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Marco Pio Joseph UNIBO 2022

Riassunto – Pedagogia interculturale


L’orizzonte educativo tra “scontro delle Civiltà” e
“viaggio dei Magi”: prolegomeni per una pedagogia
interculturale

Bisogna sempre proporre analisi pedagogiche che tengano conto delle quattro costanti
fenomenologiche dei processi educativi. Costanti che sono connotate sul piano spazio-
temporale, dunque in un dato momento storico e contesto geo-culturale. Nell’ottica di una
“pedagogia interculturale” si deve porre l’accento sulla costante dell’“orizzonte socio-culturale”.

Società europee, fenomeni migratorio e prospettica interculturale: un quadro


d’insieme
Il progetto dell’Unione Europea presenta luci e ombre, per esempio nelle assenti competenze
politiche per la difesa e la politica estera. Appaiono anche rilevanti i numerosi elementi di tensione
culturale e socio-politica, tra cui le recrudescenze nazionalistiche, spesso connesse a dinamiche
identitarie.

Vi sono anche sentimenti di paura che serpeggiano nella società europea dallo smantellamento e
dalla ride nizione del Welfare State, all’interno dell’ideologia neoliberalista che portò agli assetti
dell’economia mondiale globalizzata.

La crisi economico- nanziaria ha ulteriormente aggravato il clima europea, anche con l’apertura a
una nuova fase della globalizzazione, focalizzata sull’assetto americano di Trump dell’America
First: una politica economica che mette a dura prova i mercati e, al tempo stesso, la supremazia
politica americana che ha messo in mostra limiti prima nascosti.

La nuova società multiculturale europea


La realtà sociale europea è contraddistinta da una variegata composizione culturale che ha subito
molte modi che negli anni. In qualche modo i dinamismi migratori e demogra ci hanno
ridisegnato le identità etniche e religiose presenti nell’Europa del terzo millennio (intrecciandosi
con il principio di autodeterminazione di Wilson).

Le migrazioni sono un fenomeno sociale complesso. Sul piano economico i suoi fondamentali
costituiscono ancora una polarità centripeta, sul piano politico il contesto socioculturale ha
progressivamente reso manifesta un’aperta ostilità alle migrazioni.

L’attenzione pubblica spesso è rivolta a contesti di guerra e l’inasprimento nei confronti delle
migrazioni, quindi fenomeni di rigetto o ri uto, sono divenuti de nibili come neo-fascismi, neo-
razzismi e suprematismi.

La proposta politico-pedagogica dell’interculturalità


In ambito pedagogico ha trovato sempre più spazio il termine “interculturalità”, che sta a indicare
un progetto etico-politico, a dato in primo luogo alla scuola, di promozione delle capacità di
convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme. Essa comporta non solo
l’accettazione ed il rispetto del diverso ma anche il riconoscimento della sua identità culturale
nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione, di collaborazione, in una prospettiva di
reciproco arricchimento. L’interculturalità va così intesa come paritaria.

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È importante di erenziare l’inteculturalità come modello desiderabile di società pluralistica nella
quale sono presenti diverse culture interagenti e va garantito il massimo rispetto possibile dei
diritti umani, dalla multiculturalità che è una mera presa d’atto dell’esistenza di culture diverse.

In tale ottica, l’educazione interculturale verte sulla disponibilità a uscire dai con ni della propria
cultura per entrare nei territori delle altre culture. Questo preciso progetto pedagogica risulta
nalizzato al perseguimento di un importante e ambizioso traguardo formativo: quello della
costruzione e dello sviluppo di un pensiero aperto e essibile, problematico e antidogmatico (…)
capace di decentrarsi, di allontanarsi dai propri riferimenti mentali e valorizzi, di andare verso le
altre culture per riconoscere e comprendere le di erenze e le analogie; capace, inoltre, di tornare
nella propria cultura. Per permettere ciò, bisogna far sì che ci sia uno “spazio dell’incontro”, che si
può de nire solo a partire dal riconoscimento dell’esistenza e della forza dell’appartenenza (vale a
dire, dal “noi”).

Un’ipotesi interpretativa
È importante, visti i diversi punti di analisi e la complessità del tema, tenere conto delle diverse
categorie interpretative. L’analisi che verrà proposta parte dalla divisione del secolo scorso in tre
grandi fasi storico-culturali.

La prima fase è l’Età dell’oro, nel periodo postbellico 1945-1973, in cui prende forma il campo
ideologico della pedagogia interculturale. In questa fase l’Europa attraversa un lungo e ininterrotto
periodo di crescita produttiva, con consistenti ussi migratori intra ed extra europei.

Nella seconda fase, detta Età delle frane, apertasi con la crisi petrolifera del 1973, si attueranno
processi di ristrutturazione economica e chiusura delle frontiere.

La terza fase è l’Età delle paure, che ha preso avvio con il crollo delle torri e il consolidamento
dello Stato Islamico. Il clima sociale e politico diviene esplicitamente ostile alle migrazioni, avendo
interiorizzato l’ideologia del con itto delle civiltà.

La pedagogia interculturale: sul piano epistemologico-scienti co appare di matrice politico-


pedagogica; nella prospettiva psico-pedagogica è più centrata sulla personalizzazione; mentre
nella ricerca didattico-curricolare si spende nella direzione di gure e di didattiche di mediazione.

Les Trente Glorieuses (1945-1973): l’immigrazione invisibile e “i figli dei


lavoratori immigrati”

Il secondo dopoguerra: l’Età dell’oro


Il secondo dopoguerra vede una crescita economica esponenziale (per questo de nito “glorieux”
o “golden age”), soprattutto nei paesi dell’occidente-centro Europa. Questo creò un forte divario
con il “terzo mondo”, vedendo la produttività dei manufatti quadruplicata tra gli anni ’50 e ’70.

Sul piano della politica internazionale si vede il formarsi dei futuri schieramenti coinvolti nella
guerra fredda, e nell’Europa occidentale vennero istituzionate la OECE, la CECA, EURATOM e la
CEE, a simboleggiare ancor più la collaborazione dell’occidente si vede la formazione, oltre che
del Consiglio d’Europa, anche dell’ONU e dell’Unesco.

Paesi d’immigrazione e paesi di emigrati: i casi Francia e Italia


Dal ’45 all’inizio degli anni ’70, la strategia economica dominante, il capitale su vasta scala, è
stata la concentrazione dell’investimento e l’espansione della produzione nei paesi più sviluppati
esistenti. Per questo motivo molti lavoratori migranti furono attirati, nei casi speci ci di Francia e
Italia, si vede la prima coinvolta in numerosi ussi immigratori, mentre la seconda come paese
emigrante. Gli studi demogra ci in Francia hanno evidenziato come circa un quinto dei cittadini
francesi abbia origini straniere.

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Invece, in Italia, le condizioni di sottosviluppo di gran parte delle aree meridionali hanno portato
più volte a ussi di spostamento verso le regioni più nordiche o occidentali. Già tra il 1876 e il
1914 ebbe luogo un grande esodo con quasi 14 milioni di espatri. Tale processo emigratorio non
fa altro che consolidare e confermare l’arretratezza economica delle stesse arre interessate:
evidenziate da depauperamento culturale e una decadenza generale del tenore di vita.

Nel secondo dopoguerra si assisterà nuovamente a una grande emigrazione, non solo verso
l’estero ma hanno luogo anche movimenti migratori interni. L’unico polo attrattivo del paese è
rappresentato dal triangolo industriale, vista la crisi del settore agricolo il cui assetto economico-
giuridico mal si disponeva ad un adeguato e moderno sviluppo. Visti i numerosi ussi migratori,
l’Italia si con gura come un paese che “esporta” manodopera.

C’è un modello rotatorio che ha spesso visto coinvolte le migrazioni a scopi lavorativi. Il paese
ospite, infatti, guarda al fenomeno migratorio in rapporto alle proprie necessità e alle proprie
capacità di gestione, in funzione della propria crescita economica (e perciò politica). Il paese
d’origine vede il fenomeno migratorio come una valvola di sfogo delle proprie tensione tra il
surplus di manodopera e l’insu cienza delle opportunità di lavoro. Il progetto si con gura così
come qualcosa a tempo limitato: raggiunto il proprio obiettivo, il lavoratore ospite rientrava in
patria e lasciava spazio per una nuova produzione di capitale a un altro emigrato e per il paese
d’origine attraverso un processo rotatorio di emigrazione-accumulo-rientro.

Questo modello aveva una funzione tranquillizzante per l’opinione pubblica del paese ospite, sia
una funzione rassicurante per l’immigrato stesso rispetto al proprio rapporto con il paese
d’origine, sia in ne a consolidare i concreti interessi economici in gioco.

