarità potenza/atto: indagando l’atto di
può risalire alla potenza/essenza dell’uomo-persona.

Atto e norma personalistica: linee di un’antropologia della relazione io-tu


Come l’atto dice qualcosa di noi ha anche l’e etto di agire su di noi, costruire quello che siamo.
Così il nostro corpo non è solo carne inerte, ma è materia vivente (diverso da Cartesio): questo
permette un’assiologia dell’atto, per cui un atto è vero quando è conforme alla natura personale
dell’essere umano (così ci si avvicina l’agente al proprio compimento).

L’atto ha valore personalistico perché ci mostra l’autodominio e l’autopossesso del soggetto che
lo compie, questi sono caratteri esclusivi della persona. L’atto comporta anche la trascendenza: ci
porta fuori di noi, ci protende verso il mondo e ci rende visibili al mondo.

Negando l’uso-strumento della persona, si apre al tema dell’intersoggettività e della


partecipazione: scoprire sé stessi come persone ci consente di riconoscere anche gli altri come
tali. Quando agiamo, inoltre, gli altri sono inclusi nei nostri atti: ci troviamo in relazione con loro (il
nostro agire è con gli altri o per gli altri).

Nella relazione io-tu si scoprono i caratteri salienti dell’umanità, e quindi anche più profonda di me
stesso, anche perché è rivelazione reciproca.

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La relazione io-tu è davvero umana, davvero tale, e davvero genera una comunità interpersonale,
solo quando è connotata dalla reciproca a ermazione del valore della persona dell’altro.

Elementi di una teologia/pedagogia del corpo e della sessualità: le Catechesi


sull’amore umano
La complessa antropologia di Wojtyla presenta numerose implicazione in ambito di pedagogia
delle relazioni e delle relazione amorosa in particolare. L’analisi di “Persona e atto” ha mostrato
che anche il corpo umano è integrato nell’atto, è realtà che manifesta e signi ca la persona. Il
nostro corpo è segno: è in possesso della persona ma è anche la persona.

Quando ci si dona si rivela la verità che è propria della persona, andando oltre sé stessi. In questo
senso sviluppa una teologia e una pedagogia del corpo a partire dalle scritture, dove nell’unità
integrale di corpo e anima, di volizione, cognizione e atto della persona è integrata anche la
sessualità. La dimensione sessuale è il luogo in cui la persona si esprime, si manifesta rivela se
stessa agli altri e, contemporaneamente, si trova “donata” e rivelata a se stessa, può
comprendere sé stessa.

Entra in gioco anche la condizione creatura umana, riletta sullo sfondo per cui l’uomo è creato a
immagine e somiglianza di Dio: somiglianza espressa nella relazione (la dinamica trinitaria vede
infatti la relazione personale presente in Dio stesso).

Studia la Genesi chiedendosi cosa signi chi per l’uomo questa narrazione delle sue origini, e cosa
dica all’uomo su se stesso questo racconto circa il suo essere venuto al mondo. Da qui risaltano
tre esperienze originarie umane (sotto elencate): il secondo racconto della Genesi per il Papa
costituisce la più antica descrizione e registrazione dell’auto-comprensione dell’uomo e la più
antica testimonianza di conoscenza umana.

La solitudine originaria. (Prima esperienza)


Dando un nome agli animali l’uomo comprende la sua superiorità, è l’unico superiore agli altri
viventi e ha coscienza si sé per la prima volta. Così autocoscienza e conoscenza del mondo
vanno di pari passo.

Questo uomo-persona cerca un simile a sé, che sia capace di ricevere il dono che egli è, perché
nessuno degli animali gli concede la relazione io-tu del dono reciproco. Senza il dono, l’uomo solo
non può realizzare la sua essenza, lo può fare solo esistendo con qualcuno, per qualcuno.

La relazione di comunione. (Seconda esperienza)


L’uomo riceve così la donna come dono e non per propria abilità o iniziativa, dono che gli
permette di scoprire sé stesso e per potersi a sua volta donare. È nella communio che l’uomo è
pienamente immagine di Dio, perché si manifesta la relazione e l’adeguato essere per.

Il corpo.
Diversamente dalle altre carni animali, l’uomo nella donna riconosce un simile, lo riconosce per
reciproca corporeità. Questo perché il corpo della donna è autenticamente umano in ogni sua
connotazione.

Mascolinità e femminilità sono due incarnazioni della stessa meta sica solitudine, due modi di
essere corpo che si completano reciprocamente: così si ritrovano nella relazione.

