Eduard Hanslick, Il bello musicale, trad. it. di Mariangela Donà, Martello, Milano 1971 (ed.
orig. Vom Musikalisch-Schoenen, 1854), estratti da pp. 110-134.
VI. I rapporti della musica con la natura
“[...] Alla nostra affermazione, che non c'è musica in natura, si obbietterà la ricchezza delle molteplici voci che animano così mirabilmente la natura. Il sussurro del ruscello, il battito delle onde del mare, il rombo delle valanghe, il tuonare della bufera, non sarebbero stati occasione ed esempio della musica umana? Tutti i rumori sussurranti, fischianti, squillanti non avrebbero avuto alcuna relazione con l'essenza della nostra musica? Noi dobbiamo in realtà rispondere di no. Tutte queste manifestazioni della natura sono unicamente suono e rumore, cioè vibrazioni succedentisi ad intervalli irregolari. Rarissimamente, e solo isolatamente, la natura produce una «nota», cioè un suono di altezza determinata e misurabile. E le note sono condizione fondamentale di ogni musica. Per quanto queste manifestazioni sonore possano commuovere o affascinare l'animo, esse non costituiscono un gradino verso la musica umana, ma solo elementari accenni ad essa […] Nemmeno il fenomeno più puro della della vita sonora naturale, il canto degli uccelli, ha rapporto con la musica umana, poiché non si può adattare alla nostra scala. Anche il fenomeno dell'armonia naturale – che in ogni caso è l'unico e incontestabile fondamento naturale su cui si basino i principali rapporti della nostra musica – si deve ricondurre al suo giusto significato. La progressione armonica si produce da sé sull'arpa eolia a corde uguali: è fondata quindi su una legge naturale, ma il fenomeno stesso non lo si ode mai attuato immediatamente dalla natura. Qualora su uno strumento musicale non si suoni una determinata e misurabile nota fondamentale, non appaiono neppure i suoni simpatici secondari né la progressione armonica. L'uomo deve dunque interrogare perché la natura risponda. [...]. La «musica» della natura e l'arte umana dei suoni sono due campi diversi. Il trapasso dal primo al secondo avviene mediante la matematica. [...] La natura non ci fornisce il materiale artistico di un sistema musicale compiuto e predisposto, ma solo la materia greggia dei corpi che noi facciamo servire per la musica. Non le voci degli animali sono importanti per noi, ma i loro budelli, e l'animale più utile alla musica non è l'usignolo, ma la pecora. Dopo questo esame, che riguardo al bello musicale non costituisce se non una premessa, ma necessaria, saliamo un gradino più su, nel campo estetico. Il suono misurabile e l'ordinato sistema musicale sono soltanto il mezzo con cui il compositore crea, non ciò che crea. Come il legno e il bronzo non sono che il «materiale» per il suono, così il suono non è che il «materiale» per la musica. Esiste anche un terzo e più alto significato della parola «materia»: materia nel senso del soggetto trattato, dell'idea rappresentata. Da dove prende il compositore questa materia? Donde proviene il contenuto, il soggetto, di una determinata composizione, che ne caratterizza l'individualità e la distingue dalle altre? La poesia, la pittura, la scultura hanno un'inesauribile fonte di soggetti nella natura che ci circonda. L'artista si sente eccitato da qualche bello naturale, che diviene un soggetto per la sua propria creazione. Soprattutto nelle arti figurative risulta evidente l'importanza del modello naturale. Il pittore non potrebbe disegnare né alberi né fiori, se questi già non esistessero nella natura esteriore; lo scultore non potrebbe scolpire statue, senza conoscere e prendere a modello la reale figura umana. Lo stesso si può dire sei soggetti inventati. Essi non possono mai essere «inventati» nel vero senso della parola. Il paesaggio «ideale» non consiste in rocce, alberi, acqua e nuvole, in cose, cioè, di cui la natura offre il modello? Il pittore non può dipingere se non ciò che ha