La “scuola di massa” e “i gli di immigrati”


La scuola moderna si struttura come un’istituzione generata dalla modernità con il progetto
storico, uni ca la società attraverso l’assimilazione del medesimo universo simbolico di
conoscenze e credenze. Così si vedono dei sistemi scolastici europei che si sviluppano in
concomitanza all’a ermarsi dei nazionalismi, con strutture diverse in rapporto ai diversi miti
fondativi. Di fatto, alla pluralità dei bisogni sociali era anteposta l’uniformità statuale in nome
dell’identità nazionale, sempre nell’ottica della formazione della futura classe dirigente.

Questa organizzazione si rivela poco funzionale alla realtà e alla visione della società
contemporanea, così dalla scuola nalizzata a scegliere i migliori per riprodurre il ceto dirigente (il
meglio a pochi) si è transitati verso una scuola di ampia durata per tutti (il meglio a tutti, almeno in
via di principio).

La scuola ha così intrapreso un percorso di trasformazione del modello istituzionale diretto a


realizzare uno dei principi base della loso a politica dell’età contemporanea glia della
Rivoluzione francese: il principio di uguaglianza, tradotto nella scuola come uguaglianza delle
opportunità.

Vi furono numerose contestazione alla scuola “capitalista” e “selettiva” del secolo precedente,
soprattutto dalle correnti sinistra. Accanto a tali critiche vi era anche una forte contestazione
legata al rapporto costi-bene ci. Con la “teoria del capitale umano”, l’istruzione non è più un bene
di consumo ma è un investimento produttivo.

Queste critiche dei trent’anni gloriosi mettono il centro della ri essione sul sistema scolastico e le
sue caratteristiche fondative, entro l’ampio orizzonte socio-economico. Per questo motivo,
almeno no ai secondi ’60, non si avrà modo di percepire le migrazioni come un fenomeno che
riguardi la pedagogia.

Le origini storiche e ideali del sistema scolastico francese sono contraddistinte da un indissolubile
legame fra la forma istituzionale della repubblica e lo sviluppo di un progressivo sistema di
educazione universale. Nella tradizione post-rivoluzione si ha un obiettivo da compire: l’istruzione
pubblica. Scienza, progresso e repubblica si coniugano indissolubilmente nell’opera e negli ideali
politici dell’ultimo ‘800: la scuola doveva concretizzare e di ondere l’ideale politico repubblicano.

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Così facendo, per un verso agiva sul fronte interno, costituito dai cittadini e dalle periferie
economiche e geogra che della nazione, per l’altro, sul fronte esterno, la scuola si proponeva
anche alle altre culture e alle società non europee. Queste ultime venivano lette ideologicamente
dall’etnocentrismo evoluzionista come società selvagge e arretrate; che col colonialismo
potevano entrare nell’orbita della civiltà occidentale, cui potevano partecipare per mezzo della
scolarizzazione, aderendo ai valori universali ad esse proposti dall’Occidente.

La scuola italiana si vede ingaggiata nella battaglia per l’uni cazione nazionale fronteggiando le
forti di erenze territoriali, e dovendo combattere il di uso analfabetismo delle aree rurali e
meridionali. La scuola aveva così una funzione identitaria: un’istituzione educativa, chiamata a
promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino.

Ma accanto alla funzione identitaria la scuola rimane anzitutto rivolta a selezionare la futura classe
dirigente, come avrà modo di sottolineare la riforma gentilizia del 1923, che porta a una struttura
maggiormente de nita al sistema scolastico italiano, rispondendo alle istanze di cambiamento più
volte espresso nel periodo precedente alla prima guerra mondiale. Egli la vedeva come un
impianto borghese, per cui i licei erano destinati ai futuri studi universitaria, gli istituti tecnici erano
per la media borghesia, e l’insegnamento elementare era tutto ciò che serviva ai futuri contadini e
operai: tale visione è a ancata dall’ideologia fascista.

Alla ne della seconda guerra mondiale, col tentativo di ricostruire la repubblica, pesa molto il
forte ruolo di propaganda che ebbe la scuola del fascismo. La scuola formativa si rivela fastidiosa,
la scuola deve istruire e basta, “un partito modernamente democratico non deve chiedere allo
Stato di fabbricare della gente onesta, dei buoni patrioti, degli scrupolosi padri di famiglia”.

Le future riforme iniziano con l’uni cazione dei percorsi post-elementari del 1962, che porta
l’obbligo reale di frequenza scolastica sino ai 14 anni. Lo scopo politico (in senso forte) era quello
di favorire, dentro tale unico percorso, l’incontro delle diversità umane, l’integrazione sociale di
confessioni religiose, classi socio-economiche, gruppi etnici, in quanto cittadini della repubblica
democratica. Così il ’68 rappresento un momento di contestazione radicale della scuola, viste
sconfessate le dichiarazioni di pochi anni prima.

Nel secondo dopoguerra, anche in Italia, ma in tutta Europa, si è distanti dalle ri essioni sui
migranti. La Francia sembra accorgersi del problema nonostante nelle scuole francesi la presenza
di studenti stranieri fosse una costante di lunga durata.

L’orientamento pedagogico è però puramente assimilazionista, anche perché è permeato


dall’antiquata visione selettivo-meritocratica.

Saranno le indicazioni politiche espresse a livello internazionali (accordi bilaterali) a favorire i primi
interventi a favore dei gli dei lavoratori immigrati e ponendo le basi per la pedagogia per gli
immigrati degli anni ’70 e le ricerche sulle seconde generazioni.

L’età delle “frane” (1974-2001): l’interculturalità come progetto politico-


pedagogico

L’età delle “frane”: tra crisi economiche e “morte delle ideologie”


Secondo Hobsbawm la “storia dei vent’anni dopo il 1973 è quella di un mondo che ha perso i
suoi punti di riferimento e che è scivolato nell’instabilità e nella crisi. Solo negli anni ’80 però
divenne chiaro quanto irrimediabilmente si fossero sgretolate le fondamento dell’Età dell’oro.” In
tal senso l’Europa assume il ruolo di un “luodo di interpretazione” di tale fenomeno, che la tocca
direttamente.

L’economia mondiale non crollò neanche momentaneamente, le crisi economiche degli Stati
europei, non hanno fatto altro che consegnare (involontariamente) il ruolo di economica gloavale
ad altre aree del mondo.

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Le conseguenze delle crisi economiche del periodo delle “frane” non risultano tanto nella mancata
produzione di ricchezza quanto nella sua diversa allocazione territoriale e sociale: sono le
dislocazione della produzione che ebbero l’obiettivo di eludere il patto scale nazionale, creando
così le multinazionali tutelate da residenze scali in stati con minori vincoli burocratici e tasse.

Con le crisi, si scatenò il dibattito tra keynesiani e neoliberalisti. I keynesiani sostenevano che gli
alti salari, il pieno impiego e lo stato assistenziale creavano quella domanda da parte dei
consumatori che aveva alimentato l’espansione, aggiungendo che stimolare la domanda era il
modo migliore per a rontare le depressioni economiche. I neoliberalisti sostenevano che le
politiche economiche e sociali dell’Età dell’oro non consentivano il controllo dell’in azione né la
riduzione dei costi sia a livello di spesa pubblica sia a livello di impresa privata e in tal modo non
permetteva la crescita dei pro tti, vero motore della crescita economica in un sistema
capitalistico.

Ma anche pensare a un’economia pura di mercato pareva impensabile: “la mera convinzione che
il mercato era buono e che lo Stato era cattivo (…) non bastava a creare una politica economica
alternativa” e inoltre “non cera modo nemmeno di ridurre il peso economico dello Stato”.

Tra gli eventi più importanti dell’età delle “frane” va anche collocato il crollo del mondo comunista.
Tuttavia, il mutamento più signi cativo ha avuto luogo sul piano delle rappresentazioni sociali.
Durante i Decenni di crisi è indubbi che la disuguaglianza aumentò anche nelle economie di
mercato dei paesi sviluppati.

Mettendo insieme la fase depressiva e la massiccia ristrutturazione economica, si vede bene


come lo scopo debba essere quello di espellere manodopera dal ciclo produttivo; e così facendo
si creò un’atmosfera di cupa tensione.

Hobsbawm rileva già agli inizi degli anni ’90 la di usione, anche nei paesi ricchi, di sentimenti di
insicurezza e rancore. Può essere che gli anni ’80 e ’90 abbiano rappresentato l’esperienza di un
limite dell’azione sociale e politica collettiva, facendo scaturire un forte sentimento di impotenza
dell’azione collettiva e politica, percependo la sua strumentalizzazione e repressione.

Questi sono gli anni in cui il crollo del Muro di Berlino va a rappresentare la ne della concorrenza
tra le ideologie liberali e le ideologie socialiste, aprendo de nitivamente le porte al neoliberalismo
e allo smantellamento del welfare state, con la proclamazione della “morte delle ideologie” e
l’a ermazione della “ ne della Storia”. La “frana” degli universalismi del secondo Novecento è
compiuta.