La relazione sessuale è poi vista anzitutto come attrattiva verso l’altro che completa, ma va
allargato il suo senso nel farsi carico dell’altro e della sua solitudine originaria. L’atto sessuale è
vissuto nella sua intrinseca verità e autenticità quando è accostato come realtà personale: quando
ogni io guarda l’altro come soggetto libero, cosciente, che dispone di sé e possiede sé a partire
da un limite, e che proprio per questo è capace di donarsi e di accogliere il sono di un’altra
persona.

L’innocenza originaria e il signi cato sposale del corpo. (Terza esperienza)


La nudità/innocenza originaria, dove l’uomo e la donna vivono secondo la communio personam,
nella piena coscienza della loro somiglianza a Dio attraverso la comunione che si dà nel corpo
(che è l’atto originario di riconoscimento). La nudità dei due progenitori è legata alla libertà del
dono, che fonda il signi cato sponsale del corpo.

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Leggere in maniera antropologica la creazione del corpo umano nella mascolinità e femminilità
implica il riconoscimento della sua sponsalità: la capacità di esprimere l’amore, quell’amore nel
quale l’uomo-persona diventa dono e – mediante questo dono – attua il senso stesso del suo
essere ed esistere. Così la nudità originaria non suscita vergogna perché accade nella verità della
comunione: il signi cato della sponsalità sta nel fatto che ci si accoglie l’un l’altro come doni
disinteressati, a ermandone il valore dell’altro come persona.

L’uomo-persona riconosce che la sua stessa libertà non è fatta per l’autodeterminazione
egocentrica ma per amare, radicandosi nella sua corporeità. Si sceglie così in virtù dell’unicità
dell’altro.

Il signi cato antropologico della di erenza sessuale: l’uomo come essere uni-duale.
La di erenza sessuale ci ricorda che nessuno esprime in se stesso la completezza dell’umanità.
Uomo e donna condividono una comune umanità, che ciascuno possiede in pienezza di dignità e
valore, ma che si articola nella qualità della di erenza. L’essere di erenti non implica la
preminenza dell’uno sull’altro, ma fonda strutturalmente il singolo essere umano nell’apertura alla
relazione con l’altro. Ognuno, di fronte al di erente da sé, contempla una “versione” di umanità
che non coincide con la sua propria, e che pura non ha minore dignità e bellezza.

Rifacendosi a Edith Stein, considera l’essere umano una realtà uni-duale, o unità duale: ciascuno
ha in sé l’integra dignità dell’umano, ma lo splendore e il destino della “specie umana” brillano
con particolare evidenza nella comunione tra i di erenti. La di erenza rimanda quindi al nostro
essere fatti per la relazione, ma l’asimmitricità della fusione esplica la sua imperfezione: per cui
nessun essere umano può essere inglobato in me, se ne rispetta quindi la dignità.

La dinamica dell’amore umano: Amore e responsabilità


Ogni impulso è una spinta capace di orientare l’individuo in una data direzione: questo è il
materiale umano, che prende forma sotto la propria libertà, quindi non di ritiene responsabile un
individuo per le sue tendenze, quanto del modo in cui le agisce e utilizza.

L’impulso sessuale non va verso un generico altro, ma verso l’incarnazione di una persona
concreta. In questo riconoscimento della dignità personale dell’altro essere umano oggetto di
attrazione, la dimensione pulsionale trascende il determinismo biologico no a divenire veicolo di
espressione del libero arbitrio personale. È entro questo orizzonte che si può porre un’educazione
sessuale o a ettiva della persona.

Anzitutto c’è la compiacenza: l’altro mi piace perché è bene per me, la tendenza sessuale attiva
verso l’altro un impegno conoscitivo impregnato anche di a etti e volontà. Poi c’è il desiderio, per
mezzo del quale il soggetto si riconosce come non-autosu ciente: desiderio di compimento.
In ne c’è l’amore di benevolenza, che è piena espressione della persona: al desiderio dell’altro
come bene per sé segue il desiderio del suo bene; e in questo slancio disinteressato sta la piena
realizzazione del volere.

Riprendendo l’Etica Nicomachea di Aristotele: la reciprocità e la co-creazione di amore porta al


“noi” e alla realizzazione piena di se stesso, perché si opera disinteressatamente la propria libertà.

