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Ernesto Assante, La musica di consumo, 2009 (online, WWW.treccani.

it)

La musica del nuovo secolo è caratterizzata da una rivoluzione, quella digitale, da


un’affermazione, quella di Internet e dell’MP3 (Moving Picture Experts Group audio layer 3), e da
un declino, quello del supporto fisico tradizionale. E questa rivoluzione, quest’affermazione e
questo declino hanno finito per cambiare profondamente lo scenario conosciuto, la percezione
della musica e del mercato musicale, nonché la produzione e la creatività. [...]

Un consumo istantaneo
È facile farci caso, basta ascoltare la programmazione di una radio qualsiasi o seguire un canale
musicale: quando esce un disco di un artista, nella stragrande maggioranza dei casi viene
programmato un solo brano, il ‘singolo’, quello che un tempo sarebbe stato pubblicato sul piccolo
45 giri. Pochi arrivano ad avere un secondo brano in programmazione. Pochissimi sono quei
dischi che invece riescono a ‘durare’ diversi mesi e a veder programmate più canzoni, ognuna
degna in qualche modo di nota. Mentre fino agli anni Settanta era possibile acquistare 45 giri e gli
artisti e le case discografiche lavoravano attorno a questo formato, oggi i singoli hanno un
mercato molto limitato, sono considerati poco dalle case discografiche e pochissimo dagli stessi
artisti, i quali credono che l’unico modo per dare dignità al proprio lavoro sia quello di realizzare
un LP (Long Playing), un disco intero. A lungo andare questa triste abitudine ha allontanato molti
consumatori dall’oggetto discografico, anche perché la singola canzone interessante viene
ampiamente trasmessa da radio e televisione, accontentando i consumatori meno fedeli.
Puntando tutto sugli hits, sui brani di successo, la programmazione delle grandi radio nazionali
limita di molto lo spettro della musica trasmessa e allo stesso tempo rende inutile l’acquisto di
molte canzoni.
Vendendo sempre meno dischi l’industria musicale ha iniziato ad arrotondare i propri bilanci
puntando su altro, dai gadget (magliette, poster, adesivi) ai diritti radiofonici e televisivi, ai
concerti, cercando di trasformare, come del resto è avvenuto in molti altri settori dell’industria,
gli artisti in ‘marchi’. Il caso delle Spice Girls e quello dei Take That sono stati esemplari e, in parte,
hanno condizionato l’intero mercato. L’industria ha quindi concentrato il suo impegno su prodotti
discografici ‘mordi e fuggi’, su fenomeni il cui impatto musicale è relativo e quello visuale e di
‘marchio’ è decisamente più forte, producendo in serie gruppi e solisti, in grado di entrare a far
parte dell’immaginario degli adolescenti più per la bellezza fisica o per l’abbigliamento che non
per le doti musicali. E, come in una perfetta catena di montaggio, ha iniziato a produrre cloni dei
personaggi più fortunati. La musica è diventata secondaria, una parte del tutto, non
necessariamente la più importante. Le strategie di marketing per imporre ‘marchi’ come quelli di
Britney Spears o Christina Aguilera, o i Backstreet Boys, hanno avuto un peso determinante nel
loro successo. A scapito però della musica.
È ovvio che in un simile scenario il crollo delle vendite dei CD negli Stati Uniti potrebbe portare a
una vera e propria rivoluzione del mercato discografico: «Di certo se il business non fosse più così
redditizio», ha detto Moby, uno degli artisti più originali e di maggior successo degli ultimi anni,
«in un istante sparirebbero le band costruite a tavolino e molti artisti pop, forse la gente che fa
musica esclusivamente per fare soldi, dovrà trovarsi un’altra occupazione». È una visione
ottimistica del futuro, perché è più probabile, vista la logica che oggi guida l’industria discografica
internazionale, che accada il contrario, ossia che diminuiscano ancora gli investimenti su artisti
originali e che si moltiplichino quelli su prodotti commerciali, su ‘marchi’ in grado di guadagnare
anche al di fuori del mercato discografico.
Il consumo musicale, che prima ruotava attorno alla ‘conservazione’ del disco in vinile, si è
trasformato nella ricerca della soddisfazione immediata, in un consumo ‘istantaneo’.
Esiste però anche un consumo istantaneo di alta qualità, che trova soddisfazione con il fenomeno
degli istant CD. I tempi sono cambiati, l’era di Woodstock è lontana anni luce, oggi il ricordo più
ambito di un concerto non è più l’immancabile maglietta con l’effige del cantante o del gruppo, o
il biglietto d’ingresso da conservare gelosamente per anni, o quella cassetta registrata
malamente, in cui si ascolta più la voce del vicino che parla con la fidanzata che la musica del
gruppo in scena. Oggi si esce da un concerto e con un semplice clic si ha a disposizione, in pochi
minuti, un CD con la registrazione di tutto quanto si è da pochi minuti finito di ascoltare.
Benvenuti nell’era del CD istantaneo, della ‘polaroid’ audio da portare a casa alla fine di un
concerto, del souvenir digitale che permette non solo di poter dire, com’è sempre stato, «c’ero
anch’io», ma anche di riascoltare il concerto del proprio artista preferito senza dover aspettare la
pubblicazione del solito album live.
La moda dei CD istantanei è nata di recente, figlia innanzitutto della potente crisi della
discografia, dell’inarrestabile calo delle vendite dei CD, che anno dopo anno diventano sempre
meno centrali nel grande universo della musica odierna. E, senza dubbio, il successo che stanno
ricevendo indica che la strada aperta da gruppi come i Pearl Jam (che da tempo hanno messo in
commercio i CD di ogni tappa dei loro tour) è certamente interessante.
Come funziona? In modo semplicissimo: il gruppo o il cantante registra con strumenti digitali il
concerto intero. Il file così realizzato viene messo a disposizione, in un piccolo ‘chiosco’
elettronico, degli spettatori che, prima di abbandonare la sala, lo stadio o il teatro del concerto,
possono chiedere di avere una copia del file su CD o di scaricare il contenuto su una memoria
elettronica portatile, per es. unamemory card e una pen drive. L’oggetto che si ha a disposizione è
un disco a tutti gli effetti, legalmente riconosciuto, non una copia pirata dunque, un CD per molti
versi unico, perché contiene la registrazione di un singolo, irripetibile concerto. Quella degli
instant CD, o quella dei braccialetti USB (Universal Serial Bus), o dei dischi sumemory card, sono
alcune delle molte ipotesi in campo per fermare un calo delle vendite dei CD che sembra
inarrestabile, una crisi dell’industria discografica che appare sempre più drammatica. E gli scenari
futuri sono ancora avvolti nella nebbia più fitta. Il disco è sulla strada del declino e non si vede
all’orizzonte cosa possa sostituirlo.

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