Le migrazioni internazionali e la costruzione dello spazio europeo


Le migrazioni internazionali durante l’Età delle “frane” hanno assunto diverse direzioni anche in
relazione ai mutamenti socio-economici e politici nel frattempo intercorsi. Per lungo tempo il
meccanismo migratorio si era basato sulla necessità di manodopera del paese ospite e della
sovrabbondanza della stessa nel paese d’origine, per cui allo sviluppo economico corrispondeva
la necessità di cospicui ussi migratori.

La ne di questa fase fu segnata dalla crisi petrolifera del 1973-1974. La ne dell’Età dell’oro ha
costretto pertanto i ussi migratori a temporanei rallentamenti, a modi che dei propri percorsi,
intercettando mete intermedie e/o nuove direzioni. Questa fase è contraddistinta da nuovi e più
complessi modelli di migrazione, per esempio i paesi dell’Europa centrale e orientale, per molto
tempo tagliati fuori dal resto del continente, sono diventati aree d’emigrazione, transito e
immigrazione, tutto in una volta.

L’interculturalità tra progetto politico e ricerca pedagogica


Ci sono due orientamenti nella scolarizzazione dei gli dei migranti: il primo poggia unicamente
sulla risoluzione degli ostacoli formativi a loro propri, il secondo indaga le tematiche relativa
all’identità culturale e alle sue implicazioni didattiche.

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Bisogna elaborare tale problematica entro una più ampia visione dell’insuccesso scolastico,
osservabile, per esempio, nei primi anni di scolarizzazione obbligatoria con ragazzi che prima
sarebbe stati destinati a un anticipo lavorativo.

La scoperta di molti ETI (= gli dei lavoratori migranti) in Francia ha portato alle prime ri essioni,
che però hanno visto l’a ermarsi di tesi genetico-innatiste dell’insuccesso, per cui la diversa
provenienza sarebbe caratterizzata da un QI più basso e degli inadeguati tratti della personalità.

La prospettiva psicoculturalista ha poi messo in luce la comunanza di di colta tra gli di migranti
e gli di lavoratori francesi poco abbienti. A ermata questa comunanza, diventava necessaria
l’esplorazione della di erenza, non più da rilevare nel socioeconomico, ma nel culturale,
nell’interculturale e nelle loro conseguenze sul piano psicologico e psicosociologico. I diversi
paradigmi sull’insuccesso sono: lo shock culturale legato all’emigrazione stessa dovuto al
passaggio tra di erenti sistemi culturali; l’handicap linguistico e i relativi disturbi della personalità;
l’inconciliabilità della polarità tradizione/modernità (aggravata dalla lealtà ideale del bambino alla
famiglia d’origine). Il giovane straniero si situa così al crocevia di un’alternativa radicale di scelta
tra culture senza che la scuola sia attrezzata a sostenerlo in questo di cile compito.

Si continuò però sempre a considerare maggiormente incidente il fattore etnico rispetto al fatto
socioeconomico nella determinazione dell’insuccesso scolastico (essendo la prospettiva
psicoculturalista sempre posta entro l’approccio assimilazionista).

Di fatto, nei primi anni ’80, l’interesse di esponenti di are marxista per il tema dell’integrazione
scolastica degli ETI si situa all’interno di un’attenzione più generale alla scolarizzazione negli
ambienti dei quartieri popolari e sotto la pressione di richieste socio-politiche.

È solo con la seconda metà degli anni ’80 che si assiste al cambiamento prospettico nel dibattito
scienti co e politico sull’insuccesso scolastico, grazie ai risultati che raggiunsero anche le teorie
psicoculturaliste.

Si ha così un’approccio etnometodologico che si allontana dalla posizione assimilazioniste, nella


quale gli aspetti culturali si riducono ad un gioco di attribuzioni di caratteristiche più o meno
svalorizzate, come se essere si origine straniera fosse una caratteristica sociale neutra che solo il
confronto con un razzismo di classe esteso a criteri etnici renderebbe stigmatizzante.

Questo approccio è più che una variante a quello psicoculturalista, la distanza nasce per la
riduzione operata dalle prospettive, in quanto esse collocano sempre le cause del problema prima
e fuori della scolarizzazione, mentre l’analisi condotta da Zirotti pone l’accento sul trattamento
che l’allievo subisce dentro e durante il processo stesso.

Ma per attuare ciò bisogna rivisitare il paradigma della tradizione positiva che con Durkheim
aveva dato spessore scienti co a una concezione dell’educazione da intendere come
introduzione alla vita sociale dell’immaturo. Grazie all’aborto della psicologia, si possono rendere
funzionali le nalità sociali elaborate scienti camente in campo etico-politico. Occorre però
prendere la distanza tra ciò che è posseduto dal ragazzo e ciò che invece gli è richiesto dal
sistema scolastico, cercando e valorizzando sempre il potenziale cambiamento.

Sul piano didattico la maggiore produttività ed incisività è da riconoscere alle numerose iniziativa,
promosse spesso a livello locale, di ricerca-azione al di là di un quadro apiestemologico de nito e
dichiaratamente condiviso. Diversi ricercatori hanno perciò coinvolto singoli insegnanti e/o scuole
intere dentro progetti di accoglienza e di integrazione per gli alunni d’origine straniera.

L’interpretazione del compito della scuola, di fornire gli strumenti per l’esercizio della cittadinanza
e le pari opportunità, ha mosso insegnanti e studiosi alla ricerca dei metodi per rimuovere gli
ostacoli al percorso formativo degli alunni di origine straniera e per pre gurare una società dalla
quale siano bandite le discriminazioni. Sono ultimamente riconducibili ad uno dei principi della
loso a dell’educazione propri della Francia moderna: il principio di uguaglianza, sia pure
variamente interpretato.

Se negli anni ’70 l’attenzione posta sul fattore economico (in uenza marxista) vedeva il dato
culturale benevolmente letto in ottica folcloristica, negli anni ’80 si è invece imposta la question
etnico-razziale.

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La capacità di metabolizzare i diversi apporti delle altre culture è comunque ricondotto al nucleo
irrinunciabile dell’universalismo francese: la laicità. Su questo di è consolidata la distinzione tra
sfera privata e sfera pubblica, così come la difesa contro ogni particolarismo (religioso, culturale,
etnico, ecc.) all’interno degli spazi sociali equivale a garantire l’uguaglianza dei cittadini. Perciò la
base politico-pedagogica nella quale rientrano le tematiche interculturali è da rintracciarsi nella
nuova cittadinanza, nella necessità, per la società francese di rinnovare il proprio patto sociale, in
un nuovo patto laico, nel quale coinvolgere le nuove realtà culturali e religiose.

Analisi pedagogica di materiali didattici francesi

Non può considerarsi rilevante, in campo pedagogico-didattico, l’in uenza delle ricerche psico-
sociologiche: si è già visto che la questione degli ETI, più che produrre nuove prospettive
teoriche, ha prevalentemente costituito il campo di veri ca di posizioni pedagogiche preesistenti.

Negli anni ’70, in correlazione alla de nizione amministrativa di “alunno non-francofono” ci si è


concentrati sulla compensazione del gap linguistico. Vengono ripresi i metodi elaborati all’estero
di insegnamento del francese come lingua straniera, a ancati da molti materiali mediatici.

Le accezioni semantiche del termine “interculturale” furono poi arricchite dalle urgenze e dalle
emergenze del dibattito sociale e politico sull’immigrazione e sulla cittadinanza. I materiali didattici
utilizzati in tali contesti sono poi stati di usi, sia pure in aree ristrette e in modo molto informale,
tramite strutture pubbliche e/o associazioni private.

Negli anni ’90 il ministero dell’Educazione Nazionale fece commissionò al CIEP un Répertoire:
“repertorio di strumenti didattici utilizzabili nelle classi che accolgono studenti non-francofoni”.
L’enfasi linguistica posta dal termine “non-francofono” mette in luce una delle posizioni prese
all’interno del fenomeno interculturale: ovvero il focus sulla questione linguistica (imprescindibile
nel dinamismo didattico ma non considerabile come unico criterio livellatore).

Il problema prioritario consiste nell’introdurre rapidamente i nuovi arrivati d’origine straniera “alla
comprensione della realtà e dei modi di comportamento dei francesi”. Per cui bisogna “inserire la
ri essione sulla scolarizzazione degli alunni non-francofoni in un quadro più vasto, che vada oltre
le strutture di accoglienza appositamente create, in modo da favorire il lavoro collegiale legato ai
progetti di scuola (elementare) e ai progetti d’istituto”. “I materiali concepiti per lo sviluppo delle
competenze culturali ed interculturali (…) dovrebbero essere conosciuti da tutti gli insegnanti della
scuola elementare, del college e del lycée”.

