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Luciano Berio, A Ronne, in Musica senza aggettivi. Studi per Fedele d'Amico, a cura di A.

Ziino, Firenze, Olschki, 1991, pp.815-817.

Luciano Berio

«A-RONNE»∗

La musica, per fortuna nostra, non coincide mai completamente con quello che il suo autore
si propone di comunicare - non solo come espressione di una idea, di un concetto e di una visione
poetica, ma anche come documento di (o commento a) una realtà concreta. Un testo, poetico o no, è
invece una realtà concreta che coincide di solito con quello che il suo autore si propone di
comunicare. In altre parole (e semplificando), un poeta, mettendo in atto meccanismi denotativi più
o meno complessi può non solo creare un labirinto di associazioni significative ma può anche
permettersi il lusso di mentire consapevolmente e di manipolare la realtà e i referenti. Il musicista
non può mentire, non ne ha gli strumenti, è un puro (con tutto il male che ne deriva): lui è quello
che è e i meccanismi connotativi della sua musica sono quello che sono, anche se assiduamente
frequentati e condizionati dai fantasmi della storia, delle tecniche, degli ascolti possibili e anche se
il senso di quello che fa è sempre un po' altrove e non coincide mai completamente, appunto, con
quello che egli si propone di comunicare.
Ma la creatività musicale ha sempre cercato di sviluppare diversi modi di complicità con la
realtà concreta e con le idee che la abitano: con la vita pubblica, per esempio, con la vita privata, la
scienza, il teatro, i dati naturali e le tecniche. E ogni volta il musicista cerca di assimilare, sublimare
e trasformare eroicamente quella realtà concreta in un'altra cosa (magari solo in un titolo), anche
senza sapersi porre il problema di definire che cosa veramente essa sia. Non c'è alcun dubbio che si
tratti di una definizione abbastanza difficile che richiede strumenti di natura filosofica analoghi, mi
sembra, a quelli che vengono usati quando si cerca una definizione del tempo. Quando, da soli,
pensiamo alla realtà concreta, sappiamo sempre cos'è. Se però qualcuno ci chiede cosa essa sia, non
sappiamo più cosa rispondere e siamo assaliti dal dubbio che quello di realtà concreta (e di tempo)
non sia un concetto ma, piuttosto, un modo di dire assai poco concreto. Comunque sia,
nell'immenso repertorio di «realtà concrete» con le quali il musicista si è sempre misurato, la realtà
della lingua parlata e scritta, della poesia e della prosa, occupa sicuramente un posto privilegiato.
Quel posto che è responsabile del vasto mare della musica vocale dove appunto la realtà della
lingua parlata si associa alle virtualità del linguaggio musicale.
In A-Ronne, per cinque attori, su una poesia di Edoardo Sanguineti (realizzato nel maggio
1974 per la Radio Olandese di Hilversum), si ritrova forse poco di queste considerazioni: esse
hanno però avuto una funzione catalizzatrice nella concezione di questo lavoro che, tanto sul piano
verbale che su quello musicale, si pone il problema di combinare assieme e di elaborare, senza
volerle trascendere musicalmente, solo associazioni e riferimenti specifici, solo denotazioni e, nei
limiti del possibile, solo realtà concrete.
A-Ronne non è una composizione musicale in senso stretto. Avrei certamente incontrato
delle difficoltà se avessi voluto definirla con una delle consuete indicazioni di genere che
accompagnano le composizioni vocali (cantata, madrigale, canzone, concerto, ecc.). Ho optato
invece per quella che mi è sembrata la descrizione sintetica più appropriata: documentario. Di
documentari se ne fanno tanti e sugli argomenti più diversi (su dettagli della vita pubblica, della vita
privata, della scienza, del teatro ecc.): perché non su una poesia? In A-Ronne, documentario per
cinque attori su una poesia di E. Sanguineti, c'è poca musica ma, come vedremo dopo, i criteri che

* Trascrizione e revisione di una conferenza tenuta nel 1983 alla Sala Vanni di Firenze per il ciclo di manifestazioni
'Foné'. La dedico alla memoria di Fedele d'Amico: l'ascolto di A-Ronne l'aveva molto divertito e interessato; se ne
discusse a lungo in privato.

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lo organizzano sono musicali: a volte essi svolgono le funzioni di una macchina da presa che,
invece di esplorare un soggetto o una situazione da diversi angoli e con lenti diverse, esplora una
poesia. A-Ronne non appartiene dunque a un genere musicale noto. Concepito originariamente
come lavoro radiofonico, può forse suggerire qualche tenue legame coi madrigali rappresentativi,
cioè col teatro degli orecchi (della mente, diremmo oggi), del tardo Cinquecento.
Avevo chiesto a Sanguineti una poesia piuttosto breve, condotta su un discorso non lineare,
facilmente segmentabile e costruita possibilmente su immagini permutabili, come fossero parte di
un congegno modulare. Così è, infatti, il suo A-Ronne. Nella sua grande coerenza e intensità
evocativa sembra guardare continuamente dentro sé stesso e ai suoi stessi congegni, ai suoi
frammenti e alle sue rovine. Uno degli aspetti più singolari di questa poesia è l'essere rigorosamente
e ossessivamente costruita di citazioni che ruotano su loro stesse e ritornano spesso tradotte in
lingue diverse. Anche il titolo è una citazione. A-Ronne: come dire A-Zeta, Alfa-Omega. Ronne è
una delle tre abbreviature poste un tempo alla fine della tavola dell'alfabeto, dopo la Zeta. Esse
sono: Et, Con e Ron (quest'ultime due sono una trasformazione di cum e della desinenza latina
orum). Le designazioni fiorentine, utilizzate da Sanguineti a conclusione della poesia, erano Ette,
Conne, Ronne. A-Ronne è diviso in tre brevi strofe: il tema della prima strofa è l'Inizio, il tema della
seconda è il Mezzo e quello della terza è la Fine.

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