Alberto Basso, L’imitazione della natura e la musica descrittiva in L’eta di Bach
e di Haendel, EdT, Torino 1991.
"Forse la più qualificata fra le formulazioni illuministiche di quella teoria è dovuta
all’abate Charles Batteux, autore del famoso trattato Les Beaux-Arts réduits à un même principe (Le belle arti ridotte ad un unico principio, 1746). Punto di partenza è il concetto che “lo spirito umano non può che creare imperfettamente” e che “ogni cosa da lui creata porta l’impronta di un modello”. Ne consegue che “inventare non significa punto dare vita ad un oggetto, ma riconoscere là dove esso i trovi”. Quanto alla natura, essa “è tutto ciò che è e tutto ciò che noi concepiamo facilmente come possibile” e la proprietà del genio consiste “non nell’imitare la natura quale essa è, ma tal quale può essere e tal quale la si può concepire nello spirito”. Ecco, quindi, che s’impone all’artista un atto dello spirito, una scelta delle più belle parti della natura, per formarne un tutto squisito, che sia più perfetto della natura stessa senza cessare di essere naturale. Quanto al fine che l’imitazione deve avere, il Batteux afferma che esso è di piacere, di commuovere, di intenerire; in una parola, fine dell’imitazione è il diletto. Il fondamento estetico del bello s’identifica con il vero, che è rappresentato come se esistesse realmente e con tutte le perfezioni che può ricevere. Questa teoria semplicistica e priva d’un reale fervore creativo, sembra reagire, in sostanza, all’intellettualismo dei cartesiani e dei leibniziani e soprattutto ai principi formulati qualche anno prima da Alexander Amadeus Baumgarten, il primo scrittore che usò la parola “estetica” (Meditationes philosophicae de nonnullis ad poema pertinentibus, Magdeburgo, 1735), il quale riconosceva che le verità propriamente estetiche sono quelle che non sembrano né del tutto vere né del tutto false: le verosimili. È certamente sulla linea tracciata dal Baumgarten che s’indirizzeranno in seguito le ricerche più serie in questo campo; l’estetica concepita come scienza della conoscenza sensibile dava maggiori garanzie di quella che si limitava a codificare la banalità dell’osservazione quotidiana della natura e a vedere in questa l’unica fonte della poesia, la fantasia e lo spirito ad un complesso di dati di fatto e di definizioni dai quali dipenderebbe la qualità estetica. Tale era il modo do vedere più superficiale e vacuo di cui quell’epoca di gloriava. Il più immediato effetto dell’estetica dell’imitazione della natura è dato dall’affermazione della cosiddetta “musica a programma” o, meglio, della musica descrittiva, impegnata a tradurre in immagini sonore sensazioni, fenomeni naturali, caratteri. Ben anteriore ai principi formulati dal Batteux – il quale nell’esporre le sue teorie si rifaceva a studi e polemiche in atto da decenni – il concetto di musica descrittiva circolerà accanto a quello di musica pura, senza mai sopravanzarlo; l’epoca classica, anzi, s’incaricherà di confinarlo in posizione isolata e quasi anacronistica, salvo poi recuperarlo in extremis per consegnarlo, sotto altro spirito, quello più marcatamente sentimentale e non edonistico, alle forze romantiche.