Gli strumenti descritti sono il frutto di sperimentazioni e/o esperienze didattiche, dove viene
valorizzata l’espressione personale, soprattutto attraverso le storie famigliari, viste come mezzo di
incontro con gli altri e di comprensione della cultura degli stranieri.

L’utilizzazione didattica dei materiali prodotti è più spesso orientata ad una funzione di stimolo,
portando a un approccio di tipo informativo-comparativo anche con l’analisi di racconti e di abe
provenienti da contesti culturali di erenti, o anche vere e proprie unità tematiche in ottica
pluriculturale (saluto, feste, ecc.). Questi non si prestano però a una valutazione curricolare
completa, appunto perché rappresentano solo degli elementi parziali di un possibile curricolo.

In realtà non si è in presenza di nuove proposte curricolari, ma di esperienze, di contenuti e di


materiali che vengono inseriti dentro il curricolo tradizionale. Le diverse metodologie e i vari
approcci interculturali si presentano tuttora come un mosaico polimorfo, ed è bene focalizzarsi su
quelle considerate rappresentative dei problemi.

Per l’analisi delle metodologie si è usata la mappa di Kerr, che va al di là delle indicazioni esplicite
e tende a individuare gli elementi impliciti. Si vedrà come per lo più vengano prescritti gli obiettivi,
mentre i contenuti, le discipline e i metodi sono indicati genericamente, e quasi sempre mancano
indicazioni sullo schooloing e/o sulla valutazione.

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Le Ritals (gli “italiani”)
Uno strumento è il Cahier-Livre Le Ritals de Cavanna (LR) di Boulot e Boyzon-Fradet. La
produzione didattica dei due autori risulta particolarmente rappresentativa di un osservatorio-
lavoratorio pedagogico al centro delle iniziative ministeriali.

Il nucleo del progetto iniziale di LR è fondato delle ricerche condotte dal CREDIF tra il 1976 e il
1979 circa gli e etti dell’insegnamento della lingua e della cultura d’origine agli alunni stranieri
presenti nelle scuole di Parigi.

Il quaderno si articola in tre diverse sezioni. La prima (Un livre, un auteur: Les Ritals de Cavanna)
mostra schede di lavoro e proposte operative sull’analisi del libro di Cavanna. L’autore narra la
vita degli immigrati negli anni ’30 in Francia, reimmedesimandosi nei propri panni di bambino e di
adolescente. Ahmed o re lo spunto per mettere in risalto lo sfondo drammatico della dura
condizione dell’immigrato alla ricerca di un lavoro per vivere (la caratterizzazione etnica dell’Arabe
ben rappresenta lo stereotipo dell’immigrato nella rappresentazione sociale degli anni ’70). Ahmed
alla ne riuscirà ad ottenere il lavoro e mostrerà anche grande animo morale.

Il primo gruppo di esercizi richiama l’attenzione del lettore sull’aspetto “esterno” del libro, con
l’analisi delle sue diverse copertine_ è richiesto di indicare, motivando il giudizio, quale copertina
evochi meglio il tema del libro e quale inviti maggiormente alla lettura.

Gli esercizi e le schede di analisi successive possono l’attenzione sulla lingua dei personaggi,
sulla scrittura di Cavanna e sulla struttura del racconto messa a confronto con la struttura di un
lm franco-senegalese (Bako, L’autore rive: il viaggio di un immigrato dal Mali a Parigi). Saranno
molto signi cative alcune domande poste dai ragazzi all’autore sulla questione del ritorno al
paese d’origine.

La seconda sezione, la più breve, raccogli testi diversi, fotogra e dell’immigrazione italiana,
caricature, disegni satirici, cercando di realizzare un abbozzo di antologia sull’immigrazione in
Francia.

La terza sezione, intitolata Un problema de Société: crises économique, monde du travail ed


immigration, ha nalità di documentazione. Il dossier raggruppa diversi documenti in cinque
sezioni, in relazione ai diversi aspetti del problema della migrazione: la dimensione giuridica, il
ruolo economico degli stranieri, l’importanza demogra ca dell’immigrazione, i ragazzi stranieri e la
scuola francese, e l’immigrazione ieri e oggi.

All’iniziale centratura linguistica testimoniata dalla prima sezione segue lo sviluppo di


problematiche socioeconomiche e giuridico-politiche nelle due sezioni successive. L’obiettivo
dichiarato dagli autori è quello di favorire la ri essione sulle dimensioni del fenomeno
immigrazione all’interno della società francese (considerante che un quinto dei francesi è di
origine straniera). L’invito nale è quello di arricchire il quaderno con altri descrizioni, con
documenti, fotogra e, e quant’altro possa essere utile a scrivere la propria storia.

La lettura proposta svolge però solo una funzione di stimolo a ettivo-emotivo, sulla base delle
dinamiche psicologiche di identi cazione, per suscitare una disposizione etico-sociale solidale
con gli immigrati di ieri e di oggi, diventati francesi o in procinto di diventarlo: quindi è una
ri essione da collocare entro il campo sociale, nonostante giochi forte il presupposto etico-
politico del principio dell’uguaglianza democratica e quindi la pedagogia in senso storico-
geogra co e sociopolitico.

Il Cahier è proposto come attività per intere classi che vanno dai 10 ai 18 anni, infatti non vi è
alcun riferimento diretto alla valutazione, anche se l’invito nale a continuare il quaderno può
essere interpretato come l’o erta di un indicatore del raggiungimento/presenza degli obiettivi e/o
delle tendenze pre ssati/e.

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Boîte à outils… pour une ouverture à la diversité culturelle (Cassetta per gli
attrezzi… per un’apertura alla diversità culturale)
Gli “arnesi” contenuti nella “cassetta” sono cinque distinte raccolte tematiche (pubblicate tra il
1989 e il 1990), nelle quali sono contenute proposte di attività e materiali di varia provenienza e le
cui nalità sono spesso diverse, anche se funzionali ai temi prescelti. L’introduzione esprime
l’ispirazione etico-politica della dichiarazione universale ai diritti dell’uomo. L’educazione è
concepita come la possibilità di garantire il pieno sviluppo della personalità umana, nel rispetto
delle diversità e dei diritti fondamentali dell’uomo.

La trasformazione in senso plurietnico e pluriculturale della società francese richiede una nuova
organizzazione della stessa alla quale tutti sono chiamati a partecipare. Così si prendono le nalità
proprie della pedagogie interculturale, che “ha per ne il consentire a ciascun bambino di
riconoscere e rispettare l’altro, nella sua prossimità e nella sua di erenza”.

La successione dei temi di BO pre gura un itinerario didattico che, partendo dalla presa di
coscienza di sé, della propria identità, del proprio spazio vitale e culturale, si avvia a superare la
riconosciuta paura dell’estraneo e del diverso, disponendo all’accettazione dello straniero in
mezzo noi, comprendendone le diverse modalità di comunicazione. L’ultima tappa tematica
a ronta la questione dei diritti umani, in particolare i diritti del bambino nella vita quotidiana. Le
attività proposte, superano un approccio puramente disciplinare, costituendo un vero e proprio
percorso educativo, supportato dagli studi antropologici e, in generale, dalle scienze psicologiche
e sociali.

Nel primo dossier, Mon territoire… chasse gardee, verte sulla comparazione della gestione umana
e animale dello spazio (la “riserva di caccia), delle modalità di difesa e/o di acquisizione dello
stesso e dei codici culturali attraverso cui vengon comunicati i con ni del proprio territorio. Viene
anche integrata una raccolta di giochi funzionale al tema del territorio. Queste attività mettono in
evidenza il fatto che ciascun individuo ha uno spazio, un proprio territorio che gli altri non
possono penetrare senza provocare delle reazioni.

Le situazioni suggerite nelle consegne permettono di rilevare le di erenze nelle reazioni di colui
che viene invaso in relazione alla situazione a ettiva. La seconda proposta mira a scoprire i
termini linguistici legati alla nozione di territorio e quella di invasione del territorio dell’altro.

Il secondo dossier, Entro moi et l’autre… la di erence, a ronta il tema della di erenza tra sl e gli
altri, citando il classico studio di Levi-Strauss, Race et Histoire. Diversi testi (disegni, strisce
satiriche, poesie) sui pregiudizi e sulle di erenze sono proposti agli alunni. Le attività didattiche
hanno come obiettivo l’apertura di sé e la presa di coscienza dei contributi ricevuti dagli altri. A tal
ne sono suggeriti alcuni giochi, come ad esempio una variante del gioco del “se fosse…” (che
diventa “se io fossi…”), tendenti a rinforzare positivamente la propria immagine e quella altrui,
necessario premessa per l’accettazione della di erenza e della diversità. Il gioco ha una funzione
di stimolo, cercando le somiglianze tra gli uomini, volte a favorire la consapevolezza
dell’interdipendenza e della complementarità di ciascuno.