visto e attentamente osservato, sia che egli rappresenti un paesaggio o componga un quadro di genere o una pittura storica. […] Il medesimo vale per la poesia, che ha un campo ancora maggiore di modelli naturali. Gli uomini e le loro azioni, i loro sentimenti, i loro destini, come ci si presentano attraverso l'osservazione personale o attraverso la tradizione – poiché anche questo fa parte del patrimonio che il poeta trova e utilizza – costituiscono materia per la poesia, la tragedia, il romanzo. Il poeta non può descrivere un tramonto o un campo di neve, non può rappresentare uno stato d'animo o portare sulla scena contadini, soldati, avari, innamorati, se non ne ha visti e studiati in natura i modelli, o se non li ha tanto animati nella sua fantasia sulla scorta di esatte tradizioni, da poterne surrogare la contemplazione diretta. Se ora di fronte a queste arti poniamo la musica, ci accorgiamo che in nessun luogo essa trova modelli o materia per le sue opere. Per la musica non esiste un bello di natura. Questa differenza fra la musica e le altre arti (solo l'architettura non trova parimenti alcun modello in natura) è profonda e grave di conseguenze. Il creare del pittore, del poeta, è un continuo (intimo o reale) imitare disegnando, imitare formando: ma qualcosa da imitare componendo musica, in natura non esiste. La natura non conosce sonate, ouvertures, rondò. […] L'arte non deve imitare servilmente la natura, ma deve trasformarla. Questa espressione denota già che prima dell'arte dev'esserci qualche cosa da trasformare. Ciò è appunto il modello offerto dalla natura, il bello naturale. […] Il musicista, davanti a quale fenomeno naturale può mai esclamare: questo è un magnifico modello per un'ouverture o per una sinfonia? Il compositore non può trasformare niente; deve creare tutto. Ciò che il pittore o il poeta trovano osservando il bello di natura, il compositore deve produrlo concentrandosi nel suo intimo. Egli deve attendere il momento felice in cui un canto comincia a nascere in lui: allora si sprofonderà in se stesso e creerà qualcosa che non ha l'uguale in natura e che quindi, a differenza delle altre arti, non è neppure di questo mondo. […] In un equivoco molto frequente si cade, quando si prende il concetto di «soggetto» della musica in un senso traslato e più alto. […] Il contenuto dell'ouverture beethoveniana [Egmont] non sono la figura, le gesta, i sentimenti, i pensieri di Egmont, come lo sono per il quadro Egmont o il dramma Egmont. Il contenuto dell'ouverture è una serie di note che il compositore in perfetta libertà compoe secondo le le leggi della logica musicale. Per la considerazione estetica esse sono assolutamente autonome e indipendenti dall'idea «Egmont», con la quale sono state poste in relazione unicamente dalla fantasia poetica del musicista […]. Questa relazione è così larga e arbitraria, che mai un ascoltatore del pezzo musicale riuscirebbe ad indovinarne il soggetto, se l'autore non avesse in precedenza indicata la direzione alla nostra fantasia mediante il titolo esplicito. […] Ancora un'obbiezione si potrà ricavare dalla letteratura musicale, per rivendicare alla musica un bello di natura. Si citeranno cioè esempi, dai quali risulta che alcuni compositori non soltanto hanno attinto dalla natura lo spunto poetico (come nelle storie di cui sopra), ma hanno imitato direttamente veri e propri fenomeni sonori naturali: il canto del gallo nelle Stagioni di Haydn, il cucù, il canto dell'usignolo e della quaglia nella Weihe der Töne di Spohr e nella Sinfonia pastorale di Beethoven. Ma per quanto noi «udiamo» queste imitazioni, e per quanto le udiamo in un'opera d'arte «musicale», esse tuttavia non hanno un significato musicale, ma poetico. Il canto del gallo non ci viene presentato come bella musica, o anche soltanto come musica, ma ha unicamente il compito di richiamare l'impressione che accompagna quel fenomeno naturale. [...]”.