Il riverbero psicologico dal contatto diretto nell’esperienza sensoriale dell’atto sessuale sta
nell’associazione di un emozione (sfera a ettiva) e nella percezione di un valore della persona
come tale (sfera cognitiva). Il lascito sessuale consiste nell’esperienza vissuta di determinati valori
percepibili dai sensi. La sessualità sarà davvero sé stessa se non viene solo orientata al
godimento corporeo ma alla persona in toto.

La totalità e la capacità di cogliere il signi cato e il valore porta con sé due conclusioni: solo
l’uomo può amare (non gli animali) e l’uomo può amare in quanto persona unitaria, cosciente e
consapevole, perché solo nella sua unità e comprensione può donare sé.

È dunque l’a ermazione della persona tutta intera la caratteristica morale dell’amore: l’unico
atteggiamento adeguato nei confronti dell’essere umano.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022

Educare all’amore: orizzonti di senso pedagogico

Quali orizzonti per l’educazione all’amore? Che cosa signi ca educare?


Educare è mediare un orizzonte di riferimento e un mondo di signi cati. L’educazione all’amore
non può quindi essere mero nozionismo, prevenzione, emergenza.

—>vedi fenomenologia della Moscato!

Puer Eternus
Si devono fronteggiare oggi i due volti della crisi della paternità: da un lato la scomparse dei padri
e delle gure d’autorità (visti i movimenti post-guerra), dall’altro l’a evolirsi nella psiche di ogni
adulto della capacità di rispondere al bisogno di norma, di senso e di riferimento etico che vive in
ciascun bambino o ragazzo, e che non è separabile dal suo bisogno di perdono, accettazione e
comprensione. La dimensione paterna serve però proprio ad evitare il fagocitamento della Grande
Madre: in una società senza padri si perde la possibilità stessa di educare.

All’eclissi del paterno e al prevalere della Grande Madre corrisponde l’imporsi di una gura
archetipica strettamente correlata: il Puer Aeternus, l’eterno fanciullo (spesso identi cato con
Dioniso). Così facendo vien meno la desiderabilità adulta, vista come mera costrizione,
contrapposta alla libertà di forma dell’infanzia.

L’adolescenza nel modello stadiale di Erikson


stadio include in sé le mete maturati già raggiunte: con spinte realizzati e regressive che ne
determinano la fase critica. Le virtù conquistate sono universali, sono delle forze dell’Io, un
compito di sviluppo. Universali, ma trovano concretizzazione nei singoli soggetti, poiché il loro
sviluppo è legato alla continua interazione tra la concreta persona e il mondo simbolico-culturale
in cui essa si ritrova a crescere, mediato per lei dalla generazione adulta.

Il modello di Erikson è uido e non deterministico, ci possono dunque essere integrazioni


successive ma anche regressioni.

Importante è la speranza, che la Moscato legge come prerogativa per poter sviluppare la
“capacità di amore” dal “bisogno di amore”. Bisogna però stare attenti a non crogiolarsi in questa
richiesta di base di ogni esperienza educativa, perché incombe sempre il pericolo del narcisismo.

Educare l’esperienza sessuale/amorosa tra iniziazione, famiglia e scuola


È necessario pensare l’educazione sessuale ed a ettiva in primo luogo come promozione della
ri essione personale sulla propria esperienza: così da consentire ai giovani destinatari di
riconoscere il signi cato di emozioni, passioni, turbamenti connessi al cambiamento del proprio
corpo e all’incontro con l’altro.

Secondo punto, in base alla storia e ai nostri archetipi, il primo luogo di amore è la famiglia, dove
l’immaturo sperimenta amore e relazioni in tutte le sue sfaccettature. Tale situazione non è
prescindibile né delegabile ad esperti. È nella famiglia che si genera la prima immagine inconscia
e implicita della relazione a ettiva e della sessualità, nella loro accezione più ampia. Dalla famiglia
si inizia a elaborare un’immagine più o meno positiva e aperta alla speranza della relazione tra i
sessi: interiorizzando alcune regole proposte dai modelli genitoriali osservati (più o meno
implicitamente). È importante constatare che l’educazione famigliare non si svolge solo in
trasmissione di contenuti, ma denota partecipazione attiva e appartenenza, concorrendo a
costruire il nucleo arcaico dell’identità personale.

Qualsiasi famiglia nel riconoscere e accudire una nuova vita in prospettiva futura le comunica un
orizzonte di senso, nel quale anche la sessualità (e la di erenza sessuale) è precocemente
introiettata e connotata di signi cati simbolici. Il tessuto famigliare è infatti a fondamento della
ducia di base per l’inizio del viaggio del bambino.