Il terzo dossier, Les images de l’autre, centra l’attenzione degli insegnanti sul razzismo, spiegato
come e etto della “paura dell’altro”. È un’unità didattica costruita sulle di erenti rappresentazioni
geogra che, con la riproduzione del planisfero visto dai Nordamericani, dai Cinesi, dai Sovietici,
oltre alla proiezione di Peters. I giochi didattici cercano di consolidare la percezione positiva delle
di erenze di giudizio, contrastando, nello stesso tempo, il pregiudizio.

Il quarto dossier, L’étranger parmi nous, introduce l’immigrazione con studi sociologici, da storie
di vita promuove gli aspetti emotivo-a ettivi; una delle attività proposte è la storia di Yakari, un
piccolo Sioux, che dovrà farsi accettare dagli animali della foresta.

Il quinto dossier, Les parasites de la communication, mostra gli ostacoli frapposti alla
comunicazione interpersonale dalla polisemia dei segni, dei codici di riferimento, spesso
considerati così ovvi che ci si stupisce che gli altri possano non conoscerli, tantomeno non
praticarli.

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L’ultimo dossier, Droit de l’homme, droit de l’enfant au quotidien, è destinato ai docenti e agli
alunni della scuola elementare, e pone l’accento sull’apprendimento da parte dei ragazzi delle
notizie di legge, di libertà, di uguaglianza, di proprietà, mostrandone la connessione con le diverse
discipline scolastiche, dalla letteratura per l’infanzia, alla storia, alla geogra a, no alla stessa vita
scolastica. I giochi didattici proposti hanno come oggetto il con itto, suggerendone la soluzione
attraverso la mediazione delle regole e il rispetto del diritto e del dovere di ciascun uomo.

Vi sono poi diverse raccolte, tra cui Mots croises. Da la diversité linguistique et des échanges
entre langues. La prima unità di lavoro, alla scoperta delle lingue in Francia e nel mondo, cerca di
famigliarizzare l’alunno con i segni, i suoni, le espressioni delle lingue straniere dell’immigrazione
nel territorio francese, proponendo delle informazioni sulle principali famiglie linguistiche del
mondo. Così, il tema della diversità tocca anche la sfera nazionale, attraverso la presentazione
delle diverse tradizioni dialettali.

Nell’unità Parlons nous francaise? Viene messa in evidenza la storicità della formazione del
vocabolario, gli apporti “stranieri” che lo costituiscono, assieme agli scambi avviati con le altre
lingue: considerando l’etimologia delle parole acquisite e la loro provenienza geogra ca, in
correlazione con alcuni brani mitologici.

In ne, l’ultima unità, La langue francaise dans le monde, mostra le in uenze linguistiche francesi
in alcune lingue europee come l’italiano, l’inglese, lo spagnolo, il tedesco e il portoghese.

Altre raccolte sono: Le serpent, Le coq e Comptes et mesures. Le prime due appartengono alla
topologia delle raccolte letterarie-simboliche. Comptes et mesures ha invece l’obiettivo di far
scoprire la diversità in un campo quale quello della numerazione e delle misure dove il sistema
decimale e quello metrico s’impongono come “naturali”. Si richiama così alla storicità del sistema
adottato, ma anche al carattere sacro che in alcune realtà culturali viene attribuito al numero,
introducendo il ruolo di mediazione tra l’uomo e la divinità svolto dai numeri nelle stesse.

Interessante di BO è il curricolo estremamente vario, con contenuti quantitativamente e


qualitativamente signi catici, che si distribuiscono entro l’esperienza sia diretta (giochi e attività)
che indiretta (letture e approfondimenti).

Lo stesso repertorio indica tre grossi obiettivi: “allargare il campo delle conoscenze degli alunni,
incoraggiare degli atteggiamenti di rispetto e di apertura alla di erenza; valorizzare ciascun
ragazzo attraverso una migliore immagine dei riferimenti culturali del proprio ambiente d’origine”.
Il primo di questi obiettivi richiama chiaramente il campo cognitivo, mentre il secondo e il terzo
trovano collocazione nel campo sociale e in quello emotivo/a ettivo.

Regard pluriels. 38 activés pédagogiques sur les préjugés, la discrimination, le


racisme et l’exclusion (Sguardi al plurale. 38 attività educative sui pregiudizi, la
discriminazione, il razzismo e l’emigrazione)
Il terzo curricolo preso in esame è RP, questo è diviso in unità che speci cano gli obiettivi e le
consegne per l’allievo, e alla ne di diverse di queste compaiono delle exploitation, una sorta di
riepilogo dell’insegnamento morale da trarre dall’attività eseguita.

Il primo capitolo raccoglie, sotto il titolo “atteggiamenti di fronte all’altro: pregiudizio, rigetto o
attrattiva”, attività centrate sul vissuto degli alunni. Gli obiettivi sono il riconoscimento e
l’accettazione dell’altro come di erente, cioè con le sue qualità e i suoi difetti, con la scoperta
della nozione di pregiudizio e la capacità di gestire i propri sentimenti per vivere meglio le relazioni
con il proprio ambiente. L’exploitation a ermerà infatti che “tutti noi abbiamo gusti di erenti. La
nostra maniera di percepire un oggetto o una persona è in uenzata dal nostro vissuto personale,
dal nostro carattere e dai valori di usi nella nostra società e nel nostro tempo”.

Si a ronteranno poi nelle unità successive le relazioni personali e l’orizzonte storico a partire da
un “caso critico”. In seguito verrà sottolineata umoristicamente da alcune strisce, sulle quali lo
studente è chiamato a dare un commento, la di usione degli stereotipi sulle diverse popolazioni,
così come vengono indicate paura e ignoranza come cause principali scatenanti il pregiudizio.

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In questo modo, l’allievo può in ne essere condotto a prendere coscienza dei propri pregiudizi e a
riconoscere e gestire l proprie reazioni di fronte agli altri.

Il secondo capitolo, Discriminazione, razzismo e attualità, cerca di a rontare i temi stabilendo un


parallelo tra avvenimenti ripresi da testi diversi e l’attualità e invitando alla ri essione, per lottare
contro la xenofobia e il razzismo. L’arbitrarietà della nozione di razza viene evidenziata nelle prime
due unità, alle quali fa seguito un gioco di ruolo sull’esclusione dal gruppo.

L’exploitation osserva che “si può sempre classi care qualsiasi gruppo di oggetti o di individui in
un certo numero, arbitrario, di categorie”; in e etti la scheda mette in evidenza che “l’esercizio
che consiste nel classi care ha senso solo in funzione dell’obiettivo che ci si dà, poiché sappiamo
che ciascuno di noi è geneticamente unico”. Il tema del razzismo è poi sviluppato attraverso
l’attenta lettura di articoli e di titoli di giornale, cogliendone gli aspetti impliciti.

Poi, attraverso l’a ermazione del carattere permanente dei processi migratori e il richiamo ad un
possibile status migratorio dei nostri antenati, si mira a suscitare sentimenti positivi nei confronti
delle storie e delle persone nascoste dietro parole ostili come “immigrati” e “rifugiati”.

Il terzo capitolo, Poveri tra i ricchi, rende invece consapevoli che le dinamiche di esclusione, oltre
agli stranieri, vedono coinvolti anche altri soggetti sociali.

Nella breve introduzione al dossier gli autori espongono le ragioni della scelta del tema: mentre
nel periodo dell’espansione economica l’integrazione degli immigrati (intra ed extra-europei) si è
realizzata naturalmente, in un periodo di crisi economica quale quello attuale si viene a creare un
preoccupante clima di ostilità verso gli stranieri. In tale contesto è parso importante agli autori di
incoraggiare gli studenti a conoscere meglio e a capire la nostra società sempre più multiculturale,
dove gli incontri sono vissuti spesso con di coltà se non con drammaticità, con l’obiettivo di
ri ettere con gli studenti sull’adozione di relazioni più giuste, più solidale e più arricchenti per tutti.

Les Ghettos de l’école. Pour une éducation interculturelle (I ghetti della scuola. Per
un’educazione interculturale)
Quest’opera (GE) è del pedagogista Hubert Hannoun ed è destinata all formazione iniziale e/o
all’aggiornamento degli insegnanti. Presenta un’itinerario formativo che accompagna ad una
progressiva ricomprensioen degli atteggiamenti generalizzati nella società occidentale, e dunque
negli stessi insegnanti, delineando poi le nuove ipotesi progettuali per un orientamento
interculturalista.

Partendo dal carattere ineluttabile della pluriculturalità, analizza la reazione assimilazionista e


quella multiculturalista, de nendone i tratti caratteristici, le cause e gli esiti, sia in campo
educativo e sociale, sia sul piano epistemologico. La pars costruens del libro è introdotta da un
breve riepilogo dei limiti delle prospettive precedentemente esaminate, esponendo le ipotesi
fondative di una concezione interculturale e gli obiettivi possibili, in particolare sviluppando il tema
della scuola interculturale.

Questa è possibile partendo da un’analisi della realtà sociale per la quale “l’incontro delle culture
è un fatto della nostra epoca, che modi ca la sionomia dei gruppi umani”. L’autore sostiene la
tradizione pedagogica concentrata sul bambino e sull’adolescente, facendola convergere con le
attuali ricerche antropologiche: “se le scienze dell’educazione hanno largamente parto le loro
porta alla psicologia, alla psicosociologia, alla sociologia, alla storia o ala biologia, attualmente
esse debbono riferirsi maggiormente all’etnologia e all’antropologie, al ne di perfezione la
conoscenza dell’educando, tenendo contro dell’insieme delle componenti della sua personalità”.
Di fatto bisogna tenere conto che “le società pluriculturali sono nate praticamente quando i mezzi
di comunicazione tra gli uomini hanno raggiunto uno sviluppo tecnico su ciente ad assicurare il
loro incontro e il loro scambio”.

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Di fronte a questo “nuovo mondo” si possono proporre diverse risposte pedagogiche, tre possibili
atteggiamenti relazionali. Il primo atteggiamento è detto “positivo”: esso si manifesta non soltanto
con l’accettazione ma, ancor di più, con l’ammirazione e il rispetto dell’altro in quanto altro,
dunque in quanto possibile fonte di arricchimento per sé. A ciò si contrappone l’atteggiamento
“negativo”, che si manifesta attraverso il ri uto, l’ignoranza o l’emarginazione dell’altro in ragione
della sua stessa alterità. L’altro può, in tale ottica, essere persino vissuto come inferiore, perché
non detiene i valori riconosciuti per sé.

C’è in ne un atteggiamento intermedio, detto “accettativo” e che consiste nell’accettare l’alterità


al di fuori di ogni preoccupazione di valorizzazione. L’altro è altro da me senza che ciò possa
comportare la sua superiorità o la sua inferiorità.

Il secondo capitolo è invece dedicato all’analisi delle implicazione e delle conseguenze educative
dell’atteggiamento reattivo di tipo assimilazionista, posizione tradizionale dei sistemi scolastici
che condanna di fatta all’insuccesso scolastico tutti gli allievi appartenenti alle culture minoritarie.

Il terzo capitolo è dedicato all’analisi delle implicazioni e delle conseguenze, sociali ed educative,
dell’orientamento multiculturalista, che genererebbe un biculturalismo chiuso e la ghettizzazione
delle minoranze. In conclusione, la prospettiva assimilazionista e la prospettiva multiculturalista
appaiono ad Hannoun come due facce dello stesso errore, e pertanto bisogna orientarsi verso
una prospettiva interculturalista.

Le fonti di Hannoun sono la lettura antropologica di Lévi-Strauss e l’elaborazione del processo


interculturale di Clanet. L’obiettivo principale è quello della formazione di una persona che a ermi
se stessa nella propria cultura, quella di appartenenza, “a condizione che quest’ultima sia appresa
nel suo signi cato essenziale di apertura alle altre culture”. Attraverso la semplice di erenza che
l’altro mi rivela, contemporaneamente è evidenziata la mia eredità culturale. Così la ricchezza di
un ambiente pluriculturale si somma inoltre alla resistenza democratica ai possibili totalitarismi
sempre incombenti nella storia.

La scuola deve ricomprendere così tre obiettivi generali ad essa assegnati dalla nostra civiltà: “la
trasmissione di un’eredità culturale, la socializzazione dell’educando e lo sviluppo della sua
espressione personale”.

L’interculturalismo va inteso quindi come “il processo che va dal plurale al singole, dalla diversità
all’unità”.

Hannoun ri uta la risposta al problema dell’insuccesso scolastico. Il metodo della pedagogia


interculturale va rintracciato, secondo il nostro autore, all’interno della grande tradizione
pedagogica moderna, ponendo l’accento sul bambino considerato nella sua realtà concreta, vale
a dire le sue origini culturali, le sue condizioni sociali e le sue inclinazioni personali. Ciò rende
auspicabile la di erenziazione del curricolo scolastico pre-elementare ed elementare in due
tipologie di contenuti. La prima, obbligatorio, comprenderebbe “i saperi e le abilità minimi senza le
quali l’esistenza materiale nell’ambiente ospite presenterebbe degli ostacoli insormontabili” (come
la lingua per esempio). La seconda tipologia si contenuti, opzionale, ma da assicurare alla
globalità della popolazione scolastica, verte sui contenuti particolari vissuti dagli alunni e studiati
come contributi alla comune costruzione di una civiltà. Per tale apertura, Hannoun chiama
“biculturalismo aperto” la divisione curricolare da lui proposta.

L’opera è o erta alla formazione del maestro, che deve richiedere l’estensione delle sue
competenze, prevedendo la disponibilità all’apprendimento di diverse culture, in modo da poter
rispondere alle attese di tutti i suoi allievi. La scuola può e deve prevedere un intervento pluralista
nello stesso gruppo classe, cioè di più insegnanti ciascuno rispondente ai bisogni di una delle
culture eventualmente presenti. Rimane così valida l’esigenza di una maggiore apertura culturale
da richiedere nei processi formatici degli insegnanti.

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Tra innovazioni didattiche ed educazione interculturale
Da tema settoriale, legato alla soluzione dell’insuccesso scolastico dei gli di immigrata, la
tematica interculturale ha oggi chiarito l’orizzonte globale dentro il quale occorre pensare i
problemi formativi della nuova società francese, tematizzando il ruolo e la funzione della scuola in
rapporto alle diverse identità culturali.

Le proposte scaturiscono da situazioni e da insegnanti, con uiscono in centri di raccolta, e da


questi ri uiscono sul mondo della scuola e della cultura. La base partecipativa di questa
progettazione è dunque, concretamente, maggiore e più articolata rispetto alle tradizionali
produzioni di testi didattici.

Nei primi anni ’90 è l’intera società europea a confrontarsi stabilmente con la multiculturalità, e
non a caso il dibattito di quegli anni sulla “nuova cittadinanza”, pur assumendo connotazioni
particolari in relazione dei problemi interni a ciascuno Stato, ha avuto una larga eco in tutta
Europa. Rinnovando quindi l’interesse per l’educazione civica, si delinea un articolato progetto
educativo antirazzista, fondato sugli esiti della ricerca psicologica sul pregiudizio e sul
decentramento cognitivo.

L’obiettivo di LR è quello di mostrare che l’immagine dell’immigrato viene connotata


emotivamente da cattive condizioni socioeconomiche, cui corrispondono i dati oggettivi delle
statistiche economiche; ma le qualità etiche positive degli immigrati favoriscono l’identi cazione
degli allievi, e l’assimilazione degli stranieri alle categorie etico-sociali condivise dalla
maggioranza. Agli obiettivi sociali di accoglienza e di comprensione si a ancano obiettivi cognitivi
di consolidamento razionale delle convinzioni stimolate dalla lettura dei brani letterari.

Gli obietti di BO sono: allargare il campo delle conoscenze degli allievi; sviluppare atteggiamenti
di rispetto e di apertura alla di erenza; valorizzare ciascun alunno attraverso una migliore
immagine della sua cultura d’origine. I campi implicati sonno perciò, insieme, sia quello cognitivo,
sia quello sociale, sia quello psicomotorio, sia quello emotivo/a ettivo. Viene assunto così
consapevolmente il valore formativo dell’attività ludica, connessa anche a contenuti disciplinari
scienti ci, come quelli storici e biologici.

Il curricolo di RP focalizza sul far prendere coscienza di sé all’alunno, dei propri pregiudizi e a
gestire le proprie emozioni e reazioni di fronte all diversità, riconoscendo e modi cando le
dinamiche di esclusione individuale e/o di gruppi.

GE, invece, essendo destinato agli insegnanti, propone obiettivi speci camente cognitivi,
implicando so sticate concettualizzazioni e ampi riferimenti teorici.

Mentre la pedagogia “per gli immigrati” aveva per lo più operato all’interno di un’impostazione di
tipo cumulativo, prevedendo insegnanti speci ci, gruppi di alunni formati ad hoc e argomenti
disposti per singole materie, si può a ermare che da tutti i materiali del Répertoire presi in esame
emerga chiaramente un’impostazione curricolare di tipo integrativo.