Il confronto poi con la precettistica scolastica, visto anche il dilagare della crisi coniugale, porta a
ri ettere sulla sinergia che dovrebbe sussistere fra i due contesti pedagogici, anche in virtù di un
unico orizzonte di senso unitario, indispensabile per la psiche.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022
Dall’antropologia integrale a uno sguardo pedagogico: per una “cultura dell’amore”
Vista la riluttanza di esplicitare i temi a ettivi e sessuali riscontrata in molti adulti è necessario
anzitutto ricostruire e di ondere una cultura dell’amore nella generazione adulta.

In tal senso è a ascinante il pensiero di Wojtyla, perché non è limitato al sesso, perché ha una
visione antropologica sottesa, perché è orientato alla pedagogia, perché prescinde la settorialità e
considera la persona in tutta la sua completezza. Inoltre, il focus sulla persona e sull’atto rivolge
direttamente ai giovani il peso delle loro azioni e anche la possibilità di modi care la propria
reputazione: si notano poi molte conseguenze in tal senso, circa la stima e la percezione di sé.
Questo anche nelle ri essioni postume sul primo rapporto sessuale, in molte ragazze soprattutto,
che porta con sé il fatto che non ci può essere “consenso” o “libertà” se ad agire non è la
“persona”. Qui sta la virtù della castità proposta da Wojtyla come dispositivo formativo, volendo
alludere non ha una precettistica morale dogmatica, ma a una a ettività/sessualità matura e
responsabile, una capacità di amare.

I contenuti di una proposta: “Mi piaci. L’amore ai tempi di Facebook”


Importante è focalizzarsi sulla persona, che rimanda, non a una singolarità astratta e
autoreferenziale (come nell’individuo), ma una singolarità che si gioca in una serie di relazioni
costitutive: relazioni con altre persone, ma anche nessi ineliminabili tra la mente e il corpo, tra la
dimensione a ettivo-emotiva, quella etico-volitiva e quella cognitivo-razionale.

Il risvolto antropologico della biologia.


Il corpo rientra nella percezione di noi stessi e si con gura come dimensione costitutiva della
nostra identità. Ci accompagna in ogni azione, pensiero, parola: è il luogo in cui tutto ciò che è
interiore trova concretizzazione. Il corpo non è semplice cosa: è segno, dice di noi, ci consente di
entrare in rapporto con altri “io”, che assumono per noi le vesti di altrettanti “tu”.

È importante la genialità nella sua siologia, meccanicità e nalismo; ma non bisogna tralasciare
la persone. Per cui si dà che il nostro stesso essere sessuati è segno della nostra apertura
strutturale all’altro in quanto soggetto irriducibile e noi e al nostro progetto.

La relazione sessuale non si esaurisce mai in sé stessa, questo porta all’esplorazione ma anche
all’esito dell’incompiutezza con l’avvento di un glio. Il glio scaturisce dall’incontro tra i due
genitori senza identi carsi totalmente con essi, e nemmeno con la loro sommatoria, è un “oltre”
che supera e rimanda al mistero stesso dell’esistere.

L’amore come esperienza personale: la palestra dell’amicizia.


Dal punto di vista pedagogico, la dimensione oblativa dell’amore costituisce l’esito possibile
dell’educazione della capacità di amare. Educare o erendo questo orizzonte di signi cato
signi ca avviare i più giovani a un modo maturo dell’esperienza amorosa, che non può escludere
a priori la dimensione della scelta e della progettualità.

In tal senso l’amicizia può essere vista come quel luogo dove si pregustano e sperimentano i
valori dell’amore. La visione agostiniana dell’amicizia mette esplicitamente in luce la dinamica
eticizzante e valorizzante, che si riassume nell’amare gli amici in Dio e, in ultimo, nella carità verso
di loro (che consiste nel desiderare per loro l’in nito amore di Dio stesso), ciò accade anche
nell’orizzonte aristotelico-tomista.

In tempi ancora recenti la ricerca pedagogica ha riconosciuto questo sostrato etico dell’amicizia,
attribuendogli un valore e un ruolo in quanto dispositivo pedagogico: perché il legame amicale
rimanda a un orizzonte più ampio della semplice individualità. Si va al di là, si riconosce un altro
come bene comune reciproco, che è il centro dell’amicizia, che sostiene il legame e lo orienta
verso un ne. Con questa dimensione a ettiva e totalitaria della persona essere amici vuole dire
anche diventare adulti assieme, per questo giocano un ruolo fondamentale in tutta la vita, in
particolare nella giovinezza e nell’adolescenza.