L’implicita idea di scuola che emerge da quasi tutti i materiali è quella di una scuola-laboratorio, di
uno spazio aperto nel quale operano gruppi non rigidamente strutturati. In essa si pre gurano
modelli sociali anticipatori. Si deve rilevare una tendenziale proposta di metodologie attive:
l’allievo è chiamato a esprimersi, a discutere collettivamente, a confrontare dati, immagini,
esperienze, a a progettare soluzioni.

Si chiede implicitamente all’insegnante di operare anch’egli come ricercatore attivo di materiali e


di esperienza, nell’ottica della migliore tradizione attivistica. Perciò è ben visibile come la
pedagogia interculturale oggi abbia il focus delle innovazioni pedagogiche contemporanee.
Tuttavia un certo grado di attivismo è ormai profondamente penetrato nel tessuto connettivo dei
sistemi scolastici europei, metodologia attiva che il secondo elemento di focus della pedagogia
contemporanea. Si potrebbe così a ermare che, nelle pagine di GE, l’innovazione necessiti di
presentarsi come legittima erede della tradizione. GE è considerabile però trasferibili, in ottica
pedagogica solo come, per essere praticabile e senza incertezze, rassegna di idee e suggerimenti
metodologico-didattici.

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L’unico testo per il quale sarebbe su ciente un’accurata traduzione è GE, per le caratteristiche di
saggio pedagogico rivolto agli insegnanti, gli altri testi sono troppo interdipendenti dalla socio-
cultura di appartenenza.

Con queste avvertenze, si può a ermare che molte delle attività proposte possono essere
utilizzate anche nella scuola di qualunque paese europeo. Le unità didattiche volte a produrre la
presa di coscienza dell’alterità, dei propri pregiudizi, degli atteggiamenti nei confronti del diverso,
dell’estraneo, si giocano su una base psicologica e relazionale che non richiederebbe particolari
traduzioni nei contesti scolastici diversi da quello francese.

Diverso il discorso rispetto ai contenuti cognitivi costruiti speci catamente sui programmi della
scuola francese o sulla situazione storico-politica della Francia. Il vantaggio di tale operazione
sarebbe appunto la possibilità di ripensare (e non di tradurre), dentro un diverso orizzonte
culturale e linguistico, temi e problemi generati in situazioni storico sociali diverse.

Il vero elemento discriminante è l’intenzionalità pedagogica dell’insegnante, che deve sempre


operare una costante mediazione tra gli oggetti didattici e gli alunni. Perciò l’approccio
interculturale rappresenta un compito a ascinante nella misura in cui esso è signi cativo per
l’adulto educatore.

Fra educazione e universalismo laico


In linea generale lo sviluppo dei curricoli interculturali è certamente connesso per un verso agli
eventi politici ed alle trasformazioni socioculturali, per l’altro allo sviluppo della ricerca scienti ca,
costantemente impegnata nell’interpretazione di quegli stessi eventi. Tuttavia la dipendenza dei
singoli curricoli dagli eventi contemporanei non può essere rigidamente meccanica: essi si
collocano in un processo dinamico che trova i suoi con ni ideali nelle due categorie di una
“pedagogia per immigrati” e di una “pedagogica interculturale”.

Primo elemento sociopolitico è certamente costituito dalla modi cata composizione demogra ca
della Francia contemporanea. La “querelle” ideologica si è sviluppata in parallelo alla conquistata
posizione sociopolitica di questa rilevante minoranza di elettori francesi, forze culturali ideali
connesse a identità d’origine riconquistate o minacciate.

Un secondo elemento costitutivo del processo è dato dall’evoluzione dei paradigmi delle scienze
umane. In larga parte la di usione di modelli interpretativi di taglio antropologico ha costretto
l’insieme delle scienze umane ad operare un generale riorientamento paradigmatico, assumendo
il concetto di identità culturale come modello esplicativo dominante, e soppiantando i modelli
socioeconomici della tradizione marxista e weberiana.

La contraddizione profonda del sistema scolastico francese posto di fronte alle comunità
immigrate risiede nel travestimento universalista della sua loso a educativa: il tema della laicità.
La nascita e lo sviluppo della scuola francese ha avuto il proprio referente dialettico tradizionale
nella Chiesa; il controllo dell’educazione popolare costituiva l’oggetto di un con itto di poteri tra
Stato e Chiesa. L’esito di tale con itto coincise con la creazione politica del “cittadino”, educato
nella scuola di Stato, che solo nello spazio civile garantito dalla pubblica realizzerebbe l’ideale
uguaglianza proclamata nella dichiarazione dei diritti dell’uomo. Per una corretta visione però
andrebbero presi in analisi i rapporti che lo Stato intrattiene ideologicamente con l’alterità.

Laddove prevalga l’attenzione alla condizione di estraneità dell’immigrato, al suo carattere di


“alieno”, la ri essione pedagogica mette in atto un ventaglio di strategie diverse. Una di queste,
l’ospitalismo, prevede il sostegno all’immigrato nella soluzione dei suoi problemi di
ambientamento; una seconda strategia, l’esotismo, considera l’immigrato un oggetto misterioso
da studiare nelle sue caratteristiche peculiari, nei suoi costumi e nelle sue origini; la terza possibile
strategia di un approccio alienista è l’assimilazionismo.

Un’opposta direzione è quella o erta dal globalismo, intendendo con esso un orientamento volto
a ipotizzare nuove forme di convivenza tra le culture. Le strategie del globalismo si di erenziano in
relazione all’interpretazione prospettica delle di erenze: l’unitarismo assume la possibilità di
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individuare nella costellazione dei valori propri delle diverse culture dei fondamenti comuni; un
secondo approccio, il relativismo, considera invece le pluralità culturali storicamente generate,
irriducibili e pertanto non sovrapponibili l’una all’altra; un terzo punto di vista, il cosmopolitismo,
assume la condizione multiculturale come occasione per realizzare creativamente un a comune
cultura politica e civile tra soggetti di diversa origine e appartenenza.

Questi approcci non si escludono reciprocamente, ma possono intrecciarsi in maniera composita.

LR e BO possono essere entrambe alieniste, mentre RP e GE globalità. LR, nel far conoscere la
realtà dell’immigrazione, si sollecitano gli autoctoni all’ospitalissimo. In BO invece si pone
l’accento sulla possibile e potenziale assimilazione dello straniero e di elementi della sua identità
culturale, all’intento della cultura e dell’identità francese, confermata per ciò stesso nella sua
sedicente apertura universalistica.

Per contro, GE e RP sono concentrati sul problema di rintracciare nuove forme di convivenza con
la cultura degli immigrati: GE va verso un rinnovato cosmopolitismo, vedendo la multiculturalità in
chiave dinamica; RP si muove invece all’interno della prospettiva unitaria, pensando di individuare
i fondamenti comuni per la convivenza civile.

Si avverte in larga parte dell’Europa la necessità di ripensare il patto civile, di porre in campo
l’obiettivo di costruire una “nuova cittadinanza” che superi limiti e insu cienze della società
politica contemporanea: in particolare superare l’accezione nazionalistica del diritto di
cittadinanza.

Si veda come ciò si ri ette nel caso francese, la “crisi” si concentra soprattuto sul valore
pedagogico della laicità, contestata nella sua accezione esclusiva e negatrice della rilevanza
formativa e sociale dell’esperienza religiosa, laddove numerose comunità immigrate trovano le
radici della propria identità culturale, e quindi della propria di erenza, in un’esperienza religiosa
estranea alla de nizione nazionalistica della cittadinanza francese.

Di fatto l’identità culturale è massimamente consolidata dalle discipline che organizzano il


rapporto con lo spazio e con il tempo e la memoria, in altri termini dalle discipline storico-sociali
nelle quali è situato il campo più signi cativo per lo sviluppo ulteriore di un progetto educativo
attendo alla dimensione interculturale.

Famiglie e minori migranti: per un paradigma pedagogico

I minori migranti
Tutti gli Stati sono chiamati a garantire diritto all’istruzione ai minori, quindi sussistono alcuni
speci ci problemi generati dai dinamismi migratori (questione strutturalmente intrecciate con le
politiche dell’immigrazione.

Da un lato abbiamo i minori che condividono con la famiglia le dinamiche della migrazione, e fra i
quali possiamo distinguere ancora coloro che sono de niti seconde generazioni e i, cosiddetti,
nuovi arrivati. Dall’altro lato ci si presenta il fenomeno drammatico dei minori stranieri non
accompagnati.

Migrazioni e prospettiva interculturale


Occorre riuscire a sostenere educativamente la crescita di ognuno che, nello stesso percorso
maturato, a ronta la presenza parallela di una pluralità di orizzonti culturali (almeno due), spesso
rappresentati in unqui e in un altrove. Il rapporto fra la socio-cultura di provenienza e la socio-
cultura di accoglimento, è in larga parte segnato da reciproche rappresentazioni pregiudiziali (in
positivo o in negativo), da mitologie sociali e da memorie storiche.