Questa apertura ad un “oltre”, questo non esaurirsi semplicemente in un sentimento, è il segreto


dell’amicizia come lo è dell’amore.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022
Fatti per la relazione.
Il corpo è il luogo della nostra irriducibile unicità e contemporaneamente è via della nostra
relazione con gli altri. In un epica dominata dai social l’assottigliarsi del peso del corpo va di pari
passo cono quello della parola, acuita dalla velocità e reattività indotta dalle relazioni virtuali.

È importante che i giovani comprendano che i nostri gesti, come le nostre parole, vogliono dire
qualcosa. Per poter vivere ogni relazione in pienezza è necessario recuperare un alfabeto del
corpo e della gestualità.

Lo stringere la mano rimanda al mutuo a damento, l’abbraccio accoglie e custodisce, il bacio


dona il proprio respiro, il rapporto sessuale è consegna totale: è donazione integrale di sé e
accoglienza integrale dell’altro.

Prima di decidere se compiere dei gesti dobbiamo comprenderli nella loro essenza e nalità. C’è
una verità nella sessualità che fa tutt’uno con la verità circa noi stessi.

Il senso di ogni atto è legato al contesto e all’intenzione. Quando diciamo che il nostro corpo con i
suoi atti ora in sé un signi cato oggettivo, a ermiamo questo sempre alla luce della norma
personalistica. Nessun gesto può essere personale se mira a usare e possedere l’altro: questo è il
criterio di autenticità di ogni atto, perché gli atti possono anche essere ingannevoli come le
parole. Gli e etti delle nostre azioni ricadono sempre su di noi, disvelano sempre la persona, per
l’unità col corpo della persona. Ciò che facciamo ci trasforma sempre, e quindi nessun atto potrà
mai farci stare bene se non è orientato bene.

Molte delle questioni dei ragazzi sorgono dalla riduzione della sessualità alla genitalità. Così
facendo si perde la dimensione del dono e del senso. Si giunge a logiche di mezzo e di utilizzo, si
nega la massima kantiana. L’unica modalità antropologica corrispondente davvero alla donazione
sica totale è la dedizione piena dell’uno al bene dell’altro. È il “bene che tu sia, perché tu ci sei,
perché cammini verso un compimento che io spero per te e che voglio aiutarti a raggiungere”.

Principi di metodo per educare all’amore nella scuola


Bisogna collocare l’educazione sul piano della domanda di signi cato che ogni esperienza porta
con sé (lavagna piena di segni). Poi, è anche importante il corretto connubio tra sapienza
contenutistica e capacità pedagogica.

Non bisogna poi pensare all’educazione priva di orizzonte e senso, si deve avere una
comunicazione interattiva con gli studenti: in ottica a ettiva è particolarmente importante l’ascolto
attivo (garantendo un riconoscimento allo studente, perché comprende che ciò che dice l’altro
non verrà completamente respinto). All’ascolto attivo vanno a ancate anche domande di
conferma con ripetizione dell’appena detto (esercizio di “funzione specchio”), mettendo davanti
allo studente le proprie parole.

A livello espositivo poi, bisogna calibrare il contenuto e gli strumenti di intervento sulla reale
situazione dei destinatari (non bisogna scambiare la prevenzione per anticipo di esperienza), così
come si deve porre attenzione nei confronti di ogni singolo studente: di qui l’evidenza per cui ogni
intervento circa la sfera amorosa, a ettiva o sessuale deve avvenire in un contesto di classe, di
modo che ogni studente possa direttamente parlare con l’insegnante (assemble e contesti grandi
non vanno bene).

Poi nella classe, il richiamo a esperienza dirette degli alunni come principio di metodo incide sul
reale impatto educativo degli interventi: così si crea un terreno di incontro tra la proposta
formativa e il concreto vissuto dei soggetti (riuscendo a dare orizzonte di signi cato). Così
facendo, potranno essere spinti al paragone e alla ri essione autonoma, in ordine a una crescente
responsabilità. Ma nonostante tutto, è importante che il docente rimanga in classe per mantenere
l’asimmetria del processo educativo. È importante il ruolo dell’insegnante, e diventa signi cativo
se l’adulto se mette in gioco la propria esperienza personale, non se si limita a esporre idee.

“Coltivare la parte migliore”


È la speranza di Erikson, un lavoro su sé e un paragone con l’esperienze (per l’insegnante),
ponendo la domanda sul mistero della vita, per farla vivere ad altri.
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