La contemporanea progettualità pedagogica di inclusione e integrazione attraverso la scuola si


scontra con un clima politico ampiamente divergente, laddove sono largamente presenti
rappresentazioni ostili alla gura dell’immigrato, in linea con i sentimenti di paura serpeggianti
nell’opinione pubblica dalla ne degli anni ’90.

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In tal senso si rivela utile un sintetico riesame della principali categorie interpretative interculturali,
per esplicitarne le connessioni con il pino politico e sociale e veri care la tenuta pedagogica
nell’analisi del fenomeno dei minori migranti

L’assimilazionismo descrive le dinamiche socioculturali seguenti alle migrazioni come un processo


quale il soggetto straniero perde progressivamente la propria identità culturale, standardizzando le
sua condotte, in base ai modelli socioculturali dominanti nel paese ospite. È evidenziato un
carattere di passività del soggetto immigrato, ed era largamente in voga nelle scienze sociali della
prima metà del Novecento. Appare così il termine “inserimento”, con il quale si indicavano (o si
sollecitavano) azioni, da parte del soggetto attivo della relazione, cioè la società ospite, per
favorire il processo di assimilazione.

Dagli anni ’70 si è passati all’integrazione, una sostituzione legata al riconoscimento dello
straniero come soggetto attivo, constatando la sopravvivenza in lui di elementi propri della cultura
d’origine che egli è in grado di mediare e di ondere.

Negli ultimi cent’anni si è approdati verso un’approccio emergenziale, introducendo


super cialmente lo storytelling nella propaganda politica, ci si è avvicinati così sempre più
all’“inclusione”, cercando di creare ambienti inclusivi per tutti e di tutti, riportando i temi
interculturali.

I modelli di assimilazione/inserimento, o di integrazione/inclusione, trovano il loro concreto terreno


di confronto pedagogico in un altro termine della pedagogica interculturale, quello di identità
culturale, categoria sorta nel tentativo di determinare i tratti caratteristici e distintici dei vari gruppi
di immigrati.

Nella visione/prospettiva “biculturale” delle dinamiche educative, l’alunno immigrato viene


rappresentato come il ragazzo conteso da due culture, quella famigliare, o d’origine, e quella del
paese ospite, presente a lui nei diversi contesti di socializzazione, e in particolare nella scuola.

Charlot ci dice che in realtà sono “due universi simbolici, che, dispiegati nello stesso spazio,
interagiscono al loro interno” e che pertanto vanno ad approfondire “le contraddizioni interne di
ciascuna, mettendo l’altra cultura in di coltà laddove essa presenta dei punti deboli”: il minore
migrante non è tanto contesto, quanto partecipe di due culture, di cui “ciascuna è lavorata ai
anchi dall’altra.”

Dinamiche migratorie, famiglie e minori stranieri: il modello pendolare


Il focus del problema si rivela così l’integrazione. Ma la mancata percezione di uno spessore
pedagogico del problema dipende soprattutto dall’immagine tradizionale del fenomeno
emigrazione, ancora profondamente interiorizzata in tutti noi, per cui l’emigrazione appare come
la separazione radicale, espianto e nuovo radicamento, innesto, fra culture e gruppi umani, forse
inizialmente doloroso, ma il cui esito nale è sempre la costruzione di una società nel paese
d’accoglimento.

In tutte le analisi sembra però sfuggire il proprio della famiglia e la sua importanza educativa,
anche quando la famiglia migrante viene indagata dalle ricerche pedagogiche. La pedagogia
scienti ca tende a concentrarsi sempre sulla scuola, ma per la Moscato il primo criterio per
un’analisi pedagogica del processo educativo in condizioni di migrazione, è dato dal progetto
migratorio della famiglia. Questo determina attese, strategie, decisioni materiali di varia entità,
tutte in grado di entrare nei processi educativi.

Il progetto migratorio pendolare (distinto da quello di insediamento) è connotato dalla


provvisorietà, che è la cifra strutturale del progetto famigliare, generato principalmente da
motivazioni economiche, con l’obiettivo di trovare risorse per migliorare le condizioni socio-
economiche nel paese d’origine.

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Marco Pio Joseph UNIBO 2022
La migrazione progettata come temporanea si trasforma molto spesso, di fatto, in un
insediamento permanente, ma il nucleo famigliare conserva un vissuto di provvisorietà, di attesa e
nostalgia. Ci si confronta così col paese ospite in termini ambivalenti: da un lato si ha bisogno dei
servizi sociali e della scuola per i propri gli, dall’altro si vive la paura del cambiamento implicito
nella loro scolarizzazione.

Altro elemento importante è rilevabile nelle “colonie” osservate dagli anni ’70 in poi. È un
dinamismo che vede coinvolto un gruppo di persone che tendono ad abitare nello stesso
quartiere, per fronteggiare insieme una serie di problemi quotidiani di varia natura, e costituendosi
come gruppo connotato dalla condivisione culturale in senso ampio.

Anche qui si può distinguere tra il modello migratorio di insediamento e quello pendolare: nel caso
della colonia di insediamento, il gruppo emigrante si riorganizza nel Paese d’arrivo introno a una
ipotesi di permanenza più o meno de nitiva; invece la colonia pendolare si con gura come una
sorta di “albergo ad ore”, che assolve le stesse funzioni di difesa e protezione dei singoli, ma con
un costante riferimento al paese d’origine, il luogo della vita vera e del giudizio, mentre la colonia
è lo spazio del sacri cio, della non-vita e della provvisorietà.

In queste colonie l’alterità è negativa, si richiamano i bambini ad una fedeltà alle radici, ad una
identità e appartenenza statica, suscitando i sensi di colpa per ogni eccessiva familiarizzazione
con la società ospita. In queste condizioni il con itto generazionale ( siologico nei processi
educativi) si inasprisce no allo “strappo” radicale dei gli (e soprattutto delle glie).

Il clima di provvisorietà, inoltre, mette in luce una posizione educativa adulta debole: il genitore
emigrato è costretto a fondare la propria autorità educativa nel riferimento a norme e valori
lontani, non immediatamente presenti, non confermati dalla società dominante maggioritaria, e si
colloca personalmente in uno status sociale perdente.

Più che il con itto culturale, appare pedagogicamente rilevante la dimensione emotivo-a ettiva
della relazione educativa interna alla famiglia, per il fatto stesso che le dinamiche migratorie
tendono a indebolire i legami interni del nucleo famigliare e a interrompere quelli del nucleo
famigliare con la comunità d’origine, dando luogo a gure genitoriali deboli. La presenza di
eventuali colonie aggrava questa debolezza educativa, perché non è in grado di sostituire la
comunità d’origine in tutta la sua complessità; inoltre si favoriscono anche irrigidimenti di
posizioni genitoriali intransigenti. Così facendo i genitori sono quindi impossibilitati (o si ri utano)
di accompagnare i gli nella loro costruzione di una nuova identità socio-culturale, che
normalmente è richiesta ad ogni generazione (anche nelle comunità autoctone) con il trascorrere
del tempo, e ciò riguarda entrambe le gure genitoriali.

I gli si costituiscono così come soggetti più vulnerabili. La vulnerabilità dei gli delle famiglie
migranti ha così motivo di essere nella separazione, sia pure temporanea, dalle gure genitoriali al
punto da determinare una possibile situazione di carenza a ettiva, che appare come un radicale
senso di s ducia nei genitori, sia perché li avrebbero abbandonati, sia perché hanno dovuto
emigrare.

Si evince così un con itto intrapsichico a livello d’identità del minore migrante. Quando la
migrazione, poi, non è sollecitata solo da motivi economici, ma è incrementata da con itti e
guerre, vissuti di perdita, traumi dolorosi e oggettive so erenze e privazioni, queste non fanno che
acuire le ferite interne dell’Io infantile.

La vulnerabilità si manifesta secondo una pluralità dei sintomi, che mostra la fragilità psichica
complessiva a livello dell’apparato dell’Io, nel quale appaiono “zone d’ombra” o nuclei con ittuali
insu cientemente integrati: ci sarebbe così all’origine un’esperienza precoce dell’abbandono
parentale, o comunque un’insu cienza di cura da parte di gure parentali.

Bisogna preoccuparsi dunque meno del con itto culturale e concentrarsi di più su quella che
Bruner chiamava una “didattica a sostegno dell’Io”: pensare a un diverso lavoro con le famiglie
immigrate (e non sulle famiglie migranti), ma anche alle ferite dell’anima presenti sia in bambini
che adulti, soprattutto se si vogliono rimettere i genitori nella condizione di esercitare
positivamente le loro funzioni educative.
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